Bollettino Ugento 1-2015 III bozze...Misericordiae Vultus. Bolla di indizione del Giubileo...

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Bollettino Diocesano

S. Maria de Finibus Terrae Atti ufficiali e attività pastorali della

Diocesi di Ugento - S. M. di Leuca

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Bollettino Diocesano

S. Maria de Finibus Terrae

Atti ufficiali e attività pastorali della

Diocesi di Ugento - S. M. di Leuca

Anno LXXVIII n. 1 gennaio - giugno 2015

Direzione, redazione e amministrazione

Curia Vescovile Ugento - S. M. di Leuca

Piazza S. Vincenzo, 21 - 73059 Ugento

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Direttore responsabile

mons. Salvatore Palese

Redazione ed editing

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INDICE

DOCUMENTI PONTIFICI

Misericordiae Vultus. Bolla di indizione del Giubileo straordinario

della misericordia pag. 11

DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE

Presentazione del Giubileo della Misericordia

8 dicembre 2015-20 novembre 2016 ” 37

DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA

Comunicato finale Assemblea CEI ” 45

DOCUMENTI DEI VESCOVI DEL SALENTO

Cristo Risorto è la nostra speranza ” 57

INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO

La Vergine Maria, madre di Dio e madre nostra ” 65

L’amore sacerdotale illumina, dona e discerne ” 67

Educare per cambiare la società ” 72

Cantare amantis est ” 81

Solidali per la vita ” 88

Desiderio desiderarvi ” 93

Cercare e gioire ” 96

Dialogo interreligioso e Università islamica ” 101

Con occhi grandi che, dall’alto, guardano ovunque ” 104

Il Sinodo sulla famiglia ” 111

Unti dallo Spirito Santo con olio di consolazione, di gioia e di speranza ” 116

«Ho visto il Signore» ” 123

Mirella Solidoro: vita come esperienza pasquale ” 129

Gloria tibi Trinitas et captivis libertas ” 132

Il sogno di don Tonino ” 137

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Don Tonino Bello visto da vicino ” 141

La rivoluzione della tenerezza e dell’amore di Papa Francesco ” 154

Innovarsi per il futuro ” 156

«I laici? Siano testimoni simpatici e gioiosi del vangelo» ” 161

La Basilica di Leuca “gemma” della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca ” 166

Il Capo di Leuca, una bellezza affascinante ” 173

L’Eucaristia, sintesi e compendio della fede ” 175

Ho incontrato Papa Francesco ” 177

Il tempo è messaggero di Dio ” 179

L’enciclica Laudato si’ ” 185

Precursore, profeta, amico dello Sposo ” 188

La fede in Cristo libera dalla paura della morte ” 195

Errare senza smarrirsi ” 198

ORDINAZIONI, NOMINE, MINISTERI, DISPOSIZIONI

Ordinazioni, Nomine, Ministeri, Disposizioni ” 203

ASSEMBLEA DEL CLERO, CONSIGLIO PRESBITERALE, CONSIGLIO PASTORALE

Assemblea del clero ” 209

Riunione congiunta del Consiglio Presbiterale

e del Consiglio Pastorale Diocesani ” 210

Lettera di convocazione ” 210

Verbale della riunione ” 211

ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI

Vicario Generale ” 225

Ufficio per la Pastorale ” 226

Ufficio Liturgico ” 240

Ufficio Catechistico ” 242

Ufficio Missionario ” 243

Ufficio diocesano per l’Ecumenismo ” 245

Ufficio per la Pastorale Familiare ” 246

Archivio Storico Diocesano ” 247

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SETTIMANA TEOLOGICA, CONVEGNO PASTORALE

XXXX Settimana Teologica Diocesana ” 251

XXIX Convegno Pastorale Diocesano ” 254

CRONACA RELIGIOSA E PASTORALE

Rassegne culturali “Fides et ratio” e “Dialoghi Leucadensi” ” 257

Vita consacrata ” 261

Iniziative vissute per l’Anno della Vita Consacrata ” 264

Pastorale sociale e del lavoro ” 265

Al via una nuova impresa grazie al “Progetto Tobia” ” 267

Via Crucis 2015 ” 269

XXV Anniversario di elevazione a Basilica minori del santuario

di S. M. di Leuca ” 271

Convegno diocesano sulla Famiglia ” 278

Il cammino di fraternità delle Confraternite

della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca ” 282

Mons. Paolo Gualtieri ” 286

Curriculum Vitae ” 288

Un annuncio che riempie di gioia la Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca ” 289

Lettera a S.E. Mons. Vito Angiuli ” 292

Lettera a don Oronzo Cosi ” 294

Omelia del Segretario di Stato di Sua Santità card. Pietro Parolin ” 296

Ringraziamento al termine del Sacro Rito di mons. Paolo Gualtieri ” 301

Chiusura anno attività Scuola Diocesana di Formazione ” 303

Convegno Missionario ” 304

Presentazione di un libro e di una esperienza

mons. Salvatore Palese ” 310

prof. Valerio Ugenti ” 317

PER LA STORIA DELLA CHIESA DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA

Il più colto Vescovo di Ugento, il portoghese Agostino Barbosa

e il suo brevissimo episcopato (1649) di Salvatore Palese

Con appendice di Carlo Vito Morciano ” 327

AGENDA PASTORALE DEL VESCOVO ” 345

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DOCUMENTI PONTIFICI

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MISERICORDIAE VULTUS BOLLA DI INDIZIONE DEL GIUBILEO STRAORDINARIO DELLA MISERICORDIA

FRANCESCO

VESCOVO DI ROMA SERVO DEI SERVI DI DIO

A QUANTI LEGGERANNO QUESTA LETTERA GRAZIA, MISERICORDIA E PACE

1. Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede

cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva,

visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, «ricco di

misericordia» (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come «Dio

misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6),

non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia

la sua natura divina. Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), quando tutto era

disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla

Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui

vede il Padre (cfr. Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi

gesti e con tutta la sua persona1 rivela la misericordia di Dio.

2. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia.

È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza.

Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è

l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la

legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con

occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la

via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere

amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.

1 Cfr. Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 4.

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3. Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a

tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno

efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo

Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa,

perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti.

L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata

Concezione. Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di Dio fin dai

primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha

voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e

voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cfr. Ef 1,4), perché diventasse

la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio

risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più

grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che

perdona. Nella festa dell’Immacolata Concezione avrò la gioia di aprire la

Porta Santa. Sarà in questa occasione una Porta della Misericordia, dove

chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che

perdona e dona speranza.

La domenica successiva, la Terza di Avvento, si aprirà la Porta Santa nella

Cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Successi-

vamente, si aprirà la Porta Santa nelle altre Basiliche Papali. Nella stessa

domenica stabilisco che in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la

Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella Concattedrale o in una chiesa di

speciale significato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della

Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei

Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono

toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa

particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo

come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale. Il

Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari

quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa.

4. Ho scelto la data dell’8 dicembre perché è carica di significato per la

storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo

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anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa

sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo

percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito

forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli

uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie

che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella

privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo.

Una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per

tutti i cristiani per testimoniare con più entusiasmo e convinzione la loro

fede. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo

dell’amore del Padre.

Tornano alla mente le parole cariche di significato che san Giovanni XXIII

pronunciò all’apertura del Concilio per indicare il sentiero da seguire: «Ora

la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di

imbracciare le armi del rigore… La Chiesa Cattolica, mentre con questo

Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi

madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e

da bontà verso i figli da lei separati»2. Sullo stesso orizzonte, si poneva anche

il beato Paolo VI, che si esprimeva così a conclusione del Concilio: «Vogliamo

piuttosto notare come la religione del nostro Concilio sia stata principal-

mente la carità… L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della

spiritualità del Concilio… Una corrente di affetto e di ammirazione si è

riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì;

perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo

richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti

rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio

verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati,

ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette…

Un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in

2 Discorso di apertura del Conc. Ecum. Vat. II, Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962, 2-3.

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un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione,

in ogni sua infermità, in ogni sua necessità»3.

Con questi sentimenti di gratitudine per quanto la Chiesa ha ricevuto e di

responsabilità per il compito che ci attende, attraverseremo la Porta Santa

con piena fiducia di essere accompagnati dalla forza del Signore Risorto che

continua a sostenere il nostro pellegrinaggio. Lo Spirito Santo che conduce i

passi dei credenti per cooperare all’opera di salvezza operata da Cristo, sia

guida e sostegno del Popolo di Dio per aiutarlo a contemplare il volto della

misericordia4.

5. L’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo

Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. In quel giorno, chiudendo la

Porta Santa avremo anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento

verso la SS. Trinità per averci concesso questo tempo straordinario di grazia.

Affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla

Signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del

mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel

prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di

misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la

tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della

misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi.

6. «È proprio di Dio usare misericordia e specialmente in questo si ma-

nifesta la sua onnipotenza»5. Le parole di san Tommaso d’Aquino mostrano

quanto la misericordia divina non sia affatto un segno di debolezza, ma

piuttosto la qualità dell’onnipotenza di Dio. È per questo che la liturgia, in

una delle collette più antiche, fa pregare dicendo: «O Dio che riveli la tua

onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono»6. Dio sarà per

3 Allocuzione nell’ultima sessione pubblica, 7 dicembre 1965.

4 Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen Gentium, 16; Cost. past. Gaudium et spes, 15.

5 Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 30, a. 4.

6 XXVI Domenica del Tempo Ordinario. Questa colletta appare già, nell’VIII secolo, tra i

testi eucologici del Sacramentario Gelasiano (1198).

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sempre nella storia dell’umanità come Colui che è presente, vicino, provvi-

dente, santo e misericordioso.

“Paziente e misericordioso” è il binomio che ricorre spesso nell’Antico

Testamento per descrivere la natura di Dio. Il suo essere misericordioso

trova riscontro concreto in tante azioni della storia della salvezza dove la sua

bontà prevale sulla punizione e la distruzione. I Salmi, in modo particolare,

fanno emergere questa grandezza dell’agire divino: «Egli perdona tutte le

tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti

circonda di bontà e misericordia» (103,3-4). In modo ancora più esplicito, un

altro Salmo attesta i segni concreti della misericordia: «Il Signore libera i

prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il

Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la

vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi» (146,7-9). E da ultimo, ecco altre

espressioni del Salmista: «[Il Signore] risana i cuori affranti e fascia le loro

ferite. … Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi»

(147,3.6). Insomma, la misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una

realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di

una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio

figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene

dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di

compassione, di indulgenza e di perdono.

7. “Eterna è la sua misericordia”: è il ritornello che viene riportato ad

ogni versetto del Salmo 136 mentre si narra la storia della rivelazione di Dio.

In forza della misericordia, tutte le vicende dell’antico testamento sono

cariche di un profondo valore salvifico. La misericordia rende la storia di Dio

con Israele una storia di salvezza. Ripetere continuamente: “Eterna è la sua

misericordia”, come fa il Salmo, sembra voler spezzare il cerchio dello spazio

e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore. È come se si

volesse dire che non solo nella storia, ma per l’eternità l’uomo sarà sempre

sotto lo sguardo misericordioso del Padre. Non è un caso che il popolo di

Israele abbia voluto inserire questo Salmo, il “Grande hallel” come viene

chiamato, nelle feste liturgiche più importanti.

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Prima della Passione Gesù ha pregato con questo Salmo della misericor-

dia. Lo attesta l’evangelista Matteo quando dice che «dopo aver cantato

l’inno» (26,30), Gesù con i discepoli uscirono verso il monte degli ulivi.

Mentre Egli istituiva l’Eucaristia, quale memoriale perenne di Lui e della sua

Pasqua, poneva simbolicamente questo atto supremo della Rivelazione alla

luce della misericordia. Nello stesso orizzonte della misericordia, Gesù

viveva la sua passione e morte, cosciente del grande mistero di amore che si

sarebbe compiuto sulla croce. Sapere che Gesù stesso ha pregato con

questo Salmo, lo rende per noi cristiani ancora più importante e ci impegna

ad assumerne il ritornello nella nostra quotidiana preghiera di lode: “Eterna

è la sua misericordia”.

8. Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo

cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre

è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. «Dio

è amore» (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra

Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è ormai reso visibile e

tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore, un

amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo

accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie,

soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse,

malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di

misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione.

Gesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo seguivano, vedendo che

erano stanche e sfinite, smarrite e senza guida, sentì fin dal profondo del

cuore una forte compassione per loro (cfr. Mt 9,36). In forza di questo

amore compassionevole guarì i malati che gli venivano presentati (cfr.

Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò grandi folle (cfr. Mt 15,37). Ciò

che muoveva Gesù in tutte le circostanze non era altro che la misericordia,

con la quale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispondeva al loro

bisogno più vero. Quando incontrò la vedova di Naim che portava il suo

unico figlio al sepolcro, provò grande compassione per quel dolore immenso

della madre in pianto, e le riconsegnò il figlio risuscitandolo dalla morte

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(cfr. Lc 7,15). Dopo aver liberato l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa

missione: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha

avuto per te» (Mc 5,19). Anche la vocazione di Matteo è inserita nel-

l’orizzonte della misericordia. Passando dinanzi al banco delle imposte gli

occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di mise-

ricordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli

altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei

Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha

scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse:

miserando atque eligendo7. Mi ha sempre impressionato questa espressio-

ne, tanto da farla diventare il mio motto.

9. Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù rivela la natura di Dio

come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha

dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia.

Conosciamo queste parabole, tre in particolare: quelle della pecora smarrita

e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr. Lc 15,1-32). In

queste parabole, Dio viene sempre presentato come colmo di gioia,

soprattutto quando perdona. In esse troviamo il nucleo del Vangelo e della

nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto

vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono.

Da un’altra parabola, inoltre, ricaviamo un insegnamento per il nostro

stile di vita cristiano. Provocato dalla domanda di Pietro su quante volte

fosse necessario perdonare, Gesù rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma

fino a settanta volte sette» (Mt 18,22), e raccontò la parabola del “servo

spietato”. Costui, chiamato dal padrone a restituire una grande somma, lo

supplica in ginocchio e il padrone gli condona il debito. Ma subito dopo

incontra un altro servo come lui che gli era debitore di pochi centesimi, il

quale lo supplica in ginocchio di avere pietà, ma lui si rifiuta e lo fa

imprigionare. Allora il padrone, venuto a conoscenza del fatto, si adira molto

e richiamato quel servo gli dice: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo

7 Cfr. Om. 21: CCL 122, 149-151.

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compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt 18,33). E Gesù concluse:

«Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore,

ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,35).

La parabola contiene un profondo insegnamento per ciascuno di noi.

Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il

criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere

di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono

delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e

per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere. Come

sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento

posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar

cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni

necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi l’esortazione dell’apostolo:

«Non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef 4,26). E soprattutto ascoltiamo

la parola di Gesù che ha posto la misericordia come un ideale di vita e come

criterio di credibilità per la nostra fede: «Beati i misericordiosi, perché

troveranno misericordia» (Mt 5,7) è la beatitudine a cui ispirarsi con

particolare impegno in questo Anno Santo.

Come si nota, la misericordia nella Sacra Scrittura è la parola-chiave per

indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non si limita ad affermare il suo

amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore, d’altronde, non potrebbe

mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura è vita concreta: inten-

zioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano nell’agire quotidiano.

La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi. Lui si sente respon-

sabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e

sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore

misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli. Come è

misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni

verso gli altri.

10. L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto

della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si

indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il

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mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa

attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa

«vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia»8. Forse per tanto

tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia.

La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto

dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la

Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più

significativa. Dall’altra parte, è triste dover vedere come l’esperienza del

perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Perfino la parola

stessa in alcuni momenti sembra svanire. Senza la testimonianza del

perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si

vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di

farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno

all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri

fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio

per guardare al futuro con speranza.

11. Non possiamo dimenticare il grande insegnamento che san Giovanni

Paolo II ha offerto con la sua seconda Enciclica Dives in misericordia, che

all’epoca giunse inaspettata e colse molti di sorpresa per il tema che veniva

affrontato. Due espressioni in particolare desidero ricordare. Anzitutto, il

santo Papa rilevava la dimenticanza del tema della misericordia nella cultura

dei nostri giorni: «La mentalità contemporanea, forse più di quella del-

l’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad

emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della

misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a

disagio l’uomo, il quale, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della

tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha

soggiogato e dominato la terra (cfr Gen 1,28). Tale dominio sulla terra,

inteso talvolta unilateralmente e superficialmente, sembra che non lasci

spazio alla misericordia… Ed è per questo che, nell’odierna situazione della

8 Esort. ap. Evangelii gaudium, 24.

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Chiesa e del mondo, molti uomini e molti ambienti guidati da un vivo senso

di fede si rivolgono, direi, quasi spontaneamente alla misericordia di Dio»9.

Inoltre, san Giovanni Paolo II così motivava l’urgenza di annunciare e

testimoniare la misericordia nel mondo contemporaneo: «Essa è dettata

dall’amore verso l’uomo, verso tutto ciò che è umano e che, secondo

l’intuizione di gran parte dei contemporanei, è minacciato da un pericolo

immenso. Il mistero di Cristo… mi obbliga a proclamare la misericordia quale

amore misericordioso di Dio, rivelato nello stesso mistero di Cristo. Esso mi

obbliga anche a richiamarmi a tale misericordia e ad implorarla in questa

difficile, critica fase della storia della Chiesa e del mondo»10. Tale suo

insegnamento è più che mai attuale e merita di essere ripreso in questo

Anno Santo. Accogliamo nuovamente le sue parole: «La Chiesa vive una vita

autentica quando professa e proclama la misericordia – il più stupendo

attributo del Creatore e del Redentore – e quando accosta gli uomini alle

fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispen-

satrice»11.

12. La Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore

pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la

mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio

di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno. Nel nostro tempo, in

cui la Chiesa è impegnata nella nuova evangelizzazione, il tema della

misericordia esige di essere riproposto con nuovo entusiasmo e con una

rinnovata azione pastorale. È determinante per la Chiesa e per la credibilità

del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia.

Il suo linguaggio e i suoi gesti devono trasmettere misericordia per

penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per

ritornare al Padre.

La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che

giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice

9 N. 2.

10 Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Dives in misericordia,15.

11 Ibid., 13.

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presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere

evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità,

nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani,

chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia.

13. Vogliamo vivere questo Anno Giubilare alla luce della parola del

Signore: Misericordiosi come il Padre. L’evangelista riporta l’insegnamento

di Gesù che dice: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericor-

dioso» (Lc 6,36). È un programma di vita tanto impegnativo quanto ricco di

gioia e di pace. L’imperativo di Gesù è rivolto a quanti ascoltano la sua voce

(cfr. Lc 6,27). Per essere capaci di misericordia, quindi, dobbiamo in primo

luogo porci in ascolto della Parola di Dio. Ciò significa recuperare il valore del

silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. In questo modo è

possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile

di vita.

14. Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona

del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un

pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una

strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a

Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie

forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la mise-

ricordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. Il

pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta

Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo

ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi.

Il Signore Gesù indica le tappe del pellegrinaggio attraverso cui è

possibile raggiungere questa meta: «Non giudicate e non sarete giudicati;

non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati.

Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà

versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà

misurato a voi in cambio» (Lc 6,37-38). Dice anzitutto di non giudicare e

di non condannare. Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno

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può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro

giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo.

Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e

invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva

luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della

chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper

cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a

soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto.

Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù

chiede anche di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono,

perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei

confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce la sua benevolenza su di

noi con grande magnanimità.

Misericordiosi come il Padre, dunque, è il “motto” dell’Anno Santo. Nella

misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per

sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio. Viene in nostro

aiuto quando lo invochiamo. È bello che la preghiera quotidiana della Chiesa

inizi con queste parole: «O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio

aiuto» (Sal 70,2). L’aiuto che invochiamo è già il primo passo della miseri-

cordia di Dio verso di noi. Egli viene a salvarci dalla condizione di debolezza

in cui viviamo. E il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua presenza e la

sua vicinanza. Giorno per giorno, toccati dalla sua compassione, possiamo

anche noi diventare compassionevoli verso tutti.

15. In questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a

quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo

moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e

sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse

nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è

affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo

Giubileo ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a

lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle

con la solidarietà e l’attenzione dovuta. Non cadiamo nell’indifferenza che

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umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la

novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le

miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e

sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani

stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra

presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e

insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna

sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo.

È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo

sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risve-

gliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e

per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i

privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta

queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come

suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da

mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, acco-

gliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i

morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i

dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti,

perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare

Dio per i vivi e per i morti.

Non possiamo sfuggire alle parole del Signore e in base ad esse saremo

giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete.

Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo

per stare con chi è malato e prigioniero (cfr. Mt 25,31-45). Ugualmente, ci

sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella

paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere

l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati

dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini

a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni

forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza

sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato

al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognuno di questi “più

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piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come

corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi

riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di

san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sul-

l’amore»12.

16. Nel Vangelo di Luca troviamo un altro aspetto importante per vivere

con fede il Giubileo. Racconta l’evangelista che Gesù, un sabato, ritornò a

Nazaret e, come era solito fare, entrò nella Sinagoga. Lo chiamarono a

leggere la Scrittura e commentarla. Il passo era quello del profeta Isaia dove

sta scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha

consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto

annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a

rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di misericordia del

Signore» (61,1-2). “Un anno di misericordia”: è questo quanto viene

annunciato dal Signore e che noi desideriamo vivere. Questo Anno Santo

porta con sé la ricchezza della missione di Gesù che risuona nelle parole del

Profeta: portare una parola e un gesto di consolazione ai poveri, annunciare

la liberazione a quanti sono prigionieri delle nuove schiavitù della società

moderna, restituire la vista a chi non riesce più a vedere perché curvo su sé

stesso, e restituire dignità a quanti ne sono stati privati. La predicazione di

Gesù si rende di nuovo visibile nelle risposte di fede che la testimonianza dei

cristiani è chiamata ad offrire. Ci accompagnino le parole dell’Apostolo: «Chi

fa opere di misericordia, le compia con gioia» (Rm 12,8).

17. La Quaresima di questo Anno Giubilare sia vissuta più intensamente

come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio.

Quante pagine della Sacra Scrittura possono essere meditate nelle setti-

mane della Quaresima per riscoprire il volto misericordioso del Padre! Con

le parole del profeta Michea possiamo anche noi ripetere: Tu, o Signore, sei

un Dio che toglie l’iniquità e perdona il peccato, che non serbi per sempre la

12

Parole di luce e di amore, 57.

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tua ira, ma ti compiaci di usare misericordia. Tu, Signore, ritornerai a noi e

avrai pietà del tuo popolo. Calpesterai le nostre colpe e getterai in fondo al

mare tutti i nostri peccati (cfr. 7,18-19).

Le pagine del profeta Isaia potranno essere meditate più concretamente

in questo tempo di preghiera, digiuno e carità: «Non è piuttosto questo il

digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo,

rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel

dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto,

nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua

luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te

camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e

il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. Se toglierai

di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo

cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la

tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti

sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e

come una sorgente le cui acque non inaridiscono» (58,6-11).

L’iniziativa “24 ore per il Signore”, da celebrarsi nel venerdì e sabato che

precedono la IV Domenica di Quaresima, è da incrementare nelle Diocesi.

Tante persone si stanno riavvicinando al sacramento della Riconciliazione e

tra questi molti giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso il cammino

per ritornare al Signore, per vivere un momento di intensa preghiera e

riscoprire il senso della propria vita. Poniamo di nuovo al centro con

convinzione il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare

con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di

vera pace interiore.

Non mi stancherò mai di insistere perché i confessori siano un vero

segno della misericordia del Padre. Non ci si improvvisa confessori. Lo si

diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di

perdono. Non dimentichiamo mai che essere confessori significa partecipare

della stessa missione di Gesù ed essere segno concreto della continuità di un

amore divino che perdona e che salva. Ognuno di noi ha ricevuto il dono

dello Spirito Santo per il perdono dei peccati, di questo siamo responsabili.

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Nessuno di noi è padrone del Sacramento, ma un fedele servitore del

perdono di Dio. Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella

parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante

avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel

figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato.

Non si stancheranno di andare anche verso l’altro figlio rimasto fuori e

incapace di gioire, per spiegargli che il suo giudizio severo è ingiusto, e non

ha senso dinanzi alla misericordia del Padre che non ha confini. Non

porranno domande impertinenti, ma come il padre della parabola interrom-

peranno il discorso preparato dal figlio prodigo, perché sapranno cogliere

nel cuore di ogni penitente l’invocazione di aiuto e la richiesta di perdono.

Insomma, i confessori sono chiamati ad essere sempre, dovunque, in ogni

situazione e nonostante tutto, il segno del primato della misericordia.

18. Nella Quaresima di questo Anno Santo ho l’intenzione di inviare

i Missionari della Misericordia. Saranno un segno della sollecitudine materna

della Chiesa per il Popolo di Dio, perché entri in profondità nella ricchezza di

questo mistero così fondamentale per la fede. Saranno sacerdoti a cui darò

l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede

Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato. Saranno,

soprattutto, segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del

suo perdono. Saranno dei missionari della misericordia perché si faranno

artefici presso tutti di un incontro carico di umanità, sorgente di liberazione,

ricco di responsabilità per superare gli ostacoli e riprendere la vita nuova del

Battesimo. Si lasceranno condurre nella loro missione dalle parole del-

l’Apostolo: «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericor-

dioso verso tutti» (Rm 11,32). Tutti infatti, nessuno escluso, sono chiamati a

cogliere l’appello alla misericordia. I missionari vivano questa chiamata

sapendo di poter fissare lo sguardo su Gesù, «sommo sacerdote misericor-

dioso e degno di fede» (Eb 2,17).

Chiedo ai confratelli Vescovi di invitare e di accogliere questi Missionari,

perché siano anzitutto predicatori convincenti della misericordia. Si

organizzino nelle Diocesi delle “missioni al popolo”, in modo che questi

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Missionari siano annunciatori della gioia del perdono. Si chieda loro di

celebrare il sacramento della Riconciliazione per il popolo, perché il tempo

di grazia donato nell’Anno Giubilare permetta a tanti figli lontani di ritrovare

il cammino verso la casa paterna. I Pastori, specialmente durante il tempo

forte della Quaresima, siano solleciti nel richiamare i fedeli ad accostarsi «al

trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia» (Eb 4,16).

19. La parola del perdono possa giungere a tutti e la chiamata a

sperimentare la misericordia non lasci nessuno indifferente. Il mio invito alla

conversione si rivolge con ancora più insistenza verso quelle persone che si

trovano lontane dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita. Penso in

modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo

criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita.

Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combattendo il peccato, non

ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di

pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte ad esso tutto il resto

diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illusione. Non portiamo il

denaro con noi nell’al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza

usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né

immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui nessuno

potrà sfuggire.

Lo stesso invito giunga anche alle persone fautrici o complici di

corruzione. Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che

grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e

sociale. La corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché

con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i

più poveri. È un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi

negli scandali pubblici. La corruzione è un accanimento nel peccato, che

intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza. È

un’opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo. Corruptio

optimi pessima, diceva con ragione san Gregorio Magno, per indicare che

nessuno può sentirsi immune da questa tentazione. Per debellarla dalla vita

personale e sociale sono necessarie prudenza, vigilanza, lealtà, trasparenza,

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unite al coraggio della denuncia. Se non la si combatte apertamente, presto

o tardi rende complici e distrugge l’esistenza.

Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di

lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è

il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni,

della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è

solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca

di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come

i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla

conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia.

20. Non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra

giustizia e misericordia. Non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma

due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a

raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore. La giustizia è un concetto

fondamentale per la società civile quando, normalmente, si fa riferimento a

un ordine giuridico attraverso il quale si applica la legge. Per giustizia si

intende anche che a ciascuno deve essere dato ciò che gli è dovuto. Nella

Bibbia, molte volte si fa riferimento alla giustizia divina e a Dio come giudice.

La si intende di solito come l’osservanza integrale della Legge e il com-

portamento di ogni buon israelita conforme ai comandamenti dati da Dio.

Questa visione, tuttavia, ha portato non poche volte a cadere nel legalismo,

mistificando il senso originario e oscurando il valore profondo che la

giustizia possiede. Per superare la prospettiva legalista, bisognerebbe

ricordare che nella Sacra Scrittura la giustizia è concepita essenzialmente

come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio.

Da parte sua, Gesù parla più volte dell’importanza della fede, piuttosto

che dell’osservanza della legge. È in questo senso che dobbiamo compren-

dere le sue parole quando, trovandosi a tavola con Matteo e altri pubblicani

e peccatori, dice ai farisei che lo contestavano: «Andate e imparate che cosa

vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a

chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). Davanti alla visione di una

giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone

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in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della miseri-

cordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza. Si

comprende perché, a causa di questa sua visione così liberatrice e fonte di

rinnovamento, Gesù sia stato rifiutato dai farisei e dai dottori della legge.

Questi per essere fedeli alla legge ponevano solo pesi sulle spalle delle

persone, vanificando però la misericordia del Padre. Il richiamo all’osservan-

za della legge non può ostacolare l’attenzione per le necessità che toccano

la dignità delle persone.

Il richiamo che Gesù fa al testo del profeta Osea – «voglio l’amore e non

il sacrificio» (6,6) – è molto significativo in proposito. Gesù afferma che d’ora

in avanti la regola di vita dei suoi discepoli dovrà essere quella che prevede il

primato della misericordia, come Lui stesso testimonia condividendo il pasto

con i peccatori. La misericordia, ancora una volta, viene rivelata come

dimensione fondamentale della missione di Gesù. Essa è una vera sfida

dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge.

Gesù, invece, va oltre la legge; la sua condivisione con quelli che la legge

considerava peccatori fa comprendere fin dove arriva la sua misericordia.

Anche l’apostolo Paolo ha fatto un percorso simile. Prima di incontrare

Cristo sulla via di Damasco, la sua vita era dedicata a perseguire in maniera

irreprensibile la giustizia della legge (cfr. Fil 3,6). La conversione a Cristo lo

portò a ribaltare la sua visione, a tal punto che nella Lettera ai Galati

afferma: «Abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati

per la fede in Cristo e non per le opere della Legge» (2,16). La sua com-

prensione della giustizia cambia radicalmente. Paolo ora pone al primo

posto la fede e non più la legge. Non è l’osservanza della legge che salva, ma

la fede in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione porta la salvezza

con la misericordia che giustifica. La giustizia di Dio diventa adesso la

liberazione per quanti sono oppressi dalla schiavitù del peccato e di tutte le

sue conseguenze. La giustizia di Dio è il suo perdono (cfr. Sal 51,11-16).

21. La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il compor-

tamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per

ravvedersi, convertirsi e credere. L’esperienza del profeta Osea ci viene in

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aiuto per mostrarci il superamento della giustizia nella direzione della

misericordia. L’epoca di questo profeta è tra le più drammatiche della storia

del popolo ebraico. Il Regno è vicino alla distruzione; il popolo non è rimasto

fedele all’alleanza, si è allontanato da Dio e ha perso la fede dei Padri.

Secondo una logica umana, è giusto che Dio pensi di rifiutare il popolo

infedele: non ha osservato il patto stipulato e quindi merita la dovuta pena,

cioè l’esilio. Le parole del profeta lo attestano: «Non ritornerà al paese

d’Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi»

(Os 11,5). Eppure, dopo questa reazione che si richiama alla giustizia, il

profeta modifica radicalmente il suo linguaggio e rivela il vero volto di Dio:

«Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassio-

ne. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim,

perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te

nella mia ira» (11,8-9). Sant’Agostino, quasi a commentare le parole del

profeta dice: «È più facile che Dio trattenga l’ira più che la misericordia»13. È

proprio così. L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in

eterno.

Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come

tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non

basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di

distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il

perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al

contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine,

ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono.

Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore

dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia.

Dobbiamo prestare molta attenzione a quanto scrive Paolo per non cadere

nello stesso errore che l’Apostolo rimproverava ai Giudei suoi contempo-

ranei: «Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si

sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo,

perché la giustizia sia data a chiunque crede» (Rm 10,3-4). Questa giustizia

13

Enarr. in Ps. 76, 11.

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di Dio è la misericordia concessa a tutti come grazia in forza della morte e

risurrezione di Gesù Cristo. La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su

tutti noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita

nuova.

22. Il Giubileo porta con sé anche il riferimento all’indulgenza. Nell’Anno

Santo della Misericordia essa acquista un rilievo particolare. Il perdono di

Dio per i nostri peccati non conosce confini. Nella morte e risurrezione di

Gesù Cristo, Dio rende evidente questo suo amore che giunge fino a

distruggere il peccato degli uomini. Lasciarsi riconciliare con Dio è possibile

attraverso il mistero pasquale e la mediazione della Chiesa. Dio quindi è

sempre disponibile al perdono e non si stanca mai di offrirlo in maniera

sempre nuova e inaspettata. Noi tutti, tuttavia, facciamo esperienza del

peccato. Sappiamo di essere chiamati alla perfezione (cfr. Mt 5,48), ma

sentiamo forte il peso del peccato. Mentre percepiamo la potenza della

grazia che ci trasforma, sperimentiamo anche la forza del peccato che ci

condiziona. Nonostante il perdono, nella nostra vita portiamo le contraddi-

zioni che sono la conseguenza dei nostri peccati. Nel sacramento della

Riconciliazione Dio perdona i peccati, che sono davvero cancellati; eppure,

l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e

nei nostri pensieri rimane. La misericordia di Dio però è più forte anche di

questo. Essa diventa indulgenza del Padre che attraverso la Sposa di Cristo

raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni residuo della conse-

guenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore

piuttosto che ricadere nel peccato.

La Chiesa vive la comunione dei Santi. Nell’Eucaristia questa comunione,

che è dono di Dio, si attua come unione spirituale che lega noi credenti con i

Santi e i Beati il cui numero è incalcolabile (cfr. Ap 7,4). La loro santità viene

in aiuto alla nostra fragilità, e così la Madre Chiesa è capace con la sua

preghiera e la sua vita di venire incontro alla debolezza di alcuni con la

santità di altri. Vivere dunque l’indulgenza nell’Anno Santo significa

accostarsi alla misericordia del Padre con la certezza che il suo perdono si

estende su tutta la vita del credente. Indulgenza è sperimentare la santità

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della Chiesa che partecipa a tutti i benefici della redenzione di Cristo, perché

il perdono sia esteso fino alle estreme conseguenze a cui giunge l’amore di

Dio. Viviamo intensamente il Giubileo chiedendo al Padre il perdono dei

peccati e l’estensione della sua indulgenza misericordiosa.

23. La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della

Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno

degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha ricevuto questa

rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incom-

mensurabile da offrire all’intera umanità. Come abbiamo visto, le pagine

dell’Antico Testamento sono intrise di misericordia, perché narrano le opere

che il Signore ha compiuto a favore del suo popolo nei momenti più difficili

della sua storia. L’Islam, da parte sua, tra i nomi attribuiti al Creatore pone

quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle

labbra dei fedeli musulmani, che si sentono accompagnati e sostenuti dalla

misericordia nella loro quotidiana debolezza. Anch’essi credono che nessuno

può limitare la misericordia divina perché le sue porte sono sempre aperte.

Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incon-

tro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più

aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di

chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discrimi-

nazione.

24. Il pensiero ora si volge alla Madre della Misericordia. La dolcezza del

suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo

riscoprire la gioia della tenerezza di Dio. Nessuno come Maria ha conosciuto

la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato

plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne. La Madre del

Crocifisso Risorto è entrata nel santuario della misericordia divina perché ha

partecipato intimamente al mistero del suo amore.

Scelta per essere la Madre del Figlio di Dio, Maria è stata da sempre

preparata dall’amore del Padre per essere Arca dell’Alleanza tra Dio e gli

uomini. Ha custodito nel suo cuore la divina misericordia in perfetta sintonia

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con il suo Figlio Gesù. Il suo canto di lode, sulla soglia della casa di Elisabetta,

fu dedicato alla misericordia che si estende «di generazione in generazione»

(Lc 1,50). Anche noi eravamo presenti in quelle parole profetiche della

Vergine Maria. Questo ci sarà di conforto e di sostegno mentre attraverse-

remo la Porta Santa per sperimentare i frutti della misericordia divina.

Presso la croce, Maria insieme a Giovanni, il discepolo dell’amore, è

testimone delle parole di perdono che escono dalle labbra di Gesù. Il

perdono supremo offerto a chi lo ha crocifisso ci mostra fin dove può

arrivare la misericordia di Dio. Maria attesta che la misericordia del Figlio di

Dio non conosce confini e raggiunge tutti senza escludere nessuno. Rivol-

giamo a lei la preghiera antica e sempre nuova della Salve Regina, perché

non si stanchi mai di rivolgere a noi i suoi occhi misericordiosi e ci renda

degni di contemplare il volto della misericordia, suo Figlio Gesù.

La nostra preghiera si estenda anche ai tanti Santi e Beati che hanno

fatto della misericordia la loro missione di vita. In particolare il pensiero è

rivolto alla grande apostola della misericordia, santa Faustina Kowalska. Lei,

che fu chiamata ad entrare nelle profondità della divina misericordia,

interceda per noi e ci ottenga di vivere e camminare sempre nel perdono di

Dio e nell’incrollabile fiducia nel suo amore.

25. Un Anno Santo straordinario, dunque, per vivere nella vita di ogni

giorno la misericordia che da sempre il Padre estende verso di noi. In questo

Giubileo lasciamoci sorprendere da Dio. Lui non si stanca mai di spalancare

la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la

sua vita. La Chiesa sente in maniera forte l’urgenza di annunciare la

misericordia di Dio. La sua vita è autentica e credibile quando fa della

misericordia il suo annuncio convinto. Essa sa che il suo primo compito,

soprattutto in un momento come il nostro colmo di grandi speranze e forti

contraddizioni, è quello di introdurre tutti nel grande mistero della

misericordia di Dio, contemplando il volto di Cristo. La Chiesa è chiamata per

prima ad essere testimone veritiera della misericordia professandola e

vivendola come il centro della Rivelazione di Gesù Cristo. Dal cuore della

Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di Dio, sgorga e scorre senza

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sosta il grande fiume della misericordia. Questa fonte non potrà mai

esaurirsi, per quanti siano quelli che vi si accostano. Ogni volta che ognuno

ne avrà bisogno, potrà accedere ad essa, perché la misericordia di Dio è

senza fine. Tanto è imperscrutabile la profondità del mistero che racchiude,

tanto è inesauribile la ricchezza che da essa proviene.

In questo Anno Giubilare la Chiesa si faccia eco della Parola di Dio che

risuona forte e convincente come una parola e un gesto di perdono, di

sostegno, di aiuto, di amore. Non si stanchi mai di offrire misericordia e sia

sempre paziente nel confortare e perdonare. La Chiesa si faccia voce di ogni

uomo e ogni donna e ripeta con fiducia e senza sosta: «Ricordati, Signore,

della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre» (Sal 25,6).

Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 aprile, Vigilia della II Domenica di

Pasqua o della Divina Misericordia, dell’Anno del Signore 2015, terzo di

pontificato.

Francesco

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DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE

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PRESENTAZIONE DEL GIUBILEO DELLA MISERICORDIA

8 DICEMBRE 2015 - 20 NOVEMBRE 2016*

Nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, che permane come la

carta programmatica del pontificato di Papa Francesco, un’espressione è

sintomatica per cogliere il senso del Giubileo straordinario che è stato

indetto lo scorso 11 aprile: “La Chiesa vive un desiderio inesauribile di offrire

misericordia, frutto dell’aver sperimentato l’infinita misericordia del Padre e

la sua forza diffusiva” (Eg 24). È a partire da questo desiderio che bisogna

rileggere la Bolla di Indizione del Giubileo Misericordiae vultus dove Papa

Francesco delinea le finalità dell’Anno Santo.

Come si sa, le due date indicative saranno l’8 dicembre solennità

dell’Immacolata Concezione che segna l’apertura della Porta Santa nella

Basilica di San Pietro e il 20 novembre 2016, Solennità di Gesù Cristo Signore

dell’Universo, che costituisce la conclusione dell’Anno Santo. All’interno di

queste due date si sviluppa un calendario di celebrazioni con differenti

eventi. È bene ribadire da subito, a scanso di equivoci, che il Giubileo della

Misericordia non è e non vuole essere il Grande Giubileo dell’Anno 2000.

Ogni confronto, quindi, è privo di significato perché ogni Anno santo porta

con sé la sua peculiarità e le finalità proprie.

Il Papa desidera che questo Giubileo sia vissuto a Roma così come nelle

Chiese locali; questo fatto comporta un’attenzione particolare alla vita delle

singole Chiese e alle loro esigenze, in modo che le iniziative non siano un

sovrapporsi al calendario, ma tali da essere piuttosto complementari. Per la

prima volta nella storia dei Giubilei, inoltre, viene offerta la possibilità di

aprire la Porta Santa – Porta della Misericordia – anche nelle singole diocesi,

* Intervento di mons. Salvatore Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la

Promozione della Nuova Evangelizzazione pronunciato nella conferenza stampa del 5 maggio 2015, tenuta nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, di presentazione del Giubileo della Misericordia; alla conferenza stampa era presente anche mons. Graham Bell, Sottosegretario del medesimo Pontificio Consiglio.

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in particolare nella Cattedrale o in una chiesa particolarmente significativa o

in un Santuario di particolare importanza per i pellegrini.

Alla stessa stregua, è facile cogliere dalla Bolla di indizione altre caratte-

ristiche che ne fanno un unico. Già il richiamo alla misericordia, comunque,

rompe gli schemi tradizionali. La storia dei Giubilei si caratterizza per la

scadenza dei 50 e dei 25 anni. I due Giubilei straordinari hanno rispettato la

scadenza dell’anniversario della redenzione compiuta da Cristo (1933.1983).

Questo è invece un Giubileo tematico. Si fa forte del contenuto centrale

della fede e intende richiamare la Chiesa alla sua missione prioritaria di

essere segno e testimonianza della misericordia in tutti gli aspetti della sua

vita pastorale. Penso, da ultimo, al richiamo fatto da Papa Francesco

all’Ebraismo e all’Islam per ritrovare proprio sul tema della misericordia la

via del dialogo e del superamento delle difficoltà che sono di dominio

pubblico.

Per non dimenticare, da ultimo, un ulteriore tratto di originalità è offerto

dai Missionari della Misericordia. Papa Francesco darà loro il mandato il

Mercoledì delle Ceneri con la celebrazione in san Pietro. I Missionari dovran-

no essere sacerdoti pazienti, capaci di comprendere i limiti degli uomini, ma

pronti ad esprimere l’afflato del buon Pastore, nella loro predicazione e

nella confessione. Non vorrei, comunque, soffermarmi a lungo su questioni

di carattere generale per entrare maggiormente nel merito dell’organizza-

zione dell’Anno Santo.

Partiamo dal logo che rappresenta una summa teologica della miseri-

cordia e dal motto che lo accompagna. Nel motto, tratto da Lc 6,36, Mise-

ricordiosi come il Padre, si propone di vivere la misericordia sull’esempio del

Padre che chiede di non giudicare e di non condannare, ma di perdonare e

di donare amore e perdono senza misura (cfr. Lc 6,37-38). Il logo è opera di

p. M. I. Rupnik. L’immagine, molto cara alla Chiesa antica, perché indica

l’amore di Cristo che porta a compimento il mistero della sua incarnazione

con la redenzione, propone il Figlio che si carica sulle spalle l’uomo smarrito.

Il disegno è realizzato in modo tale da far emergere che il Buon Pastore

tocca in profondità la carne dell’uomo e lo fa con amore tale da cambiargli la

vita. Un particolare, inoltre, non può sfuggire. Il Buon Pastore con estrema

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misericordia si carica l’umanità, ma i suoi occhi si confondono con quelli

dell’uomo. Cristo vede con l’occhio di Adamo e questi con l’occhio di Cristo.

Ogni uomo quindi scopre in Cristo la propria umanità e il futuro che lo

attende. La scena si colloca all’interno della mandorla, anch’essa figura cara

all’iconografia antica e medioevale che richiama la compresenza delle due

nature, divina e umana, in Cristo. I tre ovali concentrici, di colore progressi-

vamente più chiaro verso l’esterno, suggeriscono il movimento di Cristo che

porta l’uomo fuori dalla notte del peccato e della morte. D’altra parte, la

profondità del colore più scuro suggerisce anche l’imperscrutabilità del-

l’amore del Padre che tutto perdona. Il logo è stato registrato nelle sedi

internazionali per evitare qualsiasi uso non conforme e per salvaguardarne

la proprietà. È ovvio che ogni uso estraneo a quello prettamente religioso

dovrà essere approvato dal Pontificio Consiglio e ogni abuso necessariamen-

te perseguito.

Il Calendario delle celebrazioni è da leggere in una triplice prospettiva.

Da una parte, vi sono eventi organizzati che prevedono una grande affluenza

di popolo. Abbiamo voluto che il primo avvenimento fosse dedicato a tutti

coloro che operano nel pellegrinaggio, dal 19 al 21 gennaio. È un segno che

intendiamo offrire per far comprendere che l’Anno Santo è un vero

pellegrinaggio e come tale va vissuto. Chiederemo ai pellegrini di compiere

un tratto a piedi, per prepararsi a oltrepassare la Porta Santa con spirito di

fede e di devozione. Preparare quanti operano in questo settore per andare

oltre la sfera del turismo è decisivo e il fatto che loro per primi si facciano

pellegrini potrà essere di grande aiuto.

Abbiamo pensato che era importante raccogliere i credenti che in modo

particolare vivono l’esperienza della misericordia. È per questo che vi sarà il

3 aprile una celebrazione per tutto il variegato mondo che si ritrova nella

spiritualità della misericordia (movimenti, associazioni, istituti religiosi). Tutto

il mondo del volontariato caritativo, a sua volta, sarà chiamato a raccolta il 4

settembre. Il volontariato è il segno concreto di chi vive le opere di mi-

sericordia nelle sue diverse espressioni e merita una celebrazione riservata.

Alla stessa stregua, si è pensato al mondo della spiritualità mariana che

avrà la sua giornata il 9 ottobre per celebrare la Madre della Misericordia.

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Non mancano eventi dedicati in particolare ai ragazzi che dopo la Cresima

sono chiamati a professare la fede. Abbiamo pensato a loro il 24 aprile,

perché la GMG di Cracovia, nei giorni 26-31 luglio, è destinata ai giovani e

per la fascia di età dei ragazzi è difficile trovare uno spazio significativo nella

pastorale. Un altro evento sarà per i diaconi che per vocazione e ministero

sono chiamati a presiedere la carità nella vita della comunità cristiana. Per

loro vi sarà il Giubileo il 29 maggio. Nel 160° anniversario della Festa del

Sacro Cuore di Gesù il 3 giugno, invece, si celebrerà il Giubileo dei Sacerdoti.

Il 25 settembre sarà il Giubileo dei catechisti e delle catechiste che con il loro

impegno di trasmettere la fede sostengono la vita delle comunità cristiane in

particolare nelle nostre parrocchie. Il 12 giugno avremo il grande richiamo

per tutti gli ammalati e le persone disabili e quanti si prendono cura di loro

con amore e dedizione. Il 6 novembre celebreremo il Giubileo dei carcerati.

Questo non avverrà solo nelle carceri, ma stiamo studiando la possibilità

perché alcuni carcerati possano avere l’opportunità di celebrare con Papa

Francesco in san Pietro il loro proprio Anno Santo.

Una seconda prospettiva sarà realizzata con alcuni segni che Papa

Francesco compirà in modo simbolico raggiungendo alcune “periferie”

esistenziali per dare di persona testimonianza della vicinanza e dell’atten-

zione ai poveri, ai sofferenti, gli emarginati e a quanti hanno bisogno di un

segno di tenerezza. Questi momenti avranno un valore simbolico, ma

chiederemo ai vescovi e ai sacerdoti di compiere nelle loro diocesi lo stesso

segno in comunione con il Papa perché a tutti possa giungere un segno

concreto della misericordia e della vicinanza della Chiesa.

Come segno concreto della carità del Papa, che rimanga come memoria

di questo Giubileo, verrà effettuato un gesto significativo venendo incontro

ad una realtà bisognosa nel mondo, per esprimere la Misericordia in un

aiuto concreto e fattivo. Una terza prospettiva è dedicata ai tanti pellegrini

che giungeranno a Roma singolarmente e senza un’organizzazione alle

spalle. Per loro saranno individuate alcune chiese del centro storico dove

potranno trovare accoglienza, vivere momenti di preghiera e di prepara-

zione per attraversare la Porta Santa con la preparazione più coerente con

l’evento spirituale che si celebra.

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Tutti i pellegrini che giungeranno a Roma, comunque, avranno un

percorso privilegiato per attraversare la Porta Santa. Questo si rende

necessario per consentire che l’evento sia vissuto in modo religioso, con

sicurezza e al riparo dalle intemperie dell’abusivismo che ogni giorno

sembra investire i milioni di persone che giungono nei luoghi sacri della

cristianità. Il sito internet ufficiale del Giubileo è già stato pubblicato:

www.iubilaeummisericordiae.va, accessibile anche all’indirizzo www.im.va.

Il sito è disponibile in sette lingue: Italiano, Inglese, Spagnolo, Portoghese,

Francese, Tedesco e Polacco. Nel sito si potranno trovare le informazioni

ufficiali sul calendario dei principali eventi pubblici, le indicazioni per la

partecipazione agli eventi con il Santo Padre e ogni altra comunicazione

ufficiale relativa al Giubileo. Le Diocesi, attraverso questo strumento,

potranno ricevere informazioni e suggerimenti pastorali, iscriversi per far

conoscere il loro pellegrinaggio e comunicare le iniziative diocesane.

Al sito web sono collegati diversi social network (Facebook, Twitter, In-

stagram, Google Plus e Flickr) con i quali si potrà essere aggiornati sulle ini-

ziative del Santo Padre e seguire in tempo reale tutti gli eventi più importan-

ti. Stiamo studiando anche l’opportunità di una app per integrare al meglio

l’informazione. Siamo convinti che il tema della Misericordia con la quale

Papa Francesco ha immesso la Chiesa nel cammino giubilare potrà essere un

momento di vera grazia per tutti i cristiani e un risveglio per continuare nel

percorso di nuova evangelizzazione e conversione pastorale che il Papa ci ha

indicato. Come Papa Francesco ha scritto: “In questo Anno Giubilare la Chie-

sa si faccia eco della Parola di Dio che risuona forte e convincente come una

parola e un gesto di perdono, di sostegno, di aiuto, di amore. Non si stanchi

mai di offrire misericordia e sia sempre paziente nel confortare e perdonare.

La Chiesa si faccia voce di ogni uomo e ogni donna e ripeta con fiducia e sen-

za sosta: « Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è

da sempre»” (MV 25).

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DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA

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COMUNICATO FINALE ASSEMBLEA CEI*

La presenza disponibile e generosa del Santo Padre ha aperto la 68ª As-

semblea Generale della Conferenza Episcopale Italiana, riunita nell’Aula del

Sinodo della Città del Vaticano da lunedì 18 a giovedì 21 maggio 2015, sotto

la guida del Cardinale Presidente, Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova.

Filo conduttore dei lavori è stata la verifica di quanto le indicazioni di

fondo contenute nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium siano state

accolte e orientino il cammino delle Chiese che sono in Italia verso una nuova

tappa evangelizzatrice.

Questo stesso spirito ha caratterizzato il confronto tra i Vescovi anche sui

contenuti del 5° Convegno Ecclesiale Nazionale (Firenze, 9-13 novembre

2015), quindi sulle iniziative per vivere l’appuntamento con il Giubileo stra-

ordinario della Misericordia (8 dicembre 2015 – 20 novembre 2016) e, infine,

su come approfondire il tema decisivo riguardante la vita e la formazione

permanente dei presbiteri.

Come ogni anno, si è dato spazio ad alcuni adempimenti amministrativi:

l’approvazione del bilancio consuntivo della CEI; la definizione dei criteri di

ripartizione delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno 2015; la pre-

sentazione del bilancio consuntivo dell’Istituto Centrale per il sostentamento

del clero.

Distinte comunicazioni hanno illustrato la situazione dei media CEI,

l’Anno della Vita Consacrata (30 novembre 2014 – 2 febbraio 2016), l’Osten-

sione della Sindone (Torino, 19 aprile – 24 giugno 2015), la Giornata per la

Carità del Papa (28 giugno 2015), l’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie

(Philadelphia, 22-27 settembre 2015), la XXXI Giornata Mondiale della Gio-

ventù (Cracovia, 26-31 luglio 2016) e il XXVI Congresso Eucaristico Nazionale

(Genova, 15-18 settembre 2016).

* Roma, 21 maggio 2015.

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L’Assemblea ha eletto il Vice Presidente della CEI per l’area nord, i Presi-

denti delle dodici Commissioni Episcopali, i Membri del Consiglio per gli Affa-

ri Economici e i 4 Membri e i 2 Sostituti rappresentanti della CEI alla XIV As-

semblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (4-25 ottobre 2015).

Hanno preso parte ai lavori 240 membri, 32 Vescovi emeriti, 18 delegati

di Conferenze Episcopali Europee, i rappresentanti di religiosi, consacrati e

della Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali. Tra i momenti significa-

tivi vi è stata la Concelebrazione Eucaristica nella Basilica di San Pietro, pre-

sieduta dal Car. Marc Ouellet, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. A

margine dei lavori assembleari si è riunito il Consiglio Permanente, che ha

provveduto ad alcune nomine.

1. Pastori che vivono con la gente

Sensibilità ecclesiale, fatta di un “appropriarsi degli stessi sentimenti di

Cristo, di umiltà, compassione, misericordia, concretezza e saggezza”. Sens-

ibilità ecclesiale, che comporta il coraggio di “sconfessare e sconfiggere una

diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata” e di “uscire verso il popo-

lo di Dio per difenderlo dalle colonizzazioni ideologiche che gli tolgono

l’identità e la dignità umana”. Sensibilità ecclesiale, che “si manifesta nelle

scelte pastorali”, “si concretizza nel rinforzare l’indispensabile ruolo dei lai-

ci” e “si rivela nella comunione tra i Vescovi e i loro sacerdoti, tra Diocesi ric-

che e quelle in difficoltà, tra i Vescovi e il Successore di Pietro”.

È stata questa la cifra principale del discorso – a cui è seguito un ampio

confronto a porte chiuse – con cui lunedì 18 maggio il Santo Padre ha aperto

i lavori della 68ª Assemblea Generale. Papa Francesco ha esortato

l’Episcopato italiano ad “andare controcorrente”, rispetto a un contesto nel

quale “spesso siamo accerchiati da notizie sconfortanti” per farsi “testimoni

gioiosi di Cristo Risorto per trasmettere gioia e speranza agli altri”.

Proprio di tale vocazione e responsabilità a “vivere con la gente” si è fat-

to interprete il Cardinale Bagnasco nella prolusione, dove ha dato voce in-

nanzitutto ai “nodi antichi e nuovi del Paese”: la piaga della disoccupazione,

la tragedia dei migranti, i tentativi legislativi di equiparare il matrimonio e

l’istituto familiare ad altre unioni.

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Sono stati temi ripresi e approfonditi nel dibattito assembleare, con i Ve-

scovi preoccupati – accanto alle difficoltà materiali sofferte da tanta gente –

dello “snaturamento” della cultura popolare, della disgregazione dei rappor-

ti e delle manipolazioni di carattere tecnologico. In particolare, l’Assemblea

ha messo in guardia dalla cosiddetta teoria del genere, che si sta diffonden-

do in modo subdolo soprattutto nelle scuole e che coinvolge l’impostazione

generale del senso della vita, della sessualità e dell’amore. Di qui l’appello

dei Pastori a genitori e educatori, perché prendano coscienza di ciò che a

questo riguardo viene insegnato ai loro figli e trovino le forme per contrasta-

re apertamente una tale deriva antropologica, culturale e sociale. Sul fronte

ecclesiale è emersa con forza la necessità di superare la pastorale ordinaria

con un rinnovamento missionario delle parrocchie, che si traduca in modali-

tà e proposte operative, sostenute da una robusta formazione di sacerdoti e

laici.

2. Per una nuova tappa evangelizzatrice

Nella medesima linea si è svolta la verifica della recezione dell’Evangelii

gaudium, che ha costituito il tema principale dell’Assemblea Generale. A ta-

le scopo sono state presentate ai Vescovi le sintesi dei contributi giunti dalle

Conferenze Episcopali Regionali, da dove si rileva, innanzitutto, come tra le

varie componenti della comunità ecclesiale l’Esortazione apostolica abbia

ricevuto una buona accoglienza di fondo. Nel contempo, si palesa una dupli-

ce esigenza: quella di un approfondimento delle indicazioni di cui essa è ric-

ca e anche quella di una maggiore chiarificazione di alcuni termini essenziali.

Sono osservazioni approfondite e condivise dai vescovi nei gruppi di stu-

dio, dove hanno evidenziato la piena continuità tra l’Esortazione apostolica,

il magistero del Concilio e dei pontefici che, dopo di esso, si sono succeduti

sulla Cattedra di Pietro. Nella stessa scia sono state lette pure molte indica-

zioni già espresse dai documenti della CEI, specialmente quelli riguardanti

l’evangelizzazione e in modo particolare Comunicare il Vangelo in un mondo

che cambia, Il volto missionario delle Parrocchie in un mondo che cam-

bia e Educare alla vita buona del Vangelo.

Dai lavori dei Membri dell’Assemblea Generale è emersa anche la novità

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con cui l’Evangelii gaudium propone tali contenuti – che rimandano alla per-

sona di Gesù Cristo – per un nuovo volto di Chiesa e un nuovo stile: quello

del pastore che precede il gregge, lo accompagna e lo segue; una novità che

deriva dal particolare carisma di Papa Francesco, capace di provocare e di

suscitare entusiasmo.

In tutti i gruppi è stata rilevata l’importanza dell’attenzione alle relazioni

personali con l’accoglienza e la vicinanza a ciascuno nella propria concreta

situazione, quale via per annunciare Gesù e testimoniare il suo Vangelo.

Un ulteriore elemento richiamato è stata l’eloquenza dei gesti: gesti di

misericordia, di riconciliazione, di solidarietà, capaci di coinvolgere, di dare

visibilità alla testimonianza di fede e di rendere credibile l’annuncio. Ne è

parte anche la stessa urgenza di ritrovare la vivacità di un linguaggio (con

particolare attenzione alle omelie, ma non solo), che comunichi la freschez-

za della fede, la gioia dell’annuncio, il coinvolgimento nell’esperienza evan-

gelica. Una delle parole più ricorrenti emersa concerne la necessità di

un’autentica conversione pastorale, condizione essenziale per la riappro-

priazione costante della fede e per la progressiva purificazione della testi-

monianza, che si esprime con la misericordia e la carità cristiana e la sobrie-

tà di vita.

L’esigenza di conversione – hanno evidenziato ancora i Vescovi – si spin-

ge dal piano personale a quello pastorale e particolarmente a rinnovare con-

tinuamente in ordine alla missione tutta la pastorale ordinaria. Papa France-

sco ne ha dato una bella chiave di lettura parlando al CELAM, quando ha

indicato la metodologia dei gesti paradigmatici e programmatici da assume-

re come atti missionari, alleggerendo le sovrastrutture e dando concretezza

ai valori: “La missione programmatica – spiegava – consiste nella realizzazio-

ne di atti di indole missionaria; la missione paradigmatica, invece, implica il

porre in chiave missionaria le attività abituali delle Chiese particolari”.

Tale conversione pastorale passa attraverso una rinnovata attenzione al-

la collegialità e una rimotivata cura degli organismi di partecipazione, evi-

tando di renderli presidio privato di pochi. Una cura fatta di disponibilità

all’ascolto, di parlare libero, di confronto aperto e leale che porti sacerdoti e

laici a progettare e costruire insieme. Una sapiente rimotivazione degli or-

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ganismi di partecipazione – hanno ancora sottolineato – può costituire la

premessa indispensabile anche per cercare nuove vie e nuove figure per

l’amministrazione delle parrocchie, senza togliere ai parroci la specifica re-

sponsabilità primaria, ma liberandoli da pesanti fardelli che generano stan-

chezza e tolgono tempo alle relazioni pastorali per l’annuncio del vangelo,

accompagnamento dei fedeli, la ricerca personale di ciascuno.

3. Insieme verso Firenze

Contenuti, finalità e stili dell’Evangelii gaudium si riflettono nella Traccia

che accompagna il cammino di preparazione al 5° Convegno Ecclesiale Na-

zionale (Firenze, 9-13 novembre 2015). Ai Vescovi è stato presentato il pro-

gramma del Convegno, che nella giornata di martedì 10 prevede la visita di

Papa Francesco. Nel complesso, si respira un crescente e capillare interesse

attorno al tema di fondo – In Gesù Cristo il nuovo umanesimo –: un contribu-

to decisivo è assicurato dal sito internet dell’evento – «luogo» di feconda

condivisione del materiale che giunge da diocesi, movimenti e associazioni

ecclesiali – come pure dai media collegati alla CEI, da scuole e Facoltà teolo-

giche. Il percorso di avvicinamento al Convegno è stato arricchito anche da

tre laboratori a carattere nazionale: il primo, svoltosi nei giorni 7-9 maggio a

Perugia, Dalla solidarietà alla fraternità: identità, estraneità, relazioni per un

nuovo umanesimo; un secondo, che si terrà a Napoli il prossimo 13 giugno,

Leggere i segni dei tempi e il linguaggio dell’amore; infine, un terzo in pro-

gramma in ottobre a Milano, che affronterà il tema del nuovo umanesimo a

partire dalle problematiche del lavoro, della società e del creato. Accanto a

tali iniziative, si collocano anche un seminario su Umanesimo e umanizza-

zione della medicina (Roma, 29-30 maggio) e due convegni: Famiglia e im-

migrazione (Campofelice di Roccella, 31 maggio-2 giugno) e Dal carcere un

nuovo umanesimo (Roma, 6 giugno).

4. Per non spendersi senza donarsi

L’impegno a recepire le indicazioni circa la vita e la formazione perma-

nente dei presbiteri emerse dall’Assise straordinaria dello scorso novembre

ad Assisi ha portato a elaborare una «agenda» che è stata presentata in As-

semblea Generale: l’intento è stato quello di offrire a Vescovi e Consigli pre-

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sbiterali diocesani e decanali linee e contenuti su cui lavorare in vista

dell’Assemblea Generale del 2016, che sarà dedicata proprio a tale tematica.

L’urgenza nasce dalla consapevolezza di come oggi non sia sufficiente of-

frire ai sacerdoti un semplice aggiornamento che li aiuti a tenere il passo con

il cammino della storia: non a caso, i Vescovi non esitano a parlare della ne-

cessità di promuovere una vera riforma del clero. Essa trova il suo fulcro

nell’impegno a custodire e ravvivare il dono spirituale ricevuto con l’imposi-

zione delle mani.

Affrontando tale argomento i Pastori hanno riconosciuto come la loro

prima responsabilità – l’opera di carità più impegnativa – sia la santificazione

dei sacerdoti. Tale impegno chiede al Vescovo di cercare innanzitutto la

promozione dell’unità del presbiterio e di saperlo amare intensamente.

Nel contempo, rinvia il prete stesso alla cura della propria vita interiore,

attraverso la conquista e la fedeltà quotidiana a momenti di silenzio e di

preghiera, che sono condizione per l’azione. È stato, infatti, evidenziato che

il cuore del problema non è costituito tanto dal peso del servizio alla propria

gente, quanto piuttosto da un indebolimento spirituale, che spinge nella

mediocrità di un attivismo fine a se stesso ed espone al pericolo di spendersi

senza la gioia di donarsi.

Lungi dal risolversi in un appello intimistico, l’«agenda» sollecita, da un

lato, l’individuazione di processi ed esercizi di comunione fraterna; dall’altro,

l’elaborazione di un diverso modello organizzativo delle parrocchie, attra-

verso un’effettiva corresponsabilità laicale: ne va della stessa sostenibilità e,

quindi, della fecondità del ministero ordinato.

5. La Chiesa in Italia e il Giubileo straordinario della Misericordia

Alla luce della Bolla d’indizione Misericordiae vultus, i Vescovi si sono ri-

trovati nel riconoscere la misericordia – segno della verità dell’amore infini-

to di Dio e vocazione a riverberarlo sugli altri – come linfa per la vita

dell’umanità e vitale missione della Chiesa nella storia. In sintonia con il pen-

siero del Santo Padre, avvertono che a tante domande impellenti che attra-

versano questo tempo si può rispondere solo facendosi prossimi, in un coin-

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volgimento personale che è caratteristica irrinunciabile dell’apostolato e

della presenza della Chiesa nel mondo di oggi.

La vita nuova che sgorga da un’esperienza d’incontro con la misericordia

indica in pienezza le linee per un rinnovato umanesimo. Di qui la volontà

delle Chiese che sono in Italia di vivere il Giubileo straordinario della Miseri-

cordia (8 dicembre 2015-20 novembre 2016) impegnandosi a celebrare in

tutte le proposte e attività pastorali la grazia di Dio e a condividere con

l’umanità intera l’invito a sviluppare nuovi atteggiamenti di accoglienza e di

reciproco accompagnamento.

6. Adempimenti di carattere giuridico-amministrativo

L’Assemblea Generale ha approvato la modifica delle Determinazioni

concernenti la gestione dei flussi finanziari agevolati per il sostegno della

Chiesa Cattolica in Italia in esecuzione della Delibera CEI n. 57, circa la tra-

smissione della somma assegnata al sostentamento del clero.

Come ogni anno, ha dato spazio anche ad alcuni adempimenti ammini-

strativi: l’approvazione del bilancio consuntivo della CEI; la definizione dei

criteri di ripartizione delle somme derivanti dall’otto per mille per l’anno

2015; la presentazione del bilancio consuntivo dell’Istituto Centrale per il so-

stentamento del clero.

7. Comunicazioni e informazioni

Distinte comunicazioni hanno illustrato la situazione dei media CEI,

l’Anno della Vita Consacrata (30 novembre 2014 – 2 febbraio 2016) e

l’Ostensione della Sindone (Torino, 19 aprile – 24 giugno 2015). Inoltre, sono

stati presentati alcuni appuntamenti di rilievo previsti nel prossimo futuro:

l’VIII Incontro Mondiale delle Famiglie (Philadelphia, 22 – 27 settembre

2015), la XXXI Giornata Mondiale della Gioventù (Cracovia, 26 – 31 luglio

2016) e il XXVI Congresso Eucaristico Nazionale (Genova, 15 – 18 settembre

2016). È stata presentata anche la prossima Giornata per la Carità del Papa,

prevista per domenica 28 giugno; infine, è stato approvato il calendario delle

attività della CEI per il 2015-2016.

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8. Nomine

Nel corso dei lavori, l’Assemblea Generale ha eletto Vice Presidente della

CEI per l’area Nord s. e. mons. Franco Giulio Brambilla, vescovo di Novara.

Ha poi provveduto a eleggere i Presidenti delle dodici Commissioni Epi-

scopali, che faranno parte del Consiglio Permanente per il prossimo quin-

quennio:

- s. e. mons. Luciano Monari, vescovo di Brescia, Presidente della Com-

missione Episcopale per la dottrina della fede, l’annuncio e la catechesi

- s. e. mons. Claudio Maniago, vescovo di Castellaneta, Presidente della

Commissione Episcopale per la liturgia

- s. e. card. Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, Presidente

della Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute

- s. e. mons. Gualtiero Sigismondi, vescovo di Foligno, Presidente della

Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata

- s. e. mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento-Santa Maria di Leuca, Presi-

dente della Commissione Episcopale per il laicato

- s. e. mons. Pietro Maria Fragnelli, vescovo di Trapani, Presidente della

Commissione Episcopale per la famiglia e la vita

- s. e. mons. Francesco Beschi, vescovo di Bergamo, Presidente della

Commissione Episcopale per l’evangelizzazione dei popoli e la coopera-

zione tra le Chiese

- s. e. mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti - Vasto, Presidente della

Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo

- s. e. mons. Mariano Crociata, vescovo di Latina - Terracina - Sezze – Pri-

verno, Presidente della Commissione Episcopale per l’educazione cat-

tolica, la scuola e l’università

- s. e. mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, Presidente della

Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e

la pace

- s. e. mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale, Presidente della

Commissione Episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali

- s. e. mons. Guerino Di Tora, vescovo ausiliare di Roma, Presidente della

Commissione Episcopale per le migrazioni.

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L’Assemblea Generale ha eletto membri del Consiglio per gli affari eco-

nomici:

- s. e. mons. Giovanni Paolo Benotto, arcivescovo di Pisa

- s. e. mons. Lorenzo Ghizzoni, arcivescovo di Ravenna-Cervia

- s. e. mons. Simone Giusti, vescovo di Livorno

- s. e. mons. Luigi Moretti, arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno.

L’Assemblea Generale ha altresì approvato la proposta di nuova deno-

minazione della Commissione Episcopale per la famiglia e la vita in “Com-

missione Episcopale per la famiglia, i giovani e la vita”.

Il Consiglio Episcopale Permanente, nella sessione straordinaria del 20

maggio, ha provveduto alle seguenti nomine:

- Direttore dell’Ufficio Nazionale per le comunicazioni sociali: don Ivan

Maffeis (Trento)

- Direttore dell’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici (dal 1°

settembre 2015): don Valerio Pennasso (Alba)

- Assistente Ecclesiastico Centrale dell’Azione Cattolica Ragazzi (ACR):

don Marco Ghiazza (Torino)

- Assistente Ecclesiastico Nazionale del Movimento studenti dell’Azione

Cattolica Italiana (MSAC): don Michele Pace (Andria)

- Presidente Nazionale Femminile della Federazione Universitaria Catto-

lica Italiana (FUCI): Marianna Valzano

- Consulente Ecclesiastico Nazionale del Centro Turistico Giovanile

(CTG): mons. Luigi Romanazzi (Taranto)

- Assistente ecclesiastico nazionale dell’Associazione Cattolica Interna-

zionale al Servizio della Giovane (ACISJF): e. e. mons. Domenico Moga-

vero, vescovo di Mazara del Vallo.

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DOCUMENTI DEI VESCOVI DEL SALENTO

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CRISTO RISORTO È LA NOSTRA SPERANZA*

Cari fratelli e sorelle,

nella ricorrenza della festa di Pasqua, come Pastori delle Chiese del Sa-

lento, con questo comune messaggio, vogliamo esprimere la nostra fraterna

vicinanza a ognuno di voi e far risuonare, ancora una volta, il gioioso

annuncio che la Chiesa proclama nella Veglia di Pasqua: Cristo è risorto!

La risurrezione di Gesù è l’avvenimento unico e irripetibile, tanto

sconvolgente quanto definitivo, che ha cambiato per sempre la storia

dell’umanità. Molte sono le allusioni presenti nelle antiche profezie. Anche

Gesù, durante la sua vita pubblica, annuncia la sua risurrezione dopo il

“terzo giorno”. Egli cioè presenta il dolore, la sofferenza e la morte come un

cammino da attraversare, ma che sarà vinto e superato: è questa, in senso

radicale, la Buona Notizia che Egli annuncia e che, solcando i secoli, dalla

sinagoga di Nazareth giunge fino a noi, ci comprende e ci supera, rica-

pitolando pure tutta la storia e liberandola. Nella Pasqua ogni sofferenza

umana è liberata nel profondo.

Certo, il duro confronto con le vicende della passione e della morte di

Gesù sconvolge e disorienta i discepoli e sembra vanificare anche in loro

l’attesa liberazione dal male e spegnere il desiderio della realizzazione delle

promesse messianiche. La pietra collocata davanti alla sua tomba sembra

sigillare definitivamente l’anelito a un futuro pieno di speranza. L’aspira-

zione all’avvento di un mondo nuovo si dilegua senza lasciare alcuna traccia,

come un sogno mattutino, un vago miraggio, una fragile illusione.

Anche noi, gente del Salento, avvertiamo un senso di sconforto per i

problemi e le difficoltà che incombono nella nostra vita e possiamo perciò

anche noi fermarci sconvolti, disorientati e sconfitti davanti alla pietra del

sepolcro. La realtà quotidiana sembra non lasciare spazio alla prospettiva di

novità. I segni di morte e di decadenza si annidano nel cuore e generano

* Messaggio pasquale dei Vescovi delle Chiese del Salento.

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comportamenti riprovevoli sul piano morale e funeste ricadute in ambito

sociale.

L’operosità della gente salentina deve, ogni giorno, fare i conti con una

difficoltà economica e sociale che genera precarietà e mancanza di lavoro,

senza che una progettualità alta delle nostre classi dirigenti riesca ad aprire

orizzonti di positiva rinascita. Conseguentemente si moltiplicano sempre più

i casi di lavoratori messi in cassa integrazione o licenziati in varie aziende,

pubbliche e private. Aumentano le famiglie vittime di povertà, con difficoltà

ad affrontare le spese di ogni giorno e ad amministrare adeguatamente il

loro denaro. Per le nuove generazioni, si ripresenta la triste necessità di

dover emigrare alla non facile ricerca di una giusta occupazione. Alcune

famiglie presentano, al loro interno, un disagio di vario genere e di diffe-

rente significato morale: ludopatia e alcolismo, soprattutto fra gli uomini;

malattie gravi difficilmente curabili o che necessitano farmaci costosi;

tossicodipendenza, in particolare tra i giovani; minori a rischio, poco tutelati

e curati, e spesso costretti ad abbandonare gli studi, con l’aumento della

dispersione scolastica. Così pure insegnanti ed educatori sono posti di fronte

a dinamiche gestionali sempre più pesanti e complesse, che bruciano

energie ed entusiasmi.

Problemi molto seri riguardano altri settori della vita sociale e civile.

L’emergenza dei tumori nel Salento si presenta in un drammatico aumento,

talvolta in relazione a scelte industriali con gravi effetti inquinanti. Il più

delle volte, a pagarne le spese sono i più poveri, spesso senza adeguate

tutele sanitarie. Ugualmente deplorevoli sono i fenomeni di corruzione che

dilapidano risorse pubbliche ed episodi di intimidazione che inquinano la

vita sociale. Lungo le nostre strade si evidenzia sempre di più la presenza di

donne, per lo più, extracomunitarie cadute nella trappola della prosti-

tuzione.

Non meno gravi sono le questioni di carattere ambientale. Il limpido

splendore del nostro mare è minacciato da interventi invasivi che possono

deturpare l’ecosistema delle coste e del fondale marino. La ricerca di fonti

energetiche mette a rischio un patrimonio di bellezza che dà gioia alla vista

ed è un naturale volano di sviluppo turistico e culturale. La ricerca del

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profitto porta ad imboccare strade più convenienti, ma che implicano gravi

danni ambientali, sul medio o lungo periodo.

Il fascino del Salento è reso ancora più attraente dalla presenza dei suoi

ulivi secolari. Purtroppo, in questi ultimi tempi, un flagello mortale si è

abbattuto su queste piante con il rischio che possa essere irrimediabilmente

alterato l’intero territorio salentino con incalcolabili conseguenze sul piano

economico per intere famiglie e per numerose attività produttive, e la

perdita di una pianta che rappresenta la stessa identità della nostra cultura

mediterranea, ed è universalmente riconosciuta come simbolo di pace e di

benedizione: una ferita ancora più grave di quella che, qualche anno fa, ha

colpito le palme, segno della nostra vocazione di porta d’Oriente.

Per esprimere la nostra vicinanza e solidarietà a tutti gli operatori del

settore, abbiamo deciso di elevare al Signore la nostra preghiera attraverso

il pio esercizio della via crucis. Percorreremo il cammino penitenziale lunedì

30 marzo da Gagliano del Capo al Santuario di Leuca. Confidiamo che questa

iniziativa promossa dalla Chiesa aiuti tutti coloro che hanno a cuore il bene

comune ad affrontare con rinnovato coraggio questa grave emergenza

sociale. Auspichiamo che i responsabili istituzionali, politici e sociali trovino

insieme le giuste risposte a questa grave calamità.

Di fronte a questa molteplicità di problemi e drammi personali, familiari

e sociali, forse, potremmo lasciarci vincere dallo scoraggiamento e dalla

tristezza e cedere al pensiero che non ci sia altro da fare se non rassegnarsi

all’ineluttabile accadere degli avvenimenti con la loro oscura opacità. Il

pessimismo potrebbe prendere il posto della speranza, e la tristezza

potrebbe spegnere ogni sentimento di gioia. Ci fermeremmo così sgomenti e

disperati ai piedi della Croce. Ma Gesù, sulla croce, prende su di Sé tutti i

dolori e le fatiche dell’umanità e le libera. Proprio guardando la Croce noi

acquisiamo così un orizzonte nuovo di senso, che ci consente di vedere

anche il positivo che, silenziosamente, è presente e cresce intorno a noi.

Come non vedere, per esempio, la generosa accoglienza che, normal-

mente e da tanti anni, i salentini mostrano verso gli stranieri che, a causa

delle loro drammatiche storie, approdano nelle nostre terre! E, ancora,

dobbiamo constatare come una realtà sociale, che diventa, specialmente in

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alcuni contesti, sempre più multiculturale e multireligiosa, non abbia

prodotto forme radicate di razzismo o xenofobia, ma si sia normalmente

espressa nelle forme dell’integrazione interculturale. Tra le luci, che

possiamo osservare, vi è la permanenza di un legame familiare ancora molto

forte, sia pure sfidato e messo in sofferenza dai fenomeni che abbiamo

prima denunciato: un legame che coltiva gli affetti e nel quale si fondano sia

la dignità di tante famiglie nell’affrontare le difficoltà materiali sia il coraggio

e la forza di tanti genitori, soprattutto di tante madri (le donne sono in

prima fila), nel gestire con decoro e responsabilità la vita domestica,

l’educazione dei figli, la cura di parenti anziani. Cresce pure la fierezza del

rimboccarsi le maniche, del non piangersi addosso, il superamento di

quell’autovittimismo lamentoso che aspetta che tutto cali dal cielo. Anche le

comunità ecclesiali possono testimoniare la presenza di germogli di

primavera – di gemme pasquali – nell’opera delle Caritas, del Progetto

Policoro, del Microcredito e del volontariato, nella multiforme solidarietà

ordinaria, nella stessa solidità del tessuto popolare di fede che anima le

nostre parrocchie. Ecco come si prepara la Pasqua.

Lasciamoci, pertanto, sostenere dalle consolanti parole di Papa Fran-

cesco. Illustrando il significato della Pasqua di Cristo, egli esorta credenti e

non credenti con queste parole: «Fratelli e sorelle, non chiudiamoci alla

novità che Dio vuole portare nella nostra vita! Siamo spesso stanchi, delusi,

tristi, sentiamo il peso dei nostri peccati, pensiamo di non farcela. Non

chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai:

non ci sono situazioni che Dio non possa cambiare, non c’è peccato che non

possa perdonare se ci apriamo a Lui» (Omelia nella Veglia della Notte di

Pasqua, 30 marzo 2013).

Seguendo il suo esempio e il suo insegnamento, anche noi, Pastori delle

Chiese del Salento, invitiamo tutti voi, fedeli e comunità cristiane, a

ravvivare la speranza e a comunicarla ai nostri conterranei con gioia e

semplicità di cuore. La nostra fede in Cristo Risorto genera una speranza

«che non delude» (Rm 5,5) e ci conferma che i problemi, sopra richiamati,

sono racchiusi nelle “sue piaghe”. Egli, infatti, «ha preso su di sé tutte le

nostre infermità e si è addossato i nostri dolori (Is 53,4) e «per le sue piaghe

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siamo stati guariti» (Is 53,5; cfr. 1Pt 2,24). La Croce pertanto è la via alla

Resurrezione! L’ultima parola non è della morte, ma della vita.

Anche tu, terra del Salento: alzati e cammina! E, anzi, in questa Pasqua

con il coraggio della fede, con lo slancio della speranza e con la forza della

carità: alzati, rivestiti di luce!

Pertanto a chi ci chiede «ragione della speranza che è in noi» (1Pt 3,15),

indichiamo Lui, il Signore della vita, morto e risorto, e annunciamo il suo

mistero con la parola e con una degna condotta di vita. Le nostre persone e

le nostre comunità siano luci radiose e segni trasparenti della sua risurre-

zione.

Animati dalla fede in Cristo, nostra speranza, formuliamo a tutti voi, cari

fratelli e sorelle, i nostri auguri pasquali e, con sentimenti di sincera

fraternità, vi esortiamo: non lasciatevi rubare la speranza, immettete nuova

linfa nelle vene della storia. Cristo, vera luce del mondo, ci sosterrà. Egli è

veramente risorto!

Domenica, 29 marzo 2015

Solennità delle Palme I Vescovi delle Chiese del Salento

+ Domenico Umberto D’Ambrosio arcivescovo metropolita di Lecce

+ Donato Negro arcivescovo di Otranto

+ Domenico Caliandro arcivescovo di Brindisi

+ Vito Angiuli vescovo di Ugento-S. M.di Leuca

+ Fernando Filograna vescovo di Nardò-Gallipoli

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INSEGNAMENTI PASTORALI DEL VESCOVO

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LA VERGINE MARIA, MADRE DI DIO E MADRE NOSTRA*

Celebriamo oggi il mistero della maternità divina di Maria; mistero

raffigurato da molti pittori. Si pensi al gran numero di Madonne medievali e

rinascimentali, alle vetrate incantevoli della cattedrale di Chartres, fino alla

“Pietà” di Michelangelo. Una delle più belle raffigurazioni è l’icona della

Madonna di Vladimir. Essa rappresenta un’immagine familiare, con un

profondo significato simbolico espresso attraverso tre gesti: l’abbraccio, lo

sguardo e il volto.

L’abbraccio è simbolo della tenerezza di Gesù e di Maria. Nel loro

abbraccio culminante nel delicato contatto delle guance, la madre e il

bambino sottolineano con particolare dolcezza la profonda unità e vicinanza

che li unisce. Entrambi sono custodi l’uno dell’altra. Si abbandonano vicen-

devolmente in un segno di affetto che è una consegna d’amore, dando così

voce alle parole del Salmo 17,8: «Custodiscimi come pupilla dei tuoi occhi,

proteggimi all’ombra delle tue ali».

In realtà, l’icona propone un definitivo rovesciamento di prospettiva: non

è la madre che abbraccia il bambino, ma è il bambino che sostiene e consola

la madre. Nella lingua russa, questo modello iconografico assume il nome di

colei per cui ci si intenerisce (umilìenie), a differenza del corrispondente

greco che significa colei che si intenerisce (eleousa). La tenerezza di Maria è

custodita dalla tenerezza di Gesù. Teneramente il Figlio accoglie sotto la sua

ombra la madre, proteggendola con amore infinito.

Sulla fronte e sulle spalle, la Madre porta una stella, simbolo della sua

verginità prima, durante e dopo la nascita del Figlio. La verginità di Maria,

ossia la disponibilità totale allo Spirito Santo, fa di lei uno strumento della

potenza creatrice di Dio. Essere madre ed essere vergine non sono più realtà

incompatibili, ma si completano e sono necessariamente legate l’una al-

l’altra.

* Omelia nella Messa della Madre di Dio, Cattedrale, Ugento, 1 gennaio 2015.

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La Vergine Maria diventa così simbolo del rapporto tra Cristo e la Chiesa.

Essa genera Cristo nei credenti, ma è lo Spirito di Cristo a renderla una

madre feconda. La Chiesa si rivolge a Cristo, ma è lui che la sostiene.

Secondo la profezia di Isaia, «un bambino è nato per noi, ci è stato dato un

figlio. Sulle sue spalle è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere

ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace» (Is 9,5)

Lo sguardo è un segno di contemplazione e di intercessione. Nell’icona si

instaura un intimo rapporto e un profondo dialogo spirituale a tre: Maria,

Gesù e i cristiani. Maria si china verso Gesù per cercare consolazione ed egli

la illumina con la sua presenza. Ella è la madre di Dio, ma è anche la madre

della Chiesa e di tutta l’umanità. Il profondissimo sguardo di madre si perde

all'infinito e si proietta fino ai confini del mondo, per abbracciare tutti, senza

escludere nessuno. Lo sguardo di Cristo, invece, è tutto incentrato su quello

della madre ed esprime la compassione per coloro che soffrono; non a caso i

Padri della Chiesa definiscono Dio philantropos, amante degli uomini.

Il volto, infine, è una prefigurazione della passione del figlio e della

madre. I grandi occhi del bambino sono pieni di angoscia e trasformano il

movimento di tenerezza in un movimento di dolore. Sotto lo sguardo del

figlio, anche gli occhi della Vergine sembrano velarsi di tristezza, perché la

madre conosce la sorte del Figlio. Ella sa che è diventato uomo per soffrire e

morire in croce.

Il mistero della divina maternità di Maria richiama tutti questi aspetti. I

gesti dell’abbraccio, dello sguardo e del volto diventano segno di miseri-

cordia, di benedizione, di redenzione e di pace. Sono i gesti che dobbiamo

imparare dal mistero che celebriamo e che, a nostra volta, dobbiamo vivere

ogni giorno con la stessa intensità espressa dalla raffigurazione pittorica.

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L’AMORE SACERDOTALE ILLUMINA, DONA E DISCERNE*

Caro don Paolo,

il venticinquesimo anniversario della tua ordinazione presbiterale cade

nel tempo liturgico del Natale. Le feste dell’incarnazione del Verbo sono

manifestazione dell’amore della Trinità: amore ineffabile del Padre, amore

obbediente del Figlio, amore dolcissimo dello Spirito Santo. «Dio, – scrive

san Pietro Crisologo – vedendo il mondo sconvolto dalla paura, interviene

con sollecitudine per richiamarlo con l’amore, invitarlo con la grazia,

trattenerlo con la carità, stringerlo a sé con l’affetto»1.

Anche il tuo sacerdozio è il frutto del divino amore. Così scrive P. Gio-

vanni Leone Dehon, fondatore dei dehoniani: «Nella vita intima e immanen-

te del mistero trinitario, il Verbo è come il sacerdote eterno del Padre. Sarà

anzi il tipo eminente di ogni sacerdozio». Anche il tuo sacerdozio scaturisce

da questa divina sorgente e prende la forma del Verbo eterno che è nel seno

del Padre. Quale onore e quale meraviglia deve suscitare in te il ricordo di

questa origine e di questa esemplarità!

Il tempo trascorso in questi venticinque anni di vita sacerdotale ti ha

offerto la possibilità di comprendere meglio il dono ricevuto e di mettere a

frutto la grazia che esso contiene. Vale anche per te il motto della beata

Madre Speranza: «Tutto per amore». L’amore ha modellato la tua persona,

ti ha dato la forza necessaria per l’esercizio del ministero che si è espresso

come contemplazione, disponibilità al dono della vita, attenzione a discer-

nere i segni grandi e impercettibili di ogni gesto d’amore di Dio. Contempla-

zione, dono di sé e discernimento sono le parole chiave della tua esistenza

sacerdotale.

* Omelia nella Messa del XXV di ordinazione sacerdotale di don Paolo Congedi, Parrocchia

SS. Apostoli Pietro e Paolo, 7 gennaio 2015. 1 Pietro Crisologo, Disc. 147.

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L’amore è contemplazione dello splendore della gloria

In te, l’amore si è innanzitutto espresso come attenzione dell’animo e

della mente a contemplare la bellezza del Padre riflessa sul volto di Cristo. Il

sacerdote è e deve essere una persona estatica. Egli deve continuamente

pregare per sé e per le persone a lui affidate con le parole della Colletta: «Lo

splendore della tua gloria illumini i nostri cuori». L’amore di Dio attrae verso

lo splendore della sua gloria, e lascia la persona in un’estasi fascinosa e

piena d’incanto.

Il rapimento d’amore non è un’alienazione da sé, ma un’apertura e uno

slancio verso l’amore che, girando e rigirando in se stesso in un movimento

di beatitudine infinita, «move il sole e le altre stelle»2. «Estasi – scrive von

Balthasar – non significa alienazione dell'essere finito da se stesso per

ritrovarsi nella sua autenticità oltre se stesso nell'infinito, ma significa

superamento della nostra estraneità davanti all'amore assoluto in cui l’io (o

anche il noi) finito, chiuso in se stesso, anzitutto e soprattutto vive, significa

essere attirati nella sfera della gloria tra il Padre e il Figlio quale è apparsa in

Gesù Cristo»3.

Compito primario del sacerdote è contemplare: “vedere il vero amore”,

fissare lo sguardo sulla gloriosa bellezza di Cristo, crocifisso e risorto, nel

quale si riflette tutta la gloria del Padre. A tal proposito, il documento

conciliare Presbyterorum ordinis afferma: «Il fine cui tendono i presbiteri con

il loro ministero e la loro vita è la gloria di Dio Padre in Cristo» (n. 2).

L’amore consente l’admirabile commercium

La contemplazione della gloria genera lo scambio d’amore. Tutto è dono,

benedizione e grazia. Nulla ci appartiene. Tutto proviene dall’alto, dall’infini-

ta benevolenza e gratuità di Dio (gratia gratis data). La grazia ci è donata per

riverberare nel tempo la sua magnanimità e la sua generosa munificenza. Il

dono genera dono. E tutto si moltiplica con ineffabile prodigalità, divina e

umana (gratia gratum facere). Siamo presi nel vortice di un amore che

nobilita il cuore e moltiplica la gioia.

2 Dante, Paradiso, XXXIII, 145.

3 H. U. von Balthasar, Gloria, VII, p. 349.

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Nella preghiera sulle Offerte abbiamo invocato il Signore con queste

parole: «Accogli, Signore, i nostri doni in questo misterioso incontro tra la

nostra povertà e la tua grandezza: noi ti offriamo le cose che ci hai dato, tu

donaci in cambio te stesso». Questa preghiera invita all’umiltà e alla trasfi-

gurazione della nostra persona; all’umiltà perché richiama la consapevolezza

della sproporzione tra il dono che offriamo al Signore e quello che riceviamo

da lui; alla trasfigurazione perché con l’aiuto della infinita grazia di Dio

possiamo rendere più bella la nostra povera umanità.

L’amore abilita al discernimento degli spiriti

Lo scambio d’amore abilita a compiere il discernimento degli spiriti

(diakriseis pneumaton 1Gv 4,1; 1Ts 5,19-22). Nella letteratura patristica

questo tema non cessa di occupare un posto di primo piano, da Origene a

sant’Antonio, da Evagrio a Cassiano fino a Diadoco di Foticea. In tempi più

recenti, la tradizione continua con Teofane il Recluso che interpreta le

regole di Lorenzo Scupoli e, soprattutto, con sant’Ignazio di Loyola.

Il discernimento è opera dello Spirito Santo. Secondo Diadoco di Foticea,

lo Spirito è la «lampada» di questa scienza spirituale (cfr. 1Cor 12,8-11).

L’unzione dello Spirito (cfr. 1Gv 2,20.27) dona uno stato di luce, un “senso”

speciale che, con la pratica dei comandamenti, soprattutto del comanda-

mento dell’amore (cfr. 1Gv 2,3; Fil 1,9), rende capaci di riconoscere il cattivo

pensiero «dal cattivo odore caratteristico dei demoni».

Oltre che essere un carisma, il discernimento è anche un’arte frutto di

lunga osservazione: «Dopo una lunga osservazione – sottolinea Evagrio –

abbiamo riconosciuto questa differenza tra i pensieri angelici, i pensieri

umani e quelli che vengono dai demoni».

La regola d’oro del discernimento è enunciata da sant’Antonio con

queste parole: le buone aspirazioni fanno nascere «una gioia inesprimibile, il

buon umore, il coraggio, il rinnovamento interiore, la fermezza dei pensieri,

la forza e l’amore per Dio»; le altre, invece, portano con sé «paura

dell’anima, turbamento e disordine dei pensieri, tristezza, odio contro gli

asceti, acedia, afflizione, ricordo dei parenti, timore della morte e infine

desideri cattivi, pusillanimità per la virtù e disordine dei costumi». Più tardi

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questa regola è stata semplificata in un assioma: Quidquid inquietat est a

diabolo.

Evagrio parla di «stato pacifico» e di «stato turbato». Il demonio è un

ingannatore e può insinuarsi e confondere lo spirito impedendo alla persona

di distinguere la «consolazione» dalla «desolazione». Vi è, però, un regola

per il retto discernimento degli spiriti che Diadoco di Foticea esprime con

queste parole: «Quando il nostro intelletto incomincia a sentire la consola-

zione dello Spirito Santo allora anche Satana consola l’anima con un senti-

mento di finta dolcezza, nel riposo della notte, quando si soccombe all’in-

fluenza di un sonno leggerissimo». In altri termini, si riconosce lo spirito

maligno che prende la forma di un angelo di luce (cfr. 2Cor 11,14) dal-

l’effetto che produce sull'immagine di Dio nell'anima. Questo è il criterio

decisivo del discernimento fra «stato pacifico» e «stato turbato».

Il discernimento degli spiriti è un ministero essenziale per la vita della

Chiesa perché attraverso di esso la persona impara a riconoscere la verità

dall'errore, la buona fede dalla malafede, la trasparenza dall'inganno. Per

l’assolvimento di questo compito occorrono alcune condizioni. La grazia del

discernimento – ammonisce sant’Ignazio di Loyola – «cresce e si esercita con

lo sforzo umano e specialmente con la prudenza e la dottrina»4.

Caro don Paolo, in questi venticinque anni di sacerdozio, ti sei dedicato a

questa missione così delicata profondendo molte delle tue energie spirituali

per accompagnare nel discernimento vocazionale giovani seminaristi,

persone consacrate e numerosi laici. Hai fatto tua l’esortazione di Giovanni

Paolo II che, in Pastores dabo vobis, ricorda ai sacerdoti l’importanza di

questo ministero: «Voi siete i ministri dell’Eucaristia, i dispensatori della

misericordia divina nel sacramento della penitenza, i consolatori delle

anime, le guide dei fedeli tutti nelle tempestose difficoltà della vita»5. […]

Per questo è necessario che i sacerdoti siano «i primi a dedicare tempo ed

energie a quest’opera di educazione e di aiuto spirituale personale: non si

pentiranno mai di aver trascurato o messo in secondo piano tante altre cose

4 Ignazio di Loyola, Lettera a san Francesco Borgia, datata 1549.

5 Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 4.

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pure belle e utili, se questo era inevitabile per mantenere fede al loro

ministero di collaboratori dello Spirito nell’illuminazione e nella guida dei

chiamati»6.

Rendi lode al Signore per quanto ha operato nella tua vita e non stancarti

di continuare in questa nobile impresa spirituale. La grazia, come il fiume

che esce direttamente dal trono di Dio e dell’Agnello e attraversa la piazza e

la via principale, è una sorgente d’acqua viva che scorre in modo sotterra-

neo e nascosto. Lungo falde che si celano alla vista, cresce l’albero della vita

che dà dodici raccolti e le cui foglie hanno virtù medicinali (cfr. Ez 47; Gv

7,37-38; Ap 22,17). Questa intensa immagine apocalittica simboleggia l’ab-

bondanza dei frutti della grazia alla quale i credenti attingono per attingere

la vita divina e ridarle vigore, freschezza e fecondità.

Caro don Paolo, in questi anni sei diventato uno strumento privilegiato di

quest’opera della grazia. Continua con gioia a esercitare questo specifico

ministero senza preoccuparti di vedere i risultati nell’immediato. Sai bene

che i frutti spirituali più belli sono i più nascosti e fioriscono secondo i tempi

di Dio. Noi ti accompagniamo con la nostra fraterna e affettuosa preghiera.

6 Ivi, 40.

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EDUCARE PER CAMBIARE LA SOCIETÀ*

Cari sacerdoti e fedeli,

illustrissimi sindaci e autorità civili e militari,

nel nostro tempo si avverte un diffuso bisogno di rinnovamento civile e

sociale. In tale situazione, si impongono con urgenza alcune domande

fondamentali: È possibile cambiare la nostra società? E con quali mezzi?

Talvolta si pensa che siano le rivoluzioni a cambiare il corso della storia.

Apparentemente questo sembra vero. Tuttavia, se si riflette più attenta-

mente ci si rende conto che solo attraverso un processo educativo, ossia un

profondo cambiamento interiore, possono realizzarsi profonde e durature

trasformazioni sociali. «L’educazione può cambiare la storia», era la convin-

zione che ha accompagnato san Giovanni Bosco nella sua opera educativa. A

suo giudizio, la formazione di «buoni cristiani e onesti cittadini» era la

premessa del cambiamento sociale. L’educazione, infatti, oltre che essere un

impegno di auto-educazione è anche un processo che coinvolge una serie di

soggetti: gli educatori, la famiglia, la società. Ciò significa che l’azione

educativa si realizza non solo attraverso le relazioni interpersonali, ma anche

attraverso l’ambiente nel quale si vive. Vi è come un circolo virtuoso tra

persona e società. Questa crea le condizioni essenziali perché si metta in

atto il processo educativo; il rinnovamento personale, a sua volta, con-

tribuisce al cambiamento sociale. In altri termini, educare vuol dire aiutare

ad entrare in “un’atmosfera di valori condivisi” per respirare insieme grandi

ideali.

1. Educare, oggi, è una risorsa o un problema?

L’attuale “crisi educativa” dipende anche dalla scissione tra persona e

società. La persona è pensata solo come individuo, e la società stenta a darsi

regole comuni. Tuttavia, nemmeno in questo contesto sfavorevole si deve

* Omelia nella Messa di San Vincenzo, Cattedrale, Ugento, 22 gennaio 2015.

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ritenere impossibile l’atto educativo1. Occorre, infatti, declinare la parola

“crisi” e chiedersi se la difficoltà nasca solo dall’invadenza di una cultura

effimera ed individualistica o se siamo davanti a una nuova sensibilità che

bisogna saper interpretare e orientare. A ben vedere, alcune caratteristiche

tipiche della nostra cultura mettono in luce gli aspetti problematici, ma

anche le recondite aspirazioni: il desiderio di autodeterminazione mette in

evidenza il valore inalienabile della libertà; l’accentuata tendenza all’indivi-

dualismo richiama il desiderio della relazione interpersonale e l’anelito alla

fraternità; la conclamata teoria del gender pone all’attenzione il tema

dell’identità personale.

Si tratta di aspetti ambivalenti. Da una parte, essi sottolineano il fatto

che educare è un diritto inalienabile di ogni persona il cui valore è

apprezzato appieno solo quando è negato o seriamente compromesso;

dall’altra, invitano a domandarsi quale educazione sia oggi necessaria per

formare cittadini liberi, pienamente consapevoli, capaci di futuro, disponibili

a cambiare il mondo mettendo in gioco se stessi.

Bisogna, perciò, pensare l’educazione come una generazione. Educare è

come lo sbocciare di germoglio: un atto vitale, un dono di vita2. «La vita

– soleva dire Romano Guardini – viene destata e accesa solo dalla vita»3.

Educare, pertanto, non è solo trasmissione di valori, di tradizioni, di costumi,

ma è un “atto di fede” nella capacità dell’uomo di generare vita e di

accompagnare il suo sviluppo dentro un ambiente di vita. Ogni uomo è

chiamato a dare un senso alla propria vita alla luce dei valori che orientano

la libertà, la creatività, la responsabilità. Non è “hard disk”, ma un essere

vivente; non è un sacco da riempire, ma una libertà da sviluppare e

orientare. Educare non è solo informare e trasmettere un insieme di nozioni,

di regole, di norme e di principi quasi fossero “notizie da conoscere”. La

1 Cfr. D. Demetrio, L’educazione non è finita. Idee per difenderla, Raffaello Cortina, Milano

2009. 2 Cfr. V. Angiuli, Educare a una forma di vita meravigliosa, in “Bollettino Diocesano S. Ma-

ria de Finibus Terrae” 77, 2014, pp. 81-178. 3 R. Guardini, Persona e libertà. Saggi di fondazione della teoria pedagogica, La Scuola, Bre-

scia 1987, pp. 222.

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parola stessa “educazione” viene dal latino “e-ducere” e significa letteral-

mente “condurre fuori”, liberare dai ceppi e dalle catene, far venire alla luce

qualcosa che è nascosto. Per educare occorre “tirare fuori”, più che “mette-

re dentro”.

Educare significa anche aiutare a crescere promuovendo lo sviluppo

integrale della persona. Il Vangelo di Luca riferisce due volte che Gesù

cresceva. La prima volta, l’evangelista utilizza il verbo auxanō (cfr. Lc 2,40)

per indicare la crescita naturale; la seconda volta, adopera il verbo

progredire (prokoptō) per indicare la crescita interiore (sophia) ed esteriore

(hēlikia), davanti a Dio e davanti agli uomini (cfr. Lc 2,52). La crescita

richiama l’essenza stessa della vita, il suo essere soggetta al mutamento, alla

trasformazione, alla maturazione attraverso le diverse tappe dell’esistenza.

Da una parte, essa richiama i ritmi della natura, con le stagioni della semina

e dello sviluppo, della maturazione e del raccolto, dall’altra, manifesta

l’inevitabile scorrere del tempo che se ne va e non ritorna. Questa dialettica

mette in luce la natura dell’uomo come essere-in-relazione. La crescita del-

l’uomo deriva dalla pienezza delle sue relazioni.

Educare vuol dire, dunque, promuovere un “umanesimo integrale”

(J. Maritain), un delicato processo di cambiamento che deve abilitare a

concepire la responsabilità come cura del mondo; a promuovere la frater-

nità come condivisione e reciproco riconoscimento; a valorizzare il bene

comune (cum-munus) come base della vita sociale; a mantenere il dovuto

rispetto per il limite e il finito; ad adoperarsi per costruire un futuro alle

nuove generazioni; a salvaguardare l’ecosistema del pianeta. Sviluppo

integrale della persona vuol dire liberarsi da ogni forma di fanatismo, di

egoismo e di strumentalizzazione; estinguere ogni focolaio di discrimi-

nazione e di emarginazione; superare la logica della violenza; insegnare

un’idea dinamica di pace; intessere relazioni improntate al rispetto e alla

gratuità.

Educare, inoltre, esprime un atto di fiducia nella persona. Il “metodo

preventivo” di Don Bosco consisteva nel dare fiducia, nel credere alle forze

di bene presenti nella persona e nell’adoperarsi per far crescere e maturare

le attitudini positive presenti in ogni giovane.

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Educare, infine, vuol dire additare alle nuove generazione la promessa di

un futuro. Parlare di educazione, infatti, rimanda ad un progetto sulle

generazioni future e implica una profonda assunzione di responsabilità: gli

educatori sono chiamati a una profonda autoeducazione, a una revisione

costante del loro operato per continuare a liberare se stessi dal confor-

mismo, in una opera incessante di decostruzione e ricostruzione.

2. Educare nel Capo di Leuca

Tenendo presente questa complessa idea di educazione come premessa

del cambiamento sociale, diventa inevitabile porsi la domanda su cosa voglia

dire educare nel contesto del Capo di Leuca. Certo, la globalizzazione ha

accorciato le distanze e ha reso “quasi simili” i contesti umani. Ma proprio

per questa omologazione, occorre non perdere le “proprie radici” e man-

tenere l’aggancio al proprio ambiente di vita e alle proprie tradizioni. In altri

termini, occorre essere, insieme, nuovi e antichi. Questo sarà possibile se

guarderemo al Capo di Leuca con amore e verità.

A mio parere vi sono tre nodi del Sud Salento che occorre sciogliere se si

vuole promuovere un processo educativo e trasformativo della nostra

società: il primo si riferisce al rapporto tra mobilità e stabilità; il secondo

riguarda l’armonica convergenza tra ciò che è particolare e ciò che

appartiene al bene comune; il terzo concerne la relazione tra divertimento e

cultura.

Il primo nodo (la relazione tra la mobilità e la stabilità) si riferisce al fatto

che il Capo di Leuca si caratterizza, da una parte, per la sua innata vocazione

all’accoglienza e, dall’altra, per il suo perdurante stato di migrazione. Il Sud

Salento è un miscuglio tra l’essere “terra stanziale” e il rimanere, nono-

stante tutto, “terra di passaggio”. Il territorio salentino è quasi un Giano

bifronte e una moneta a due facce dove si intrecciano ospitalità e

transumanza, turismo ed emigrazione: c’è chi va e chi viene; chi si ferma e

chi parte o riparte; chi cerca un luogo per riposare e chi fugge da una terra

povera di opportunità lavorative. Questa mescolanza territoriale e culturale

del Capo di Leuca costituisce il suo punto debole, ma può anche diventare la

sua ricchezza e il volano del suo sviluppo. Può, cioè, aiutare la nostra società

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ad essere “mediterranea” e, nello stesso tempo, a sentirsi “europea”; può

spingere a trarre motivi di crescita tenendo insieme gli stimoli all’inno-

vazione che vengono dal Nord senza disperdere la specifica sensibilità del

Sud; può indurre ad amalgamare sapientemente elementi differenti in

un’idea più ampia capace di superare i particolarismi asfittici ed inconclu-

denti senza perdere la propria originale visione della vita.

Il secondo nodo riguarda lo stretto rapporto tra l’amore per il particolare

e il primato del bene comune. Anche il Capo di Leuca è attraversato dalla

moderna “cultura del frammento”. Essa si oppone e contrasta con quella

“cultura dell’insieme” che è il substrato più profondo sedimentato nella

storia e nel cuore della gente salentina. A una “società a coriandoli”, come è

quella contemporanea, il Capo di Leuca può offrire il modello di una “società

integrata”, una società che è capace di attingere risorse differenti dalle

molteplici radici di cui è composta (greche, latine, arabe, orientali e

occidentali, ortodosse e cattoliche) creando un impasto fecondo tra le

diverse tradizioni e diventando luogo di incontro culturale e religioso.

Per costruire questa “superiore unità” occorre vincere ogni forma di

accentuato particolarismo. A mo’ di esempio, si potrebbe dire che bisogne-

rebbe promuovere un processo inverso a quello che si è generato quando si

sono “spezzettati” i grandi latifondi terrieri in piccoli appezzamenti di terra.

La resistenza a riconoscere il primato del bene comune produce la

frammentazione tra le persone e comunità e la dispersione delle energie e

delle risorse. In non pochi casi, provoca anche un danno ai soggetti più

fragili. «Ciò ripropone il problema fondamentale della tradizione e del

patrimonio di valori che, come notava Aristotele, è l’elemento capace di

dare forza e coesione a una comunità, specie nel momento della prova.

L’abbondanza di risorse tecnologiche a disposizione non può compensare la

scomparsa o la disattesa cura di questo patrimonio»4.

Dimenticando il primato del bene comune si generano alcuni effetti

negativi. Il primo riguarda la difficoltà e, talvolta, la non-volontà a lavorare

“in rete” preoccupati di conservare gelosamente la personale influenza sul

4 Ivi, p. 108.

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proprio “hortus conclusus” evitando accuratamente di affrontare la difficile

e scomoda ricerca di convergenza con gli altri soggetti. Un secondo effetto

negativo si manifesta nell’insorgere e, talvolta, nel consolidarsi del “clericali-

smo” in ambito ecclesiale e del “clientelismo” in ambito civile. Si ottiene così

un duplice risultato: il persistente ostacolo a vivere la comunione ecclesiale

e una certa tendenza all’estenuante disputa in campo sociale e civile. In tal

modo, anche quando si ottengono buoni risultati sul piano personale o si

raggiungono gli obiettivi prefissati nella propria comunità ecclesiale o nel

settore della propria attività, ciò non costituisce necessariamente un bene

per tutto il territorio, ma solo un accrescimento personale e di gruppo.

Senza una visione di insieme, ampiamente condivisa e perseguita, non

accade nessun cambiamento sociale, perché i soggetti agiscono per con-

trasto e le perduranti contese sono una prova di forza che svilisce e

depotenzia le migliori energie della società.

Occorre un cambiamento di mentalità. Non ci si può mettere insieme

solo per ricavare vantaggi per la propria persona, per il proprio nucleo

familiare o parentale, per il proprio paese e il proprio comune. Questa

“unità” interessata al raggiungimento di un risultato utile e immediato non

sarà mai la vera forza propulsiva dello sviluppo e del cambiamento sociale.

Aggiungerà, forse, un altro tassello al mosaico, ma il disegno complessivo

rimarrà incompiuto. Un vero accompagnamento educativo deve privilegiare

il perseguimento del bene comune, di ciò che appartiene a tutti ed è a

vantaggio di tutti.

Il terzo nodo si riferisce al rapporto tra divertimento e cultura. Il Capo di

Leuca è una terra da valorizzare non solo come “luogo di divertimento”, ma

anche come fucina del “pensiero meridiano”5. In questa direzione, è utile

confrontarsi con la provocatoria analisi della giornalista Manuela Mimosa

Ravasio. In un articolo sul Salento, ella ha scritto: «E così oggi, è il Salento, la

terra effeminata votata al divertimento, quella delle spiagge con i nomi

maldivani, quella dove ci si prende poco sul serio e si traccheggia. Ma qui,

siamo, è bene ricordarlo, nelle stesse terre in cui i monaci basiliani

5 Cfr. F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Bari 2007.

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riuscirono a diffondere il rito religioso greco che sopravvive nella lingua grika

[…]. E qui siamo, soprattutto, in de Finibus Terrae, dove la terra finisce.

Santa Maria di Leuca e Capo d’Otranto sono i punti estremi della penisola

[…]. Giunti all’epilogo, la Puglia si rivela per quello che è: un lembo di creato

stretto tra due mari e schiacciato da quel sentimento di spensierata

rassegnazione, che spesso coglie chi ha sempre vissuto di fronte al mare

sconfinato e per questo foriero di universali incertezze, ma che, a ben

guardare, è anche il primo presupposto per vivere bene […]. Gli inglesi, che

tra i borghi gioiello come Specchia, Muro Leccese, Tiggiano e Galatina, si

sono piazzati comprando case e riempiendo le terrazze di poderose

bougainville, lo chiamano lo state of mind del Salento. Per questa raffinata

rilassatezza, molti di loro hanno preferito il Tacco alla Toscana […]. Chi ha

passato almeno qualche giorno da queste parti sa che la luce abbacinante

riflessa dal biancore delle pietre, il vento che a volte confonde e il tricolore

composto dal blu del mare, dall’oro dei campi e dal verde argenteo degli

ulivi, sono più forti di qualsiasi sentimento o disposizione mentale. E alla

fine, l’unica cosa che resta da fare è scegliere se osservare il tramonto

cadere sulla campagna o sul mare. L’unica»6.

Rispondendo a queste considerazioni, qualcuno ha fatto giustamente

valere alcuni aspetti trascurati dall’articolo della giornalista. Il Salento, infat-

ti, non è solo una ”terra da cartolina”, ma «è anche terra di lavoro, di

produzione, di iniziative imprenditoriali e commerciali, agricole e di servizi»7.

Non si possono non condividere queste giuste precisazioni. Il vero guadagno,

però, consiste nel tenere insieme la dimensione del divertimento con l’atti-

tudine a pensare, ossia nel privilegiare l’otium rispetto al divertissement.

A questo proposito vale la pena di ricordare che, all’inizio della mo-

dernità, Blaise Pascal ha fortemente criticato il divertissement, inteso nel

senso originale di deviazione, distrazione, allontanamento da se stessi (dal

latino devertere, cioè deviare, allontanarsi). Un tale divertimento non indica

6 M. Mimosa Ravasio, Arte e religione si incontrano nel Tacco d’Italia, in “Sette” settimanale

del “Corriere della Sera”, n. 21, venerdì 23 maggio 2014, ripreso da “Presenza taurisanese”, XXXII, n. 265, giugno-luglio 2014, p. 13. 7 Ivi.

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più la festa e il gioco, ma ogni azione e attività che conduce l’uomo

“lontano” dalla propria interiorità. L’uomo che si “distrae”, secondo Pascal,

si disperde in infinite attività che lo illudono, ma non gli danno vera felicità.

E ciò costituisce la peggiore e la più lancinante piaga del mondo moderno8.

Al contrario, ciò di cui l’uomo ha bisogno è vivere l’otium, inteso nel

senso classico di tempo da dedicare alla meditazione, allo sviluppo delle

relazioni interpersonali, alla cura della mente e dello spirito. Nel suo

romanzo, La lentezza, Milan Kundera cita un bel proverbio ceco: «Gli oziosi

contemplano le finestre del buon Dio» E aggiunge: «Nel nostro mondo l’ozio

è diventato inattività, che è tutt’altra cosa: chi è inattivo è frustrato, si

annoia, è costantemente alla ricerca del movimento che gli manca». L’ozio,

invece, è la sapienza della lentezza, il «conoscere a meraviglia la tecnica del

rallentando». Esso si oppone alla velocità, che è «la forma di estasi che la

rivoluzione tecnologica ha regalato all’uomo»9.

Jacques Le Goff, in un suo saggio sul Medioevo, spiega che dal tempo

della Chiesa, segnato dal rintocco delle campane, si è giunti, nella mo-

dernità, al tempo del mercante: il tempo scandito dal commercio, dagli

affari; uno spazio temporale che divide la promessa di pagamento dal saldo.

Dal tempo di Dio, libero e liberante, si è passati al tempo dell’uomo,

dinamico e produttivo10. La postmodernità fluida ci consegna solo questo

tempo. E, per giunta, in modo fluido e mutevole11. Oggi, non siamo più

capaci di oziare. Anche il cosiddetto “tempo libero” è diventato un tempo

finalizzato a qualcosa. Caratterizzandosi come fenomeno e consumo di

massa, il divertimento è diventato un vero e proprio business in costante

crescita fino a configurarsi come una colossale industria dell’entertainment

capace di promettere felicità, benessere e svago.

8 «L’unica cosa che ci consola dalle nostre miserie è il divertimento, e intanto questa è la

maggiore tra le nostre miserie» (Blaise Pascal, Pensieri, 171). 9 Le citazioni sono in M. Kundera, La lentezza, Adelphi, Milano 1995.

10 Cfr. J. Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante. Saggi sul lavoro e la cultura nel

Medioevo, Einaudi, Torino 1977. 11

Cfr. Z. Bauman, Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2008.

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Dell’antico piacere dell’ozio umanistico, nel nostro tempo, non è rimasto

quasi nulla. Il nostro è un mondo in fuga e l’uomo è in continuo movimento

senza, però, sapere dove andare12. La “lentezza” gli fa avvertire il senso del

nulla. In realtà, essa è la medicina ai mali moderni. A un mondo dove

domina solo la velocità e la funzionalità delle cose, l’otium insegna la

bellezza del passo lento e della gratuità. In tal modo, il tempo della vita si

distende e diventa l’ambito più propizio per la ricerca della verità. Abbiamo

tutti bisogno di un nuovo Marcel Proust che ci guidi Alla ricerca del tempo

perduto.

Insegnare la dolce e raffinata bellezza dell’otium non è forse la vocazione

specifica del Capo di Leuca? In un mondo che avverte sempre di più la

necessità di educatori che sappiano aiutare a pensare, a non disperdere se

stessi, ad arricchire la propria interiorità non dovremmo essere noi, gente

del Salento, a raccogliere questo desiderio e ad assecondarlo? Noi, in quan-

to singoli, ma anche in quanto istituzioni civili ed ecclesiali, non dovremmo,

con instancabile pazienza educativa13, nutrire la segreta aspirazione di venire

incontro a questo desiderio dell’uomo aiutando tutti coloro che sostano nel

nostro territorio a non disperdere i propri ideali e valori e a coltivare con

l’amorevole cura la propria anima?

Le domande si accavallano e pongono interrogativi ineludibili. Il tempo è

propizio per dare un nuovo orientamento alla nostra azione. Sintonizziamo i

nostri progetti e gettiamo nella terra semi di speranza. Lavoriamo insieme

alla loro crescita e attendiamo, con pazienza, i copiosi frutti che, a tempo

debito, spunteranno e abbelliranno ulteriormente il territorio e la società

del Capo di Leuca.

12

Cfr. A. Giddens, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna, 2000. 13

Cfr. G. Zavalloni, La pedagogia della lumaca. Per una scuola lenta e nonviolenta, Emi - Editrice Missionaria Italiana, Bologna 2012.

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CANTARE AMANTIS EST*

La liturgia è epifania del mistero. La partecipazione al rito liturgico si

esprime anche attraverso la melodia e il canto. Quanti sono toccati nel

profondo dell’animo ascoltando la musica sacra e avvertono una forte

attrazione verso Dio per la bellezza del canto e la soavità della musica!

Esperienze luminose attestano la verità di questa affermazione. Santa

Teresa di Lisieux, nella sua autobiografia, racconta un evento che l’ha

profondamente scossa: «Una sera d’inverno – ella scrive – stavo facendo,

come di solito, il mio dolce compito per la sorella Saint Pierre. […]

Improvvisamente ascoltai di lontano il suono armonioso di uno strumento

musicale […] Non posso dire quello che accadde nel mio animo. La sola cosa

che so è che il Signore illuminò la mia anima».

Celebre è anche la confessione della propria conversione fatta da Paul

Claudel dopo aver ascoltato il canto del Magnificat durante i Vespri di Natale

nella Cattedrale di Notre-Dame a Parigi. «In quel momento – egli annota con

gioia – capitò l’evento che domina tutta la mia vita. In un istante il mio cuore

fu toccato e io credetti. Credetti con una forza di adesione così grande, con

un tale innalzamento di tutto il mio essere, con una convinzione così

potente, in una certezza che non lasciava posto a nessuna specie di dubbio

che, dopo di allora, nessun ragionamento, nessuna circostanza della mia vita

agitata hanno potuto scuotere la mia fede né toccarla».

Un’analoga commozione provò sant’Agostino all’udire i canti della Chiesa

di Milano riunita in preghiera. Così egli racconta la sua esperienza: «Quanto

ho pianto di profonda commozione al sentire risuonare nella tua Chiesa il

sereno modulare dei tuoi inni e cantici! Quelle voci che scendevano alle mie

orecchie favorivano il fluire della verità nel mio animo, infuocandolo di

* Presentazione a L. Salerno, Canti per la liturgia, Grafierre, Taurisano gennaio 2015, pp.

3-7.

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devozione mentre le lacrime scorrevano: e io ne sentivo un gran be-

nessere»1.

Con gli altri Padri della Chiesa, sant’Agostino è consapevole dell’am-

bivalenza della musica e del suo potere di muovere gli affetti. Cosi egli

scrive: «Quando mi tornano alla mente le lacrime che Canti di chiesa mi

strapparono ai primordi nella mia fede riconquistata, e alla commozione che

ancor oggi suscita in me non il canto, ma le parole cantate, se cantate con

voce limpida e la modulazione più conveniente, riconosco di nuovo la

grande utilità di questa pratica. Così ondeggio fra il pericolo del piacere e la

constatazione dei suoi effetti salutari, e inclino piuttosto, pur non emetten-

do una sentenza irrevocabile, ad approvare l’uso del canto in chiesa, con

l’idea che lo spirito troppo debole assurga al sentimento della devozione

attraverso il diletto delle orecchie»2.

Egli conosce bene il potere attrattivo e seduttivo della melodia stru-

mentale e la forza performativa del canto; potere che diventa capacità di

diffondere le idee, formare il gusto, conquistare l’intelletto e la fantasia.

Queste qualità della musica provocano nel Vescovo di Ippona una profonda

riflessione intorno alla sua capacità non solo di evocare e manifestare la

trascendenza, ma anche di assumerne una dimensione unificatrice, forma-

trice e avvolgente dell’uomo. La parola si unisce all’elemento sonoro e la

melodia si riveste di senso. L’ineffabile si esprime attraverso l’esprimibilità

sonora e questa crea un’atmosfera festosa. In tal modo, l’espressione

musicale suscita nella persona che partecipa al rito liturgico una toccante

esperienza del mistero.

La musica contribuisce così a dare attuazione al fine ultimo dell’uomo:

lodare e rendere grazie al Signore. Lodare significa cantare la grandezza di

Colui che deve essere sommamente lodato e, insieme, attestare l’umana

debolezza che impedisce di contemplare in modo adeguato la trascen-

denza di Dio. Può cantare il canto nuovo solo chi appartiene al nuovo

1 Agostino, Confessioni, IX, 6.

2 Ivi, X, 33.

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regno di giustizia e di amore: «Homo novus, canticum novum, testamentum

novum»3.

La lode è il frutto dell’ammirazione, della sorpresa e della meraviglia di

fronte alla bellezza di Dio. Il suo splendore irradia la potenza del suo amore

e suscita la lode e il canto. «Cantare amantis est» (Discorso 336, 1). Cantare

è fonte ed espressione dell’amore. L’esperienza milanese porta sant’Ago-

stino a considerare l’arte musicale come un canto che fa vibrare la profon-

dità dell’animo umano e coinvolge tutta la persona a esternare il suo giubilo:

«Canta la voce, canta la vita, cantino le opere» (Esposizione sui salmi 148, 2).

La lode che si innalza al Signore nel tempo presente è sempre fondata

sulla speranza («in ipsa spe cantamus alleluia», Discorso 255, 5). Il canto che

si eleva al Signore durante il pellegrinaggio terreno prefigura la lode che si

canta in cielo mentre tiene desti i cuori dei viandanti, pellegrini verso la

Gerusalemme celeste. Da qui, il celebre aforisma agostiniano «canta e

cammina». Colui che canta sperimenta la vibrazione sonora che lo muove, la

fa risuonare in se stesso e si lascia spingere fino all’incontro e alla compren-

sione di ciò che sta cantando.

Il canto diviene così evento performativo: fa bene a colui che canta e a

colui che ascolta e apre entrambi alla percezione del mistero. In tal modo, se

ne avvantaggia la partecipazione attiva alla liturgia dell’intero popolo di Dio;

partecipazione che si realizza intervenendo nel rito con la parola e il canto,

ma anche con il silenzio e l’ascolto, con i sensi e lo spirito del mistero che si

celebra. La musica sacra possiede il senso della preghiera e conferisce

dignità e bellezza all’azione rituale.

La riforma conciliare si è ispirata a questi principi. Negli ultimi decenni,

però, sono sorti problemi e differenti prese di posizione. Per alcuni, la crisi

sarebbe stata causata dalla stessa riforma, per altri il disorientamento

sarebbe il frutto di una sua parziale e fuorviante interpretazione. A ben

vedere, le norme conciliari propongono indicazioni sapienti. L’Ordinamento

Generale del Messale Romano, rifacendosi alla dottrina agostiniana, al n. 39

recita testualmente: «I fedeli, che si radunano nell’attesa della venuta del

3 Id., Discorso 34, 1.

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loro Signore, sono esortati dall’apostolo a cantare insieme salmi, inni e

cantici spirituali (cfr. Col 3,16). Infatti il canto è segno della gioia del cuore

(cfr. At 2,46). Perciò dice molto bene sant’Agostino: “Il cantare è proprio di

chi ama”, e già dall’antichità si formò il detto: “Chi canta bene, prega due

volte”».

Una delle questioni più dibattute nel postconcilio riguarda il tema della

semplicità dell’azione liturgica. A tal proposito il Concilio afferma: «I riti

splendano per nobile semplicità; siano trasparenti per il fatto della loro

brevità e senza inutili ripetizioni; siano adattati alla capacità di compren-

sione dei fedeli nè abbiano bisogno, generalmente, di molte spiegazioni»4.

Bisogna, però, intendersi sul significato del termine “semplice”. Esso

viene dal latino sine plica (“senza piega”) e non ha il senso di disadorno,

elementare, accessibile, ma quello di qualcosa che presenta una perfetta

unità. Essere semplici è cosa difficile da raggiungere e richiede una grande

maestria. La musica dei grandi compositori sembra semplice non perché è

facile, ma perché è così vicina a un alto livello di perfezione da non

richiedere alcuna aggiunta. Equivocando il termine “semplice” con “banale”,

si intende dire fare le cose con faciloneria. In realtà, rendere il canto

accessibile a tutti, non implica un abbassamento qualitativo, ma una

modalità diversa di composizione e di realizzazione.

Un altro tema fortemente discusso è l’uso della lingua latina. Il Concilio

ha concesso maggiore possibilità alle lingue nazionali, ma ha anche disposto

che «l’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti

latini»5. Insomma, bisogna evitare l’alternativa tra chi considera la lingua

latina e il canto gregoriano solo un reperto del passato e chi pretende di

imporre moduli del passato in ogni caso e in ogni circostanza. Nell’esor-

tazione post-sinodale Sacramenctum caritatis, Papa Benedetto XVI ha

affermato: «Per meglio esprimere l’unità e l’universalità della Chiesa, vorrei

raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei Vescovi, in sintonia con le

direttive del Concilio Vaticano II: eccettuate le letture, l’omelia e la pre-

4 Sacrosanctum concilium, 34.

5 Ivi, 36, 1.

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ghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure

siano recitate in latino le preghiere più note della tradizione della Chiesa ed

eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo

che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a

comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi

latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli

stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino,

come anche a cantare certe parti in canto gregoriano della liturgia»6.

Fuorviante è anche l’alternativa fra il canto del popolo e quello del coro.

Talvolta si sostiene che il coro intralcia il canto del popolo. In realtà, ciò che

si deve evitare è che il canto sia di esclusivo appannaggio del coro. Il

Concilio, infatti, afferma: «Si conservi e si incrementi con grande cura il

patrimonio della musica sacra. Si promuovano con impegno le “scholae

cantorum” in specie presso le Chiese cattedrali. I vescovi e gli altri pastori

d’anime curino diligentemente che in ogni azione sacra celebrata con il

canto tutta l’assemblea dei fedeli possa partecipare attivamente» (Sacro-

sanctum Concilium, 114).

Un argomento tipico di molta cultura post-conciliare è il principio del

“ricorso alla novità”. Bello è solo ciò che è nuovo e attraente. Da qui,

l’apertura ad ogni “forma giovanilistica” dell’azione liturgica e la sua rappre-

sentazione come gioia di vivere. A tal proposito occorre ricordare che la vita

ha una sua complessità e che la musica nella liturgia è per la gloria di Dio e la

santificazione dei fedeli.

Il servizio musicale-liturgico non deve fare solo appello alla buona

volontà, ma richiede i necessari requisiti tecnici. Ben vengano dunque nelle

parrocchie gli “esperti”, persone che hanno studiato canto o strumento in

Conservatorio e i liturgisti, che offrono le rispettive competenze per animare

musicalmente le azioni liturgiche, rendere bella e ricca la celebrazione e

consentire una partecipazione consapevole e dignitosa. In altre parole, la

liturgia deve essere preparata anche sul piano musicale, scegliendo i canti

adatti alle domeniche ordinarie e alle solennità, pianificando e coordinando

6 Ivi, 62.

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gli interventi dei diversi animatori musicali (coro, solista, organista, salmista,

assemblea, altri strumentisti), predisponendo opportunamente con ciascuno

di essi le prove necessarie.

Scegliere e comporre i canti liturgici non è un compito semplice, da

affidare a chi non abbia le necessarie e specifiche competenze liturgiche e

musicali. Esse servono perché il canto e la musica nelle celebrazioni non

sono forme ancillari al rito, ma fanno parte del segno sacramentale e

concorrono a far risplendere il rito per la sua “nobile semplicità”.

A tal proposito, ritorna utile leggere il libro di mons. Antonio Parisi7,

scritto a cinquant’anni dal Vaticano I. In esso, mons. Parisi offre un utile

strumento per riflettere su alcuni temi che la riforma liturgica ha messo in

atto e indica qualche problema ancora irrisolto: la partecipazione del-

l’assemblea, il coro liturgico, gli strumenti e le forme musicali, il silenzio, la

solennità celebrativa, la formazione degli operatori pastorali, il repertorio

dei canti, l’uso del canto gregoriano, il cantore solista.

Alla categoria di esperti in campo musicale appartiene anche Don

Leonardo Salerno, sacerdote della diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca. Figlio

d’arte, egli ha affinato le sue doti musicali durante gli anni del seminario di

Molfetta. In seguito, ha conseguito il diploma in organo e composizione

organistica e in pianoforte presso il Conservatorio “Tito Schipa” di Lecce ed

ha fondato il coro di “Voci bianche” e la “Corale Taurisanese”, dando luogo

ad un’intensa attività concertistica in provincia, regione e all’estero.

La presente raccolta contiene alcune delle sue più significative creazioni

musicali: due Messe, brani per la celebrazione eucaristica, specialmente

quella domenicale, alcuni inni per la liturgia delle ore, per la Madonna e per

alcuni Santi. In queste composizioni si può ammirare l’aderenza allo spirito

del Concilio sia per la leggerezza e la semplicità dello sviluppo melodico, sia

per la fruibilità da parte del popolo di Dio. L’una e l’altra caratteristica non

sminuiscono la solennità dell’atto celebrativo, ma danno gioiosa sonorità

alla preghiera. In esse, si avverte la competenza del professionista unita al

7 Cfr. A. Parisi, La musica liturgica in Italia. Cinquant’anni di fatti, idee, speranze, Messag-

gero, Padova 2013.

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sapiente afflato del pastore che conosce le possibilità di intervento del

popolo. Ad esso, l’Autore affida la giusta misura del canto in un armonico

accompagnamento e sostegno del coro.

La prova della validità della proposta musicale di don Leonardo è data

dal fatto che i suoi canti fanno parte del repertorio a cui attingono le

comunità cristiane della Chiesa ugentina durante le celebrazioni liturgiche.

Scritte in diverse occasioni, le sue composizioni rappresentano un modello

di canto liturgico che sa coniugare semplicità e bellezza. A lui va il ringra-

ziamento di tutta la nostra Chiesa particolare, non solo per quello che egli ha

prodotto, ma anche per l’impegno profuso per molti anni a servizio dell’ani-

mazione musicale dell’intera comunità diocesana.

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SOLIDALI PER LA VITA*

«La costruzione di questo nuovo umanesimo è la vera sfida che ci

attende e parte dal sì alla vita». Sono le parole conclusive del messaggio dei

Vescovi italiani intitolato Solidali per la vita (1 febbraio 2015). Mentre la

Chiesa italiana si sta preparando a celebrare il V Convegno nazionale di

Firenze, queste parole del messaggio pongono a tema una delle questioni

fondamentali del nuovo umanesimo: il valore e il senso della vita. Non vi

sarà un nuovo umanesimo senza una profonda accoglienza del dono della

vita.

Essere solidali per la vita vuol dire esprimere amore e custodia per ogni

essere vivente esercitando quasi un sorta di arte maieutica per mettere in

evidenza la sua bellezza materiale e spirituale1. In tal senso occorre prendere

in considerazione i “luoghi ordinari” nei quali la vita umana manifesta il suo

valore, protegge il suo mistero e vigila sul suo futuro.

Il primo luogo è l’utero materno, ambiente che custodisce la meraviglia

dell’origine. Tutta la natura è stupenda. Ed è esaltante conoscerne i segreti.

La prima meraviglia da conoscere e da ammirare è la vita umana! Essa non

ha paragoni al mondo ed è il prodigio più grande dell’universo. L’organismo

umano si realizza da una scintilla microscopica, in solo nove mesi. La cellula-

uovo fecondata nel seno materno è una meraviglia di fronte alla quale ci

sarebbe da mettersi in ginocchio. Nelle “profondità” del corpo materno,

l’originalità di ogni uomo prende forma e giunge a noi con una grande storia

dietro di sé. Noi lavoriamo e lottiamo in proporzione e in intensità, per noi

stessi più in quei nove mesi che nel resto della nostra esistenza. L’inizio della

nostra storia è prodigioso. È l’alba della vita personale e l’estrema giovinezza

della vita umana!

* Omelia nella Messa per la giornata della vita, Basilica di Leuca, 1 febbraio 2015.

1 Cfr. Platone, Teeteto, 150b-151d.

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Il secondo luogo è la culla, segno di tenerezza e di custodia. Come il seno

materno, la culla accoglie e conforta il bambino, lo protegge e lo consola,

richiama sensazioni di comfort e calore e lascia emergere, nella sua funzione

simbolica, la prima essenza e le radici dell’individuo. La culla è il dondolio

della vita che si impara fin dai primi giorni dell’esistenza. Platone è convinto

che «per la salute del corpo e dell’anima di tutti i bambini sarebbe

vantaggioso trovarsi sempre in movimento, di notte come di giorno, come in

una specie di oscillazione; in definitiva sarebbe vantaggioso per lui vivere

come se navigasse sempre in mare; movimento ritmico che rassicura e

rasserena il bambino e lo concilia con il sonno».

Giovanni Pascoli, nella sua poesia Orfano, tratta dalla raccolta Myricae,

canta, nel suo stile crepuscolare, la dolce bellezza del rimanere nella culla:

Lenta la neve fiocca, fiocca, fiocca.

Senti: una zana (culla) dondola pian piano.

Un bimbo piange, il piccol dito in bocca,

canta una vecchia, il mento sulla mano,

la vecchia canta: “Intorno al tuo lettino

c’è rose e gigli, tutto un bel giardino:”

Nel bel giardino il bimbo s’addormenta.

La neve fiocca lenta, lenta, lenta…

In questi versi c’è tutto il mondo poetico pascoliano, al cui centro

troviamo il nido, la casa, la culla. Mentre all’esterno la neve indica una realtà

fredda e ostile, la culla rappresenta il nido protettivo della vita nascente; la

vecchia, al posto della mamma, richiama il dolore, la perdita, il mistero della

morte; la nenia che fa addormentare raccontando il giardino di rose e gigli

propone il valore consolatorio della poesia. Tra questi simboli, il più

importante è quello del nido. Pascoli abitualmente raffigura il nido irto di

spine all’esterno, ma accogliente all’interno. In questo microcosmo si sta

bene, ci si riposa. Il nido, già nella sua forma, allude alla duplice ripartizione

simbolica dello spazio: quella interna, protetta, sicura, calda, accogliente e

dove non si è soli; quella esterna insicura, minacciosa, aggressiva dove si è

soli.

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Nido e casa sono la sede della famiglia e, per eccellenza, dei piccoli e

quindi rinviano alla culla come simbolo dell’età infantile, a quello spazio

chiuso e protetto dai pericoli esterni. Nella culla, il bambino si addormenta

tranquillo, dimentica ogni insicurezza, anche se fuori c’è tempesta. La

costellazione simbolica nido-casa-culla evoca ed invoca quel tempo della

vita, beato e apparentemente spensierato, dove è assicurato il sostenta-

mento materiale e la consolazione dell’amore.

Il terzo luogo è il letto, simbolo di riposo, sofferenza e amore. Il letto

suggerisce innanzitutto la necessità del riposare, di non abbandonarsi alla

frenesia della vita, di fermarsi per contemplare e gustare il senso delle cose.

La vita non è solo movimento, ma è anche quiete, pace, distensione,

silenzio. Il poeta Vincenzo Cardarelli si fa interprete di questo insopprimibile

bisogno dell’uomo nella poesia i Gabbiani:

Non so dove i gabbiani abbiano il nido,

ove trovino pace.

Io son come loro,

in perpetuo volo.

La vita la sfioro

com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo.

E come forse anch’essi amo la quiete,

la gran quiete marina,

ma il mio destino è vivere

balenando in burrasca.

Il letto è anche simbolo della sofferenza fisica e spirituale della vita.

L’antico mito greco del letto di Procuste pone a tema il significato della

sofferenza a cui non si può sfuggire; sofferenza che oggi nasce dal racchiude-

re la complessità del reale entro la tirannide della simmetria. Incapaci di

vivere l’inatteso e di rompere le barriere del quotidiano, l’uomo contem-

poraneo si ritrova sempre più afflitto dalla smania di incasellare entro rigide

categorie anche i nostri atti più consueti e usuali. Per contrastare questo

stato di cose, è necessario mettere in atto un’etica della solidarietà, della

compassione e della consolazione. Del resto, il legame etico dell’individuo

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con la specie umana trova affermazione sin dal II secolo a. C. in un autore

latino, Terenzio, che ad uno dei personaggi de Il punitore di se stesso faceva

dire: «Sono umano, nulla di ciò che è umano mi è estraneo». Una nuova

coscienza del mondo partirà dall’imparare ad affrontare la sofferenza come

ciò che custodisce la novità e conferisce un nuovo significato alla vita.

Il letto, infine, richiama il tema dell’amore. Nell’Odissea, Penelope e

Ulisse hanno in comune il segreto del letto nuziale costruito da Ulisse sul

ceppo ben radicato in terra di un ulivo secolare. Il talamo nuziale è inamo-

vibile, piantato saldamente in terra e reso duraturo ed eterno. Nessuno sa

come stanno le cose, la disposizione del talamo è nota soltanto a loro due2.

Quando tutto è finalmente risolto, i due ritornano sul letto di ulivo. Hanno

raggiunto il giardino segreto dell’inizio e lì sono gli unici abitanti. Quel letto è

tutta la vita di Ulisse. La sua avventura gira attorno al ritorno alla casa, alla

sposa, all’amore. Il movente del viaggio, però, non è solo il desiderio di una

lunga notte d’amore. Nelle antiche tradizioni, il letto di nozze è anche letto

funebre. Questo letto di ulivo, però, non è equivalente a una pira funebre

che consuma. L’ulivo è la pianta sacra ad Atena, la dea salvatrice di Odisseo.

È lei a preparare il ritorno del naufrago, a presiedere alle nuove nozze, a

proteggere gli sposi distendendo su di loro una notte più lunga. Il viaggio di

Odisseo è coronato dall’incontro definitivo con la parte vitale della donna.

Quell’albero, quel letto di nozze, sta piantato saldamente nella terra, non si

può spostare, è legato alle potenze della terra senza che da esse possa

essere sradicato e tagliato via.

Il quarto luogo è la tomba. Essa custodisce le ceneri, ossia ciò che resta

dell’uomo. Come nell’immagine della caverna descritta nel famoso mito

platonico, la tomba rappresenta la regione dell’ombra, dell’oscurità, della

mancanza di luce, del nascondimento e dello smaltimento dei corpi. Anche

in questa estrema fragilità, essa contiene un significato positivo. Seguendo

quanto suggerisce Ugo Foscolo nei Sepolcri, la tomba rappresenta il luogo

della “corrispondenza di amorosi sensi”, il regno della memoria che perdura

nel tempo e può ancora consentire un dialogo con chi è passato. La tomba,

2 Omero, Odissea XXIII, 110.

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infatti, tiene vivo il ricordo della persona amata e offre la possibilità di

continuare a perpetuare nel tempo un silenzioso dialogo che può servire a

dare consolazione alla vita.

Per il cristiano la tomba è la “dimora provvisoria”, il tunnel che consente

il passaggio “all’altra riva”, il varco segreto verso la vita nuova ed eterna. Il

Santo Sepolcro è il simbolo più eloquente della radicale trasformazione della

morte in vita. Nell’inno X sulla Natività, S. Efrem canta insieme il grembo

della Vergine e il sepolcro di Cristo. Ambedue hanno il ruolo di concepire e

partorire: «Il grembo ti ha concepito, lui che era sigillato; lo sheol ti ha

partorito, lui che era suggellato. Fuori dall’ordine naturale il grembo concepì

e lo sheol ridiede. Sigillato era il sepolcro che custodiva il morto. Vergine era

il grembo, che nessun uomo aveva conosciuto». La tomba di Cristo annuncia

una nuova dimensione dell’esistenza: la vita eterna, la vita che vince ogni

fragilità e rimane vittoriosa per sempre. Quella tomba custodisce per tutti

una «speranza piena di immortalità» (Sap 3,4).

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DESIDERIO DESIDERARVI*

La giornata della vita consacrata cade nella festa della Candelora. La

‘festa delle luci’ (cfr. Lc 2,30-32) ebbe origine in Oriente con il nome di

‘Ipapante’ cioè festa dell’‘Incontro’. Maria e Giuseppe portarono Gesù al

tempio per presentarlo al Signore. Subito le braccia di un uomo e di una

donna se lo contesero. Gesù è accolto da un anziano e un’anziana, due

indomiti innamorati di Dio che hanno occhi velati dalla vecchiaia, ma ancora

accesi dal desiderio. Gesù appartiene a tutti gli uomini e le donne assetati di

Dio, a quelli che non smettono di attendere e sognare, come Simeone; a

quelli, come Anna, che sanno vedere oltre e si incantano davanti a un

bambino perché vedono in lui la realizzazione delle loro più profonde attese

e aspirazioni. Il desiderio, che richiama le stelle del cielo (de-sidera),

contiene «la dimensione della veglia e dell’attesa, dell’orizzonte aperto e

stellare»1.

Il racconto evangelico qualifica questa celebrazione come la festa

dell’incontro tra il desiderio dell’uomo e il desiderio di Dio. Un’eco profonda

lascia la frase di Gesù nel Vangelo di Luca: «Desiderio desideravi hoc pascha

manducare vobiscum» (Lc 22,15-20). La versione italiana traduce «ho desi-

derato ardentemente». La traduzione letterale è invece la seguente: «Ho

desiderato con desiderio di mangiare questa pasqua con voi» volendo così

manifestare un’intensificazione del desiderio che rivela l’intimità del cuore

di Cristo.

L’esortazione Vita consecrata ribadisce il fine della vita consacrata come

«configurazione al Signore Gesù», esplicitando l’obiettivo della formazione

come «progressiva assimilazione dei sentimenti di Cristo»2. La conforma-

zione a Cristo e ai suoi sentimenti passa necessariamente attraverso

* Omelia nella Messa della Presentazione di Gesù al Tempio, Giornata della vita con-

sacrata, Cattedrale, Ugento, 2 febbraio 2015. 1 M. Recalcati, Ritratti del desiderio, Raffaello Cortina Editore, Milano 2012, 17.

2 Giovanni Paolo II, Vita consecrata, 65-66.

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l’esperienza del desiderio, vissuto in pienezza, in tutte le sue sfumature. I

sentimenti e i desideri di Cristo devono essere il paradigma dei sentimenti e

dei desideri del cristiano3 e, a maggior ragione, del consacrato. È a Cristo,

uomo del desiderio, che bisogna far riferimento per riscoprire la forza e la

straordinaria valenza formativa di questa dimensione della vita umana. Lo

Spirito di Cristo conosce i desideri nascosti nel segreto del mistero di Dio.

«Lo Spirito, infatti, scruta ogni cosa, anche le profondità di Dio (1Cor 2,10). I

consacrati sono donne e uomini assetati di Dio, persone afferrate da uno

struggimento non sopito e coltivato fino a diventare inquietudine che

provoca e affascina, incoraggiando a cercare: «Ci hai fatti protesi verso di te,

e inquieto è il nostro cuore, finché non si acquieta in te»4.

Secondo la parole dell’apostolo Paolo, il discepolo di Cristo vive la sua

vita coltivando il desiderio di dimorare in lui: «Desiderium habens dissolvi et

esse cum Christo» (Fil 1,23). Per questo san Tommaso esorta: «Chiunque

vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo

disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò»5.

In una conferenza tenuta ai Superiori Maggiori (4 dicembre 2014), il dott.

Giuseppe De Rita, presidente del Censis, ha descritto la situazione attuale

con queste parole: «Una società che non ha aspettative si siede, rinuncia a

sperare ed è più pericolosa di un gruppo di famiglie che non arriva a fine

mese». Emerge così il profilo di una società statica «più preoccupante di una

depressione». La mancanza di aspettative determina una società con tutti i

vizi «perché antropologicamente difficile, piena di narcisismi, egoismi,

cinismo, che comunica a se stessa con selfie, twitter, facebook». Una società

del genere nasce per mancanza di desideri e per eccesso di benessere. «Non

si desiderano case, vestiti, figli; è diminuito anche il desiderio sessuale. Tutto

ciò ha origine da un cambiamento antropologico. Comunichiamo il nulla, tra

esaltazione dell’evento – che rende impossibile comprendere la società o

3 Cfr. A. Gentili, Sentire Cristo. I verbi del Verbo, Ancora, Milano 2010; Id., Sentire da cri-

stiani. La dimensione affettiva della fede, Ancora, Milano 2011. 4 Agostino, Confessioni, 1, 1.

5 Tommaso d’Aquino, Commento al Simbolo degli Apostoli, Edizioni Studio Domenicano,

Bologna 2012, p. 56.

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qualcosa di se stessi – ed egocentrismo di chi lo vive, massificante, evirante,

che brucia desideri, speranze, aspettative e genera disagio».

Già in precedenza, nel 44° Rapporto Censis (2010) egli aveva definito la

nostra come una società «senza più legge, né desiderio». In questo contesto

sociale e culturale, il consacrato è chiamato a dare la sua testimonianza

come persona infiammata dal desiderio di appartenere a Cristo e di portare

anche gli altri fratelli a lui.

Alla scuola del desiderio, i consacrati imparano la disciplina del silenzio e

la sottile arte dell’ascolto. «Il desiderio – scrive sant’Agostino – è il recesso

più intimo del cuore. Quanto più il desiderio dilata il nostro cuore, tanto più

diventiamo capaci di accogliere Dio. Ad accendere in noi il desiderio

contribuiscono la S. Scrittura, l’assemblea del popolo, la celebrazione dei

misteri, il canto delle lodi a Dio, la nostra stessa predicazione: tutto è

destinato a far dilatare sempre più questo desiderio»6

Solo chi desidera diventa a sua volta desiderabile e attraente, perché la

sua persona diventa trasparenza dell’infinito e attestazione di un amore che

vale la pena di cercare. Per questo sant’Agostino esorta: «Sia dinanzi a lui il

tuo desiderio ed il Padre, che vede nel segreto, lo esaudirà. Il tuo desiderio è

la tua preghiera, se continuo è il desiderio, continua è la preghiera. Il

desiderio è la preghiera interiore che non conosce interruzione. Il tuo

desiderio continuo sarà la tua voce. Tacerai se cesserai di amare… Il gelo

della carità è il silenzio del cuore; l’ardore della carità è il grido del cuore. Se

sempre permane la carità, tu sempre gridi; se sempre gridi, sempre

desideri… Se dentro al cuore c’è il desiderio, c’è anche il gemito; non sempre

giunge alle orecchie degli uomini, ma mai resta lontano dalle orecchie di

Dio»7.

6 Agostino, In Io. Ev. tr. 40, 10.

7 Id., Enarr. in Ps., 37,14.

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CERCARE E GIOIRE*

Caro Salvatore,

in questa liturgia eucaristica sarai ammesso tra i candidati agli Ordini

sacri, ossia tra coloro che cercano il Signore e gioiscono della sua presenza.

Durate il rito esprimerai la tua ferma volontà di seguire il Signore Gesù

«come uno schiavo che sospira l’ombra, come un salariato che aspetta la

sua paga» (Gb 1,2). Seguire vuol dire cercare continuamente il Signore e,

dopo averlo trovato, continuare a cercarlo ancora. «Tutti ti cercano!» è il

grido che gli apostoli rivolgono a Gesù. Ma egli li esorta ad andare altrove

(Mc 1,37-38). Non vuole ammiratori, ma imitatori. La sua vita sulla terra «dal

principio alla fine, fu indirizzata assolutamente ad avere solo imitatori e a

impedire gli ammiratori”1.

L’incontro con Cristo riempie il cuore di gioia. E questa, a sua volta,

diventa la spinta per continuare nuovamente a mettersi sulle sue tracce. A

tal proposito, sant’Agostino scrive: «Cerchiamolo per trovarlo, cerchiamolo

dopo averlo trovato. Perché lo cercassimo per trovarlo, è nascosto; perché,

dopo averlo trovato, di nuovo lo cerchiamo. Egli è immenso. Sazia chi,

cercandolo, diventa capace di coglierlo, e fa più capace chi trova»2.

La ricerca del discepolo

Caro Salvatore, questa sera ti inserisci nella grande schiera dei “cercatori

di Dio”, di coloro che per incontrare il Signore sono disposti a lasciare ogni

cosa e a mettersi in cammino, anzi a correre verso di lui (cfr. Fil 3,13). Per

sua natura, l’uomo è un cercatore. «Una vita senza ricerca non è degna per

l’uomo di essere vissuta»3. Il credente lo è in modo ancora più intenso. Il

* Omelia nella Messa per l’Ammissione ai candidati agli Ordini sacri di Salvatore Ciurlia,

Parrocchia “Trasfigurazione” Taurisano, 8 febbraio 2015. 1 S. Kierkegaard, Esercizio del cristianesimo, 810.

2 Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, 63, 1.

3 Platone, Apologia di Socrate, 38a.

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dinamismo della ricerca, infatti, non è estraneo alla fede, ma è piantato nel

momento sorgivo della sequela, appartenendo alla dimensione costitutiva

della sequela stessa.

La ricerca richiede innanzitutto la disponibilità a lasciare ciò che definisce

la propria identità (beni, relazioni familiari, progetti) per mettersi a dispo-

sizione di un compito più grande. Dio non si accontenta di qualcosa, vuole

tutto e al chiamato spalanca la distesa del deserto perché egli impari a

fidarsi solo di lui.

Quante cose, caro Salvatore, hai lasciato per iniziare il tuo cammino

vocazionale e quante dovrai ancora lasciare. In questi anni hai compreso che

il movimento di spogliazione di sé è lungo e faticoso, ma è l’unico modo per

incontrare il Signore e vivere con lui l’intimità nuziale.

La spogliazione di sé, però, è solo il presupposto della ricerca. Questa

richiede anche la sollecitudine a “protendersi in avanti”(epektasis), in un

movimento continuo che non ha mai termine e attende che il desiderio

venga esaudito dalla grazia divina. Il chiamato non solo non deve tornare

indietro, ma non deve nemmeno fermarsi. San Bernardo mette in guardia il

discepolo di Cristo con queste parole: «È necessario che tu o salga o scenda:

se stai fermo, rischi di precipitare»4.

Il Vangelo di Giovanni pone come paradigmi della ricerca i due discepoli

(cfr. Gv 1,35-42) e la Maddalena (cfr. Gv 20,11-18). Nel caso dei discepoli si

intrecciano due modelli di ricerca, uno preso dall’Antico Testamento e l’altro

dal giudaismo del tempo. Il primo modello si riferisce alla ricerca del Messia

il quale, quando arriva, rimane nascosto e per questo bisogna saperlo

riconoscere. Il secondo indica la ricerca della Sapienza.

La tua ricerca, caro Salvatore, deve essere animata dalla consapevolezza

che Cristo è il Signore della tua vita e che, in lui, potrai trovare la Sapienza,

ossia il vero senso della vita. Considera che in fondo è lui che viene incontro

a te, come la Sapienza va incontro a chi la cerca, sollecitando la ricerca

stessa e facendosi amabilmente trovare.

4 Bernardo di Chiaravalle, Epist. XCI, 3.

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La ricerca della Maria Maddalena, invece, si ispira a quella della sposa del

Cantico dei cantici (cfr. Ct 3,1 e 5,6). In questo caso, si sottolinea che la

sapienza vive di eros, di una passione che ha bisogno di una grande purifi-

cazione per diventare agape. La ricerca è il frutto di un affettivo e profondo

amore a Cristo Risorto, capace di rigenerarsi continuamente per il rinnovato

incontro con lui.

Tenendo conto di questi modelli, ti invito a cercare il Signore in modo

saggio e appassionato. In questi anni, hai imparato a riconoscere che solo

Cristo è la sapienza della vita. Lui è il vero approdo al tuo bisogno di felicità.

Nel 2011, in un incontro dei giovani della nostra Diocesi mi rivolgevi le

seguenti domande: «Spesso nelle nostre giornate non c’è tempo per

soffrire, non c’è tempo per aspettare e non c’è tempo per sperare. Come si

può imparare a non aver fretta? Come gustare la bellezza delle piccole cose

quotidiane?». In risposta a questi interrogativi, ti incoraggiai con le seguenti

parole: «Caro Salvatore, ama la vita, le cose che tocchi, le persone che

incontri, gli avvenimenti che accadono quotidianamente». Da allora, ti sei

esercitato in questo compito e il Signore si è fatto più vicino. Per l’amore

verso di lui hai deciso di intraprendere il cammino verso il sacerdozio. Ora, ti

invito a continuare a camminare sulla strada che hai iniziato a percorrere.

«Trovare Dio – scrive san Gregorio di Nissa – è cercarlo senza fine. Cercare e

trovare Dio non sono cose diverse, ma il guadagno della ricerca è la ricerca

stessa. Il desiderio di Dio nell’anima è appagato dal fatto stesso di restare

insaziabile, poiché vedere Dio è propriamente non essere mai sazi di

desiderarlo»5.

La gioia del discepolo

Se non ti stancherai di cercare, troverai il Signore e la sua presenza ti

colmerà di gioia. La religione cristiana è la religione della gioia. Essa nasce

dall’incontro con Cristo e per questo diventa «il barometro dell’anima. (...)

un indicatore, “una spia”, un segnale. Se manca, qualcosa non è a posto,

qualcosa non va» (G. Bernanos).

5 Gregorio di Nissa, Vita di Mosé, II, 239.

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Hai così, caro Salvatore, un chiaro indicatore per misurare la verità e la

solidità della tua ricerca e del tuo cammino vocazionale. Se il tuo cuore è in

festa, non vi è dubbio che sei sulla buona strada. Se, nonostante le inevitabili

difficoltà che incontrerai, il tuo cuore non smetterà di rallegrarsi al pensiero

di Cristo, allora vuol dire che la tua scelta non è fondata sulla sabbia, ma

sulla roccia e rimarrà fedele e stabile nel tempo.

In fondo, non si tratta di una gioia personale, ma di una partecipazione

alla gioia della Chiesa. Questa – scrive Bernanos – «è depositaria della gioia,

di tutto il patrimonio di gioia riservato a questo triste mondo». Vivendo nella

Chiesa imparerai a riconoscere le molteplici sfumature della gioia: la gioia

delle semplici cose della vita; la gioia beatificante della preghiera silenziosa e

contemplativa; la gioia gratificante dell’incontro con i fratelli nella fede; la

gioia del dialogo e del confronto con gli uomini di buona volontà; la gioia del

servizio verso tutti nello spirito indicato dall’apostolo Paolo: «Pur essendo

libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior

numero. […] Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi

sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io

faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io» (1Cor 9, 19. 22-23).

Soprattutto imparerai la gioia della missione e della sofferenza per

Cristo. Il Vangelo è la “buona notizia” da annunciare al mondo e ogni

persona che segue Cristo è un messaggero di gioia.«Il cristiano, – afferma

ancora Bernanos – è un seminatore di gioia; per questo egli fa grandi cose.

La gioia è una delle potenze irresistibili del mondo: essa placa, disarma,

conquista; l’anima allegra è apostolo; attira a Dio gli uomini manifestando

loro ciò che in lei produce la presenza di Dio». Se sarai felice, caro Salvatore,

la tua vita sarà pienamente realizzata e la tua missione sarà feconda di frutti.

Se vuoi, però, raggiungere la perfezione devi imparare la “gioia della

sofferenza”. Beato te, se saprai soffrire per Cristo! (cfr. 1Pt 3,14). Per questo

medita attentamente le parole dell’apostolo Pietro ai cristiani del suo

tempo: «Nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi

perché anche nella rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed

esultare. Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo, perché lo Spirito

della gloria, che è Spirito di Dio, riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a

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soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore. Ma se uno soffre

come cristiano, non ne arrossisca; per questo nome, anzi, dia gloria a Dio»

(1Pt 4, 13-16; cfr. anche Gc 1,2 ).

Dovrai essere seminatore di gioia, ma di una gioia differente da quella

promessa dal mondo. La tua gioia dovrà essere liberante e trasformante,

perfetta ed eterna perché attinta dallo Spirito Santo, sorgente di ogni gioia.

Sii un discepolo gioioso e, con le parole di sant’Agostino, prega il Signore che

ti doni la sua gioia:

«Lontano, Signore,

lontano dal cuore del tuo servo che a te si confessa,

lontano il pensiero che godendo di qualunque gioia possa essere felice.

Vi è infatti una gioia che non è data agli empi,

ma a coloro che ti servono con gratuità – per puro amore –

e la gioia di costoro sei tu stesso.

Questa è la vita felice: gioire per te, di te, a causa di te.

Altra felicità non esiste»6.

6 Agostino, Confessioni, X, 22.

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DIALOGO INTERRELIGIOSO E UNIVERSITÀ ISLAMICA*

Il Vescovo della diocesi Ugento-Santa Maria di Leuca, monsignor Vito

Angiuli, uomo di cultura, ha una sua idea precisa sul progetto dell’università

islamica nel Salento: «A esprimersi deve essere per primo lo Stato – spiega -

i suoi principi valgono a Roma come a Lecce».

Monsignor Angiuli, cosa pensa dell’istituzione di questa Università islami-

ca, presentata ormai come imminente dai suoi promotori?

«Partiamo dal dato di fatto che ad oggi, nonostante gli annunci, non

sappiamo se si tratti di un progetto oppure di una realtà. Ma ammesso che

questo progetto abbia le basi solide che i suoi promotori dicono, la

questione fondamentale mi pare che sia quella di comprendere se questa

istituzione sia già in possesso dei requisiti per sorgere. Un percorso tutt’altro

che semplice a quanto ne so io».

Si riferisce all’iter ministeriale?

«Certo, anzitutto a quello. Mi pare assai singolare che in questi mesi e a

maggior ragione negli ultimi tempi, con la presentazione del progetto,

nessuno abbia posto la domanda fondamentale: cosa ne pensa lo Stato

italiano?».

Non crede che prima sia necessario capire cosa ne pensi il territorio che

dovrà ospitare questo progetto?

«Certo, l’impatto sul territorio è importante, ma si tratta di un progetto

di enorme portata, il primo nel nostro Paese e non solo, per questo motivo

credo necessario che sia lo Stato a esprimersi».

Crede che il dibattito sia stato affrontato nella maniera adeguata?

«Sul piano locale possono esserci posizioni molto differenti a riguardo,

* Intervista a Monica Alessandra Lupo apparsa sul “Quotidiano di Lecce”, 3 marzo 2015,

p. 10.

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ma l’autorità resta quella dello Stato, così come sarebbe per un’istituzione

cattolica. Lo Stato si fonda su principi universali, ma questi valgono in tutti i

luoghi?».

Non crede quindi che abbia un significato particolare la localizzazione di

un’Università islamica in una terra come quella salentina, da lei stesso

definita un ponte sul Mediterraneo?

«Certo, noi viviamo in un territorio con una forte vocazione allo scambio

e all’accoglienza, ma non esiste uno Stato salentino. Siamo in Italia e i

medesimi principi valgono a Roma come a Lecce ed è necessario quindi che

vi sia una posizione unica del paese».

Quale crede che debba essere la linea del governo?

«Bisogna chiederlo al governo. A me piacerebbe sapere se il governo

italiano appoggerebbe una iniziativa analoga da parte della Chiesa cattolica,

qualora decidesse di aprire un’università in Qatar, per esempio, o in Arabia

Saudita».

C’è chi teme che la fondazione di un ateneo islamico rientri nel percorso

di islamizzazione dell’Europa già in corso da tempo e per cui il mondo arabo

investe molte risorse, lei cosa ne pensa?

«In linea di principio non lo si può escludere visto che alcune moschee

hanno già questa funzione. Ed è proprio per questo motivo che su un tema

così importante e delicato credo che l’Italia debba avere una linea chiara.

Poi, se questa linea prevede l’accettazione di questo tipo di istituzioni allora

dovrebbe contemplare il suo corrispettivo italiano in altri paesi».

Ammesso che le autorizzazioni arrivino, pensa che questo tipo di scambio

possa giovare alla nostra cultura?

«Il dialogo tra le culture e le religioni è sempre utile, ma credo che

questo debba avvenire su un principio di reciprocità. Altrimenti viene meno

lo stesso principio dialogico. Conoscere il Corano è molto utile e interessan-

te. Ma anche per i musulmani è utile conoscere il cristianesimo. Esiste

un’apertura di questo tipo?».

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Crede che una maggiore conoscenza reciproca possa aiutare la convi-

venza tra culture e religioni così differenti?

«Molto dipende dalle persone. Tuttavia ci sono stati diversi momenti

storici in cui le due culture religiose hanno convissuto senza frizioni. La

realtà di oggi è molto più complessa e farne una questione meramente

culturale rischia di portare ad analisi superficiali. Io credo che l’Italia e

l’Europa oggi debbano per forza di cose dialogare con tutte le culture, ma

credo anche che per dialogare occorra conoscere profondamente la propria

identità. L’Europa non ha voluto esplicitare le sue radici ebraico-cristiane. Mi

chiedo: noi occidentali abbiamo un’identità? Se non l’avessimo il problema

non sarebbe l’Islam, ma l’Occidente».

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CON GLI OCCHI GRANDI CHE, DALL’ALTO, GUARDANO OVUNQUE*

L’affermazione che la missione tocca la stessa identità della Chiesa e

manifesta la sua più intima essenza (cfr. Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 14) è

una convinzione largamente condivisa. L’evangelizzazione, fondata sulla

potenza del Risorto e realizzata sotto l’azione dello Spirito (cfr. Giovanni

Paolo II, Redemptoris missio, 23), è costituita da una successione di azioni

che si possono indicare con i seguenti verbi: stare, uscire, andare, annun-

ciare, curare, dare, incontrare.

La missione è, innanzitutto, uno stare con Gesù (cfr. Mc 3,14). La

relazione con lui è il presupposto imprescindibile per qualsiasi esperienza

missionaria. L’assicurazione della sua continua presenza (cfr. Mt 28,20)

garantisce la fecondità dell’azione missionaria, nonostante essa debba

affrontare, talvolta, situazioni complesse, impegni faticosi, momenti di

delusioni. L’unione con Cristo genera un movimento dinamico, un esodo

che, partendo dal cuore, manifesta con estrema chiarezza il profondo amore

per tutti gli uomini, il desiderio di abbracciare il mondo intero in un concreto

esercizio del dono di sé per annunciare la buona novella in un orizzonte

universale.

La missione, inoltre, è un prendersi cura. Ciò non significa solo mettere a

disposizione degli altri la propria esperienza o le proprie risorse, ma vuol

dire anche affidarsi alla grazia del Signore con uno stile che assecondi il

criterio evangelico della gratuità (cfr. Mt 10,8) ed esprima la disponibilità a

conoscere la lingua, la storia, la cultura del proprio interlocutore. Bisogna

accostarsi all’altro nel pieno rispetto dei suoi ideali, dei suoi valori, della sua

sensibililità. La missione diventa così un fecondo incontro di crescita, un

reciproco arricchimento, uno scambio di doni.

* Presentazione a R. Maglie, Nello Spirito del Vaticano II. L’impegno missionario della

Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, (Theologica Uxentina, 4), VivereIn, Roma-Monopoli 2015, pp. 5-13.

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Nella narrazione della vita pubblica di Gesù, i vangeli mettono in eviden-

za che, prima di annunciare la buona novella, egli guarda la situazione in cui

versa il popolo. Significativa è la seguente annotazione: «Sceso dalla barca,

egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come

pecore senza pastore, e si mise a insegnare loro molte cose» (Mc 6,34).

Lo sguardo di Cristo sulla folla sfinita non è solo espressivo, ma anche

causativo. Provoca in lui una viva compassione che, con premura e concre-

tezza, dà avvio alla sua opera evangelizzatrice. Il suo sguardo di «pastore

grande delle pecore» (Eb 13,20) manifesta la parte più interiore del suo

mistero, esprime il modo di vedere di Dio e diventa il paradigma del nostro

modo di vedere. Il suo è uno sguardo d’amore che guarisce, perdona,

partecipa, compatisce e prende a cuore (cfr. Mc 10,21); un amore penetran-

te perché scruta ogni cuore; avvolgente perché guarda la persona nella sua

totalità e unicità; comunicativo perché dona e indica la via da percorrere;

illuminante perché spalanca un nuovo modo di vedere la realtà.

Non vi è nulla che parli della carità di Cristo con maggior eloquenza del

suo sguardo dall’alto della croce. Le quattro parti della croce indicano la

direzione del suo sguardo d’amore. Il legno orizzontale mostra la «larghez-

za», lo sguardo panoramico che intende abbracciare tutto e tutti. Il legno

verticale addita la «lunghezza», ossia la fissità e la lungimiranza dell’amore,

superando ogni passione superficiale e passeggera. Il legno alla sommità

della croce suggerisce l’«altezza» ossia la sua capacità di volgere lo sguardo

in alto per elevare ogni realtà dalla sua fragile povertà e inconsistenza. La

parte della croce infissa nel terreno rappresenta lo sguardo in «profondità».

È la dimensione più segreta e misteriosa della carità, ma forse anche la più

essenziale. La forza dell’amore consiste nel guardare dentro l’abisso del-

l’universale sofferenza, della povertà, del fallimento e, perfino, della spaven-

tosa potenza del male.

Secondo il famoso epitaffio di Abercio, Cristo è il «casto pastore che

pascola greggi di pecore per monti e per piani, che ha occhi grandi che,

dall’alto, guardano dovunque». Il cristiano deve vedere ogni cosa con gli

“occhi della fede” ossia con gli occhi di Cristo. La fede, infatti, è «una

partecipazione al suo modo di vedere» (Lumen fidei, 18). Essa non genera

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una visione distaccata e parziale, ma profonda e globale e proietta una luce

sul mistero di Dio e dell’uomo che aiuta a comprendere il senso (logos), il

valore (axios) e il fine (telos) della vita. Il discepolo di Cristo deve assumere il

suo stesso modo di vedere e compiere «un cammino dello sguardo, in cui gli

occhi si abituano a vedere in profondità» (Lumen fidei, 30), «a vedere tutta

la realtà in modo nuovo» (Lumen fidei, 27), «a vedere con gli occhi di Cristo»

(Lumen fidei, 46), a penetrare il kronos e cogliere il kairos come tempo di

vocazione, di grazia, e di missione.

Essere missionari significa essere inviati ad annunciare il Vangelo per le

strade del mondo. Ciò implica non solo il desiderio di mettersi in viaggio, ma

richiede anche la capacità di guardare la realtà con occhi nuovi. «Un vero

viaggio di scoperta – scrive Marcel Proust – non è cercare nuove terre, ma

avere nuovi occhi». Le difficoltà della missione sono provocate in gran parte

da questa mancanza di occhi nuovi. «A fare problema, – sottolinea don

Tonino Bello – più che le “nuove povertà”, sono gli “occhi nuovi” che ci

mancano. Molte povertà sono “provocate” proprio da questa carestia di

occhi nuovi che sappiano vedere. Gli occhi che abbiamo sono troppo antichi.

Fuori uso. Sofferenti di cataratte. Appesantiti dalle diottrie. Resi strabici

dall’egoismo. Fatti miopi dal tornaconto. Si sono ormai abituati a scorrere

indifferenti sui problemi della gente. Sono avvezzi a catturare più che a

donare. Sono troppo lusingati da ciò che “rende” in termini di produttività.

Sono così vittime di quel male oscuro dell’accaparramento, che selezionano

ogni cosa sulla base dell’interesse personale. A stringere, ci accorgiamo che

la colpa di tante nuove povertà sono questi occhi vecchi che ci portiamo

addosso. Di qui, la necessità di implorare “occhi nuovi”. Se il Signore ci

favorirà questo trapianto, il malinconico elenco delle povertà si decurterà

all’improvviso, e ci accorgeremo che, a rimanere in lista d’attesa, saranno

quasi solo le povertà di sempre».

Guardare con occhi nuovi significa scorgere (βλέπειν) i segni della storia,

osservare attentamente (θεωρειv) gli avvenimenti di grazia, scoprire (eidein)

gli interventi di Dio nel tempo. Quello che i nostri occhi vedono, viene

depositato nel cuore. Per poter osservare i segni dell’amore di Dio e il

riflesso gioioso della sua azione nel mondo, occorre purificare il cuore con il

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collirio spirituale della Parola di Dio e della celebrazione eucaristica. Il

canone V/c rivolge al Signore la seguente invocazione: «Donaci occhi per

vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli, infondi in noi la luce della tua

parola per confortare gli affaticati e gli oppressi: fa’ che ci impegniamo

lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti». Gli occhi nuovi ricollocano

la missione nell’orizzonte della gratuità e della speranza nella consapevolez-

za di aver ricevuto una grazia (cfr. Ef 3,8) dalla quale sgorga un rendimento

di lode al Signore. Si scopre così un orizzonte universale, aperto alla mon-

dialità e spinto fino ai confini della terra.

Nel periodo postconciliare, la Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca ha

imparato a vedere la storia con “occhi nuovi”. Si è così innescato un fecondo

processo di rinnovamento della mentalità e dell’attività missionaria che ha

coinvolto vescovi, presbiteri, consacrati e laici in un crescente fervore di

iniziative e di progettualità. È stato come accendere una miccia che ha fatto

divampare un grande incendio e ha spalancato davanti allo sguardo orizzonti

planetari.

Il presente libro racconta l’esaltante vicenda dell’impegno missionario

della nostra Chiesa particolare. In questa storia, brilla l’opera di don Tito

Oggioni Macagnino. Il 29 gennaio 1991, egli parte in Rawnda come sacerdo-

te “Fidei donum”, con il compito di professore di latino e padre spirituale nel

Seminario minore dell’arcidiocesi di Kigali, sulla collina di Ndera. Stabilitosi a

Kigali, inizia una frenetica attività spirituale e sociale: realizza un primo lotto

del Centro di Accoglienza “Domus Pacis; avvia la gestione di una cooperativa

agricola; contribuisce alla realizzazione del Centro di Santé. Dopo il geno-

cidio del 1994, egli estende la sua opera in diversi settori pastorali: sostiene

la formazione spirituale della congregazione religiosa maschile denominata

“Frères du Verbe”, con sede sulla collina di Ndera, portatrice del carisma

della carità e del sostegno ai poveri più poveri attraverso il lavoro manuale;

avvia le adozioni a distanza di seminaristi, bambini e studenti; promuove

varie forme di cooperazione, come il sostegno scolastico e la mensa per i

bambini della scuola primaria; avvia la pastorale della carità per le famiglie

più povere e, con le Oblate di Cristo Re, cura la pastorale familiare,

l’assistenza e la formazione spirituale delle vedove.

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Don Tito muore nel Centro Domus Pacis di Kicukiro (Kigali) il 19 novem-

bre 2002. Ancora oggi, in Rwanda si colgono i segni della sua presenza e

della sua opera. I luoghi, le persone e i progetti da lui promossi testimoniano

il suo inarrestabile ardore missionario che Loredana Brigante paragona alla

corsa di un treno che corre dritto verso la meta; una corsa che non si arresta

nemmeno con la sua morte. Il suo esempio, ancora oggi, trasmette un’ener-

gia spirituale e infonde un nuovo slancio missionario a tutta la comunità

diocesana.

Sotto la regia di don Rocco Maglie e lo stimolo del Vescovo, mons. Vito

de Grisantis, oltre all’attività in Rwanda, diversi gruppi, composti da

sacerdoti, consacrati e laici, effettuano visite in altri paesi dell’Africa e di altri

continenti: Tanzania (2002), Cile (2006), Brasile (2007). Nel 2009, gruppi di

volontari si recano in Rwanda (gennaio), Kenya (luglio) e Burundi (agosto).

Nel 2011 e 2012, prendo parte anch’io a due viaggi in Rwanda. La fon-

dazione dell’associazione di volontariato denominata “AMAHORO onlus”

(2003) contribuisce a rendere ancora più efficace e incisiva l’azione missio-

naria diocesana.

Intanto, matura la convinzione che, nel nostro tempo, sia necessario

aprire una nuova fase della missione: passare dall’aiuto e dal sostegno

economico allo scambio fra le Chiese secondo il principio di una «reale

reciprocità che rende (le Chiese) pronte a dare e a ricevere» (Giovanni Paolo

II, Redemptoris missio, 64) nella consapevolezza che la missione «rinnova la

Chiesa, rinvigorisce la fede e l’identità cristiana, dà nuovo entusiasmo e

nuove motivazioni» (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 2). In questa

prospettiva, si deve leggere la presenza di don Rocco Maglie nella diocesi di

Kigali e la permanenza di due sacerdoti rwandesi, don Claudio e don Charles,

nella nostra diocesi.

Si fa anche strada l’idea secondo la quale la naturale posizione geografica

della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca indica una specifica vocazione

missionaria: sviluppare la missione, guardando in tutte le direzioni nella

consapevolezza che «Dio sta preparando una grande primavera cristiana, di

cui già si intravede l’inizio» (Giovanni Paolo II, Redemptoris missio, 86).

Occorre fissare lo sguardo su un orizzonte planetario, come invita a fare

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Papa Francesco: «Sogno – egli afferma nel n. 27 di Evangeli gaudium – una

scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini,

gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale

adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’auto-

preservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale,

si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte

più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più

espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento

di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù

offre la sua amicizia. Come diceva Giovanni Paolo II ai Vescovi dell’Oceania,

“ogni rinnovamento nella Chiesa deve avere la missione come suo scopo per

non cadere preda di una specie d’introversione ecclesiale”».

Il volume ripercorre le tappe dell’impegno missionario della nostra

Chiesa particolare, racconta le molteplici esperienze di volontariato, enume-

ra le opere realizzate, raccoglie le testimonianze più significative. La rico-

struzione storiografica e la documentazione fotografica costituiscono un

strumento indispensabile per conservare la comune memoria di questa

straordinaria storia della missione diocesana. Il libro assume così un valore

testimoniale in riferimento ai principali protagonisti, tra i quali, la seconda

parte mette in evidenza, in modo particolare, la figura e l’opera di don Tito.

Egli può essere considerato quasi il simbolo e la personificazione dello

spirito missionario che ha animato la Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca.

Esprimo, pertanto, il più vivo ringraziamento a don Rocco Maglie per la

sua personale testimonianza e per aver fortemente desiderato che si

realizzasse questa pubblicazione. Un uguale sentimento di riconoscenza

rivolgo a mons. Salvatore Palese e a Gigi Lecci per la professionalità e la

disponibilità a curare l’opera. Sono grato anche a tutti coloro che, in diverso

modo, hanno contribuito a raccogliere il materiale, a mettere a disposizione

le carte personali, a scrivere i loro ricordi e la loro attestazione di stima nei

confronti dei protagonisti di questo esaltante aspetto dell’azione pastorale

diocesana. Sono profondamente convinto che la lettura di questo libro sarà

motivo di gioia per tutti gli operatori pastorali, infonderà nei giovani un

uguale ardore missionario e contribuirà a stimolare la Chiesa diocesana a

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camminare sulle strade del mondo e a incontrare le periferie esistenziali con

rinnovato entusiasmo, libero da particolarismi e chiusure preconcette, per

fissare lo sguardo su un orizzonte sconfinato, grande quanto l’amore infinito

di Dio, e annunciare a tutti la gioia della fede in Cristo Gesù, redentore e

salvatore del mondo.

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IL SINODO SULLA FAMIGLIA*

Nel mese di ottobre (5-19 ottobre 2014) si è tenuto il Sinodo dei Vescovi

sulla famiglia. Nel discorso conclusivo, Papa Francesco ha sottolineato il valore

di questa importante assise ecclesiale. Queste le sue parole: «Abbiamo

vissuto davvero un’esperienza di “Sinodo”, un percorso solidale, un “cammino

insieme”. Ed essendo stato “un cammino” – e come ogni cammino – ci sono

stati dei momenti di corsa veloce, quasi a voler vincere il tempo e raggiungere

al più presto la mèta; altri momenti di affaticamento, quasi a voler dire basta;

altri momenti di entusiasmo e di ardore. Ci sono stati momenti di profonda

consolazione ascoltando la testimonianza dei pastori veri (cfr. Gv 10 e Cann.

375, 386, 387) che portano nel cuore saggiamente le gioie e le lacrime dei loro

fedeli. Momenti di consolazione e grazia e di conforto ascoltando le testi-

monianze delle famiglie che hanno partecipato al Sinodo e hanno condiviso

con noi la bellezza e la gioia della loro vita matrimoniale. Un cammino dove il

più forte si è sentito in dovere di aiutare il meno forte, dove il più esperto si è

prestato a servire gli altri, anche attraverso i confronti. E poiché essendo un

cammino di uomini, con le consolazioni ci sono stati anche altri momenti di

desolazione, di tensione e di tentazioni».

Crisi e desiderio della famiglia

Il Sinodo ha affrontato le sfide poste alla famiglia dalla cultura contem-

poranea. Il contesto culturale, con tutte le sue ambiguità e contraddizioni,

chiede alla Chiesa di trovare modalità nuove di annunciare la «bellezza della

famiglia». Da una parte, infatti, vi è una crisi (cfr. Evangelii Gaudium 66),

dall’altra rimane forte il desiderio della famiglia. A tal proposito, la Relatio

Synodi afferma: «Grembo di gioie e di prove, di affetti profondi e di relazioni a

volte ferite, la famiglia è veramente “scuola di umanità” (cfr. Gaudium et Spes,

52), di cui si avverte fortemente il bisogno. Nonostante i tanti segnali di crisi

* Articolo pubblicato in “Il Segno”, periodico della Parrocchia “S. Sofia” in Corsano, 18,

2015, 1, pp. 4-5.

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dell’istituto familiare nei vari contesti del “villaggio globale”, il desiderio di

famiglia resta vivo, in specie fra i giovani, e motiva la Chiesa, esperta in

umanità e fedele alla sua missione, ad annunciare senza sosta e con

convinzione profonda il “Vangelo della famiglia” che le è stato affidato con la

rivelazione dell’amore di Dio in Gesù Cristo e ininterrottamente insegnato dai

Padri, dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa»1.

A quanto si apprende dai dati dell’ultimo “Rapporto Giovani”2 i giovani

tra i 18 e i 29 anni hanno un forte desiderio di famiglia. Secondo l’indagine,

quasi il 60% dei giovani intervistati afferma che la famiglia tiene, non

rinuncia a pensare di poter formare una propria famiglia e la vede formata

mediamente di due figli e oltre. Anche quando si chiede, oltre al numero

ideale, quanti figli si pensa realisticamente di avere, tre giovani su quattro

rispondono due o più. Solo una marginale minoranza (il 9,2% fra gli uomini e

solo il 6,2% fra le donne) pensa di non averne del tutto. Questo significa che

se questi giovani fossero semplicemente aiutati a realizzare i propri progetti

di vita la denatalità italiana diventerebbe un problema superato. Tale dato

risulta rafforzato se si chiede agli intervistati qual è il numero di figli

desiderati in assenza di impedimenti e costrizioni: la percentuale di coloro

che rispondono 3 o più figli risulta superiore al 40%. Sul desiderio di formare

una famiglia pesa anche il proprio vissuto. Infatti l’atteggiamento verso la

famiglia risulta differenziato tra i giovani intervistati a seconda del fatto che i

genitori siano coniugati o separati/divorziati. L’affermazione sulla centralità

del matrimonio trova d’accordo quasi il 70% dei giovani con genitori

coniugati, mentre scende al 46% tra chi ha sperimentato il fallimento del

matrimonio dei propri genitori. In generale però il 60% degli intervistati

asserisce di essere d’accordo con il fatto che la famiglia è la cellula

fondamentale della nostra società e si fonda sul matrimonio, mentre solo

l’11,6% la pensa diversamente.

1 Introduzione ai Lineamenta per la XIV Assemblea Generale Ordinaria sul tema La

vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo, (4-25 ottobre 2015), n. 2. 2 Istituto Giuseppe Toniolo, La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2014, Il

Mulino, Bologna 2014.

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Il Sinodo dei quattro Papi

Il Sinodo dei Vescovi ha avuto come punto di riferimento il magistero di

quattro Pontefici, tanto che si può azzardare la definizione di “Sinodo dei

quattro Papi”.

Il primo tra di essi è certamente Papa Francesco. La sua impronta si è

vista nel metodo (ampia consultazione nella Chiesa, due Assemblee sinodali,

forte risonanza mediatica, contesto socio-culturale) e nella forma (libertà e

franchezza nella discussione).

L’altra figura di Pontefice che ha ispirato e accompagnato i lavori sinodali

è stata quella del Papa emerito Benedetto XVI soprattutto in riferimento alla

rilevanza della fede degli sposi nella celebrazione del matrimonio. Già da

Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, egli aveva affer-

mato: «Ulteriori studi approfonditi esige la questione se cristiani non

credenti – battezzati che non hanno mai creduto o non credono più in Dio –

veramente possano contrarre un matrimonio sacramentale. In altre parole:

si dovrebbe chiarire se veramente ogni matrimonio tra due battezzati è ipso

facto un matrimonio sacramentale».

L’insistenza di Papa Benedetto sulla rilevanza della fede motiva l’esi-

genza di un’accurata preparazione alle nozze, intesa anzitutto come “mista-

gogia”, e dunque come cammino che porti gli sposi cristiani a riscoprire e

vivere la grazia del loro battesimo e degli altri sacramenti nella costruzione

della nuova famiglia e nell’assumere gli impegni relativi alla indissolubilità

del vincolo e all’apertura alla procreazione.

Il terzo Papa, è stato san Giovanni Paolo II, il “Papa della famiglia”, come

lo ha definito Papa Francesco. L’attenzione alla famiglia prestata dalla

Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II sulla Chiesa nel mondo

contemporaneo Gaudium et Spes, è stata poi particolarmente viva nel

magistero di Giovanni Paolo II, che aveva scelto “la famiglia cristiana” come

tema della V Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi (26 Settembre - 25

Ottobre 1980) e vi aveva dedicato l’Esortazione Apostolica ad esso seguita

Familiaris consortio (1981), dove non si esita ad affermare che “l’avvenire

dell’umanità passa attraverso la famiglia!” (n. 86).

Il quarto Papa di cui si è avvertita particolarmente la presenza ispiratrice

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al Sinodo è stato il nuovo beato Paolo VI. Si devono a lui alcuni orientamenti

che guidano i lavori sinodali: il dialogo della Chiesa con la modernità,

l’ascolto fedele dei segni dei tempi, la rigorosa fedeltà all’identità della

Chiesa e al suo patrimonio di fede, la dottrina dell’Humanae vitae.

Il significato pastorale del Vangelo della famiglia

I contenuti fondamentali del “Vangelo della famiglia” sono stati così

evocati: «Nella famiglia, “che si potrebbe chiamare Chiesa domestica” (Lumen

gentium, 11), “matura la prima esperienza ecclesiale della comunione tra

persone, in cui si riflette, per grazia, il mistero della Santa Trinità. È qui che si

apprende la fatica e la gioia del lavoro, l’amore fraterno, il perdono generoso,

sempre rinnovato, e soprattutto il culto divino attraverso la preghiera e

l’offerta della propria vita” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1657). La Santa

Famiglia di Nazaret ne è il modello mirabile, alla cui scuola noi ‘comprendiamo

perché dobbiamo tenere una disciplina spirituale, se vogliamo seguire la

dottrina del Vangelo e diventare discepoli del Cristo’ (Paolo VI, Discorso a

Nazaret, 5 gennaio 1964). Il Vangelo della famiglia nutre pure quei semi che

ancora attendono di maturare, e deve curare quegli alberi che si sono inariditi

e necessitano di non essere trascurati» (Relatio Synodi, 23).

La buona notizia riguardo alla famiglia abbraccia quattro aspetti, che

vanno proposti nella loro unità: la famiglia come scuola di umanità, di

socialità, (cfr. Gaudium et spes 52; Familiaris consortio 11, 20; Deus caritas

est, 5-6,11) di vita ecclesiale e di santificazione (cfr. Familiaris consortio 15,

37, 56, 59, Lumen fidei 52).

Il significato del carattere eminentemente pastorale si coglie dal fatto

che non è in discussione la dottrina della Chiesa, più volte ribadita anche

negli ultimi anni dai vari interventi magisteriali. La riflessione sinodale ha

riguardato le applicazioni pastorali, il modo di proporre la dottrina (ad

esempio a livello di linguaggio), di accompagnarne la recezione e la pratica,

di mostrarne in maniera chiara le potenzialità umanizzanti a fronte di una

diffusa non conoscenza o incomprensione.

Ora sono stati inviati i Lineamenta corredati da una serie di domande.

Viene così riavviata la consultazione nella Chiesa per predisporre l’Instru-

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mentum laboris della prossima Assemblea che si terrà nell’ottobre del 2015.

Non possiamo non accogliere l’invito rivolto a tutta la Chiesa da Papa

Francesco a conclusione della prima Assemblea sinodale: «Cari fratelli e

sorelle, ora abbiamo ancora un anno per maturare, con vero discernimento

spirituale, le idee proposte e trovare soluzioni concrete alle tante difficoltà e

innumerevoli sfide che le famiglie devono affrontare; a dare risposte ai tanti

scoraggiamenti che circondano e soffocano le famiglie. Un anno per lavorare

sulla Relatio synodi che è il riassunto fedele e chiaro di tutto quello che è

stato detto e discusso in questa aula e nei circoli minori. E viene presentato

alle Conferenze episcopali come Lineamenta».

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UNTI DALLO SPIRITO SANTO CON OLIO DI CONSOLAZIONE, DI GIOIA E DI SPERANZA*

Cari sacerdoti e fedeli,

la "Messa crismale" celebra il mistero dell’unzione. Il Vangelo di Luca

riporta la profezia di Isaia riguardante l’unzione del Messia, con una eviden-

te allusione a Cristo (cfr. Lc 4,16-21).

Unti dallo Spirito Santo

Lo Spirito scende anche su di noi facendoci diventare discepoli e ministri

di Cristo. Come per lui, anche per noi l’unzione dello Spirito segna la nostra

dignità e la nostra missione. A tal proposito, l’apostolo Paolo scrive: «Dio

stesso ci conferma in Cristo e ci ha conferito l’unzione, ci ha impresso il

sigillo dello Spirito nei cuori» (2Cor 1,21-22). Rivivendo oggi la memoria

dell’unzione che abbiamo ricevuto nei sacramenti dell’iniziazione cristiana e

nell’ordinazione sacerdotale, facciamo nostra la raccomandazione di Paolo a

Timoteo: «Ravviva il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie

mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di

amore e di saggezza» (2Tm 1,6-7).

L’unzione ci rende ministri della verità. Mediante l’imposizione delle

mani e la preghiera della Chiesa, lo Spirito Santo ci introduce nel sacerdozio

di Gesù Cristo, ci «consacra nella verità» (cfr. Gv 17,19) e, come Maestro

interiore, ci «guida alla verità tutta intera» (Gv 16,13). «L’unzione che avete

ricevuto da lui – scrive l’apostolo Giovanni – rimane in voi e non avete

bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni

cosa, è veritiera e non mente, così state saldi in lui, come essa vi insegna»

(1Gv 2,27). Mediante il santo crisma, siamo conformati per sempre a Cristo

per testimoniare che è proprio lui la verità.

* Omelia nella Messa crismale, Cattedrale, Ugento, 1 aprile 2015.

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Ogni nostro annuncio deve misurarsi sul suo insegnamento. La dottrina

che noi insegniamo non è la nostra, ma la sua (cfr. Gv 7,16). Non annuncia-

mo teorie ed opinioni private, ma la fede della Chiesa della quale siamo

servitori. Un mirabile testo di Origene, a commento del libro del Levitico

10,7, indica lo stile di Mosè come modello del nostro servizio alla verità.

«Mosè – scrive il grande esegeta alessandrino – era incessantemente nel

tabernacolo del Signore. Quale era il suo lavoro? O imparare qualcosa da Dio

o istruire egli stesso il popolo. Sono queste le attività del pontefice: o

imparare da Dio leggendo le Scritture divine e meditandole più volte, o

istruire il popolo. Però insegni le cose che egli stesso ha imparato da Dio,

non dal proprio cuore o dall’umano sentire, ma quello che insegna lo

Spirito»1.

L’unzione, poi, ci rende ministri di comunione. La Chiesa è koinonia,

partecipazione alla vita trinitaria. L’ecclesiologia russa ha fatto della

sobornost uno dei suoi temi più cari. Anche il Concilio Vaticano II ci invita a

vivere la “comunione nello Spirito Santo” come l’inizio e la fine, l’alfa e

l’omega del mistero della Trinità, della vita della Chiesa e della comunità

degli uomini. Per questo l’apostolo Paolo esorta: «Siate ricolmi di Spirito

Santo, intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e

inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore, rendendo continuamente

grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo»

(Ef 5,19-20). Sant’Agostino commenta da par suo questo profondo e

commovente incitamento di Paolo: «Se dunque volete vivere dello Spirito

Santo, conservate la carità, amate la verità, desiderate l’unità e raggiunge-

rete l’eternità»2.

L’unzione, infine, ci rende ministri della consolazione. L’olio è uno dei

simboli del Paraclito. Lo Spirito Santo è l’altro Parakletos (cfr. Gv 14,16). Egli

è il consolatore solennemente promesso dal Padre (rite promissum Patris) e

inviato da Cristo risorto per essere il nostro avvocato, il nostro difensore ed

alleato, il nostro aiuto. Lo Spirito Santo è l’olio della consolazione con il

1 Origene, Omelie sul Levitico VI, 6.

2 Agostino, Disc. 267, 4.

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quale Cristo, buon samaritano dell’umanità (cfr. Lc 10,29-37), unge le ferite

del corpo e dell’anima; illumina la vita di chi sperimenta l’oscurità e

l’incertezza; sostiene chi attraversa un tempo di smarrimento e di solitudine;

incoraggia chi averte sentimenti di paura e di sconforto. In un discorso ai

neofiti nel giorno di Pasqua, sant’Agostino afferma: «Lo Spirito Santo ha

cominciato ad abitare in voi, non se ne vada; non vogliate scacciarlo dai

vostri cuori. Ospite buono, egli vi ha trovati vuoti e vi riempie; vi ha trovati

affamati e vi pasce; vi ha trovati assetati e vi inebria. Sia lui ad inebriarvi […].

Lo Spirito di Dio è bevanda, è luce»3: bevanda che ci disseta e luce che ci

illumina.

Lo Spirito Santo scende come olio di consolazione e di speranza per

incoraggiare e confortare chi è solo e provato dalla sofferenza, offrendo il

dono della propria presenza. Il ministero della consolazione è la risposta di

Dio alle molteplici fragilità umane fisiche, psichiche, sociali e spirituali.

Ministri del lieto annunzio ai poveri

Come Cristo, anche noi, suoi discepoli, siamo consacrati con l’unzione e

inviati a portare il lieto annunzio ai poveri (cfr. Lc 4,18). In modo particolare,

i sacerdoti sono mandati nel mondo a manifestare la vicinanza e la

prossimità di Dio e della Chiesa a chi soffre ed è in difficoltà.

Non possiamo, pertanto, dimenticare i gravi problemi sociali e ambien-

tali che affliggono il nostro territorio salentino. Mi riferisco, in modo partico-

lare, al drammatico flagello che ha colpito i nostri ulivi e alle prevedibili

ricadute negative in campo economico e, più in generale, alla salvaguardia

del creato e della nostra stessa identità culturale. Noi, pugliesi e salentini,

infatti, secondo la bella definizione dei Vescovi pugliesi, siamo «europei del

Mediterraneo»4.

Da sempre, i paesi che si affacciano sul Mediterraneo sono stati terre di

ulivi. In particolare, in una località di terra secca e riarsa dal sole cocente

come la Puglia, l’ulivo con il suo fogliame grigio-verde segna il paesaggio con 3 Id., Disc. 225, 4.

4 Conferenza Episcopale Pugliese, Cristiani nel mondo, testimoni di speranza, Nota

pastorale dopo il terzo Convegno Ecclesiale Pugliese, I laici nella Chiesa e nella società pugliese, oggi, 10.

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un tocco di vita che apre alla speranza. L’ulivo è un albero di austera e rara

bellezza e la durata della sua vita è lunga, fino a diventare plurisecolare; il

suo sviluppo è lento, con delle curvature a volte capricciose e insolite,

determinate dalle asprezze dell’ambiente; la base, ispida di nodi e possente,

gli dà un’aria di scultura antica e al tempo stesso moderna; le sue fronde, di

un verde grigio, sono resistenti a tutti i climi.

Fin dai tempi antichi, l’olio è stato apprezzato per il suo valore sociale e

commerciale ed è stato utilizzato in cucina come prezioso condimento, nelle

abitazioni e per le strade come fonte di illuminazione, in campo medico

come balsamo e unguento per lenire le ferite, nella cosmesi come base per

preparare i profumi. Mescolato ad essenze preziose, come il nardo, spande

la sua intensa fragranza.

In tutte le religioni l’ulivo era considerato la pianta sacra per eccellenza.

L’Antico Testamento esalta la sua funzione di benedizione e sapienza divina,

amicizia e fraternità, gioia e felicità fino a significare l’elezione divina e,

addirittura, lo Spirito di Dio. Il ramoscello d’ulivo diventa simbolo di pace, in

ricordo della colomba che tornò all’arca di Noè proprio per indicare che il

diluvio era ormai terminato (cfr. Gen 8,11).

I pittori hanno rappresentato in molteplici forme la sua figura. Si pensi,

ad esempio, ai quadri di Vincet van Gogh. I poeti hanno lodato il suo valore

simbolico. Struggenti i versi del grande drammaturgo greco Sofocle nel suo

Inno all’olivo:

Albero benedetto, ignoto all’Asia

albero invincibile e immortale,

nutrimento della nostra vita, olivo color pallido

che protegga Atena, dea dagli occhi brillanti

La magnificenza dell’ulivo è cantata dal salmista e dai profeti dell’Antico

Testamento (cfr. Sal 128; Os 13, 6-7). Nella descrizione del “Santo dei Santi”

del tempio di Gerusalemme si precisa che «Salomone nella cella fece due

cherubini di legno d’ulivo, alti dieci cubiti […] fece costruire la porta della

cella con battenti di legno d’ulivo […] lo stesso procedimento adottò per la

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porta della navata, che aveva stipiti di legno d’ulivo» (cfr. 1Re 6,31-33). Per

rendere onore a Giuditta, la si «incoronò di fronde d’ulivo ed ella precedette

tutto il popolo, guidando la danza di tutte le donne» (Giud 15,13).

L’olio era considerato dotato di una particolare forza e virtù spirituale:

versato sul capo di un uomo lo elevava alla categoria di scelto da Dio come

re, o sacerdote, o profeta, o inviato. Il re Sargon I di Accad era chiamato

“l’unto del Dio dei cieli”. Nell’Antico Testamento, venivano unti sacerdoti, re

e profeti. Nel Nuovo Testamento, Gesù è l’Unto per antonomasia, il Messia,

il Cristo che riunisce in sé le funzioni di re, di sacerdote e di profeta.

Nella sua poesia Albero dall’ombra lieve, P. David Maria Turoldo racco-

glie i motivi più significativi del simbolismo dell’albero d’ulivo:

Albero ramato di voti e speranze come non altro,

pianta dell’uomo che sogna olio fluente,

olio da versare sopra le ferite, olio

che consácri sempre un messia: olivo,

non del tuo legno son fatte le croci!

Albero di Cristo: “Anche gli olivi piangevano

quella Notte, e le pietre erano più pallide

e immobili, l’aria tremava tra ramo

e ramo: e Lui, tutto un sudore di sangue

– la bocca senza voce – mentre abbracciava la terra”.

Ma gli stessi olivi lo vedranno salire in alto

e sparire nel sole: gli stessi olivi

dai quali i fanciulli avevan strappato i rami

per corrergli incontro: una selva di rami

e di voci a cantargli d’allora l’osanna e alleluia.

Olivo, albero essenziale, dall’ombra lieve come

una carezza; e pure ossuto, e nodoso, e carico

di ferite, uguale alla vita: immagine

di ciò che più amiamo! Sempre un tuo ramo

trovi la colomba in volo dopo i diluvi! E siano

i figli virgulti d’olivo intorno a ogni

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mensa; e perfino la cenere fatta

di sue foglie d’argento plachi

le tempeste; come le stesse

del mercoledì delle ceneri mettano

in fuga anche la nostra morte.

E papa Giovanni, il padre del mondo, torni

col suo ramo d’olivo in mano.

La storia profana e sacra racchiusa nell’olio e nell’albero d’ulivo avvolge

anche la liturgia di questa Messa crismale. Anche noi, affascinati dallo

splendore delle distese di ulivi delle nostre Serre salentine, constatiamo con

il poeta Virgilio che essi

quasi non richiedono cura; non aspettano

la falce ricurva e i tenaci rastrelli una volta

che sono abbarbicati alla terra e levati all’aria5.

Unti dallo Spirito siamo inviati a ungere i nostri fratelli con l’olio della

consolazione, della gioia e della speranza. Portando nelle nostre Chiese

parrocchiali gli oli consacrati in questa liturgia, siamo chiamati ad affidare il

nostro popolo e noi stessi al «Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre

misericordioso e Dio di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra

tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in

qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi

stessi da Dio. Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per

mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione» (2Cor 1,3-5).

Con le parole di San Simone, il nuovo teologo (X-XI sec), invochiamo lo

Spirito Santo affinché, come olio profumato, penetri nell’intimo del nostro

cuore, guarisca le nostre infermità e faccia rifiorire di nuovo splendore gli

ulivi della nostra terra e la bellezza di tutto il creato:

Vieni, luce vera.

Vieni vita eterna.

Vieni, mistero nascosto.

5 Virgilio, Georgiche, libro II, 420-425.

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Vieni tesoro senza nome.

Vieni realtà ineffabile.

Vieni persona inesprimibile.

Vieni, felicità senza fine.

Vieni, luce senza tramonto.

Vieni, risveglio di chi dorme.

Vieni, risurrezione dei morti […].

Vieni, tu diventato mio desiderio.

Vieni mio soffio e mia vita.

Vieni, consolazione della mia povera anima.

Vieni, mia gioia, mia gloria, mia delizia senza fine.

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«HO VISTO IL SIGNORE»*

Caro Luca,

questa sera, durante il rito di Ammissione ai candidati al diaconato e al

presbiterato, esprimerai pubblicamente la tua volontà di proseguire la tua

formazione in vista dell’ordinazione sacerdotale. Il tuo rinnovato sì al

Signore si colloca nel contesto di questa celebrazione eucaristica nella quale

spicca la figura di Maria Maddalena.

I Vangeli sinottici riferiscono che la Maddalena seguì Gesù dalla Galilea

fin dal principio della sua predicazione, fu liberata dai “7 demoni”, e fu

presente al momento della crocifissione e della sepoltura di Gesù. (cfr. Mc

15,40-41; Lc 8,2; 23,49; 24,9-10). Il Vangelo di Giovanni evidenzia il rapporto

speciale tra Gesù e Maria. Al capitolo 20, l’evangelista narra l’incontro con il

Risorto. In questo episodio, puoi intravedere il tuo percorso spirituale e

vocazionale, segnato dalle seguenti tappe: la ricerca, le lacrime, la chiamata,

l’incontro. il riconoscimento, la missione.

La ricerca

La ricerca presuppone il desiderio di incontrare, ma anche una certa

oscurità. Maria si reca al sepolcro al mattino presto «mentre era ancora

buio» (Gv 20,1). Si può leggere in questa indicazione di tempo e nella fretta

con cui ella si muove un’ulteriore testimonianza del suo amore. Nemmeno il

“buio” della morte è un ostacolo alla sua ricerca. Il suo amore per Gesù la

spinge a cercarlo anche presso la sua tomba.

Maria Maddalena diventa così il simbolo del discepolo fedele che cerca il

Signore, e grazie alla sua fedeltà lo incontra, e da allora la sua corsa non si

arresta più. I verbi usati nella pericope sono tutti di azione: Maria va, vede,

corre, annuncia. Anche Nicodemo va’ da Gesù di notte (cfr. Gv 3,2) e da quel

momento ha inizio il suo cammino della vera identità del Messia. San * Omelia nella Messa di ammissione al diaconato e al presbiterato di Luca Abaterusso,

Parrocchia “S. Ippazio, vescovo e martire”, Tiggiano, 7 aprile 2015.

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Giovanni della Croce, nella sua opera il Cantico spirituale, indica il carattere

di mistero e di trascendenza che avvolge il cammino di fede. Così egli canta:

La quiete della notte

vicina allo spuntar dell’aurora,

musica silenziosa, solitudin sonora,

cena che ristora e innamora1.

Questi versi presagiscono un avvenimento di luce. Dio è nascosto nella

mente e nel cuore, ma all’improvviso egli si rivela. Anche la tua ricerca

vocazionale si è realizzata come un cammino irto di ostacoli e difficoltà. La

forza del tuo amore non si è dileguata di fronte all’oscurità dei problemi e

coraggiosamente ha affrontato l’assenza di luce, senza arrestarsi. Ti sono

state di guida le parole del salmo: «Se dovessi camminare in una valle

oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il

tuo vincastro mi danno sicurezza» (Sal 22,4).

Le lacrime

La ricerca non avviene senza una forte carica emotiva. La Maddalena sta

in piedi, accanto al sepolcro. Il verbo greco eistèkei ha il significato di

“rimanere in piedi immobili”. Esprime l’immobilità dignitosa e attenta di

colui che ama. Si tratta dello stesso verbo che il quarto vangelo usa

riferendosi a coloro che stavano sotto la croce.

Anche il riferimento al pianto è da non sottovalutare. Si tratta di un

participio presente, klaiousa, cioè piangente: indica un pianto a dirotto,

segno di un amore ferito. San Giovanni della Croce esprime lo stesso

sentimento con questi versi:

Dove ti sei nascosto, Amato?

Sola qui, gemente, mi hai lasciata!

Come il cervo fuggisti, dopo avermi ferita;

gridando t’inseguii: eri sparito!2

1 San Giovanni della Croce, Cantico,14.

2 San Giovanni della Croce, Cantico, 1.

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Nonostante tutto, Maria continua a cercare. Sant’Agostino annota: «Gli

occhi che avevano cercato il Signore e non lo avevano trovato, si empirono

di lacrime, dolenti più per il fatto che il Signore era stato portato via dal

sepolcro, che per essere stato ucciso sulla croce, perché ora di un tal

maestro, la cui vita era stata loro sottratta, non rimaneva neppure la

memoria. Era il dolore che teneva la donna avvinta al sepolcro»3.

Papa Francesco commenta le lacrime della Maddalena con queste

parole: «Vedendo questa donna che piange possiamo anche noi domandare

al Signore la grazia delle lacrime. È una bella grazia. […]. Quella gioia che noi

abbiamo chiesto di avere in cielo e che adesso pregustiamo. Piangere. Il

pianto ci prepara a vedere Gesù»4. Anche tu, caro Luca, chiedi al Signore il

dono delle lacrime per imparare a vedere il Signore.

La chiamata

Le lacrime, però, non sono sufficienti. Occorre ascoltare la Voce. Alla

voce degli angeli Maria non reagisce, tutta presa dal dolore e dal desiderio di

trovare il Signore. Per sant’Agostino, dicendo a Maria di non piangere,

sembra che gli angeli le vogliano impedire di farlo, poiché «ormai era venuta

l’ora in cui il pianto si sarebbe tramutato in gaudio»5. Gli angeli sono i primi

ad accompagnare la Maddalena a comprendere la verità della resurrezione.

Sono dei mistagoghi che progressivamente la introducono all’incontro con

Cristo risorto. È, infatti, la sua voce a spalancarle la luce della fede pasquale.

Egli si fa riconoscere non dall’aspetto, ma dalla voce che le rivolge la

domanda fondamentale: «Chi cerchi?» (Gv 20,15).

La donna ha un amore grande, ma la sua mente non è capace di afferrare

il mistero. Il momento culminante è quando Gesù la chiama per nome. A

quel punto, lei riconosce la voce inconfondibile del Maestro, il suo tono, la

sua dolcezza. Nel sentirsi chiamata, Maria riscopre se stessa, la sua identità

più profonda, la sua vocazione. È un attimo bellissimo: chiamandola per

nome, Gesù risuscita in lei la speranza e l’amore.

3 Agostino, Commento al Vangelo di S. Giovanni, 121, 1.

4 Papa Francesco, Omelia, martedì, 2 aprile 2013.

5 Agostino, Commento al Vangelo di S. Giovanni, 121, 1.

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Anche nella tua vita, caro Luca, vi sono state diverse persone che, quasi

come angeli custodi, ti hanno accompagnato nella tua ricerca. Sii ricono-

scente per l’aiuto che ti hanno donato. Essi avevano solo una funzione

vicaria. Tu sai bene che è stato il Signore a condurti per mano, anche

attraverso di loro. Lui, il Signore è stato il tuo pastore e il tuo maestro. Lui ti

ha attirato a sé, ti ha condotto nel deserto e ha parlato dolcemente al tuo

cuore (cfr. Os 2,2).

L’incontro

Alle parole di Gesù, come per incanto, Maria si volta verso di lui (cfr. Gv

20,14). Esce così dal suo dolore, e si apre alla nuova vita. La voce del

Maestro provoca in lei un movimento spirituale che esprime la disponibilità

ad incontrarsi con lui. Il processo interiore è descritto in modo mirabile da

un anonimo medievale: «Donna perché piangi, Chi cerchi? Colui che tu

cerchi, già lo possiedi e non lo sai? Tu hai la vera ed eterna gioia e ancora tu

piangi. Questa gioia è nel più intimo del tuo essere e tu ancora lo cerchi al di

fuori? Tu sei là, fuori, a piangere presso la tomba. Il tuo cuore è la mia

tomba. E lì io non sto morto, ma vi riposo vivo per sempre. La tua anima è il

mio giardino. Avevi ragione di pensare che io fossi il giardiniere. Io sono il

nuovo Adamo. Lavoro nel mio paradiso e sorveglio tutto ciò che accade. Le

tue lacrime, il tuo amore, il tuo desiderio, tutte queste cose sono opera mia.

Tu mi possiedi nel più intimo di te stessa senza saperlo ed è per questo che

tu mi cerchi fuori. È dunque anche fuori che io ti apparirò, e così io ti farò

ritornare in te stessa, per farti trovare nell’intimo del tuo essere colui che tu

cerchi altrove6.

Papa Francesco sottolinea che tutta la vita cristiana consiste nell’incon-

trare Gesù. «La cosa più importante che a una persona può accadere è

incontrare Gesù […]. È proprio del cristiano incontrare sempre Gesù,

guardarlo, lasciarsi guardare da Gesù»7.

6 Anonimo, Meditatio de Passione et Resurrectione Christi, 38: PL 184, p. 766.

7 Papa Francesco, Omelia nella Messa per la visita pastorale alla parrocchia romana di San

Cirillo Alessandrino, 1 dicembre 2013.

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Il riconoscimento

Certo, è strano che Maria all’inizio non riconosca Gesù. La voce di Cristo

le consente di aprire i suoi occhi. Finalmente lei vede. Il verbo vedere è di

particolare importanza poiché in questo brano Giovanni usa tre diversi modi

per esprimere le diverse tappe del processo interiore di crescita. Il primo è

scorgere (blèpein) indica un guardare solo esteriore; il secondo (theorèin)

vuol dire osservare in modo intenzionale e attento; il terzo (eidèin)

sottolinea il vedere totale: il vedere che è anche un conoscere e un credere.

La bella frase «ho visto il Signore!» (Gv 20,18), esprime il cammino compiuto

da Maria. Ella è approdata progressivamente a un vedere più profondo.

Anche tu, caro Luca, in questo periodo di discernimento hai incontrato Gesù,

lo hai riconosciuto e puoi dire di averlo visto.

La missione

A questo punto Gesù invita Maria a non trattenerlo (cfr. Gv 20,17). In

latino, la famosa espressione recita: «Noli me tangere». Nel testo originale

greco troviamo: «Me mou hàptou». Secondo sant’Agostino, Gesù vuole

portare Maria a credere in lui non solo come uomo, ma come Dio8. Per

aprirsi al vero orizzonte del mistero ella deve crescere di più nello Spirito e

per questo le occorrono gli “occhi” della fede.

Un’altra possibile interpretazione è che Maria non deve perdere tempo!

Non deve tenere l’esperienza per sé, ma deve correre subito ad annunciarla

ad altri, aiutandoli a fare il suo stesso passaggio. Ella è ormai diventata una

vera apostola, anzi “l’apostola degli apostoli”! Da essere una donna piena di

dolore, chiusa in se stessa, l’amore l’ha trasformata nella testimone privile-

giata della resurrezione e nella prima evangelizzatrice. La fede è amore che

si fa ascolto, visione, riconoscimento e, infine, diventa servizio ai fratelli.

Anche a te, caro Luca, chiederanno: Raccontaci, che hai visto lungo la

via? Forte della tua personale esperienza di Gesù risorto, come le vergini

sagge dovrai gridare a tutti:

8 «Maria forse credeva in lui, ritenendo tuttavia che egli non fosse uguale al Padre»

(Agostino, Commento al Vangelo di S. Giovanni, 121, 3).

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Facciamo dell’anima nostra una lampada inestinguibile

per Cristo, lo Sposo!

Entriamo con lui,

perché il talamo sta chiudendosi!

Non rimaniamo fuori a gridare:

«Apri!»9.

9 Romano il Melode, Le dieci vergini II; Cantici, a cura di R. Maisano, UTET, Torino 2002,

vol. II, p. 347.

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MIRELLA SOLIDORO: VITA COME ESPERIENZA PASQUALE*

Cari fratelli e sorelle,

il mistero della Pasqua di Cristo è il centro di tutta la storia della salvezza,

il nucleo essenziale della missione della Chiesa, il fulcro della vita cristiana.

Tutto parte dalla resurrezione di Gesù e a questo mistero bisogna continua-

mente ritornare per fare un’esperienza pasquale.

Cristo risorto non muore più. Egli « è lo stesso ieri, oggi e sempre» (Eb

13,8). Il Vivente è sempre presente in mezzo a noi e accompagna il cammino

della Chiesa.

La Chiesa è la comunità pasquale che vive nel tempo. L’incontro di Gesù

risorto con i suoi discepoli (cfr. Gv 20,19-29) si rinnova ogni domenica.

L’“ottavo giorno” Cristo incontra i suoi discepoli riuniti per celebrare i divini

misteri. A loro rivolge la sua Parola, si lascia toccare le piaghe, si offre nel

pane eucaristico.

L’incontro con Cristo si realizza soprattutto attraverso i sacramenti. Nella

Colletta abbiamo ricordato i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Attraverso

i riti sacramentali realizziamo esperienze vitali con Cristo Risorto. Lui vive in

noi, noi entriamo in lui. In tal modo, ci immettiamo sempre più profonda-

mente nel suo mistero di morte e di resurrezione. Ogni volta, moriamo

sacramentalmente e risorgiamo spiritualmente.

È importante, cari fedeli, ricordare queste verità. Comprendiamo allora

che l’esperienza fatta da Mirella interpella anche noi. Il suo incontro con

Cristo è stato sacramentale ed esistenziale. La sofferenza è stata attraver-

sata dalla luce della Pasqua di Cristo. Attraverso il suo dolore si è unita in

modo più profondo con il mistero della Pasqua di Gesù. In tal modo ci ha

ricordato che il mistero pasquale è unità inscindibile di morte e re-

surrezione, passione e risveglio della vita, dolore e gioia, oscurità e luce.

* Omelia nel quarto anniversario della traslazione dei resti mortali della Serva di Dio Mirella

Solidoro, Parrocchia “Santi Martiri G. Battista e M. Goretti”, Taurisano, 11 aprile 2015.

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Anche noi dobbiamo vivere la forma sacramentale ed esistenziale del

mistero pasquale. Ogni giorno dobbiamo fare l’esperienza di morte e di

risurrezione: nei fatti che accadono, negli avvenimenti che si realizzano nella

nostra storia personale e familiare e, allargando l’orizzonte, nella storia

dell’umanità.

L’esperienza di Mirella Solidoro deve ricordarci che la Pasqua di Cristo è il

centro della nostra vita. Non si tratta di un’esperienza per privilegiati, ma di

una concreta possibilità di incontrare Gesù risorto, il Vivente, anche nella

sofferenza e, addirittura, nella morte.

L’ammirazione per la coraggiosa testimonianza di Mirella non deve

essere un fatto emozionale, ma deve trasformarsi in cammino spirituale.

Mirella ci risveglia dalla nostra tiepidezza e ci testimonia che anche il dolore

contiene la luce sfolgorante del mistero pasquale di Cristo, soprattutto se

noi lo viviamo come lo ha vissuto lui.

Per Cristo, la morte è stata un atto di obbedienza al Padre. Egli ha

consegnato la propria vita a Dio, si è abbandonato totalmente in lui, si è

affidato senza riserva al suo amore e alla sua misericordia. Proprio sulla

croce, Gesù si è rivolto a Dio con queste parole: «Padre, nelle tue mani

consegno il mio spirito» (Lc 23,46). Così ha fatto anche Mirella. Nell’oscurità

della sofferenza, ella diceva: “Signore, mi offro, mi consegno, mi affido, mi

metto nelle tue mani”. Questa è la fede: la fede che Cristo ha vissuto sulla

croce, la fede che Mirella ha testimoniato in tutta la sua vita.

Attraverso la croce Cristo ha compiuto il mistero della redenzione e ha

purificato il male del mondo. Il dolore è diventato uno strumento per dona-

re vita. Come la donna soffre e geme le doglie del parto per generare alla

luce il bambino così Cristo è morto per donare la vita al mondo, dare corag-

gio agli sfiduciati, offrire speranza agli smarriti di cuore, infondere fiducia

agli afflitti e agli oppressi dalla sofferenza e dal dolore. La stessa cosa ha fatto

Mirella. Ella ha vissuto la sua malattia per dare fiducia e speranza a tutti.

Cari fedeli, l’esperienza pasquale, è una grande realtà: ci aiuta a com-

prendere il senso della nostra vita, ci introduce nel mistero di Dio, ci fa

sperimentare la profondità del nostro mistero, raccoglie in unità tutti gli

aspetti della vita e li trasfigura.

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Mentre facciamo memoria della traslazione dei resti mortali di Mirella,

cerchiamo anche di attingere dal suo luminoso esempio e viviamo anche noi

la nostra personale esperienza pasquale. Non riduciamo il nostro riferi-

mento alla Serva di Dio soltanto ad un fatto emozionale. Viviamo anche noi

profondamente e personalmente il mistero della Pasqua di Cristo, intensifi-

cando la nostra unione con lui in tutti i momenti della nostra vita.

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GLORIA TIBI TRINITAS ET CAPTIVIS LIBERTAS*

Caro fra’ Pasquale,

cari sacerdoti, fratelli e sorelle,

celebro questa liturgia con una gioia particolare perché in questo giorno

ricorre il 38° anniversario della mia ordinazione sacerdotale. Valgono anche

per me la parole di Gesù «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi

ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga» (Gv

15,16). Noi sacerdoti siamo stati scelti non come servi, ma come amici (cfr.

Gv 15,15) perché siamo stai messi a conoscenza dei misteri della salvezza.

Per te, caro fra’ Pasquale, l’ordinazione sacerdotale ti configura a Cristo e

ti inserisce in modo tutto speciale nella tua famiglia spirituale: l’Ordo

Sanctissimae Trinitatis. Nel messaggio inviato dal Ministro Generale, Fr. Jose

Narlaly (giugno 2014), sono indicate le tre passioni che devono animare tutti

i membri dell’Ordine: «la Santa Trinità, i cristiani perseguitati, poveri e

schiavi, e la comunità».

Rimanere dentro il cerchio d’amore della Trinità

L’ordinazione sacerdotale ti inserisce più profondamente nel mistero

della Trinità. Scrive il Ministro Generale: «Il nostro nome e titolo speciale, è

sia un grande privilegio che una responsabilità. Siamo vasi scelti per portare

nel mondo intero l’ammirabile nome della Santissima Trinità».

Queste parole sembrano fare eco a quelle rivolte da Gesù ai suoi

discepoli: «Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi. Rimanete

nel mio amore» (Gv 15,9). Il verbo greco menein può essere tradotto in

italiano con rimanere, ma anche con abitare, dimorare. In altri termini fa

riferimento a un’esperienza costante: vivere dentro la Parola di Gesù è

vivere avendo dentro di sé la Parola di Gesù. Le due dimensioni sono

equivalenti: Cristo in noi e noi in Cristo. * Omelia nella Messa di ordinazione presbiterale di fra’ Pasquale Pizzuti, Parrocchia “San

Rocco”, Gagliano del Capo, 23 aprile 2015.

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Attraverso di lui veniamo inseriti nella comunione e nell’amore del

Padre. Entriamo cioè nel cerchio dell’amore trinitario che è splendida luce,

bellezza ineffabile, misericordia eterna. Al termine del Paradiso, Dante fissa

lo sguardo sulla profonda e luminosa essenza della luce trinitaria e vede tre

cerchi, di tre colori diversi e uguali dimensioni. Il secondo (Figlio) sembra un

riflesso del primo (Padre), come un arcobaleno riflesso da un altro. Il terzo

(Spirito Santo) sembra una fiamma che spira egualmente dagli altri due. Alla

vista di quel luminosissimo splendore, il poeta canta:

O luce eterna che sola in te sidi,

sola t’intendi, e da te intelletta

e intendente te ami e arridi1.

La Trinità è sorgente di fraternità

La Trinità è il grande mysterium salutis non un complicato mysterium

logicum. Non si tratta di una formula, ma di un’energia divina che cambia la

vita. «La Trinità è per sua natura santità e unità, uguaglianza e amore, la

Trinità è un solo e vero Dio, e unanime è l’azione santificatrice operata dalle

tre Persone in coloro che sono stati adottati come figli»2. Sotto questo

profilo, la spiritualità del vostro Ordine è in aperta contraddizione con

quanto asseriva il filosofo I. Kant in una sua famosa asserzione: «Dal dogma

della Trinità, preso alla lettera, non si potrebbe assolutamente cavare nulla

per la prassi, anche nel caso in cui si credesse di capire; e ancor meno ove ci

si renda conto che esso supera ogni nostro concetto […]. La dottrina della

Trinità è sotto il profilo pratico del tutto inutile»3.

Certo, per molto tempo, è sembrato che il mistero della Trinità fosse solo

un asserto teologico senza conseguenze per l’esistenza cristiana. In realtà, la

contemplazione del mistero trinitario non è una fuga dal mondo, ma la più

profonda immersione nella storia4. Per questo il Ministro Generale del vo-

1 Dante, Paradiso, XXXIII, 124-126.

2 San Fulgenzio di Ruspe, Libri a Mònimo 2,12.

3 I. Kant, Il conflitto della facoltà, a cura di A. Poggi, Genova 1953, p. 47.

4 «Convivere con la Trinità dentro di noi dispone l’animo a convivere poi con Gesù nei

fratelli» (C. Lubich, Detti Gen, Città Nuova, Roma 1969, p. 38).

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stro Ordine ha scritto nel suo messaggio: «La indivisibile Trinità è nuovamen-

te il massimo modello per ciascuna delle nostre comunità. Diversi come le

Tre persone della Trinità, i suoi membri, vivendo in autentica fraternità,

fanno sì che ciascuna comunità sia immagine della vita divina trinitaria. La

comunità autentica resta sempre unita».

L’impegno a vivere la fraternità è, dunque, il secondo imperativo del tuo

sacerdozio. Per questo dovrai accogliere il monito dell’apostolo Paolo il

quale esorta a «edificare il corpo di Cristo» (Ef 3, 12) «cercando di conser-

vare l’unità» (Ef 4,3).

L’affermazione che la vita intima di Dio è il supremo modello di unità è

un tema ricorrente nei documenti del Concilio Vaticano II5. In consonanza

con questa prospettiva conciliare, Papa Francesco sottolinea che occorre

vivere una “fraternità mistica”, una fraternità «contemplativa, che sa

guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni

essere umano, che sa sopportare le molestie del vivere insieme aggrap-

pandosi all’amore di Dio, che sa aprire il cuore all’amore divino per cercare

la felicità degli altri come la cerca il loro Padre buono»6.

Al tempo stesso bisogna aspirare a vivere una “mistica della fraternità”.

Occorre cioè «scoprire e trasmettere la “mistica” di vivere insieme, di

mescolarci, di incontrarci, di prenderci in braccio, di appoggiarci, di parte-

cipare a questa marea un po’ caotica che può trasformarsi in una vera

esperienza di fraternità, in una carovana solidale, in un santo pellegrinag-

gio»7. Il Vangelo, infatti, «ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro

con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore

e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo»8.

Vivere il mistero della Trinità significa vivere un’intensa vita fraterna,

travasando nell’amore ai fratelli l’amore ricevuto in dono dalle tre divine

persone. L’amore di Dio e l’amore del prossimo si fondono insieme. Nel-

l’altro uomo incontriamo Gesù stesso e in Gesù incontriamo Dio.

5 Cfr. GS 24, 40, 21; UR 2; LG4, 47; PC 1.

6 Papa Francesco, Evangelii gaudium, 92.

7 Ivi, 87.

8 Ivi, 88.

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La Trinità è fonte di liberazione

La comunione con Dio diventa comunione con i fratelli. «Solo una persona

che vive in profonda unione con Dio, – ha scritto nel suo Messaggio il Ministro

Generale – può cercare e trovare veramente il suo volto in quello del povero e

in colui che soffre, così come nel fratello o sorella che vive al suo fianco».

La grande sfida dell’umanità, oggi, è pensare “trinitariamente” tutta la vita

sociale e le strutture in cui essa si organizza. «La santa Trinità è il nostro

programma sociale» è l’espressione più citata oggi da molti teologici delle

diverse confessioni cristiane, autori che parlano del rapporto tra società

umana e Trinità9, ma che sembra avere origini già in S. Sergio, il grande mona-

co ortodosso russo del sec. XIV10. Nel mistero della Trinità c’è la grammatica,

la chiave per interpretare e per impostare tutta l’esistenza. Occorre contribui-

re con i fatti ed il pensiero ad esplicitare nella storia, in tutte le sue immense

virtualità, l’immagine trinitaria della persona e della comunità umana11.

In realtà bisogna pensare che, prima di essere un’azione dell’uomo, la

trasformazione sociale è opera della Trinità. «Con un lavoro secolare la

Trinità sta trasformando, per purificazione e dilatazione, la comprensione di

Dio che l’uomo aveva elaborato [...]. Dagli abissi della cultura d’oggi deve

esplodere una vita nuova e pensare nuovo. Una vita che sia già fin d’ora

Trinità [...]. Un elaborare istituzioni e strutture che calino per quanto è

possibile queste realtà nella prassi di tutti i giorni [...]. Occorre dilatare

queste realtà. Farle entrare in tutte le espressioni dell’uomo»12.

La mistica trinitaria diventa così sorgente di liberazione e criterio del

vivere sociale e della stessa organizzazione economica. La vera mistica,

infatti, non ha il sapore di una ricaduta intimistica, ma ha sempre «un

carattere sociale»13 e per questo «il principio di gratuità e la logica del dono

come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la

9 Cfr. ad esempio G. Gutierrez, Parlare di Dio a partire dalla sofferenza dell’innocente,

Queriniana, Brescia 1986; Id., Il Dio della vita, Queriniana, Brescia 1992. 10

Cfr. G. M. Zanghì, Dio che è Amore. Trinità e vita in Cristo, Città Nuova Ed., Roma 19922, p. 143. 11

Cfr. P. Coda, Dio Uno e Trino, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1992, p. 262 ss. 12

G. M. Zanghì, Il problema ateismo, Città Nuova Ed., Roma 1986, 222 ss. 13

Papa Benedetto XVI, Deus caritas est, 14.

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normale attività economica»14. Conseguentemente si deve ritenere che

«rispecchia il Dio trinitario solo un’umanità una, unica ed unificante senza

dominio di classe e senza oppressione dittatoriale. Questo è il mondo in cui

gli uomini si caratterizzano per le loro relazioni sociali e non per il loro

potere o per quanto possiedono. Questo è il mondo, in cui gli esseri umani

hanno tutto in comune e tutto condividono, fatta eccezione per le loro

caratteristiche personali»15.

Le tre persone divine agiscono insieme e ognuna di loro compie uno

specifico intervento. L’iniziativa spetta al Padre. Come nella vita trinitaria

egli è l’eterna sorgente dell’amore, il principio senza principio così nella vita

e nella storia dell’umanità egli è l’inizio e il compimento di ogni cosa.

In quanto pura accoglienza, il Figlio rivela l’importanza del lasciarsi

amare. Anche la vita umana deve esprimere la relazione tra il donare e il

ricevere. Nella Trinità, fra l’Amante e l’Amato, lo Spirito è l’eterno legame di

unità. Allo stesso modo, egli è il fondamento dell’unità sociale. Nel cristiane-

simo si sono sviluppate due tradizioni complementari. La teologia latina ha

sottolineato il fatto che lo Spirito è l’amore tra il Padre e il Figlio; quella

orientale ha messo in evidenza che lo Spirito è l’estasi (l’«uscita») di Dio

verso la creatura. Come nella Trinità lo Spirito fonda il mutuo amarsi e

donarsi delle Persone così nel rapporto ad extra, lo Spirito realizza lo

scambio d’amore tra la creatura e il creatore. Il Padre è la giustizia dei

poveri, il Figlio è il liberatore di tutti, lo Spirito Santo è Spirito di verità e di

fortezza, il quale dona a tutti la forza di dare testimonianza con gioia in

mezzo all’avversità, alle difficoltà sociali e alla persecuzione.

Caro fra’ Pasquale,

facendo nostra l’esortazione di Paolo, ti «affidiamo al Signore e alla

parola della sua grazia» (At 20,32). La tua conformazione sacramentale a

Cristo ti inserisca sempre più nel cerchio della comunione trinitaria e ti abiliti

ad annunciare a tutti la forza liberatrice e liberante che scaturisce da questo

ineffabile e divino mistero.

14

Id., Caritas in veritate, 36. 15

J. Moltmann, Sulla Trinità, M. D’Auria Ed., Napoli 1982, p. 36.

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IL SOGNO DI DON TONINO*

C’è il don Tonino che chiede al suo vescovo, Giuseppe Ruotolo, di rinun-

ciare all’incarico onorifico di monsignore di sua Santità e quello che ne luglio

1978 scrive all’arcivescovo di Taranto, Guglielmo Motolese, per rinunciare a

diventare rettore del seminario liceale di Taranto non per fuggire dalle

responsabilità ma per continuare l’esperienza in parrocchia nella sua diocesi

d’origine, Ugento - Santa Maria di Leuca, dove è nato e dove ora – nel picco-

lo cimitero di Alessano divenuto meta di incessanti pellegrinaggi – è sepolto.

Ci sono diari, articoli, cronache e omelie occasionali che svelano il tratto più

autentico di don Tonino Bello nel periodo in cui era seminarista e poi

giovane prete nella sua terra natale, il Salento.

Mons. Vito Angiuli, vescovo di Ugento - Santa Maria di Leuca e profondo

studioso dell’opera di don Tonino, in un bel volume edito da Ed insieme (La

terra dei miei sogni. Bagliori di luce dagli scritti ugentini) ha raccolto, insie-

me a Renato Brucoli, l’opera omnia degli scritti editi ed inediti composti da

mons. Bello tra il 1954, quand’era un giovane seminarista, e il 1982, anno

dell’elezione episcopale. «Dimostrano», spiega Angiuli, «che nella vita di don

Tonino non c’è un prima e poi ma una continuità di prospettive e di ideali

nel vivere il Vangelo».

Perché don Tonino Bello è un sognatore che lei accosta ai grandi santi

della chiesa e a figure laiche come Einstein, Gandhi, Martin Luther King?

Non sono io a qualificare don Tonino come un sognatore, ma è lui stesso.

Basta leggere i due diari riportati nel libro per comprendere che ci troviamo

di fronte a una persona che non ha mai smesso di “meravigliarsi” e di

guardare la realtà e le persone con occhi trasognati. Come altro si dovrebbe

definire una persona che dice di se stesso: «Sono un polpettone di carne e di

* Intervista ad Antonio Sanfrancesco per “Famiglia Cristiana” online sul libro La terra dei

miei sogni.

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spirito, di passioni indomite e di mistiche elevazioni, di ardimenti coraggiosi

e di depressioni senza conforto» (p. 86)?

Qual era il sogno di don Tonino? E in che modo è legato alla sua terra

natale?

Gli “scritti ugentini” individuano chiaramente il “sogno” di don Tonino,

maturato nella sua terra e vissuto anche oltre: il sogno di una fede che si

incarna (p. 197); il sogno della comunione ecclesiale e dei legami con Dio,

con i fratelli di fede, con i lontani; il sogno di una Chiesa che si fa missionaria

(p. 394); il sogno della famiglia umana che vive nella giustizia, nella pace, nel

servizio ai poveri; il sogno di “cieli nuovi e terra nuova” (2Pt 3,13) che fa

germogliare una nuova primavera. Se si legge la descrizione che egli fa della

sua terra (si vedano, ad esempio, le pagine 58-61 dei diari) si comprende che

per lui la sua è “una terra da sogno”.

Dagli scritti del periodo vissuto nella sua terra natale qual è lo stile e la

cifra spirituale che emerge di lui?

Anche in questo caso, la lettura dei diari è illuminante. Da quelle pagine

emerge la sua statura spirituale: il desiderio di Dio, l’amore a Cristo, la

scoperta della devozione alla Madonna. Le cito solo tre frasi: «Dio mio;

come vorrei piangere e piangere per dirti con le lacrime che ti voglio bene,

che ho fame e sete di te. Quanta poca gloria ti hanno cantato questi miei 25

anni di vita?» (p. 46); «È tanto bello assaporare l’ebbrezza della Grazia di

Dio, che ogni letizia, in confronto, è zero» (p. 54); «Signore Gesù, dammi

forza: non mi lasciare solo, amico mio. Stammi vicino sempre, nel cuore,

nell’angolo più riposto e solitario dell’anima. Fammi respirare il tuo respiro,

battere con il tuo cuore, vivere la tua vita. Teniamoci per mano, Gesù, come

due scolaretti che vanno in fila contenti» (p. 63).

C’è uno scritto o un episodio particolare che l’ha più colpita da questi

scritti?

Non è facile operare una scelta tra i suoi scritti. Se proprio devo

indicarne qualcuno citerei l’omelia per i martiri di Otranto (pp. 533- 544) e

la descrizione del suo Vescovo: mons. Giuseppe Ruotolo (pp. 545-557).

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L’omelia attualizza un fatto del passato alla nostra realtà contemporanea. In

alcuni passaggi, sembra di udire la voce di san Giovanni Paolo II. Così scrive

don Tonino: «Non abbiate paura! Se la paura bussa alla tua porta, manda ad

aprire la tua fede, la tua speranza, la tua carità, ti accorgerai che fuori non

c’è nessuno. Allora coraggio carissimi fratelli!» (p. 543). Il vescovo, poi, è

descritto come un “vescovo fatto popolo”, ideale che ha animato lo stile

pastorale di don Tonino.

Nel volume lei scrive che don Tonino nella sua vita ha provato “il

tradimento dei chierici”. Cosa significa?

Il tradimento si è perpetuato e si continua a perpetuare in due direzioni.

C’è chi si compiace di ripetere le sue parole senza compiere i suoi gesti. Ed

anche quando si sforza di compierli, lo fa per puro umanitarismo. In don

Tonino, invece, è impossibile scindere parola, gesti e convinzioni di fede.

Don Tonino non è un prodotto della “cultura postmoderna”, ma un

testimone della fede e della carità cristiana. C’è poi chi, consapevolmente o

inconsapevolmente, scinde l’aspetto sociale da quello etico. Don Tonino

viene esaltato come “profeta di pace, di giustizia, di amore ai poveri”, ma

nulla si dice della sua strenua difesa della vita umana. Le pagine di questo

libro presentano a chiare lettere il suo impegno contro il divorzio (219-225 ) e

contro l’aborto (cfr. pp. 325-331). Contro il divorzio afferma: «È una frattura. È

un regresso. È una involuzione. È lo sgretolarsi di un edificio. È il frantumarsi di

una scultura. È l’inaridirsi di uno stelo» (p. 223). Contro l’aborto rileva che «è

veramente strano e paradossale che oggi la nostra società si batta con tanto

calore per il rispetto della vita al punto da abolire la pena di morte… sia in

pieno svolgimento la campagna contro l’ergastolo… e si sostenga poi la

soppressione in massa di vite umane» (p. 326). Chiedo ai “chierici del nostro

tempo”, volete continuare a perpetuare il vostro tradimento?

Nell’omelia di commiato dai suoi parrocchiani di Tricase scriveva: “A cosa

servono i discorsi? Serve la vita, serve l’impegno, serve l’amore, serve anche

la sofferenza offerta al Signore”. Cosa resta oggi di don Tonino a 22 anni

dalla sua morte?

Sono molte le cose che restano di don Tonino e che, per certi versi,

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somigliano a quanto insegna Papa Francesco. Richiamo alcuni aspetti: il

substrato conciliare del suo pensiero e del suo impegno di testimonianza;

l’unità tra gesti e parole (verbis gestisque); la passione per la vita; l’amore

per i giovani e i poveri. In un tempo, come il nostro, contrassegnato dal

“disincanto”, dalle “passioni tristi”, dall’individualismo e dal nihilismo, i

valori testimoniati da don Tonino le sembrano cose di poco conto? In una

società a capitalismo avanzato che produce povertà, frammentazione e

guerre il suo richiamo a “farsi prossimo” non è un sapiente antidoto alla

catastrofe sociale? In un contesto comunicativo che adotta prevalente-

mente un linguaggio virtuale e massmediale nel quale le parole perdono il

loro valore, la sua capacità di creare un linguaggio nuovo che diventa “lingua

comune” per credenti e non credenti non è l’inizio dell’avverarsi del suo

sogno?

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DON TONINO BELLO VISTO DA VICINO*

UNA FEDE COLMA DI UMANITÀ

Presentazione

Penso che al vescovo Vito Angiuli si debbano riconoscere almeno tre tito-

li, che lo accreditano quale interprete autentico della figura e del pensiero

del Servo di Dio Antonio Bello, don Tonino come in tanti lo abbiamo chiama-

to, conosciuto, amato. «Autentico», dico, col significato originale d’indubita-

bile autorevolezza, ch’è pure espressiva di quella appropriata «vicinanza»,

cui il titolo di questo libro allude. Egli, anzitutto, ha conosciuto di persona

mons. Bello, giacché gli anni della sua presenza quale sacerdote educatore e

docente a Molfetta presso il Seminario Regionale Teologico coincidono con

quelli dell’episcopato molfettese del vescovo Bello (1982-1993). Tale pre-

senza nel contesto culturale e religioso della città di Molfetta, prolungatasi

negli anni successivi, gli permette, in secondo luogo, di sapere intendere in

modo appropriato i tanti riferimenti, pastorali e ambientali di vario genere,

disseminati a piene mani negli scritti e negli interventi di mons. Bello. Il terzo

titolo gli proviene dall’essere oramai da oltre quattro anni vescovo della

Chiesa di Ugento-Santa Maria di Leuca: la Chiesa dove don Tonino è stato

battezzato, per la quale è divenuto presbitero, da cui è partito per la missio-

ne episcopale e che oggi custodisce le sue spoglie.

Nelle sue Metamorfosi, Ovidio narra che, a Delfo, Enea ricevette dal-

l’oracolo il responso di «cercare l’antica madre e la terra d’origine» (qui pe-

tere antiquam matrem cognataque iussit: XIII, 678). Mons. Angiuli ci fa capi-

re che la tomba di don Tonino nella sua terra d’origine non fu un destino,

ma una scelta: «Ho amato questa terra – gli fa dire –. Ho suggellato il patto

di amore con la mia terra chiedendo di essere seppellito accanto a mia ma-

dre». In questa terra antica e mariana, Angiuli sta respirando la medesima

* V. Angiuli, Don Tonino Bello visto da vicino, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) maggio

2015; la Presentazione di mons. Marcello Semeraro è alle pagine 5-9, l’Introduzione di mons. Vito Angiuli alle pagine 11-20.

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aria spirituale e culturale che animò don Tonino Bello e anche questo gli

permette di stabilire con lui una singolare sintonia, sì da metterlo in condi-

zione di farlo parlare ancora.

Defunctus adhuc loquitur: è un detto latino che ancora oggi talvolta si ri-

pete. Non sempre, però, consapevoli donde esso proviene. È dalla Lettera

agli Ebrei (11,4), che deriva, riferito ad Abele che dalla sua offerta ricevette

da Dio la testimonianza di «essere giusto» e questa ci attesta che Abele per

la sua fede sopravvive dopo la morte. In qualche maniera un’associazione

con don Tonino potrebbe esserci. Sostando presso la sua tomba, Angiuli gli

domanda: «Cosa ne sarà di questo mondo, / dove è ancora versato il sangue

di Abele / e nuovi emuli di Caino si aggirano cupi, / incuranti del pianto degli

umili?». Glielo domanda perché sa che egli vive dopo la sua morte. Per la

sua fede! Ed ecco che gli pone sulle labbra la confessione d’avere varcato la

porta della fede già succhiando il latte materno («il cordone ombelicale della

fede materna non si è più spezzato»). Gli fa anche dire: «ho voluto far per-

cepire che la fede è vita e che la vita è bella». Ne ricava, infine, un decalogo

della fede secondo don Tonino: una fede di popolo, una fede come avveni-

mento, una fede gioiosa, accogliente e così avanti sino a fede come abban-

dono. È la fede del venerdì santo, vissuta anche questa da d. Tonino. È per

questo che, come Abele, defunctus adhuc loquitur.

Per questo, «la tomba di don Tonino attira», come riconosce il vescovo

Angiuli che, intanto, non manca d’istruire, con appropriata e delicata atten-

zione, sul valore di una visita. Scrive: «Cercare don Tonino presso la sua

tomba può diventare un inganno, se questo gesto non dovesse spingerlo a

cercarlo nella vita. Nasce spontanea allora la domanda: Se non è qui, dov’è?

Dove è possibile incontrarlo vivo e riconoscerlo vivente?». La domanda po-

sta richiama l’evento pasquale, di cui partecipano tutti quelli che in Domino

moriuntur.

Proprio ad esso rimanda Angiuli ad una prima risposta e non potrebbe

essere che così. Egli allude pure alla memoria passionis, tema caro al teologo

J. B. Metz, che la definisce, appunto, ein provozierendes Gedächtinis, un ri-

cordo «provocatorio» e perciò pericoloso perché, spiega il vescovo, «la me-

moria della persona di Gesù Cristo e la sua narrazione come storia di libertà

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svolgono il compito di vigilanza critica e di “riserva escatologica” contro ogni

tentativo di precostituire una fede senza aderenze alla vita». La Liturgia, in

particolare, è la memoria Jesu; il memoriale dove «la comunità cristiana inau-

gura una nuova cultura e propone un’ermeneutica del dono e della gratuità

quale profezia e lotta contro la debolezza del soggetto, la decadenza del lin-

guaggio, il congedo dalla storia».

Questa risposta, però, non è l’unica. Un’altra è la seguente: «Don Tonino

è vivo nei sogni coltivati durante il giorno, a contatto con la vita reale delle

persone, entrando profondamente nelle “vene della storia”». Il «sogno» è

uno dei temi più affascinanti, sotto il profilo onirico, indubbiamente, ma non

solo. Nella sua filosofia della speranza, E. Bloch affida ai Wachträume, ossia

ai sogni ad occhi aperti un posto determinante. Ne va dell’umano, annota

Angiuli: «Per vivere è necessario sognare. Chi ha avuto un sogno “vero” e

l’ha riconosciuto, non può non farne la “passione della sua vita”»; e aggiun-

ge che i santi (alla cui categoria volentieri sarà annoverato don Tonino) sono

i grandi sognatori della storia della Chiesa.

Al riguardo, mi torna alla memoria una frase di J. M. Bergoglio, ora il Pa-

pa Francesco, che diceva: «Mirar nuestra historia es, sin duda, por la frag-

mentariedad misma de nuestro entender, recorrer parcellas pero avizorando

pampas, mirar fragmentos pero contemplando formas (“guardare la nostra

storia significa attraversare cortili scorgendo vaste fertili pianure, osservare

dei frammenti ma contemplare forme”)» (in Meditaciones para religiosos,

Edic. D. De Torres, Buenos Aires 1982, 11). Egli parlava ai novizi della spiri-

tualità ignaziana; il significato, però, non è affatto distante da quanto riferi-

bile a mons. Bello.

Una volta ricordato papa Francesco, mi piace di nuovo qui sottolineare

un’altra somiglianza, che richiamai quando, invitato da mons. Angiuli per il

32° dell’ordinazione episcopale di mons. A. Bello, il 30 ottobre 2014 celebrai

l’Eucaristia nella parrocchiale di Tricase (Lecce) e intervenni successivamen-

te ad un pubblico incontro nel Palazzo di Città. In una lettera scritta il 3 giu-

gno 1990 e indirizzata ai parrocchiani di S. Domenico in Molfetta, mons. Bel-

lo aveva ricordato la visita pastorale compiuta mesi prima e l’anno giubilare

della parrocchia. A proposito, poi, dell’omelia che vi tenne, aveva aggiunto

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che si fece «sedurre da una suggestione improvvisa» e dicendo più o meno

così: «La prossima volta… tra venticinque anni… il giubileo lo inaugureremo

in modo diverso. Io vescovo mi farò strada a fatica in mezzo alla gente che

stipa la chiesa. Giungerò davanti alla porta sbarrata. Dall’interno batterò col

martello tre volte. I battenti si schiuderanno. E voi, folla di credenti in Gesù,

uscirete sulla piazza per un incontenibile bisogno di comunicare la lieta noti-

zia all’uomo della strada». È già, in qualche maniera, la Chiesa in uscita di cui

scrive Francesco al n. 24 dell’esortazione Evangelii gaudium: «La Chiesa “in

uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si

coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano».

La sintonia e l’affinità spirituale fra don Tonino Bello e Papa Francesco è

possibile coglierle in questo libro nelle pagine che Angiuli dedica a «La par-

rocchia secondo don Tonino Bello», inizialmente scritte come presentazione

di un documento che giustamente ritiene significativo «per il suo valore sto-

rico, contenutistico ed ermeneutico». Importanti, qui, sono la recezione della

ecclesiologia del Vaticano II e, in particolare, di Lumen gentium e Ad gentes

e, coerentemente, l’apertura missionaria a tutto tondo. Scrive V. Angiuli: «le

prospettive pastorali, le “nuove frontiere” che devono essere tenute presen-

ti dai singoli e dalle comunità: il dialogo culturale, la pratica della giustizia

sociale e l’attenzione educativa nei riguardi dei giovani. Si tratta di temi che

costituiranno i punti di maggiore interesse del successivo magistero episco-

pale…».

I testi che mons. Angiuli raccoglie in questo volume sono diversi per ori-

gine, occasione e tempo, ma sono accomunati dall’attenzione verso don To-

nino Bello, ma pure dall’intenzione di aiutare e sostenere quel «guadagno

metodologico […] per tutto il suo pensiero e, ancora più in generale, per tut-

ta la sua testimonianza di fede», che egli riconosce avviato con il Convegno

di studi sulla mariologia di don Tonino, svoltosi ad Alessano (Le) nell’aprile

2014. «È giunto il tempo di studiare in modo accurato e rigoroso il pensiero

di mons. Bello», scrive il vescovo Angiuli ed è proprio questo un valore ag-

giunto della raccolta di queste pagine, che lumeggiano come merita la figu-

ra, il pensiero e l’opera del Servo di Dio Antonio Bello.

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Introduzione

La prima volta che ho sentito parlare di don Tonino è stato in occasione

della nomina del nuovo Rettore del Seminario Regionale Liceale di Taranto.

Tra gli altri, si faceva anche il nome di un giovane sacerdote della diocesi di

Ugento-S. Maria di Leuca del quale si diceva un gran bene. Mi incuriosiva il

cognome “Bello”. Non conoscendo la persona e non sapendo che nel Basso

Salento, in particolare ad Alessano, era un cognome molto diffuso, mi sem-

brava un po’ originale e quasi un richiamo programmatico. Era il 1978. Un

anno prima don Tonino aveva lasciato il suo incarico nel Seminario di Ugen-

to ed era diventato vicario economo della parrocchia S. Cuore in Ugento. Ri-

correva il mio primo anno di sacerdozio essendo stato ordinato da mons.

Anastasio Ballestrero, arcivescovo di Bari, il 23 aprile 1977. Incominciava co-

sì il mio personale rapporto con lui.

Qualche anno più tardi, precisamente nel settembre 1982, fui nominato

animatore del Seminario Regionale di Molfetta. In tale veste, partecipai, il 30

ottobre, all’ordinazione episcopale di mons. Bello. Ricordo ancora piazza Pi-

sanelli di Tricase gremita di gente e la breve processione che portò i conce-

lebranti dalla Chiesa parrocchiale al piazzale antistante la Chiesa di S. Dome-

nico dove era stato allestito il palco con l’altare. Per la prima volta, vedevo

don Tonino, vestito con gli abiti liturgici, incamminarsi verso il luogo della

celebrazione. Il volto mi sembrava un po’ smarrito e quasi incredulo di quel-

lo che gli era accaduto. Le parole pronunciate da mons. Mincuzzi durante

l’omelia prospettarono un grande programma di azione pastorale.

Anche l’ingresso nella diocesi di Molfetta fu entusiasmante. Mi colpì il

fatto che molte persone erano venute dal Salento. A prima vista, mi sembrò

eccessivo un tale afflusso di gente. Solo in seguito compresi il motivo di tan-

to affetto e stima. Passarono, infatti, pochi mesi dal suo insediamento,

quando giunsero notizie che lo riguardavano. Don Tonino aveva lanciato un

appello a favore dei lavoratori del comparto siderurgico di Giovinazzo contro

la chiusura dello stabilimento. Dalle parole, passò ai fatti. Si posizionò

davanti ai cancelli e mediò tra lavoratori e dirigenti dell’azienda.

Il resto dei suoi gesti e delle sue parole è storia nota, raccontata in molte

biografie. Ciò che è meno conosciuto è il suo rapporto con il Seminario

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Regionale di Molfetta. Il suo amore per il Seminario (educatori e seminaristi)

era palpabile e travolgente. Da questo sentimento scaturì la bella lettera in-

titolata Made in Molfetta (21 gennaio 1990). In essa, con il cuore colmo di

commozione, egli invitata i seminaristi a mantenere alto il proprio ideale di

vita, a non cedere «all’agguato mercantile di praticare autoriduzioni sul

prezzo di copertina dei vostri proponimenti di oggi o di sottintendere larghi

margini di sconto sui rigori del sacrificio. Perché siate capaci di compassione,

e abbiate “viscere di misericordia” per chi nella vita rimane sempre sconfit-

to, e non ci sia peccato degli altri che giustifichi la vostra intolleranza. Perché

le gioie, le speranze della terra non vi trovino refrattari. E di fronte ai dolori

del mondo non vi ergiate come muri di gomma. Perché sappiate vedere nel-

la folla dei giovani che la sera invadono il viale Pio XI, e si appoggiano alle in-

ferriate del Seminario, l’icona di un mondo che implora da voi l’indicazione

di terre nuove e cieli più puliti. Perché amiate i poveri senza furie demagogi-

che. E vi schieriate dalla loro parte senza smanie di consenso. E vi facciate

poveri voi stessi, come Gesù… “da ricco che era”».

Certo, è difficile raccontare la quotidianità e la ferialità e parlare della

normalità della vita dove non si compiono gesti eclatanti e non accadono

eventi eccezionali. La vera grandezza di una persona, però, è forse legata ai

grandi avvenimenti? Non era stato proprio lui, don Tonino, il cantore

appassionato delle storie di tutti i giorni, delle vicende di persone che, agli

occhi della pubblica opinione, non erano degne di essere ricordate perché

non godono di un posto significativo nella società? Non era stato lui a

mettere sul piedistallo “gli ultimi e i derelitti” della società e a dischiudere il

tesoro contenuto in ognuno di essi?

Questo è stato uno degli aspetti più geniali del suo magistero: far

risaltare la grandezza di donne e uomini ritenuti insignificanti. Con pazienza

e sapienza, egli ha orientato tutti a non volgere lo sguardo dall’altra parte,

ma a guardare in faccia la realtà anche quella ritenuta più degradata; e a

farlo con occhi di misericordia.

In Seminario aspettavamo con impazienza la pubblicazione del settima-

nale diocesano “Luce e Vita” per leggere l’intervento di don Tonino. Ogni

volta era una sorpresa. Come per i contemporanei di Gesù, anche a noi ci

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ponevano alcuni interrogativi: chi gli dà tanta sapienza? dove va a pescare

tanti esempi illuminanti? dove trova il tempo per scrivere settimanalmente

un pezzo che ogni volta stupisce e dà a pensare?

Abbiamo vissuto per undici anni una catechesi settimanale di alto livello.

Ed ora, continuando a leggere quegli scritti, ci sembra che il tempo si sia

fermato e che egli li abbia composti proprio per noi, oggi. A questa cateche-

si, si aggiunse quella dei tempi forti in Avvento e Quaresima nell’incontro

settimanale con i giovani della diocesi nella Cattedrale di Molfetta. Era un

invito ad avere un’attenzione privilegiata per le nuove generazioni.

Nel 1982, in un suo testo intitolato La parrocchia aveva scritto: «I mali

dei giovani vengono sempre da lontano. L’idea del rizoma ci deve preoccu-

pare, perché il rifiuto del passato sul piano religioso si estende al rifiuto della

Tradizione, della Chiesa, della morale cristiana, della struttura organizzativa,

della disciplina, del dogma. Il passato, tutto il passato, desta sospetto. La

storia, viene guardata con riserve, o snobbata, o rifiutata. Anche sul piano

religioso, quindi, qui da noi, ci troviamo di fronte a una gioventù che vuole

essere «senza padri né maestri»1.

Di fronte a questa situazione che cosa fanno le nostre parrocchie? Al di là

di qualche raduno, di sporadici incontri e di saltuarie sollecitazioni, non ab-

biamo intrapreso ancora nulla di serio. Il problema però esiste ed è grave. I

giovani sono tanti, e per sentirsene schiacciati basta parcheggiare la mattina

presso le scuole. Questi ragazzi crescono e, se non li aiutiamo a crescere se-

condo un’ottica giusta, si porteranno dietro per sempre i traumi di un’edu-

cazione religiosa mancata e di un’apertura sociale fallita.

Per essi non abbiamo punti di ritrovo stabili. Non ci sono iniziative cali-

brate. Mancano sollecitazioni forti allo studio, anche nei partiti, e mezzi che

ne facilitino la possibilità. Non abbiamo spazi per una accoglienza gioiosa,

serena, stabile, ricreante. Tempo per loro ne consumiamo poco. Non ci sono

per essi luoghi di crescita cristiana, comunitaria, intelligente, impegnata, cri-

tica. Anche la partecipazione dei giovani alla messa domenicale non è che

sia confortante. Non parliamo poi della pratica sacramentale. Sul piano so-

1 Cfr. L. Ricolfi - L. Sciolla, Senza padri né maestri, De Donato, Bari 1980.

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ciale, infine, preoccupante il ritorno alle dimensioni private e il rifiuto del-

l’impegno.

E allora, possiamo starcene così tranquilli, con le mani in mano, e accon-

tentarci di un tipo di pastorale di conservazione, standardizzata nei cliché

antichi, abitudinaria, ripetitiva, stanca, rassegnata?».

Certo, lui non se ne stava tranquillo. E i giovani percepivano il suo desi-

derio di dire parole significative. Anche i seminaristi avvertivano il fascino

delle sue parole e chiedevano ai superiori di poter partecipare alle sue cate-

chesi tenute in Cattedrale.

Gli incontri con don Tonino avvenivano anche in modo informale. Spon-

taneamente i seminaristi facevano la spola tra il Seminario e l’episcopio.

Cordialissimo era il rapporto con noi, educatori. Ricordo con grande ricono-

scenza il dono che mi fece: scrivere una splendida prefazione a un mio libro

di poesie. Le sue parole mi sembrarono ispirate. Mi aveva letto nell’anima

mettendo in luce le sfumature che avevo cercato di manifestare con i versi.

Confesso candidamente che mi riempì di intima soddisfazione il lusinghiero

giudizio che egli espresse sui miei versi: «La poesia di don Vito è degna di

ogni considerazione e merita il più religioso rispetto. Non solo perché, fresca

come acqua sorgiva, sgorga dalle vene di un mistero che parte da lontano,

ma anche perché affiora dalle falde di una consonanza spirituale che parte

da vicino». Per certi versi, queste parole mi sembrarono eccessive. Qualche

tempo dopo, apponendo la firma alla sua presentazione aggiunse di suo pu-

gno: «+ don Tonino, che , a rilettura finita, conferma tutto».

Interpretai questa conferma non solo in riferimento ai miei versi, ma an-

che a quella «consonanza spirituale che parte da vicino». Mi parve di capire

che don Tonino volesse sottolineare una certa sintonia spirituale con quanto

avevo espresso nelle poesie. Anche per questo ho voluto intitolare questo

libro: «Don Tonino visto da vicino».

Da questa prospettiva, credo di poter dire che il modo con il quale egli ha

vissuto la sofferenza e la malattia è eloquente per la sua esemplarità più di

ogni altro avvenimento. A mio parere, la lezione impartita dal letto del dolo-

re, supera di gran lunga ogni altro gesto della sua vita e manifesta in modo

inconfutabile il valore spirituale della sua testimonianza di fede.

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Don Tonino morì il 20 aprile 1993. I funerali furono un’apoteosi. Ho an-

cora negli occhi la celebrazione eucaristica predisposta lungo il molo di Mol-

fetta. Si concludeva la parabola della sua esistenza terrena, mentre conti-

nuava a diffondersi nel mondo il profumo della sua vita esemplare.

Nel giugno del 1993, terminato il servizio di educatore nel Seminario Re-

gionale di Molfetta, rientrai nella mia diocesi di Bari-Bitonto. Non si inter-

ruppe il dialogo con lui. Continuai a leggere i suoi scritti e a conservare la

memoria degli incontri avuti durante la mia permanenza a Molfetta. Ogni

tanto rivedo una foto del 1985 che ritrae il card. J. Ratzinger con il suo segre-

tario mons. J. Clemens, il rettore del Seminario Regionale di Molfetta, mons.

T. Tridente, un gruppo di seminaristi ed educatori e, naturalmente anche

don Tonino. Il cardinale era venuto a Bari a tenere una conferenza e si era

fermato nel Seminario Regionale per celebrare la liturgia eucaristica insieme

con tutta la comunità.

Nel frattempo, la fama del vescovo di Molfetta si era diffusa in tutta Ita-

lia e anche oltre. I suoi scritti andavano (e vanno ancora) a ruba. A un certo

punto, però, mi parve che il don Tonino “mediatico” non coincidesse con il

don Tonino in carne ed ossa che avevo avuto la fortuna di conoscere perso-

nalmente e avvicinato molte volte.

A convincermi che non si trattava soltanto di una mia impressione, ma

che si stava creando un travisamento del “fenomeno don Tonino”, fu un col-

loquio con mons. Angelo Magagnoli, Rettore dell’Onarmo di Bologna nel pe-

riodo in cui don Tonino aveva studiato la teologia. L’anziano monsignore mi

confidò la sua amarezza e il suo profondo dispiacere nel constatare la distor-

sione che si andava operando di quella figura che egli aveva conosciuto e

ammirato e del quale aveva tracciato il seguente ritratto: «Giovane di gran-

de intelligenza. Seminarista di soda pietà. Carattere ottimo, con forte capa-

cità di restare in comunione con gli altri, senza perdere la propria identità.

Facilità di riassorbire e dalla scuola e dall’esperienza di vita quanto di meglio

trovava. Riusciva nel canto e suonava qualche strumento, specie la fisarmo-

nica. Agilità nel nuoto e nel giocare a pallone»2.

2 A. Magagnoli, Note caratteristiche di Antonio Bello vescovo di Molfetta, in C. Sancini, (a

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Continuando il nostro colloquio, gli esposi il mio desiderio di ripresentare

don Tonino nel suo ambiente ugentino. Egli apprezzò il mio proposito e, con

la saggezza di chi conosce a fondo le cose della vita, mi mise in guardia di

fronte alle visioni ideologiche preconcette e alle manipolazioni mediatiche.

«Sarà molto difficile – mi disse testualmente – operare un’inversione di ten-

denza e sottrarre don Tonino alla contraffazione e alla strumentalizzazione

che si sta operando della sua persona e del suo messaggio». E continuò:

«Caro monsignore, non credo che il suo lodevole intento sortirà il risultato

sperato».

Quante volte ho dovuto constatare, mio malgrado, la verità di queste pa-

role! Mi è capitato spesso di sentire ripetere fino alla noia luoghi comuni,

frasi stereotipate, racconti preconfezionati. Che contrasto stridente con lo

stile di don Tonino improntato alla creatività, all’invenzione di un nuovo lin-

guaggio, alla meticolosa ricerca della parola giusta per dire ciò che gli bru-

ciava nel cuore. Che differenza tra la sua azione e quella dei suoi “ammirato-

ri”. Egli aveva inteso porre gesti che fossero “segno”; ora si ripetevano atti

che sembravano una nuova prassi cerimoniale, un po’ più laica, ma non me-

no ritualistica della precedente. Il suo era stato un inno alla libertà dello spi-

rito, quello dei suoi “seguaci” una sterile ripetizione dell’identico.

Mi convinsi che era necessario fare qualcosa. Molti, infatti, conoscevano

solo il don Tonino vescovo, e poco o nulla sapevano della sua vita preceden-

te. Gli scritti pubblicati erano quelli composti durante la sua permanenza a

Molfetta. Non circolavano testi precedenti alla sua ordinazione episcopale.

Certo non mancavano testimoni, soprattutto nel Salento, che potevano rac-

contare il periodo vissuto a Ugento. Si trattava per lo più di ricordi e di nar-

razioni su di lui, e non invece di testi scritti da lui.

Compresi che era necessario colmare questo vuoto. Per questo, in occa-

sione del Congresso eucaristico nazionale che si doveva tenere a Bari il 2005,

chiesi ai suoi fratelli, Marcello e Trifone, di poter pubblicare la sua tesi di

laurea. Con mia grande meraviglia, essi non solo non si opposero a questo

cura di ), Tra gli uomini del lavoro, per il 60° di sacerdozio di mons. Angelo Magagnali, Bolo-gna 2003, p. 99.

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progetto, ma lo caldeggiarono. Nessuno, in precedenza, aveva ritenuto im-

portante far conoscere questo testo. A me sembrò subito uno scritto fon-

damentale per comprendere il suo pensiero. Nel panorama della produzione

letteraria di don Tonino, questo è l’unico lavoro di tipo accademico. Il resto

delle sue composizioni presenta un andamento confidenziale e pastorale.

Non mi sfuggì il valore ermeneutico della parte conclusiva della tesi, di-

scussa nel 1965 alla Pontificia Università Lateranense. In germe, essa conte-

neva quasi tutti i temi che egli avrebbe sviluppato successivamente. Da quel-

le pagine, appariva in modo evidente quali erano le sue convinzioni più

profonde; considerazioni che, in seguito, egli avrebbe ulteriormente svilup-

pato e arricchito. Era la prova che vi era un unico filo conduttore che aveva

attraversato tutta la sua vita e il suo modo di pensare. Non aveva alcun sen-

so parlare di “svolte irenologiche, teologiche e pastorali” quasi che il suo

magistero da vescovo fosse il frutto di acquisizioni recenti. Si doveva, invece,

ritenere che l’esplosione avvenuta durante il ministero episcopale era stata

lungamente preparata nel periodo ugentino. Gli anni vissuti nella diocesi di

Ugento-S. Maria di Leuca dovevano essere considerate le radici culturali e

spirituali del suo pensiero e della sua successiva azione pastorale. Alla luce

di quelle radici, bisognava interpretare quanto era accaduto successiva-

mente.

Nel 2010, sono stato nominato da Benedetto XVI vescovo della Diocesi di

Ugento-S. Maria di Leuca. Ho interpretato questo avvenimento come un fat-

to provvidenziale e quasi la proposta di una speciale missione: custodire

l’eredità spirituale lasciata da don Tonino. Espressi questo pensiero nel-

l’omelia della Messa di ingresso in diocesi. Il tempo trascorso non ha fatto

venire meno questa intuizione. Se mai l’ha ulteriormente confermata. Ora

vivo nei luoghi che don Tonino ha frequentato in gran parte della sua vita.

Quando rileggo i suoi scritti, non mi si presentano più alla mente immagini

vaghe, ma luoghi precisi, volti conosciuti, paesaggi di una struggente bel-

lezza.

Ho compreso così il motivo della sua profonda nostalgia per la sua terra:

«A Ugento – aveva scritto da vescovo – ho trascorso ventidue anni

d’impegno per il Seminario. Nello stesso tempo mi interessavo anche di tanti

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altri problemi attinenti la pastorale diocesana (...). Naturalmente mi prepa-

ravo: dovevo studiare. Il ruolo che ho esercitato in quegli anni mi ha impe-

gnato così tanto nell’approfondimento di nuove tematiche bibliche e teolo-

giche da cercare poi di trasmettere tutta la pregnanza alla comunità e, nello

stesso tempo, di ricevere da essa, in una sorta di itinerario di ricerca fatto

insieme. Avvenivano allora delle crescite sincronizzate. Per me, quegli anni,

sono stati molto fecondi»3.

Queste parole avvalorano il criterio ermeneutico che ho sopra richiama-

to. Occorre conoscere le “radici” per assaporare la gustosità dei “frutti”. La

conoscenza del periodo ugentino è fondamentale per delineare la sua per-

sonalità e le sue più profonde convinzioni. A questo scopo, suggerisco di te-

nere presenti tre testi: A. Scarascia, La vita è bella. Don Tonino educatore

(1958-1976), Ed Insieme, Terlizzi (BA) 2010; G. Piccinni - A. Picicco (a cura

di), Ti voglio bene, Ed Insieme, Terlizzi (BA) 2013; V. Angiuli - R. Brucoli, La

terra dei miei sogni, Ed Insieme Terlizzi (BA) 2014.

Lo scopo di questo libro, nel quale ho raccolto scritti di diverso genere

composti, in modo prevalente, durante il mio ministero episcopale nella

Chiesa ugentina è in linea con la prospettiva sopra richiamata. In fondo, pa-

go il mio personale debito di riconoscenza a chi, senza mio merito, ho avuto

al grazia di incontrare. Qualche volta, avverto il rammarico per non aver fat-

to tesoro in modo più proficuo di questa relazione e di quanto ho visto con i

miei occhi, quasi giornalmente, essendo vissuto “vicino” a don Tonino du-

rante gli undici anni del suo ministero episcopale. Porto dentro di me il di-

spiacere di non “aver rubato” qualcosa dello stile e delle intuizioni spirituali

e pastorali di questo “vulcano d’amore”, pur essendo stato accanto per tan-

to tempo. So bene che le parole non bastano. Quando, però, sono sincere e

provengono dal profondo del cuore colmano, almeno in parte, i ritardi e for-

se preludono a una trasformazione più radicale e lasciano intravedere qual-

cosa di nuovo che lentamente prende forma.

3 A. Bello, Chiesa di parte. Dall’ulcera di questa storia al sogno di cieli nuovi, Ed Insieme,

Terlizzi (BA) 1996, p. 8.

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Ringrazio mons. Marcello Semeraro per aver accettato di presentare

questo libro. Siamo vissuti insieme nel Seminario di Molfetta nello stesso

periodo. Siamo entrambi testimoni di quanto è accaduto durante gli anni del

ministero episcopale di mons. Bello. I ricordi si impreziosiscono con il tempo

che passa e lasciano una scia di emozioni e di nostalgia. Le parole di mons.

Semeraro sono vere perché hanno il sapore dell’esperienza e la verità di una

conoscenza personale di don Tonino maturata in un lungo arco di tempo.

Con lui ringrazio, tutti coloro che, soprattutto in questo periodo della mia

presenza in terra salentina, mi hanno consentito di cogliere quelle sfumatu-

re che solo il vivere nel medesimo ambiente e il relazionarsi con scadenza

quasi quotidiana possono consentire. Dai luoghi e dalla gente che incontro

durante l’esercizio del mio ministero episcopale nella Chiesa ugentina com-

prendo meglio le “radici” culturali e spirituali di don Tonino. La memoria del

passato si innesta nell’attività presente; ricchezza si aggiunge a ricchezza e

tutto si dipana in un armonico intreccio che rende ancora più bello il ricordo

e più intenso il ringraziamento al Signore per avermi fatto conoscere, prima,

don Tonino e, ora, la terra che lo ha generato e lo custodisce con “salentina”

gelosia.

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LA RIVOLUZIONE DELLA TENEREZZA E DELL’AMORE DI PAPA FRANCESCO*

Ho preso a prestito, per questo articolo, il titolo di un recente di libro del

cardinale Walter Kasper: Papa Francesco, la rivoluzione della tenerezza e

dell’amore. Tutti gli analisti sono concordi nel rilevare che con il pontificato

di Papa Francesco si è creata una nuova atmosfera all’interno della Chiesa e

nel suo rapporto con il mondo.

Prima di indicare alcuni aspetti di questo rinnovato clima di dialogo,

desidero raccontare un breve aneddoto del mio personale incontro con il

Pontefice. Durante la “visita ad limina” mi sono presentato con queste

parole: «Santità, Lei viene dalla “fine del mondo”, io vengo “de finibus

terrae”». A queste mie parole, il Papa ha sorriso con gusto. Nella foto, che di

solito viene fatta in questa circostanza, si può notare il momento nel quale il

Papa stringendomi la mano sorride per le parole che gli avevo rivolto.

Venendo al tema di questo articolo desidero richiamare, in modo

sintetico, gesti e parole del suo ministero che aiutano a focalizzare ciò che gli

sta più a cuore. Per una migliore comprensione del suo messaggio, è

opportuno considerare, in modo unitario, i gesti e le parole perché i gesti

danno concretezza alle parole e queste spiegano il significato dei gesti.

La prima parola è “preghiera”. Nell’intervista a padre Spadaro, Papa

Francesco ha confidato: «Prego l’Ufficio ogni mattina. Mi piace pregare con i

Salmi. Poi, a seguire, celebro la Messa. Prego il Rosario. Ciò che davvero

preferisco è l’Adorazione serale, anche quando mi distraggo e penso ad altro

o addirittura mi addormento pregando. La sera quindi, tra le sette e le otto,

sto davanti al Santissimo per un’ora in adorazione». In questa prospettiva,

appare evidente il significato del primo gesto compiuto da Papa Francesco

subito dopo la sua elezione. Affacciandosi dal balcone della Basilica di San

Pietro per salutare la folla, egli ha chiesto alla gente di pregare in silenzio per

lui. Non solo Il Papa prega per la Chiesa, ma anche la Chiesa prega per il

* Intervento pubblicato sul “Corriere Salentino”, 10 maggio 2015.

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Papa. Torna alla mente l’episodio riportato negli Atti degli Apostoli nel quale

si afferma che «mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa

saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui» (At 12,5). Appare così

evidente l’immagine di una Chiesa che è tale perché unita nella preghiera.

La seconda parola è “periferie”. Papa Francesco chiede continuamente

alla Chiesa di portare nel cuore le molteplici periferie in cui vive l’uomo e di

chinarsi con amore sulle sofferenze dell’uomo contemporaneo. Il viaggio a

Lampedusa (8 luglio 2013) è un chiaro simbolo della vicinanza ad una piaga

sociale di enormi proporzioni. Da lì, il Pontefice ha esortato a trasformare la

“globalizzazione dell’indifferenza” nella “globalizzazione della solidarietà”.

La terza parola è “povertà”. Una delle prime espressioni di Papa Fran-

cesco dopo l’elezione è stata la seguente: «Come vorrei una Chiesa povera e

per i poveri». In continuità con questo desiderio, si possono leggere i suoi

numerosi gesti di vicinanza ai poveri. Valgano per tutti quelli compiuti nel

suo primo viaggio internazionale che lo ha riportato, a quattro mesi dal-

l’elezione, nel suo continente latinoamericano. A Rio de Janeiro, Papa

Francesco ha fatto visita a una favela, si è recato a un centro di recupero per

i drogati e gli alcolizzati, ha incontrato alcuni detenuti, ha benedetto un

rosario di sessanta grani in ricordo della strage di altrettanti bambini di

strada compiuta vent’anni prima dalla polizia. Parlando ai giovani durante la

grande veglia di Copacabana, ha affermato: «Giovani, siate protagonisti dei

cambiamenti. Non guardate la vita dal balcone. Siate rivoluzionari e ri-

bellatevi alla cultura del provvisorio». È un invito che vale per credenti e non

credenti.

Queste parole e questi gesti sono espressione di una visione evangelica

fondata sul tema della “misericordia”. Per questo egli ha indetto il Giubileo

della Misericordia e nella Bolla di indizione, Misericordiae Vultus, ha scritto

che la Chiesa e il mondo, oggi, hanno bisogno «di contemplare il mistero

della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace».

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INNOVARSI PER IL FUTURO*

Il tema “innovarsi per il futuro” apparentemente sembra uno slogan

valido in campo economico. L’Unione Europea, infatti, ha dedicato l’anno

2009 alla creatività e all’innovazione. “Innovare” è un verbo ricorrente, quasi

una parola magica della moderna economia. Pensare alle innovazioni e ai

cambiamenti strategici vuol dire avere progetti ambiziosi e di lungo periodo.

Naturalmente è importante agire e investire nel presente per costruire il

futuro. Ma è l’intento strategico per il futuro a fare la differenza.

Nella prospettiva cristiana l’espressione “innovarsi per il futuro” acquista

un’altra risonanza. “Nuovo” e futuro” hanno un preciso significato a partire

dalla Pasqua di Cristo. «L’aspetto più incredibile degli avvenimenti inspie-

gabili – soleva dire Gilbert Keith Chesterton – è che essi accadono».

L’accadimento del mistero pasquale è l’aurora del mondo nuovo (tantum

aurora est). Questo mistero ha un’inesauribile riserva di novità e di futuro

che interpella radicalmente ogni uomo ed esige una continua riscoperta.

In una scena del film “The Passion”, il regista Mel Gibson fonde in

un’unica impressionante scena la terza e la quarta stazione della via crucis:

Cristo con la croce sulle spalle cade a terra e Maria, nell’aiutarlo a rialzarsi,

ricorda un’altra caduta del figlio, quand’era bambino. In quella occasione, fu

lei a prenderlo in braccio e a confortarlo. Questa volta, diversamente da

allora, è lui che consola la madre e la aiuta a rialzarsi, dicendole: «Vedi

madre, io faccio nuove tutte le cose» (Ap 21,5). Si avvera così la profezia di

Isaia: «Io (il Signore) faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve

ne accorgete?» (Is 43,19).

Il riferimento alle parole della Scrittura attestano che la novità è la stessa

persona di Cristo! “Novum fecit Dominus” ripeteva spesso il beato Annibale

Maria di Francia1. Cristo è la “novità radicale”, impensabile per noi uomini, e

* Messaggio al Movimento “Vivere In”, 15 maggio 2015.

1 Scritti, dati bibliografici, vol. I, Ed. Rogate, Roma 2007, p. 96.

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a noi impossibile da realizzare con le nostre sole forze umane; novità

radicale che costituisce il cuore della fede cristiana. Pensando al Risorto

viene in mente la straordinaria sintesi di sant’Ireneo: «Omnem novitatem

attulit, semetipsum afferens», ossia «Con la sua venuta, Cristo ha portato

con sé tutta la novità».

Il mistero del Verbo incarnato, morto e risorto rinnova i rapporti fra Dio e

il mondo. Cristo, infatti, non è solo il vero Dio, perfetta immagine del Padre,

ma è anche vero uomo, nel quale l’umanità ed il creato vengono esaltati ed

acquistano una nuova dignità. La creazione sussiste in Cristo, è stata fatta

per mezzo di lui ed in vista di lui. Egli è causa e fine. La creazione punta e si

perfeziona nell’umanità del Verbo, e Cristo stesso ne è l’unico mediatore dal

principio alla fine.

Egli fa nuovo il cuore dell’uomo perché canti il cantico nuovo. Grazie a

Lui la novità non è nell’ordine della durata (tempo cronologico: “neòs” nel

greco del NT), ma in quello della qualità (tempo escatologico: “kainòs” nel

greco del NT). Il “mandatum novum” è la “kainé entolé”. A tal proposito,

vale la pena di richiamare un bellissimo inno di san Gregorio Magno che

riporto in italiano e in latino:

O Gesù, sole di salvezza, rifulgi nell’intimo dei cuori ora che, passata la notte,

più gradito rinasce il giorno nel mondo.

Dandoci un tempo di misericordia, concedici di purificare il nostro cuore,

per offrirtelo con lavacro di pianto, perché la carità, lieta, lo bruci.

Viene il giorno, il tuo giorno, nel quale tutte le cose rifioriscono:

anche noi ci allietiamo ricondotti dalla tua mano sulla tua via.

Ti adori prostrato, clemente Trinità, l’universo intero; e noi,

fatti nuovi dalla tua grazia, canteremo a Te un cantico nuovo.

O sol salutis, intimis,

Jesu, refulge mentibus dum, nocte pulsa, gratior

orbi dies renascitur.

Dans tempus acceptabile, da lacrimarum rivulis

lavare cordis victimam, quam laeta adurat caritas.

Dies venit, dies tua, in qua reflorent omnia: laetemur et nos, in viam

tua reducti dextera.

Te prona mundi machina, clemens, adoret, Trinitas, et nos novi per gratiam

novum canamus canticum.

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Il Vangelo è, dunque, messaggio di novità e di gioia perché annuncia la

novità assoluta: Gesù di Nazareth, uomo nuovo. In lui, ogni uomo diventa

creatura nuova (cfr. 2Cor 5,17). Non è ragionevole, infatti, mettere «vino

nuovo (il Vangelo di Cristo) in otri vecchi (l’uomo non rinnovato), ma vino

nuovo in otri nuovi» (Mt 9,17). Ne consegue un modo diverso e innovativo

di valutare la realtà e un nuovo modo di guardare al futuro. I grandi valori

(fraternità, pace, solidarietà, equità…) non devono essere contenitori vuoti,

semplici parole, ma realtà piene ed efficaci. Nonostante tutte le contrad-

dizioni della storia, la Pasqua di Cristo invita a guardare al tempo che verrà

con rinnovata speranza e con uno sguardo limpido e sereno.

A tal proposito, vale la pena di riportare un passo del celeberrimo Diario

di Anna Frank, morta nel lager di Bergen Belsen nel marzo 1945: «È un gran

miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse

sembrano assurde e inattuabili. Le conservo ancora, nonostante tutto,

perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile

costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il

mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi

del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini,

eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al

bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritornerà l’ordine, la

pace, la serenità. Intanto debbo conservare intatti i miei ideali; verrà un

tempo in cui saranno forse ancora attuabili» (15 luglio 1944)1.

La novità introdotta da Cristo nel mondo è un rinnovamento già dato

storicamente come segno e sacramento. Esso si realizzerà definitivamente

solo alla fine dei tempi. Cristo, centro del tempo, è entrato nella storia e la

trascende nel senso che la compie quantitativamente e qualitativamente.

Entrati anche noi nel nuovo millennio, uniti a Cristo possiamo dire:

tantum futurum est. La storia che si apre dinnanzi a noi annuncia un nuovo

tempo, di cui non conosciamo ancora i contorni ma che aspettiamo con

gioia. I poeti sanno che senza attesa del futuro la vita si spegne. Nella poesia

L’immensità dell’attimo che fa parte della prima raccolta La barca (1935), a

1 Anna Frank, Diario, edizioni Einaudi, Torino 2002.

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solo ventuno anni, Mario Luzi cerca di penetrare nella profondità della

realtà: «Sulla terra accadono senza luogo, / senza perché le indelebili /

verità, in quel soffio ove affondan / leggere il peso le fronde / le navi

inclinano il fianco / e l’ansia de’ naviganti a strane coste, / il suono d’ogni

voce / perde sé nel suo grembo, al mare al vento».

L’uomo cerca di scoprire il suo “futuro”. Cristo gli viene incontro come

adventus, avvenimento non preconizzabile, presenza non costruibile e

manipolabile, accadimento sorprendente e imprevedibile, evento inatteso e

meraviglioso. La vera “novità” sopraggiunge come una sorpresa, non come

la realizzazione di un bisogno o di un desiderio. Il cristiano deve “innovarsi”,

cioè deve sorprendersi e mai assopirsi rimanendo in attesa di Cristo che è «o

erkomenos», colui che continuamente viene.

Un segno della sua venuta nel nostro tempo è stato il Concilio Vaticano

II, avvenimento del tutto inatteso, sopraggiunto come una ventata di novità

(tantum primavera est) tanto per la Chiesa quanto per il mondo. Anche in

questo avvenimento ecclesiale, la novità cristiana svela il senso dello

scorrere del tempo e continuamente ne rimarca il proficuo intreccio tra

antico e nuovo. «Novum Testamentum in vetere latet; vetus in novo patet»,

così scriveva sant’Agostino parlando del rapporto tra l’Antico e il Nuovo

Testamento2.

San Giovanni Paolo II, illustrando il significato del Vaticano II, scrive: «Si

ritiene spesso che il Concilio Vaticano II segni una epoca nuova nella vita

della Chiesa. Ciò è vero, ma allo stesso tempo è difficile non notare che

l’assemblea conciliare ha attinto molto dalle esperienze e dalle riflessioni del

periodo precedente, specialmente dal patrimonio del pensiero di Pio XII.

Nella storia della Chiesa, “il vecchio” e “il nuovo” sono sempre profon-

damente intrecciati tra loro. Il “nuovo” cresce dal “vecchio”, il “vecchio”

trova nel “nuovo” una sua più piena espressione»3.

Il Concilio è stata la rinnovata Pentecoste accaduta nel nostro tempo. Le

stesse espressioni con le quali si suole definire questa grande assise

2 Agostino, Quaest. in Hept., 2,73.

3 Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 18.

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ecclesiale testimoniano che si è trattato di un evento proiettato nel futuro. Il

Concilio – si dice – è stato un «grande dono dello Spirito Santo alla Chiesa»,

un «seme», una «preziosa eredità» e una «sorgente dalla quale scaturisce

un fiume» che ha fecondato la vita e l’azione della Chiesa, «una pietra

miliare nella storia bimillenaria della Chiesa», un «evento provvidenziale»,

una «nuova primavera di vita cristiana», una «bussola» per il cammino della

Chiesa nel terzo millennio. La fedeltà al Concilio che chiede al singolo

cristiano e a tutta la Chiesa di “innovarsi per il futuro”.

È l’augurio che formulo al carissimo don Nicola e a tutto il Movimento

Vivere In.

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«I LAICI? SIANO TESTIMONI SIMPATICI E GIOIOSI DEL VANGELO»*

Vito Angiuli è vescovo della diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, nel

Salento, dal dicembre 2010. Ha 62 anni e ha preso posizioni coraggiose

contro le trivellazioni alla ricerca di petrolio nel mare Adriatico. Sull’affaire

Xylella ha organizzato nella scorsa Quaresima una Via Crucis per sostenere i

contadini colpiti e denunciare il “fango degli interessi” che deturpano le

terre di Puglia. Ha intitolato il documento pastorale che delinea il percorso

della sua diocesi per i prossimi anni “Educare a una forma di vita me-

ravigliosa”. È una frase tratta dalla Lettera a Diogneto che delinea, scrive

Angiuli, una spiritualità «non di tipo monastico, ma di ispirazione “laica”:

una proposta che invita a stare dentro i processi mondani, facendosi carico

della loro imperfezione per sanare le ferite sociali con un’irreprensibile

condotta di vita».

È il compito che è chiamato a svolgere ora che è stato nominato

presidente della Commissione della Cei sul laicato. Un incarico delicato dopo

la “scossa” di papa Francesco che aprendo i lavori dell’assemblea dei vescovi

ha detto che i laici non «devono aver bisogno del vescovo-pilota, o del

monsignore-pilota o di un input clericale» per svolgere la propria missione

nella Chiesa.

Eccellenza, quale sarà l’impegno della sua Commissione per rafforzare il

ruolo e le responsabilità dei laici nella vita della Chiesa?

«La programmazione dell’attività della Commissione nei prossimi anni

sarà stilata sulla base di un dialogo con gli altri Vescovi che fanno parte della

Commissione e dopo aver ascoltato la Consulta Nazionale delle Aggregazioni

Laicali. Per parte mia, ritengo che l’impegno della Commissione sarà orienta-

to a rafforzare il ruolo e la responsabilità dei laici soprattutto in riferimento

alla missione della Chiesa nel mondo. In sintonia con l’insistenza di Papa

* Intervista rilasciata ad Antonio Sanfrancesco pubblicata su “Famiglia Cristiana” online,

28 maggio 2015.

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Francesco ad “uscire”, sono convinto che la Commissione episcopale sotto-

lineerà la necessità di una missione dei laici a tutto campo. Un tale compito,

poi, dovrà incrociarsi con le programmazioni delle altre Commissione

episcopali in vista di un comune indirizzo pastorale. Non si può camminare

da soli o in ordine sparso. Il soggetto è l’intera Chiesa italiana, non la singola

Commissione. Per questo è necessario agire con uno stile sinodale. In questa

prospettiva, la Commissione avrà anche il compito di promuovere una

maggiore convergenza tra le diverse forme ed espressioni del laicato orga-

nizzato: associazioni, movimenti, gruppi ecclesiali. Inoltre, dovrà tenere conto

del fatto che vi sono molti laici che non fanno parte di nessuna realtà

organizzata. In Evangelii gaudium Papa Francesco scrive: “I laici sono

semplicemente l’immensa maggioranza del popolo di Dio” (EG 102). Questi

christifideles sono un tesoro prezioso per la Chiesa, soprattutto se si considera

che la missione non consiste nell’organizzare “eventi”, ma nel testimoniare la

propria fede in Cristo nella vita ordinaria con uno stile semplice e gioioso».

Il Papa ha detto che i laici «non dovrebbero aver bisogno del vescovo-

pilota, o del monsignore-pilota o di un input clericale per assumersi le

proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, da

quello economico a quello legislativo». Cosa significa?

«Bisogna riconoscere che papa Francesco è un grande comunicatore.

L’immagine del “vescovo-pilota” è fortemente evocativa e richiama in modo

accattivante la dottrina conciliare: il vescovo è un padre e un pastore non il

comandante in capo di un aereo o l’amministratore unico di un’azienda; i

laici esplicano la loro responsabilità in forza del Battesimo e della Confer-

mazione che hanno ricevuto e non per una “concessione” calata dall’alto.

Naturalmente tutti, vescovi e laici, devono acquisire quella “sensibilità

ecclesiale” più volte richiamata dal Papa nel suo discorso. Essi devono agire

mossi dal “sentire cum Ecclesia”».

Può fare un esempio concreto di “vescovo-pilota”?

«“Vescovo-pilota” può voler dire un ministro ordinato a cui fa difetto la

sensibilità ecclesiale. Ed è proprio su questo tema che vorrei soffermarmi.

Qualche anno fa, ho letto con interesse il libro di Alejandro Llano, La nuova

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sensibilità. Il positivo della società moderna. Nel suo saggio, l’autore so-

stiene che, nel passaggio dalla modernità alla postmodernità, occorre

considerare il cambiamento di “sensibilità” e guardare con più ottimismo le

trasformazioni non avendo paura della “società complessa”. La “nuova

sensibilità”, a suo giudizio, consiste nella capacità di cogliere il senso unitario

di costellazioni culturali contemporanee. Alle sfide poste dalla “competenza

tecnica” occorre rispondere con una rigorosa “competenza culturale”. Un

uguale interesse ha suscitato in me la lettura del libro di Annalisa Caputo,

Heidegger e le tonalità emotive fondamentali (1929-1946). Il libro rappre-

senta la continuazione di una riflessione avviata con il precedente saggio,

Pensiero e affettività: Heidegger e le ‘Stimmungen’ (1889-1928). L’autrice

ricostruisce la “svolta” heideggeriana a partire dal tema delle tonalità

emotive fondamentali (perplessità, incanto, noia, entusiasmo…). Parlando di

“sensibilità ecclesiale”, credo che papa Francesco voglia sollecitare la Chiesa

a tenere conto che il dialogo e il confronto con il mondo moderno si gioca

non solo sul piano teorico-pratico, ma anche su un “rapporto empatico e

simpatico” con gli uomini del nostro tempo. Questa capacità emotiva non si

risolve sul piano emozionale, ma sul reciproco ascolto. Avere “sensibilità

ecclesiale” vuol dire mettersi in sintonia con la Chiesa per un proficuo dia-

logo con il mondo. Mi sembra che la parole del Segretario di Stato, il cardi-

nale Pietro Parolin, in una recente intervista colgano nel segno: “Dobbiamo

farci prossimi di ogni persona. Dobbiamo essere degli accumulatori del-

l’Amore di Dio”. Ogni cristiano dovrebbe possedere questa tonalità emotiva

fondamentale per vivere la sua missione nel mondo. A maggior ragione, essa

non dovrebbe mancare ai vescovi, in quanto pastori del popolo di Dio».

Dopo la fine della Democrazia cristiana gli ultimi anni sono stati con-

trassegnati da una certa “supplenza” da parte delle gerarchie nei campi

indicati dal Papa?

«La sua domanda contiene una parte di verità. Non vi è dubbio che

questi anni siano stati caratterizzati da una certa “supplenza” del clero

rispetto ai laici. Il fenomeno dovrebbe essere adeguatamente studiato. A

mio parere, un elemento non secondario (anche se non l’unico) consiste nel

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fatto che le nuove questioni poste dalla cultura contemporanea esigono una

solida preparazione culturale e una robusta maturità di fede. Non è facile

per nessuno affrontare quelle sfide culturali che il Papa ha definito

“colonizzazioni ideologiche” che tolgono l’identità e la dignità umana. Non è

nemmeno una cosa semplice contrastare i modelli alternativi proposti dalla

cultura contemporanea e pubblicizzati con grande enfasi dagli strumenti

della comunicazione di massa. La risposta non può essere affidata solo al

singolo. Su alcune questioni fondamentali occorre creare un movimento di

pensiero e di azione il più ampio e più convergente possibile. In altri termini,

le questioni che riguardano tutti, dovrebbero essere prese in carico da tutti

e non lasciate a qualche intervento individuale e isolato di un ministro

ordinato o di un laico».

L’appannamento del ruolo del laicato è dovuto anche al fatto che negli

ultimi decenni la Chiesa ha faticato a formare nuove generazioni di persone

che si impegnassero nella società portando le istanze della Dottrina sociale?

«Il tema di una formazione adeguata ad affrontare le sfide del mondo

contemporaneo riguarda tutti i membri della Chiesa. Per questo la Chiesa

italiana sta riflettendo anche sull’iter formativo dei presbiteri. La ri-forma

della Chiesa esige che tutti i credenti in Cristo assumano una “nuova forma”.

Per quanto riguarda i laici, a me sembra che si dovrebbero tenere presenti

quattro aspetti della formazione cristiana: una solida formazione spirituale,

un’accurata preparazione culturale, un’apertura alle questioni sociali e una

specifica disponibilità a farsi carico dell’impegno politico».

Secondo lei, anche i laici hanno peccato di eccessiva “clericalizzazione” ,

rafforzando il modello del “vescovo-pilota” denunciato dal Papa, andando

magari a chiedere benedizioni o coperture ecclesiastiche, anche dietro le

quinte, ai loro progetti e iniziative?

«Il rischio del clericalismo è sempre in agguato. In Evangelii gaudium

Papa Francesco scrive: “La presa di coscienza di questa responsabilità laicale

che nasce dal Battesimo e dalla Confermazione non si manifesta nello stesso

modo da tutte le parti. In alcuni casi perché (i laici) non si sono formati per

assumere responsabilità importanti, in altri casi per non aver trovato spazio

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nelle loro Chiese particolari per poter esprimersi ed agire, a causa di un

eccessivo clericalismo che li mantiene al margine delle decisioni” (EG 102).

Occorre che i chierici e i laici abbiano chiaro il senso e il valore della propria

identità e della conseguente specifica responsabilità che essa comporta

nella vita della Chiesa e nella missione nel mondo».

All’assemblea della Cei si è parlato del Sinodo sulla famiglia con la

consegna della sintesi delle risposte delle diocesi italiane. Cosa è emerso?

«Occorre innanzitutto rilevare che vi è stata una grande partecipazione

delle comunità cristiane. Il Questionario ha rappresentato una nuova

occasione di ascolto, di confronto fraterno custodendo lo sguardo sul

Vangelo della Famiglia. In molte Chiese locali sono stati coinvolti i consigli

pastorali diocesani, gli uffici di curia, le consulte delle aggregazioni laicali, i

gruppi famiglia, gli animatori dei percorsi per i fidanzati e le giovani coppie.

In questo “discernimento comunitario” sono state molte le sottolineature in

ambito teologico e pastorale. Richiamo le più significative: la famiglia come

“piccola Chiesa domestica”, il raccordo tra sacramento dell’ordine e

sacramento del matrimonio, l’adozione di una famiglia da parte di un’altra

famiglia, l’attenzione alle situazioni di fragilità in ambito familiare, il confron-

to con le nuove “colonizzazioni ideologiche”. Il risalto dato dalla Chiesa

italiana a queste questioni mi sembra un buon viatico per la riflessione che si

realizzerà nel prossimo Sinodo».

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LA BASILICA DI LEUCA “GEMMA” DELLA CHIESA DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA*

Cari fratelli e sorelle,

il 13 aprile 2015, con una solenne liturgia presieduta dal card. Salvatore

De Giorgi, abbiamo dato inizio, nella nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di

Leuca, alle celebrazioni per commemorare il XXV anniversario dell’elevazio-

ne del santuario di Leuca a Basilica Pontificia Minore, stabilita da san

Giovanni Paolo II con il “Breve” apostolico del 19 giugno 1990.

Il Santuario de finibus terrae

1. Abbiamo scelto quella data perché in quel giorno cadeva la festa della

Madonna di Leuca, una ricorrenza liturgica che ricorda un avvenimento

straordinario. Un violento maremoto si stava abbattendo su tutto il

promontorio leucano. Gli abitanti della zona invocarono la Madonna perché

ella scongiurasse questo pericolo. La loro preghiera fu esaudita. Le acque si

calmarono. Da allora, ebbe inizio la pia tradizione della gente del Capo di

Leuca e di tutto il Salento di recarsi in pellegrinaggio al santuario per

ringraziare la Vergine Maria per la grazia ricevuta e per impetrare nuovi

segni della sua presenza materna. Si comprende, così, il motivo che spinse

mons. Giuseppe Ruotolo a definire il santuario di Leuca la “gemma” della

Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca. «Difficilmente nella Chiesa di Cristo – egli

scrisse – si trovano diocesi tanto fortunate da avere un santuario così antico

e glorioso come il nostro; guardando ad esso la fiducia spunta più facilmente

sulle labbra del cuore. La storia del santuario, la fede nella potenza della

Madre di Dio e le manifestazioni soprannaturali e miracolose della presenza

della Madonna nei fatti più recenti dell’umanità danno diritto a sperare e

conservare la pace nei nostri animi perplessi».

* Lettera alla Chiesa di Ugento - S. Maria di Leuca per il XXV dell’elevazione del Santuario

di Leuca a Basilica Pontificia Minore, Solennità di Pentecoste, 24 maggio 2015.

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2. L’avvenimento giubilare cade in un contesto particolarmente signifi-

cativo per la nostra Chiesa particolare e per la Chiesa universale. Tre

avvenimenti contestualizzano le celebrazioni del XXV. Il primo si riferisce al

Giubileo della divina misericordia (8 dicembre 2015-20 novembre 2016),

indetto da Papa Francesco con la Bolla Misericordiae vultus. In essa, egli ha

scritto: «Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della mise-

ricordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra

salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità.

Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro.

Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona

quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della

vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla

speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro

peccato» (n. 2). Il secondo avvenimento riguarda l’ordinazione episcopale di

mons. Paolo Rocco Gualtieri (Basilica di san Pietro, 30 maggio 2015). Dopo

l’elevazione di mons. Gerardo Antonazzo a vescovo di Sora-Cassino-Aquino-

Pontecorvo, la nomina di mons. Gualtieri a nunzio apostolico in Madagascar

con il titolo di arcivescovo di Sagona giunge come un ulteriore dono dello

Spirito che riempie di gioia l’intera comunità diocesana. Il terzo avvenimento

riguarda la conclusione del processo diocesano per l’accertamento delle

virtù eroiche della serva di Dio Mirella Solidoro. Anche questa circostanza è

un segno della benevolenza del Signore per la nostra Chiesa particolare.

3. L’importanza del santuario di Leuca è riconosciuta da tempo immemo-

rabile. Lungo il corso della storia, davanti all’effige della Vergine de finibus

terrae si sono prostrati pontefici, vescovi, re e uomini santi. Tra gli altri, la

tradizione ricorda i nomi di san Francesco d’Assisi di ritorno dall’Oriente, san

Benedetto Giuseppe Labre, pellegrino francese che venne a Leuca dopo aver

onorato san Nicola di Bari. Attestati di predilezione al santuario leucano

sono venuti dai Pontefici Innocenzo XI (1682), Benedetto XIII (1726), Pio IX

(1876). Il 1° agosto 1959, san Giovanni XXIII, accogliendo la richiesta di

mons. Giuseppe Ruotolo, con il decreto Sanctuarium Sanctae Mariae

Leucadensis della Congregazione Concistoriale (1° agosto 1959) ha approva-

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to la nuova denominazione della diocesi che prese il titolo di “Ugento-S.

Maria di Leuca”. Come ho scritto nel quadro di riferimento pastorale,

Educare a una forma di vita meravigliosa, «l’esplicito riferimento al titolo

mariano, da una parte raccoglieva e valorizzava la lunga e gloriosa tradizione

di fede popolare legata al culto e alla devozione alla Vergine de finibus

terrae, dall’altra prospettava, nel simbolo mariano, le nuove caratteristiche

di una Chiesa che, mantenendo vivo il legame con il passato, intendeva

aprirsi alle nuove prospettive indicate dal Concilio Vaticano II» (n. 32).

4. Da allora la locuzione “de finibus terrae” «affibbiata al promontorio

leucano non indica più il confine e il limite, ma la frontiera e il ponte. Posto

sul colle prospiciente il mare, il santuario mariano assomiglia a un “faro

luminoso” che getta la sua luce in tutto il Mediterraneo» (ivi, n. 68). Questa

convinzione è avvalorata da alcuni significativi pronunciamenti. Il cardinale

Eduardo Martinez Somalo, nella Messa per l’elevazione a Basilica Minore (7

ottobre 1990), definì il santuario di Leuca «”ultima frontiera” in cui trova il

suo riepilogo e la sua sintesi tutto il creato qui evidenziato in modo

eloquente e significativo: scenario, questo, stupendo che apre il cuore alla

contemplazione». Papa Benedetto XVI, durante la Messa celebrata sul

piazzale del santuario (14 giugno 2008), pronunciò queste splendide parole:

«De finibus terrae: il nome di questo luogo santo è molto bello e suggestivo,

perché riecheggia una delle ultime parole di Gesù ai suoi discepoli. Proteso

tra l’Europa e il Mediterraneo, tra l’Occidente e l’Oriente, esso ci ricorda che

la Chiesa non ha confini, è universale. E i confini geografici, culturali, etnici,

addirittura i confini religiosi per la Chiesa sono un invito all’evangelizzazione

nella prospettiva della “comunione delle diversità” […]. La Chiesa che è in

Puglia possiede una spiccata vocazione ad essere ponte tra popoli e culture.

Questa terra e questo santuario sono in effetti un “avamposto” in tale

direzione».

La Vergine de finibus terrae

5. In questa prospettiva, si comprende il motivo per il quale la Madonna

di Leuca costituisce il “cuore” della nostra Chiesa particolare. Sulla scorta

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dell’insegnamento conciliare che aveva presentato la Vergine Maria come

“personificazione” della Chiesa, i vescovi che hanno guidato la comunità

diocesana dopo il Concilio hanno richiamato costantemente l’inconfondibile

“impronta mariana” della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca. La Vergine de

finibus terrae segna la nostra identità ecclesiale. Guardando a lei, la nostra

Chiesa particolare può individuare le sue peculiari caratteristiche: essere

cioè “Chiesa di popolo”, Chiesa accogliente e ricca di opere di carità, Chiesa

aperta e missionaria. Queste note ecclesiali sono il “sigillo” che la Vergine

Maria ha impresso nella nostra comunità diocesana e riflettono la sua

bellezza e il suo inconfondibile splendore. Lasciandoci affascinare da questi

raggi luminosi, siamo stimolati a fare di essi la direzione di marcia del nostro

cammino pastorale.

6. La Madonna di Leuca è la Madre accogliente. Il suo santuario è la casa

dove lei maternamente dimora e attende con amore di poter incontrare noi,

i suoi figli, sempre pronta e disponibile a venirci incontro in ogni circostanza

e necessità. Raccolti intorno a lei, riconosciamo di essere la “famiglia di Dio”

accomunati da vincoli di fede, speranza e carità. Da lei, impariamo a far

germogliare l’attitudine all’ascolto di Dio che parla e la sollecitudine per un

dialogo fraterno con tutti. In tal modo, siamo continuamente spronati ad

aprire le nostre menti per considerare le ragioni dell’altro, ad allargare lo

spazio dei nostri cuori per accogliere tutti coloro che dimorano nel territorio,

a volgere lo sguardo all’orizzonte più lontano per scorgere coloro che

vengono dal mare e cercano un approdo di pace e di fraterna solidarietà.

7. La Madonna di Leuca è la Vergine orante. In lei, la nostra Chiesa

ugentina riconosce il modello e il prototipo di ogni comunità cristiana riunita

in preghiera. In alcune icone e raffigurazioni mariane, la vergine Maria è

dipinta con le mani alzate verso il cielo in segno di implorazione e di attesa

del dono e della grazia celeste. Questa immagine riprende il “modello

dell’Orante”, una delle più antiche rappresentazioni cristiane di cui si ha

una testimonianza certa già a partire dal IV secolo. Nelle catacombe di

sant’Agnese appare per ben due volte. L’immagine ricorda le braccia alzate

di Mosè che, con la sua preghiera, intercedeva per la vittoria del popolo di

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Israele (cfr. Es 17,9-13). Maria, nuova “arca dell’alleanza”, con i suoi occhi

indica la via dell’amore e, con le sue braccia alzate al cielo, intercede per la

Chiesa e per tutta l’umanità. A noi, ella consegna ancora una volta la sua

preghiera prediletta: il santo rosario. Molteplici sono i valori spirituali di

questa forma di preghiera. Il rosario è la preghiera semplice perché conduce

al centro dei dati fondamentali della fede e guida l’animo verso l’assimi-

lazione dei misteri e delle verità evangeliche. È la preghiera dei poveri,

perché è praticabile dagli umili e soprattutto perché insegna l’itinerario

verso la povertà di spirito. È la scuola di contemplazione perché abitua a

guardare, di volta in volta, un mistero della vita di Gesù e ad assumere i suoi

stessi sentimenti (cfr. Fil 2,5). È una forma privilegiata di pedagogia e di

catechesi perché propone continuamente all’attenzione il valore del kérygma.

8. La Madonna di Leuca è la Vergine pellegrina. Come già suggeriva il

Concilio Vaticano II, il simbolo della peregrinazione nella fede illumina la

storia personale di Maria, la credente per eccellenza. Ella, infatti, «avanzò

nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione con il Figlio

fino alla croce» (Lumen gentium, 58). Il suo itinerario di fede è costituito da

luci ed ombre. Squarci di luce si evidenziano alle nozze di Cana, dove per la

preghiera della Madre Cristo compie il primo segno di rivelazione,

suscitando la fede dei discepoli (cfr. Gv 2,1-12). Momenti di oscurità si

presentano quando ascolta il presagio di Simeone (cfr. Lc 2,35), si incammi-

na per le strade tortuose dell’esilio in Egitto, «non comprende» l’atteggia-

mento di Gesù dodicenne nel tempio e tuttavia serba «tutte queste cose nel

suo cuore» (Lc 2,51). Anche durante la vita nascosta di Gesù, Maria fa

risuonare dentro di sé la beatitudine di Elisabetta attraverso una vera e

propria «fatica del cuore» (Redemptoris Mater, 17). La vetta di questo

pellegrinaggio di fede è il Golgota dove ella vive intimamente il mistero

pasquale del Figlio. Sul Calvario, Maria sperimenta la notte della fede e,

dopo l’illuminazione della Pentecoste, continua a pellegrinare nella fede fino

all’assunzione quando il Figlio l’accoglie nella beatitudine eterna. Anche nel

nostro tempo, «la beata Vergine Maria continua a precedere il popolo di

Dio. La sua eccezionale peregrinazione nella fede rappresenta un costante

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punto di riferimento per la Chiesa, per i singoli e le comunità, per i popoli e

le nazioni e, in un certo senso, per l’umanità intera» (Redemptoris Mater, 6).

A lei chiediamo di accompagnare il nostro debole cammino di fede,

attraversato da momenti di dubbio, di crisi e di incertezze, ma sempre

fiducioso di avere lei come sostegno e guida.

9. La Madonna di Leuca è la stella maris e la stella matutina. In quanto

"stella dei naviganti", la stella polare fu chiamata stella maris. Questo titolo

fu attribuito alla Vergine Maria. A lei fu anche riferito il titolo di stella

matutina. Maria, infatti, è l’aurora che precede Cristo sull’orizzonte della

storia, lo genera e lo accompagna nella sua vicenda terrena. Le stelle con il

loro segnale luminoso posseggono un fascino misterioso e rappresentano un

richiamo rassicurante per chi naviga in mare in vista della meta desiderata.

Mentre brillano nel cielo, esse rimangono silenziose e parlano con la loro

luce nel profondo e misterioso silenzio dell’universo. Nel mare della vita,

abbiamo tutti bisogno di avere una stella che illumini e orienti il nostro

cammino. Nello stesso tempo, abbiamo bisogno di silenzio che ci aiuti ad

ascoltare la voce misteriosa di Dio e il grido sofferto degli uomini. In quanto

“stella del mare”, la Vergine di Leuca spande la sua luce su coloro che alzano

gli occhi verso i suoi per individuare la strada da percorrere. In quanto stella

luminosa del mattino, ella è la voce silenziosa che risponde agli interrogativi

del cuore. Riconoscendo nella Vergine de finibus terrae la luminosa stella

dell’evangelizzazione, la nostra Chiesa particolare affida a lei la sua missione

perché ella ci guidi all’annunzio del Vangelo «fino agli estremi confini della

terra» (At 1,8).

10. Preparandoci a vivere il prossimo Giubileo straordinario, siamo

stimolati a invocare la Madonna di Leuca, come Mater misericordiae.

Nessuno, infatti, come lei «ha conosciuto la profondità del mistero di Dio

fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della

misericordia fatta carne. La Madre del Crocifisso Risorto è entrata nel

santuario della misericordia divina perché ha partecipato intimamente al

mistero del suo amore» (Misericordiae vultus, 24). In un intimo trasporto del

cuore, ci uniamo alla preghiera del servo di Dio, il vescovo don Tonino Bello,

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cantore della Vergine Maria donna dei nostri giorni, che si è rivolto a lei

come alla “donna del primo sguardo” e l’ha implorata con queste parole:

«Perdonaci se i nostri sguardi sono protesi altrove.

Se inseguiamo altri volti.

Se corriamo dietro ad altre sembianze.

Ma tu sai che nel fondo dell’anima

ci è rimasta la nostalgia di quello sguardo.

Anzi, di quegli sguardi: del tuo e del suo.

E allora, un’occhiata,

daccela pure a noi, madre di misericordia.

Soprattutto quando sperimentiamo

che, a volerci bene, non ci sei rimasta che tu».

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IL CAPO DI LEUCA, UNA BELLEZZA AFFASCINANTE*

La bellezza naturale e selvaggia del Capo di Leuca!

Una terra tra due mari, quasi un ponte che si protende nel Mediterraneo

per raggiungere la sponda opposta annullando le distanze e consentendo

l’incontro di popoli e culture; una terra innervata dalle “Serre” che precipi-

tano sul versante adriatico creando una costa dal fascino aspro e selvaggio,

mentre degradano lentamente verso il mare Jonio formando una costa inin-

terrotta di dune sabbiose.

La bellezza contagiosa e diffusa del Capo di Leuca! Non solo la terra e il

mare, ma anche i centri abitati, allineati nei piani di minore altitudine, for-

mano un reticolo di case . Posti l’uno accanto all’altro, quasi a formare una

città diffusa, sembrano appoggiarsi lungo gli scoscesi dirupi per cercare un

riparo e la materna protezione della terra, nascondendosi e riparandosi die-

tro piccole alture ricoperte di alberi e arbusti.

La bellezza creativa e mimetica del Capo di Leuca! L’arte barocca, in una

sorta di frenetica creatività che impegna l’artista a gareggiare con il Creato-

re, ha cercato di mimare la realtà per ripresentarla nelle volte e negli altari

delle Chiese e negli architravi delle case in forme altrettanto luminose e co-

lorate.

La bellezza sentita e vissuta del Capo di Leuca! La gente, con la sua antica

cultura di popolo sempre pronta a cantare, con timbri e voci diverse fuse

nell’armonia dell’unico coro, la bella canzone che infonde speranza e inneg-

gia alla vita, alla terra, all’amore.

La bellezza antica e trasfigurata del Capo di Leuca! Dove l’uomo del Sud

può mantenere inalterati i ritmi e le tradizioni del passato e, nello stesso

tempo, lasciarsi accarezzare dal soffio di un vento che annuncia le nuove

possibilità del tempo presente.

* Presentazione a Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca-GAL Capo S. Maria di Leuca, È Capo

di Leuca, giugno 2015, p. 4.

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La bellezza magica e religiosa del Capo di Leuca! Dove la Chiesa può a-

mare l’essenziale e, ogni giorno, lasciarsi trasfigurare dall’Amore, coltivando

relazioni e proponendo annunci che rendono lieta l’anima e piena di speran-

za la vita, sulle orme di uno dei suoi figli più belli: il servo di Dio, don Tonino

Bello.

Il Parco culturale “Terre del Capo di Leuca” è tutto questo! Una terra da

sempre considerata de finibus terrae, un confine, e che ora sente il brivido di

poter diventare ponte, e avverte la chiamata a vivere la sua bellezza come

volto rivolto nel Mediterraneo, per additare a tutti coloro che percorrono le

sue strade una forma di vita meravigliosa, fatta di incontri, di comunione, di

fraternità.

Ringrazio sentitamente il GAL Capo S. Maria di Leuca e le amministrazio-

ni comunali del territorio diocesano che hanno creduto nella nostra sfida e

che hanno voluto sostenere molte delle nostre iniziative. Un augurio a chi

vivrà la nostra terra e la nostra Chiesa diocesana: possa cercare e trovare in

questo avamposto di speranza e di pace, Cristo risorto, la bellezza che salva!

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L’EUCARISTIA, SINTESI E COMPENDIO DELLA FEDE*

Cari fratelli e sorelle,

celebriamo la solennità del Corpus Domini nell’intimità dell’ assemblea

liturgica e nell’attestazione pubblica per le strade del nostro paese. Interno

ed esterno sono illuminati dallo splendore dell’amore e il nostro cuore si

lascia andare allo stupore eucaristico, perché riconosciamo che l’Eucaristia è

il compendio e la somma della nostra fede. In essa «è racchiuso tutto il bene

spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua»1. Per questo

essa è «fonte e culmine di tutta la vita cristiana»2.

Nell’Eucaristia si concentra tutta la vita della Trinità, tutta la storia della

salvezza, tutta la vita della Chiesa (la liturgia, i sacramenti, i ministeri eccle-

siastici, le opere di apostolato), tutta la storia del mondo. L’Eucaristia è

l’anticipazione della vita eterna3.

San Tommaso esprime, da par suo, il significato del mistero quando

scrive che «l’Eucaristia è il memoriale della passione, il compimento delle

figure dell’Antica Alleanza, la più grande di tutte le meraviglie operate dal

Cristo, il mirabile documento del suo amore immenso per gli uomini»4.

L’insondabile ricchezza di questo sacramento si esprime attraverso i

diversi nomi con i quali viene definita. Ciascuno di essi evoca aspetti par-

ticolari: Eucaristia vuol dire rendimento di grazie a Dio; Cena del Signore si

riferisce alla cena che il Signore ha consumato con i suoi discepoli, la vigilia

della sua passione e dell’anticipazione della cena delle nozze dell’Agnello

nella Gerusalemme celeste; Frazione del pane indica il rito utilizzato da Gesù

durante l’ultima Cena; Assemblea eucaristica in quanto l’Eucaristia viene

celebrata nell’assemblea dei fedeli, espressione visibile della Chiesa; Me-

* Omelia nella Festa del Corpus Domini, Cattedrale, Ugento, 7 giugno 2015.

1 Presbyterorum ordinis, 5.

2 Lumen gentium, 11.

3 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1324-1327.

4 Tommaso d’Aquino, Opusc. 57, festa del Corpo del Signore, lect. 4.

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moriale della passione e della risurrezione del Signore perché ricorda

l’avvenimento pasquale; Santo sacrificio perché attualizza l’unico sacrificio

di Cristo Salvatore e comprende anche l’offerta della Chiesa; Santa e divina

liturgia perché tutta la liturgia della Chiesa trova il suo centro e la sua più

densa espressione nella celebrazione di questo sacramento; Santissimo

Sacramento in quanto costituisce il sacramento dei sacramenti e indica le

specie eucaristiche conservate nel tabernacolo; Comunione perché, median-

te questo sacramento, i credenti si uniscono a Cristo, il quale li rende

partecipi del suo Corpo e del suo Sangue per formare un solo corpo; Cose

sante evoca il significato originale dell’espressione «comunione dei santi» di

cui parla il Simbolo degli Apostoli. Si utilizzano, inoltre, altre espressioni:

pane degli angeli, pane del cielo, farmaco d’immortalità, viatico. Santa

Messa, perché la liturgia, nella quale si è compiuto il mistero della salvezza,

si conclude con l’invio dei fedeli (missio) affinché compiano la volontà di Dio

nella loro vita quotidiana5.

Prendendo a prestito le domande fondamentali di I. Kant, potremmo

dire che l’Eucaristia è “tutto ciò che possiamo pensare” (Critica della ragion

pura). «Il nostro modo di pensare è conforme all’Eucaristia e l’Eucaristia, a

sua volta, si accorda con il nostro modo di pensare»6. L’Eucaristia è anche

“tutto ciò che possiamo fare” (Critica della ragion pratica) e, pertanto,

esclamare con sant’Agostino: «O sacramentum pietatis! O signum unitatis!

O vinculum caritatis! – O sacramento di pietà! O segno di unità! O vincolo di

carità!»7. L’Eucaristia, infine, è “tutto ciò che possiamo sperare” (Critica del

giudizio). Essa è «pignus futurae gloriae».

5 Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1328-1332.

6 Ireneo, Adversus haereses, 4, 18, 5.

7 Agostino, In Evangelium Johannis tractatus, 26, 6, 13.

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HO INCONTRATO PAPA FRANCESCO*

«Ci ha spronati ad avere cura del creato, dell’ambiente. A noi, in parti-

colare, per le nostre particolari emergenze». Così il vescovo Vito Angiuli, di

Ugento-Santa Maria di Leuca, sintetizza il suo incontro degli scorsi giorni con

Papa Francesco, in cui ha ha avuto l’occasione di far presente al Santo Padre

la situazione di emergenza ambientale del Sud Salento. L’intervista, raccolta

dal giornalista Pino Ciociola è una vera e propria esortazione al popolo dei

fedeli a scendere in campo per difendere l’ambiente ed il territorio.

«Ho spiegato al Papa in particolare due problemi di natura ambientale,

uno riguardante la questione della Xylella, cioè il disseccamento degli ulivi,

l’altro relativo a un’eventuale prova di trivellazione per vedere se nel mare

vicino Leuca c’è petrolio» continua il vescovo, «su questi due argomenti così

importanti, e con conseguenze notevoli sul territorio e sulla gente, come

Chiesa abbiamo posto il problema e siamo intervenuti, naturalmente con lo

stile della Chiesa».

Un colloquio che ha sollevato l’attenzione del Papa, che ha ascoltato

«con grande attenzione, evidentemente questi temi sono particolarmente

cari alla sua responsabilità», per poi rispondere: «Eccellenza, intanto c’è

un’Enciclica che fra poco sarà pubblicata, ne faccia tesoro per continuare a

far prendere coscienza di questi temi il popolo di Dio». Un monito che il

vescovo del Sud Salento fa proprio: «Ce ne stiamo occupando», racconta il

vescovo, «per sottolineare la consapevolezza della Chiesa di quanto accade.

Levando la nostra voce davanti a questioni che toccano non soltanto

l’aspetto economico, la cultura, ma soprattutto l’identità di un popolo. La

cosa più importante è che le istituzioni trovino una linea comunque.

Certamente all’incremento della ricerca scientifica, visto che finora le

risposte sono state divergenti e non molto chiare».

* Intervista a Pino Ciociola, “Avvenire”, 14 giugno 2015, p. 11. L’intervista è stata ripresa da

altri giornali: “Il Quotidiano di Lecce”, 16 giugno 2015, p. 7; “Il Corriere del Mezzogiorno”, 16 giugno 2015, p. 6.

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«Adesso la cosa più importante è sottolineare che chi ne ha la responsa-

bilità promuova la ricerca» conclude Angiuli. Perché è «necessario trovare

risposte scientificamente fondate per il futuro e condivise, arrivando

laddove ad oggi non si è arrivati».

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IL TEMPO È MESSAGGERO DI DIO*

Carissimi Mario e Giulia,

i sentimenti che voi provate in questo giorno sono i nostri stessi sen-

timenti. Il salmo responsoriale li ha espressi in una maniera straordinaria.

Continuate a farli risuonare nel vostro animo! Quelle parole contengono le

preghiere, le invocazioni che voi e noi, insieme con voi, vogliamo rivolgere al

Signore: rendere grazie per i benefici ricevuti; contemplare le opere che Dio

ha compiuto nella vostra vita; anelare a vivere in maniera ancora più

luminosa il vostro impegno di fede e di vita cristiana.

Io dovrei soffermarmi questa mattina su tre aspetti che hanno caratte-

rizzato la vostra esperienza personale, coniugale e familiare. Innanzitutto la

questione del tempo, gli 80 anni di Mario; dovrei, poi, riflettere sull’esempio

e la testimonianza che continuate a dare come coppia e famiglia cristiana;

dovrei, infine, ricordare la dimensione professionale nel campo della forma-

zione, dell’istruzione e dell’educazione come dirigente scolastico e, ora,

come direttore diocesano dell’Ufficio Scuola. Ognuno di questi elementi

richiederebbe una riflessione specifica. Mi soffermo soltanto sul primo

aspetto, quello del tempo.

Occorre ricordare che la fede cristiana non è l’assenso a verità astratte,

ma è intrinsecamente legata ad una dimensione storica. Il tempo è dentro la

professione della fede. Essa si caratterizza per l’assenso dato ad un avveni-

mento accaduto nella storia: la rivelazione dell’Antico e del Nuovo Testa-

mento, portata a compimento in maniera alta e insuperabile da Gesù Cristo.

Questo significa che, per noi cristiani, il tempo è di un’importanza fonda-

mentale. Lo è in quanto persone umane, e questo ci accomuna a tutti quanti

gli altri uomini. Lo è soprattutto per l’importanza che la fede dà alla

dimensione temporale.

* Omelia in occasione dell’80° compleanno del diacono Mario Macrì, Parrocchia “San

Vincenzo L. e M.”, Miggiano, 18 giugno 2015.

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Allora che cos’è il tempo per noi? Perché festeggiamo il compleanno, in

questo caso i tuoi 80 anni? Cosa insegna la S. Scrittura in merito alla

questione del tempo?

Richiamo alcuni aspetti che possono aiutarci a comprendere il valore di

quanto stiamo celebrando questa mattina. La ricorrenza degli 80 anni del

nostro carissimo Mario ci consente di meditare non solo sulla ricorrenza

cronologica, ma soprattutto sull’avvenimento kairologico. Non facciamo

memoria solo del tempo che scorre e passa, ma del tempo che dura e

rimane.

Il primo aspetto si riferisce al tempo come possibilità di maturare la

sapienza del cuore. Il salmista prega: «Insegnaci a contare i nostri giorni e

giungeremo alla sapienza del cuore» (sal 90,12). È un’espressione molto

bella. Il tempo passa, gli avvenimenti si susseguono, talvolta sembrano

insignificanti o si dileguano senza che ce ne rediamo conto. La Sacra

Scrittura invece invita a “contare” i nostri giorni come “tempo di grazia”. Ci

esorta a scoprire, dentro lo scorrere del tempo, il valore che Dio dà alle

nostre azioni ed agli avvenimenti che accadono nella nostra vita.

In questo giorno, caro Mario, ti esortiamo a continuare a compiere il

discernimento dei segni dei tempi. Il tempo trascorso è stato un accresci-

mento e una maturazione di tipo sapienziale. Il tuo cuore è diventato

sapiente non per una conoscenza astratta, ma partendo dagli avvenimenti,

dalla storia, anche dagli aspetti più fragili della tua vita: le tue mancanze, i

tuoi peccati, i tuoi ritardi. Come ogni esperienza umana, anche la tua vita è

stata attraversata dalla sofferenza, dal dolore, dalle fatiche, dalle debolezze.

Considera il tuo vissuto come una sedimentazione della sapienza divina da

assaporare, con gusto e gioia, insieme con Giulia.

Il secondo aspetto prende in considerazione un’altra frase della Scrittura.

Il libro del Siracide afferma: «Per ogni cosa c’è il suo momento, il suo tempo

per ogni faccenda sotto il cielo. C’è un tempo per nascere e un tempo per

morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante. Un

tempo per uccidere e un tempo per guarire, un tempo per demolire e un

tempo per costruire. Un tempo per piangere e un tempo per ridere, un

tempo per gemere e un tempo per ballare. Un tempo per gettare sassi e un

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tempo per raccoglierli, un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi

dagli abbracci. Un tempo per cercare e un tempo per perdere, un tempo per

serbare e un tempo per buttar via. Un tempo per stracciare e un tempo per

cucire, un tempo per tacere e un tempo per parlare. Un tempo per amare e

un tempo per odiare, un tempo per la guerra e un tempo per la pace. Che

vantaggio ha chi si dà da fare con fatica? Ho considerato l’occupazione che

Dio ha dato agli uomini, perché si occupino in essa. Egli ha fatto bella ogni

cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore,

senza però che gli uomini possano capire l’opera compiuta da Dio dal

principio alla fine» (Qo 3,1-11).

Queste parole rappresentano una stupenda meditazione poetica sul

mistero del tempo e sull’esistenza umana dal suo primo apparire fino alla

morte. Bisogna imparare a conoscere le sfumature del tempo. Esso sfila con

un ritmo inarrestabile e apparentemente predeterminato; eppure rimane la

domanda radicale sul senso del divenire.

Il testo sapienziale è pervaso da una straordinaria potenza, quanto mai

attuale anche per noi. La sua forza espressiva interroga e interpella la

cultura moderna, attraversata dalla sindrome di Peter Pan, ossia dal deside-

rio di racchiudere il tempo sempre sotto la stessa dimensione, rimanendo

sempre giovani, in uno stato adolescenziale dove tutto è permesso senza

assumersi mai nessuna responsabilità. Questa è, forse, una delle più grandi

malattie del nostro tempo.

La sapienza della vita nasce dalla capacità di comprendere la differenza

dei tempi, accettando la diversità delle situazioni e vivendo il cambiamento

delle stagioni. Questo esercizio di discernimento ha accompagnato la tua

vita, caro Mario. Oggi ti invitiamo a capire ancora i tempi di Dio, a discernere

i momenti differenti in cui Dio si presenta, a cogliere la distinzione e la

ricchezza degli avvenimenti, senza cadere nella monotonia della ripetizione

dell’identico, come fa il mondo.

È bello essere bambini, ma è bello essere adolescenti; è bello essere

giovani, ma è bello anche essere anziani. Occorre vivere il tempo della

maturità e dell’anzianità, non come una realtà ineluttabile e insopportabile,

ma come un altro momento che si aggiunge a quelli già vissuti per assapo-

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rare la ricchezza dei doni e la varietà delle esperienze. Fai tesoro di tutti i

tempi che hai vissuto e di questo tempo della tua vita, cercando di

comprendere la volontà di Dio anche nelle difficoltà connesse all’età. Scopri

la ricchezza e la bellezza di questo tempo che il Signore ti dona e fai

fruttificare ogni cosa con la stessa gioia e lo stesso entusiasmo che tu hai

messo nei vari momenti della tua vita. C’è ancora un tempo e un tempo!

Cari fedeli, questa è una lezione che tutti dobbiamo imparare: scoprire la

bellezza dei tempi che cambiano e comprendere, nello sviluppo temporale, i

diversi momenti in cui la volontà di Dio si esprime senza mai essere identica

e ripetitiva, ma sempre nuova e entusiasmante.

Papa Francesco, in una bellissima riflessione, aggiunge qualcosa che mi

sembra opportuno richiamare. Egli opera una bellissima distinzione fra il

“momento” e il “tempo”. Ascoltiamo le sue parole: «Il Signore ci consiglia

due cose – ha specificato il Pontefice –. Due cose che sono diverse a seconda

di come viviamo. Perché differente è vivere nel momento e differente è

vivere nel tempo. Il cristiano è, uomo o donna, colui che sa vivere nel

momento e sa vivere nel tempo». Il momento, ha aggiunto, è quello che

abbiamo in mano nell’istante in cui viviamo. Ma non va confuso con il tempo

perché il momento passa. «Forse noi – ha precisato – possiamo sentirci

padroni del momento». Ma, «l’inganno è crederci padroni del tempo. Il

tempo non è nostro. Il tempo è di Dio». Certamente il momento è nelle

nostre mani e abbiamo anche la libertà di prenderlo come più ci aggrada.

Anzi «noi possiamo diventare sovrani del momento. Ma del tempo c’è solo

un sovrano: Gesù Cristo. […] Ecco a cosa serve il discernimento, ha spiegato:

«per conoscere i veri segni, per conoscere la strada che dobbiamo prendere

in questo momento». La preghiera è necessaria per vivere bene questo

momento. Invece per quanto riguarda il tempo, «del quale soltanto il

Signore è Padrone», noi – ha ribadito il Pontefice – non possiamo fare nulla.

Non c’è infatti virtù umana che possa servire a esercitare qualche potere sul

tempo. L’unica virtù possibile per guardare al tempo «deve essere regalata

dal Signore: è la speranza». Preghiera e discernimento per il momento;

speranza per il tempo: «così il cristiano si muove su questa strada del

momento, con la preghiera e il discernimento. Ma lascia il tempo alla

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speranza. Il cristiano sa aspettare il Signore in ogni momento; ma spera nel

Signore alla fine dei tempi. Uomo e donna di momenti e di tempo, di

preghiera e discernimento e di speranza»1.

In altri termini, il papa sottolinea che il momento è ciò che ci appartiene

e ci caratterizza. Essere uomini vuol dire vivere singoli aspetti: momenti,

segmenti, spezzoni. Sono essi la nostra proprietà. Non ci è dato, però di

possedere il senso totale del tempo. Questo appartiene solo a lui. Il

momento è nostro, il tempo è di Dio! Egli ha in mano il percorso totale

perché lui è l’inizio e la fine ed anche l’intero percorso.

Da una parte, occorre avvertire la fragilità della nostra condizione

umana, la sua temporalità, il senso del momento. Il salmista ricorda che

siamo fragili come i fiori del campo. Questa fragilità non deve spaventarci

perché è sostenuta dalla potenza e dalla stabilità di Dio. Egli dona ad ogni

momento il senso del tempo perché unisce i singoli momenti all’intero

sviluppo del percorso. È certamente bello capire i singoli momenti. Ma è

ancora più bello lasciarsi trasportare dalla vastità del tempo che è nelle mani

di Dio.

Allora, caro Mario, vivi anche questo aspetto della nostra umanità. Vivi il

momento e attendi da Dio di vivere il tempo che egli ti assegna. È lui che

progetta e dona. Lui conosce il disegno complessivo di tutta la tua vita. Lui

ha in mano il destino dell’intera storia umana. Lasciati cullare dal “tempo di

Dio”!

Fai anche tesoro di un’altra espressione che il papa riprende da un detto

di san Pietro Favre, compagno di S. Ignazio: «Il tempo è il messaggero di

Dio»2. Attraverso lo scorrere del tempo, Dio ci manda dei messaggi. Non c’è

bisogno di andare in ambienti speciali per avere i messaggi di Dio. La nostra

vita ordinaria è il luogo in cui Dio fa sentire la sua voce.

Ti invito, caro Mario, ad ascoltare i messaggi che Dio ti invia. Conservali

come un dono preziosissimo. Sono la via per giungere alla sapienza del

1 Papa Francesco, Il Padrone del tempo, Omelia in Santa Marta, Lunedì, 25 novembre 2013,

“L’Osservatore Romano”, CLIII, 272, merc. 27 novembre 2013. 2 Papa Francesco, Evangelii gaudium, 171.

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cuore. Ogni cosa, infatti, si può sintetizzare con le parole della Colletta: «O

Dio, fonte di ogni bene, principio del nostro essere e del nostro agire, fa’ che

riconosciamo i benefici della tua paternità e ti amiamo con tutto il cuore e

tutte le forze».

Auguri vivissimi!

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L’ENCICLICA LAUDATO SI’*

Nel solco delle encicliche “sociali” del Novecento. Dalla Rerum novarum

(Leone XIII, 1891) alla Populorum progressio (Paolo VI, 1967). Laudato si’ è

stata diffusa da poche ore ma ha già suscitato un dibattito serrato e

profondo. Pone domande radicali cui non si può sfuggire, essere evasivi,

politically correct. A credenti e non. A tutti gli uomini di buona volontà se

solo vogliono vivere in dialettica col loro tempo, responsabilizzarsi sui destini

del mondo e i loro, ridare linfa alla propria vita, influire sulle scelte di

domani, prossimi quasi al default, al tunnel viscido del non ritorno.

Ora nessuno può girarsi dall’altra parte: “frate vento” sfiora tutti. 192

pagine in cui i toni di Papa Francesco sono vibranti, in certi snodi le accuse si

trasfigurano quasi in “scomunica”. Nessuno sfugge: finanza predatrice che

oscura “frate sole”, multinazionali dedite solo al profitto, banche risanate,

dal 2008, sulla pelle dei popoli, “sor’acqua” negata a un miliardo di persone

in aree della terra sempre più desertificate, diritto alla felicità (e qui brilla

l’eco della Costituzione Usa) calpestato, uomo umiliato e offeso. Il pianeta

sfruttato, depredato senza limiti, globalizzazione rapace e senza etica, popoli

scacciati dalla loro terra, raminghi per il mondo, affidati a “sora luna e le

stelle”.

Un Papa “verde”, s’è scritto. Ma ambientalista (oltre che teologo illumi-

nato e raffinato filosofo) è anche Vito Angiuli, Vescovo della Diocesi Ugento-

S. Maria di Leuca (nella foto col Sommo Pontefice), a maggio eletto dalla Cei

Presidente della Commissione per il Laicato in Italia: un barese “adottato”

nel 2010 dal Salento, terra che sente sua, tanto da intervenire a sit-in,

marce, flash-mob (No-Triv off-shore, xylella, ecc.). Background che lo sin-

tonizza col Pontefice, dandogli autorevolezza in materia.

* Intervista a Francesco Greco “Giornale di Puglia” on line, 21 giugno 2015.

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Eccellenza, “Laudato si’” pone al centro la natura, tema su cui Bergoglio

era intervenuto anche in passato: se l’aspettava?

Certo che me l’aspettavo! Fin dall’inizio del suo pontificato, Papa France-

sco aveva trattato temi di carattere ambientale. In questi ultimi mesi, egli

stesso aveva preannunziato la pubblicazione dell’enciclica in tempi relativa-

mente brevi. D’altra parte, i primi numeri dell’enciclica (cfr. nn. 3-6) ripor-

tano gli insegnamenti dei precedenti Pontefici, a partire da san Giovanni

XXIII, a dimostrazione che la questione ecologica era già stata presa in

considerazione. Bisogna inoltre sottolineare che l’enciclica non mette al

centro solo la natura, ma presenta un orizzonte più ampio includendo anche

la dimensione sociale, culturale e umana.

Trova assonanze, sovrapposizioni semantiche col messaggio di san

Francesco, di otto secoli fa?

Il riferimento al pensiero di san Francesco è esplicitato dal Pontefice ai

nn. 10-12. L’intenzione di ricollegarsi alla visione francescana non è

sottintesa o semplicemente allusiva, ma chiaramente espressa. Queste le

parole dell’enciclica: «Non voglio procedere in questa Enciclica senza

ricorrere a un esempio bello e motivante». Si noti l’utilizzo del verbo

“voglio” a indicare la volontà esplicita di papa Francesco di ricollegarsi

all’insegnamento e soprattutto all’esempio di san Francesco; un esempio

definito “bello e motivante”.

Il Papa dice che siamo alle prese con infinite emergenze ambientali,

incalzati da “frate focu” sia in Italia che sull’intero pianeta: politici in-

differenti, spesso collusi, coscienza civica fragile: che futuro ci aspetta?

L’analisi della situazione economica, l’enucleazione delle emergenze

sociali, i riferimenti ai disastri ambientali occupano gran parte dell’enciclica.

Come sottolinea lo stesso Pontefice, lo scopo dell’enciclica non consiste solo

nel richiamare i princìpi che devono regolare l’agire dell’uomo, ma nel

prendere in esame le questioni più urgenti e nel ripresentarle sinteticamen-

te e con chiarezza perché spingano al cambiamento delle politiche

economiche e sociali. L’enciclica è un appello alla responsabilità di tutti.

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Queste le parole di Papa Francesco: «Rivolgo un invito urgente a rinnovare il

dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Abbiamo

bisogno di un confronto che ci unisca tutti, perché la sfida ambientale che

viviamo, e le sue radici umane, ci riguardano e ci toccano tutti» (n. 14).

Lei interviene spesso sui media e nelle manifestazioni in difesa di “sora

nostra madre terra”, per uno sviluppo sostenibile e rispettoso: cosa può fare

di concreto la Chiesa ogni giorno?

L’enciclica è indirizzata alla Chiesa e ad ogni uomo. L’ultima parte (la

sesta), intitolata “educazione e spiritualità ecologica” offre alcuni orienta-

menti utili per il credente e per il non credente. Il primo appello è di

«puntare su un altro stile di vita» (cfr. nn. 203-208). Il secondo richiamo è di

«educare all’alleanza tra l’umanità e l’ambiente» (cfr. nn. 209-215). A tutti è

rivolto l’invito alla «conversione ecologica» (cfr. nn. 216-221). Quasi a mo’ di

inclusione, l’enciclica parte da san Francesco e alla fine ritorna al Poverello

d’Assisi. «Ricordiamo il modello di san Francesco d’Assisi, – scrive il Ponte-

fice – per proporre una sana relazione col creato come una dimensione della

conversione integrale della persona. Questo esige anche di riconoscere i

propri errori, peccati, vizi o negligenze, e pentirsi di cuore, cambiare dal di

dentro» (n. 218).

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PRECURSORE, PROFETA, AMICO DELLO SPOSO*

Caro don Giuseppe,

celebriamo la ricorrenza giubilare del tuo XXV anniversario di ordinazio-

ne sacerdotale nella festa della Natività di san Giovanni Battista, la cui figura

si staglia nel panorama biblico per la sua ricca poliedricità e la sua straordi-

naria grandezza. È la cornice ideale per meditare sul sacerdozio, ponendolo

a confronto con la persona e il ministero di Giovanni Battista. I tre titoli

riferiti a Giovanni (precursore di Cristo, profeta, amico dello sposo) indicano

tre dimensioni del sacerdozio: il servizio e l’orientamento del ministero a

Cristo, la mediazione e la rappresentanza della persona di Cristo, il rapporto

intimo e personale con Cristo.

Precursore di Cristo

Il fatto che Giovanni sia precursore di Cristo innesca nel loro rapporto la

dialettica tra “il prima e il dopo”. Sant’Agostino spiega in modo mirabile il

legame tra Gesù e Giovanni, riflettendo sul rapporto che intercorre tra la

voce e la Parola. «Chi viene prima: – egli si chiede – la voce o il verbo? Nel

mio intimo viene prima il verbo. Se infatti non avessi prima concepito nel

cuore il verbo, non andrei a cercare la voce con cui comunicarlo. Il verbo

quindi è stato concepito prima della voce, e della voce esso si è servito come

di un veicolo per giungere a te, non per esistere dentro di me. Io infatti

conosco ciò che andrò a dire, anche se poi non lo dico. Prima di dirlo non ho

ancora usato la voce, eppure il verbo esiste dentro di me. Uso la voce per

comunicarlo a te, perché, quando avrai udito la mia voce, il verbo sia anche

dentro di te. In me dunque, che debbo insegnare, il verbo precede, la voce

segue; in te invece, che devi apprendere, la voce precede, il verbo segue»1.

* Omelia nel XXV di ordinazione presbiterale di don Giuseppe Indino, Parrocchia Cristo Re,

Leuca, 24 giugno 2015. 1 Agostino, Disc. 293/A, 9.

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Il Vescovo di Ippona applica questo modello al legame tra Cristo e

Giovanni: «Se Cristo è il Verbo e Giovanni la voce, Cristo-Verbo fu prima [di

Giovanni] presso Dio; viceversa, riguardo a noi giunse prima la voce perché

potesse venire a noi il Verbo. Dunque presso Dio esisteva il Verbo quando

ancora Giovanni, la voce, non esisteva. Cristo dunque esisteva prima di

Giovanni, anzi esisteva fin dall’eternità; e tuttavia non doveva nascere prima

di lui ma solo dopo che Giovanni, la voce, ebbe preceduto il Verbo»2.

La conseguenza è che il ministero di Giovanni è transeunte, mentre il

ministero di Cristo è eterno. Ancora sant’Agostino scrive: «Il ministero

dell’uomo Giovanni era simile alla voce, quindi destinato a passare. […] Il

battesimo di Giovanni era transitorio come lo è il suono di una voce, il

battesimo di Cristo è duraturo: rimane in eterno, come eterno è il Verbo»3.

Viene così delineato il rapporto tra il Cristo e il sacerdote. Questi deve

vivere il suo ministero come strumento nelle mani di Cristo. Il primato spetta

sempre a Cristo. il sacerdote “precorre” Cristo nel senso che deve disporre

l’animo alla venuta di Cristo. In realtà, Cristo ha già raggiunto il destinatario

prima che il suo ministro dia inizio alla sua opera. La grazia di Cristo

“precorre” l’azione del ministro. Tuttavia, questa è necessaria perché la

grazia si renda concretamente presente nell’animo dell’uomo. In altri

termini, il sacerdote ha la funzione di orientare a Cristo, indicare Cristo,

accompagnare a Cristo. In questo senso egli “precorre”. Nel suo intimo,

però, deve sempre pensare che Cristo non ha bisogno di lui per raggiungere

l’animo dell’uomo. Ci sono molte vie, misteriose e reali, attraverso le quali lo

Spirito di Cristo “precorre” l’azione del ministro e si rende presente nel

cuore dell’uomo. Il servizio del sacerdote è subordinato all’azione di Cristo e

totalmente relativo a lui. Egli deve sempre più “diminuire” perché Cristo

possa “ crescere”.

Profeta e mediatore

Gesù definisce Giovanni «profeta e più che profeta” (Mt 11,9). Questa

dimensione incarna la funzione di rappresentanza, di mediazione e di ponte

2 Id., Disc. 293/A, 10.

3 Ivi, 11.

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del sacerdote. Rende esplicita quella dimensione istituzionale del ministero

che manifesta la relazione “oggettiva” con Cristo.

Ai profeti, infatti, non è dato di vedere ciò che annunciano. Essi devono

parlare a nome di colui che li ha inviati e devono svelare con coraggio il male

anche se questo costerà la perdita della libertà e persino della vita. Il

Vangelo di Matteo narra, in maniera particolareggiata, la “crisi” di Giovanni

(cfr. Mt 11,2-6). Dalla sua prigione, egli invia a Gesù una delegazione di

discepoli i quali pongono a Gesù alcune domande circa la sua identità. La

vita del profeta è sempre scossa da momenti di incertezza, di tribolazione e

di avversità. Egli, però, deve mantenersi sempre saldo nella fede.

Il sacerdote, come Giovanni, deve essere un profeta ossia una persona

che annuncia un messaggio che non è suo, ma di chi lo ha inviato. La

consapevolezza di essere portatore di una notizia non sua qualifica il suo

ministero come “rappresentanza”. Verità e franchezza sono le virtù del

profeta. Le stesse virtù devono animare l’azione del sacerdote. Paolo VI

soleva dire che il sacerdote è un profeta che ha «fuoco nel cuore, parola

sulle labbra, profezia nello sguardo»4.

Giovanni Battista assolve anche la funzione di “ponte”. «Sembra che

Giovanni – scrive sant’Agostino – sia posto come un confine fra due

Testamenti, l’Antico e il Nuovo. Infatti che egli sia, in certo qual modo, un

limite lo dichiara lo stesso Signore quando afferma: «La Legge e i Profeti fino

a Giovanni» (Lc 16, 16). Rappresenta dunque in sé la parte dell’Antico e

l’annunzio del Nuovo. Infatti, per quanto riguarda l’Antico, nasce da due

vecchi. Per quanto riguarda il Nuovo, viene proclamato profeta già nel

grembo della madre»5.

Il sacerdote è figura di Cristo “mediatore”. Cristo, infatti, «non ci ha

abbandonati, ma è con noi e lo sarà in eterno. Egli compie i misteri

attraverso le mani e la lingua del sacerdote […]. Questa la potenza del

sacerdote; questo il sacerdote: infatti con l’aver sacrificato se stesso una

4 Discorso all’udienza generale del 29 Novembre 1972, in Insegnamenti di Paolo VI,

Tipografia Poliglotta Vaticana, X, pp. 1210s.). 5 Agostino, Disc. 293, 2.

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volta per sempre, non ha cessato di esercitare il suo sacerdozio, ma

continua l’ufficio liturgico per noi attraverso questo ministero, per il quale è

anche consolatore per noi presso il Padre»6.

Paraninfo e amico dello sposo

Giovanni Battista, infine, è l’«amico dello sposo» (Gv 3,29). Egli mantiene

un rapporto di intimità con Cristo e uno specifico servizio da assolvere. Così

scrive sant’Agostino: «Giovanni è amico, non un geloso rivale; e non cerca la

propria gloria, ma quella dello sposo. Tale compito è proprio degli amici

dello sposo; nelle nozze umane è tradizionale un rito solenne, per cui, oltre

tutti gli altri amici, è presente anche il paraninfo, amico più intimo, che

conosce la casa dello sposo. Ma costui è importante, veramente molto

importante. Quel che nelle nozze umane, uomo a uomo è il paraninfo,

questo è Giovanni in rapporto a Cristo»7.

Il Vangelo specifica che «l’amico dello sposo, colui che gli sta accanto e lo

ascolta, è felice alla voce dello sposo (Gv 3,27-29). Stare accanto, ascoltare e

gioire sono i verbi che caratterizzano il paraninfo. Il Battista – scrive

sant’Agostino – «non cercò in sé la sua gioia. Chi vuol trovare in sé la propria

gioia, sarà sempre triste; chi invece cerca la propria gioia in Dio, sarà sempre

contento, perché Dio è eterno. Vuoi essere sempre contento? Aderisci a

colui che è eterno. Tale dichiarazione fece di sé Giovanni. L’amico dello

sposo – disse – è felice alla voce dello sposo, non alla sua; sta in piedi

accanto a lui e lo ascolta. Se cade, è perché non lo ascolta […]. L’amico dello

sposo, quindi, deve stare lì in piedi e ascoltare. Che significa stare in piedi?

Significa permanere nella grazia ricevuta dal Signore. E ascolta la voce di lui,

che lo rende felice. Così era Giovanni: conosceva la fonte della sua felicità,

non pretendeva di essere ciò che non era; sapeva di essere un illuminato,

non colui che illumina. […] In che cosa consiste la sua gioia? Nell’ascoltare la

voce dello sposo. La mia gioia è al colmo, ho la mia grazia, non ne voglio di

più, per non perdere anche quella che ho ricevuto. In che cosa consiste

questa gioia? Sono felice alla voce dello sposo. Comprenda, dunque, l’uomo

6 Germano di Costantinopoli, Storia ecclesiastica e contemplazione mistica, PG 98, 433.

7 Agostino, Disc. 293, 6-7.

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che non deve godere della sua sapienza, ma della sapienza che ha ricevuto

da Dio. Non cerchi niente di più, e non perderà ciò che ha ricevuto»8.

Giovanni Battista gioisce della gioia dello Sposo. Lo stesso sentimento

dovrebbe albergare nel cuore del sacerdote. Egli è “l’animo dello sposo”, il

conoscitore dei suoi segreti più intimi. A lui, in quanto paraninfo, è stato

affidato il compito di preparare la sposa e di introdurla nella stanza delle

nozze, nella celebrazione e nella consumazione del mistero dell’amore.

Quando presiede la celebrazione eucaristica, egli dovrebbe avere la

consapevolezza che si tratta della «cena delle nozze dell’Agnello» (Ap 19,9),

e che l’intero mistero è avvolto da una chiara simbologia nuziale che

interpreta tutta la vita di Cristo e ne è il pieno compimento.

Cristo, infatti, volle mangiare la sua Pasqua con i Dodici in un luogo

inusuale, preso in prestito, una “camera alta”, allestita per l’occasione. Il

“Cenacolo” è il luogo dove lo sposo ha riunito la comunità-sposa per

mangiare la cena nuziale. In quella “stanza nuziale”, Cristo-sposo consegna

definitivamente il suo corpo alla Chiesa-sposa e, come lo sposo del Cantico

dei Cantici, gode dell’intimità della sposa e invita gli amici a inebriarsi.

Secondo i Padri della Chiesa, le parole di Gesù: «Prendete…mangiate,

prendete… bevete» sono analoghe a quelle dette dallo sposo del Cantico dei

Cantici. Questi, dopo essere entrato nel giardino con la sua sposa, esclama:

«Mangiate, amici, bevete, inebriatevi d’amore» (Ct 5,1).

In quella cena, si celebra e si consuma una comunione inedita, vissuta al

massimo grado. Cristo vuol diventare “una cosa sola” con la sua comunità.

L’invito a “consumare l’Eucaristia” per divenire “una sola cosa con lui” è un

invito nuziale. Consumare viene dal latino “cum-sumere”, che significa

“assumere insieme”, ma anche “arrivare insieme al sommo”. Nel sacramen-

to dell’Eucaristia si compie la profondità del mistero nuziale, che è insieme

l’unione dell’amato e dell’amata, ma anche il loro stare uno di fronte

all’altra come uno sposo e una sposa che ammirano il volto dell’altro e

tessono a vicenda le lodi l’uno dell’altra e, nel loro rinnovato incontro,

trovano la pienezza della loro esistenza.

8 Id., Omelia 4, 2-3.

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Fonte, cuore e spinta di tutta questa dinamica nuziale e comunionale è lo

Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore. Egli è la memoria fedele che custodisce

la comunione con il Cristo e la rende possibile. Ed è sempre lui a modellare

la “condivisione” di Gesù con i suoi discepoli sull’archetipo originario della

relazione del Figlio con il Padre (cfr. Gv 17,10-11.21-22).

Nell’ultima cena, Cristo si presenta come il buon pastore che dà

volontariamente la vita per il suo gregge, che conosce e ama. Anche lo sposo

del Cantico dei Cantici è presentato come il grande re Salomone e l’umile

pastore. L’amore del pastore-servo-sposo “purifica” la sposa e la rende tutta

pura e bella. Cristo, infatti, «ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei,

per renderla santa, purificandola con il lavacro della parola […] per farsela

comparire davanti gloriosa, senza macchia, senza ruga o alcunché di simile,

ma santa e immacolata» (Ef 5,25.27).

In un inno meraviglioso, san Paolo sintetizza questo mistero “nuziale” di

condivisione totale (cfr. Fil 2,5-11). Il gioco nuziale tra Dio e l’umanità

consiste in un circolo continuo tra la perdita e il ritrovamento di sé, tra il

dono dato, accolto e ridato. In questo “gioco” sta la fonte della gioia e il

valore del servizio. Lavare i piedi non è solo un servizio umile, ma è il segno

dello “spogliamento” della vita fino al dono totale di sé.

Caro don Giuseppe, parlando in generale mi sembra di aver descritto la

qualità del tuo sacerdozio. Al centro del tuo ministero hai posto il servizio

alla liturgia per esaltarne la bellezza ed esprimere la sua “nobile semplicità”.

Hai fatto dell’Eucaristia il centro della tua vita sacerdotale e il senso più

profondo del tuo servizio pastorale. Hai inteso il tuo ministero come

espressione del tuo essere pastore, profeta, servo e amico dello Sposo. Hai

approfondito spiritualmente e culturalmente il valore del mistero eucaristico

e hai educato i sacerdoti e i laici a riconoscere il “banchetto delle nozze

dell’Agnello” come “la fonte e il culmine” di tutta la vita personale e comuni-

taria. Per dirla con le parole di Papa Francesco, ti sei concentrato «sull’es-

senziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo

più necessario»9.

9 Papa Francesco, Evangelii gaudium, 35.

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Non resta che continuare a mantenerti fedele a questo nobile compito.

Nell’Eucaristia è racchiuso tutto il bene della Chiesa ed è anticipato tutto ciò

che tu stesso puoi desiderare e sperare. Con le parole dell’Imitazione di

Cristo, continua a rivolgere questa preghiera: Signore, «nell’Eucaristia ci hai

comunicato la magnificenza stessa del tuo essere e vuoi che, ricevendoti, noi

ci uniamo a te nel fuoco del tuo amore che arde sempre. Che io possa

guadagnare una scintilla dell’incendio divino!»10.

10

Tommaso da Kempis, Imitazione di Cristo, 4.

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LA FEDE IN CRISTO LIBERA DALLA PAURA DELLA MORTE*

Cari fratelli e sorelle,

la liturgia di questa domenica lancia un messaggio di speranza e di

consolazione: «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei

viventi […]. Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità, lo ha fatto immagine

della propria natura» (Sap 1,13; 2,23). In Cristo, Dio si è rivelato come il Dio

vivente, il Dio «amante della vita» (Sap 11,26). Egli non vuole la morte,

perché «la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (Sap 2,24), e

«non abbandonerà la nostra vita nel sepolcro, né lascerà che i suoi fedeli

vedano la corruzione» (cfr. Sal 16,10).

Il brano evangelico racconta di Gesù che passa «all’altra riva» (Mc 5,21).

Non si tratta solo di un’indicazione geografica, ma di un’attestazione

simbolica. Gesù supera i limiti umani e apre uno spiraglio per una nuova

forma di vita. La sua risurrezione è il segno che la morte non è l’evento

ultimo e definitivo, ma un sonno, un passaggio, un risveglio a una nuova

vita. «Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e

dei vivi» (Rm 14,9).

L’evangelista, infatti, annota che attorno a Gesù si radunò «molta folla»

(Mc 5,21). Cristo è inserito nella storia degli uomini, prende parte alle loro

speranze, si immerge nel flusso del tempo e a tutti addita le ragioni più vere

dell’esistenza. Con la sua risurrezione egli annuncia che l’uomo non è creato

per la morte, ma per la vita.

A testimonianza di questa verità, l’evangelista intreccia due storie

emblematiche: quella della bambina moribonda e quella della donna malata

di emorragia. L’una è in fin di vita, l’altra è soggetta a un flusso di sangue. Le

due donne non possono confidare nell’aiuto degli uomini (Sap 1,23.26).

Sono due persone in balìa della loro precaria condizione. Il loro dolore

* Omelia nella Messa celebrata nella Parrocchia “Presentazione V. Maria”, Specchia, 28

giugno 2015.

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diventa un paradigma e un simbolo delle molteplici fragilità e sofferenze

umane.

Le accomuna il numero 12: la bambina si ammala e muore proprio a 12

anni (cfr. Mc 5,42); la donna vive una sofferenza lunga 12 anni (cfr. Mc 5,

25). Il numero dodici ha un valore simbolico e si ripresenta in altri contesti

biblici. Gesù fa la sua prima profezia a dodici anni (cfr. Lc 2,42.49); dodici

sono gli apostoli (cfr. Mc 3,14) e le ceste di pane avanzate (cfr. Mc 6,43);

dodici le porte della Gerusalemme celeste (cfr. Ap 21,12-21) e le stelle della

corona della donna dell’Apocalisse (cfr. Ap 12,1); anche l’albero della vita,

che si trova al centro della città, produce dodici raccolti all’anno (cfr. Ap

22,2).

La ricorrenza numerica sottolinea il fatto che i miracoli compiuti da Gesù

non sono solo gesti di misericordia, ma anche eventi rivelativi. Gli uomini

non possono liberarsi con le proprie forze dal male, lo possono in virtù della

forza sanante di Cristo e della loro fede in lui (cfr. Mc 5,34.36). Davanti a ciò

che sembra impossibile, la fede in Gesù è capace di capovolgere gli eventi.

Alla formula di fede “niente è impossibile a Dio” si può aggiungere un

piccolo, ma decisivo corollario: “niente è impossibile a colui che ha fede”.

Due gesti esprimono la sinergia tra la potenza di Cristo e la fede

dell’uomo. Gesù prende per mano la fanciulla morta e le grida: «Talità kum.

Fanciulla, alzati». Dopo aver ricomposto il cerchio vitale degli affetti, Cristo

risolleva la bambina e le ridona la vita. L’emorroissa, dal canto suo, tocca il

lembo del mantello di Gesù convinta che questo contatto fisico con Cristo

causerà la sua guarigione. Il gesto è un atto umanissimo che esprime tutta la

sua fede in lui. Ed è per questa fede che viene risanata.

Cari fratelli e sorelle,

rimanere uniti a Cristo è garanzia di vita e di eternità. Niente può

separare il cristiano dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, (cfr. Rm 8,35 ss.). Per

chi crede, Cristo è tutto! Per questo sant’Ambrogio esorta il cristiano a

rivolgersi a Cristo:

«Se vuoi curare le tue ferite, egli è medico;

se sei ardente di febbre, egli è fontana rinfrescante;

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se sei oppresso dall’iniquità, egli è giustizia;

se hai bisogno di aiuto, egli è vigore;

se temi la morte, egli è la vita;

se desideri il cielo, egli è la via;

se rifuggi dalle tenebre, egli è la luce;

se cerchi cibo, egli è alimento»1.

L’Eucaristia dona la speranza che la vita dopo la morte non è uno sbaglio,

un’illusione, un inganno. La fede ci assicura che la morte non è una porta

che si chiude, ma una porta che si apre sull’eternità. Bisogna vivere bene e

prepararsi all’incontro definitivo con Dio. Nel frattempo occorre rafforzare la

propria fede. Le parole di sant’Agostino sono una fraterna esortazione:

«Se senti vacillare la fede per la violenza della tempesta,

calmati: Dio ti guarda.

Se ogni ora che passa cade nel nulla senza più ritornare,

calmati: Dio rimane.

Se il tuo cuore è agitato e in preda a tristezza,

calmati: Dio perdona.

Se la morte ti spaventa e temi il mistero e la notte,

calmati: Dio risveglia.

Lui ci ascolta quando nulla ci risponde,

è con noi quando ci crediamo soli.

Ci ama, anche quando sembra che ci abbandoni».

1 Ambrogio, De Virginitate, 16, 99.

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ERRARE SENZA SMARRIRSI*

Cari amici,

rinnovo il saluto a tutti voi. Benvenuti in terra di Puglia voi che, in un

certo modo, rappresentate la Chiesa italiana o almeno una gran parte di

essa. Sentitevi desiderati e accompagnati da tutte le Chiese di Puglia in que-

sta impresa formativa che intreccia riflessione ed esperienze. La Conferenza

Episcopale Pugliese segue con attenzione e con particolare vicinanza la

vostra iniziativa. In questi giorni, voi affronterete il tema dell’“errare”. Esso

tocca alcuni aspetti della vita: la fragilità, il senso dell’itineranza, il desiderio

del cammino. La solennità dei santi Pietro e Paolo ci invita a riprendere

domande che sono alla base dell’attività pastorale e dell’opera evange-

lizzatrice.

La prima domanda è la seguente: da dove partire? qual è il punto di inizio

per un rinnovato impegno di evangelizzazione? Prendendo a prestito un’idea

di fratel Enzo Biemmi, penso che occorra ripartire dal medio, perché

l’elemento mediano ha la capacità di tenere insieme aspetti differenti senza

privilegiare o escludere nessuno. Il punto mediano tra Cristo e il cristiano è la

Chiesa. Esperienza di Chiesa significa concretamente far riferimento a una

comunità cristiana che vive in un territorio, abita un luogo ben preciso con

tutte le opportunità e le difficoltà che esso offre, con la possibilità di “errare”

cioè di camminare, ma anche di sbagliare. Essa, per un verso, deve essere

presupposta, per un altro deve essere continuamente riedificata. Si tratta

cioè di un’esperienza iniziatica che sta alla base dell’azione pastorale e che è

sempre da verificare, ricostruire e continuamente rinnovare.

La liturgia odierna illumina questo aspetto. La prima lettura richiama la

preghiera incessante che la Chiesa innalza al Signore per l’apostolo Pietro. Il

ministero petrino non può prescindere dal mandato di Cristo, ma non può

* Omelia nella solennità dei santi Pietro e Paolo, per l’inizio del convegno sul Secondo

Annuncio: errare, Oasi Beati Martiri Idruntini, S. Cesarea Terme, 29 giugno 2015.

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nemmeno fare a meno della comunità cristiana. D’altra parte, la liturgia non

celebra solo l’apostolo Pietro, ma mette in evidenza anche il ministero di

Paolo. La festa di tutti e due gli apostoli fa risaltare l’unità e l’universalità

della Chiesa. Pietro e Paolo evocano non una Chiesa astratta, ma una Chiesa

concreta che si incontra, si prende per mano, cammina insieme. È bella

l’espressione del prefazio: i due apostoli vivono tra di loro una gioiosa

fraternità. Papa Francesco in Evangelii gaudium insiste su questa dimensione

quando parla della “fraternità mistica”, ossia di una fraternità che non nasce

da ragioni puramente umane, ma si radica in una relazione con il mistero di

Dio che è presente in ogni persona e tutti spinge a trovare motivi di unità.

La seconda domanda è la seguente: chi deve ripartire? Si tratta di

individuare il soggetto. È certamente entusiasmante fare progetti, avere

delle prospettive, disegnare degli orientamenti, proporre delle indicazioni.

Rimane però la domanda: chi mette in pratica le proposte programmate, chi

attua in concreto i progetti pastorali? Non basta una progettualità soltanto

teorica, occorre un coinvolgimento personale. Ciò che è in gioco è la

responsabilità personale. La liturgia odierna formula un continuo richiamo ai

pronomi personali: “io, tu, noi”. San Paolo afferma più volte: «Quanto a

me». Occorre cioè esporsi personalmente, compromettersi, entrare nel vivo

dell’esperienza, coinvolgersi. Per dirle con le parole della liturgia, occorre

che ognuno combatta la bella battaglia. Il linguaggio militare, in realtà,

invita a non rimanere alla finestra a guadare lo svolgersi degli avvenimenti,

ma a immettersi nella mischia, a stare dentro la problematicità delle vicende

umane, a vivere in prima persona il travaglio del cambiamento, a non

aspettarsi che altri risolvano o tentano di risolvere le questioni che si

presentano quotidianamente. Il simbolo della spada con il quale di solito si

raffigura l’apostolo Paolo richiama il valore del “combattimento” e del

coinvolgimento personale.

La terza domanda è la seguente: su quale fondamento si può costruire

qualcosa che sia solido e abbia una sua stabilità? La dimensione liquida della

società contemporanea richiede ancor di più la necessità di un fondamento

stabile. L’esperienza ha il suo primato di immediatezza. Essa, però, esige un

punto di appoggio “oggettivo” per non navigare ed errare nel mare dell’in-

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finita disponibilità dell’esperienza, ma per dare un orientamento al cammino

e infondere una maggiore certezza e stabilità alla vita personale e a quella

comunitaria.

A questo punto entra in gioco la dimensione fondativa-relazionale del-

l’esperienza cristiana, richiamata dal vangelo odierno. Confessando che Gesù

è il Cristo, Pietro attesta che è lui il fondamento. Cristo, da parte sua, stabi-

lisce Pietro come “pietra” indispensabile per la Chiesa. Si realizza così una

reciproca immanenza tra dimensione cristologica e dimensione ecclesiolo-

gica. Pietro riconosce che non si può costruire nulla senza la presenza di

Cristo, perché lui è il fondamento ed è lui a dare consistenza alla vita della

Chiesa. Cristo, infatti, è «lo stesso ieri, oggi e sempre». Pur nel necessario e

inevitabile mutamento della storia, Cristo rimane la pietra angolare. Su

questo fondamento è posta la “pietra” del ministero petrino. Cristo, da parte

sua, affida la sua Chiesa a Pietro. E lo fa non solo in riferimento alla persona

di Pietro, ma ai Dodici e alla Chiesa intera. Il fondamento è il Christus totus, il

capo e il corpo, lo Sposo e la Sposa. Questa dimensione relazionale tra Cristo

e la Chiesa costituisce il terreno solido sul quale si fonda la vita della Chiesa e

si esplica la sua missione nel mondo.

Cari amici, auguro che questi giorni possono essere fecondi sul piano

della riflessione e ancora di più su quello della relazione tra i voi. Conside-

rando il tema dell’“errare” possiate comprendere il valore del camminare

insieme e del cercare la via dell’incontro con Dio e con i fratelli.

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ORDINAZIONI NOMINE MINISTERI DISPOSIZIONI

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ORDINAZIONI, NOMINE, MINISTERI, DISPOSIZIONI

Il Vescovo ordina presbitero

in data 14 marzo 2015 i diaconi Gabriele Bitonti e Matteo Di Seclì, Frati

Minori Cappuccini, nella chiesa parrocchiale

“Maria SS. Ausiliatrice” di Taurisano

in data 23 aprile 2015 il diacono Pasquale Pizzuti, dell'Ordine della San-

tissima Trinità (O.SS.T.) nella chiesa parrocchiale

“S. Rocco” di Gagliano del Capo.

Il Vescovo ammette agli ordini sacri

in data 8 febbraio 2015 il seminarista Salvatore Ciurlia nella chiesa Ma-

dre di Taurisano

in data 7 aprile 2015 il seminarista Luca Abaterusso nella chiesa par-

rocchiale “S. Ippazio” di Tiggiano

in data 18 aprile il seminarista Michele Ciardo, della parrocchia di

Depressa nella Basilica Patriarcale di S. Giovanni

in Laterano di Roma.

Il Vescovo autorizza

in data 22 aprile 2015 il legale rappresentante della parrocchia “S. Mi-

chele Arcangelo” di Supersano ad affrancare un

terreno di proprietà della medesima parrocchia

(D. V. 1/2015)

il legale rappresentante della parrocchia “S. Mi-

chele Arcangelo” di Supersano ad affrancare un

altro terreno di proprietà della medesima par-

rocchia (D. V. 2/2015)

in data 23 aprile 2015 il legale rappresentante della parrocchia “S. An-

drea” di Tricase ad accettare la donazione di un

terreno (D. V. 3/2015).

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Il Vescovo decreta

in data 24 febbraio 2015 il rinnovo del Consiglio Pastorale Diocesano

(Prot. 49/2015/V).

Decreto di rinnovo

In forza del Battesimo e degli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana

tutti i fedeli sono chiamati a partecipare, secondo la loro condizione, alla

missione della Chiesa. L’insegnamento sul sacerdozio comune dei fedeli, ap-

profondito dai Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II nella costituzione

dogmatica Lumen Gentium n. 10, ha portato all’individuazione di un nuovo

istituto nell’ambito della vita diocesana chiamato Consiglio Pastorale Dioce-

sano.

Esso è segno e strumento della comune partecipazione alla missione del-

la Chiesa particolare di tutti i fedeli, nella diversità degli stati di vita, dei cari-

smi e dei ministeri.

Preso atto che in data 22.01.2011 ho confermato nell’incarico il CPD “fi-

no alla scadenza naturale del mandato”, visti i risultati delle elezioni tenutesi

regolarmente presso le Foranie, avuti da alcuni organismi diocesani i nomi-

nativi dei Consiglieri da essi eletti, avendo individuato cinque consiglieri da

me designati, a norma del can. 511 del CJC e dell’art. 2 dello Statuto del CPD

approvato dal mio predecessore mons. Vito De Grisantis il 19.03.2005 di-

spongo il rinnovo del Consiglio Pastorale Diocesano.

Di esso fanno parte, a norma dell’art. 4 dello Statuto vigente:

membri di diritto

mons. Beniamino Nuzzo vicario generale

don Stefano Ancora vicario episcopale per la pastorale e

vicario forano forania Ugento

mons. Salvatore Palese vicario episcopale per la cultura

don Giuseppe Indino vicario episcopale per il diaconato

permanente e direttore ufficio liturgico

“ Paolo Congedi vicario episcopale per la vita consacrata

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don Mario Politi vicario foraneo - forania Taurisano

“ Lucio Ciardo vicario foraneo - forania Tricase

“ Gigi Ciardo vicario foraneo - forania Leuca

“ Gionatan De Marco direttore ufficio catechistico

“ Gianni Leo direttore caritas diocesana

diac. Mario Macrì direttore pastorale familiare

don Wiliam Del Vecchio direttore pastorale giovanile

sig. Enea Scarlino presidente consulta aggregazioni laicali

“ Mimmo Turco segretario consulta aggregazioni laicali

sig.a M. Rosaria Coppola membro presidenza consulta aggregazioni laicali

“ M. Ant. De Giuseppe membro presidenza consulta aggregazioni laicali

“ M. Domenica Rizzello membro presidenza consulta aggregazioni laicali

membri eletti

sig. Renato Ponzetta rappresentante forania Ugento

sig.a Anna Catino rappresentante forania Ugento

“ Florinda Scorrano rappresentante forania Taurisano

sig. Rocco Stradiotti rappresentante forania Taurisano

“ Giovanni Mastria rappresentante forania Tricase

sig.a Enza Ferraro rappresentante forania Tricase

sig. Mario Buccarello rappresentante forania Leuca

“ Lucio Urso rappresentante forania Leuca

“ Cosimo Cazzato rappresentante istituti secolari

padre Lukasz Janecki rappresentante religiosi

sr. Lucy Anaelechi Ngania rappresentante religiose

diac. Luigi Bonalana rappresentante diaconi permanenti

membri nominati dal Vescovo

sr. Margherita Bramato

sig.a Silvana Bramato

sig. Vito Cassiano

sig. Gigi Lecci

sig. Ercolino Morciano

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Compiti e funzioni del Consiglio Pastorale Diocesano sono stabiliti dalla

normativa canonica vigente, in particolare dai canoni 511-514 del Codice di

Diritto Canonico, dallo Statuto e dal Regolamento attualmente in vigore.

Ai sensi dell’art. 13 dello Statuto, il mandato del Consiglio Pastorale Dio-

cesano ha la durata di anni cinque, con decorrenza dal 19 marzo 2015.

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ASSEMBLEA DEL CLERO CONSIGLIO PRESBITERALE DIOCESANO

CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANO

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ASSEMBLEA DEL CLERO

Venerdì 20 marzo 2015 si è svolta presso il salone del Santuario di S. Ma-

ria di Leuca l’Assemblea del clero.

Nell’incontro è stato presentato il Direttorio omiletico, il Direttorio dio-

cesano sull’Ecumenismo e le nuove norme S.I.A.E.

Tra le iniziative esaminate ci si è soffermati particolarmente sulla propo-

sta fatta da “Avvenire” di incrementare la diffusione del giornale attraverso

un certo numero di abbonamenti in diocesi e di avere a disposizione una pa-

gina diocesana una volta al mese.

Al termine, è stato ricordato che ogni membro del clero può proporre

argomenti di interesse comune da inserire nell’ordine del giorno per la di-

scussione in assemblea, facendone previa richiesta al Vicario Generale.

Il Vicario Generale

mons. Beniamino Nuzzo

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RIUNIONE CONGIUNTA DEL CONSIGLIO PRESBITERALE E DEL CONSIGLIO PASTORALE DIOCESANI

26 marzo 2015

LETTERA DI CONVOCAZIONE

Ai membri del Consiglio Presbiterale Diocesano

Ai membri del Consiglio Pastorale Diocesano

Carissimi,

mons. Vescovo, con decreto n. 49 del 24 febbraio 2015, ha rinnovato per

il quinquennio 2015-2020 il Consiglio Pastorale Diocesano “segno e stru-

mento della comune partecipazione alla missione della Chiesa particolare di

tutti i fedeli, nella diversità degli stati di vita, dei carismi e dei ministeri”.

Pertanto, sono convocati in sede congiunta il Consiglio Presbiterale Dio-

cesano e il Consiglio Pastorale Diocesano per il giorno giovedì 26 marzo alle

ore 19.00 presso l’Auditorium Benedetto XVI in Alessano per discutere i se-

guenti punti all’O. d. G.:

1. insediamento del nuovo Consiglio Pastorale Diocesano

2. comunicazione sugli incontri di Forania e sulla Settimana Teologica

Diocesana in preparazione al Convegno Ecclesiale di Firenze

3. comunicazione delle risposte date al questionario del Sinodo dei Ve-

scovi sulla famiglia

4. abbonamento e pagina diocesana di “Avvenire”

5. programma delle celebrazioni per i 25 anni della Basilica di S. M. di

Leuca

6. varie ed eventuali.

Ugento, 25 febbraio 2015

Vicario Generale

mons. Beniamino Nuzzo

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VERBALE DELLA RIUNIONE

Il giorno 26 del mese di marzo dell’anno 2015, presso l’Auditorium

Benedetto XVI in Alessano e alla presenza del vescovo mons. Vito Angiuli,

alle 19,10 hanno inizio i lavori della riunione congiunta del Consiglio Presbi-

terale Diocesano e del Consiglio Pastorale Diocesano, come da convocazione

del 25 febbraio 2015, con il seguente ordine del giorno:

1. insediamento del nuovo Consiglio Pastorale Diocesano

2. comunicazione sugli incontri di Forania e sulla Settimana Teologica

Diocesana in preparazione al Convegno Ecclesiale di Firenze

3. comunicazione delle risposte date al questionario del Sinodo dei Ve-

scovi sulla famiglia

4. abbonamento e pagina diocesana di “Avvenire”

5. programma delle celebrazioni per i 25 anni della Basilica di S. M. di

Leuca

6. varie ed eventuali.

Risultano assenti giustificati: don Donato Bleve, don Andrea Carbone,

don Pasquale Carletta, don Paolo Congedi, padre Rocco Cosi, mons. Dome-

nico De Giorgi, don Gionatan De Marco, don Gianluigi Marzo, don Quintino

Pecoraro, don Nicola Santoro, mons. Giuseppe Stendardo, Renato Ponzetta,

Florinda Scorrano, Lucio Urso.

Dopo la preghiera iniziale con la recita dell’inno allo Spirito Santo di San

Bernardo, l’ascolto della Parola di Dio – un brano della Lettera agli Ebrei di S.

Paolo (12,1-3) – e la lettura di una parte del Messaggio dei Vescovi delle

Diocesi del Salento per la Pasqua 2015, il Vescovo, soffermandosi sulla Paro-

la di Dio appena ascoltata, invita a fissare lo sguardo su Gesù, il vivente, che

ci attira a sé. Il cristiano, anche oggi, si deve sentire “straniero” e “pellegri-

no” su questa terra e vivere la dimensione escatologica che lo porta a guar-

dare in avanti pur tenendo presente l’oggi. In questo percorso non siamo so-

li, ma circondati da una schiera di testimoni. Per questo, il Vescovo invita i

membri dei due Consigli a sentirsi sempre più popolo, orientato verso la me-

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ta, che cammina con speranza e perseveranza in un cammino comune e cor-

responsabile nella Chiesa.

Passando all’esame dell’ordine del giorno, il Vescovo, come prima cosa,

insedia ufficialmente il nuovo Consiglio Pastorale Diocesano, la cui validità

avrà la durata di un quinquennio, dal 2015 al 2020, e propone come segreta-

rio dello stesso Mimmo Turco, presente in Consiglio come membro di dirit-

to, in qualità di Segretario della Consulta delle Aggregazioni Laicali. I presenti

approvano la proposta del Vescovo all’unanimità; l’interessato accetta e

passa immediatamente ad assolvere al suo compito.

Prima di passare al secondo punto all’ordine del giorno, il Vescovo rin-

grazia ufficialmente tutti coloro che operano nel campo della comunicazione

diocesana. In particolare, mons. Salvatore Palese e Gigi Lecci per l’impegno e

la competenza nel curare il Bollettino Diocesano, e don Stefano Ancora e

don Luigi Bonalana per l’impegno profuso nell’allestire il Notiziario. Invita,

poi, tutti i presenti a informare con relazioni scritte le due redazioni di tutte

le attività e iniziative che si svolgono sia a livello diocesano sia a livello par-

rocchiale o di gruppo e di associazione. L’informazione, per essere veramen-

te tale, deve essere quanto più completa possibile, in modo che tutti sap-

piano tutto della vita della propria Chiesa particolare. Non solo, ma anche

per lasciare traccia storica di quello che è il cammino negli anni della Chiesa

di Ugento-S. M. di Leuca. Un ringraziamento rivolge anche a don Rocco Ma-

glie e ancora a mons. Salvatore Palese per la pubblicazione del quarto volu-

me della collana “Teologia Uxentina”: “Nello spirito del Vaticano II. L’impe-

gno missionario della Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca”.

Nel relazionare sul secondo punto all’o.d.g., don Stefano Ancora esprime

soddisfazione per la nutrita e partecipe presenza sia negli incontri di Forania

sia che alla Settimana Teologica in preparazione al Convegno Ecclesiale di Fi-

renze. A tale proposito sollecita tutti i presenti a fornire i loro contributi e le

loro osservazioni, anche attraverso l’utilizzo delle schede consegnate duran-

te la settimana teologica, per migliorare gli incontri futuri.

Il Vescovo sottolinea la bella e significativa esperienza della Settimana

Teologica, quale fondamentale momento di riflessione, di studio e di forma-

zione. Riguardo alle Foranie, egli nota come queste stiano ri-scoprendo e ri-

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acquistando la loro giusta dimensione e importanza: si tratta di un fecondo

cammino di fraternità. Invita, poi, tutti ad avere maggiore considerare del

territorio con le proprie fragilità per cercare di dare un sostento ai poveri

con dei “piccoli” segni di partecipazione.

Don Salvatore Palese, pur condividendo a pieno le riflessioni del Ve-

scovo, propone di rivedere la suddivisione delle Foranie, proponendo una

suddivisione territoriale più omogenea. Il Vescovo risponde dicendo che si

potrà anche rivedere tutto, ma ciò che conta è lo spirito e il desiderio di in-

contrarsi.

Ercolino Morciano esprime il personale compiacimento per il sussidio, of-

ferto durante i lavori della Settimana Telogica, sulla presenza in diocesi delle

diverse famiglie religiose e per l’aiuto che ha rappresentato per i parteci-

panti.

Gigi Lecci, condividendo le riflessioni del Vescovo, in merito alle Foranie

ed alla Settimana Teologica auspica maggiore intesa e cooperazione e invita

a riflettere sui contenuti del n. 28 della Gaudium et Spes. Riguardo alla Set-

timana Teologica sostiene che sarebbe stato più utile dedicare una intera se-

rata alla presentazione delle diverse famiglie religiose presenti in diocesi,

anziché diluirla in più serate, non solo per dar loro maggiore spazio, ma an-

che per non distogliere troppo l’attenzione dal tema trattato nella serata a

beneficio degli interventi.

Le risposte date dalla diocesi al questionario del Sinodo dei Vescovi sulla

famiglia (alleg. 1) al terzo punto all’o.d.g., sono presentate dai coniugi Macrì,

responsabili della pastorale familiare in diocesi. Al termine della presenta-

zione, don Pietro Carluccio chiede chiarimenti su come siano state utilizzate

le risposte che i gruppi END della diocesi hanno fornito come contributo di

associazione. Don Gianni Leo, assistente END settore B, risponde che sono

state inviate direttamente al coordinamento nazionale dei gruppi END.

A conclusione il Vescovo invita tutti a partecipare a un importante con-

vegno diocesano sulla pastorale familiare, dal titolo “Missione Sposi”, che si

svolgerà il 23 e 24 aprile 2015 con la presenza di mons. Renzo Bonetti, pre-

sidente della Fondazione Famiglia Dono Grande. Il primo giorno è per tutti,

in particolar modo, naturalmente, per gli sposi e i laici che operano nel set-

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tore; la seconda giornata è riservata esclusivamente per il clero, i religiosi e i

diaconi.

Circa il quarto punto all’o.d.g., il Vescovo e don Stefano Ancora infor-

mano i due Consigli che nei giorni precedenti si era avuto un incontro con il

responsabile di “Avvenire”, il quale aveva offerto la possibilità di avere a di-

sposizione della diocesi due pagine mensili a condizione che a livello dioce-

sano si raggiungessero almeno 54 abbonamenti completi annui. Il Vescovo

sottolinea come questo possa essere importante per la nostra diocesi sia per

l’opportunità interna sia per quella esterna di far conoscere quanto la nostra

comunità elabora e propone. Per fare questo, però, è necessario creare una

piccola redazione che possa seguire direttamente tale impegno. Su specifica

proposta del Vescovo, i due Consigli approvano sia l’accordo da sottoscrive-

re con “Avvenire”, compreso l’impegno di raggiungere l’obbiettivo minimo

dei 54 abbonamenti, sia la creazione di un redazione ad hoc.

Per il quinto punto all’o.d.g. don Gianni Leo, rettore della Basilica di Leu-

ca, presenta brevemente l’iniziativa legata al 25° anniversario di elevazione

a Basilica minore del Santuario di S. M. di Leuca. Particolare attenzione si ri-

serverà ai pellegrinaggi che dalle varie parrocchie della diocesi si pro-

grammeranno secondo quanto previsto e proposto dalla bozza presentata ai

due Consigli per l’approvazione. Gli eventi avranno inizio il 13 aprile prossi-

mo,festa della Madonna di Leuca, con la celebrazione eucaristica presieduta

da s. e. il card. Salvatore De Giorgi e si concluderanno il 7 ottobre p.v. con la

presenza delle reliquie di san Giovanni Paolo II. Durante questi mesi sono

previste diverse iniziative culturali e religiose, come la Veglia di Pentecoste e

un probabile “piccolo giubileo” dell’ammalato a maggio. Il 3 giugno è in pro-

gramma una giornata speciale per la vita consacrata.

Terminati i punti all’o.d.g., non essendoci interventi per varie ed even-

tuali, alle ore 21.00 la seduta viene chiusa con una breve preghiera di ringra-

ziamento e la benedizione del Vescovo.

Il Segretario Il vescovo

Mimmo Turco + Vito Angiuli

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Allegato

Risposte della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca

al questionario del Sinodo dei Vescovi sulla famiglia

Il documento è il lavoro compiuto dalla commissione costituita dal Ve-

scovo per questo specifico scopo. I componenti della commissione sono stati:

mons. Beniamino Nuzzo, vicario generale; don Stefano Ancora, vicario epi-

scopale per la pastorale e vicario della forania di Ugento; i coniugi Mario e

Giulia Macrì, responsabili dell’Ufficio diocesano per la pastorale familiare e

del Consultorio familiare diocesano; don Gigi Ciardo, delegato vescovile per

la pastorale familiare e vicario della forania di Leuca; don Lucio Ciardo Diret-

tore dell’Ufficio per la pastorale sociale e del lavoro, giustizia e pace e vicario

della forania di Triase; don Mario Politi, vicario della forania di Taurisano.

1. Nota introduttiva: contesto socio-culturale

Le famiglie del nostro territorio sono colpite in maniera meno accentuata

dal secolarismo e dal relativismo etico, dal materialismo e dal conseguente

strisciante ateismo rispetto al resto d’Italia. Anche se la nostra gente – pur

conservando un substrato di tradizionali valori etici, morali e religiosi – è tut-

tavia raggiunta, spesso, dalla cultura dominante di oggi. Anzi, talvolta, si ri-

mane colpiti nel constatare che proprio in quegli ambienti che più gelosa-

mente conservano tradizioni e valori esistono o vanno attecchendo compo-

rtamenti e principi della peggiore cultura televisiva di massa.

Non esistono forme di delinquenza organizzata, ma ci sono tentativi di

infiltrazioni malavitose, ostacolate innanzitutto dalla mentalità non omerto-

sa della gente, sebbene alcuni giovani si lascino suggestionare e coinvolgere

in forme di delinquenza anche in vista di lucrosi e facili guadagni.

La povertà materiale è endemica nel territorio ma, mentre in passato se

ne faceva carico la solidarietà sociale, ora questa non basta più, anche per-

ché crescenti sono i bisogni indotti e la recessione economica statale che ha

colpito molto profondamente il territorio.

L’industria calzaturiera, che negli ultimi decenni del secolo scorso ha co-

stituito una risorsa economica per molte famiglie, in seguito alla delocalizza-

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zione ha abbandonato questa terra per l’Albania o altri paesi dell’est euro-

peo, lasciando giovani e famiglie nella miseria.

Anche l’industria turistica, che si trovava in un fase nascente e redditizia,

oggi è ostacolata dalla burocrazia e dalla tassazione statale, che di fatto ne

impedisce ogni possibilità di sviluppo.

La Chiesa di Ugento-S. M. di Leuca si è fatta e si sta facendo carico di tan-

te esigenze materiali delle famiglie, adoperandosi in modo concreto attra-

verso varie iniziative.

In modo particolare:

- il Progetto Policoro ha educato la nostra Chiesa a farsi compagna di

viaggio dei giovani in cerca di lavoro e degli adulti che hanno perso il

lavoro, sviluppando alcune azioni di sostegno quali il microcredito

diocesano per l’avvio di attività imprenditoriali attraverso il Progetto

Tobia, l’aiuto alle famiglie in difficoltà attraverso il Prestito della Spe-

ranza della CEI e altre iniziative

- la Casa Maior Caritas per ospitare i parenti di ammalati lungodegenti

dell’Ospedale “Cardinale Panico” di Tricase

- il Banco delle Opere di Carità di Puglia, una struttura che sostiene si-

stematicamente gli Enti caritativi della diocesi e quelli delle diocesi

vicine, fornendo derrate alimentari e altri beni di prima necessità agli

indigenti: quasi 50.000 persone

- le Case di accoglienza e assistenza per anziani

- la Scuola di Politica, che viene portata avanti dalla “Fondazione Don

Tonino Bello”.

La depressione economica favorisce anche il diffondersi di due mali, che

a volte si intrecciano e costituiscono due veri flagelli per le famiglie che ne

sono vittime: l’usura e il gioco d’azzardo.

Per questo motivo è stato costituito a livello diocesano il Centro antiusu-

ra che si interessa anche della dipendenza dal gioco d’azzardo. Tale struttura

agisce sia in forma “preventiva”, in collaborazione con l’ASL attraverso con-

vegni e incontri decentrati per la conoscenza e la sensibilizzazione nei con-

fronti dei due problemi, sia in forma di interventi terapeutici verso le vittime

di tali dipendenze.

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Tra le cause dell’usura è notevole la difficile possibilità di accedere a un pre-

stito legale presso le Banche, che pretendono eccessive garanzie e ipoteche.

Tutti questi fenomeni hanno la loro incidenza sia su famiglie già costitui-

te sia su giovani che – con un andamento sempre crescente – procrastinano

la celebrazione del sacramento del matrimonio o – addirittura – scelgono la

convivenza come stato permanente di vita.

C’è da notare, comunque, che le convivenze more-uxorio sono in crescita

non solo e non tanto per motivi economici, quanto per sfuggire da legami

duraturi e vincolanti, convinti che l’amore non possa resistere alla prova del

tempo.

Diffondere la cultura del matrimonio e della famiglia, come valore non

solo cristiano ma anche sociale, è compito e impegno costante sia dell’Uffi-

cio di Pastorale della Famiglia sia del Consultorio Diocesano familiare, che

collaborano pur mantenendo la loro specificità: il primo finalizza la sua azio-

ne pastorale alla scoperta e valorizzazione della bellezza del Vangelo della

famiglia, il secondo opera per il bene della persona, della coppia e della fa-

miglia sempre nell’ottica del personalismo cristiano.

Il Consultorio si impegna sia nella direzione della formazione di operatori

familiari e di educatori che si pongono poi a servizio di Parrocchie e di Scuole

di ogni ordine e grado per la realizzazione di percorsi formativi a favore di

adolescenti, giovani, sposi e genitori sia nella direzione del sostegno a cop-

pie e famiglie in situazione di difficoltà relazionali ad intra e ad extra delle

mura domestiche.

Il Consultorio, l’Ufficio Famiglia e l’Ufficio Scuola intendono affrontare

insieme il tema della teoria del gender avendo constatato che tale teoria si

va affermando tra gli studenti delle Scuole Superiori e gli studenti universitari.

2. Risposte: lo sguardo su Gesù e la pedagogia divina nella storia della

salvezza

n. 7-8

Nella preparazione al sacramento del matrimonio è stato proposto a li-

vello diocesano, attraverso un sussidio, un percorso nel quale in ogni incon-

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tro la Parola di Dio, annunciata, compresa e approfondita – attraverso la te-

stimonianza/narrazione di sposi – viene tradotta in vita quotidiana. Si tratta

di una vera e propria forma di catechesi esperienziale portata avanti dal sa-

cerdote e da una coppia di sposi. Dopo l’annuncio e la traduzione in vita, i

nubendi in piccoli gruppi sono messi in condizione di confrontarsi sulle diffi-

coltà che la vita di oggi pone in essere a chi vuole mantenersi fedele a ciò

che è stato annunciato e accolto e nello stesso tempo sulla bellezza di un

percorso coniugale vissuto secondo lo Spirito e sulle modalità e opportunità

che la Chiesa offre come sostegno e forza nel cammino degli sposi.

Nell’accompagnamento delle giovani coppie, attraverso i percorsi di spi-

ritualità coniugale, nei quali il fondamento è la Parola, gli sposi possono sco-

prire sempre più come la bellezza e la verità del loro stato di vita risiede in

Dio.

La preparazione di genitori e di padrini al battesimo del figlio è un tempo

e un modo utile perché venga riproposto e accolto il Vangelo del matrimo-

nio. I genitori sono in molti casi disposti a rimettersi in discussione per il be-

ne del figlio e, poiché il bene primario per il figlio è un clima familiare carico

di affetto e di valori umani e cristiani, sono disponibili ad apprendere come

Gesù ha amato e a sforzarsi a imitarlo.

Anche nei percorsi di sostegno alla genitorialità, la pedagogia di Dio può

permettere alla coppia di approfondire l’insegnamento della Sacra Scrittura

in relazione al matrimonio, alle relazioni interpersonali e alla vita cristiana in

famiglia.

In linea generale è affermato e sperimentato il valore della fedeltà e del-

la fecondità, sebbene – specialmente nei giovani – molte volte viene meno

la fiducia che tali valori possano essere realizzati e, quindi, viene meno la

stima verso l’istituto matrimoniale nel vedere intorno matrimoni che si tra-

scinano con compromessi o che rimangono in piedi sino al giorno in cui i figli

lasciano la casa paterna o matrimoni che vanno avanti tra tradimenti e infe-

deltà.

Molte coppie, però, riescono con la preghiera personale e di coppia a

non lasciarsi condizionare dalla cultura del “al cuore non si comanda”, ossia

dalla cultura dell’emozione, ma anzi si impegnano a superare egoismo ed

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egocentrismo per far crescere e maturare la relazione interpersonale con il

coniuge.

Si dovrebbero, perciò, mettere più in luce il valore della preghiera,

dell’ascolto della Parola, dell’apertura agli altri e della condivisione spirituale

e materiale.

Purtroppo ancora molte famiglie, che si dichiarano cristiane, vivono la di-

cotomia tra religiosità e vita: ciò che è annunciato dal Vangelo spesso è ac-

colto ed accettato a livello emozionale, ma non trova concretizzazione nella

vita personale e di famiglia.

Anche per quanto riguarda l’accoglienza della vita, si fa spesso ricorso

all’aborto, specialmente tra le ragazze, a volte anche minorenni e, quindi,

con il consenso genitoriale. L’uso sempre più diffuso del computer spinge

anche persone già coniugate alla pratica quotidiana di incontri virtuali, che a

volte – non rare – si trasformano in relazioni vere e proprie. Tra i giovani, in

particolare tra i giovanissimi, matura una visione della sessualità come realtà

staccata dall’amore.

nn. 9, 10, 11, 12, 13

Bisogna coniugare – in sintonia con la pedagogia divina – la pedagogia

del personalismo dell’umanesimo cristiano, che considera la persona umana

nella sua integrità di psiche, corpo e spirito.

Tale pedagogia guarda alla coppia come alla realtà nella quale la persona

può trovare il riconoscimento e la valorizzazione della sua originalità creatu-

rale ed unicità soggettiva. Guarda alla famiglia come al luogo privilegiato

della costruzione e maturazione dell’identità personale, della capacità di

amare, della crescita umana, spirituale e sociale. Guarda al rapporto sponsa-

le come alla possibilità di crescita umana, di integrazione delle differenze, di

arricchimento reciproco mediante l’impegno a superare le eventuali difficol-

tà relazionali.

In diocesi ci sono realtà impegnate ad aiutare gli sposi a prendere co-

scienza della loro realtà di coppia e ad investire tempo ed energie per la

propria relazione.

L’Associazione Servi Familiae (Fondazione “Famiglia Dono Grande”), esi-

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stente in Diocesi, organizza dei percorsi formativi per tutte le coppie, anche

per quelle “lontane”, o sposate solo civilmente o conviventi.

Le coppie sono messe in condizione di riflettere sugli elementi essenziali

del concreto vivere in due e di cogliere la bellezza e l’originalità del loro rap-

porto per portarli, poi, a scoprire l’origine di tale bellezza: l’essere immagine

e somiglianza di Dio.

Dalla scoperta dell’origine all’indicazione della strada per realizzare in

pienezza tale bellezza.

In questo modo pian piano le persone, partendo dai valori umani che

concretamente e quotidianamente vivono, vengono accostati alla Parola e

condotti a un possibile incontro con Gesù.

Questo impegno con coniugati civilmente o con conviventi non vuole as-

solutamente “giustificare” uno stato di fatto, bensì vuole consentire a colo-

ro, che non danno valore o non hanno fiducia nel matrimonio, di rendersi

conto che garanzia di unità e di vita felice è l’impegno nel <sì> definitivo e

nel dono grande del sigillo dello Spirito Santo.

nn. 20, 21, 22, 38

Alla Chiesa è richiesta oggi una pastorale che traduca la verità in percorsi

di misericordia, come ci insegna la Scrittura. I principi fondamentali della vita

cristiana nel matrimonio non possono essere traditi, ma nello stesso tempo

non si può valutare prescindendo dalle persone e dalle situazioni particolari.

Gesù in più situazioni, anziché condannare, ha indicato la strade

dell’accoglienza, della conversione e della salvezza.

“L’errore e il male devono essere sempre condannati e combattuti, ma

l’uomo che cade o sbaglia deve essere compreso e amato” ha affermato

S. Giovanni Paolo II.

Concretamente la comunità parrocchiale dovrebbe fare in modo che co-

loro che non sono giunti a una piena comprensione del dono di amore di

Cristo possano trovarsi accanto ad altre coppie di sposi che vivono con con-

sapevolezza e gioia la loro vocazione senza ostentare meriti personali ma

piuttosto dimostrando come è il Vangelo ad illuminare la loro ordinaria vita

di ogni giorno. In tutto ciò è importante l’atteggiamento di accoglienza e di

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non giudizio verso i loro confronti, insieme alla disponibilità alla vera amici-

zia e all’aiuto fraterno soprattutto nelle situazioni di bisogno.

Questo vale anche per le varie forme di unione: l’accoglienza e la vici-

nanza concrete da parte delle comunità cristiane e in particolare delle fami-

glie cristiane può permettere a coloro che manifestano valori umani di sen-

tirsi non etichettati ed avere la serenità di valutare – attraverso percorsi

preparati non solo per loro (perché non si sentano ghettizzati), ma per tutte

le coppie e persone del gruppo – la grazia che offre il matrimonio cristiano

come compimento del cammino di fede.

Alle famiglie ferite la nostra diocesi ha rivolto il suo sguardo: da alcuni

anni è in cammino un gruppo di famiglie “irregolari”, “Fonte d’acqua viva”,

seguito con cura e attenzione da un religioso.

Tali situazioni di sofferenza e difficoltà sono in aumento. Necessita, dun-

que, che tale attenzione e cura si diffonda e sia presente almeno in ogni fo-

rania.

nn. 41, 42, 43, 44

Per quanto concerne la paternità e la maternità responsabile, non è mol-

to avvertito il tema dell’apertura alla vita con il ricorso ai metodi di regola-

zione naturale della fertilità, sebbene il Consultorio Familiare Diocesano

proponga frequentemente questo argomento per coppie di sposi e di fidan-

zati e metta a disposizione delle comunità parrocchiali il servizio di inse-

gnanti di tali metodi. Quando sono presentati ai giovani, che si preparano a

celebrare il sacramento del matrimonio, e viene offerto loro la possibilità di

essere seguiti individualmente per l’apprendimento del metodo, sono po-

chissimi i giovani che accettano. A volte accettano, ma poco dopo si ritirano

ritenendolo di difficile applicazione. Anche molti sposi affermano la difficoltà

ad applicare tale metodo. Si auspica, perciò, che la scienza ricerchi e trovi mo-

dalità più semplici e facili che consentano a tutti di accedervi senza difficoltà.

Il problema della denatalità è piuttosto esteso, per cui è diffusa la con-

traccezione come strada per evitare le nascite, ma è frequente anche il ri-

corso all’aborto.

L’istituto dell’affido, ma ancor più quello dell’adozione si va diffondendo,

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quantunque l’iter burocratico, lungo e complesso, a volte veramente este-

nuante, induce alcune coppie a rinunciarvi. Si ritiene che potrebbe essere di

incoraggiamento a intraprendere l’iter dell’adozione la presenza di consu-

lenti legali che si ponessero accanto alle coppie sin dal momento dell’avvio

della pratica sino all’ottenimento dell’adozione.

Riguardo all’affido, nella nostra Chiesa locale si sono fatte belle espe-

rienze, promosse dal Consultorio Familiare Diocesano in collaborazione con

il Centro Servizi Sociali della Provincia, che hanno consentito una maggiore

conoscenza di questo tema nelle comunità. È emersa, però, la necessità che

a tali famiglie sia offerto il sostegno pratico nell’affrontare la quotidianità, il

sostegno pedagogico-educativo da parte di professionisti competenti, il so-

stegno economico da parte della comunità, là dove se ne riscontrasse la ne-

cessità.

In sintesi, nella nostra realtà l’attenzione alla famiglia è considerevole sia

in relazione all’aspetto economico-sociale, sia in relazione ai bisogni di natu-

ra affettiva, relazionale e spirituale.

Va sollecitata, però, a livello parrocchiale una più costante e sistematica

catechesi sulla teologia del matrimonio e della famiglia e del sacramento del

matrimonio come sacramento per la missione.

Tale catechesi, però, va rivolta – in forme diverse secondo le persone a

cui è diretta – non solo agli sposi che sono già in cammino, ma anche e ancor

più ai cosiddetti “lontani”. Dunque, emerge la necessità che nelle Chiese lo-

cali si curi la formazione di sacerdoti, per i quali si potrebbero prevedere

corsi di studi specifici nei seminari, e di laici, possibilmente in coppia.

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ATTIVITÀ PASTORALE DELLA DIOCESI

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VICARIO GENERALE

RIUNIONE GENERALE DI CURIA

Giovedì 15 gennaio, nel salone dell’Episcopio, il Vescovo ha incontrato i

Vicari episcopali, i Vicari foranei, i Direttori degli Uffici di Curia e i Delegati

vescovili per esaminare alcune questioni importanti di carattere pastorale e

organizzativo. Alla riunione erano presenti, anche, il Cancelliere vescovile e

l’Economo generale.

Nell’incontro ci si è soffermati principalmente su due punti: “Recezione e

approfondimento della Relatio Synodi: la riflessione diocesana in vista del

Sinodo straordinario sulla famiglia del prossimo ottobre” e “Iniziativa 24 ore

per il Signore”, proposta, come l’anno scorso, dal Pontificio Consiglio per la

nuova evangelizzazione a tutta la Chiesa per i giorni 13 e 14 marzo 2015.

Sul piano organizzativo la decisione più significativa è stata l’adozione di

un Protocollo Unico per tutti gli uffici di Curia, a partire dal 1° gennaio 2015.

”24 ORE PER IL SIGNORE”

Anche la Chiesa diocesana di Ugento-S. M. di Leuca, in comunione con la

Chiesa di Roma e di tutto il mondo, ha voluto rivivere la bella esperienza di

preghiera che pone al centro Gesù Cristo presente nell’Eucarestia e nel

sacramento della Riconciliazione, segni concreti della Misericordia di Dio.

Nei giorni 13 e 14 marzo 2015 si è svolta nella Basilica di S. Maria di

Leuca l’iniziativa “24 ore per il Signore”. Il tempo dell’adorazione è stato

animato dalle aggregazioni laicali. All’adorazione comunitaria e alla Messa di

sabato 14 marzo hanno partecipato, in modo particolare, i “gruppi famiglie”

presenti in diocesi.

Il Vicario Generale

mons. Beniamino Nuzzo

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UFFICIO PER LA PASTORALE

CALENDARIO APPUNTAMENTI INIZIATIVE PASTORALI DI INIZIO D’ANNO

In data 9 gennaio l’Ufficio per la pastorale ha comunicato le iniziative

diocesane e foraniali in programma per i primi mesi dell’anno.

Innanzitutto un incontro tra il clero e i Sindaci dei Comuni della diocesi

per affrontare insieme il tema dell’emigrazione e del turismo dal punto di

vista pastorale. La riunione, tenutasi a Ugento nella mattinata del 22

gennaio 2015, ha voluto cogliere l’occasione della presenza in Cattedrale di

tutti i sacerdoti e dei Sindaci della diocesi, venuti per partecipare al ponti-

ficale presieduto dal vescovo, mons. Vito Angiuli, in occasione della festa del

patrono di Ugento e dell’intera diocesi, S. Vincenzo diacono e martire.

Un altro appuntamento importante sono stati gli incontri foraniali,

avvenuti nel mese di febbraio, per la presentazione del documento della CEI

“In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” in preparazione al V Convegno

Ecclesiale Nazionale che si sarebbe svolto a Firenze nel mese di novembre.

Nei singoli incontri delle quattro Foranie, presieduti tutti dal Vescovo, dopo

la presentazione della “Traccia per il cammino verso il V Convegno Eccle-

siale”, inviata a tutte le diocesi dal Comitato Preparatorio, si è riflettuto su

quanto proposto, tenendo conto della realtà umana e cristiana del Sud

Salento. Successivamente ogni Forania ha stilato una sintesi degli interventi,

delle riflessioni e delle proposte fatte sia per la relazione finale di ritorno da

inviare al Comitato Preparatorio sia come punto di riferimento per l’attività

pastorale delle singole parrocchie.

Infine, la Settimana Teologica Diocesana, che si è svolta dal 23 al 27

febbraio 2015 presso l’Auditorium diocesano “Benedetto XXVI” di Alessano,

sullo stesso tema del Convegno di Firenze.

In allegato vengono pubblicati lo “Schema di presentazione della traccia”

e la “Relazione finale della diocesi” inviata a Roma; mentre sul tema e sul

programma della Settimana Teologica Diocesana si riferisce in altra sezione

del Bollettino.

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Allegato 1

Schema di presentazione della traccia per il cammino verso

il V Convegno Ecclesiale Nazionale “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo

Il 9 novembre 2014 mons. Cesare Nosiglia, Presidente del Comitato

preparatorio, ha presentato la “Traccia” che non vuole essere “un docu-

mento né una lettera pastorale: piuttosto, un testo aperto” (Traccia, pag. 6)

con cui si vuole stimolare un coinvolgimento diffuso verso il Convegno da

parte di tutte le realtà delle Chiese locali.

La Traccia è un testo molto breve (sono solo 61 pagine) e agile nella

struttura (consta di 6 capitoletti o paragrafi e una conclusione in cui ven-

gono offerti dei suggerimenti per preparare il Convegno nelle diocesi e nelle

regioni ecclesiastiche).

Una parola che è anche un’immagine dominante in tutto lo scritto è

quello dello “sguardo”.

1. Lo sguardo amorevole (pag. 6) è quello scaturito dal racconto delle

esperienze provenute dalle diverse chiese locali.

2. Lo sguardo rapito dalla bellezza (pagg. 9-10) delle magnifiche opere,

frutto dell’antica ricchezza culturale, religiosa e umana, presenti a Firenze,

luogo che ospita il Convegno.

3. Lo sguardo profondo (pagg. 11-20), illuminato dalla sollecitudine con

cui il racconto delle esperienze vissute nelle chiese locali ha messo in

evidenza, tra le tante criticità e difficoltà, una ricchezza di un’umanità

incarnata sintetizzata in quattro dimensioni.

a) Un umanesimo in ascolto. Non partire da teorie prescrittive e astratte

sull’uomo, ma partire dall’ascolto del vissuto: una via capace di ricono-

scere la bellezza dell’umano “in atto”, pur senza ignorarne i limiti.

b) Un umanesimo concreto. È la capacità di formulare un discorso

credibile che passa attraverso il dar corpo alla parola. Si tratta della

dimensione testimoniale della vita cristiana. L’uomo non è una teoria

né può essere limitato ad una prassi, ma è vita.

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c) Un umanesimo plurale e integrale. Un umanesimo non monolitico,

ma prismatico, come le tessere d’un mosaico. Nel volto di Cristo i

volti degli uomini trovano la sintesi dell’unità che non è omologa-

zione o uniformità, ma bellezza della diversità e nella differenza.

L’evangelizzazione non si realizza separando la dimensione veritativa

dalla prassi caritativa, ma riconoscendole entrambi come essenziali

diventano quell’intero (integrale) che è la via dell’umano.

d) Un umanesimo d’interiorità e trascendenza. “L’uomo proviene dall’in-

timo di Dio” (Lettera a Diogneto). L’umanesimo cristiano è trascen-

dente. “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno

a comprendere chi egli sia (Benedetto XVI, Caritas in Veritate 78).

4. Lo sguardo ambivalente dell’uomo di oggi

“Luci e ombre si mescolano, disegnando uno scenario in cui se da un lato

la frammentarietà e la precarietà dei legami sembrano condurre a smarrire il

senso dell’umano, dall’altro appaiono persistenti tracce di una dignità

avvertita come inalienabile” (Traccia, pagg. 21-22).

Davanti alle contraddizioni della cultura moderna si pongono alcune

domande di fondo circa il “progetto uomo”:

a) un uomo senza senso? (la frantumazione dell’umano e lo smarri-

mento dello sguardo)

b) un uomo solo prodotto? (se l’uomo è il prodotto delle sue stesse mani

o delle leggi del sistema o della tecnica non ci sarà più la relazionalità

dell’essere umano perciò il suo sguardo sarà perso nel dissolvimento

del suo volto)

c) solo io al mondo? (il male del secolo è l’autoreferenzialità ossia il Tu

di me che basta a me stesso. Guardarsi ad occhi chiusi).

Dalle ombre si distinguono le luci. Per fortuna e per grazia di Dio. E le luci

sono date da queste due forme di appello che suscitano il desiderio del vero

umanesimo:

a) la persona vive sempre in relazione (Lumen Fidei, 38)

b) riconoscersi figli.

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5. Lo sguardo fisso di Gesù sull’uomo

“Se l’umano e il divino sono uno in Gesù Cristo, è da Lui che l’essere

umano riceve luce e senso” (Traccia, pag. 31):

a) Dio incontra le periferie dell’umano con Gesù; dobbiamo cercare

“l’autenticamente umano non sul piano delle idee, talmente alte e

nobili da rischiare di restare astratte o, peggio, degenerare in ideolo-

gie, bensì in Cristo Gesù, nel suo esser uomo” (Traccia, pag. 32).

Con lo sguardo fisso sull’umanità di Gesù.

b) Il Verbo fatto uomo è la meraviglia sempre nuova di Dio.

Con lo sguardo fisso sulla divinità di Cristo.

c) Una nuova possibilità per l’uomo di oltrepassarsi verso Dio e verso i

fratelli.

“In tale prospettiva, nella vita di Gesù possiamo rintracciare le due

direttrici principali di un sempre nuovo umanesimo: la cura e la preghiera”

(Traccia, pag. 37).

6. Lo sguardo ecclesiale sull’uomo

“L’uomo è la prima via che la Chiesa percorre nel compimento della sua

missione” (Giovanni Paolo II). “Ciò significa che le ragioni dell’uomo e la

prassi ecclesiale possono e devono incontrarsi” (Traccia, pag. 42).

Quest’incontro può realizzarsi attraverso un metodo che la tradizione

ecclesiale ha individuato e attuato nel “discernimento comunitario” (Traccia,

pag. 43). Il discernimento comunitario indica la volontà di costruirsi come

corpo ecclesiale superando le tentazioni, sempre presenti, del clericalismo e

del laicismo; indica la volontà di lasciarsi guidare dall’azione dello Spirito

Santo attraverso la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e il radicamento

nella viva Tradizione della Chiesa.

Il discernimento lo apprendiamo da Gesù stesso, il missionario del Padre

per le vie dell’uomo.

Come a Verona furono individuati 5 ambiti (la vita affettiva - il lavoro e la

festa - la fragilità umana - la tradizione - la cittadinanza) che costituiscono

l’identità della persona umana, a Firenze, sollecitati dalla Evangelii Gaudium

di Papa Francesco si vuole percorre il cammino della riscoperta del nuovo

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umanesimo attraverso 5 vie che si intersecano tra loro e delineano i luoghi,

le frontiere e le periferie dell’esistenza umana.

“Cinque verbi che non si accostano semplicemente l’uno all’altro, ma si

intrecciano tra loro e percorrono trasversalmente gli ambienti che quotidia-

namente abitiamo (Traccia, pag. 46).

Uscire: la conversione pastorale in una prassi missionaria.

Come far sì che i cambiamenti demografici, sociali e culturali, con i quali

la Chiesa italiana è chiamata a misurarsi, divengano occasione per nuove

strade attraverso cui la buona notizia della salvezza donataci dal Dio di Gesù

Cristo possa essere accolta?

Annunciare: il primato dell’evangelizzazione.

Come le comunità cristiane stanno ridefinendo la propria forma di vita

per diventare sempre più comunità missionarie? Sanno vivere e trasmettere

la scelta preferenziale per i poveri e la passione educativa per le giovani

generazioni? Sono capaci di testimoniare e motivare le proprie scelte di vita,

rendendole luogo in cui la luce dell’umano si manifesta al mondo? Sono in

grado di generare un desiderio di «edificare e confessare», esprimendo con

umiltà ma anche fermezza la propria fede nello spazio pubblico, senza

arroganza ma anche senza paure e falsi pudori? Sanno accendere nel

credente la ricerca attiva di momenti di comunione vissuta, nella preghiera e

nello scambio fraterno?

Abitare: la dimensione popolare della fede cattolica.

Come disegnereste il futuro del cattolicesimo italiano, erede di una

grande tradizione caritativa e missionaria, tenendo conto delle sfide che i

mutamenti in atto ci pongono innanzi? Negli anni ’80, per dare futuro a

questa tradizione di una Chiesa radicata tra i poveri, i vescovi italiani

lanciarono un imperativo: «Ripartire dagli ultimi». Come tener fede, oggi, a

questa promessa?

Educare: l’impegno educativo è il servizio al nuovo umanesimo

Come possono le comunità radicarsi in uno stile che esprima il nuovo

umanesimo? Come essere capaci, in una società connotata da relazioni

fragili, conflittuali ed esposte al veloce consumo, di costruire spazi in cui tali

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relazioni scoprano la gioia della gratuità, solida e duratura, cementate

dall’accoglienza e dal perdono reciproco? Come abitare quelle frontiere in

cui la sterilità della solitudine e dell’individualismo imperanti fiorisce in

nuova vita e in una cultura di persone generanti?

Trasfigurare: il primato della Grazia nella testimonianza della fede.

Le nostre celebrazioni domenicali sono in grado di portare il popolo

ancora numeroso che le celebra a vivere quest’azione di trasfigurazione della

propria vita e del mondo? Come introduciamo e educhiamo alla fede un

popolo molteplice per provenienza, storia, culture? Quanto l’attitudine filiale

di Gesù col Padre – espressa nel suo stile di preghiera e nella sua consegna a

noi nel sacramento dell’Eucaristia –, quanto lo stile della cura del Maestro di

Nazareth, lo stile della misericordia di Dio Padre operante in Gesù stesso, è

diventato l’ingrediente principale del nostro essere uomini e donne di questo

mondo?

7. Lo sguardo interiore

Il tenore interrogativo con cui questa traccia si conclude non è casuale:

in vista del Convegno ecclesiale nazionale vogliamo stimolare, infatti, una

comune presa di coscienza riguardo al senso dell’umano.

Il Vangelo si diffonde se gli annunciatori si convertono. Perciò mettia-

moci in questione in prima persona: verifichiamo la nostra capacità di

lasciarci interpellare dall’esser-uomo di Cristo Gesù, facciamo i conti con la

nostra distanza da lui, apriamo gli occhi sulle nostre lentezze nel prenderci

cura di tutti e in particolare dei «più piccoli » di cui parla il Vangelo (cfr. Mt

25,40.45), ridestiamoci dal torpore spirituale che allenta il ritmo del nostro

dialogo col Padre, precludendoci così una fondamentale esperienza filiale

che sola ci abilita a vivere una nuova fraternità con gli uomini e le donne

d’ogni angolo della terra e ad annunciare la bellezza del vangelo. (Traccia

pagg. 55-56).

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Allegato 2

Relazione della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca

per la preparazione al 5° Convegno Ecclesiale di Firenze 2015

24 marzo 2015 1. Lettura socio-culturale del Capo di Leuca

Le comunità della nostra Diocesi presentano una situazione ambivalente.

Da una parte c’è, e resiste ancora, una comunità cristiana che vive consa-

pevolmente la tradizione nelle forme proprie dell’ethos cristiano fatto di riti,

di un certo modo di essere e di comportarsi. È “zoccolo duro” di cristiane-

simo che nonostante tutto resiste ed è presente anche in modo rilevante

nella società del Capo di Leuca. Si tratta di una situazione socio-culturale che

certamente va valorizzata perché è da essa che si deve ripartire per impo-

stare un processo di nuova evangelizzazione.

Attorno a questo “zoccolo duro” c’è un grande alone di cristianità forma-

le in cui si evidenziano modalità di vita cristiana caratterizzate da «debolezza

della vita di fede, riduzione del riconoscimento di autorevolezza del magiste-

ro, privatizzazione dell’appartenenza alla Chiesa, diminuzione della pratica

religiosa, difficoltà nella trasmissione della fede alle giovani generazioni».

Soprattutto tra i giovani e giovani-adulti assistiamo al consolidarsi di una

mentalità e di comportamenti fortemente secolarizzati.

Con un’immagine si può rappresentare questa situazione come un’oasi o

un piccolo orto (lo zoccolo duro), che non ha più un muro di cinta, per cui il

deserto che la circonda (l’alone di cristianità formale) penetra nell’oasi e si

estende oggi in una vasta distesa desertica di secolarismo e di materialismo.

A fronte di questa situazione, occorre un rinnovato impegno di missione di

evangelizzazione da parte delle comunità parrocchiali insistendo su tre linee

dell’agire pastorale: la dimensione culturale, la formazione degli operatori,

l’impegno caritativo e sociale.

Dall’analisi effettuata emergono le seguenti criticità:

- l’eccessiva frammentazione nella comunità cristiana, dovuta a feno-

meni spiccati di individualismo, campanilismo, competizione fra per-

sone e fra gruppi, elemento tipico della cultura salentina

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- la crescita dei fenomeni di disgregazione dei nuclei familiari e nel

contempo atteggiamenti iperprotettivi dei genitori nei riguardi dei fi-

gli, che faticano a staccarsi dalla famiglia di origine

- una mentalità ancora fortemente assistenzialistica, legata all’attesa

spasmodica del posto fisso, e che impedisce soprattutto alle nuove

generazioni di maturare un atteggiamento di responsabilità nel cam-

po affettivo, lavorativo e sociale

- una mentalità chiusa nei giovani, spesso soffocati nel proprio conte-

sto territoriale (eccessivo “provincialismo”)

- la ripresa dei fenomeni migratori, che in questi ultimi anni hanno im-

poverito il territorio di talenti, per la mancanza di politiche scolasti-

che e sociali capaci di prospettare un futuro.

La Chiesa locale nelle sue strutture operative (parrocchie, foranie, uffici e

organismi di partecipazione) cerca di richiamare tutti ad un lavoro concorde

e unanime perché dalle iniziative si passi alla progettualità, dal raccordo dei

soggetti intorno ad una idea pastorale si passi alla corresponsabilità della

missione evangelizzatrice, dal buon lavoro fatto da soli maturi un lavoro fat-

to insieme.

Questo sforzo che la comunità cristiana svolge al suo interno può incide-

re anche a livello culturale e sociale gettando le basi una forma di partecipa-

zione comunitaria nel mondo del lavoro, delle politiche familiari, giovanili,

sociali e civili.

2. Vie per il superamento delle difficoltà

Tra le esperienze concrete, già presenti in Diocesi, segnaliamo le seguenti.

2.1 Circa la formazione degli operatori pastorali indichiamo le iniziative che

hanno una rilevanza diocesana:

- Settimana Teologica, esperienza giunta alla trentanovesima edizione,

che coinvolge ogni anno nella seconda settimana di Quaresima oltre

600 fedeli in rappresentanza delle 43 parrocchie, delle associazioni e

dei movimenti, su un tema che viene definito ogni anno dall’Ufficio

pastorale in accordo con il Vescovo

- Convegno Pastorale diocesano, che si svolge alla fine dell’anno pasto-

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rale dove si individuano le strategie per la verifica e l’azione pastorale

a livello diocesano, foraniale e parrocchiale

- formazione dei catechisti, con un convegno diocesano che viene pro-

posto ogni anno dall’Ufficio catechistico nel periodo autunnale

- Scuola Diocesana di Formazione per operatori pastorali, attiva sin dal

1974.

Questo lavoro formativo ha consentito un processo di purificazione della

pietà popolare ed un rinnovamento costante della liturgia e della pastorale.

2.2 In riferimento alla famiglia e ai giovani indichiamo tre esperienze:

- Consultorio familiare diocesano, associato alla Federazione pugliese

dei Consultori di ispirazione cristiana, che si occupa di avviare percorsi

formativi per operatori e facilitatori di gruppo, per animatori ed edu-

catori di adolescenti e giovani, di educatori all’affettività, alla sessuali-

tà, alla relazionalità e di avviare itinerari di educazione alla vita matri-

moniale per giovani fidanzati e giovani coppie

- realizzazione di oratori, presenti in diverse parrocchie della diocesi, di-

ventati nel corso del tempo significative esperienze di animazione gio-

vanile e di vita pastorale. E’ stato anche realizzato un percorso forma-

tivo per animatori di oratorio

- Scuola di preghiera per giovani, guidata dall’Ufficio di Pastorale giova-

nile, che si svolge da diversi anni e che vede partecipi molti gruppi gio-

vanili, soprattutto adolescenti, provenienti da diverse comunità par-

rocchiali

- esperienza estiva del GREST, grazie alla collaborazione tra ufficio di

pastorale giovanile e il FOU (forum degli oratori ugentini), che vede

coinvolte la maggior parte delle parrocchie con la partecipazione di

migliaia di ragazzi.

2.3 Circa l’ambito sociale ed assistenziale segnaliamo le seguenti attività:

- Ospedale “Cardinale Panico” di Tricase, una delle tre strutture ospeda-

liere di ispirazione religiosa presenti in Puglia, gestita dalla Pia Fonda-

zione di Culto e Religione “Card. G.Panico” delle Suore Marcelline

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- Centro “Maior Caritas” di Tricase gestito dall’associazione di volonta-

riato “Orizzonti d’accoglienza” che si occupa di ospitare i familiari dei

degenti dell’Hospice “Casa Betania” presso l’Ospedale “Panico” ed

una volta alla settimana eroga il servizio mensa alle persone indi-

genti

- Centro socio riabilitativo dei Padri Trinitari di Gagliano del Capo, con

un’attenzione specifica ai problemi della disabilità, grazie al quale sono

nate anche due cooperative sociali

- Comunità San Francesco, con sede principale presso la parrocchia di

Gemini, che si occupa del recupero delle tossicodipendenze e

dell’accoglienza di minori

- Banco delle Opere di Carità della Puglia, con sede principale ad Alessa-

no, impegnata nell’assistenza alimentare alle famiglie in condizione di

indigenza, grazie alla fornitura di derrate alimentari attraverso enti ca-

ritativi convenzionati.

2.4 In riferimento al mondo del lavoro evidenziamo le seguenti esperienze:

- Progetto Policoro, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana nel

1995 che vede da sempre impegnata la nostra Diocesi in un progetto

di evangelizzazione, formazione e promozione dei gesti concreti relati-

vi al contrasto alla disoccupazione, soprattutto quella giovanile

- Fondazione “Mons. Vito De Grisantis”, nell’ambito del progetto Polico-

ro; operativa dal 7 febbraio 2013 e impegnata nella gestione del pro-

getto di microcredito sociale a sostegno di giovani e adulti della diocesi

intenzionati ad avviare un’iniziativa imprenditoriale, in collaborazione

con la Banca Popolare Pugliese

- nell’ambito cooperativo ed associazionistico ispirate dal progetto Poli-

coro si segnalano: la “Domus Dei” formata da giovani volontari per la

gestione dei beni culturali della Diocesi; la “Freedom” in collaborazione

con l’ufficio di Pastorale del turismo per la fruibilità dei beni architet-

tonici ed artistici di proprietà ecclesiastica e l’individuazione ed esplici-

tazione di un percorso turistico denominata “via Leucadensis”;

l’Associazione “Form.Ami” per la formazione nell’ambito del lavoro; la

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sezione diocesana dell’UCID, per promuovere un’etica imprenditoriale

ispirata alla Dottrina Sociale della Chiesa.

2.5 Nell’ambito missionario indichiamo tre esperienze:

- Rwanda, una azione missionaria da lunga data con la presenza da al-

cuni decenni di sacerdoti “Fidei donum” della nostra diocesi

- “Amahoro-onlus”, l’associazione di volontariato internazionale, legata

all’Ufficio Missionario diocesano, che gestisce una Bottega del com-

mercio equo e solidale a Ruffano, presso la parrocchia San Francesco

- “Centro Sociale Santa Marcellina”, costituito dalle Suore Marcelline a

Saranda in Albania nel loro impegno missionario.

3. Esperienza positiva

Tra tutte le esperienze pastorali sopra descritte degna di nota, per

l’impegno profuso e per il coinvolgimento dei vari settori della vita pastorale

e il riflesso avuto sulla società civile, è l’esperienza nel mondo del lavoro che

l’Ufficio di pastorale sociale e del lavoro ha promosso in questi anni

nell’ambito del Progetto Policoro.

In particolare si sottolineano le esperienze a favore dei giovani disoccu-

pati o in cerca di lavoro come l’iniziativa “Work in Progress” dove circa 250

giovani dai 18 ai 40 anni sono stati aiutati da una rete di uffici pastorali e so-

ciali a mettersi in contatto con aziende ed esperienze lavorative presenti sul

territorio.

Il nostro Vescovo, Mons. Vito Angiuli, sottolinea come la Chiesa Diocesa-

na vuole e deve "essere accanto" ai giovani che vivono questa situazione di

disoccupazione e sull’importanza "del lavorare insieme". Bello lo stimolo

sulla necessità di modificare la vecchia idea del lavoro, pensato come lavoro

dipendente e possibilmente pubblico, che da decenni ormai è radicata nella

mentalità dei giovani e degli adulti residenti nei nostri territori, generando

così un atteggiamento di assistenzialismo e di clientelismo politico, per pro-

muovere una nuova cultura del lavoro intesa come promozione di se stessi e

delle proprie virtù, cogliendo le necessità e le opportunità del nostro bellis-

simo territorio, ultimo lembo d’Italia – De finibus terrae – bagnato dai due

mari, in modo particolare coniugando agricoltura, artigianato e turismo.

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Una forte e solida iniziativa concreta di solidarietà e accompagnamento

dei giovani ed adulti nel mondo del lavoro, tanto vasto quanto problemati-

co, nella diocesi di Ugento è l’esperienza del Progetto Policoro. Sin dal 1995,

nel nostro territorio diocesano ha voluto significare un percorso di cambia-

mento culturale soprattutto nel superamento della concezione errata ed ob-

soleta del lavoro come “posto fisso” calato dall’alto, a quella dell’autoim-

prenditorialità individuale o in forma cooperativa. Questo cammino ha

sviluppato sempre più una presa di coscienza e di responsabilità dell’intera

Comunità diocesana di fronte alla crescente piaga della disoccupazione sia

dei giovani, che hanno difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, e sia per

la fascia adulta della popolazione che ha perso il lavoro (in particolare in

seguito all’azzeramento del settore TAC (Tessile, Abbigliamento, Calzatu-

riero).

Grazie a questo cammino e all’intuizione del compianto Vescovo Mons.

Vito De Grisantis, e all’incoraggiamento del nuovo Vescovo, Mons. Vito An-

giuli, dal 2011 è operativa la Fondazione intitolata allo stesso Vescovo dece-

duto nel 2010, impegnata nella gestione del Fondo di garanzia microcredito

sociale “Progetto Tobia”. Questo programma, attivo dal 7 febbraio 2013, ha

come scopo quello di aiutare i giovani disoccupati, le donne e quanti hanno

perso il lavoro, ad intraprendere in modo singolo o associato.

Il Fondo di Garanzia-Progetto Tobia sostiene l’avvio dell’attività impren-

ditoriale garantendo un prestito concesso dalla Banca Popolare Pugliese in

convenzione con la Fondazione da restituire nei tempi e nelle misura defini-

te. Per la realizzazione dei progetti imprenditoriali, particolare importanza

riveste il tutoraggio verso i giovani svolto dal Comitato tecnico della Fonda-

zione e dal Centro Servizi Progetto Policoro.

A oggi, il fondo di garanzia “Progetto Tobia” è costituito da euro

190.000,00, di cui:

- euro 70.000,00: dall’obolo personale del Vescovo, dei Sacerdoti e dei

Diaconi della diocesi di Ugento-S.M. di Leuca, dal contributo delle Par-

rocchie, Enti Ecclesiastici e Istituti Religiosi

- euro 50.000,00: dai fondi Cei dell’8x1000 messi a disposizione dalla

Diocesi

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- euro 30.000,00: dall’Ambito Territoriale di Gagliano del Capo

- euro 40.000,00: Caritas Italiana.

Nel primo anno di operatività del “Progetto Tobia”, coincidente con il pe-

riodo più critico a livello economico nazionale, sono nate 5 attività imprendi-

toriali nel territorio della Diocesi appartenenti a diversi settori del commer-

cio e della ristorazione, di cui 4 su 5 sono state realizzate da donne, inoltre

circa 30 persone hanno ricevuto informazioni dal Centro Servizi circa il mi-

crocredito sociale.

Un’altra importante iniziativa per contrastare la disoccupazione giovanile

è stata il “Work in Progress – 1° laboratorio attivo per il lavoro”: un percorso

per aiutare i giovani ad approcciarsi al mondo del lavoro, giudicato positi-

vamente dai partecipanti proprio per la sua originalità e per la sua dinamici-

tà. Il primo percorso è stato pensato nel far toccare con mano ai giovani di-

soccupati la presenza nella realtà del sud Salento di iniziative imprenditoriali

di eccellenza in diversi settori, proprio per sfatare il detto che al Sud non c’è

nulla e dare coraggio per rimanere sul proprio territorio e pensare insieme

alcune attività.

Già nella modalità di invito dei giovani sono state coinvolte le 43 Comu-

nità Parrocchiali che hanno fatto partecipare all’iniziativa quasi 230 giovani.

Grazie a tutto ciò alcuni giovani hanno partecipato a bandi regionali (es.

Principi Attivi, Piccoli Sussidi) e i loro progetti sono stati ammessi a finanzia-

mento. Altri hanno intrapreso attività imprenditoriali attraverso l’azione del

microcredito sociale – Progetto Tobia.

Certamente, come indica il titolo dell’iniziativa, si tratta di un percorso

che è iniziato e che va proseguito. Infatti anche nel 2014, in modo particola-

re il 29-30 maggio, si sta realizzando lo stesso laboratorio, con modalità e

argomentazioni differenti rispetto alla prima edizione, e si porteranno a co-

noscenza le aziende che hanno intrapreso grazie alla scorsa edizione, inoltre

si rimarcherà nuovamente l’obiettivo di consolidare la rete di relazioni crea-

tasi intorno a questo evento. Infatti Coldiretti, Confartigianato, Confcoope-

rative, Confindustria giovani – LE, CISL, Puglia Sviluppo, Italia Lavoro, daran-

no il loro apporto, gratuitamente, ai giovani che vogliono intraprendere

un’attività lavorativa.

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“Work in progress” è una testimonianza di come il lavoro vada cercato

secondo altre prospettive, sfruttando anche quelle poche novità che la

legislazione italiana e regionale è riuscita a proporre in questi anni. Così

come vanno sfruttate quelle opportunità offerte alle giovani generazioni in

termini di sostegno alla nuova imprenditorialità. È un mondo che sta

cambiando quello che abbiamo voluto proporre ai nostri giovani. Continuare

ad incontrarli, proprio nella logica dei “lavori in corso”, mettendo a dispo-

sizione strumenti ed opportunità offerti dalla Rete, è l’impegno che il gruppo

promotore mette in atto. Oggi grazie a questi cammini c’è anche una certa

sintonia con le Istituzioni Pubbliche nell’affrontare queste problematiche.

COLLABORAZIONE TRA DIOCESI E AMMINISTRAZIONI COMUNALI PER UN TURISMO PASTORALE

Nell’incontro in Seminario del 22 gennaio 2015 tra tutti i sacerdoti e i

Sindaci del Comuni della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, per esaminare il

tema dell’emigrazione e del turismo dal punto di vista pastorale, si era ravvi-

sata la necessità di un coordinamento tra l’Ufficio di pastorale del turismo e

le amministrazioni comunali.

Per dare seguito a questo progetto, lunedì 23 marzo, presso il salone del-

la Basilica di Leuca, si sono incontrati i Sindaci e gli Assessori al turismo con il

Vescovo, accompagnato dal Vicario episcopale per la pastorale e dai respon-

sabili della pastorale del turismo e per i migranti.

L’obiettivo è quello di utilizzare al meglio questa grande risorsa del terri-

torio salentino, rilanciando a livello nazionale e internazionale il volto più

bello del Sud Salento attraverso un’azione coordinata che ne faccia cogliere

non solo la bellezza naturale e lo stare bene fisicamente, ma anche usufruire

di un ambiente sociale e umano accogliente.

Il Vicario per la pastorale

don Stefano Ancora

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UFFICIO LITURGICO

CORSO DI FORMAZIONE PER I MINISTRI STRAORDINARI DELLA COMUNIONE

La crescente attenzione che molte comunità parrocchiali esprimono nei

confronti dei fedeli ammalati con il conforto della Santa Comunione, impone

la formazione spirituale, pastorale e liturgica dei laici che sono impegnati in

questo prezioso servizio come Ministri straordinari (cfr. Rituale Romano, Be-

nedizionale, n. 2004, p. 820, LEV 1992).

Sollecitato da tale necessità, l’Ufficio Liturgico Diocesano ha pensato di

organizzare un breve corso di formazione per i Ministri straordinari della

Comunione, vecchi e nuovi, nei giorni 13-16 gennaio 2015, presso il Centro

Pastorale “Benedetto XVI” di Alessano.

Gli argomenti principali del corso sono stati:

- La Comunione Eucaristica segno della comunione con Cristo e con la

Chiesa

- Il malato e il mistero di Cristo sofferente

- Il Ministero straordinario della Comunione: principi e norme

- Il Ministero straordinario della Comunione: la liturgia.

Il corso, aperto a tutti, era obbligatorio per coloro che desideravano

svolgere in futuro questo servizio. La due giorni si è conclusa il pomeriggio di

sabato 17 gennaio con un momento di spiritualità e di adorazione eucaristi-

ca presso la Cattedrale di Ugento.

I nuovi ministri sono stati istituiti dal Vescovo domenica 18 gennaio du-

rante la celebrazione eucaristica.

Nella scelta e nella presentazione dei candidati l’Ufficio aveva invitato i

parroci ad attenersi ai criteri stabiliti nel testo Criteri e norme circa la forma-

zione e l’istituzione dei ministeri1, che contiene tutte le indicazioni necessarie

1 DIOCESI DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA, Statuti, decreti, regolamenti, Marra, Ugento 2005, pp

27-30. Il testo è disponibile anche sul sito internet www.diocesiugento.org, alla voce Curia nella directory Liturgico sotto il titolo CRITERI E NORME.

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per accedere al Ministero. I candidati, inoltre, per partecipare al corso dove-

vano essere iscritti almeno al secondo anno della Scuola Diocesana di For-

mazione Teologico-Pastorale.

Il Direttore

don Giuseppe Indino

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UFFICIO CATECHISTICO

Domenica 12 aprile 2015 la diocesi di Ugento-S. M. di Leuca ha ospitato

il Laboratorio di Metodologia Catechetica per i disabili, organizzato per le

diocesi della Puglia-Sud dal Settore Catechesi Disabili della Commissione re-

gionale per la Catechesi.

La partecipazione è stata aperta a tutti coloro che vogliono fare un cam-

mino per poter accompagnare la catechesi di bambini disabili: genitori di ra-

gazzi disabili che vogliono fare un percorso di crescita nella fede e vogliono

donare la loro esperienza per aiutare nella catechesi altri ragazzi, catechisti

ed educatori che vogliono “educarsi per educare” anche ragazzi con disabili-

tà; persone con esperienze o competenze specifiche, come insegnanti di so-

stegno, pedagogisti, assistenti sociali, psicologi, medici.

Ha guidato i lavori sr. Veronica Donatello, responsabile dell’Ufficio Cate-

chistico Nazionale per la Catechesi dei disabili, che ha presentato alcune

esperienze, soffermandosi su particolari aspetti ed esigenze di questo speci-

fico percorso educativo catechetico.

La giornata si è chiusa con la celebrazione eucaristica, presieduta dal ve-

scovo mons. Angiuli e animata da persone diversamente abili.

Il Direttore

don Gionatan De Marco

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UFFICIO MISSIONARIO

GIORNATA DI SPIRITUALITÀ MISSIONARIA

Continuando la riflessione sulle beatitudini evangeliche, quale program-

ma per ogni discepolo, l’Ufficio Missionario ha organizzato una giornata di

spiritualità per meditare su “Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia,

perché saranno saziati” (Mt 5, 6).

L’incontro, aperto a tutti coloro che hanno la missione nel cuore, si è te-

nuto domenica 11 gennaio 2015 presso il centro di spiritualità “Giuseppe Al-

lamano” di Ruffano.

Il ritrovarsi insieme ha avuto le stesse modalità e gli stessi obiettivi delle

giornate precedenti: insieme come famiglia missionaria, composta da ragaz-

zi, giovani e adulti, per riscoprirne sempre più l’identità, qualificarne la for-

mazione, sperimentare la comunione, quale prima forma di missione della

famiglia missionaria.

Padre Pietro, le Suore Missionarie della Consolata e gli animatori hanno

aiutato e guidato la riflessione con un taglio squisitamente missionario.

La preghiera comunitaria, i laboratori divisi per età, la celebrazione euca-

ristica, l’agape di fraternità e la messa in comune delle riflessioni e delle

proposte emerse dai diversi laboratori, hanno scandito la giornata, con

l’impegno di ritrovarsi nelle prossime giornate in programma.

FESTA RAGAZZI MISSIONARI E MISSIO GIOVANI PUGLIA

Nel mese di maggio 2015 ci sono state in diocesi due iniziative in campo

missionario: la Festa Ragazzi Missionari e l’incontro Missio Giovani Puglia.

Il primo si è svolto a S. Maria di Leuca il 2 maggio. Il momento iniziale

della giornata, quello dell’ascolto sul tema Capaci di Eucarestia, guidato dal

vescovo mons. Vito Angiuli, è stato molto bello e significativo. La scena del

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pastore attorniato dai volti sereni e gioiosi dei tanti ragazzi presenti ha reso

in modo visibile il volto della Chiesa.

La giornata è proseguita con il susseguirsi degli altri momenti, quello del

pregare, del proporre e del partire

L’incontro Missio Giovani Puglia, invece, è stato ospitato il 31 maggio

nella Casa della Convivialità “Don Tonino Bello” di Alessano.

La giornata ha avuto inizio con la presentazione del Movimento a livello

regionale a mons. Filograna, vescovo di Nardò-Gallipoli e nuovo Presidente

della Commissione Regionale Missionaria di Puglia, l’organismo pastorale

pugliese di Missio Giovani. Successivamente Alex Zappalà, segretario nazio-

nale Missio Giovani, ha proposto un momento di formazione e di riflessione

sull’animazione missionaria per adolescenti e giovani che hanno nel cuore il

desiderio di vivere la missione a 360°.

La giornata si è conclusa, nel pomeriggio, con un momento di preghiera

sulla tomba di don Tonino Bello, e le votazioni e la elezione della nuova se-

greteria regionale.

Il Direttore

don Rocco Maglie

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UFFICIO DIOCESANO PER L’ECUMENISMO

Dal 18 al 25 gennaio si è celebrata in diocesi la “Settimana di preghiera

per l’unità dei cristiani” con incontri di carattere spirituale e culturale.

La settimana si è aperta con una celebrazione eucaristica, presieduta dal

vescovo mons. Vito Angiuli, presso il monastero della SS. Trinità di Alessano. Il

19 gennaio, la celebrazione della festa patronale di Sant’Ippazio di Gangre nel-

la parrocchia di Tiggiano ha offerto l’occasione per rileggere ancora una volta

il legame del Salento con l’oriente cristiano attraverso il culto dei santi orien-

tali. Nell’omelia mons. Yannis Spiteris, arcivescovo metropolita di Corfù, Zante

e Cefalonia, ha sottolineato la vicinanza spirituale tra Sant’Ippazio, venerato a

Tiggiano, e San Spiridione, venerato a Corfù sia dai cattolici che dagli ortodossi.

Il giorno dopo, sempre mons. Yannis Spiteris ha tenuto, presso il Santua-

rio di S. Maria della Strada in Taurisano, una conferenza ecumenica sul tema

“Prospettive attuali del dialogo ecumenico tra cattolici e ortodossi”.

Nei giorni successivi due liturgie particolari hanno caratterizzato la Setti-

mana: il 21 gennaio, presso il monastero di Alessano, la celebrazione dei ve-

spri in rito bizantino, durante la quale padre Nik Pace, sacerdote cattolico di

rito bizantino, ha tenuto una riflessione sul tema della settimana; il 23 gen-

naio, nella parrocchia di Supersano, la celebrazione della solenne liturgia di

S. Giovanni Crisostomo, presieduta da mons. Donato Oliverio, vescovo del-

l’Eparchia di Lungro, presenti il Vicario generale della diocesi di Lungro, diversi

sacerdoti di rito orientale e alcuni giovani seminaristi dell’Eparchia di Lungro.

Nella serata del 24 si è tenuta presso il monastero di Alessano una cate-

chesi sulla preghiera del “Padre nostro” e sui suoi significati di carattere e-

cumenico, partendo dalla riflessione teologica e spirituale che sulla preghie-

ra hanno fatto le comunità della Riforma.

La Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani si è conclusa solenne-

mente domenica 25 gennaio presso il monastero di Alessano con la veglia di

preghiera presieduta dal vescovo mons. Angiuli.

Il Direttore

don Fabrizio Gallo

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UFFICIO PER LA PASTORALE FAMILIARE

37ª GIORNATA NAZIONALE PER LA VITA

In vista della 37ª Giornata Nazionale per la Vita, l’Ufficio Famiglia in data

15 gennaio ha invitato, attraverso i parroci, tutte le comunità parrocchiali a

partecipare alla veglia diocesana e alla Santa Messa, presieduta dal vescovo

mons. Vito Angiuli, che si sarebbe celebrata nella Basilica di S. M. di Leuca nel-

la serata del 1° febbraio 2015. Durante la Messa, al momento dell’offertorio,

una coppia di sposi o di fidanzati di ogni parrocchia ha offerto una piantina,

simbolo della campagna “Un fiore per la vita”, lanciata per questa giornata.

Il tema che la CEI ha indicato nel Messaggio “Solidali per la vita”, ha fatto

proprio quanto affermato da Papa Francesco: “I bambini e gli anziani costi-

tuiscono il futuro dei popoli; i bambini perché porteranno avanti la storia, gli

anziani perché trasmettono l’esperienza e la saggezza della loro vita”.

Il tema nella sua vastità e importanza pone all’attenzione delle comunità

parrocchiali spazi di numerosi interventi di natura pastorale: dall’aborto alla

fecondazione artificiale, dal desiderio di avere un figlio alla pretesa di un figlio

a tutti i costi, dall’adozione all’affido, dalla significativa iniziativa di una fami-

glia che adotta un’altra famiglia o una persona anziana o non autosufficiente e

sola, a qualunque altra iniziativa di solidarietà concreta e di condivisione.

La sensibilizzazione su questi temi è indispensabile per ogni comunità

parrocchiale per una pastorale familiare incisiva e attenta alle situazioni con-

crete.

La somma raccolta quest’anno è stata devoluta al “Progetto Gemma” del

Movimento per la Vita.

Il “Progetto Gemma” è un servizio per l'adozione prenatale a distanza di

madri in difficoltà, tentate di non accogliere il proprio bambino. Una mam-

ma in attesa nasconde sempre nel suo grembo una gemma (un bambino)

che non andrà perduta se qualcuno fornirà l'aiuto necessario.

don Gigi Ciardo Mario e Giulia Macrì

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ARCHIVIO STORICO DIOCESANO

ELENCO DEGLI AGGIORNAMENTI NEL SITO DAL 1° GENNAIO AL 30 GIUGNO 2015

http://www.diocesiugento.org/scheda.aspx?sez=UFF15

Segnalazione ultimo volume sul card. Giovanni Panico di Tricase

data: 13.01.2015

Salvatore PALESE presenta il volume: S. COPPOLA, Fortiter in re, suaviter in

modo. Monsignor Giovanni PANICO, il diplomatico salentino al servizio della

Santa Sede negli anni di Pio XI: La missione diplomatica di Panico in Colom-

bia, Argentina, Cecoslovacchia, Baviera e Saar (1923-1935), prefazione di

Marek Smid, Giorgiani Editore, Castiglione 2014, pp. 334.

Index Locorum Platea Rerum Matricis Ecclesiae Parocchialis Aquaricensis

Terrae

data: 17.02.2015

Notizie sul manoscritto vergato nel 1688 dall’arciprete di Acquarica del Capo

Giuseppe Prevetera, date da Salvatore PALESE.

La fondazione del seminario di Ugento (1752)

data: 07.03.2015

Saggio di Salvatore PALESE, La fondazione del seminario di Ugento (1752) e-

stratto da «La Zagaglia», 17, 1975, pp. 36-65.

Primo regolamento del seminario di Ugento (1819)

data: 10.03.2015

Edito da Salvatore PALESE in Seminari di Terra d’Otranto tra rivoluzione e re-

staurazione, in Terra d’Otranto in età moderna. Fonti e ricerche di storia re-

ligiosa e sociale, a cura di Bruno PELLEGRINO (= Società e religione, 2) Con-

gedo, Galatina 1984, pp. 185-188.

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Don Tonino Bello cantore di Maria, donna dei nostri giorni. Convegno di

studi - Alessano, 28-29 aprile 2014 a cura di Salvatore Palese

data: 26.03.2015

Introduzione di Salvatore PALESE (= Theologica Uxentina, 5) Ed VivereIn,

Roma-Monopoli 2015, pp. 13-23.

Le diocesi del Basso Salento nel '600: aspetti pastorali e attività religiosa

data: 31.03.2015

Saggio di Salvatore PALESE, edito in B. PELLEGINO - M. SPEDICATO, Società,

congiunture demografiche e religiosità in Terra d'Otranto nel XVII secolo,

Congedo, Galatina 1990, pp. 203-227.

Su un sinodo di Alessano del 1585 attribuito al vescovo Ercole Lamia (1578-

1591)

data: 07.05.2015

Recensione di Salvatore PALESE della pubblicazione di Mauro Ciardo, La Con-

troriforma nel Salento Meridionale (nuovi documenti). Presentazione di

mons. Vito ANGIULI, Edizioni Grifo, Lecce 2014, 230 pp.

Presentazione del volume di Vito Cassiano

data: 19.05.2015

Nel solco del Vaticano II. Settimane teologiche e Convegni pastorali nella

Diocesi di Ugento-S. M. di Leuca (= Theologica Uxentina, 3) Ed VivereIn, Ro-

ma-Monopoli 2014, 110 pp.

Uomini e Donne consacrate della Diocesi di Ugento - S. M. di Leuca

data: 19.05.2015

Di Salvatore PALESE.

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SETTIMANA TEOLOGICA

CONVEGNO PASTORALE

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XXXX SETTIMANA TEOLOGICA DIOCESANA 23-27 FEBBRAIO 2015

IN GESÙ CRISTO IL NUOVO UMANESIMO

In sintonia e in preparazione al V Convegno Ecclesiale che si celebrerà a

Firenze dal 9 al 13 novembre 2015, il tema scelto per la Settimana Teologica

Diocesana è stato quello stesso del Convegno.

“Al centro della riflessione sull’uomo c’è l’umanità di Gesù Cristo – ha af-

fermato il vescovo mons. Angiuli nel presentare la Settimana – è da lui che

l’essere umano riceve piena luce e senso”.

La riflessione della Settimana è partita dal riconsiderare l’uomo creato a

immagine e somiglianza di Dio per arrivare a Gesù Cristo, l’“Uomo nuovo”, e

di conseguenza all’immagine cristologica dell’uomo. L’essere umano, diver-

samente dagli altri esseri viventi, è in sé possibilità, un essere cioè sempre in

questione, in ricerca. L’uomo si chiede il perché delle cose, ha fame e sete

del senso di esse. Questa sua continua ricerca genera un’inquietudine che

non è una particolare ansietà, ma la stoffa di cui è fatta la sua coscienza, il

suo “io”. L’ uomo è strutturalmente un essere in tensione. Sant’Agostino ha

reso molto bene questo aspetto, percorrendo il cammino drammatico della

scoperta di “sé” come un “io”, fatto da un Altro e per un Altro.

La riflessione è continuata nelle sere successive approfondendo il pensie-

ro di Isacco di Ninive e il documento conciliare Gaudium et Spes.

L’uomo è il frutto di un atto d’amore, ma un frutto complesso, dice Isac-

co di Ninive; è la risultante di un intreccio di tre dimensioni: corpo, anima e

spirito. La loro diversità crea tensione, per cui la fatica dell’essere umano è

quella di riconciliarle in una realtà armonica. Come è possibile tale riconcilia-

zione? Gli strumenti sono dentro l’uomo stesso. Principio della vita spirituale

è la conoscenza di quello che l’uomo è, e di ciò che lo attraversa. La presa di

coscienza della propria debolezza apre la via alla guarigione, perché diventa

una porta per la quale la grazia può entrare nell’uomo.

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La proposta antropologica della Gaudium e Spes parte dalla considera-

zione che la Rivelazione cristiana illumina tutto il mistero dell’uomo. La sen-

sibilità per i suoi problemi e per la sua condizione, anche se antica quanto il

cristianesimo, mai si è manifestata ed espressa così chiaramente ed esplici-

tamente come nella Gaudium e Spes. Mai prima del documento conciliare si

era parlato in modo così diretto dell’uomo alle prese con la sua realtà terre-

stre. Ma l’eco più forte della Gaudium et Spes la troviamo nell’affermazione

ricorrente dell’“uomo immagine della Trinità”.

L’ultima sera della Settimana Teologica non si poteva non fare una rifles-

sione sulla visione dell’uomo in don Tonino Bello. L’eco della Gaudium et

Spes in lui è stato fortissimo. L’antropologia di don Tonino non è stata mai

distaccata dalla realtà: difesa dei diritti dell’uomo, denuncia del suo sfrutta-

mento e della sua strumentalizzazione, rispetto della sua condizione, impe-

gno per una promozione umana di tutti, attenzione ai più emarginati. La

persona umana ha un valore assoluto: non ci sono azioni di violenza lecite e

ognuna di esse contro il proprio fratello è definita da don Tonino “delitto di

lesa maestà”. Emerge con forza il modello della Gaudium et Spes a cui ispi-

rarsi: la Trinità. Come la Trinità, così noi nel mondo: persone uguali ma di-

stinte nella convivialità delle differenze, che apprendono dal mistero della

Trinità la dimensione vera dei rapporti interpersonali da vivere per costruire

l’uomo nuovo.

Nel concludere la Settimana Teologica il Vescovo ha sottolineato l’impor-

tanza di “questo annuale appuntamento nel quale la Chiesa di Ugento-S. M.

di Leuca si trova unita nell’ascolto della Parola, nello studio e nella riflessio-

ne teologica, per trarre le necessarie indicazioni per il suo agire pastorale e

per la maggior gloria di Dio”.

Programma

Lunedì 23 febbraio L’uomo a immagine e somiglianza di Dio e l’uomo

nuovo: un percorso biblico

Prof. don Luca Pedroli, docente al Pontificio Istitu-

to Biblico - Roma

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Martedì 24 febbraio La crisi del soggetto moderno e la sfida antropolo-

gica del nostro tempo

Prof. Costantino Esposito, docente all’Università

di Bari

Mercoledì 25 febbraio Limite e dono: l’essere umano nell’insegnamento

di Isacco di Ninive

Padre Sabino Chialà, monaco della Comunità di

Bose - Ostuni

Giovedì 26 febbraio La proposta antropologica di Gaudium et Spes

cinquant’anni dopo

Prof.ssa Cettina Militello, docente al Pontificio Isti-

tuto Liturgico - Roma

Venerdì 27 febbraio Don Tonino Bello e la visione dell’uomo

Prof.ssa Cettina Militello, docente al Pontificio Isti-

tuto Liturgico - Roma.

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XXIX CONVEGNO PASTORALE DIOCESANO 25-28 MAGGIO 2015

Il Convegno Pastorale Diocesano ha affrontato alcune sfide del nostro

tempo legate alla visione antropologica della cultura contemporanea.

C’è il bisogno di acquisire il metodo del confronto e del dialogo con la

cultura contemporanea per fare in modo che l’uomo di oggi, venendo a con-

tatto con il Vangelo di Gesù Cristo, non si senta soltanto giudicato, ma so-

prattutto ascoltato, accolto e amato.

I temi sono stati trattati da mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale

della CEI, e da mons. Angelo Panzetta, Preside della Facoltà Teologica Pu-

gliese.

Al termine del Convegno l’Orchestra Giovanile del Conservatorio “T.

Schipa” di Lecce ha offerto ai partecipanti un bellissimo concerto sinfonico

diretto dal Maestro Paolo Ferulli.

Programma

Lunedì 25 maggio Segni di speranza in un tempo di crisi

mons. Nunzio Galantino, Segretario Generale della

CEI

Martedì 26 maggio La teoria del gender: ideologia o verità sulla ses-

sualità umana?

mons. Angelo Panzetta, Preside Facoltà Teologica

Pugliese

Mercoledì 27 maggio Alcune ferite del nostro tempo: usura e azzardo

Giovedì 28 maggio Concerto musicale dell’Orchestra Giovanile del

Conservatorio “T. Schipa” di Lecce

Direttore Paolo Perulli

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CRONACA RELIGIOSA E PASTORALE

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RASSEGNE CULTURALI

“FIDES ET RATIO” E “DIALOGHI LEUCADENSI”

Nel progetto pastorale che ho consegnato alla Diocesi nel 2014, esami-

nando il cammino della Chiesa di Ugento S. Maria di Leuca dopo il Concilio

Vaticano II, ho rilevato che se da una parte si potevano notare ritardi e

chiusure, dall’altra emergevano tentativi di valorizzare la cultura tipica del

territorio salentino in un dialogo fecondo con i fermenti culturali che

sopraggiungevano da altri ambienti ecclesiali e civili. Per questo, ho ritenuto

necessario «intensificare lo spessore culturale» dell’impegno pastorale

diocesano (V. Angiuli, Educare a una forma di vita meravigliosa, 52).

Nell’omelia proposta nella festa di S. Vincenzo (22 gennaio 2015) ho

sottolineato che l’impegno culturale costituisce una premessa necessaria e

indispensabile per il cambiamento sociale. Sono profondamente convinto

che il Capo di Leuca sia una terra da valorizzare non solo come “luogo di

divertimento”, ma anche come fucina del “pensiero meridiano”1. Il Salento,

infatti, non è una ”terra da cartolina”, ma è terra di lavoro, di produzione, di

iniziative imprenditoriali e commerciali, di espressioni culturali e artistiche. Il

vero guadagno consiste nel tenere insieme la dimensione del divertimento

con l’attitudine a pensare ossia nel privilegiare l’otium rispetto al diver-

tissement.

La postmodernità ci ha consegnato solo il tempo “fluido e mutevole”2.

Oggi, non siamo più capaci di oziare. Anche il cosiddetto “tempo libero” è

diventato un tempo finalizzato a qualcosa. Caratterizzandosi come feno-

meno e consumo di massa, il divertimento è diventato un vero e proprio

business in costante crescita fino a configurarsi come una colossale industria

dell’entertainment capace di promettere felicità, benessere e svago.

1 Cfr. F. Cassano, Il pensiero meridiano, Laterza, Bari 2007.

2 Cfr. Z. Bauman, Vita liquida, Laterza, Roma-Bari 2008.

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Dell’antico piacere dell’ozio umanistico, nel nostro tempo, non è rimasto

quasi nulla. Il nostro è un mondo il fuga e l'uomo è in continuo movimento

senza, però, sapere dove andare3. La “lentezza” gli fa avvertire il senso del

nulla. In realtà, essa è la medicina ai mali moderni. A un mondo dove

domina solo la velocità e la funzionalità delle cose, l’otium insegna la

bellezza del passo lento e della gratuità. In tal modo, il tempo della vita si

distende e diventa l’ambito più propizio per la ricerca della verità. Abbiamo

tutti bisogno di un nuovo Marcel Proust che ci guidi Alla ricerca del tempo

perduto.

Insegnare la dolce e raffinata bellezza dell’otium è la vocazione specifica

del Capo di Leuca. Occorre aiutare a non disperdere se stessi, ad arricchire la

propria interiorità, a nutrire il desiderio di felicità aiutando tutti coloro che

sostano nel nostro territorio a non disperdere i propri ideali e valori e a

coltivare con l’amorevole cura la propria anima.

Per attuare questo indirizzo pastorale, insieme all’Associazione “Salento

Sophia” guidata dal giovane e brillante prof. Mario Carparelli abbiamo

programmato due Rassegne culturali: “Fides et Ratio” nel periodo invernale-

primaverile e “Dialoghi Leucadensi” nel periodo estivo. Si sono così alternate

personalità del mondo culturale che hanno presentato i loro libri e sono

intervenuti ai rispettivi dibattiti. Abbiamo la consapevolezza di aver gettato

un piccolo seme che speriamo possa germogliare e portare copiosi frutti

perché matura la consapevolezza di molti che il cambiamento è il frutto di

una “rivoluzione culturale”. Di seguito sono indicati gli appuntamenti già

realizzati e quelli in programma.

Il Vescovo

+ Vito Angiuli

3 Cfr. A. Giddens, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il

Mulino, Bologna, 2000.

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Rassegna “Fides et ratio”

Giovedì 29 gennaio, Ugento - Incontro con l’autrice Ada Fiore (Sindaco di Corigliano, Professoressa di Filosofia nei licei) Vota Socrate, Lupo Editore, Copertino (LE) 2013.

Venerdì 6 Febbraio, Ugento - Incontro con l’autore Mario Castellana (Università del Salento - Lecce) Giovanni Paolo II: scienza e verità, Pensa MultiMedia Lecce 2010.

Venerdì 27 marzo, Ugento - Incontro con l’autore Gianni Vacchelli (Università Cattolica del Sacro Cuore-Milano) L’”attualità” dell’esperienza di Dante. Un’iniziazione alla Commedia, Mimesis Edizioni, Milano 2014.

Mercoledì 8 aprile, Acquarica del Capo - Incontro con Diego Fusaro (Università San Raffaele - Milano) Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione.

Sabato 18 Aprile, Acquarica del Capo - Incontro con Giuseppe Girgenti (Università Cattolica Sacra Cuore-Milano) Giovanni Reale, Mi sono innamorato della filosofia (a cura di Armando Torno) Bompiani, Milano 2014.

Martedì 21 aprile, Supersano - Incontro con l’autore Nuccio Ordine (Università della Calabria - Cosenza), L’utilità dell’inutile, Bompiani, Milano 2013.

Mercoledì 22 aprile, Tricase - Incontro con l’autrice Ada Fiore (Sindaco di Corigliano, Professoressa di Filosofia nei licei) S.0.S. Marx, Lupo Editore Copertino (LE) 2015.

Mercoledì 29 Aprile, Acquarica del Capo - Incontro con gli autori Giovanni U. Cavallera e Stefano Marra, Il ritorno a Dio nella filosofia e nella teologia del Medio Evo, Akàdemos Edizioni, Collepasso (LE) 2014.

Sabato 9 maggio, S. Maria di Leuca - Raffaele Luise (Vaticanista RAI) presenta il libro sugli scritti ugentini di Don Tonino Bello, La terra dei miei sogni, a cura di Vito Angiuli- Renato Brucoli, Ed Insieme, Terlizzi 2014 .

Lunedì 11 Maggio, Acquarica del Capo - Incontro con l’autore Raffalele Luise (Vaticanista RAI), Con le periferie nel cuore.

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Papa Francesco raccontato dai più grandi intellettuali italiani, San Paolo, Cinisello Balsamo 2014.

Giovedì 21 Maggio, Acquarica del Capo - Incontro con l’autore Loris Sturlese (Università del Salento- Lecce), Meister Eckhart: le 64 prediche sul tempo liturgico, Bompiani, Milano 2014.

Rassegna “Dialoghi Leucadensi”

Mercoledì 8 luglio, ore 21 - Alessano, Palazzo Legari Presentazione del libro di Maria Rosaria Manieri (Università del Salento) “Fraternità. Rilettura civile di un’idea che può cambiare il mondo”, Marsilio, Venezia 2013.

Martedì 14 Luglio, ore 21 - Alessano, Palazzo Legari Presentazione del libro di Laura Campanello (Scuola Superiore di Pratiche Filosofi-che PHILO, Milano) “Leggerezza”, Mursia, Milano 2015.

Venerdì 31 luglio, ore 21 - Specchia, Palazzo Risolo Presentazione del libro di Tommaso Ariemma “Anatomia della bellezza. Cura di sé, arte, spettacolo da Platone al selfie”, Aracne, Ariccia (RM) 2015.

Martedì 4 agosto, ore 21 - Specchia, Palazzo Risolo Presentazione del libro di Sossio Giametta “Adelphoe”, Unicopli, Milano 2015.

Venerdì 21 agosto, ore 21.- Presicce, Palazzo Ducale Presentazione del libro di Egidio Zacheo “L’identità divisa. L’Italia e il nostro debole spirito pubblico”, Manni, San Cesario (LE) 2013.

Giovedì 27 agosto, ore 21 - Presicce, Palazzo Ducale Presentazione del libro di Elio Ria e Mauro Minutello “Il dire ulteriore. Immagini e parole”, Fondazione Terra d’Otranto, Nardò 2015.

Giovedì 24 settembre, ore 21, - Tricase, Palazzo Gallone Presentazione del libro di Mario Castellana “Hélène Metzger. La scienza, l’appello alla religione e la volontà”, a cura di Mario Castellaneta, Pensa Multimedia, Lecce 2014.

Lunedì 28 settembre, ore 21 - Tricase, Palazzo Gallone Presentazione del libro di Angelo Donno “L’ultimo Re. Nel cuore del regno”, Lupo Editore, Cpertino 2015.

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VITA CONSACRATA

FORZA PROFETICA DELLE BEATITUDINI

2 FEBBRAIO 2015

Il 2 Febbraio, festa della presentazione di Gesù al tempio, detta anche

“della candelora” della luce, ormai da qualche anno, celebra la giornata della

Vita Consacrata. Quest’anno la celebrazione cade nell’anno della Vita Consa-

crata, un segno importate, che Papa Francesco ha voluto in questo mo-

mento storico. È un’occasione che ci chiama a ripensare alla Vita Consacrata

nelle sue diverse forme, al ruolo prezioso delle nostre Comunità, alle diverse

difficoltà, che per vari motivi oggi incontra.

Ci chiediamo: quale “sapore” al mondo può ancora portare questa scelta

di vita, in questo momento storico e nella Chiesa?

Spesso siamo portati a considerare la vita consacrata in funzione dei ser-

vizi che svolge, ma l’opportunità dell’anno dedicato alla vita consacrata ci

spinge a riscoprire, alla radice, il significato profondo del suo esistere nella

Diocesi, nella Chiesa e nel mondo.

La Vita Consacrata è un dono alla Chiesa e per il mondo. In particolare le

donne consacrate sono icona autentica della maternità della Chiesa. La sto-

ria ci mostra quanto la Vita Consacrata sia stata dono all’interno della Chiesa

e strumento di umanizzazione per la società di ogni tempo, con i suoi diversi

carismi a servizio dell’uomo.

Anche la vita consacrata risente dei molteplici cambiamenti del periodo

storico nel quale vive: il nostro è un tempo di trasformazione e di crisi che

coinvolge tutti gli ambiti del vivere. È significativo che papa Francesco abbia

indetto un anno dedicato alla vita consacrata in questo particolare momen-

to nel quale occorre ritrovare i valori fondanti la vita e la convivenza, in cui la

complessità della realtà fatica a intravvedere un orizzonte di speranza.

Anche la Vita Consacrata sta vivendo un tempo di crisi, di chiamata a un

cambiamento. Giorno dopo giorno viene spogliata di tutte quelle sicurezze,

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che nel corso del tempo, hanno reso importante la sua missione nella Chie-

sa: l’abbondanza di vocazioni, il successo di opere caritative e sociali e un

substrato sociale cristiano che ne riconosceva il valore. Ora tutto questo sta

venendo meno.

Noi crediamo che questo sia un tempo prezioso, un Kairos, nel quale la

Vita Consacrata è chiamata a lasciare ciò che per tanto tempo è stato fonte

di sicurezza e di identità, per intraprendere la ricerca di un ritorno alla fre-

schezza delle sorgenti che l’hanno originata, per riscoprire la profezia e la

verità della propria vocazione. Una sequela radicata nel mistero pasquale

che racconta il vissuto evangelico e diventi segno della nostalgia di Dio nella

propria esistenza, e nelle vicende umane.

Indichi e provochi i fratelli a un “oltre”, al fine ultimo al quale sono

chiamati, a una profondità di vita che scuota la superficialità e il livellamento

che la società propone con i suoi falsi valori, smascherando individualismo e

autoreferenzialità. Continui a raccontare il Dio di Gesù Cristo amante

dell’uomo e della vita, facendosi compagna di cammino dell’umanità, lì dove

vive, ama, soffre e gioisce.

Assuma la via dell’incarnazione: una vita povera, casta e obbediente,

come strada privilegiata scelta da Dio in Cristo per portare la salvezza agli

uomini, in una fedeltà creativa ai propri carismi. Diventi la pellegrina delle

beatitudini: uomini e donne che stanno sulle frontiere della storia, nelle pe-

riferie esistenziali e sociali e che dal cuore stesso della Chiesa si muovono li-

beramente verso i suoi confini per tessere relazioni di comunione con tutti,

per chinarsi sull’uomo ferito, e come nuovi samaritani si fanno carico del

cammino verso la custodia della dignità dell’uomo. Attinga dalla contem-

plazione e dal discernimento, alla luce della Parola, un modo nuovo di esse-

re e di stare nella storia.

Sia presenza profetica: è quanto Papa Francesco chiede: «Mi attendo che

svegliate il mondo”, perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la

profezia. Il profeta conosce gli uomini e le donne suoi fratelli e sorelle. È ca-

pace di discernimento e anche di denunciare il male del peccato e le ingiu-

stizie, perché è libero, non deve rispondere se non a Dio. Il Papa fa appello

proprio a quella forza profetica delle beatitudini per svegliare il mondo dalla

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sua sonnolente indifferenza o dalla tentazione di voler affermare una uma-

nità sfigurata e violenta. Egli ci invita a diventare sempre più poveri e liberi,

per poter amare veramente e presentarci al mondo con la forza della mitez-

za e della pace.

Il “sapore” che essa può ridonare al mondo è la sapienza paziente di ri-

scrivere il Vangelo dentro la storia per farne gustare l’autenticità e la bellez-

za. Camminando con tutte le vocazioni, in compagnia degli uomini e delle

donne, può continuare a raccontare il disegno di vita di cui il Signore Gesù è

il fondamento, la fraternità la sua figura fondamentale, i voti le modalità di-

stintive, il servizio incondizionato la forma concreta della carità, che diventa

per il mondo invocazione operosa della giustizia del Regno, ove ogni persona

è restituita alla sua dignità.

Davvero la Vita Consacrata possa risvegliare il mondo con la ricchezza del

suo essere dono, dedizione assoluta, con la bellezza di un ritorno al Vangelo

che già ora è sorgente di vita nuova e di speranza per l’umanità.

Un anno della Vita Consacrata che non dovrà esaurirsi nel raccontare la

grande storia che hanno vissuto nel passato, ma sfidati dallo Spirito devono

scrivere, di giorno in giorno, un nuovo e inedito domani non meno bello di ieri.

suor Margherita Bramato

Segretaria USMI

INIZIATIVE VISSUTE PER L’ANNO DELLA VITA CONSACRATA

In occasione dell’anno dedicato alla Vita Consacrata, voluto da Papa

Francesco, nella diocesi si sono vissute alcune iniziative che hanno fatto ri-

scoprire il valore e il significato di questa particolare scelta di vita.

Innanzitutto, veglie di preghiera, adorazioni eucaristiche, celebrazioni li-

turgiche organizzate in più parrocchie e animate da consacrati e da consa-

crate. In particolare, una veglia di preghiera nella cappella dell’ospedale

“Card. Panico” di Tricase, animata dalla Comunità delle Suore Marcelline,

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presenti altri Istituti di Vita Consacrata, e l’animazione della preghiera ecu-

menica durante la Settimana per l’Unità dei Cristiani presso il Monastero SS.

Trinità delle Clarisse Cappuccine di Alessano, presieduta dal vescovo mons.

Vito Angiuli.

Molto significative sono state le testimonianze di alcuni consacrati e con-

sacrate, soprattutto giovani, che hanno presentato il loro cammino vocazio-

nale nelle messe domenicali di diverse parrocchie o in altri incontri comuni-

tari.

In tutte la Foranie, poi, si sono organizzati incontri di catechesi sulla Vita

Consacrata, presentando la bellezza di una vita interamente donata al Signo-

re e ai fratelli.

Di estrema importanza sul piano informativo e conoscitivo è stata

l’iniziativa, presa dalla diocesi, di far presentare, durante la Settimana Teo-

logica tenuta dal 23 al 27 febbraio, a tutti gli Istituti Religiosi presenti in dio-

cesi la propria storia, natura, identità e i propri carismi, con l’obiettivo di far

conoscere in modo concreto e visibile la bellezza e la fecondità di questo

modello di vita. Per molti dei partecipanti è stata una vera e propria sorpre-

sa scoprire l’esistenza in diocesi di tanta ricchezza di vita spirituale, pastorale

e di servizio.

Ci sono state anche iniziative dedicate solo ai consacrati e alle consacra-

te. In particolare il 2 febbraio 2015, Giornata Mondiale della Vita Consacra-

ta, tutti gli Istituti Religiosi presenti in diocesi hanno partecipato nella Catte-

drale di Ugento a una liturgia per loro, presieduta dal Vescovo. Inoltre, il 5

giugno, per il 25° anniversario dell’elevazione a Basilica Minore del santuario

di S. Maria di Leuca, i consacrati e le consacrate si sono ritrovati col Vescovo

in Basilica per rendere omaggio e ringraziare la Madonna De finibus terrae.

Il Vicario per la Vita Consacrata

don Paolo Congedi

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PASTORALE SOCIALE E DEL LAVORO

III WORK IN PROGRESS - 20-21 MARZO 2015

Durante le due giornate ci sono state le testimonianze di giovani che

hanno dato vita a progetti imprenditoriali illuminati da un senso di amore

per il prossimo mettendo in secondo piano il senso del lucro. Il loro spirito di

lavoro punta al sociale creando posti di lavoro per i giovani in territori dove

la precarietà, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, imperversa di giorno in

giorno e la speranza è sempre più poca.

Si è svolto venerdì 20 e sabato 21 marzo 2015 il III Work in Progress

presso l’Auditorium Benedetto XVI di Alessano, organizzato dalla diocesi di

Ugento-S. M. di Leuca attraverso il Centro Servizi per il Lavoro “Progetto Po-

licoro”.

Questo III Work in Progress, ispirato alla frase di Papa Francesco “in un

periodo come quello attuale di precarietà vanno messi in campo gli strumen-

ti della creatività e della solidarietà”, ha ruotato intorno al tema dell’inno-

vazione ed è stato caratterizzato dalle testimonianze di giovani che hanno

dato vita a progetti imprenditoriali con il principale scopo di creare posti di

lavoro per giovani disoccupati dei nostri territori.

Nel pomeriggio di venerdì 20 marzo, dopo i saluti di del vescovo mons.

Vito Angiuli, sono seguiti gli interventi di Umberto Costamagna, titolare di

un gruppo che conta sette call center, che dal 2008, anno in cui è iniziata la

crisi mondiale, ha assunto più di 1500 persone a tempo indeterminato tra

giovani, donne, molti dei quali del Sud; di Mario Mauro, direttore della strut-

tura ricettiva Robinson “Club Italia Spa”; di Alfredo Lobello di “Puglia Svilup-

po”, che ha dato informazioni utili sul microcredito regionale; di Cesare Spi-

nelli, direttore di “Spinel Caffè Srl”.

Nella mattinata di sabato 21 marzo, a più alta vocazione giovanile, è sta-

ta la volta delle idee innovative di realtà giovanili che, pur operando in con-

testi difficili, hanno a cuore la salvaguardia dell’occupazione e mirano

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all’inclusione sociale, soprattutto giovanile, evitando la loro emarginazione.

I relatori intervenuti sono stati: il giovanissimo Gianluigi Parrotto di Casa-

rano, il quale è titolare di una start-up – la “Air Group Italy” – costituita con

un capitale di 5,5 milioni di euro, raccolto da un gruppo di finanziatori ame-

ricani con l’ambizione di portare l’energia eolica nelle case di tutti con delle

mini-pale. Il suo obiettivo principale è quello di far crescere il Salento, gene-

rando nuovi posti di lavoro per tutti quei giovani che hanno talento, voglia e

buone idee da vendere.

Nel prosieguo della mattinata è intervenuto Enea Scarlino, dell’A. C. –

“Giovani Taurisano”, che con il loro progetto, dal titolo “Coltivando

s’impara”, hanno dato vita a un orto sociale nel territorio del basso Salento,

del quale i giovani si prendono cura con il supporto di anziani che, grazie alla

loro ricca esperienza, potranno tramandare loro le tecniche di coltivazione

collaudate per anni “sul campo”. Poi ha parlato Manuela Marani, segretaria

generale dell’associazione “L’Altra Napoli”, fondata da un gruppo di napole-

tani che si stanno impegnando in prima persona nel rilancio della città, fa-

cendole ritrovare la sua dignità puntando alla riqualificazione urbanistica,

artistica e sociale del Rione Sanità, ridotto in condizioni di degrado tale che i

giovani per campare si espone alla malvivenza. Da ultimo è intervenuto Lu-

ciano De Francesco, di “A DFV srl”, azienda leader nel settore della vernicia-

tura dell’alluminio.

Alla fine degli interventi dei nuovi imprenditori, Cosimo Martella, del

centro per l’impiego di Tricase, ha illustrato il punto della situazione del pro-

gramma “Garanzia Giovani”, promosso dal Governo italiano per dare una

rampa di lancio alla possibilità occupazionale dei giovani attraverso agevola-

zioni contributive alle imprese che assumono.

Un particolare molto importante di questo III Work in Progress è stato la

possibilità data ai giovani partecipanti di poter consegnare ad aziende del ter-

ritorio i loro curriculum vitae e avere un colloquio. A chi in quel momento non

era in possesso di un proprio curriculum, è stata data la possibilità di una sua

stesura seduta stante in formato Europass e, per gli under 29, all’iscrizione al

programma “Garanzia Giovani” e info sul “Microcredito Tobia”, grazie al quale

nel corso dal 2013 sono state avviate più di 14 nuove attività.

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L’evento è stato trasmesso in diretta streaming su www.radiodelcapo.it.

Dall’esame delle 63 schede compilate dai giovani che hanno preso parte

all’evento, è emerso che il 62% dei partecipanti è interessato a un contratto

di lavoro da dipendente e che il 38% vuole correre il rischio di aprire

un’attività in proprio. Per quanto riguarda l’ambito di interesse preferito, il

49% dai partecipanti all’evento desidererebbe lavorare nel settore del-

l’agricoltura, del turismo e dell’ambiente; il 24% nell’area dei servizi alla per-

sona; il 16% nell’artigianato e nel commercio e da ultimo l’11% nel settore

tecnologico e dell’innovazione.

L’età media dei partecipanti è stata molto bassa, quindi quasi tutti gio-

vani e giovanissimi, anche se non sono mancati gli over 40 e qualche over

50; mentre per quanto riguarda il titolo di studio il 24% ha licenza media, il

54% è diplomato, il 22% ha la laurea.

AL VIA UNA NUOVA IMPRESA GRAZIE AL “PROGETTO TOBIA”

SABATO 11 aprile ha visto la luce una nuova attività commerciale grazie al

“Progetto Tobia”, nato da un’idea di Mons. Vito de Grisantis. Questo pro-

getto prevede l’erogazione di prestiti a sostegno di nuove idee imprendito-

riali bloccate sul nascere dalle proposte fin troppo onerose previste dagli i-

stituti di credito bancario.

Infatti, questa forma di microcredito è rivolta a soggetti cosiddetti “non

bancabili”, privi cioè di garanzie reali o personali (fideiussioni) anche se in

possesso di una garanzia morale firmata dal sindaco e dal parroco. Garanzia

che dimostra l’affidabilità della persona sotto il profilo morale all’interno di

una comunità radicata in un determinato territorio.

La nuova attività opera nel Comune di Gagliano del Capo ed è partita

dall’idea di vendere detersivi sfusi a basso prezzo, oltre ad altri prodotti che,

pure di ottima qualità, sono di costo molto conveniente per le famiglie.

Questa azienda si va ad aggiungere alle altre 12 già finanziate dal “Pro-

getto Policoro” e in attività; aziende la cui attività va da una pucceria a una

profumeria, da un centro didattico a una azienda agricola.

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Il vescovo mons. Angiuli, nell’inaugurare la sede assieme al Sindaco di

Gagliano, ha sottolineato che il “Progetto Tobia” è un progetto innovativo

che si ispira allo spirito evangelico dell’aiutare il debole e il bisognoso e che

è in perfetta sintonia con la Dottrina sociale della Chiesa.

Equipe “Progetto Policoro”

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VIA CRUCIS 2015

UN GETSEMANI SENZA ULIVI

“Il fascino del Salento è reso ancora più attraente dalla presenza dei suoi

ulivi secolari. Purtroppo, in questi ultimi tempi, un flagello mortale si è ab-

battuto su queste piante… Per esprimere la nostra vicinanza e solidarietà a

tutti gli operatori del settore, abbiamo deciso di elevare al Signore la nostra

preghiera attraverso il pio esercizio della Via Crucis.

Percorreremo il cammino penitenziale lunedì 30 marzo da Gagliano del

Capo al Santuario di Leuca”.

Con queste parole, contenute nel “Messaggio pasquale”1, i Vescovi delle

Chiese del Salento hanno voluto far sentire la loro voce di partecipazione al

dramma della moria delle piante di ulivo in tutto il Salento e di sostegno alle

iniziative messe in campo per scongiurare il flagello della xilella.

Il 30 marzo, oltre duemila persone di tutte le età e di tutte le categorie

sociali, con a capo i cinque vescovi della Metropolia di Lecce, hanno percor-

so, da Gagliano del Capo al Santuario di S. Maria di Leuca, circa cinque chi-

lometri, per meditare sulla passione di Cristo con la lente della loro passione

in questo momento così doloroso e incerto che potrebbe sfociare in un

dramma economico e sociale per l’intero Salento.

Alla iniziativa hanno dato la loro adesione Regione, Provincia, Sindaci del

Salento, istituzioni di varia natura, partiti politici, movimenti e associazioni

varie.

La data della Via Crucis era stata spostata da 28 al 30 marzo proprio per

permettere a tutti i vescovi della Metropolia di unirsi al popolo e invocare

insieme dal Signore la liberazione dalla piaga della xilella e da ogni piaga del

cuore.

1 Il Messaggio è pubblicato nella sezione di questo Bollettino “Documenti della Chiesa del

Salento” alle pp. 57-61.

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Il clima di preghiera e di silenzio nel quale si è svolta la Via Crucis, aiutato

dalla lettura di un libretto guida, preparato dalla diocesi di Ugento con brani

tratti dagli scritti di San Francesco e di Papa Francesco, è stato il segno tan-

gibile della profonda partecipazione da parte di tutti, credenti e non creden-

ti, alla iniziativa.

Le luci delle tante candele, accompagnate dalla luce della luna e delle

stelle, hanno illuminato le strade di campagne, traboccanti di ulivi secolari,

lungo la Via Leucadensis, facendo godere la bellezza e la suggestione di un

Creato rispettato.

Al termine della Via Crucis, nella piazza antistante il Santuario di S. Maria

di Leuca, i cinque vescovi hanno preso la parola per ribadire la loro solidarie-

tà e la loro vicinanza alla comunità salentina in questo momento così difficile

per l’economia locale e per l’incidenza negativa che potrà avere sulla vita

delle famiglie. Hanno invitato a non perdersi d’animo, a continuare in questa

azione di mobilitazione, a non perdere la speranza ed essere fiduciosi nel Si-

gnore.

Il 30 marzo 2015 rimarrà nella storia della diocesi di Ugento-S. Maria di

Leuca e della Metropolia di Lecce come un giorno nel quale la Chiesa si è fat-

ta veramente Chiesa di popolo, condividendo, come dice la Gaudium et

Spes, “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei

poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono”.

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XXV ANNIVERSARIO DI ELEVAZIONE A BASILICA MINORE DEL SANTUARIO DI S. M. DI LEUCA

Il 13 aprile 2015, con una solenne liturgia presieduta dal card. Salvatore De

Giorgi, si è dato inizio, nella Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, alle celebrazioni per commemorare il XXV anniversario dell’elevazione del santuario di Leuca a Basilica Pontificia Minore, stabilita da san Giovanni Paolo II con il “Breve” apostolico del 19 giugno 1990.

Nei mesi successivi si sono susseguiti pellegrinaggi delle comunità parrocchiali, delle donne e degli uomini consacrati e del clero della diocesi.

Il 24 maggio il Vescovo ha indirizzato alla diocesi una specifica lettera il cui testo è pubblicato nella sezione di questo Bollettino “Insegnamenti Pastorali del Vescovo” alle pagg. 166-172.

OMELIA DEL CARD. SALVATORE DE GIORGI

TENUTA NELLA CELABRAZIONE EUCARISTICA IN BASILICA - 13 APRILE 2015

Benedetta sei tu Maria fra tutte le donne!

1 - Il canto della lode e della benedizione che abbiamo ripetuto nel salmo

responsoriale richiama la gioia e la fede con la quale i vostri più antichi padri

il 13 aprile ringraziarono sempre la Mamma del cielo per avere ascoltato le

loro insistenti invocazioni di essere risparmiati dal terribile maremoto che si

stava abbattendo sulle coste del Capo di Leuca.

Richiama la gioia e la fede dei numerosissimi fedeli che da allora, so-

prattutto il 13 aprile, sono venuti e vengono qui da ogni parte del nostro

Salento, moltissimi a piedi, per ringraziare la Madonna o per invocare la sua

protezione, come soprattutto i marinai e i pescatori che a lei si affidano nei

pericoli del mare.

A ragione Papa Francesco nella Esortazione Evangelii Gaudium afferma

che nei santuari mariani Maria “condivide le vicende di ogni popolo che ha

ricevuto il Vangelo, ed entra a far parte della sua identità storica… riunisce

attorno a sé i figli che con tante fatiche vengono pellegrini per vederla e

lasciarsi guardare da Lei… e trovano la forza di Dio per sopportare le

sofferenze e le stanchezze della vita” (EG, 286).

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In questo Santuario da secoli condivide le vicende liete e tristi (come ora

le minacce della xilella ai nostri oliveti), è entrata a far parte della nostra

civiltà salentina, per cui a buon diritto è Regina del Salento e Madre di noi

Salentini.

Personalmente in quanto salentino sento come un dovere filiale venire a

Leuca per venerarla. E oggi sono felicissimo di essere con voi, grato al vostro

a voi e a me carissimo Vescovo, S.E. Mons. Vito Angiuli, che ringrazio e

saluto cordialmente insieme a tutti voi.

2 - Il canto della lode e della benedizione richiama la gioia e la fede di

quanti, sacerdoti, vescovi, autorità civili e semplici fedeli, nel corso dei secoli si

sono adoperati o hanno contribuito alla costruzione, alle successive ricostru-

zioni, riparazioni, decorazioni di questo Santuario e delle opere annesse.

Mi pare doveroso a tal riguardo ricordare in questa celebrazione gli

ultimi pastori ugentini defunti che ho conosciuto personalmente: Mons.

Giuseppe Ruotolo, il primo Vescovo che io ha visto nella mia vita, il Servo di

Dio Mons. Nicola Riezzo, Mons. Michele Mincuzzi, Mons. Mario Miglietta, e

per me soprattutto l’indimenticabile e compianto Mons.Vito De Grisantis,

mentre a Mons. Domenico Caliandro va il nostro grato saluto.

Sorto dove c’era stato il tempio pagano dedicato alla dea Minerva, come

è attestato su un cimelio all’ingresso, e dedicato alla Vergine Madre di Dio

Annunziata dai discepoli di San Pietro, secondo una delle più antiche lapidi

posta sulla porta centrale dell’atrio, distrutto ben cinque volte e ogni volta

ricostruito, fin dai primi secoli dell’era cristiana è meta di continui e sempre

più numerosi pellegrinaggi.

Pellegrini sono stati non solo Pontefici, come Giulio e Benedetto XVI,

Cardinali e Vescovi, come i due figli più insigni della Chiesa Ugentina il Card.

Giovanni Panico e il Servo di Dio don Tonino Bello, ma anche Santi, come S.

Francesco di Assisi e S. Benedetto Giuseppe Labre, e un fiume interminabile

di semplici fedeli, tutti inneggiando a lei col canto dei secoli :“Benedetta sei

tu Maria fra le donne”.

3 - Questo canto di benedizione e di lode sgorga particolarmente oggi

anche dal nostro cuore nel venticinquesimo anniversario della elevazione a

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Basilica Pontificia del Santuario. da parte del Papa San Giovanni Paolo II il 19

giugno 1990, su richiesta di Mons. Mario Miglietta. E siamo grati a Papa

Francesco che ha voluto unirsi al nostro canto di lode con un affettuoso e

per noi impegnativo auspicio: Questa “significativa celebrazione susciti nelle

famiglie (oggi corrose da una forte crisi di identità), nelle nuove generazioni

(oggi più bisognose di guide sicure), e nei credenti tutti fervida adesione a

Cristo, sempre più intensa comunione e generosa testimonianza della

perenne novità del messaggio evangelico”.

4 - A riscoprire con gioia e proclamare con entusiasmo la perenne novità

del Vangelo il Papa ci ha invitati nella citata Esortazione per rispondere alle

sfide che pone alla nostra fede un mondo sempre più secolarizzato e

lontano dal Vangelo, anche in paesi, come l’Italia, tra i primi evangelizzati. Ci

ha esortati ad essere discepoli – missionari di Gesù, sull’esempio di Maria la

prima discepola e la prima missionaria del suo Figlio, del quale è stata anche

la prima maestra e la prima educatrice. E così si presenta nel suo Santuario.

Come discepola, ha creduto all’avverarsi della parola del Signore e l’ha

ascoltata e messa in pratica in modo singolare. came missionaria, ha

annunziato in modo eminente l’avvento del Regno di Dio, sbocciato nel suo

grembo verginale, ne ha esaltato le meraviglie rivoluzionarie nel canto del

Magnificat, e ne ha sintetizzato le esigenze fondamentali con l’esortazione ai

servi di Cana: “Qualunque cosa (Gesù) vi dica, fatela” (Gv 2,5)

Anche noi, come discepoli del suo Gesù, attraverso una conoscenza più

assidua della Paola di Dio, contenuta nella Bibbia, e del Magistero della Chiesa,

contenuto nel Catechismo della Chiesa Cattolica, – due libri che non dovreb-

bero mancare in una famiglia cristiana – riscopriamo con gioia la luce che

promana dal Vangelo per la nostra vita personale, familiare, ecclesiale e sociale.

Anche noi, come missionari del suo Gesù, riaccendiamo l’entusiasmo di

annunziare il Vangelo ovunque viviamo e operiamo, in casa, in piazza, al

mercato, a scuola, sui posti di lavoro, nei palazzi delle istituzioni, nelle case

della sofferenza.

Annunziamolo senza paura, senza complessi, senza conformismi, senza

pessimismi, senza pigrizia, senza stanchezza, con coraggio, con fiducia, con

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santa audacia e soprattutto con la testimonianza della vita, che è la più

avvincente forza di attrazione missionaria.

Questo è il primo impegno che dobbiamo rinnovare in ogni visita al

Santuario, come al Cenacolo, dal quale uscirono gli Apostoli ripieni di Spirito

Santo.

5 - Ma del Vangelo Papa Francesco ci invita a riscoprire soprattutto il

cuore, ossia la Misericordia, che è il cuore stesso di Dio, della SS. Trinità. Per

questo un mese fa ha annunziato e l’altro ieri ha indetto ufficialmente l’Anno

Santo Straordinario della Misericordia affidando questo straordinario evento

di grazia a Maria, Madre della Misericordia, come la invochiamo nel canto che

risuona continuamente nel nostro Santuario: “Salve Regina”, mentre dalla sua

bellissima icona, che neppure l’incendio poté distruggere, lei ci addita, nel

Bimbo divino col dito rivolto verso il cielo, il volto misericordioso del Padre.

Canteremo fra poco prefazio: “Tu hai dato alla Vergine Maria, totalmente

ignara della colpa, un cuore pieno di misericordia verso i peccatori, che

volgendo lo sguardo alla sua carità materna in lei si rifugiano e implorano il

tuo perdono”. Credo che sia questo il più consolante commento alla Parola di

Dio che abbiamo or ora ascoltato sul peccato dell’uomo e sul perdono divino.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato il dramma del peccato dei nostri

progenitori che si è riversato su tutta l’umanità.

Come quello di Adamo e di Eva, ogni peccato grave è rifiuto di Dio. È

rifiuto del suo progetto di amore per la nostra vera felicità, scritto nei nostri

cuori, rivelato a Mosè sul Monte Sinai nei dieci comandamenti, portato a

compimento da Gesù nel Discorso della Montagna. È rifiuto di Dio e del suo

progetto di felicità, per riporla illusoriamente nell’idolatria sfrenata nel

denaro, del potere, del piacere, cause non ultime di corruzioni, di ingiustizie,

di soprusi, di divisioni, di lotte. di violenze, di omicidi e suicidi, di lacrime e di

sangue, perfino nelle famiglie. Pur essendo personale, infatti, il peccato ha

sempre una dimensione sociale. È la radice perversa e velenosa di tutti i mali

sociali. Per questo va combattuto ed estirpato anzitutto dal nostro cuore, se

vogliamo vincerlo ed estirparlo dal cuore della società.

È questo il significato più profondo della inimicizia, della lotta tra il

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serpente, ossia il maligno, e la donna, per noi Maria, l’Immacolata, tra la

discendenza del serpente, ossia tutti gli operatori del male, e la discendenza

della donna, ossia Gesù e tutti i credenti in lui, tutti noi. È la discendenza di

Maria, secondo la promessa del Signore, che riporterà la vittoria sul peccato,

perché schiaccerà il capo al serpente infernale, il quale tuttavia non cesserà di

insidiarle il calcagno, con ogni sorta di tentazioni, di vessazioni, e soprattutto

di persecuzioni, come sta accadendo ai nostri giorni nei quali 150 milioni di

cristiani in tante parti del mondo subiscono violenze senza fine, e in molti,veri

martiri del nostro tempo, sono uccisi, decapitati, crocifissi, gettati o arsi vivi

nelle fosse della morte, nell’indifferenza complice dell’Occidente.

6 - Ma il peccato non avrà l’ultima parola. Immensamente più grande dei

nostri peccati e di tutti i peccati del mondo è la misericordia di Dio, la più

affascinante manifestazione della sua onnipotenza, come si esprime la

Liturgia della Chiesa.

Ce lo ha spiegato San Paolo nella seconda lettura, affermando che, se a

causa della disobbedienza di un solo uomo, Adamo, il peccato è entrato nel

mondo, per cui tutti siamo nati peccatori, molto di più la grazia di Dio e il

dono della misericordia si sono riversati in abbondanza su tutti, a causa

dell’obbedienza del solo uomo, Gesù Cristo, per cui tutti siamo costituiti

giusti. Dove abbondò il peccato sovrabbonda la misericordia.

Ma questo stupendo disegno dell’amore di Dio è stato possibile per

l’obbedienza di una sola donna, di Maria, per il “si” detto all’Angelo

Gabriele, col quale – come abbiamo ascoltato or ora nel Vangelo – è

diventata per opera dello Spirito Santo Madre del Figlio dell’Altissimo, la

Madre del Salvatore, Gesù. A giusta ragione perciò Maria viene invocata

Madre di Dio e Madre di Misericordia, perché Dio è Padre di misericordia e

Gesù è la misericordia del Padre.

I Santuari, come il nostro, sono i luoghi privilegiati dell’annuncio e dei

doni della Misericordia di Dio. “Mete di tanti pellegrini, – ha precisato il Papa

nella Bolla di indizione del Giubileo – in questi luoghi sacri, essi sono spesso

toccati dalla grazia e trovano la via della conversione”.

E in realtà è qui che il Padre ci attende tutti con le braccia aperte

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anzitutto nel sacramento della Riconciliazione per donarci sempre, senza

mai stancarsi, il suo perdono e col perdono la pace del cuore, la serenità

dell’anima, la vera gioia della vita in un clima di festa che unisce il cielo alla

terra. Non disertiamo i confessionali.

Ci attende soprattutto nel massimo sacramento del suo amore mi-

sericordioso, il sacrificio eucaristico del suo Figlio divino, che ci ha amati sino

alla fine. Non disertiamo la Messa domenicale. In essa, con la presenza

perenne di Maria, Gesù ci fa pregustare il convito celeste, traguardo eterno

della nostra esistenza che non va verso il nulla, ma verso il Tutto. Per la sua

intercessione, come alle nozze di Cana, ci dona il vino migliore della

conversione e della santità alla quale tutti siamo chiamati. Col suo esempio

di donna per gli altri, pronta ad aiutare spontaneamente e col sacrificio di un

lungo viaggio la cugina Elisabetta e a perdonare i crocifissori ai piedi della

croce, Gesù ci sprona a testimoniare l’amore vicendevole che ci ha lasciato

come unica tessera di identità, accettandoci, comprendendoci, sopportan-

doci, perdonandoci per suo amore; ci sprona alla carità operosa, compiendo

le opere della misericordia corporali e spirituali, soprattutto verso gli ultimi e

ai poveri, i senza casa e gli immigrati, gli ammalati e i carcerati con i quali ha

voluto identificarsi (cfr. Mt 25,31-46).

7 - Sorelle e fratelli carissimi, toccati, afferrati, abbracciati dalla Miseri-

cordia di Dio, diventiamo anche noi testimoni e donatori di misericordia,

misericordiosi come il Padre e la Madre. È questa la finalità principale del

Giubileo. È questo il messaggio perenne del nostro Santuario. È questo

l’augurio pasquale che rivolgo con affetto fraterno a voi e a me, mentre sale

dal cuore l’inno mariano che meglio esprime le caratteristiche e le invo-

cazioni del nostro Santuario:

Ave, o Stella del mare,

madre gloriosa di Dio,

vergine sempre Maria,

porta felice del cielo.

Mostrati madre per tutti,

offri la nostra preghiera.

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Spezza i legami agli oppressi,

rendi luce ai ciechi,

scaccia da noi ogni male,

chiedi per noi ogni bene.

Donaci giorni di pace,

veglia sul nostro cammino,

fa’ che vediamo il tuo Figlio,

pieni di gioia nel cielo. Amen.

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CONVEGNO DIOCESANO SULLA FAMIGLIA

23-24 APRILE 2015

Il 23 e 24 aprile 2015 si è tenuto in diocesi un convegno diocesano di pa-

storale familiare dal titolo “Missione Sposi”.

L’iniziativa, promossa dall’Ufficio diocesano di pastorale familiare, si col-

loca nel programma di riflessione e di sensibilizzazione che la diocesi ha av-

viato tra i due Sinodi sulla Famiglia, uno già celebrato alla fine dello scorso

anno e il secondo che si svolgerà a ottobre prossimo.

Relatore delle due giornate è stato mons. Renzo Bonetti, Presidente del-

la Fondazione “Famiglia dono grande”, già Direttore dell’Ufficio Nazionale

Famiglia della CEI, grande esperto di pastorale familiare e profondo conosci-

tore dei problemi della coppia e della famiglia.

La prima sera, venerdì 23 aprile, ha parlato, nell’Auditorium Benedetto

XVI di Alessano, di matrimonio e famiglia a laici e presbiteri di tutta la dioce-

si sul tema “Nella fede la novità della missione degli sposi”.

Il relatore ha subito precisato che il titolo è volutamente chiaro e provo-

catorio e ha continuato ponendo all’uditorio una serie di domande iniziali e

di considerazioni.

“Nella realtà – ha detto – si pensa sempre che la missione degli sposi cri-

stiani sia quella di essere testimoni dell’amore e della vita.

Testimoni dell’amore: e chi si sposa civilmente? chi convive? di che cosa

sono testimoni?

Testimoni della vita, della fecondità: e le ragazze madri di che cosa sono

testimoni? Sono più coraggiose degli sposati, sono testimoni della vita.

Cosa c’è di diverso tra un matrimonio civile e un matrimonio religioso?

Qual è la missione specifica degli sposi cristiani? Educare alla fede, religio-

samente i figli? Ci sono coppie di conviventi e sposate civilmente che porta-

no i figli al catechismo, che fanno fare la Prima Comunione, che fanno fre-

quentare le scuole cattoliche e insegnano anche le preghiere.

Allora, si è celebrato il sacramento per niente?. Invece la grazia del Sa-

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cramento del Matrimonio porta con sé la consapevolezza della presenza

permanente di Gesù e dello Spirito nella vita di coppia”.

Mons. Bonetti, ha quindi sviluppato il tema in tre punti.

Il primo si può riassumere in sintesi così: la bellezza dell’unità e della di-

stinzione degli sposi grazie alla presenza di Gesù e dello Spirito Santo.

Particolarmente attuale questo aspetto nel contesto culturale odierno,

che vuole – con l’introduzione della teoria del gender – eliminare le diffe-

renze, stravolgere il progetto di Dio sull’uomo, contrapporsi alla natura e

alla verità che viene dalla stessa natura: essere maschio e femmina.

La novità della missione degli sposi cristiani non è, dunque, quella di es-

sere testimoni dell’amore e della vita, ha affermato mons. Bonetti, perché

anche coloro che si sposano solo civilmente sono testimoni dell’amore e del-

la vita. La novità della missione specifica degli sposi che hanno celebrato il

Sacramento del Matrimonio è Gesù, è la presenza costante di Gesù e dello

Spirito Santo nella loro vita. La coppia cristiana con la forza del Sacramento

diventa il luogo abitativo di Gesù: Gesù chiede agli sposi di continuare il suo

annuncio di amore attraverso la loro realtà. Con il Sacramento del Matrimo-

nio non viene consacrato lo sposo e la sposa, già consacrati per il Battesimo,

la Cresima e l’Eucarestia, e quindi già appartenenti a Cristo, ma viene consa-

crata la relazione coniugale. La luce dello Spirito permette agli sposi di guar-

darsi reciprocamente con occhi nuovi, con occhi capaci di vedere la bellezza

del maschile e del femminile e di esaltarne la distinzione, cercando, attra-

verso la distinzione, l’unità.

È la distinzione che genera l’unità, ha detto con forza il relatore. E ha ag-

giunto che in questo contesto della teoria del gender gli sposi cristiani diven-

tano profezia della bellezza di quanto Dio ha creato: il maschile e il femmini-

le. Diventano profezia del fatto che i due, proprio attraverso la reciproca

valorizzazione dell’essere due realtà distinte e diverse, possono procedere

verso l’unità grazie alla forza dello Spirito.

Tutto ciò ha una logica conseguenza sui figli: i maschi amano diventare

maschi perché “hanno visto” la bellezza del maschile e le femmine vogliono

diventare femmine perché “hanno visto” la bellezza del femminile.

Con l’effusione dello Spirito l’amore degli sposi è coinvolto in un amore

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più grande, quello di Dio: una goccia d’acqua in un grande oceano. E siamo

al secondo punto, che può essere espresso così: agli sposi che celebrano il

Sacramento del Matrimonio è data la missione di amare “come Cristo ama la

Chiesa”. Grazie alla Spirito i due hanno il potere di amare i figli come Dio

ama l’umanità, come Cristo ama la Chiesa; hanno il potere di far sentire, at-

traverso il loro amore, l’amore di Dio Padre. E insieme, come famiglia, hanno

il potere di amare la propria Parrocchia nonostante limiti, fragilità, debolez-

ze, cadute e di difenderla come la propria famiglia.

Il terzo punto richiama quella paternità e maternità che non può chiu-

dersi solo nella propria famiglia ma che deve estendersi fuori, oltre le mura

domestiche. Siamo tutti figli di Dio per cui non è possibile non essere attenti

e disponibili ai figli degli altri e, in senso più ampio, agli altri. Naturalmente

– ha affermato don Renzo – tutto ciò è comprensibile e traducibile in vita so-

lo nella fede.

E ha posto un interrogativo in un certo senso inquietante: quanto tutto

questo entra nella catechesi ordinaria perché il Sacramento del Matrimonio

sia compreso un po’ più nella sua verità? Ha concluso con un’altra domanda,

che nello stesso tempo poteva essere anche un impegno per molti dei pre-

senti: nella preparazione dei nubendi non è forse difficilissimo far passare ta-

le verità se prima non diventa patrimonio degli operatori?

Mons. Bonetti ha affrontato con competenza, ma soprattutto con grande

passione l’argomento. Ed è stata proprio questa passione, percepita e ap-

prezzata da tutti, che ha creato in maniera sempre crescente un clima di

grande coinvolgimento. Le molte coppie di sposi e i sacerdoti convenuti

hanno seguito con molto interesse la relazione, manifestando al termine

grande soddisfazione per quanto ascoltato.

Il vescovo, mons. Vito Angiuli, ha rivolto espressioni di apprezzamento

sia per il contenuto della relazione sia per l’opera di evangelizzazione porta-

ta avanti da mons. Bonetti attraverso numerose modalità: convegni, semina-

ri, le Comunità Familiari di Evangelizzazione, il The Marriage Course, il The

Parenting Children Course, la Fraternità Sposi per sempre e altri ancora, in

Italia e all’Estero.

Il giorno successivo, venerdì 24 aprile, mons. Bonetti ha parlato ai sacer-

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doti riuniti in assemblea a S. Maria di Leuca. Il tema affrontato è stato “Or-

dine e Matrimonio: due sacramenti per la missione”, evidenziando alcuni

aspetti dell’azione pastorale verso le famiglie, di cui tener maggiormente

conto. La salute di qualsiasi società, ha affermato mons. Bonetti, dipende

sempre dalla salute delle famiglie. Per il bene loro e della comunità la fede

nella Parola di Dio ci chiama a sostenere le famiglie nella loro missione

all’interno della società. Questo è il compito che il Signore assegna a ciascu-

no di noi. Ci chiede di essere discepoli missionari che irradiano la verità, la

bellezza e la potenza del Vangelo che trasforma la vita. Siamo canali della

grazia di Dio, che permettono alla sua misericordia di diventare gli elementi

per costruire una comunità che rimanga salda sulla roccia che è Gesù Cristo.

I Responsabili della pastorale familiare

Mario e Giulia Macrì

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IL CAMMINO DI FRATERNITÀ

DELLE CONFRATERNITE DELLA DIOCESI DI UGENTO-S. M. DI LEUCA

SUPERSANO, 30 APRILE – 1° MAGGIO 2015

Si è svolto a Supersano lo scorso 30 Aprile e 1° Maggio, il cammino di fra-

ternità delle Confraternite della Diocesi di Ugento - Santa Maria di Leuca. Il

tema che si è scelto di dare a questo Cammino, “Le Confraternite a servizio

del nuovo umanesimo”, è stato pensato alla luce del prossimo Convegno Ec-

clesiale Nazionale che si terra a Firenze nel mese Novembre sul tema “In Cri-

sto un nuovo umanesimo”.

A illustrare questo argomento è stato invitato mons. Piero De Santis par-

roco della Basilica Concattedrale di Sant’Agata in Gallipoli (Le), Vicario Epi-

scopale per l’Evangelizzazione, docente di Teologia Sacramentaria e Diretto-

re dell’Istituto Pastorale Pugliese della Conferenza Episcopale Pugliese.

Mons. De Santis ha iniziato la sua relazione riportando un’espressione

del Papa emerito Benedetto XVI: “… anche le Confraternite sono parte viva

della Chiesa” ed ha sottolineato che esse, sono chiamate a sentirsi coinvolte

nel cammino sinodale della Chiesa italiana. Durante la relazione si è posto

tre interrogativi ai quali ha cercato di dare una risposta con l’intento di av-

viare una riflessione all’interno dei sodalizi al fine di aiutarli a fare discerni-

mento e superare il rischio dell’autoreferenzialità e della chiusura: che cos’è

il nuovo umanesimo? Come le Confraternite possono vivere il nuovo umane-

simo? Con quali modalità le Confraternite possono servire il nuovo umane-

simo?

Circa la prima domanda, “Che cos’è il nuovo umanesimo?”, ha sottolinea-

to che esso non è una realtà astratta, anzi, è un esperienza già operante nel-

la Chiesa. Avviene attraverso l’ascolto delle persone, mettendo al centro i

suoi reali bisogni e investendo le risorse nell’esercizio della carità. Per realiz-

zare questo coinvolge tutti secondo le proprie capacità e possibiliità. Tutto

questo scaturisce dall’esigenza dell’incontro con il Signore.

Mons. De Santis si chiede ancora se le nostre Confraternite possono dirsi

pienamente coinvolte in questa esperienza che è in atto nelle nostre Diocesi.

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Egli nota che la maggior parte delle energie vengono impegnate per garanti-

re l’esercizio del culto e custodire le proprie tradizioni legate alla pietà popo-

lare. Pur sottolineando la bontà di quanto le confraternite fanno, evidenzia

che è giunto il momento favorevole che viene ora offerto ai Sodalizi perché

divengano più presenti nelle comunità parrocchiali e nella diocesi attraverso

una maggiore attenzione ai bisogni anche materiali delle persone. In

un’epoca di grandi cambiamenti come quelli che sta attraversando l’Italia in

questi anni, la Chiesa ha bisogno anche delle Confraternite per far giungere

l’annuncio del Vangelo della carità a tutti.

Circa la seconda domanda, “Come le Confraternite possono vivere il nuo-

vo umanesimo?”, mons. De Santis sottolinea l’importanza dell’incontro con

la persona del Signore Gesù. Ciò dovrebbe impegnare le Confraternite ad

una formazione evangelica di quanti chiedono di farne parte. Si dovrebbero

aiutare i novizi a vivere l’adesione ai Sodalizi come una risposta alla doman-

da che Gesù rivolse ai primi discepoli: “Che cercate?” (Gv 1,38). Si dovrebbe

fare di tutto per facilitare l’incontro con il Signore e fare in modo che esso

non sia episodico, ma costante, attraverso una catechesi che parta dal-

l’ascolto della Parola, coinvolga la vita e favorisca la maturazione di una

mentalità di fede. Favorendo un’educazione graduale e costante dell’in-

teriorità si migliora la preghiera personale, quella liturgica, la pietà popolare

e si trovano le motivazioni per promuovere la fantasia della carità nel servi-

zio ai più poveri e a quanti vivono situazioni di disagio. Attraverso il discer-

nimento comunitario poi, che rende docili all’azione dello Spirito e dona oc-

chi nuovi per leggere ed interpretare la storia personale e comunitaria, si

impara a saper ascoltare le domande profonde che scaturiscono dal cuore

umano, a scoprire la volontà di Dio che sempre interpella per vivere nella ca-

rità. La bellezza dell’umanità nuova rifulge nella solidarietà tra le diverse ge-

nerazioni presenti nelle Confraternite, nella capacità delle generazioni adul-

te di non appiattirsi nella mortificante logica “dell’abbiamo fatto sempre

così”, ma preoccupandosi di chi viene dopo, accogliendo senza pregiudizi

tutti, in modo particolare i giovani. L’uscita da sé è il primo passo da fare per

andare incontro all’altro ed è il paradigma del nuovo umanesimo, la via para-

dossale di un’autentica libertà, capace di costruire ponti e vivere la fraternità.

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Circa il terzo punto: “Con quali modalità le Confraternite possono servire

il nuovo umanesimo?”, riferendosi alla traccia del documento che i Vescovi

italiani ci hanno consegnato per vivere il cammino verso il Convegno Nazio-

nale, mons. De Santis indica cinque atteggiamenti: uscire, annunciare, abita-

re, educare e trasfigurare come azioni che ci aiutano a discernere Cristo pre-

sente nel nostro tempo e a riconoscere e promuovere l’umano.

USCIRE: Significa partire da chi vive ai margini. A volte, ci possono essere

confratelli che hanno preso le distanze, che non si sentono più motivati

nell’appartenenza, che hanno fatto degli errori, che vivono situazioni di di-

sagio. È ormai finito per tutti il tempo dell’aspettare, è scoccata l’ora per

prendere l’iniziativa e andare incontro per accogliere, condividere, accom-

pagnare, raccogliere i germi di bene e cercare di dare una risposta.

ANNUNCIARE: Le nuove e numerose povertà che la crisi attuale sta pro-

vocando evidenziano l’urgente bisogno di persone disponibili ad evangeliz-

zare. La storia della Chiesa e delle Confraternite dimostra che, quando la fe-

de è autentica esperienza di Gesù, essa genera testimonianza.

ABITARE: Se veramente desideriamo che la nostra sia un’umanità nuova

siamo chiamati ad abitare pienamente e permanentemente i luoghi dove si

svolge la quotidianità e ciò può accadere se li conosciamo, se li consideriamo

come lo spazio i cui accade e si rivela la salvezza, l’amore di Dio, se entriamo

in relazione con le persone che incontriamo, vivendo la dimensione popola-

re della nostra fede, la quale chiede di rendersi visibile nella carità intelligen-

te ed operosa.

EDUCARE: Nella società odierna, caratterizzata dalla molteplicità di mes-

saggi e dalla grande offerta di beni di consumo, diventa urgente educare a

scelte responsabili. All’uomo di oggi, desideroso di felicità, anche le Confra-

ternite devono presentare il cuore del vangelo. L’azione educativa consiste

essenzialmente nel suscitare lo stupore per la bellezza di Cristo”.

TRASFIGURARE: Se le Confraternite si attrezzano per essere laboratori di

vita, dove si promuove l’educazione, allora sarà possibile acquisire una men-

talità di fede che abilita ad avere in noi il pensiero di Cristo, a vedere la sto-

ria come Lui, a scegliere e ad amare come Lui. L’obiettivo della nostra vita è

accettare la “misura alta della vita cristiana” che è conformazione graduale

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e costante al Signore Gesù che incontriamo nell’ascolto della Parola, nella

celebrazione dei Sacramenti, e nell’esperienza della fraternità vissuta nel

suo nome.

Concludendo mons. De Santis auspica che venga compreso il senso del

“nuovo umanesimo” come un’esperienza di vita che coinvolge tutti i disce-

poli di Gesù, i quali sono nel mondo per testimoniare e promuovere la nuova

umanità nata dalla resurrezione del Signore. In quest’opera di promozione,

Egli si dice certo, che le Confraternite possono dare, il loro contributo.

Hanno preso parte a questo cammino, mons. Mauro Parmeggiani, Ve-

scovo di Tivoli e assistente della Confederazione delle Confraternite d’Italia

che, oltre a rivolgere un personale messaggio, ha presieduto la celebrazione

Eucaristica al termine del Cammino, ed il prof. Francesco Antonetti, Presi-

dente della Confederazione delle Confraternite d’Italia.

Il Direttore Ufficio Confraternite

don Carmine Peluso

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MONS. PAOLO GUALTIERI ARCIVESCOVO TITOLARE DI SAGONA E NUNZIO APOSTOLICO IN MADAGASCAR

FRANCESCO

Vescovo

Servo dei Servi di Dio

al diletto figlio Paolo Rocco GUALTIERI, del clero di Ugento-S. Maria di

Leuca, Nostro Prelato d’onore e attualmente Consigliere di Nunziatura, no-

minato Nunzio Apostolico in Madagascar e parimenti eletto Arcivescovo ti-

tolare di Sagona, salute e Apostolica Benedizione.

Attendendo diligentemente alla promozione delle attività della Sede

Apostolica in diverse regioni del mondo, Ci avvaliamo dell’opera dei Nunzi

Apostolici, i quali, avendo a cuore il bene dei fedeli, curano con impegno le

relazioni della Chiesa romana con le singole Nazioni.

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Cercando ora una persona adatta che sia in grado di ricoprire l’im-

pegnativo incarico di Nunzio Apostolico in Madagascar, il Nostro pensiero va

a te, diletto figlio, che hai ricevuto un’eccellente educazione familiare e con

impegno hai portato a compimento gli studi di filosofia e teologia e sei stato

ordinato sacerdote. Dottore in diritto canonico e licenziato in teologia dog-

matica hai operato con saggezza e competenza presso le Rappresentanze

Pontificie in Papua Nuova Guinea e nella Repubblica Dominicana, come pure

nella Segreteria di Stato.

Per tali ragioni appari degno ed idoneo a ricoprire un incarico di maggio-

re responsabilità. Pertanto con la Nostra autorità apostolica, in forza di que-

sta Lettera, ti nominiamo Nunzio Apostolico in Madagascar e ti costituiamo

Arcivescovo titolare di Sagona, attribuendoti tutti i diritti dovuti e imponen-

doti gli obblighi corrispondenti.

Per quanto concerne la tua ordinazione, volentieri concediamo che tu la

riceva il prossimo 30 maggio, nella vigilia della solennità della Santissima

Trinità, nella Basilica di San Pietro, dal Venerabile nostro fratello Pietro Car-

dinale di Santa Romana Chiesa Parolin, Segretario di Stato, osservate le

norme liturgiche.

Prima, però, dovrai emettere la professione di fede e prestare il giura-

mento di fedeltà verso di Noi e i Nostri Successori, secondo le norme dei sa-

cri canoni. Sappiamo con certezza che tu, diletto figlio, desideri affidare il

tuo impegno episcopale alla Beata Vergine Maria Coelimanna e ai Santi Mi-

chele Arcangelo e Paolo Apostolo, che hai la consuetudine di venerare con

grande devozione. Inoltre, auspichiamo che tu, meditando il motto “Distri-

buire il cibo della vita”, nello svolgimento quotidiano del tuo ministero,

promuova con prudente saggezza e diligenza, la vita spirituale dei fedeli,

ovunque sarai inviato.

Data a Roma, presso San Pietro, il giorno tredici del mese di aprile,

nell’anno del Signore 2015, terzo del Nostro Pontificato.

FRANCESCO

L � S Marcello Rossetti, Prot. Ap.

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CURRICULUM VITAE

Nato il 1° febbraio 1961 a Supersano, in provincia di Lecce e diocesi di

Ugento S. M. di Leuca, dopo aver conseguito la maturità classica, frequenta i

corsi di filosofia e teologia del Pontificio Seminario Regionale Pugliese di

Molfetta, completati con il baccalaureato in Teologia Dogmatica presso la

Pontificia Università Gregoriana.

Il 24 settembre 1988 è ordinato presbitero a Supersano per la diocesi di

Ugento-S. Maria di Leuca dal vescovo mons. Mario Miglietta. In diocesi dal

1991 al 1993, è segretario del Vescovo, cappellano delle Figlie della Carità di

Ugento, assistente diocesano degli adulti di Azione Cattolica e docente di ec-

clesiologia nella Scuola Diocesana di Formazione Teologico-Pastorale.

Nel 1991, come alunno dell’Almo Collegio Capranica, consegue la licenza

in Teologia Dogmatica. Nel 1993 entra nella Pontificia Accademia Eccle-

siastica. Nel 1995 ottiene la licenza e nel 1996 il dottorato in Diritto Canonico

presso la Pontificia Università Lateranense.

Il 1º luglio 1996, è inviato da Papa Giovanni Paolo II a prestare la propria

opera nella rappresentanza pontificia in Papua Nuova Guinea, in qualità di

segretario di nunziatura di 2a classe. Nel febbraio 1999 è trasferito nella Re-

pubblica Dominicana e nell’agosto 2002 è chiamato in Vaticano, nella Sezio-

ne per i rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato della Santa Sede. Nel

2009 è nominato Consigliere di Nunziatura di 1a classe e Prelato d’Onore di

Sua Santità.

Il 13 aprile 2015 papa Francesco lo nomina Nunzio Apostolico in

Madagascar con la dignità di Arcivescovo titolare di Sagona.

Riceve l’ordinazione episcopale il 30 maggio, nella basilica di San Pietro in

Vaticano, dal cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato di Sua Santità, con-

sacranti il vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca mons. Vito Angiuli e l’arcive-

scovo mons. Paul Richard Gallagher, Segretario per i rapporti con gli Stati.

Dal 26 settembre 2015 è anche Nunzio Apostolica nelle Seychelles, e dal

24 ottobre 2015 Nunzio Apostolico a Mauritius.

Conosce il francese, lo spagnolo e l’inglese.

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UN ANNUNCIO CHE RIEMPIE DI GIOIA LA CHIESA DI UGENTO-S. MARIA DI LEUCA*

Cari fratelli e sorelle,

in questo giorno che dà inizio alle celebrazioni per commemorare il XXV

dell’elevazione di questo Santuario a Basilica minore, alla presenza del

Signor Cardinale, Salvatore de Giorgi, che ringrazio ancora una volta per

l’affetto che nutre per la nostra Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca, vi

annuncio una grande gioia: il Santo Padre ha nominato mons. Paolo

Gualtieri, nunzio apostolico in Madagascar, con la dignità di arcivescovo e gli

ha assegnato la sede titolare di Sagona.

Esulta grandemente Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca,

perché un tuo figlio ha ricevuto il prestigioso incarico di rappresentare il

Santo Padre in terra d’Africa. Egli ha attinto dalla tua storia e dai pastori che

hanno guidato il tuo cammino ecclesiale alcuni elementi che hanno forgiato

al sua personalità sacerdotale e il suo ministero a servizio della Chiesa

universale.

Durante l’episcopato di mons. Michele Mincuzzi, ha respirato il fre-

schezza della novità conciliare. Negli anni del ministero episcopale di mons.

Mario Miglietta ha sperimentato l’affettuoso sentimento di paternità

spirituale del Vescovo e ha imparato a coltivare la devozione e l’amore alla

Vergine di Leuca. Nel periodo dell’episcopato di mons. Domenico Caliandro,

pur se lontano dalla Diocesi perché destinato da Papa San Giovanni Paolo II

a prestare il suo servizio presso la Nunziatura Apostolica in Papua Nuova

Guinea, ha avvertito il cordiale apprezzamento per la sua persona da parte

del Vescovo e di tutta la comunità diocesana. Il sentimento di affettuosa

vicinanza è continuato anche durante il ministero episcopale di mons. Vito

De Grisantis.

* Annuncio di mons. Angiuli alla Chiesa di Ugento S. Maria di Leuca circa la nomina di Papa

Francesco di Mons. Paolo Gualtieri a Nunzio Apostolico in Madagascar, Basilica di Leuca, 13 aprile 2015.

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Fin dall’inizio della mia venuta nella Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca

ho continuato a coltivare rapporti di sincera e fraterna amicizia, peraltro mai

venuti meno dal momento che conoscevo mons. Gualtieri fin dai suoi anni di

studi e di formazione teologica e spirituale in vista del sacerdozio.

Bisogna anche ricordare i molteplici legami di familiarità, simpatia e

confidenza con i sacerdoti, i consacrati e le consacrate e con una numerosa

schiera di laici; legami che non sono venuti meno nemmeno durante il

periodo trascorso in terre lontane o nei lunghi anni vissuti a Roma a servizio

della Santa Sede come Officiale della Segreteria di Stato. Amicizia, cordialità,

disponibilità all’ascolto hanno caratterizzato i suoi rapporti con la Chiesa di

Ugento-S. Maria di Leuca. Questa, come madre attenta e premurosa, ha

accompagnato il suo percorso formativo e il suo ministero a servizio della

Chiesa universale.

Esulta Chiesa del Madagascar,

Mons. Gualtieri è inviato nella tua terra e tra la tua gente dal santo

Padre, Papa Francesco, come messaggero di pace e di fraternità. Nello

spirito di Pappa Francesco e seguendo l’esempio della sua Chiesa di pro-

venienza, gli viene a te come un missionario, e non solo come un rappre-

sentate istituzionale. Avrà cura di seguire le singole Chiese locali per

incrementare la comunione e l’unità tra di loro. Rappresenterà la Santa Sede

presso il Governo e le Autorità locali per instaurare rapporti di reciproca

collaborazione in vista della crescita umana e spirituale dell’intera nazione.

Si farà promotore di incontri tra i vari organismi della Chiesa e dello Stato

perché tutti concorrano a lavorare per il bene comune.

Esulta anche tu città di Superano,

perché dopo la nomina episcopale di S. Ecc.za Mons. Gerardo Antonazzo,

vedi un altro tuo concittadino elevato alla dignità di episcopale. Mons. Paolo

Gualtieri è nato ed ha ricevuto la sua prima educazione umana e cristiana

nella sua famiglia a Supersano. Il suo cammino di fede è maturato all’interno

dell’Azione Cattolica e la sua ricerca vocazionale è stata sostenuta dal-

l’amorevole cura del parroco, mons. Antonio Russo. Vivendo la sua infanzia

e la sua giovinezza nel tuo territorio ha imparato a vivere il suo cammino di

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fede e la sua ricerca vocazionale e ha coltivato con una profonda devozione

alla Madonna di Coelimanna.

Sulla tua collina, infatti, si erge maestoso il settecentesco santuario della

Beata Vergine. Scavata nel costone tufaceo del paese, l’antica Chiesa-cripta

bizantina risalente al periodo della permanenza dei monaci basiliani che

operarono nel Salento dal IX al XIV sec., conserva la sacra icona di Maria,

Regina del Cielo, che un'iscrizione greco-latina definisce “Virgo Manna

Coeli”. Il popolo di Supersano ha sempre venerato ha sempre considerato

questi luogo mariano come un vaso prezioso, come un ostensorio vivente

che racchiude il pane del cielo.

Affidiamo alla Vergine di Coelimanna la persona e il ministero del-

l’Arcivescovo Mons. Paolo Gualtieri perché Lei lo guidi e lo sostenga nel suo

delicato compito pastorale e istituzionale. Prendendo a prestito le parole

dell’inno, innalziamo alla Vergine la nostra preghiera:

Dall’amena collinetta

che scegliesti a tua dimora

deh! Proteggi, o Madre, ognora

il tuo popolo fedel.

13 aprile 2015

Festa della Madonna di Leuca

+ Vito Angiuli

Vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca

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LETTERA A S. E. MOMS. VITO ANGIULI, VESCOVO DI UGENTO - S.M. DI LEUCA

Eccellenza Carissima,

Nel giorno in cui è data notizia che il Santo Padre Francesco mi ha nomi-

nato Nunzio Apostolico in Madagascar, con la dignità di Arcivescovo, asse-

gnandomi la sede titolare di Sagona, il mio pensiero riconoscente va al Si-

gnore, datore di ogni grazia, a Lei, Eccellenza, ai miei confratelli sacerdoti, ai

religiosi ed alle religiose, ai diaconi, ai seminaristi, alle aggregazioni ecclesiali

e a tutto il popolo santo di Dio che vive in Ugento-Santa Maria di Leuca.

In questo momento risuona nel mio animo il testo della lettera che San

Luigi Gonzaga alla madre dove riflette sulla misericordia divina. Facendo mie

quelle parole e meditando sulla bontà divina, mare senza fondo e senza con-

fini, la mia mente si smarrisce. Non riesco a capacitarmi come il Signore,

guardando alla piccolezza della mia persona ed alla povertà del mio lavoro,

mi abbia riservato un dono così sproporzionato. Lo dico sinceramente e sen-

za ipocrisia alcuna. Perciò, non mi resta che ricorrere a colui che per mezzo

di Salomone dice: “Confida nel Signore con tutto il cuore e non appoggiarti

sulla tua intelligenza; in tutti i tuoi passi pensa a lui ed egli appianerà i tuoi

sentieri” (Pr 3,5-6).

Nonostante non sia in diocesi dal 1993, mi sono sentito sempre legato ed

unito, a Lei, Eccellenza Reverendissima, che ringrazio con tutto il cuore per

la paterna attenzione con cui mi ha seguito fin da quando è alla guida della

nostra Chiesa particolare. Mi sento altresì unito ai Suoi amatissimi predeces-

sori e ai miei confratelli sacerdoti, dei quali ho potuto apprezzare la bontà, la

loro preziosa opera rivolta, senza risparmio di fatiche, a far orientare lo

sguardo verso il Tempio di Dio, che è la Persona di Gesù Cristo, sommo sa-

cerdote della fede che noi professiamo (cfr. Eb 3,1) e ammirare la sua bellez-

za ed il suo splendore. Un Tempio che non appartiene al passato, ma che è

vivo e dalle cui porte sgorga l’acqua della salvezza: “Lungo il fiume, su una

riva e sull’altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui fronde non ap-

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passiranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti servi-

ranno come cibo e le foglie come medicina” (Ez 47,12).

Una Chiesa particolare la nostra di Ugento-S.M. di Leuca, piccola ma non

certamente in generosità, che non ha esitato e non esita ad essere premuro-

sa verso altre Chiese e a stringere forti legami attraverso l’invio di esemplari

sacerdoti e laici. Penso all’arcidiocesi di Kigali in Ruanda, dove ha prestato la

sua opera don Tito Oggioni Macagnino e dove attualmente vi è don Rocco

Maglie. Desidererei che fossi pensato dai miei confratelli sacerdoti alla stre-

gua di questi nostri preti che hanno raggiunto altre Chiese per offrire il pro-

prio servizio. Così è stato per il Servo di Dio, don Tonino Bello, di venerata

memoria, grande Vescovo, dispensatore di profumo evangelico, inviato da

Papa Giovanni Paolo II a guidare la Chiesa di Molfetta-Giovinazzo-Terlizzi e

Ruvo, al quale chiedo preghiere dal cielo. Il mio pensiero va a Sua Eccellenza

Mons. Gerardo Antonazzo, Vescovo di Sora, Cassino, Aquino e Pontecorvo,

al quale mi legano il paese natale, la stessa “scuola” parrocchiale del grande

ed indimenticabile don Antonio Russo, parroco in Supersano per quaranta

anni.

Chiedo a Lei, Eccellenza, ai miei confratelli sacerdoti e a tutta la carissima

Chiesa che è in Ugento-S.M. di Leuca di continuare a farmi spazio nel cuore,

ricordandomi nella preghiera al Signore ed alla Madonna Santissima di Leuca.

Un particolare ringraziamento desidero esprimere all’Em.mo Signor Car-

dinale, Salvatore De Giorgi, per essersi unito nella preghiera a Lei, Eccellen-

za, ai miei confratelli sacerdoti e tutta la comunità diocesana, nel giorno de-

dicato alla Vergine Sancta Maria de finibus terrae ed in cui è stata resa

pubblica la mia nomina.

Abbraccio Lei, Eccellenza, ogni mio confratello sacerdote e tutta la co-

munità diocesana con l’invito a partecipare al Sacro Rito della mia Ordina-

zione episcopale, che si terrà nella Basilica di San Pietro, nel pomeriggio di

sabato 30 maggio alle ore 17.00.

Vaticano, 13 aprile 2015.

+ Paolo Gualtieri

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LETTERA A DON ORONZO COSI PARROCO DI “SAN MICHELE ARCANGELO” IN SUPERSANO

Carissimo don Oronzo,

Nel giorno in cui viene reso pubblico che il Santo Padre Francesco mi ha

nominato Nunzio Apostolico in Madagascar, con la dignità di Arcivescovo,

assegnandomi la sede titolare di Sagona, desidero rivolgere il mio cordiale

ed affettuoso saluto a te, a tutta la comunità parrocchiale, al Signor Sindaco

e ad ogni supersanese.

Supersano è il paese in cui sono nato e per questo ringrazio mamma e

papà, ringraziamento che estendo a tutta la mia famiglia. La parrocchia di

“San Michele Arcangelo” è la comunità che mi ha generato nella fede in Ge-

sù Cristo, a cui dal profondo del mio animo si levano la mia lode e la mia gra-

titudine. In questa comunità si sono svolte le tappe fondamentali del mio

cammino cristiano: Battesimo, Cresima, Prima Comunione, alle quali hanno

contribuito le mie catechiste che ricordo con profonda riconoscenza. A Su-

persano, ho ricevuto l’Ordinazione sacerdotale.

Nella mia amata cittadina ha inoltre avuto luogo la mia formazione cultu-

rale, elementare e media, per cui esprimo il mio grazie agli insegnanti che

via via ho potuto conoscere ed apprezzare.

Manifesto i miei sentimenti di riconoscenza ai sacerdoti che hanno la-

sciato una traccia indelebile servendo la nostra comunità: il grande ed indi-

menticabile Arciprete don Antonio Russo, parroco in Supersano per quaran-

ta anni. Quanto ho imparato alla sua scuola! Un liceo sacerdotale, nel-

l’accezione greca, di zelo e dedizione al Signore! Riconoscente sono inoltre

ai suoi viceparroci, don Benedetto Serino prima e don Leonardo Salerno poi.

Ringrazio i parroci che sono succeduti a don Antonio e, in particolare, i nostri

due esemplari sacerdoti supersanesi, Mons. Antonio De Vitis, Vicario Gene-

rale per un lungo periodo di tempo della nostra diocesi di Ugento-Santa Ma-

ria Leuca, e S.E. Mons. Gerardo Antonazzo, attualmente Vescovo di Sora,

Cassino, Aquino e Pontecorvo.

Il mio pensiero cordiale e grato va alle religiose, presenza edificante nella

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nostra comunità, le Discepole di Gesù Eucaristico prima ed le Vocazioniste

ora. È motivo di gioia per me sapere che di queste ultime troverò in Mada-

gascar due loro case.

Ricordo con particolare affetto la Confraternita “Maria SS. Immacolata” e

le aggregazioni ecclesiali presenti in parrocchia.

A tutta la comunità e ad ogni supersanese la mia riconoscenza.

È da molti anni che non sono a Supersano, ma il legame è rimasto vivo.

Mi ha fatto sempre piacere notare che i miei concittadini supersanesi mi

hanno seguito con attenzione e, nei brevi periodi di permanenza nella mia

famiglia, accolto con affetto. Ho apprezzato e gradito il loro sostegno mani-

festatomi anche con un semplice saluto, tramite i miei familiari, quando ero

in Papua Nuova Guinea, nella Repubblica Dominicana e in questi anni di ser-

vizio a Roma presso la Sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di

Stato.

Chiedo a Te, mio carissimo parroco, e a tutta la comunità parrocchiale

“San Michele Arcangelo” di Supersano, di continuare a ricordandomi nella

preghiera al Signore ed alla Madonna di Coelimanna. Che Lei, “clemente e

pia, dall’amena collinetta” protegga il mio servizio alla Chiesa in Madagascar

e interceda per ogni supersanese.

I miei nonni, le mie zie e zii e tutti i miei parenti defunti preghino per me

e mi accompagnino dal cielo.

Abbraccio te, don Oronzo, e tutta la parrocchia con l’invito a partecipare

al Sacro Rito della mia Ordinazione episcopale, che si terrà nella Basilica di

San Pietro, nel pomeriggio di sabato 30 maggio alle ore 17.00.

Vaticano, 13 aprile 2015.

+ Paolo Gualtieri

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OMELIA DEL SEGRETARIO DI STATO DI SUA SANTITÀ CARD. PIETRO PAROLIN

NELLA CELEBRAZIONE EUCARISTICA PERL’ORDINAZIONE EPISCOPALE

BASILICA DI SAN PIETRO, 30 MAGGIO 2015

Eminenze,

Eccellenze,

Cari sacerdoti,

Distinte Autorità,

Fratelli e sorelle in Cristo,

con i Primi Vespri siamo già entrati nella solennità della Santissima Trini-

tà. Eleviamo, dunque, prima di ogni altra cosa, un inno di ringraziamento e

di lode al nostro Dio, Padre d’immensa gloria, Verbo d’eterna luce, Spirito di

sapienza e carità perfetta, santa Trinità e inseparabile Unità, che ci ha rivela-

to la sua misericordia!

La collocazione di questa festa nella Domenica successiva alla Pentecoste

è particolarmente appropriata, perché soltanto con l’invio dello Spirito San-

to i credenti nel Risorto vennero pienamente introdotti nel suo mistero. È lo

Spirito che attualizza le parole del Signore, approfondendole e rendendole

sempre nuove e ci insegna che Dio non è un lontano potere assoluto, ma

una vicina comunione d’amore.

Oggi siamo riuniti attorno all’altare di Cristo per invocare il Padre affin-

ché mandi lo Spirito a consacrare Vescovo Mons. Paolo Rocco Gualtieri, in-

viato dal Santo Padre Francesco come Nunzio Apostolico in Madagascar.

Saluto e ringrazio vivamente tutti voi qui presenti, familiari, amici e co-

noscenti del novello Presule. Mi permetto di citare per nome S.E. Mons. Ma-

rie Fabien Raharilamboniaina, Vescovo di Morondava, rappresentante

dell’Episcopato del Madagascar (e l’Ambasciatore presso la Santa Sede),

come pure l’Em.mo Card. Nicolás de Jesús López Rodríguez, Arcivescovo di

Santo Domingo, e gli altri Ecc.mi Presuli della Repubblica Domenicana in

questi giorni impegnati nella loro Visita ad Limina ed alcuni Vescovi spagnoli:

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la loro partecipazione a questo sacro rito testimonia la gratitudine per

Mons. Gualtieri, del cui servizio, in vari modi, hanno potuto usufruire.

Nell’Eucaristia e nel conferimento della pienezza del sacramento dell’Or-

dine sono coinvolte la Trinità, mistero di luce, di amore e di gioia e la Chiesa,

segno e sacramento del disegno di redenzione, opera della Trinità. Nel se-

gno della croce, riconosciamo e celebriamo questo mistero d’amore e ci di-

sponiamo ad ispirare i nostri pensieri ed azioni alla medesima logica trinita-

ria, in modo che la terra assomigli sempre di più al Cielo.

Fin da questo semplice gesto siamo innalzati verso l’alto e richiamati ad

imitare Gesù, che è sceso verso di noi per liberarci dalla schiavitù del pecca-

to e della morte. Egli chiede che ciascuno collabori al Suo disegno con i ta-

lenti che ha ricevuto, inviandoci nel mondo come suoi testimoni credibili:

“Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del

Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò

che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20a).

Dio ci chiede di far conoscere il Suo nome e di testimoniare la novità di

vita donataci da Cristo, che ci ristora dalle fatiche e dagli affanni e ci con-

forma sempre più all’immagine della Trinità, che è già scolpita in noi. Dio-

Trinità, eterna relazione d’amore, ha inviato nel mondo il Figlio e lo Spirito

Santo per farci partecipare a questa relazione e renderci suoi commensali ed

amici.

Nel brano del Vangelo di Matteo che abbiamo proclamato, gli Apostoli

ricevono una missione universale. Sono ricondotti in Galilea, dove tutto eb-

be inizio e, nel vedere il Messia Risorto, si prostrano, pur dubitando e Gesù

afferma: “A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra” (Mt 28, 18b).

Sorprende il dubbio manifestato dai discepoli e – alla luce di queste pa-

role – sorprende quasi che il Signore non proceda con un immediato atto

d’autorità a convertire tutti alla vera fede, ma invii invece gli Apostoli ad an-

nunciare la buona novella per ricondurre tutti i popoli alla fede, inaugurando

un nuovo inizio.

Il dubbio dei discepoli, come l’incredulità di S. Tommaso, ci aiuta però a

superare i nostri dubbi e a riconoscere il Signore quando ci chiede di diffon-

dere la sua Parola attraverso la fede e le opere. Gesù vuole che collaboriamo

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fattivamente e liberamente con Lui all’avvento del Regno, vuole avvalersi

del nostro contributo, che diventiamo cioè discepoli-missionari. Egli inoltre

ci assicura: “Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28-

20). Lo possiamo infatti incontrare nella Chiesa, sgorgata dal suo costato a-

perto, dove abbiamo ricevuto la fede in Dio-Trinità e imparato a conoscerlo

come Dio-Carità. Nel suo alveo si sono formate le Scritture ispirate, lette con

un sicuro carisma di verità. Lo incontriamo nei sacramenti, nel povero, nel

perseguitato e nella bellezza del creato.

Nella Chiesa ciascuno ha ricevuto il suo dono particolare, tuttavia il Ve-

scovo, succedendo agli Apostoli, diventa il dispensatore dei doni di Dio e la

condizione perché essi vengano integralmente custoditi e trasmessi. Egli,

configurato a Cristo Capo, è chiamato a mettersi in ascolto di Dio e dei fra-

telli, a dialogare con il primo nella preghiera costante e fiduciosa e con i se-

condi nella pazienza ed umiltà, ed è persona autorevole, che si assume la re-

sponsabilità di portare avanti un cammino scelto nell’ascolto dello Spirito e

si sforza di operare la sintesi e l’armonia dei carismi, agendo per l’unità e la

pace della porzione di Chiesa a lui affidata.

É chiamato ad essere padre prudente e saggio, collaboratore della gioia e

non padrone della fede dei fratelli, come afferma l’Apostolo Paolo (Cfr. 2Cor

1,24). È ambasciatore di Cristo, perché scendano dall’alto i doni divini e sal-

gano verso il Signore le suppliche e le preghiere dei singoli e dell’intera co-

munità.

Caro Mons. Paolo, il Nunzio Apostolico viene rivestito della dignità epi-

scopale per svolgere un prezioso servizio di comunione tra le Chiese partico-

lari del Paese al quale viene inviato e la Chiesa Universale, per rinsaldarne i

legami e perché si accresca la reciproca conoscenza e solidarietà. Il concreto

esercizio della quotidiana sollecitudine per tutte le Chiese del successore

dell’Apostolo Pietro necessita della sua attiva e prudente azione.

Il Nunzio rappresenta inoltre la Santa Sede presso lo Stato al quale è in-

viato e in questa funzione è chiamato a promuovere la pace e il dialogo, a

portare nei conflitti e nelle situazioni difficili la parola del Papa, che incarna

quella evangelica nelle odierne condizioni culturali e sociali. Per svolgere

bene questa missione occorre amare profondamente la Chiesa, accogliere

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con generosità i tanti doni di cui è abbellita ed avere un cuore di Pastore,

che ama il destino delle nazioni presso cui svolge la propria missione e con

umiltà e pazienza, si spende per il bene di tutti.

Ti sei preparato, Caro Mons. Paolo, a questo compito da molti anni con il

tuo servizio nelle Nunziature Apostoliche della Papua Nuova Guinea e della

Repubblica Domenicana e, da quasi 13 anni, presso la II Sezione della Segre-

teria di Stato. Vent’anni complessivi, senza contare quelli della tua forma-

zione specifica in Accademia, durante i quali hai potuto fare esperienza

dell’unità e della multiformità della Chiesa, una nella fede e molteplice nel

modo di esprimerla e viverla.

Hai fatto esperienza delle sue gioie e dei suoi problemi aperti, come

dell’importanza del servizio reso quotidianamente dal Papa per il bene di

tutte le Chiese e della ricchezza che ognuna di loro incarna per la Chiesa Uni-

versale. Sai che il tuo lavoro sarà tanto più efficace quanto più sarà radicato

nella preghiera, vissuto nell’umiltà ed esercitato in chiave pastorale.

Sai che parte del tuo lavoro a volte rimarrà una testimonianza nascosta,

senza immediati sviluppi, e che altre volte potrà dare invece frutti insperati e

visibili, senza poter prevedere tempi e modalità in cui si realizzeranno, per-

ché sono nelle mani della Provvidenza, la quale ti ha condotto a compiere i

suoi disegni.

Ora la Provvidenza ti conduce nella grande e bella isola del Madagascar,

Nazione ricca di espressioni culturali originali e con una natura assai rigoglio-

sa, con un elevato grado di bio-diversità da tutelare e un alto numero di

specie esclusive del luogo.

In Madagascar incontrerai una Chiesa impegnata nel servizio ai poveri,

nella formazione dei giovani e nella tutela della dignità della donna, vicina e

solidale con le vittime delle calamità naturali ed in dialogo con altre comuni-

tà cristiane, che testimonia i valori e le esigenze del Vangelo e si adopera

perché tutte le parti politiche e sociali trovino vie di pacifica composizione

dei dissidi per il bene del Paese.

Per svolgere in modo adeguato la tua missione, la quale comporta la di-

sponibilità al distacco dal proprio Paese e da tante consuetudini di vita e

che impone anche il diradarsi dei contatti con le persone care, è necessario

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– come ha ricordato il Papa Francesco nel suo discorso ai Rappresentanti

Pontifici – “un distacco da se stessi che si può raggiungere solo con un co-

stante rapporto con il Signore e l’unificazione della vita attorno a Cristo”

(Papa Francesco, Discorso ai partecipanti alle giornate dedicate ai Rappre-

sentanti Pontifici, 21.06.2013). È dunque necessaria una “familiarità con Ge-

sù… alimento quotidiano del Rappresentante Pontificio, perché è l’alimento

che nasce dalla memoria del primo incontro con Lui e perché costituisce an-

che l’espressione quotidiana di fedeltà alla sua chiamata” (Ibid.).

La familiarità con Gesù, coltivata nella preghiera, nella celebrazione eu-

caristica e nel servizio della carità (cfr. Ibid.), sia l’intima e sicura forza sulla

quale riposa la tua azione di Vescovo e di Nunzio, la provvidenziale compa-

gnia che permette di guardare ad ogni ostacolo con l’ottimismo che deriva

dall’abbandono alla volontà di Dio.

La Beata Vergine Maria, che hai imparato a venerare nel Santuario di Co-

elimanna e in quello di Santa Maria di Leuca De Finibus Terrae, ti accompa-

gni nel tuo servizio in terra malgascia e San Pietro Apostolo e i Santi tuoi

protettori Paolo e Rocco ti assistano nella tua nuova missione. Così sia.

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RINGRAZIAMENTO AL TERMINE DEL SACRO RITO DI MONS. PAOLO GUALTIERI

BASILICA DI SAN PIETRO, 30 MAGGIO 2015

“Canterò senza fine le grazie del Signore, con la mia bocca annunzierò la

tua fedeltà nei secoli” (Sal 88). Ti lodo e ti ringrazio Signore per tutti i tuoi

doni e i benefici che nella tua infinita misericordia ti sei degnato di elargire

alla mia persona. Ti ringrazio per essere stato educato nella fede cattolica

dai miei genitori ed i miei familiari tutti, a cui va la mia profonda gratitudine.

È in tale contesto che è nata la mia vocazione al Sacerdozio di cui oggi mi

viene conferita la pienezza.

Chiedo a Sua Eminenza il Cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato, di

rinnovare i miei sentimenti di gratitudine al Santo Padre che mi ha nominato

Suo Rappresentante in Madagascar. Ringrazio Lei Eminenza per aver accet-

tato di ordinarmi Vescovo. In Vostra Eminenza ho riscontrato sempre, fin da

quando era Sottosegretario, il Superiore esperto delle carte ma soprattutto

il prete amante del Signore e della sua casa. Ringrazio gli Eminentissimi Car-

dinale che nella loro benevolenza hanno voluto essere presenti a questa Ce-

lebrazione. Rivolgo un particolare ringraziamento a Sua Eccellenza Mons. Ri-

chard Gallagher, Segretario per i Rapporti con gli Stati, che dal suo arrivo ha

mostrato verso di me una squisita attenzione ed una spirituale delicatezza.

Nella Sua persona ringrazio coloro ch l’hanno preceduto nel Suo Ufficio, il

Card. Jean Louis Tauran, Il Card. Giovanni Lajolo e non da ultimo il Cardinale

Dominique Mamberti. Ringrazio cordialmente l’Ecc.mo Sostituto per gli Affa-

ri Generali della Segreteria di Stato, Mons. Angelo Becciu. Il mio riconosci-

mento va ai Nunzi che mi hanno avuto come loro Collaboratore, tra cui S.E.

Mons. Francois Bacqué che partecipa a questo Sacro Rito. Ringrazio gli Arci-

vescovi ed Vescovi presenti, particolarmente, Mons. Fabien, che è venuto

dal Madagascar in rappresentanza degli Eccellentissimi Presuli. Della stessa

Nazione sono presenti anche alcuni Sacerdoti, Religiosi, Religiose e Laici. A

tutti loro dico un gioioso “misaotra”. Ringrazio il mio Vescovo, S.E. Mons. Vi-

to Angiuli, il quale fin dal suo arrivo nella mia diocesi di Ugento S.M. di Leu-

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ca, mi ha sempre seguito e consigliato con la saggezza che lo contraddistin-

gue. In Lui ringrazio tutti i sacerdoti e laici della diocesi, alcuni dei quali sono

qui presenti.

Un cordiale ringraziamento rivolgo a tutti gli amici Sacerdoti e laici pre-

senti, con alcuni dei quali abbiamo condiviso il lavoro in Segreteria di Stato.

Il mio pensiero riconoscente va agli Ambasciatori ed ai loro Collaboratori

qui presenti in rappresentanza delle loro rispettive Nazioni.

Ringrazio altresì le Autorità civili e militari presenti.

Esprimo la gratitudine ai miei concittadini qui rappresentati dal Parroco

con un numeroso gruppo di fedeli e dal Sindaco con alcuni Amministratori

comunali.

Confido nelle vostra preghiere ed affido la mia missione in Madagascar

all’intercessione della Vergine Maria che fin ha piccolo ho venerato con il ti-

tolo di Madonna di Coelimanna. Mi rivolgo a Te Vergine Maria con le parole

del Servo di Dio don Tonino Bello e Ti prego “Per tutti i popoli della terra, la-

cerati dall’odio e divisi dagli interessi. Ridesta in loro la nostalgia dell’unica

mensa, così che, distrutte le ingordigie e spenti i rumori di guerra mangino

affratellati insieme pane di giustizia. Pur diversi per lingua, razza e cultura,

sedendo attorno a te, torneranno a vivere in pace (…). Ed i tuoi occhi di ma-

dre, brilleranno finalmente di gioia”.

+ Paolo Gualtieri

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CHIUSURA ANNO ATTIVITÀ SCUOLA DIOCESANA DI FORMAZIONE

Al termine del percorso formativo 2014-2015, i docenti e gli alunni della

Scuola Diocesana di Formazione telogico-pastorale hanno concluso l’anno di

attività con un incontro presso il Santuario di S. M. di Leuca, per rendere

grazie al Signore e alla Madonna “De finibus terrae” per i benefici concessi

nell’approfondire i contenuti della fede e per una maggiore conoscenza del

Signore.

Il pomeriggio di lunedì 1° giugno, ultimo giorno di lezione, docenti e a-

lunni hanno partecipato nella Basilica di Leuca alla celebrazione eucaristica,

presieduta dal vescovo mons. Vito Angiuli, che al termine della celebrazione

ha consegnato gli attestati.

Successivamente, nel salone del Santuario i presenti hanno partecipato

alla presentazione del libro di padre Enrico Mauri “Catechesi nuziali”, a cura

del prof. Luca Diliberto.

Il Direttore

don Giuseppe Indino

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CONVEGNO MISSIONARIO ACQUARICA DEL CAPO, 12 MAGGIO 2015

Nel convegno organizzato dall’Ufficio Missionario Diocesano sono inter-

venuti don Rocco Maglie, direttore del suddetto Ufficio, la prof. Antonietta

Stasi, volontaria in Rwanda, e a conclusione il vescovo mons. Vito Angiuli. Ha

introdotto don Salvatore Palese, vicario episcopale alla cultura, di cui viene

pubblicato il testo.

Rocco MAGLIE, Nello spirito del Vaticano II.

L’impegno missionario della Chiesa

di Ugento-S. M. di Leuca

ed. VivereIn, Roma-Monopoli 2015, pp. 326 (Theologica Uxentina 4)

Il volume fa parte di un progetto ampio e ambizioso quello di scrivere la

memoria della recezione del Concilio Vaticano II nella nostra diocesi estrema

del Salento.

Di questo evento fondamentale del mondo cattolico del Novecento nella

nostra diocesi si è cominciato a scrivere nel 1992. Della parte avuta dal ve-

scovo ugentino mons. Giuseppe Ruotolo in quel quadriennio 1962-1965, si è

scritto tutto o quasi. Nelle linee essenziali ma qualificanti la sua partecipa-

zione, è stato offerto un quadro sintetico nel Bollettino ufficiale della diocesi

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nel 2012. Ora sono disponibili le carte conservate nell’Archivio Storico Dio-

cesano, che di recente sono state ordinate e inventariate.

A cinquant’anni dallo sviluppo di quell’evento che ha segnato la storia

della nostra diocesi come quella di tutte le chiese del mondo cattolico, si

impone l’esigenza di raccogliere quanto è avvenuto dopo il 1965, nelle no-

stre parrocchie e nelle nostre associazioni laicali. Infatti, anche in questo Sa-

lento periferico le trasformazioni sono state notevoli e tutti noi ne siamo te-

stimoni oltre che esserne stati protagonisti in ruoli propri e modi diversi.

Uno sguardo complessivo ce l’ha offerto nel 2014 il nostro Vescovo nei nn.

32-54 del suo Educare ad una forma di vita meravigliosa. Quadro di riferi-

mento teologico-pastorale della Chiesa di Ugento - S.M. di Leuca per il de-

cennio 2010-2020 (20 aprile 2014).

Sul clero del secondo Novecento, così operoso nei cinque decenni, si è

scritto nell’ampio repertorio biografico edito nel 2013.

Poi, nel 2014, Vito Cassiano ha compilato la serie delle Settimane teolo-

giche e dei Convegni pastorali, a partire dal 1970. “Il solco segnato” dal con-

cilio è stato percorso al fine di fare quel “balzo in avanti” chiesto da Giovanni

XXIII alla Chiesa universale e alla nostra. E fu compiuta la riflessione sul-

l’insegnamento dato dagli oltre duemila padri conciliari, con massima autori-

tà, e con la ricerca dei modi operativi di collocare i cattolici nella nostra so-

cietà salentina, coinvolta anch’essa nei processi di ammodernamento

generale. Non fu un percorso facile e lineare, come si può rilevare dalla con-

testualizzazione di quei momenti assembleari – settimane teologiche e con-

sigli pastorali – nelle vicende della diocesi, accuratamente rievocate in modo

efficace e documentate nelle ampie e preziose note che corredano il testo.

Infine, si è cominciato a scrivere la memoria dell’impegno missionario

della nostra diocesi ed ora viene dato il volume che fornisce uno sguardo

complessivo del farsi missionario della nostra chiesa, con coinvolgimento

davvero popolare.

Il contributo di don Tito Oggioni Macagnino è notevolissimo a partire fin

dal 1957. Infatti, giovanissimo prete, ricevette la benefica eredità costruita

da mons. Vittorio Rasera e dalla sig.na Antonietta Provenzano. Dell’ufficio

missionario da lui diretto fino al 1977 si può dire che la preoccupazione pre-

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valente e fondamentale fu quella di fecondare gli animi. In questa direzione

fu valorizzata l’operosa presenza dei padri della Consolata a Pescoluse.

L’Ufficio continuò ad operare nella stessa linea, quando ne divenne diret-

tore don Rocco Maglie che apprese ideali e modalità nei primi anni del suo

ministero presbiterale, collaborando con Tito, parroco dal 1962, nel servizio

pastorale alla parrocchia di Acquarica. Perciò è stata felice intuizione fare

qui la presentazione del volume che illustra l’impegno missionario della

Chiesa di Ugento-S. Maria di Leuca nello “spirito del Vaticano II”.

C’è bisogno, come si nota, di fissare i ricordi e di descrivere i percorsi del-

la storia della nostra diocesi nei cinquant’anni passati. La memoria del cuore

è fragilissima e pericolosa perché crea miti ed un passato immaginario che

non ci fu o lo si pensa diverso da quello che realmente è stato; pericoloso

ancora perché ci chiude e ci fa diventare autoreferenziali, ci appaga, ci esalta

ci illude. Invece una sicura cultura della memoria è quella ricostruita e diven-

ta memoria storica, quando si fanno riferimenti precisi e chiari a persone ed

avvenimenti ben definiti. Sapremo uscire così dalla logica del “sia fatto sem-

pre così” e potremmo comprenderci piuttosto come eredi di tanta fatica

compiuta von amore per la chiesa del Signore. E farà bene se ci accorgeremo

infedeli ai nostri padri e quanto il nostro passo sia oggi stentato. E se poi

prenderemo consapevolezza delle nostre responsabilità verso le popolazioni

in cui siamo, lo spirito ci ispirerà il coraggio di sviluppare l’eredità ricevuta e

ci infonderà l’intelligenza operativa di avviare processi educativi, adeguati ai

bisogni umani e cristiani come appaiono oggi intorno a noi.

A nessuno può sfuggire, ad esempio, che nel nostro Salento c’è ormai

una crescente convivenza multietnica e pluriconfessionale. Tanto esige un

amore cristiano più grande e più forte verso questa umanità mescolata e

verso le sue generazioni future. Dalla conoscenza storica della nostra terra

con le sue vicende religiose e culturali si può ricavare lungimiranza e speran-

za. Questa cultura deve aprirci a missioni inedite. E non è la prima volta che

accade.

Cento anni fa, nel contesto della prima guerra mondiale, nel Salento ci

furono tanti prigionieri austriaci, serbi, croati, ungheresi e forse anche ar-

meni in fuga dalla Turchia che lavoravano nei nostri campi. Settant’anni fa a

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causa del secondo conflitto mondiale per molti mesi ci furono tra noi folti

gruppi di ebrei a Tricase Porto, a Leuca, a Nardò, a Santa Cesaria, ed anche

slavi e polacchi ad Alessano, in attesa di lontane destinazioni.

* * *

Per fare la storia della recezione del Concilio Vaticano II nella nostra

Chiesa ugentina bisognerà fissare altri aspetti che hanno caratterizzato la di-

namica operativa delle parrocchie e delle numerose associazioni laicali.

C’è da scrivere, ad esempio e in primo luogo, del rinnovamento liturgico.

Ad esso hanno dato un contributo significativo don Leonardo Salerno e don

Donato Bleve con i canti e le melodie che hanno fatto pregare le nostre as-

semblee liturgiche. A guardare il panorama pugliese dei decenni passati la

loro produzione ha costituito quasi una Scuola ugentina che può ben misu-

rarsi con la Scuola barese.

Espressione di questo rinnovamento sono le numerose chiese parroc-

chiali costruite secondo gli orientamenti conciliari ed ornate con tanta sup-

pellettile pittorica e scultorea, moderna ma pur antiche: a Corsano, Acquari-

ca del Capo, Ruggiano, Tiggiano, Gemini, Patù, Ugento (Sacro Cuore e san

Giovanni Bosco) e Taurisano (con tre chiese). E lo sono pure le chiese minori

delle località marine a Torre Pali di Salve, ai Marini di Presicce, Torre Mozza

di Gemini, Torre Vado di Morciano e altrove. Si tratta, come si vede, una fer-

vida stagione di arte sacra che bisogna cominciare ad analizzare: è storia di

parroci, di architetti di artisti e di concorso popolare. Ciascuna di esse ha una

sua vicenda legata alle esigenze locali, alla cultura dei committenti, alla peri-

zia dei progettisti, all’esecuzione dei lavori e alla gestione degli edifici stessi.

E in questa storia del rinnovamento liturgico post-conciliare vanno inseri-

ti i numerosi interventi di restauro, come ad esempio nella chiesa cattedrale

di Ugento, in quella parrocchiale di Alessano, di Castrignano del Capo, Giu-

liano, Supersano, Salve, Morciano, Montesano, Marina di Leuca, Lucugnano,

Corsano, Ruffano, Tricase, Caprarica; e in altre chiese di San Carlo e San Gio-

vanni in Acquarica del Capo, della Madonna degli Angeli e del Carmine di

Presicce, di S. Rocco a Torre Paduli. L’attenta analisi delle riorganizzate aree

presbiterali potrà far rilevare la qualità degli interventi che oscillano tra

ammodernamento secondo le autentiche esigenze liturgiche, valorizzazione

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delle antiche strutture e, addirittura, proposta di arbitrarie falsificazioni, ve-

re e proprie, di elementi.

E poi c’è stato il restauro degli organi antichi a partire da quello notissi-

mo della chiesa parrocchiale di Salve (il più antico), di Tiggiano, di Alessano,

di Presicce, di Tutino a quelli delle chiese della Madonna del Buon Consiglio

a Ruffano e di S. Francesco a Gagliano. E poi i nuovi organi nella parrocchiale

di s. Antonio e altrove.

Quella della recezione del Vaticano II è una storia complessa con risultati

diversi. I campi nuovi e le architetture dell’ultimo cinquantennio sono la vox

e la facies dell’era conciliare, ma, ancor più vanno considerati come fattori

notevoli del farsi “chiese del Signore tra gli uomini” alla fine del Duemila. E si

può dire che tutta questa stagione di rinnovamento liturgico è un capitolo

non secondario del nostro Salento dalla metà del Novecento agli inizi del

terzo millennio.

È un capitolo non secondario della storia del nostro Salento e degli inizi

del duemila. E sarà un gran traguardo culturale quando potremmo disporre

di quadri storici come se li sono dati le confinanti diocesi di Otranto e di

Nardò.

* * *

Del progetto complessivo della storia della recezione del Vaticano II fan-

no parte le vicende della catechesi con i suoi slanci e i suoi rallentamenti;

quelle della carità parrocchiale e diocesana che esplose con il soccorso alle

popolazioni dell’Irpinia colpite dal terremoto del 1981 e continua con le ini-

ziative avviate da mons. Vito De Grisantis; le vicende dell’associazionismo

confraternale, delle congregazioni religiose, dell’Azione cattolica e dei re-

centi movimenti laicali e pure del seminario vescovile minore e maggiore.

* * *

In conclusione la cultura della memoria si impone come componente

non secondaria dell’odierna azione pastorale. In una società che cambia ra-

pidamente, sentiamo il bisogno di conoscere il nostro passato prossimo.

Non è vero che partiamo da zero. È urgente recuperare e ordinare tanta do-

cumentazione, raccogliere e analizzare tante testimonianze nelle quaranta-

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tré parrocchie dove ci sono tanti “tabernacoli della memoria” delle comuni-

tà cristiane.

Nel volume che viene stato presentato questa sera ed in quello che lo ha

preceduto scritto da Vito Cassiano si è pure delineato un metodo. Nel volu-

me di don Rocco Maglie riguardante l’impegno missionario non si può sotto-

valutare il corpo fotografico di 118 pezzi che corredano la narrazione, come i

trenta documenti riprodotti in allegato.

La storia della diocesi nostra ha numerosi protagonisti. E se riflettiamo in

profondità, è storia di santità fiorita nella nostra Chiesa ugentina. Questa

storia di Chiesa è pure storia del nostro Salento estremo.

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PRESENTAZIONE DI UN LIBRO E DI UNA ESPERIENZA TRICASE 10 GIUGNO 2015

Vito ANGIULI, Don Tonino Bello visto da vicino.

Presentazione di mons. Marcello Semeraro

Introduzione

Testi

Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2015,

pp. 138

Mons. Salvatore Palese

Il 19 dicembre 2010 il vescovo Angiuli, iniziando il suo ministero nella

diocesi ugentina, indicò tre fari luminosi del cammino spirituale e pastorale

che voleva fare con noi. La fede del nostro popolo; l’esempio di santità del

servo di Dio don Tonino Bello; la materna protezione della Vergine de Fini-

bus Terrae.

Ascoltai con stupore e fui compiaciuto del riferimento al nostro don To-

nino.

Di fatto nel suo insegnamento pastorale, per sedici volte, mons. Angiuli è

ritornato a parlare di lui, onorando l’impegno di custodire con amore “il te-

soro di famiglia” e di valorizzarlo per quanto possibile. E poi promuovendo

tante iniziative culturali e operando pastoralmente in questi quattro anni ha

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riscoperto in profondità la terra che fu di don Tonino e lo va riproponendo

nella sua esperienza di cristiano, di prete ugentino, educatore di preti e di

laici, di vescovo in terra barese. Così, del resto, la cultura diocesana e salen-

tina l’aveva ormai configurata.

Mons. Angiuli si è “avvicinato” a don Tonino e ce lo indica come maestro

ed evangelizzatore a cui ispirarsi. Lo ha visto da vicino nella terra dei suoi

sogni. La sua riflessione contribuisce a passare dalla memoria del cuore alla

memoria ripensata e fedele, storica, sembra questo il significato della lette-

ratura da lui promossa in questi ultimi mesi. Infatti dal dicembre 2014 al

maggio 2015, sono stati pubblicati due volumi: gli atti sul convegno di studi

dell’aprile 2014 sulla mariologia don Tonino, la raccolta degli scritti e di ine-

diti degli anni ugentini, infine questa raccolta dei suoi scritti su di lui.

Su quest’ultimo lavoro pubblicato per l’edizioni san Paolo di Cinisello

Balsamo ora ci fermeremo.

* * *

La struttura del libro comprende la presentazione firmata da Marcello

Semeraro (pp. 5-9) l’introduzione dello stesso Angiuli (pp. 11-20) e diciasset-

te testi dello stesso vescovo ugentino già pubblicati negli anni 2010-2015,

messi insieme in rigorosa successione cronologica. Come si vede, i testi ori-

ginali sono quelli della presentazione e dell’introduzione.

Vale la pena osservare che i testi raccolti sono distribuiti nel tempo: due

sono del 2010, uno dell’anno seguente, tre del 2012, otto del 2013, tre del

2014. La ricorrenza del ventesimo della morte ha determinato, tra l’aprile e

il dicembre, una riflessione continua che potrà essere interessante per se-

guire lo sviluppo del pensiero di Angiuli su don Tonino.

Il volume ha delle connotazioni autobiografiche. Infatti egli ne parla nelle

introduzioni e soprattutto nel primo dei diciassette testi, il più corposo di

tutti (pp. 21-52), si tratta dello studio introduttivo firmato per la edizione

della tesi di laurea in teologia che don Tonino discusse all’Università Latera-

nense di Roma il 3 luglio 1965, dal titolo I congressi eucaristici e il loro signi-

ficato teologico e pastorale, rimasta inedita fino al 2010. Essa rappresenta

l’unico testo in cui don Tonino si impegnò nella riflessione su un tema speci-

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fico, in modo organico e scientifico. La sua pubblicazione contribuisce alla

ricostruzione della sua biografia.

In tal senso, sono interessanti le notizie raccolte dall’Angiuli sulla forma-

zioni teologica che don Tonino ricevette nel Seminario dell’Onarmo di Bolo-

gna che preparava i cappellani del lavoro. Manca ancora, però, l’indagine sul

periodo precedente quella degli anni liceali 1950-53, a Molfetta, nel pontifi-

cio seminario regionale, dove trovò il rettore Corrado Ursi, cui seguì il pro-

rettore Giuseppe Carata dal 1951, ed altri educatori e professori tra i quali

don Ambrogio Grittani, il “prete degli accattoni”, che morì alla fine del-

l’aprile del 1951. Manca pure l’indagine sulla prima esperienza di formazio-

ne ecclesiastica nel seminario vescovile di Ugento, che iniziò nel 1945 con il

rettore don Carmelo Cozzato ed il vicerettore don Antonio De Vitis e prose-

guì con il rettore don Andrea Caloro dal 1947. In quei primi anni ricevette

l’insegnamento anche di don Vito Tonti, singolare figura del clero ugentino

di quegli anni. Nel ragazzo Tonino rimase forte il ricordo di quella prima re-

sidenza. Come si sa, in quella tradizione rientrò anche lui, appena ordinato

prete nel 1958. Come si vede, quanto ha scritto il suo primo biografo Claudio

Ragaini appartiene alla memoria del cuore, raccolta con cura e scritta con

empatia nell’anno che seguì la morte di don Tonino, e fu pubblicata nel

1994. Deve dirsi che la biografia del giovane don Tonino negli anni 1945-

1953 è tutta da scrivere (per quanto lo renderà possibile la documentazione

da ritrovare) nella precisa contestualizzazione storica del dopoguerra e della

ricostruzione della nostra Italia.

* * *

Mons. Angiuli conobbe personalmente don Tonino negli anni 1982-1993

quando questi divenne vescovo di Molfetta-Giovinazzo-Terlizzi-Ruvo di Pu-

glia, e don Vito fu educatore nel seminario regionale; con sobrietà egli ne

parla nelle pagine della introduzione. In verità quegli anni furono densi di

trasformazioni nel laboratorio di formazione di quasi tutti i preti dell’intera

Puglia a Molfetta. Don Vito, dell’arcidiocesi di Bari, fu chiamato nel settem-

bre 1982, dopo una “drammatica” riunione dell’episcopato pugliese a Cas-

sano Murge sulle prospettive del seminario maggiore delle diocesi della Re-

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gione: a quella riunione partecipò pure don Tonino da vescovo nominato.

Don Vito e don Pio Zuppa della diocesi di Lucera furono chiamati a collabo-

rare con il rettore mons. Tommaso Tridente. Seguì un triennio che suscitò

preoccupazioni in don Tonino sempre e sinceramente rispettoso delle per-

sone e misurato nel valutare l’operato dei responsabili. Quando il seminario

regionale fu affidato al mons. Agostino Superbo della diocesi di Andria,

nell’estate 1985, la progettazione educativa prevalse su ogni altra meta e

don Pio e don Vito diressero un vasto concerto di contributi che diede vita a

documenti di valore, vale a dire gli orientamenti formativi e gli itinerari per il

presbiterato che furono intitolati Ad immagine di Cristo Buon Pastore (1988-

1989). Frattanto nel 1987 gli studi erano stati riorganizzati ed era incomin-

ciata la pubblicazione della Rivista di Scienze Religiose. Dentro a questo fare

c’ero anch’io, in altro ruolo. Gli anni 1985-1991, quelli cioè del rettorato Su-

perbo, li ricordo come i più belli della mia lunga permanenza molfettese: co-

esione delle varie componenti, concretezza del fare, coraggio lungimirante.

Don Tonino guardava e sosteneva. Dal 1985 divenne presidente di Pax Chri-

sti e ciò maturò in lui la determinazione di lasciare la responsabilità di con-

trollo del seminario regionale nel 1987. Nel 1990 poi scrisse la sua entusiasta

ammirazione sulla “fabbrica dei preti” che andava suscitando consensi in

tutta l’Italia. Il rettore Superbo, fatto vescovo, nutriva convinto desiderio

che a succedergli fosse uno dei due collaboratori. Nel 1991 fu nominato

mons. Donato Negro di Lecce e don Vito continuò la collaborazione da padre

spirituale e, frattanto, seguì con trepidazione il declino fisico di don Tonino

ammalato e, al tempo stesso, la sua ascesa spirituale e il suo più alto inse-

gnamento morale.

Dopo la morte di don Tonino, don Vito fu richiamato nella sua diocesi di

origine nel giugno 1993, pur continuando l’insegnamento della filosofia della

religione nell’Istituto teologico pugliese del seminario regionale, fino al giu-

gno del 2003.

* * *

In quegli anni molfettesi Angiuli constatò che del vescovo Bello si comin-

ciò a parlare con attenzione, quando si diffuse il suo originale progetto In-

sieme alla sequela di Cristo sul passo degli ultimi del 1984 e rilanciato edito-

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rialmente nel 1985. Nel 1988 le Edizioni Paoline pubblicarono Alla finestra la

speranza. Lettere di un vescovo con presentazione di Davide Maria Turoldo

ed. La Meridiana di Molfetta lanciò pure il periodico Mosaico di pace. La

predicazione e lo stile di vita e l’originale proposta pastorale inquietarono

ambienti ecclesiastici e circoli politici. Nel 1992 vasta risonanza suscitò il vo-

lume con gli scritti Ai catechisti dedicato al cardinale Ursi. Infine commosse

molti Maria donna dei nostri giorni con prefazione di Luigi Santucci, e infine

Stola e grembiule definito nella nostra “Rivista di Scienze Religiose”, che ri-

lanciava in prospettiva evangelica la figura ed il ministero dei preti.

Provò Angiuli qualche disagio quando cominciarono a pullulare le edizio-

ni di scritti di don Tonino e su don Tonino. Alcuni parlarono delle “svolte” di

vario genere che quel vescovo aveva introdotto nella cultura cattolica anche

nei temi più alti come la dottrina trinitaria; altri esaltarono unilateralmente il

suo cristianesimo come una religione politica della pace della giustizia; altri

denunciavano che nella personalità e nell’attività pastorale di don Tonino

era fatta una “riduzione” socio-politica da parte di alcuni ambienti cattolici e

di quelli laici di cultura socialista, marxista e radicale. I temi della pace e del-

la non violenza, della giustizia sociale, della convivenza dei popoli così diffe-

renti per storia e religione, che don Tonino aveva predicato per il mondo,

suscitarono reazioni anche degli ambienti ecclesiastici e della cultura cattoli-

ca. Non si capiva quella teologia della pace di don Tonino che era l’espres-

sione della sua fede di cristiano, che la scelta dei poveri derivava dal Conci-

lio, come le considerazioni che i poveri sono veri e propri nuovi “luoghi

teologici”. Non mancarono, in verità, quelli che sottolinearono il carattere

occasionale degli scritti del vescovo molfettese, come lo esigeva il suo mini-

stero di evangelizzatore della sua diocesi e del movimento di Pax Christi.

Qualche altro diceva con efficacia che don Tonino leggeva per la strada du-

rante il giorno e poi scriveva durante la notte trascorsa in preghiera nella

cappella del suo palazzo.

Noi oggi, a qualche anno di distanza, possiamo affermare serenamente

che don Tonino ha originato un movimento di ideali e di proposte che pos-

sono considerarsi una ricca cultura cattolica della pace. Possiamo riconosce-

re pure che i suoi scritti hanno costituito un fenomeno editoriale multiforme

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e non sempre di uguale valore. Personalmente sono convinto che bisogna

porre una regola nella riflessione critica dei suoi scritti: fonti del suo pensie-

ro e del suo agire vanno considerati quei testi e quei volumi che egli stesso

ha voluto e curato l’edizione, vale a dire, quegli editi fino all’aprile 1993. Mi

sia consentito dire che i volumi della cosidetta Opera omnia sostenuta dalla

sua stessa diocesi molfettese, non facilitano lo studio critico, perché la loro

edizione è stata impostata non con criteri storici, secondo una sequenza

cronologica, ma con criteri ideologici: di essi pertanto si impone una nuova

edizione.

Nel 2005 mons. Angiuli – come ne parla egli stesso alle pp. 21-52 – prese

a studiare la tesi dottorale che aveva impegnato don Tonino quarant’anni

prima e poi decise di pubblicarla, con l’intento di liberarne la personalità e

l’attività dalle varie cornici che erano state sovrapposte. L’attenta analisi lo

portò a concludere che nelle considerazioni di don Tonino sui lavori dei con-

gressi eucaristici nazionali – argomento della sua tesi – si potevano indivi-

duare con interesse le relazioni tra Eucarestia e la vita cristiana, l’attenzione

agli ultimi, la promozione della pace, l’impegno sociale, il dialogo ecumeni-

co, la Madonna. Temi questi, egli afferma, che esploderanno nel suo magi-

stero episcopale. Sicché nel 1965, si potevano vedere, in quelle suggestioni

«quasi la sintesi dei programmi e dei temi che saranno ripresi e rimandati e

rimodulati negli scritti successivi» (p. 45). Le radici del vescovo molfettese

erano negli anni ugentini della tesi dottorale del 1965.

Non ci pare del tutto esatto. Infatti don Tonino si era arricchito della le-

zione di Giovanni XXIII data nella Pacem in terris del 1963; poi fece sua

l’impostazione di Paolo VI nella Ecclesiam suam del 1964 e poi si nutrì della

dottrina conciliare degli anni 1963-1965 (dalla Sacrosanctum Concilium alla

Gaudium spes, all’Ad gentes ed alla Nostra aetate, ma pure delle lezioni

montiniane della Populorum progressio del 1967, della Octuogesimo adve-

niens del 1971 sull’insegnamento sociale della Chiesa, della Evangelii nun-

tiandi del 1975). La sensibilità ecclesiale di don Tonino si alimentò poi dei

documenti della Conferenza Episcopale di quegli anni e in particolare Chiesa

italiana e prospettive del paese del 1981, nonché della Laborem excercens

dello stesso anno. Sarà interessante sapere quale fu la letteratura acquisita

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in quegli anni e conservata nelle librerie lasciate alla Biblioteca del seminario

vescovile di Molfetta e alla Fondazione che le prelevò dalla sua casa.

Ma tutto questo patrimonio culturale non avrebbe originato il magistero

di don Tonino, come raccolto nei sei volumi dell’Opera Omnia, se non ci fos-

se stata l’esperienza del ministero episcopale, vale a dire la responsabilità

fortemente sentita di educare alle prospettive evangeliche le migliaia di fa-

miglie delle sue quattro città diocesane e la folla dei coinvolti nel movimento

di Pax Christi. Se tutto questo si può vedere nel seme non si può dire che

nelle radici c’è già il frutto. Tra le radici e il frutto ci sono il tronco, i rami, i

ramoscelli: nel nostro caso essi rappresentano l’esperienza della vita e

l’immersione nella storia degli uomini. Com’è stato ricordato, i testi di don

Tonino sono stati pensati sulla strada e tra la gente e poi scritti nella notte

piena di preghiera. La loro lettura pertanto esige una rigorosa contestualiz-

zazione, per dare alle parole il loro vero significato. Sarebbe corretto, quan-

do se ne fanno le citazioni, indicare nel testo e non nelle note a piè pagina,

la data e la circostanza, o identificare i destinatari nelle sue espressioni. Ciò

allontanerebbe il rischio della manipolazione ideologica, (politica e teologi-

ca) dei suoi testi, com’è avvenuto e come potrà avvenire ancora. Se infatti

noi lasciamo gli scritti di don Tonino dentro la sua vicenda storica, saremo in

grado di cogliere quella continuità creativa che caratterizzò la sua riflessione

e il suo dire. Così forse potremo risentire la sua esperienza di vita di buon

cristiano ed il suo diventare discepolo di Cristo nella storia dell’umanità.

La vera storia di don Tonino è ancora da scrivere e ormai si sente il biso-

gno di una biografia completa e scientificamente sicura. Sarà un’impresa.

Ma sarà fortunato chi la leggerà.

* * *

Si sarebbe tentati di dire che l’ultimo volume di mons. Angiuli Don Toni-

no visto da vicino è connotato da un’intenzione autobiografica: non riguarda

tanto don Tonino e la corretta interpretazione del suo pensiero, quanto

piuttosto l’evolversi di Angiuli nei confronti del vescovo molfettese; evolu-

zione maturata negli anni in cui egli ha vissuto e ha operato nella diocesi dei

due mari, dove don Tonino visse gran parte della sua esistenza terrena.

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La confessio di mons. Angiuli è tutta nel brano conclusivo:

«pago il mio personale debito di riconoscenza […] qualche volte avverto

il rammarico per non aver fatto tesoro […] porto dentro di me il dispiacere di

non “aver rubato” qualcosa dello stile e delle intuizioni spirituali e pastorali

di questo “vulcano d’amore”, pur essendogli accanto per tanto tempo. So

bene che le parole non bastano. Quando, però, sono sincere e provengono

dal profondo del cuore colmano, almeno in parte, i ritardi e forse preludono

ad una trasformazione più radicale e lasciano intravedere qualcosa di nuovo

che lentamente prende forma» (p. 19).

Da testimone di quanto detto e di quanto c’è dentro le espressioni, non

posso non essere soddisfatto del sottotitolo di copertina, decisamente chia-

rificatore ed esaustivo dell’incontro del nostro vescovo con don Tonino.

Mons. Angiuli lo dice chiaramente Una fede colma di umanità. Così lo atte-

stano i sedici testi degli anni 2010-2015 raccolti in questo volume.

C’è da concludere con l’auspicio che il vescovo ugentino aiuti tutti noi sa-

lentini a conseguire fede concreta e umanità solidale, come furono quelle

del nostro carissimo e indimenticabile don Tonino. Il Salento, per tante ra-

gioni, è nell’afflizione ed ha bisogno di profeti che gli diano speranza.

Prof. Valerio Ugenti*

Mentre raccoglievo le idee in vista di questo incontro, riflettevo come

questa sia la serata degli incroci: un alessanese viene invitato a Tricase per

presentare un volume su don Tonino scritto da un barese. Sembra tutto ba-

nale, ma banale non è. Alessano è il paesino che ha avuto il privilegio di dare

i natali a don Tonino ed è il luogo dove tutt’ora vive la sua famiglia e custo-

disce con gelosa pietà le sue spoglie mortali e ne coltiva la memoria e la tra-

smissione del pensiero attraverso la Fondazione presieduta prima dal trica-

sino Donato Valli ed ora dall’alessanese dott. Giancarlo Piccinni; Tricase è il

paese dove don Tonino ha esercitato il suo ministero presbiteriale come

* Ordinario di Letteratura Cristiana Antica nella Università del Salento.

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parroco prima di essere chiamato a ricoprire la cattedra episcopale di Mol-

fetta; dal Salento don Tonino è stato chiamato in terra di Bari ed ora un ba-

rese, dopo aver avuto il privilegio di essere testimone diretto dell’azione pa-

storale del vescovo don Tonino, ricopre la cattedra episcopale di Ugento che

presiede al cammino verso la salvezza della gente di don Tonino, a diretto

contatto con quel seminario nel quale per decenni don Tonino ha tanto se-

minato con la sua scienza e con il suo esempio. Alessano, Ugento, Tricase,

terra di Bari: questa sera sono qui presenti i quattro poli all’interno dei quali

si è consumata la vicenda terrena di don Tonino. Il tutto con la piena parte-

cipazione di don Salvatore Palese che, salentino di origine, svolge il suo mi-

nistero sia nel Salento sia in terra di Bari. Non so se gli organizzatori hanno

pensato a questo incontro in questa prospettiva. Se così non fosse, bisogna

allora vedervi il disegno di qualcuno che ci guida dall’alto. Sì, perché riflette-

vo anche su un altro elemento non secondario: i grandi sono elementi di

unione, non di divisione. Ce ne stiamo dimenticando nella nostra bella Italia

che continua la sua deriva populista ed egoista, dimentica dei valori della

socialità, della condivisione, del banale bene comune. Da vent’anni a questa

parte persino i capi di governo, quelli che dovrebbero rappresentare l’Italia,

tutta l’Italia, componendo gli interessi di parte in una sintesi unitaria a van-

taggio di tutti, governano invece con una metà circa della popolazione con-

tro l’altra metà: dai comunisti di Berlusconi ai gufi di Renzi, la tecnica è sem-

pre quella, il messaggio è sempre quello: dividere per gestire il potere. Don

Tonino invece, pur essendo sempre schierato e pur invitando sempre a

schierarsi senza timidezze e senza mezze misure dalla parte degli ultimi, è

stato ed è sempre cemento che unisce. Alessano e Tricase si sono divise a-

spramente nel 1982 in occasione dell’ordinazione episcopale, lo ricordiamo

bene1; ma poi ogni dissidio è evaporato, si è sciolto come neve al sole dinan-

zi al ministero, alla testimonianza, alla profezia del nostro santo conterraneo.

Ci tenevo a dire quel che ho detto, anche se può sembrare fuori tema;

ma la presentazione di un libro è anche momento di riflessione, di intro-

1 Don Tonino fece prevalere le motivazioni ecclesiali su quelle familiari e preferì essere

ordinato vescovo a Tricase; gli alessanese si arresero obtorto collo alla sua decisione.

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spezione, di verifica personale e comunitaria. E infatti intendo esprimere so-

prattutto le suggestioni che la lettura delle pagine di Mons. Angiuli ha susci-

tato in me, limitandomi a poche indicazioni concrete sulla natura e sulla

composizione del volumetto.

Si tratta della raccolta, potremmo dire antologica, di 17 interventi occa-

sionali del nostro vescovo su don Tonino: un’intervista, un articolo sul

Grembiule, una riflessione ad un convegno di Pax Christi, 4 prefazioni ed una

conclusione a libri di o su don Tonino, 7 omelie e due audaci lavoretti che

dal punto di vista letterario costituiscono un vero azzardo, cioè due lettere

che Mons. Angiuli scrive a nome di don Tonino (a questi si deve poi aggiun-

gere una prosopopea all’interno di una omelia).

L’obiettivo del libro è nel titolo: Don Tonino Bello visto da vicino. Che si-

gnifica? Intanto è significativa la conservazione della designazione “don To-

nino”. Nel Dizionario storico del movimento cattolico in Italia mons. Salvato-

re Palese ha curato la scheda relativa a don Tonino che nel Dizionario

compare sotto la voce “Bello Antonio”. È chiaro, don Salvatore non c’entra

niente, quando ci si inserisce in un dizionario o in una enciclopedia o in una

collana bisogna attenersi rigidamente alle norme editoriali che vengono co-

municate. Ma sfido chiunque a capire che sotto la voce “Bello Antonio” tro-

verà la scheda del nostro amato don Tonino; mi infastidisce anche leggere

sulle copertine di qualche libro “Mons. Antonio Bello”: don Tonino è solo

don Tonino per antonomasia; nelle parrocchie italiane ci saranno tanti bravi

sacerdoti che si chiamano Tonino, ma il don Tonino per antonomasia non

può essere che lui; così come chi sa quanti santi monaci hanno o hanno adot-

tato il nome di Pio, ma Padre Pio per antonomasia è quello che invano si tenta

oggi di far chiamare San Pio, perché nella sensibilità della fede popolare, alla

quale mons. Angiuli fa più volte riferimento, questi personaggi rimangono vivi

per la loro vicinanza ai bisogni del popolo, vicinanza espressa anche da epiteti

familiari, laddove titoli più aulici rischiano di creare una barriera.

Don Tonino invece il nostro vescovo lo vuole guardare e vuole farcelo

guardare da vicino, cioè il don Tonino autentico, il don Tonino della storia,

arginando ogni processo, anzi prevenendo ogni rischio di mitizzazione del

personaggio che inevitabilmente annacquerebbe la forza profetica del suo

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messaggio e del suo esempio. Consentitemi un parallelo che può sembrare

irriverente, ma non lo è nelle mie intenzioni. Giuliano l’Apostata era un im-

peratore che voleva portare la filosofia al potere; era infatti un filosofo neo-

platonico, un mistico nella speculazione filosofica ed un asceta austero nella

vita quotidiana; sul piano religioso ha fatto una scelta che gli ha procurato

l’epiteto infamante di Apostata, perché ha abiurato la fede cristiana per ten-

tare un anacronistico ed impossibile rilancio dell’antica religione pagana. Si

può definire un mistico pagano. Negli anni settanta del secolo scorso sono

stati pubblicati in Francia due volumi sulla fortuna di questo singolare per-

sonaggio nel corso dei secoli: il primo volume si intitola L’Empereur Julien de

l’histoire à la légende2, il secondo L’Empereur Julien de la légende au mythe3.

Per farla breve, nel corso dei secoli l’interpretazione della figura e dell’opera

del giovane e sfortunato imperatore va dalla sua esaltazione quale modello

di sovrano illuminato alla sua denigrazione quale feroce persecutore e stru-

mento di Satana: come dice J. Richer nella prefazione del volume, ci sono

tanti Giuliano quanti sono coloro che di lui si sono occupati. Bene, l’obiettivo

principale del lavoro di Angiuli è proprio quello di contrastare, possibilmente

prevenire, che una sorte del genere capiti anche a don Tonino: che cioè il

santo si trasformi in santino (rubo qui un’espressione di Niki Vendola), cioè

un’immagine devota da baciare, dinanzi a cui commuoversi, ma senza spesso-

re, privata della sua energia rivoluzionaria e quindi buona per tutti gli usi, fa-

cilmente manipolabile. Occorre invece già da subito recuperare l’autenticità

della persona per evitare che le sue splendide frasi diventino citazioni dotte

estrapolate dal contesto, che i suoi gesti profetici creino un nuovo rituale, che

gli episodi più significativi della sua esistenza si trasformino in aneddoti.

A questo scopo l’autore si impegna in un’operazione di fondamentale

importanza: smontare l’idea di una svolta irenologica, teologica e pastorale

di don Tonino successiva alla sua consacrazione episcopale, smontare l’idea

di una improvvisa esplosione della sua personalità nel momento più alto del-

la sua esistenza, per dimostrare invece che il don Tonino vescovo ha sempli-

2 Éd. Les Belle Lettres, Paris 1978.

3 Éd. Les Belle Lettres, Paris 1981.

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cemente maturato fede, spiritualità, idee, progetti che affondano le loro ra-

dici nell’intensa vita trascorsa nel Salento, in particolare nel seminario di

Ugento, attingendo a piene mani alla dimensione popolare della fede della

gente salentina ed alla sua generosità, al suo senso della condivisione e della

straordinaria solidarietà.

Impegnandosi a recuperare quindi le radici culturali e spirituali del pen-

siero di don Tonino, mons. Angiuli ricostruisce la formazione che il giovane

salentino ha ricevuto a Bologna presso il seminario dell’ONARMO (Opera

Nazionale per l’Assistenza Religiosa e Morale degli Operai). Qui, sotto la gui-

da di splendide figure di maestri e sacerdoti, nel fervido clima post-

conciliare il piccolo Tonino assimila quella feconda sintesi tra teoria e prassi,

tra fede e vita, tra prassi ecclesiale e prassi sociale che è forse l’aspetto più

eclatante della sua attività di vescovo. Ma in tutto questo il giovane alessa-

nese porta non dico l’esperienza, perché è ancora poco più di un bambino,

ma la sensibilità, magari ancora inconsapevole, di chi trascina sulle spalle una

storia millenaria di fatica, di sofferenza, di solidarietà. Questa osservazione di

Angiuli mi ha richiamato alla memoria gli splendidi versi dedicati da Peppino

Martina ad Otranto, un breve componimento in dialetto leccese di appena 12

versi che si concludono con una puntata polemica contro il turismo superficia-

le, il turismo mordi e fuggi, il turismo di chi si gode giustamente le bellezze

paesaggistiche ed architettoniche, ma si lascia sfuggire la vita dei luoghi:

Uei cu passi?! Passa passa frate miu,

ma ci te fiermi iti, sai e tocchi

quantu pisa sta terra intru stu mare.

Quantu pisa sta terra intru stu mare!!! Se non si tiene presente questa

storia, questo senso della concretezza, questa consapevolezza che “la di-

menticanza del riferimento alla prassi rende la fede priva di significatività”

(p. 69), non si capisce l’opera grande del grande vescovo, la sua esigenza di

avere e di offrire a tutti l’ala di riserva; l’episodio del vescovo che marcia alla

testa di un corteo di protesta di pescatori perde il valore di gesto profetico

per diventare aneddoto, magari divertente, così come tutti abbiamo sorriso

divertiti quando papa Francesco ha salutato il mondo per la prima volta con

un banale “buona sera” o quando conclude la benedizione urbi et orbi con

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un simpatico “buon pranzo” o quando scarrozza sulla papamobile un bam-

bino o un sacerdote giunto per lui dall’Argentina. Ma adesso non sorridiamo

più, perché abbiamo capito che quella è ecclesiologia, è teologia concretiz-

zata nel gesto quotidiano, è una cosa maledettamente seria, tanto seria da

far paura forse allo stesso pontefice e fargli presagire un papato breve (e io

ogni sera prego perché quelle sue parole non significhino quello che io temo

possano significare). La forte componente francescana della spiritualità di

don Tonino e papa Francesco è ormai un dato acquisito, essendo stato og-

getto di molti studi e molte pubblicazioni. È una componente che anche

Mons. Angiuli evidenzia.

Mons. Angiuli risale dunque indietro nel tempo e ritrova già nella tesi di

laurea di don Tonino sui Congressi Eucaristici (discussa nel 1965) i semi che

daranno frutto negli anni a venire, a cominciare dal binomio “Signore del ta-

bernacolo” e “Tabernacolo del Signore”, con uno di quei giochi di parole che

costituiscono la cifra stilistica più appariscente della sua produzione lettera-

ria, ma che esprimono in maniera plastica e facilmente memorizzabile con-

cetti di inaudita profondità: non si può adorare il Signore del tabernacolo se

non si ama e non si rispetta il tabernacolo del Signore che è l’uomo vivente,

anzi il binomio è inscindibile, sicché tutte le violenze commesse nei confronti

dei nostri fratelli sono offese eucaristiche, tutte le ingiustizie consumate sul-

la pelle dei nostri fratelli sono eresie trinitarie. Nel 1987, in una meditazione

rivolta ai convegnisti della Associazione per la Riparazione Eucaristica così

diceva don Tonino: “Questa consuetudine di presenza prolungata, amorosa

davanti al tabernacolo ci faccia capire davvero la bellezza della vita interiore,

il senso della preghiera, il valore del silenzio. Sì, questo dobbiamo farlo per-

ché il Signore del tabernacolo viene violentato! Ma dobbiamo ricordarci che

viene violentato anche il tabernacolo del Signore. Quando la gente muore di

fame, quando è sfrattata e non trova casa, quando è disoccupata, quando

subisce la conseguenza di tragiche impostazioni economiche che partono da

lontano: ecco, allora, subisce violenza! Sapete tutti quanta gente muore ogni

momento nel mondo: ogni anno cinquanta milioni di persone per fame, fra

cui venti milioni di bambini; cinquanta milioni di tabernacoli distrutti. Ecco

allora la riparazione eucaristica”. A ben vedere, abbiamo qui una efficace ri-

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formulazione del precetto evangelico dell’amore nella duplice direzione ver-

so Dio e verso gli uomini4.

Prima di chiudere, mi piace sottolineare la qualità letteraria degli scritti

di Mons. Angiuli qui raccolti. Egli, che ha conosciuto e frequentato don Toni-

no da educatore del seminario di Molfetta proprio negli anni di episcopato

del nostro conterraneo, non solo è imbevuto della spiritualità di don Tonino,

ma ne ha assorbito anche molte caratteristiche letterarie, dalla chiarezza

espressiva alla arditezza delle metafore: basti qui ricordare la sua definizione

di don Tonino quale “vulcano d’amore” (p. 19), i volti feriali della gente da

cui trasudano miracoli di grazia (p. 29), il profumato sapore della novità

(p. 53: sulla metafora si innesta qui una raffinata sinestesia).

Ma non proseguo su questa strada, perché l’intento del libro non è quel-

lo di creare un gioiello letterario, bensì quello di recuperare e custodire nella

sua verità e nella sua concretezza storica l’eredità spirituale di don Tonino. E

credo che la sintesi migliore del senso della riflessione di Mons. Angiuli sul

profeta dei nostri giorni sia nelle parole che leggo a p. 58: “Don Tonino non

vuole ammiratori entusiasti, ma gioiosi compagni di strada, desiderosi di i-

nerpicarsi con lui sul sentiero della santità. Non vuole essere santo da solo,

ma vuole salire all’onore degli altari insieme con noi. Anche lui ha bisogno di

un’ala di riserva senza la quale non può volare. La sua tomba non è un pezzo

di museo da visitare, ma una fornace ardente di carità da cui lasciarsi in-

fiammare. Per questo dobbiamo imitare la sua vita, non ripetere stancamen-

te le sue parole; servire i poveri, non parlare dei poveri; passare notti inson-

ni in silenziosa adorazione davanti al Signore del tabernacolo per lenire le

sofferenze del tabernacolo del Signore”.

Sull’eco di questi splendidi pensieri, non mi resta che ringraziare Mons.

Angiuli per aver offerto a tutti noi l’occasione di riflettere ancora sulla au-

tentica eredità spirituale di don Tonino.

4 Cfr. Mt 22,34-40; Mc 12,28-31; Lc 10,25-28.

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PER LA STORIA

DELLA CHIESA DI UGENTO - S. MARIA DI LEUCA

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SALVATORE PALESE

IL PIÙ COLTO VESCOVO DI UGENTO, IL PORTOGHESE AGOSTINO BARBOSA,

E IL SUO BREVISSIMO EPISCOPATO (1649)

Con appendice di Carlo Vito Morciano

Nella cattedrale di Ugento, dietro il battistero marmoreo del Settecento,

a sinistra dell’ingresso nella grande navata si può ammirare l’elegante mo-

numento marmoreo che – come si legge – nel 1883 il vescovo Gennaro Ma-

ria Maselli1 fece erigere meliori cultu exornatum a vetere loco al suo illustre

predecessore Agostino Barbosa2. Forse dall’antico monumento funebre pro-

1 Gennaro Maria Maselli dell’ordine dei minimi fu vescovo di Ugento dal 22 giugno 1877 al

26 luglio 1890. Egli era nato ad Accadia in diocesi di Bovino il 12 marzo 1834, aveva fatto la professione solenne nell’ordine suddetto il 19 marzo 1855 ed era stato ordinato prete il 20 dicembre 1856; era stato parroco a Sant’Andrea delle Fratte di Roma e per sette anni procuratore generale del suo ordine: cfr. R. RITZLER – P. SEFRIN, Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi, VIII, Il Messaggero di Sant’Antonio, Patavii 1978, p. 574. «Ornò di marmi la cappella del palazzo vescovile e fece costruire il pavimento di marmo nel santuario di Leuca»: cfr. G. RUOTOLO, Ugento-Leuca-Alessano. Cenni storici e attualità, Cantagalli, Siena 1969

3, pp. 58-64. Fu colpito da grave malattia mentale, sicché dal 21

gennaio 1887 fu affiancato da Salvatore Luigi Zola vescovo di Lecce e già di Ugento (1873-1877) come amministratore apostolico, e successivamente dal 25 giugno 1889 fu coadiuvato da Vincenzo Brancia vescovo predestinato a succedergli. Si conservano le sue lettere pastorali, dalla prima del 1877 all’ultima per la quaresima del 1885; l’8 dicembre 1877 iniziò la visita pastorale della diocesi; scrisse circa l’istruzione religiosa e l’insegnamento religioso (1880), e il liberalismo (1885): cfr. D. DEL PRETE (a cura di), Lettere pastorali dei vescovi di Terra d’Otranto, Herder, Roma 1999, pp. 244-247. 2 Sul Barbosa, cfr. RUOTOLO, Ugento, cit., pp. 183, 214, 251; F. UGHELLI, Italia sacra, IX, ed. N.

Coleti, Venetiis 1721, coll. 113-114 (dove è edita l’epigrafe funeraria del 1651); G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, 83, Venezia 1857, pp. 4-5; P. GAUCHAT, Hierarchia Catholica Medii et Recentioris Aevi, IV, Monasterii 1935, p. 351; J. BELLAMY in Dictionnaire de Theologie catholique, II, Letouzey, Paris 1903, p. 387; F. DE ALMEYDA in Dictionnaire d’histoire et geographie ecclesiastique, VI, Letouzey, Paris 1932, pp. 634-635; G. LEONE in Enciclopedia Cattolica, II, Città del Vaticano, 1949, col. 832; E. BESTA in Enciclopedia Italiana, VI, Istituto Giovanni Treccani, Roma 1930, p. 148; J. RAFFALLÌ in Dictionnaire de droit canonique, II, Letouzey, Paris 1937, p. 203; D. A. BINDER in Lexicon für Theologie und Kirche, Herder, Freiburg - Basel - Rom - Wien 1993, p. 1406. Infine il ricco profilo biografico è in LORENZO SINISI, Le “imprudenze” di un grande canonista della prima

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viene l’ovale che lo raffigura; trascritto sulla lastra centrale è l’epitaffio

composto nel 1651 dal fratello Emanuele; elegante è l’inquadratura del-

l’insieme con paraste sormontate da capitelli; il monumento si conclude in

alto con lo stemma del Barbosa e una croce. Non sappiamo in verità se il

monumento fu sovrapposto alla tomba della cattedrale settecentesca; biso-

gnerebbe fare delle specifiche ricerche in loco. Non riusciamo ad immagina-

re dove la tomba, nel novembre 1649, fu sistemata nella cattedrale prece-

dente che vide il Barbosa officiare da pontifex maximus della diocesi

ugentina per appena sei mesi.

Di questo monumento nessun cenno fa mons. Giuseppe Ruotolo nella

descrizione della cattedrale, edita nel 1952. Ma significativi dati egli fornì del

Barbosa, attingendoli proprio dall’epitaffio del monumento, non trascu-

rando di menzionare l’opera omnia di quel vescovo edita a Lione. Del breve

governo del vescovo venuto dal Portogallo egli ricorda unico documento su-

perstite la relazione della “sacra visita” compiuta a Gemini, che si conserva

in quell’Archivio Parrocchiale; di fatto è il carteggio riguardante l’istituzione

della parrocchia in quel territorio di cui il vescovo ugentino era pure barone.

Tutto sommato, è un’informazione molto sobria quella di mons. Ruotolo che

riferiva quanto edito da Ferdinando Ughelli alla fine del Seicento. Ora si di-

spone di altri elementi.

A risvegliare la memoria ugentina del Barbosa, ancor prima del monu-

mento, fu il canonico cantore, prima dignità del Capitolo della cattedrale,

Giuseppe Colosso (1812-1901)3. Egli nel 1882 fece comporre un ritratto, tan-

to era la sua ammirazione per quel coltissimo vescovo. Della tela non si co-

nosce l’originaria collocazione. È certo che ornò il palazzo vescovile, non si

sa da quando; ora è nel museo diocesano. L’aveva fatto raffigurare seduto al

suo tavolo, intento a vergare con la penna d’oca il titolo della sua opera

maggiore, la Collectanea doctorum in universum ius canonicum.

metà del Seicento. Agostinho Barbosa e la Congregazione dell’Indice, in «Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Genova» (collana monografica) 88, 2011, pp. 307-386, precisamente pp. 309-332. 3 Sul canonico Colosso: cfr. S. PALESE - E. MORCIANO, Preti del Novecento nel Mezzogiorni

d’Italia. Repertorio biografico del clero della diocesi di Ugento - S. Maria di Leuca (=Società e Religione, 21), Congedo, Galatina 2013, p. 75.

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Verso la fine del secolo scorso, in un convegno scientifico organizzato

dall’Università degli Studi di Lecce, portai il mio contributo sugli sviluppi

post-tridentini nel Basso Salento, concentrato sull’azione dei vescovi del Sei-

cento, edito poi nel 19904. Illustrai l’importanza storica della istituzione della

parrocchia a Gemini da parte del Barbosa e ne descrissi procedure ed atti di

quel coltissimo vescovo. La fondazione di quella parrocchia, infatti, va collo-

cata nell’ampio contesto del rinnovamento originato nel mondo cristiano di

confessione cattolica, in Europa, dalle norme approvate nel Concilio di Tren-

to (1545-1563). Agostino Barbosa fa parte di quella stagione di vescovi che

rappresentano una delle forze rinnovatrici dell’era tridentina, insieme con

l’azione direttiva e promozionale del papato e con l’impegno determinato

dei sovrani cattolici. Come si sa, i vescovi erano nominati dal papa romano o

direttamente o su indicazione di re e principi. I sovrani erano pur essi sensi-

bili al miglioramento della vita cristiana delle popolazioni, che così erano al

riparo dalle infiltrazioni ereticali e, al tempo stesso, vivevano la loro fedeltà

al re. Spesso questi vescovi provenivano dalle file degli ordini religiosi e dalle

nuove congregazioni di chierici regolari che si andavano diffondendo, fecon-

dando le popolazioni della loro pietà, con le loro devozioni e con il loro lavo-

ro apostolico che poi originava iniziative culturali di ogni genere. Tra queste

vanno considerate le nuove associazioni confraternali, di multiforme deriva-

zione e denominazione, che suscitarono opere caritative e forme di vita

devota, espresse in tanta civiltà artistica. Queste quattro forze fondamentali

– papi, sovrani, vescovi e congregazioni religiose – diedero struttura a quella

riforma cattolica che caratterizzò i secoli seguenti il concilio tridentino: la

dottrina da credere e i provvedimenti disciplinari di quel concilio diventaro-

4 Sul Seicento ugentino, cfr. S. PALESE, Le diocesi del basso Salento nel '600: aspetti pastorali

e attività religiosa, in B. PELLEGRINO - M. SPEDICATO (a cura di), Società, congiunture demogra-fiche e religiosità in Terra d’Otranto nel XVII secolo (= Pubblicazioni del Dipartimento di stu-di storici dal medioevo all’età contemporanea dell’Università degli studi di Lecce, 14), Gala-tina 1990, pp. 201-227 [consultabile online sul sito della diocesi di Ugento-S.Maria di Leuca, al link: http://www.diocesiugento.org/news.aspx?id=39470a90-51b8-4a10-b6cc-17eb81704 bc5&sez=UFF15].

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no orientamenti precisi per l’Europa moderna e per i paesi coinvolti nella co-

lonizzazione degli altri continenti.

La piccola diocesi ugentina, come tante altre del regno di Napoli, era

dentro quella “geografia cattolica” del Seicento, governata da un viceré dei

sovrani della grande Spagna creata da Carlo V (1516-1556). Dal 1580 al 1640

ad essa fu aggregato il Regno di Portogallo di cui era nativo Agostino Bar-

bosa. Questi rappresentò nel modo più eccellente l’era tridentina della Chie-

sa collocata dentro regni e principati cattolici; in questi contesti egli visse ed

operò da grande studioso e da vescovo.

Si può dire che egli fu il più dotto dei vescovi arrivato ad Ugento in età

moderna anche se il suo governo fu il più breve del Seicento e dell’intera

cronotassi episcopale del basso Salento5. La sua permanenza di alcuni mesi

ha lasciato segni significativi. La benefica istituzione della parrocchia a Ge-

mini rivela la fecondità del dettato tridentino, dal Barbosa profondamente

e ampiamente studiato e organizzato. Il principio che nella Chiesa legge su-

prema è la salus animarum e che essa è affidata alla cura pastorale svolta

direttamente e personalmente dai vescovi e dai parroci del loro territorio,

ebbe nel Barbosa il più convinto assertore. A titolo delle due opere più fa-

mose che egli dedicò all’attività del vescovo e del parroco, pose la solleci-

tudine pastorale che doveva caratterizzare la loro esistenza tra le popola-

zioni cristiane e che legittimava la loro riconosciuta e apprezzata autorità.

* * *

5 Di rilievo è pure la personalità del vescovo alessanese Celso Mancini: cfr. S. PALESE, Celso

Mancini vescovo tridentino di Alessano (1597-1612), in La seconda chiesa matrice di Tricase nel Sei-Settecento. Convegno di studi a Tricase, 19 giugno 1999, a cura di S. PALESE - M. BAR-BA, (= Società e Religione, 19), Galatina, Congedo 2001, pp. 75-97 [consultabile online sul si-to della diocesi di Ugento-S.Maria di Leuca, al link: http://www.diocesiugento.org/ news.aspx?id=60d9ce87-f95c-4505-9be3-389069263b90&sez=UFF15]; O. NUCCIO, Celso Man-cini interprete del riformismo cattolico. Aspetti del pensiero politico e sociale, ivi, pp. 49-74.

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Barbosa raggiunse la sua diocesi il 10 maggio 1649. Lo mandavano re Fi-

lippo IV (1622-1665) re di Spagna e Portogallo, e papa Innocenzo X (1643-

1655). Aveva 59 anni. Era nato a Guimaraens il 17 settembre 1590, nell’ar-

cidiocesi di Braga in Portogallo. Qui forte era l’eredità morale lasciata

dall’arcivescovo domenicano Bartolomeo de Martyribus (1559-1590), emi-

nente riformatore della sua Chiesa e personalità di spicco negli ultimi mesi

del terzo periodo del concilio di Trento ed autore dello Stimulus pastorum

(Romae 1564), opera molto apprezzata e diffusa per la configurazione mo-

derna che veniva data del vescovo (H. Jedin)6. Quella diocesi rinnovata dal

grande arcivescovo fu la sua chiesa matrice.

A Braga, nel 1611, Barbosa giovanissimo aveva pubblicato un Dictio-

narium lusitano-latinum per la gioventù studiosa e lo aveva dedicato allo

storiografo ufficiale di re Filippo III (1598-1621). Il 19 settembre 1615 era

stato ordinato prete e poi aveva visitato diverse università europee. L’anno

seguente 1616 aveva conseguito la licentia ubiqua docendi in diritto canoni-

co e civile a Coimbra e per due anni presso questa ben nota università aveva

insegnato diritto pontificio. Nel 1618 aveva pubblicato a Lisbona un podero-

so volume Remissiones doctorum in varia loca concilii tridentini, in cui egli

dava una prima trattazione organica della disciplina proposta da quel conci-

lio e numerose furono le sue edizioni in Spagna, Francia e Paesi Bassi. Il gio-

vane autore si era imposto all’attenzione di molti, con la sua solida scienza

canonistica.

Così si era trasferito a Roma, dove nel gennaio 1621 papa Paolo V lo ave-

va nominato tesoriere maggiore della chiesa collegiata del suo paese di ori-

gine. Il 3 luglio seguente aveva conseguito presso l’ateneo romano il dotto-

rato in utroque iure. Il 6 luglio la sua opera era stata inserita nell’Indice dei

libri proibiti; egli poi l’aveva rielaborata e la sua fama era stata consacrata

6 Su Bartolomeo De Martyribus e sulla riforma cattolica in Portogallo, cfr. H. JEDIN, Il tipo

ideale di vescovo secondo la riforma cattolica (1942), Morcelliana, Brescia 1950, pp. 76-8’; id. Il Concilio di Trento, vol. VII/2, Morcelliana, Brescia 2010

2; J. P. PAIVA, Un episcopato vigi-

le. Portogallo, secoli XVI-XVIII (= Medit Europa, 9), ed italiana a cura di P. NESTOLA, Edizioni Grifo, Lecce 2013.

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dalla nomina di consultore della Congregazione dell’Indice, da parte del

nuovo papa Barberini, Urbano VIII (1623-1643).

A Roma egli era rimasto per circa un decennio: fu un periodo di intenso

lavoro. Nel 1623 egli aveva pubblicato Sollecitudinis pastoralis seu de offi-

cio et postetate episcopi tripartita descriptio che ebbe altre edizioni in Ita-

lia e in Francia; nel 1626 il Collectanea doctorum tam veterum quam recen-

siorum in ius pontificium universum in quattuor tomos divisa; nello stesso

anno Selectae iuris universi interpretationes addendae collectaneis docto-

rum super quinque prioris Decretalium libros; nel 1632 aveva continuato il

Sollecitudinis pastoralis seu de officio et potestate parochi che trovò altre

edizioni in Francia e in Italia; nello stesso anno 1632 il De canonicis aliisque

inferioribus beneficiariis cathedralium et collegiarum ecclesiarum eorom-

que officiis tam in choro quam in capitulo. Era davvero immensa questa at-

tività. Si diceva della sua eccezionale memoria: egli scriveva di notte quan-

to leggeva di giorno nelle biblioteche ecclesiastiche di Roma. Era poi

tramandata la fama della sua vita molto sobria e della sua indole affabile e

della sua modestia.

Nel 1632 si era trasferito a Madrid presso re Filippo che l’aveva preso

nella sua protezione. Lì lo aveva raggiunto la nomina pontificia di proto-

notario apostolico fattagli il 24 febbraio 1633. Ed erano continuate le edizio-

ni. A Lione nel 1634 aveva pubblicato il Tractatus de iure ecclesiastico uni-

verso in quo de personis et locis ecclesiasticis plenissime agitur tomi duo; il

Collectanea bullarii aliarumque pontificum constitutionum, necnon praeci-

puarum decisionum quae ab apostolica Sede ac de sacris congregationibus S.

R. E. Cardinalium Romae celebratis usque ad annom 1633 emanarunt; aveva

rieditato il Collectanea doctorum qui in suis operibus varia loca concilii inci-

denter tractarunt. Anche quest’opera fu inserita nell’Indice dei libri proibiti.

Nel 1644 aveva pubblicato sui curiali ed infine nel 1645 aveva pubblicato il

Juris Ecclesiastici universi libri tres, l’opera sua più famosa dedicata al suo re.

L’elenco delle sue opere è più lungo. Di questa intensa attività culturale sa-

rebbe interessante leggere le ragioni ed i percorsi nelle introduzioni dei suoi

scritti.

Questi, il 4 luglio 1648 lo prescelse per il vescovado di Ugento, secondo il

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concordato del 1529, chiese la conferma canonica a papa Innocenzo X7. Nel

processo romano per la nomina egli aveva preso le condizioni delle popola-

zioni della diocesi ugentina. Il papa lo nominò il 22 marzo 1649 e lo fece or-

dinare vescovo dal cardinale spagnolo Alfonso Bonavides y Mendoza vesco-

vo di Palestrina, con l’assistenza dell’arcivescovo Gianbattista Spinola di

Acerenza e Matera e del vescovo Cesare Spennazzi di Fiorentino, il 5 aprile.

Il 17 aprile si mise in viaggio, possiamo immaginare nei suoi bagagli quanto

spazio occuparono i tomi delle sue opere.

* * *

Del suo breve governo episcopale, iniziato il 10 maggio, come si è detto il

fatto principale, fu l’istituzione della parrocchia di Gemini, compiuto in po-

che settimane, nell’agosto seguente: fu il lascito più prezioso per quelle po-

polazioni. Lì è stata conservata una teca eucaristica con lo stemma del ve-

scovo: doveva servire a portare l’eucarestia agli ammalati del paese e agli

abitanti delle masserie nel feudo circostante in quel luogo.

Il 21 agosto 1649 il Barbosa con il suo seguito si recò in visita pastorale a

Gemini, una piccola località a due miglia dalla città episcopale di Ugento, di

cui i vescovi avevano pure il titolo baronale. La chiesa di S. Maria del soccor-

so aveva il titolo di parrocchia rurale, con cinque altari dove erano onorati i

santi Pietro, Lucia ed Agata, Cosma e Damiano, Antonio Abate e poi le Ma-

donne del soccorso e del rosario. Lì aveva sede la confraternita omonima:

dal verbale risultò tutto in ordine e in condizioni adeguate al sacro culto, sia

pure in rozze forme contadine.

Al vescovo, nei giorni precedenti era stato presentato il lamento degli abi-

tanti dei feudi di Gemini e di Pompignano, cento fuochi con più di duecento

residenti: la cura pastorale affidata ai canonici della cattedrale ugentina era

deficiente. Infatti c’erano stati dei morti senza sacramenti, il viatico doveva

essere portato da Ugento e molto tempo era necessario per raggiungere i fe-

7 Sulla sua nomina e su quella dei predecessori e successori, cfr. M Spedicato, Il mercato

della mitra. Episcopato regio e privilegio dell’alternativa nel Regno di Napoli in età spagnola (1529-1714), Cacucci ed, Bari 1996, pp. 121-126.

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deli dispersi nelle masserie a due e cinque miglia. Gli abitanti chiedevano un

parroco per loro nella chiesa suddetta e la richiesta scritta da un esperto cu-

riale o suggerita dallo stesso vescovo, faceva riferimento alla disposizione del

concilio tridentino che dava ampie facoltà al vescovo diocesano.

Due giorni dopo l’Assunta il Barbosa procedette all’interrogatorio di un

fra Cornelio Panico da Casarano, residente lì da ventidue anni; questi con-

fermò quanto esposto ed aggiunse che per il precetto pasquale quei conta-

dini delle masserie e lavoranti tutto il giorno nei campi, si erano recati ad

Ugento, ma non avevano potuto seguire la predicazione quaresimale. Altre

deposizioni furono ascoltate: un contadino di masseria fece l’elenco nomi-

nativo dei morti senza sacramenti degli ultimi tempi; un altro precisò la diffi-

coltà di osservare il precetto festivo della messa; un quarto ripetette lagnan-

ze e le stesse esigenze.

Si trattava delle formalità giuridiche, perché il giorno prima il vescovo

aveva firmato il decreto costitutivo della parrocchia, accertando le motiva-

zioni addotte nella richiesta, ed aveva pure scelto il prete ugentino Vincenzo

Greco come parroco di quel luogo. Questi, dalla prova degli esaminatori si-

nodali fatta il 19 agosto, era risultato idoneo alla cura pastorale per scienza,

virtù e costumi. Frattanto era stata accettata la donazione di Angelo Lezzi

che aveva lasciato i suoi beni alla chiesa di s. Maria del soccorso, morendo

due settimane prima: questi beni, diligentemente inventariati, potevano co-

stituire il beneficio parrocchiale che venne costituito il 26 agosto. La bolla

vescovile del 1 settembre definì il completo assetto della nuova parrocchia,

il cui territorio venne staccato dalla parrocchia della cattedrale ugentina.

Il 19 novembre 1649 morì e fu da tutti compianto, com’è scritto nel ri-

cordato epitaffio. Si dice sempre così, ma probabilmente corrisponde al vero

per il vescovo venuto di corsa dal Portogallo tra la sua gente, con sollecitu-

dine pastorale. E fu sepolto nella cattedrale come lo attesta il fratello Ema-

nuele nel 1651 nell’epitaffio lasciato per il sepolcro8.

8 Nel luglio 2005 il signor. Luciano Antonazzo ha fatto dono all’Archivio Storico Diocesano di

Ugento della copia del testo manoscritto dell’epitaffio. Non è certo che sia autografo del fratello Samuele, probabilmente venuto ad Ugento. Questi era canonico e teologo illustre.

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Delle sue cose pervenute nel tesoro della cattedrale si conosce e si con-

serva ancora nel Museo diocesano il reliquario della santa Croce che era pu-

re ostensorio dell’Eucarestia, in ottone dorato e la raggiera e la croce sovra-

stante l’insieme in argento. Il suo stemma racchiuso nell’attestazione

Augustinus Barbosa episcupus uxentinus è la conferma del dono che perdu-

ra. Alcuni tomi delle sue opere sono conservate nella biblioteca del semina-

rio vescovile di Ugento.

* * *

La sua fama perdurò nel basso Salento: nella biblioteca suddetta sono

conservate le due opere della pastorale sollecitudine, del vescovo e del par-

roco nelle edizioni di Venezia del 1726. Del resto a Lione fu ristampata

l’opera omnia in 19 volumi in folio negli anni 1657-1675, ed un'altra edizione

fu fatta in 20 volumi in folio nel 1698-1716. Ed altre furono compiute di sin-

gole opere.

Nella libreria portata con se ad Alessano dal vescovo Giovanni Giannelli,

e nella libreria lasciata dallo stesso ed inventariata l’8 gennaio 1743, furono

numerati 10 volumi in folio, tra i quali quello sui canonici e quello sull’ufficio

del vescovo. Quest’ultimo si trovava pure nella libreria lasciata dal successo-

re Dionigi Latomo Massa alla sua morte, inventariata in data 9 gennaio

17809.

Entrambi erano figli del celebre giureconsulto Emanuele, autore anch’esso di dotte opere. Cfr. G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, 83, Venezia 1857, p. 4-5. Altrettanto breve fu l’episcopato del teatino napoletano Andrea Lanfranco, successore del Barbosa, eletto il 17 dicembre 1650 morì alla fine del 1651. Pure breve fu quello del carme-litano spagnolo Lorenzo Engines, dopo otto anni di vacanza della sede, nominato il 23 giu-gno 1659 e morto il 23 novembre 1660; di questi non si fa cenno in E. BOAGA - S. PALESE, Pre-senza carmelitana e devozione mariana in età moderna nella diocesi di Ugento del Basso Salento, in «Bollettino Diocesano S. Maria De Finubus Terrae», 75 (2012), pp. 549-564 e in «Archivio Storico Pugliese», 76 (2013), pp. 71-83. 9 I documenti notarili riguardanti i vescovi alessanesi ed il canonico Roberti sono conservati

nell’Archivio di Stato di Lecce, nelle rispettive sezioni notarili; sono consultabili in fotocopia ad Alessano, BIBLIOTECA COMUNALE, ARCHIVIO A. CALORO, VII, fascc. 2, 6, 11; XII, fasc. 9.

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L’opera del Barbosa “sopra del Concilio di Trento” in edizione veneziana

è menzionata nel testamento del canonico Pasquale Roberti di Alessano del

1777 e quattro opere sono conservate pure a Gagliano nella biblioteca

dell’abate Francesco Coppola (1751-1820), presso la sua famiglia.

Da ultimo, una copia delle Remissiones Doctorum de dictionibus et clau-

solis in utroque iure contentis, edita a Roma nel 1621, è nella biblioteca del

card. Giovanni Panico (1895-1962)10, presso l’omonima fondazione a Tricase,

ricevuta in dono durante gli anni della nunziatura a Lisbona (1959-1962).

L’autorità di Barbosa perdurò nell’Ottocento, come si può dedurre dai ri-

ferimenti alla sua dottrina teologica, canonistica, liturgica, che ricorrono ne-

gli ottantacinque volumi del Dizionario di erudizione storico ecclesiastica di

Gaetano Moroni, completato nel 1857; i riferimenti a lui e al suo pensiero

sono nel primo volume degli indici, edito a Venezia nel 1878.

E di lui si parla negli strumenti della ricerca scientifica del Novecento, di-

zionari scientifici ed enciclopedie editi in Francia e in Italia.

* * *

Se il risultato di questa nota memoriale “ugentina” è valsa a ricordare

che il più colto canonista del Seicento finì nel Salento estremo a fare il ve-

scovo, l’ideale della sollecitudine pastorale che caratterizzò la sua lunga e-

sperienza culturale, può suscitare utili pensieri in molti, all’inizio del terzo

millennio cristiano. E quel monumento e l’ostensorio della cattedrale ugen-

tina, insieme con la teca eucaristica di Gemini, potranno originare ammira-

zione e gratitudine.

10

Sono grato alla signora Giuseppina Coppola di Gagliano datemi circa le librerie dell’abate Coppola; sono pure grato al dott. Carlo Vito Morciano per le informazioni inerenti la biblioteca del card. G. Panico; cfr. ARCHIVIO DELLA PIA FONDAZIONE DI CULTO E

RELIGIONE CARD. G. PANICO DI TRICASE, Inventario Topografico Biblioteca card. Giovanni Panico a cura di Carlo V. Morciano, Tricase Luglio 2012, p. 4.

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APPENDICE*

A cura di Carlo Vito Morciano

Fig. 1

Navata della cattedrale di Ugento.

Monumento marmoreo commemorativo di Agostino Barbosa fatto innalzare nel 1883 da Gennaro Maria Maselli vescovo di Ugento. L’epigrafe sostituì la lapide funeraria originale apposta nel 1651 dal fratello del presule lusitano Simon Vaz. In alto campeggia l’arme ve-scovile del Barbosa, assieme all’ovale del suo ritratto.

* Si ringraziano il parroco della cattedrale di Ugento, don Rocco Frisullo; il parroco di

Gemini, mons. Mimmo Ozza; il direttore del museo diocesano di Ugento, don Gianluigi Marzo; il direttore della biblioteca diocesana “mons. Vito Tonti” del seminario di Ugento, mons. Beniamino Nuzzo, per aver acconsentito la pubblicazione del seguente materiale.

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D(EO) O(PTIMO) M(AXIMO)

AUGUSTINO BARBOSAE I.C. PATRIA LUSITANO EX URBE VIMARENSI EMANUELIS BARBOSA E I.C. CELEBERRIMI

ET IN REGNO LUSITANIA E REGII PROCURATORIS FILIO

INGENIO DOCTRINA ERUDITIONE DISCENDI CUPIDITATE

LIBRIS ETIAM IN ADOLESCENTIA EDITIS ADMIRABILI

QUI ROMAE PONTIFICII IURIS VOLUMINA XX DUO DE IURE CIVILI DEDIT IN LUCEM OCTO

ALIA POSTUMA RELIQUIT EDENDA QUIQUE AB URBANO VIII VIMARENSIS ECCLESIAE

THESAURARIUS A PHILIPPO IV REGE CATHOLICO OB EXIMIA MERITA

DOCTRINAEQ(UE) FAMAM AD EPISCOPATUM UGENTINUM ELECTUS

AB INNOCENTIO X MAGNIS CUM LAUDIBUS APPROBATUS NON SINE DOLORE DOCTISSIMORUM HOMINUM

OVIUMQ(UE) SUAR(UM) FLETU INTRA CURAE PASTORALIS ANNUM

EXTINCTUS EST ANNO SALUTIS HUMANAE MDCXLIX AETATIS SUAE LX

DIE XIX NOVEMBRIS VIVET IN SUAR. FAMA VIRTUTUM ET IN SUORUM OPERUM

AETERNITATE SEMPER IMMORTALIS SIMON VASIUS BARBOSA VIMARENSIS CANONICUS

GERMANUS FRATER AMANTISSIMO FRATRI TAMQUAM PARENTI

CUM LACRYMIS POSUIT A.D. MDCLI

_______________________

MARMOREUM HOC MONUMENTUM MELIORI CULTU EXORNATUM

E VETERE LOCO

FR. IANUARIUS MARIA PRAESUL MASELLI HUC PONENDUM CURAVIT

A.D. MDCCCLXXXIII Fig. 2 Navata della cattedrale di Ugento. Trascrizione dell’epitaffio del monumento marmoreo commemorativo di Agostino Barbosa.

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Fig. 3 Navata della cattedrale di Ugento

Ritratto ovale del vescovo Agostino Bar-bosa risalente con molta probabilità al mo-numento funerario seicentesco. Si possono cogliere diverse analogie con il ritratto inci-so a Roma nel 1622, in particolare l’ango-lazione del volto, il naso, gli evidenti lumeg-gi sugli zigomi e sul processo frontale sini-stro, il colletto e la parte superiore del-l’abito.

Fig. 4

Incisione Greuter

L’incisione risale al 1622 per mano

di Johann Friedrich Greuter, artista già accreditato a Roma nel 1619. Vicino agli ambienti ecclesiastici capitolini, Greuter realizzò la lastra in occasione della stampa del Pastoralis solicitudinis sive de officio, et potestate episcopi, pubblicato in prima edizione dalla Stamperia Camerale di Roma nel 1623.

Come suggerisce il cartiglio, il Bar-bosa venne ritratto all’età di 32 anni, già riconosciuto come insigne ecclesia-stico di Guimarães. Tra le dita regge un libro, attributo dell’uomo letterato; infatti l’incisione venne realizzata po-chi mesi dopo il conseguimento del dottorato in utroque iure a Roma.

Con la nomina a protonotario apo-stolico, il Barbosa poté fregiare la sua arme con il galero a sei nappe, come si evince dallo stemma in calce.

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Fig. 5

Museo Diocesano di Ugento

Un tempo conservata presso il palazzo vescovile di Ugento, la tela (cm. 98,5 x 79) raffigu-

ra Agostino Barbosa in veste di prelato ed intento a vergare il manoscritto del Collectanea doctorum in universum ius canonicum. Il ritratto venne realizzato nel 1882 a spese del ca-nonico ugentino Giuseppe Colosso. L’opera ricalca l’effigie ovale secentesca conservata presso la cattedrale e riporta in calce l’iscrizione dipinta: AUGUSTINUS BARBOSA EP. UXEN OBIIT A. S. 1649 XIX NO. ÆTATIS SUÆ LX / VIVET IN FUTURUM FAMA VIRTUTUM JOSEPH COLOSSO CANTOR ET PRIMA DIGNITAS / ET IN SUORUM OPERUM ÆTERNITATE TANTI PRÆ-SULIS NIMIS ADMIRATOR SUA / SEMPER IMMORTALIS IMPENSA HOC SIGNUM P. A. D. MDCCCLXXXII.

L’arme riportata nel dipinto ottocentesco è di notevole importanza, in quanto ripropone gli originali colori araldici dello stemma vescovile.

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Elenco delle opere di Agostino Barbosa conservate presso la Biblioteca diocesana “mons. Vito Tonti” del seminario di Ugento. Iuris ecclesiastici universi libri tres: in quorum 1. De personis. 2. De locis. 3. De rebus ecclesiasticis plenissimè agitur. Auctore Augustino Barbosa. Sumptibus Laurentii Durand, Lugduni 1634; 32 x 24, 5 Collectanea doctorum tam veterum, quam recentiorum, in ius pontificium uniuersum. Tomus primus, in quo duo priores Decretalium libri continentur. Auctore Augustino Barbosa I.V.D. Lusitano. Sumptibus Laurentii Durand, Lugduni 1637; 32 x 24, 5 Collectanea doctorum tam veterum, quam recentiorum, in ius pontificium uniuersum. Tomus secundus, in quo tertius, et quartus Decretalium libri continentur. Auctore Augustino Barbosa I. V. D. Lusitano. Sumptibus Laurentii Durand, Lugduni 1637; 32 x 24, 5 Collectanea doctorum tam veterum, quam recentiorum, in ius pontificium uniuersum. Tomus tertius, in quo quintus Decretalium liber continetur. Auctore Augustino Barbosa I. V. D. Lusitano. Sumptibus Laurentii Durand, Lugduni 1637; 32 x 24, 5 Collectanea doctorum tam veterum, quam recentiorum, in ius pontificium uniuersum. Tomus quartus, in quo quinque libri sexti Decretalium, Clementinae item, et Extrauagantes tum viginti Ioannis papae 22. tum etiam communes continentur. Auctore Augustino Barbo-sa I. V. D. Lusitano. Sumptibus Laurentii Durand, Lugduni 1637; 32 x 24, 5 Collectanea doctorum tam veterum, quam recentiorum, in ius pontificium uniuersum. To-mus quintus, in quo continentur Decretum Gratiani. Auctore Augustino Barbosa I.V.D. Lusi-tano. Sumptibus Laurentii Durand, Lugduni, 1637; 32 x 24, 5 Augustini Barbosae Lusitani V. I. D. protonotarii apostolici necnon in sacra indicis congrega-tione […] Summa apostolicarum decisionum, extra ius commune vagantium. Apud Paulum Baleonium, Venetiis 1646; 33 x 23 Augustini Barbosae I. V. D. Lusitani, protonotarii apostolici, & sacrae congregationis indicis consultoris : Pastoralis Solicitudinis sive de officio, et potestate parochi, tripartita descriptio […]. Haered. Petri Prost, Philippi Borde & Laurentii Arnaud, Lugduni 1647; 36 x 23,5 Augustini barbosae I.V.D. Lusitani Protonotarii Apostolici, […] Pastoralis Solicitudinis Sive De Officio, Et Potestate Parochi: Apud Benedictum Milochum, Venetiis 1676; 23 x 17 Augustini Barbosae, J. V. D. Lusitani Protonotarii Apostolici, olim s. Congregationis Indicis Consultoris et insigne Ecclesiae Vimarensis Thesaurii Majoris; nunc vero episcopi Ugentini. Pastoralis Solicitudinis Sive de officio et Potestate Episcopi tripartita Descriptio. Apud Nata-lem Feltrini in Via Mercatoria sub Signo Virtutis Coronatae, Venetiis 1707; 34 x 24

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Fig. 6 Biblioteca diocesana “mons. Vito Tonti” del seminario di Ugento

Tra il Cinquecento ed il Seicento, la stampa e la circolazione dei libri di natura giuridica si

concentrava principalmente sull’asse Lione-Venezia. Nel sec. XVII, anche le opere del Barbo-sa vennero stampate da diversi editori veneti e lionesi; di quegli anni, presso la Biblioteca diocesana di Ugento, si conservano sette seicentine del Barbosa prodotte a Lione e due a Venezia, da stampatori importanti, come Benedetto Miloco e Paolo Baglioni, e non di meno i transalpini Laurent Durand, Philippe Borde e Laurent Arnaud.

Proprio ai torchi dell’officina dei soci Philippe Borde, Laurent Arnaud ed eredi di Pierre Prost, risale il Pastoralis Solicitudinis sive de officio, et potestate parochi di Agostino Barbo-sa, stampato a Lione nel 1647 e conservato ad Ugento. Si tratta di un volume “rosso e ne-ro”, nome che i librai e i bibliofili davano alle opere dal frontespizio stampato a due colori. Nella marca tipografica fa scena l’allegoria della “semina delle virtù”; infatti, la Fortuna è intenta a gettare i semi sul campo, mentre il Tempo spinge l’aratro sostenuto da Pallade in veste di virtù della saggezza. Il motto inciso fa da cornice: Semina Fortunae Geminat cum Tempore Virtus; in basso, inserito nello stemma ovale, è inciso il monogramma fonogram-matico dell’officina lionese, con in mostra tutte le lettere dei nomi dei maestri stampatori.

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Figg. 7-8-9

Archivio Storico Chiesa Matrice di Gemini

Sono riprodotti l’incipit e la datatio (c. 251) della copia dell’editto di fondazione della

parrocchia di Gemini, emanato dal vescovo Agostino Barbosa il primo settembre 1649 ad Ugento e rilegata in calce al registro Baptizatorum Liber / ab anno 1740 usque ad annum 1780 (cc. 240-252, cm. 32 x 21); copia autenticata da Arcangelo Maria Ciccarelli, vescovo di Ugento, il 28 agosto 1744 (c. 252

v).

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Fig. 10

Museo diocesano di Ugento

Appartenente al tesoro della cattedrale di Ugento, l’ostensorio in argento venne fatto rea-lizzare a Napoli nel 1649 dal vescovo Agostino Barbosa, come dimostra l’epigrafe posizionata sotto il piede “AUGUSTINUS BARBOSA EPS. UGENTINUS” e la sua insegna incisa. Dopo il 1819, l’ostensorio ha mutato la sua destinazione d’uso in reliquario per poter ospitare un pezzo della santa croce; la variazione risale pro-babilmente agli anni di episcopato di mons. Francesco Bruni, come testimonia l’impressione araldica del sigillo d’autentica della reliquia.

Fig. 11

Tesoro della chiesa matrice di Gemini

La teca eucaristica argentea misura un diametro di cm. 8,3 e di altezza 2,5. Sul coperchio è incisa l’arme vescovile di Agostino Barbosa. (Segnalazione di S. TANISI)

Repertorio fotografico:

Fig. 1, 3, 4, 6, 7, 8, 9 cortesia di Carlo Vito Morciano; fig. 5, 10, 11 cortesia di Stefano Tanisi.

Bibliografia:

S. CORTESE (a cura di), La fede e l’arte esposta. Catalogo del Museo Diocesano di Ugento, Domus Dei, Ugento 2015, pp. 64-65 (scheda a cura di C.V. MORCIANO), pp. 90-92 (scheda a cura di S. CORTESE), pp. 150-154 (schede a cura di C.V. MORCIANO); R. POSO - P. PERI (a cura di), Arredi preziosi. Argenti e tessuti sacri: Ugento, Presicce, Acquarica del Capo, Grafema, Ta-viano 1999; pp. 45-46.

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AGENDA PASTORALE DEL VESCOVO

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Oltre alle attività quotidiane di Curia, durante il primo semestre 2015, il vescovo mons.

Vito Angiuli:

1 gennaio presiede il solenne pontificale in Cattedrale in occasione della solennità di Maria SS. Madre di Dio, mettendo sotto la sua materna protezione tutta la diocesi all’inizio del nuovo anno solare.

2-5 gennaio in mattinata partecipa ai lavori del 5° convegno teologico pastorale su Mistero Grande: “Per la grazia del Sacramento delle nozze”, a Sacrofano (Rm).

5 gennaio nel pomeriggio presiede a Tricase la celebrazione eucaristica con i familiari del clero diocesano e, in seguito, partecipa alla presentazione di un nuovo libro del prof. Margiotta presso il palazzo baronale di Tiggiano.

6 gennaio in occasione della solennità della Epifania del Signore, presiede il solenne pontificale nella Cattedrale di Ugento e nel pomeriggio partecipa alla conce-lebrazione eucaristica per il 25° anniversario di ordinazione episcopale di s. e. mons. Domenico D’Ambrosio, arcivescovo metropolita di Lecce.

7 gennaio presiede la santa eucarestia in occasione del 25° anniversario di ordinazione sacerdotale di don Paolo Congedi, presso la chiesa dei SS. Apostoli in Tauri-sano.

8 gennaio incontra la stampa locale a Ruffano per il “Festival di musica sacra”. 9 gennaio in mattinata partecipa al ritiro mensile del clero, predicato da don Giulio

Meiattini, osb, presso la Basilica di Leuca; al termine dell’incontro, si intrattie-ne con i sacerdoti convenuti in un pranzo fraterno.

10 gennaio partecipa a Salve, in Chiesa Madre, a un concerto per organo. 11 gennaio predica un ritiro spirituale alle le suore Marcelline di Tricase; nel pomeriggio

presiede la S. Messa a Ruffano, presso la chiesa della Natività di Maria e a se-guire partecipa nella vicina chiesa del Buon Consiglio al concerto di organo, a conclusione del restauro effettuato.

14 gennaio presiede la S. Messa a Miggiano, durante la novena in preparazione alla so-lennità di S. Vincenzo, patrono della comunità.

15 gennaio a Ugento, presso la chiesa di S. Giuseppe, presiede la celebrazione eucaristica con i componenti dell’associazione “Figli in Paradiso”, esprimendo, ancora una volta, la propria vicinanza ai familiari di ragazzi scomparsi in giovane età.

16 gennaio a Bari, presiede il convegno catechistico regionale. 17 gennaio Incontra, presso il Seminario regionale di Molfetta, i delegati delle diocesi pu-

gliesi e altri convenuti per presentare il documento preparatorio del conve-gno ecclesiale nazionale di Firenze.

18 gennaio presiede l’Eucarestia in Cattedrale e istituisce nuovi ministri straordinari per le parrocchie della diocesi; nel pomeriggio, presso il monastero delle Clarisse di Alessano, apre la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

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19 gennaio presso la parrocchia di Tiggiano, in occasione della solennità di S. Ippazio, pre-siede la celebrazione eucaristica per l’unità dei cristiani.

20 gennaio partecipa a Taurisano a una conferenza sull’ecumenismo tenuta da mons. Yo-annis Spiteris, arcivescovo di Corfù.

21 gennaio presiede i primi vespri nella solennità di San Vincenzo, nella Cattedrale di U-gento, alla presenza del clero ugentino, del seminario vescovile e di numerosi fedeli.

22 gennaio solennità di San Vincenzo, diacono e martire, patrono della diocesi; in matti-nata, come ormai di consueto, incontra presso il seminario l’intero clero dio-cesano ed i sindaci dei paesi della diocesi, al fine di discutere insieme circa le problematiche e le opportunità del nostro territorio, e presiede il solenne pontificale in Cattedrale; nel pomeriggio, partecipa alla processione per le vie della città.

23 gennaio al mattino incontra i preti giovani per il consueto incontro di formazione; la riflessione è guidata da don Angelo Panzetta, preside della Facoltà Teologica Pugliese; nel pomeriggio, a Morciano di Leuca, presiede la processione e la S. Messa in occasione della festa in onore di San Giovanni Elemosiniere, patrono del paese.

24 gennaio presiede l’Eucaristia e guida la catechesi presso il monastero delle Clarisse Cappuccine di Alessano, per la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

25 gennaio partecipa alla veglia ecumenica presso il monastero di Alessano e in serata partecipa all’incontro del movimento dei “Cursillos” presso la parrocchia Sa-cro Cuore di Ugento.

29 gennaio partecipa a un incontro culturale nell’aula magna delle opere parrocchiali del-la cattedrale di Ugento, in occasione della rassegna “Fides et Ratio”.

31 gennaio nel tardo pomeriggio incontra tutti i giovani della diocesi, presso l’oratorio San Giovanni Bosco di Ugento, in occasione della festa del santo dei giovani.

* * *

1 febbraio preside un’entusiasmante veglia in occasione della giornata nazionale per la vita, presso il santuario della Madonna di Leuca, durante la quale diverse coppie accendono il cuore dei fedeli con le loro testimonianze di accoglienza della vita, dal suo sbocciare al suo naturale compimento.

2 febbraio in occasione della festa della presentazione al tempio di Gesù, dà l’avvio all’anno di riflessione e di preghiera per la vita consacrata, in comunione con la Chiesa universale; dopo aver benedetto le candele nella chiesa dell’Assunta in Ugento, si reca processionalmente in Cattedrale per la celebrazione eucari-stica; alla celebrazione sono presenti tutte le congregazioni religiose maschili e femminili della diocesi, oltre ai vari istituti secolari presenti nel territorio diocesano.

3-5 febbraio è a Bari per la riunione della Conferenza Episcopale Pugliese.

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5 febbraio nel pomeriggio incontra i delegati delle parrocchie della forania di Leuca, presso la chiesa di san Francesco in Gagliano del Capo.

6 febbraio partecipa a un incontro culturale nell’aula magna delle opere parrocchiali del-la Cattedrale di Ugento, in occasione della rassegna “Fides et Ratio”.

7 febbraio presenzia al convegno sulla ricerca contro le leucemie, i linfomi ed i mielomi, organizzato in occasione dei 10 anni del reparto di ematologia dell’ospedale “Card. Panico” di Tricase, presso il teatro Politeama Greco di Lecce.

8 febbraio presiede la celebrazione eucaristica nella chiesa della Trasfigurazione di N.S.G.C. in Taurisano, durante la quale ammette Salvatore Ciurlia tra i candi-dati agli ordini sacri del diaconato e del presbiterato.

9-11 febbraio partecipa con alcuni sacerdoti della diocesi, a un corso di esercizi spirituali presso il monastero benedettino di Noci (Ba).

12 febbraio in occasione della giornata di preghiera per il malato, in mattinata presiede la S. Messa presso l’ospedale “Card. Panico” di Tricase e nel pomeriggio parteci-pa a un convegno di formazione; in serata incontra i delegati parrocchiali della forania di Taurisano presso il salone della parrocchia Maria Ausiliatrice di Tau-risano.

13 febbraio in mattinata partecipa al ritiro spirituale con il clero diocesano presso la Basi-lica di Leuca; le meditazioni sono tenute da don Giulio Meiattini, osb.

14 febbraio partecipa al concistoro pubblico presso la Basilica di San Pietro in Vaticano, per la creazione a cardinale di mons. Dominique Mamberti.

16 febbraio incontra i delegati parrocchiali della forania di Tricase, presso il salone della parrocchia S. Antonio di Padova di Tricase.

18 febbraio celebra la S. Messa in Cattedrale per dare inizio alla Quaresima con l’austero rito delle sacre ceneri.

19 febbraio incontra gli operatori del Banco delle Opere di Carità presso l’auditorium “Be-nedetto XVI” di Alessano e nel pomeriggio i delegati parrocchiali della forania di Ugento presso l’oratorio di San Giovanni Bosco di Ugento.

20 febbraio partecipa a un ulteriore incontro culturale della Rassegna “Fides et Ratio”, questa volta a Specchia, dentro il castello comunale.

21 febbraio è a Taranto per il secondo incontro regionale dei delegati diocesani, in prepa-razione al convegno ecclesiale nazionale di Firenze.

22 febbraio conferisce il sacramento della cresima a Tiggiano e in serata partecipa all’incontro dei “Cursillos” presso la parrocchia San Giovanni Bosco di Ugento.

23-27 febbraio dirige presso l’auditorium Benedetto XVI di Alessano, l’annuale appuntamen-to della Settimana teologica diocesana, giunto ormai alla 40

a edizione, sul te-

ma “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”; e viene presentato il volume Salvatore Palese (a cura), Don Tonino Bello, canto-

re di Maria donna dei nostri giorni. Convegno di studi (Alessano, 28-25 aprile 2014), (= Theologia Uxentina, 5 delle Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2015).

27 febbraio partecipa a un ulteriore incontro per il convegno nazionale di Firenze. 28 febbraio riapre al culto la chiesa di San Giovanni Battista di Acquarica del Capo con una

solenne celebrazione eucaristica.

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1 marzo presiede l’Eucaristia domenicale presso la Cattedrale.

3 marzo celebra la S. Messa ad Acquaviva delle Fonti presso la parrocchia “Madonna di Costantinopoli”.

7 marzo partecipa a un incontro sugli oratori a Tiggiano; nel pomeriggio celebra la S. Messa a Depressa.

8 marzo conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia “S. Maria delle Grazie” di Tricase e nel pomeriggio in quella di Morciano di Leuca; inoltre presiede l’Eucaristia presso il Santuario di S. M. di Leuca in occasione della giornata di spiritualità delle coppie.

9 marzo partecipa all’inaugurazione dell’organo presso la chiesa Madre di Presicce.

11 marzo partecipa a un incontro sul Sinodo dei vescovi presso il monastero delle Cla-risse di Alessano.

13 marzo partecipa al ritiro spirituale mensile del clero presso la Basilica di S. Maria di Leuca e nel pomeriggio, ad Acquarica del Capo, partecipa a un incontro cultu-rale.

14 marzo tiene un incontro sulla Via Leucadensis a Tiggiano; nel pomeriggio conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia di Presicce e in serata presiede l’Eucaristia nella Basilica di S. Maria di Leuca, a conclusione dell’iniziativa “24 ore per il Signore”, per mezzo della quale numerosi fedeli lungo l’arco della giornata hanno avuto la possibilità di accostarsi al sacramento della Riconci-liazione.

15 marzo celebra il sacramento della Cresima a Depressa; nel pomeriggio, in Cattedrale, incontra tutti i ragazzi della diocesi che nei mesi successivi si accosteranno per la prima volta al Corpo e al Sangue di Cristo.

16 marzo presiede la S. Messa di precetto nella la Basilica di Leuca per i militari della Guardia di Finanza.

17 marzo in Cattedrale presiede la celebrazione eucaristica per tutte le volontarie vin-cenziane della diocesi.

18 marzo celebra la S. Messa nella chiesa parrocchiale “S. Eufemia” di Tricase.

19 marzo Ad Acquarica del Capo presenzia a un incontro culturale.

20 marzo presiede l’assemblea del clero, presso la Basilica di S. Maria di Leuca.

21 marzo nella chiesa Cattedrale incontra i giovani dell’anno propedeutico del semina-rio regionale di Molfetta e presiede la celebrazione dei vespri.

22 marzo conferisce il sacramento della Cresima nella chiesa Madre di Tricase.

25 marzo partecipa a un incontro sul Sinodo dei vescovi presso il monastero delle Cla-risse di Alessano.

26 marzo presiede il Consiglio Presbiterale e il Consiglio Pastorale Diocesano, presso l’auditorium Benedetto XVI di Alessano.

27 marzo in mattinata celebra l’Eucaristia presso la confraternita “S. Antonio” di Ugen-to; incontra i sacerdoti del primo decennio di ordinazione per la formazione mensile insieme a don Angelo Panzetta; nel pomeriggio celebra la S. Messa,

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presso la Cattedrale nella ricorrenza del Venerdì di Passione; in serata parte-cipa a un incontro culturale a Ugento.

28 marzo presenzia a un incontro culturale a Copertino.

29 marzo in mattinata celebra in Cattedrale la S. Messa nella ricorrenza della Domenica delle Palme, partendo processionalmente dalla Confraternita “Madonna As-sunta”, dopo aver benedetto davanti la chiesa i rami d’ulivo; nel pomeriggio riapre al culto la chiesa “Madonna Immacolata” di Patù.

* * *

1 aprile presiede in Cattedrale la solenne concelebrazione eucaristica della Messa Cri-smale, con la presenza di tutto il clero ed di un gran numero di fedeli della diocesi.

2-5 aprile Triduo pasquale, presiede l’ufficio delle letture e le lodi mattutine in Cattedra-le, insieme ai seminaristi teologi e ai sacerdoti ugentini.

2 aprile presiede la S. Messa In Coena Domini in Cattedrale.

3 aprile durante la mattinata confessa in Cattedrale e nel pomeriggio presiede l’azione liturgica In Passione Domini, prima di partecipare alla processione cit-tadina con le statue dei misteri della passione di Cristo.

4 aprile tiene il ritiro spirituale ai seminaristi diocesani studenti di teologia nei semi-nari maggiori; pranza con la “Comunità San Francesco” di Gemini, ospite; nel pomeriggio visita gli ammalati dell’hospice “Casa Betania” presso l’ospedale di Tricase e presiede i vespri con la comunità delle Clarisse Cappuccine di A-lessano; alle 22.30 presiede la solenne Veglia Pasquale in Cattedrale.

5 aprile solennità di Pasqua: presiede il Pontificale in Cattedrale.

7 aprile nella chiesa “Cristo Redentore” di Tiggiano ammette Luca Abaterusso tra i candidati agli ordini sacri del diaconato e del presbiterato.

8 aprile partecipa, presso il castello medievale di Acquarica del Capo, all’incontro cul-turale della rassegna Fides et Ratio, dal titolo “L’Europa tra nichilismo e fana-tismo economico”, tenuto dal prof. Diego Fusaro.

11 aprile presiede la celebrazione eucaristica a Taurisano nella parrocchia “S. Maria Goretti e Giovanni Battista”, in occasione del 4° anniversario della traslazione della Serva di Dio Mirella Solidoro, e benedice il nuovo salone parrocchiale; in serata partecipa ai laboratori di pastorale giovanile presso l’auditorium Bene-detto XVI di Alessano.

12 aprile presiede la S. Messa nella parrocchia “S. Maria delle Grazie” di Tricase in oc-casione della festa patronale; nel pomeriggio celebra l’Eucaristia all’Istituto dei Padri Trinitari di Gagliano, presenti un gruppo di disabili, appartenenti al CVS, e alla “Comunità Adelfia” di Alessano, radunatisi per un incontro sulla ca-techesi ai disabili; in serata conferisce la Cresima ai ragazzi della parrocchia “S. Cuore” di Ugento.

13 aprile nella Basilica di Leuca concelebra l’Eucaristia, presieduta dal card. Salvatore De Giorgi, in occasione della festa liturgica di S. Maria De finibus terrae; nel

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pomeriggio celebra la S. Messa presso la chiesetta “Madonna del Casale” di Ugento.

14 aprile partecipa ad Alessano insieme al vaticanista Luigi Accattoli a un convegno or-ganizzato dalla Fondazione don Tonino Bello, sul parallelismo tra don Tonino e Papa Francesco.

16 aprile presenta a Galatina il volume su don Tonino Bello “La terra dei miei sogni”.

17 aprile partecipa, presso l’Università di Lecce, alla cerimonia di conferimento della laurea honoris causa al sociologo Z. Bauman.

18 aprile in mattinata, partecipa a San Giovanni Rotondo al terzo appuntamento regio-nale in preparazione al Convegno ecclesiale nazionale di Firenze e in serata, a un altro incontro culturale della rassegna Fides et Ratio, dal titolo “Da Platone a Wojtyla: omaggio al filosofo Giovanni Reale”, tenuto dal prof. Giuseppe Gir-genti ad Acquarica del Capo.

19 aprile conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia di Castrignano del Ca-po, in mattinata, e nel pomeriggio nella parrocchia “SS. Apostoli” di Tauri-sano.

20 aprile In occasione del 22° anniversario della morte del Servo di Dio don Tonino Bel-lo, visita il cimitero di Alessano e successivamente concelebra nella S. Messa presieduta dal card. Giuseppe Bertello nella chiesa parrocchiale di Alessano.

21 aprile partecipa a Molfetta alla riunione della Conferenza Episcopale Pugliese e nel pomeriggio presenzia a Supersano ad un incontro culturale.

22 aprile presenzia a Tricase a un incontro culturale.

23 aprile a Gagliano del Capo ordina presbitero fra Pasquale Pizzuti, dell’Ordine dei Tri-nitari; in serata, partecipa a un interessante convegno diocesano sulla pasto-rale familiare dal titolo “Missione sposi”, tenuto da mons. Renzo Bonetti pres-so l’auditorium Benedetto XVI di Alessano.

24 aprile presiede l’assemblea del clero, durante la quale mons. Renzo Bonetti parla ai sacerdoti sui cardini della pastorale familiare.

25 aprile in mattinata conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia “San Gio-vanni Bosco” di Ugento e nel pomeriggio nella parrocchia di Alessano.

26 aprile in mattinata, conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia “S. An-tonio di Padova” di Tricase e nel pomeriggio nella parrocchia di Arigliano.

28 aprile presenta presso l’Università di Lecce il nuovo libro su don Tonino Bello.

29 aprile partecipa a un altro incontro culturale della rassegna Fides et Ratio, dal titolo “Il ritorno a Dio nella filosofia e nella teologia del Medio Evo”, tenuto dai proff. Giovanni U. Cavallera e Stefano Marra presso il castello medievale di Acquarica del Capo.

30 aprile a Bari presiede la riunione dell’Ufficio catechistico regionale e nel pomeriggio, a Supersano, conclude la prima giornata di lavori del III Cammino diocesano delle confraternite.

* * *

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1 maggio è invitato a presiedere l’Eucaristia presso la parrocchia “S. Giuseppe” di Palo del Colle (BA).

2 maggio tonto, presso il santuario dei Santi Medici, alla solenne concelebrazione euca-ristica, durante la quale mons. Francesco Savino, del clero della diocesi di Ba-ri-Bitonto, riceve l’ordinazione episcopale, essendo stato nominato dal S. Pa-dre vescovo di Cassano all’Jonio.

3 maggio al mattino, conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia “S. Eufe-mia” di Tricase e nel pomeriggio in quella della “Natività della B. V. M.” di Ruf-fano; in serata partecipa al concerto del nuovo organo presso la chiesa par-rocchiale “Santa Maria delle Grazie” di Tricase.

7 maggio tiene una relazione presso l’università di Lecce sul tema del Convegno Nazio-nale di Firenze: “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.

8 maggio partecipa insieme al clero diocesano al ritiro spirituale mensile presso la Basi-lica di Leuca e nel pomeriggio celebra l’eucaristia presso la chiesa “San Nicola” di Specchia, in occasione della chiusura della novena in preparazione alla fe-sta.

9 maggio a Patù, presiede la celebrazione eucaristica insieme alla Polizia di Stato; nel pomeriggio conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia di Lucu-gnano e in serata presenta l’ultimo libro su don Tonino Bello nella sala conve-gni dell’Hotel Terminal di Leuca.

10 maggio conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia di Salve e nella par-rocchia “SS. Martiri” di Taurisano.

11 maggio partecipa, presso il castello medievale di Acquarica del Capo, a un incontro culturale della rassegna “Fides et Ratio”, dal titolo “Con le periferie nel cuore: un ritratto di Papa Francesco per credenti e non credenti”, tenuto dal vatica-nista Raffaele Luise.

12 maggio interviene alla presentazione del libro di don Rocco Maglie “Nello Spirito del Vaticano II. L’impegno missionario della Chiesa di Ugento-S. M. di Leuca”, presso il salone parrocchiale di Acquarica del Capo.

13 maggio celebra la S. Messa nella parrocchia di Miggiano per la consacrazione del nuo-vo altare.

14 maggio incontra in curia il Collegio presbiterale e nel pomeriggio partecipa nel Semi-nario vescovile delle diocesi di Nardò a un incontro in preparazione al Conve-gno Ecclesiale di Firenze.

15 maggio parla a Foggia sul tema del Convegno Ecclesiale di Firenze.

16 maggio conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia “Maria SS. Ausiliatri-ce” di Taurisano; in serata partecipa al laboratorio di pastorale giovanile, ad Alessano presso l’auditorium “Benedetto XVI”.

17 maggio conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia di Specchia e in quella di Gagliano del Capo.

18-21maggio partecipa alla 68esima Assemblea Generale della CEI nell’Aula del Sinodo in Vaticano.

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21 maggio in serata presiede la Veglia diocesana di Pentecoste nella Basilica di S. Maria di Leuca.

22 maggio in mattinata incontra i sacerdoti del decennio per il consueto appuntamento di formazione e nel pomeriggio, presso la Basilica di Leuca, celebra la S. Messa al termine del pellegrinaggio diocesano di tutti gli ammalati.

23 maggio conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia di Acquarica e nel pomeriggio presiede la Veglia di Pentecoste nella la parrocchia di Arigliano.

24 maggio conferisce il sacramento della Cresima in Cattedrale e nella parrocchia di Su-persano; in serata si reca a S. Maria di Leuca per la benedizione della nuova “ambulanza del sorriso”.

25-27 maggio partecipa all’annuale Convegno Pastorale Diocesano.

26 maggio incontra in Curia i Vicari episcopali e foranei.

30 maggio nella Basilica di San Pietro, concelebra con il card. Pietro Parolin, Segretario di Stato, nella Messa per l’ordinazione episcopale di mons. Paolo Rocco Gualtie-ri, sacerdote della diocesi di Ugento-S. M. di Leuca, eletto dal S. Padre Nunzio Apostolico in Madagascar.

* * *

1 giugno presiede la S. Messa nella Basilica di Leuca, a cui segue la presentazione di un libro su padre Mauri.

2 giugno partecipa a Specchia alla festa del gioco, organizzata dall’ACR diocesana; nel pomeriggio conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia “Sant’Andrea” di Tricase e, in serata, partecipa a una presentazione storica delle vicende che hanno interessato il Santuario di Leuca, sul piazzale anti-stante il Santuario stesso.

4 giugno assiste a una conferenza del prof. Massimo Cacciari, presso l’Università di Ba-ri; nel pomeriggio presenta nella parrocchia dell’”Annunciazione” di Bari gli ultimi libri su don Tonino Bello.

5 giugno presiede la S. Messa di ringraziamento nel Seminario vescovile, a conclusione dell’anno formativo; in serata partecipa al pellegrinaggio diocesano per la vita consacrata nella Basilica di Leuca.

6 giugno conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia di Montesano.

7 giugno conferisce il sacramento della Cresima nella parrocchia “San Francesco” di Ruffano; in serata, in occasione della solennità del Corpus Domini, concelebra la S. Messa in Cattedrale, presieduta da mons. Paolo Rocco Gualtieri e parte-cipa alla processione per le vie di Ugento, guidata dallo stesso mons. Gual-tieri.

8 giugno apre il Convegno sugli orti sociali e le agricolture civiche presso l’oratorio “San Giovanni Bosco” di Taurisano.

9 giugno partecipa al Convegno diocesano dell’Apostolato della preghiera e presiede la S. Messa presso l’Auditorium Benedetto XVI di Alessano.

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10 giugno presenta il libro “Don Tonino visto da vicino. Una fede colma di umanità!”, presso palazzo Gallone di Tricase.

11 giugno partecipa a Turi alla riunione della Conferenza Episcopale Pugliese e nel po-meriggio incontra il Consiglio per gli affari economici diocesano.

12 giugno partecipa a S. M. di Leuca al ritiro dei ministri ordinati.

13 giugno presiede la celebrazione eucaristica, in mattinata, nella chiesa della “Confra-ternita di S. Antonio” di Ugento e, nel pomeriggio, nella parrocchia della “Na-tività” di Ruffano.

14 giugno partecipa a S. M. di Leuca a un incontro sulla “Via Leucadensis”.

15 giugno incontra i docenti della Scuola diocesana di teologia presso la sede della stes-sa Scuola.

17 giugno partecipa, presso il Castello medievale di Acquarica del Capo, a un altro incon-tro culturale della rassegna “Fides et Ratio” dal titolo “Dio interiorizzato: le 64 prediche sul tempo liturgico di Meister Eckhart”, tenuto dal prof. Loris Sturlese.

22 giugno incontra i sacerdoti compagni di seminario di mons. Maurizio Barba.

23 giugno presiede nella parrocchia di Patù l’Eucaristia e la processione, in occasione della festa di S. Giovanni Battista.

24 giugno presiede la celebrazione eucaristica di ringraziamento per il 25° anniversario di ordinazione sacerdotale di don Giuseppe Indino, presso la parrocchia “Cri-sto Re" di Leuca Marina.

27 giugno celebra l’Eucaristia e benedice i nuovi locali dell’oratorio della parrocchia “Sant’Andrea” di Tricase.

28 giugno presiede la celebrazione eucaristica domenicale, trasmessa su Rai 1, nella par-rocchia di Specchia.

29 giugno celebra l’Eucaristia a S. Cesarea Terme in occasione dell’annuale Convegno sul secondo annuncio; in serata si trasferisce a Tricase Porto per vivere il consue-to soggiorno estivo con i seminaristi della diocesi.

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THEOLOGICA UXENTINA

La collana “Theologica Uxentina” raccoglie le relazioni e i contributi di esperti

nelle diverse discipline teologiche offerti durante la Settimana Teologica, il Conve-

gno Pastorale e altri momenti formativi realizzati nella diocesi di Ugento-S. Maria di

Leuca. Lo scopo della collana è di consentire a tutti gli operatori pastorali un appro-

fondimento personale e comunitario dei diversi temi teologici e pastorali, e di far

conoscere a una cerchia più larga di persone la riflessione portata avanti nella Chie-

sa di Ugento-S. Maria di Leuca. Convergente, allo scopo di promuovere un’ade-

guata cultura pastorale, è la presenza di monografie o volumi collettanei che stu-

diano aspetti, protagonisti e momenti significativi della vicenda della Diocesi.

1. Maurizio Barba (a cura), Educati dalla liturgia, educare alla liturgia. Atti della

XXXVII Settimana Teologica della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca (27 feb-

braio-2 marzo 2012) e del Convegno Pastorale (18-20 giugno 2012), Edizioni Vi-

vereIn, Roma-Monopoli 2013, pp. 166.

2. Stefano Ancora (a cura), Il volto educativo e missionario della parrocchia. Atti

della XXXVIII Settimana Teologica (18-22 febbraio 2013) e del XXVII Convegno

Pastorale (17-19 giugno 2013) della Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Edizio-

ni VivereIn, Roma-Monopoli 2014, pp. 208.

3. Vito Cassiano, Nel solco del Vaticano II. Settimane teologiche e Convegni pasto-

rali nella Diocesi di Ugento-S. Maria di Leuca, Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli

2014, pp. 112.

4. Rocco Maglie, Nello spirito del Vaticano II. L’impegno missionario della Chiesa di

Ugento-S. Maria di Leuca, Edizioni VivereIn, Roma-Monopoli 2015, pp. 326.

5. Salvatore Palese (a cura), Don Tonino Bello, cantore di Maria donna dei nostri

giorni. Convegno di studi (Alessano, 28-29 aprile 2014), Edizioni VivereIn, Roma-

Monopoli 2015, pp. 258.

6. Salvatore Palese (a cura), Le visite pastorali dei vescovi ugentini nel post-concilio

Vaticano II, (in preparazione).

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Fotocomposizione e stampa dicembre 2015

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