BIOGRAFIA Ippolito Desideri

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Ippolito Desideri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera. Ippolito Desideri (Pistoia , 21 dicembre 1684 Roma , 14 aprile 1733 ) è stato un gesuita e missionario italiano in Tibet , e il primo europeo esperto della cultura e lingua tibetana . Nel 1623 la prima missione cattolica in Tibet era stata fondata dal gesuita portoghese, P. Antonio de Andrade , nella città di Tsaparang, nel regno di Guge , Tibet Occidentale. Questo regno fu rovesciato dal vicino Re di Ladakh nel 1635 , ed anche la piccola ma vigorosa missione guidata dai missionari portoghesi fu dispersa e la piccola chiesa di Tsaparang distrutta. Indice 1 Biografia o 1.1 Viaggio al Tibet o 1.2 L'insediamento a Lhasa 2 Il conflitto con i Cappuccini 3 Tibetologia a Roma 4 Opere 5 Bibliografia Biografia Ippolito Desideri, era uno studente eccezionale al Collegio Romano e confermò la sua vocazione per le missioni delle Indie dopo un pellegrinaggio a Loreto . Il Generale della Compagnia di Gesù , Michelangelo Tamburini , lo scelse il 15 agosto, 1712 , per aprire una missione in Tibet, un impegno benedetto da papa Clemente XI con cui Desideri ebbe un'udienza prima della partenza. Desideri aveva appena 29 anni ed era stato ordinato sacerdote non molto prima della sua partenza da Roma nell'ottobre, 1712. La famiglia Desideri a cui appartenne il padre missionario fu iscritta alla Nobiltà di Pistoia nel 1792. Il relativo stemma però risale al settembre del 1560 quando Francesco di Bernardino fu eletto fra gli otto priori della città. Il blasone è scolpito sui

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Ippolito DesideriDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Ippolito Desideri (Pistoia, 21 dicembre 1684 – Roma, 14 aprile 1733) è stato un gesuita e missionario italiano in Tibet, e il primo europeo esperto della cultura e lingua tibetana.

Nel 1623 la prima missione cattolica in Tibet era stata fondata dal gesuita portoghese, P. Antonio de Andrade, nella città di Tsaparang, nel regno di Guge, Tibet Occidentale. Questo regno fu rovesciato dal vicino Re di Ladakh nel 1635, ed anche la piccola ma vigorosa missione guidata dai missionari portoghesi fu dispersa e la piccola chiesa di Tsaparang distrutta.

Indice

1 Biografia o 1.1 Viaggio al Tibet o 1.2 L'insediamento a Lhasa

2 Il conflitto con i Cappuccini 3 Tibetologia a Roma 4 Opere 5 Bibliografia

Biografia

Ippolito Desideri, era uno studente eccezionale al Collegio Romano e confermò la sua vocazione per le missioni delle Indie dopo un pellegrinaggio a Loreto. Il Generale della Compagnia di Gesù, Michelangelo Tamburini, lo scelse il 15 agosto, 1712, per aprire una missione in Tibet, un impegno benedetto da papa Clemente XI con cui Desideri ebbe un'udienza prima della partenza.

Desideri aveva appena 29 anni ed era stato ordinato sacerdote non molto prima della sua partenza da Roma nell'ottobre, 1712.

La famiglia Desideri a cui appartenne il padre missionario fu iscritta alla Nobiltà di Pistoia nel 1792. Il relativo stemma però risale al settembre del 1560 quando Francesco di Bernardino fu eletto fra gli otto priori della città. Il blasone è scolpito sui basamenti delle paraste dell'altare di famiglia nella chiesa di San Francesco a Pistoia.

Viaggio al Tibet

Dopo un lungo e pericoloso viaggio da Genova a Lisbona, da Lisbona salpò per Goa (India). Proseguì via terra alla volta di Delhi via Lahore e Srinagar (arrivato nel novembre, 1714), dove si ammalò gravemente e soggiornò sei mesi. Da Srinagar camminò (con il suo compagno di viaggio e Superiore, il padre portoghese Manoel Freyre) fino a Leh, capitale di Ladakh, alla fine di giugno, 1715.

Il re e la corte li accolsero bene, secondo Desideri, che volle fermarsi e rifondare la missione gesuita. Però egli dovette obbedire a Freyre, suo Superiore, e proseguire un viaggio difficilissimo di sette mesi (anche in inverno) attraverso l'altopiano del Tibet. I missionari mal preparati sopravvissero solo grazie all'aiuto di Casal, governatrice mongola del Tibet occidentale e capo della

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carovana con cui viaggiavano. Raggiunsero Lhasa il 17 di marzo 1716, e qualche settimane dopo Freyre ritornò in India, lasciando solo Desideri, unico missionario europeo in Tibet.

L'insediamento a Lhasa

Desideri fu ricevuto in udienza dal re mongolo del Tibet, Lajang (Lha bzang) Khan il quale ebbe di lui una buona impressione e gli concesse il permesso di noleggiare una casa nella città e professare la sua religione. Tuttavia, Lajang Khan gli consigliò di trascorrere prima un periodo di tempo in un monastero tibetano, per studiare la lingua e la religione tibetane (cioè il buddhismo), invito che Desideri accolse prontamente. Infatti studiò alla prestigiosa università-convento buddhista Sera, della setta reggente Gelukpa. Egli imparò rapidamente l'idioma, e tra 1718-1721 scrisse in lingua tibetana cinque libri, nei quali esponeva i dogmi del Cristianesimo e anche rifiutava i concetti buddhisti della metempsicosi e della vacuità (stong pa nyid), usando il modo di argomentazione scolastico del buddhismo tibetano, e accettando però nel contempo gran parte del buddhismo, soprattutto la sua filosofia morale. Insomma, era un compimento intellettuale stupendo, e il primo tentativo di dialogo tra le due religioni.

Il conflitto con i Cappuccini

Ma i Cappuccini avevano protestato poiché la missione in Tibet era stata loro affidata da Propaganda Fide nel 1703 [1], Michelangelo Tamburini, Superiore Generale della Compagnia di Gesù ordinò a Desideri nel 1719, di tornare in India. Il missionario protestò perché non voleva lasciare le persone che avevano riposto in lui la loro fiducia. Una decisione della Santa Sede fece chiarezza e Desideri, deluso ma obbediente, si ritirò ad Agra (India) nel 1721.

Tibetologia a Roma

Dopo pochi anni trascorsi a Delhi e Pondicherry, Desideri fu mandato a Roma nel 1727 per promuovere la causa di beatificazione di Giovanni de Britto. Egli portò con sé anche tutti gli appunti che aveva scritto in Tibet, sulle genti di diverse etnie, culture e religioni. Fino alla fine della sua vita (1733) si dedicò alla pubblicazione del suo Notizie Istoriche del Tibet. Occupandosi di tutti gli aspetti della vita: la geografia ed il clima del paese, la gente, tribù per tribù, l’amministrazione della giustizia, il cibo, le abitudini, etc. Benché i suoi lavori non siano perfetti, egli ha descritto tutto con grande obiettività e rispetto. Grazie a lui l'Europa ha scoperto la terra dei Lama. Desideri è considerato il primo Tibetologo; nel 1916 lo svedese Sven Hedin gli rese omaggio:

« .. gli antichi visitatori del Tibet, Desideri si distingue come il più importante ed intelligente. »

((Southern Tibet, Stockholm, 1917, p. 278))

Opere

Opere Tibetane di Ippolito Desideri S. J. (4 vol.), a cura di Giuseppe Toscano S.X, Roma, ISMEO, 1981, 1982, 1984, 1989.

Lettere, "Notizie Istoriche del Tibet e Memorie de' Viaggi e Missione ivi Fatta"[La Relazione], ed altre scritture in italiano: PETECH, L., I Missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, vol. 4-7, Roma, 1954-57.

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Bibliografia

C. Wessels, Early Jesuit Travellers in Central Asia 1603-1721, The Hague, 1924. F. De Filippi, An Account of Tibet: the travels of Ippolito Desideri (1712-1727)), 1937;

edizione ristampata New-Delhi, 2005. L. Petech, I Missionari italiani nel Tibet e nel Nepal,vol. 4-7, Roma, 1954-57. S. Castello Panti, Ippolito Desideri e il Tibet, Pistoia, 1984. Natale Rauty , Notizie inedite su Ippolito Desideri e sulla sua famiglia tratte dagli archivi

pistoiesi, Pistoia: Società pistoiese di storia patria, 1984. - 30p; 24cm A. Luca, Nel Tibet Ignoto: Lo straordinario viaggio di Ippolito Desideri, S.J. Bologna, 1987 E.G. Bargiacchi, La 'Relazione' di Ippolito Desideri fra storia locale e vicende

internazionali, "Storia locale". Quaderni pistoiesi di cultura moderna e contemporanea, 2/2003, pp. 4-103.

E.G. Bargiacchi,Ippolito Desideri S.J., alla scoperta del Tibet e del buddhismo, Pistoia, 2006.

E.G. Bargiacchi, Ippolito Desideri S.J.: Opere e Bibliografia, Roma, 2007 A. Vezzosi , Ippolito Desideri e Pistoia. Un missionario gesuita pistoiese del Settecento: la

sua importanza e la sua notorietà, Pistoia, 2008. M.J.Sweet e L. Zwilling, "Mission to Tibet: The Extraordinary Eighteenth Century Account

of Father Ippolito Desideri, S.J." Boston, 2010. M.J. Sweet, Desperately Seeking Capuchins: Manoel Freyre's 'Report on the Tibets and

their Routes (Tibetorum ac eorum Relatio Viarum)' and the Desideri Mission to Tibet, Journal of the International Association for Tibetan Studies (JIATS Digital Journal n.2, August 2006, pp. 1-33.

R.T. Pomplun, Divine Grace and the Play of Opposites, Buddhist-Christian Studies, no. 26, 2006, pp. 159-173.

R. T. Pomplun, "Jesuit on the Roof of the World: Ippolito Desideri's Mission to Tibet." New York: 2010.

R.T. Pomplun, "Natural Reason and Buddhist Philosophy: The Tibetan Studies of Ippolito Desideri", History of Relgions, May 2011, vol. 50, no. 4, pp. 384-419.

^Ippolito Desideri in Tibet

Ippolito Desideri (1684-1733) was an Italian Jesuit best known for his work in Tibet. He volunteered for the mission immediately after his ordination in 1712, and received permission to go in 1713. He set out from Goa in 1714 in the company of Father Emanuel Freyre. (Filippi 28) They trekked first to Kashmir, then once inside Tibet joined the caravan of a princess bound for Lhasa.Once in Lhasa, Freyre returned almost immediately to India. His orders were not to help establish a Jesuit missionary presence in Tibet, but to gather intelligence on the activities of the rival Capuchin missionaries. (Sweet 7) This left Desideri to spend the next five years living, studying, preaching, and debating among the Tibetans. By his own account he was well received by the king in Lhasa, and seems to have had great intellectual freedom. During that time he produced three books in Tibetan meant to disillusion the Tibetans and convert them to Catholicism. He also kept a lengthy diary of his observations.Desideri was eventually forced to leave Tibet as a direct result of the conflict between the Jesuits and the Capuchins. Rome decided that Tibet would be under the jurisdiction of the Capuchins in 1718, and Desideri returned to India under orders in 1721.

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His Account of Tibet

The observations are, for the most part, very matter-of-fact. By his own account he had precious little accurate information about the country, and goes so far as to name all the sources he had read before going. (Filippi 302-3) From that perspective, it makes sense that he would note as much information as he could, no matter how banal. He describes everything from building construction and handicrafts to marriage ceremonies and the enforcement of laws. He notes political organization, family structure, and even how to brew a local alcoholic beverage.Stylistically, Desideri addresses his audience directly, as if the reader would likely be following in his footsteps. In some ways he engages the reader's imagination directly, saying things like , “your bed at night is the earth . . . and your roof is the sky . . .” (Filippi 86) That particular passage is not a romanticization, since he makes his discomfort plain, but it shows a certain reverence for the experience. His purpose in Tibet, though ostensibly religious, is not untouched by a fascination with the newness and otherness of the place.Desideri's diary is remarkably free of the kinds of judgments and condescensions that often pepper the accounts of other travelers in Tibet. He does not call them dirty or backward in general, even though he is critical of some of their beliefs and practices. His moral judgments come out in more subtle ways, such as describing women's clothing as “modest and decent.” (Filippi 180)

His Books in Tibetan

As a Jesuit, Desideri took a very rational approach to spreading his faith. Since any worldview which denied the existence of the one Christian God was considered logically impossible, Desideri's books were an attempt to explain the incoherence of the Tibetan religions. (Pomplun 162)The first book was a refutation of the notion of reincarnation, the second dealt with the ontology of God, and the third was written as a dialog between Catholicism and Tibetan Buddhism. By Desideri's account, the books generated a lot of excitement and scholarly inquiry, and he was invited to take part in public debates over the matter. However, as Trent Pomplun rightly points out, reading the books poses at least one very significant problem: that of translation. They were written by a non-native speaker after a relatively short period of study. Desideri himself talks about the pitfalls of misinterpretation when he discusses ambiguous Tibetan words that can mean God, gods, or aspects of gods. To add to the difficulties of a modern reader, after almost 300 years, Tibetan, Italian, and every other spoken language have evolved and changed.

Sources

de Filippi, Filippo, ed., An Account of Tibet: the Travels of Ippolito Desideri of Pistoia, S.J., 1712-1727. London: George Routledge & Sons, Ltd., 1932.

Sweet, Michael J. "Desperately Seeking Capuchins: Manoel Freyre's Report on the Tibets and their

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Routes (Tibetorum ac eorum Relatio Viarum) and the Desideri Mission to Tibet." Journal of the International Association of Tibetan Studies, No. 2 (August 2006): 1-33.^^

I primi anni e gli studi

Ippolito Desideri nacque a Pistoia il 20 dicembre 1684 da Iacopo Desideri e Maria Maddalena Cappellini e fu battezzato il 21 dicembre.

Ippolito studiò nel Collegio dei Gesuiti di Pistoia e il 27 aprile 1700 entrò nella Compagnia di Gesù nella casa di Sant'Andrea al Quirinale a Roma iniziando il noviziato il 9 maggio 1700.

Emise la professione religiosa il 28 aprile 1702 dopodiché fu trasferito al Collegio Romano. Dal 1706 al 1710 insegnò nei Collegi della Compagnia di Orvieto e di Arezzo. Ritornato nel 1710 al Collegio Romano cominciò gli studi di teologia.

Il desiderio di partire per le missioni maturato dalla frequentazione degli Esercizi di Ignazio e per la testimonianza dei gesuiti missionari dei quali si conosceva la storia (Francesco Saverio, Roberto De Nobili, Alessandro Valignano e Matteo Ricci, ad esempio) si incontrò con la necessità da parte della Compagnia di riaprire una missione in Tibet dopo che i Cappuccini avevano lasciato quel territorio nel 1711. I Gesuiti avevano fatto vari tentativi nel passato, a partire da quello di Antonio de Andrade (1580-1634), di stabilire una sede in Tibet ma la Congregazione di Propaganda Fide aveva affidato nel 1703 quel territorio ai Cappuccini.

Il 14 agosto 1712 Ippolito fece domanda al Generale della Compagnia Michelangelo Tamburini di partire per le missioni[1]. La sua domanda fu accolta il giorno dopo e senza che completasse l'ultimo anno di studi fu ordinato suddiacono il 21 agosto, diacono il 25 agosto e sacerdote il 28 agosto.

Il viaggio da Roma a Lhasa

Dopo essere stato ricevuto da Clemente XI, il 27 settembre partì insieme a padre Ildebrando Grassi da Roma. Dopo essersi fermati a Firenze e a Pistoia proseguirono fino a Livorno dove si imbarcarono per Genova arrivandovi il 31 ottobre. Da Genova salparono il 23 novembre arrivando a Lisbona a metà marzo 1713. Qui incontrarono i sovrani del Portogallo. Il viaggio da Lisbona a Goa durò dall'8 aprile 1713 al 20 settembre 1713.

Il 13 novembre il Provinciale Antonio de Azevedo gli comunicò la partenza per il Tibet. Desideri partì da Goa tre giorni e attraverso diverse tappe giunse l'11 maggio 1714, a Delhi, capitale dell'Impero Moghul. Durante questo viaggio e grazie alla padronanza della lingua portoghese che aveva acquisito nel viaggio dall'Europa a Goa, Desideri si dedicò alla cura spirituale dei marinai e di coloro che viaggiavano con lui, iniziò a imparare la lingua persiana che era la lingua franca dell'Oriente e studiò testi teologici scritti in persiano da Gerolamo Saverio.

Il 15 agosto 1714 ottenne finalmente l'invio ufficiale per la missione in Tibet. Gli si affiancò, come superiore della missione, Manoel Freyre.

I due gesuiti si posero in viaggio il 24 settembre 1714; raggiunsero Lahore, nel Punjab, il 9 ottobre; ripreso il cammino verso nord attraversarono il fiume Ravi e il fiume Chenab, sostarono a Gujrat,

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da dove, il 28 ottobre presero la strada dei monti arrivando nella valle di Srinagar, la capitale del Kashmir posta a 1893 metri di altitudine. Qui svernarono e Desideri continuò lo studio della lingua persiana. Il 17 maggio 1715 ripresero il viaggio e il 30 maggio iniziarono la salita per arrivare al passo di Zoji-la, a 3500 metri d'altitudine. Superato il passo lasciarono il Moghul ed entrarono in Ladakh, che era un regno indipendente, per raggiungerne la capitale, Leh, il 25 giugno. Qui si fermarono cinquantadue giorni. Furono ben accolti dal re Nyima Namgyal; i due gesuiti si trovavano già in pieno ambiente tibetano, non solo per la tipica architettura, per la lingua o per i tratti fisici della popolazione, ma soprattutto per la cultura e per la religione. Desideri fu subito affascinato dalla sorprendente libertà accordata a tutte le fedi, dalle caratteristiche della religione ivi praticata e dalle somiglianze che iniziò ad intravedere con il cristianesimo.

Desideri voleva fermarsi a Leh per fondarvi la missione, ma il superiore Manoel Freyre aveva ordini precisi di raggiungere le missioni che erano state dei Cappuccini e per questo motivo rifiutò la proposta di Desideri e continuarono il viaggio.

Partirono da Leh il 17 agosto 1715 e raggiunsero Tashingang il 7 settembre. Grazie al sostegno di una guarnigione militare che accompagnava una principessa mongola riuscirono ad arrivare alla metà di febbraio 1716 a Sakya capoluogo di un grande principato ereditario governato da un Lama dotato di forte autonomia rispetto al potere centrale. Il 29 febbraio ripartirono lasciando definitivamente la principessa mongola e la sua guarnigione. Nel frattempo Desideri aveva iniziato a studiare la lingua tibetana.

Finalmente il 18 marzo 1716 i due gesuiti arrivarono a Lhasa, capitale del Tibet e meta del loro viaggio [2].

La permanenza in Tibet

Palazzo del Potala a Lhasa, residenza dei Dalai Lama già al tempo di Ippolito Desideri

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Entrata del Palazzo del Potala

Arrivato a Lhasa, Manoel Freyre, considerando compiuta la sua missione di accompagnare e indirizzare Desideri, ripartì dopo appena un mese per l'India.

Desideri, rimasto solo, fu convocato e interrogato dal generale militare del regno sulle sue intenzioni. Il gesuita non nascose i suoi intenti missionari e il suo desiderio di restare in Tibet fino alla morte. Il 28 aprile fu ricevuto in udienza dal primo ministro e il 1° maggio dal re Lajang Khan il quale, ben impressionato, gli promise protezione, sostegno e libertà di azione.

I tibetani si mostrarono interessati alla religione proposta dal Desideri e disponibile a rivedere le proprie idee religiose qualora si fosse dimostrata loro la superiorità, la bontà e l'efficacia della nuova via di salvezza.

Richiesto di illustrare la sua religione, e la differenza con la loro, Desideri non si sentì pronto di padroneggiare la lingua e propose di preparare un testo scritto.

Si dedicò a quest'impegno con tutte le energie. Continuò a studiare la lingua e scrisse tra giugno e agosto due libri in italiano iniziando la traduzione in tibetano del primo agli inizi di settembre.

Il 1° ottobre 1716, però, arrivarono a Lhasa tre cappuccini: Domenico da Fano (1674-1728), Francesco Orazio della Penna (1680-1745) e Giovanni Francesco da Fossombrone (1677-1724).

Il Desideri li introdusse a corte e li aiutò per la lingua. Il rapporto, però, nonostante le formalità, fu conflittuale. I Cappuccini non potevano permettere che nel territorio a loro affidato ci fosse un altro missionario oltretutto molto diverso da loro per superiorità di cultura, capacità e metodo missionario.

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Nonostante queste difficoltà Desideri concluse la traduzione in tibetano del suo scritto che con il titolo "L'aurora indica il sorgere del sole che dissipa le ultime tenebre"[3], fu presentato al re il 6 gennaio 1717.

La presentazione fu apprezzata dal re il quale, però, vista la grande differenza con le loro credenze, chiese ancora una disputa teologica pubblica tra il gesuita e i lama tibetani, lasciando però a Desideri tutto il tempo e i sostegni necessari per potere approfondire ancora la loro lingua e la loro cultura.

Desideri, così, insieme al cappuccino Orazio della Penna, iniziò il 25 marzo 1717 lo studio nel monastero di Ramoche, per passare nell'agosto successivo all'università monastica di Sera. Il gesuita approfondì i testi canonici del buddhismo tibetano compresi nel "Kanjur" ("Traduzione del messaggio del Buddha", cioè la raccolta degli insegnamenti diretti, in 108 volumi) e nel "Tanjur" ("Traduzione della dottrina del Buddha", cioè i commentari indiani agli insegnamenti, in 224 volumi) e commentati dall'opera del riformatore Tsong Khapa (1357-1419), soprattutto dal "Lam rim chen mo" ("Grande esposizione dei livelli del sentiero" o "Via graduale all'illuminazione").

« Desideri osservò attentamente e descrisse mirabilmente la logica del buddhismo tibetano, la teoria e la pratica argomentativa, e la formazione degli allievi, ponendosi quindi con intensa e calorosa applicazione quotidiana, a divorare i libri canonici, confrontarne i passi principali, annotandoli, oltre a discutere frequentemente gli stessi argomenti con i monaci tibetani. Esemplari molte sue trattazioni generali e specifiche, come ad esempio l'illustrazione della ruota della vita o l’inappuntabile analisi linguistica del famoso mantra oṁ maṇi padme hūṁ, che (...) può segnare il memorabile inizio della tibetologia in occidente. »

(Enzo Gualtiero Bargiacchi, Un ponte fra due culture. Ippolito Desideri S.J. (1684-1733). Breve biografia, Firenze 2008[4]. )

Nel monastero di Sera, Desideri iniziò, il 28 novembre, la stesura di un nuovo libro, "L'origine delle cose"[5].

Il 3 dicembre 1717, però, il re dei mongoli zungari Tsewang Arabtan, alla guida di un piccolo esercito, sconfisse uccidendolo il re Lajang Khan (che era mongolo Qoshot), e saccheggiò Lhasa. I Cinesi, che consideravano un loro protettorato quei territori, il 24 settembre 1720 occuparono Lhasa e sbaragliarono le truppe zungare.

Desideri dopo l'invasione degli zungari e passato ad essere ostile agli invasori si rifugiò nella missione di Takpo-khier, praticamente un ospizio predisposto dai Cappuccini per la coltivazione dell'uva necessaria per il vino da messa. Qui Desideri proseguì i suoi studi: concluse nel 1718 la traduzione del suo "L'origine delle cose" ed iniziò la scrittura del libro "Domanda intorno alla teoria del vuoto e delle vite passate", al quale lavorerà ancora fino a tutto il 1719. Compì inoltre numerosi viaggi nel Tibet sud-orientale, nel bacino dello Tsangpo e del Subansiri, visitò le regioni di Kongpo, Nang e Loro e si avvicinò all'attuale confine con l'India dove, nel versante meridionale himalayano, vivevano popolazioni aborigene chiamati Lopa dai tibetani.

A Takpo-khier Desideri rimase fino all'aprile del 1721 tornando solo poche volte e per pochi giorni a Lhasa.

I problemi più grandi non vennero però a Desideri dalla situazione politica ma dall'atteggiamento dei Cappuccini i quali mal sopportavano il suo stile missionario. Di loro solo Orazio della Penna si era dedicato allo studio della lingua mentre gli altri non riuscivano a comprendere ed apprezzare la cultura tibetana.

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Già il 12 dicembre 1718 Propaganda Fide, dietro le rimostranze dei Cappuccini, aveva invitato i Gesuiti a lasciare il Tibet. Desideri difese in ogni modo la sua missione e resistette fino al 10 gennaio 1721 quando i Cappuccini nell'ospizio di Takpo gli consegnarono una lettera del Generale Tamburini (datata 16 gennaio 1719) che gli comandava di lasciare il Tibet.

Il viaggio di ritorno in Europa

A metà aprile del 1721 Desideri rientrò a Lhasa e il 28 aprile partì definitivamente. Il 30 maggio era a Kuti ultima località tibetana prima del Nepal. Qui si fermò parecchio tempo perché spossato ma anche per tentare un ultima possibilità di difendere la sua missione in Tibet con lettere, appelli e memoriali. A Kuti, avendo ancora a disposizione importanti libri tibetani, potè aggiungere alcuni capitoli al suo "Libro confutativo dell'error della metempsycosi".

Lasciò Kuti il 14 dicembre 1721 e il 27 dicembre arrivò a Kathmandu, dove i Cappuccini avevano un ospizio. Il 14 gennaio 1722 ripartì e dopo essere passato a Bhadgaon ed aver attraversato il Gandak e il Gange, giunse a Patna dove fu di nuovo ospite dei Cappuccini. Qui ricevette il 15 febbraio 1722, una lettera inviatagli dal suo Generale il 28 gennaio dell'anno precedente, nella quale gli ordinava di rimanere a Delhi o in altra sede dipendente da Goa. Nella risposta, dopo aver rassicurato il superiore sull'avvenuto abbandono del Tibet, si dichiarò pronto all'obbedienza, tuttavia chiese insistentemente di essere richiamato a Roma per esporre le sue ragioni e difendere il suo operato in Tibet. Da Patna, poi, citò i Cappuccini in giudizio ricorrendo formalmente contro la decisione di Propaganda Fide mediante un appello a Clemente XI.

Desideri il 23 marzo 1722 lasciò Patna e dopo essere passato da Benares e Allahabad, il 20 aprile fu finalmente nella casa della Compagnia di Agra. Qui emise il quarto voto della tradizione gesuitica ("obbedienza al Sommo Pontefice per le missioni") e il 1° ottobre si trasferì a Delhi dove approfondì la conoscenza dell'urdu, perfezionò la lingua persiana e si dedicò all'attività missionaria aprendo una scuola per giovani e riuscendo nell'impresa di inaugurare, il 1° novembre 1723, una nuova chiesa.

Dopo aver ricevuto dal provinciale dell'Ordine di recarsi a Goa, Desideri partì ma compì un itinerario difficilmente comprensibile. Sta di fatto che nell'autunno del 1725 si ritrovò di nuovo a Patna. Alla fine del novembre 1725 Desideri si imbarcò a Patna e navigando sul Gange arrivò il 20 dicembre 1725 a Chandernagore da dove ripartì cinque giorni dopo per arrivare il 10 gennaio 1726 a Pondicherry. I Gesuiti del posto lo sostennero nel suo intento di non ritornare a Goa e di ritornare, invece a Roma a difendere la sua causa. Rimase quindi a Karnatak per tutto il 1726 e ne approfittò per studiare la lingua tamil.

Alla fine del 1726 ricevette dal gesuita Josef Pinheiro, vescovo di Meliapur, l'incarico di portare a Roma i documenti per il processo di dichiarazione di martirio e canonizzazione di Giovanni de Britto (João de Brito, 1647-1693). Proprio a Meliapur si recò, verso la metà di dicembre 1726, in pellegrinaggio nei luoghi che ricordano il santo apostolo Tommaso e, in quella stessa città il 20 dello stesso mese ricevette i documenti da portare a Roma. Il 23 tornò a Pondicherry per preparare al più presto la partenza.

Desideri si imbarcò la sera del 21 gennaio 1727 per arrivare l'11 agosto 1727 a Port-Louis, nella Bassa Bretagna. Dal 16 agosto al 12 settembre 1727 si svolse il viaggio da Port-Louis a Parigi, con soste a Vannes, Rennes, La Flèche e Le Mans, città dove erano presenti i Gesuiti e dove ricette ottima accoglienza. A Le Mans gli furono consegnati anche i documenti per la canonizzazione del Beato Giovanni Francesco de Regis per portarli a Roma alla Sacra Congregazione dei Riti.

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A Parigi, ospite della casa professa della Compagnia di Gesù, ebbe l'occasione di conoscere padre Frémont, procuratore delle missioni delle Indie, Anne-Joseph de la Neuville, monsignor Bartolomeo Massei (1663-1745), nunzio apostolico, il pistoiese Giulio Franchini Taviani, diplomatico toscano. Il 23 settembre incontrò a Fontainbleau Luigi XV ed ebbe modo di parlare con eminenti personalità della corte: il padre gesuita Claude Bertrand Tachereau de Linières (1658-1746), confessore del re, il cardinale Henri-Pons de Thiard de Bissy (1657-1737) e il cardinale André-Hercule de Fleury (1653-1743).

Da Fontainbleau il 26 settembre 1727, riprese la diligenza e dopo esser passato da Chalon-sur-Saône, Lione e Avignone, arrivò a Marsiglia dove si imbarcò il 15 ottobre per arrivare a Genova il 22. Durante la navigazione da Genova a Livorno la nave fu bloccata dai venti contrari a Levanto e Desideri preferì viaggiare a piedi per raggiungere la sua Pistoia dove arrivò il 4 novembre.

Qui continuò a lavorare alla "Relazione" e redasse il "Breve e succinto ragguaglio del viaggio all'Indie orientali". Dopo essere passato da Firenze raggiunse finalmente Roma il 23 gennaio 1728.

Gli ultimi anni

A Roma Desideri trovò la Compagnia impegnata nella cosiddetta "disputa sui riti" e capì subito che sarebbe per lui stato difficile difendersi dalle gravi accuse che i Cappuccini gli avevano rivolto per essere andato, secondo loro, contro i princìpi cristiani ed aver fatto "spropositi".

I Cappuccini rimasti a Lhasa, privi di risorse e di adeguati rinforzi, ritenevano che le loro difficoltà dipendessero da controversia non risolta con il Desideri e dalle trame dei Gesuiti, e così chiesero insistentemente che la causa fosse decisa. Padre Felice da Montecchio scrisse a questo scopo dodici "memorie" e tre "sommari" di documenti che furono consegnati a Propaganda Fide. Desideri scrisse allora tre memorie che chiamò "Difese". La situazione si complicò per il fatto che risultò evidente che il Generale Tamburini fosse a conoscenza dell'affidamento delle missioni del Tibet ai Cappuccini ed anche per la denuncia che Felice da Montecchio fece dell'intenzione del Desideri di pubblicare la sua "Relazione" senza che Propaganda ne fosse ancora a conoscenza.

Desideri a questo punto rinunciò a difendersi scrivendo che trovava disdicevole

« che due Missionarij, venuti dall'estremità del Mondo, debbano qui in Roma perdere il tempo in accusarsi, e in difendersi, in attaccarsi, e in ischermirsi. »

(Cit. in Enzo Gualtiero Bargiacchi, Un ponte fra due culture. Ippolito Desideri S.J. (1684-1733). Breve biografia, Firenze 2008, 38.)

Anche la Curia generalizia della Compagnia di Gesù volle chiudere la questione.

Il 29 novembre 1732 Propaganda Fide nella "Congregazione particolare sulle questioni della Missione dei regni del Thibet" confermò la decisione che le missioni del Tibet fossero affidate esclusivamente ai Cappuccini.

Dell'ultimo periodo di vita di Ippolito Desideri sappiamo pochissimo. Morì il 13 aprile 1733 nella Casa Professa di Roma e fu sepolto il 14 nella sepoltura dei Padri della Chiesa del Gesù.

Opere

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Per circa due secoli Desideri è stato conosciuto solo per una lettera privata inviata al confratello Ildebrando Grassi, pubblicata nel 1722 in traduzione francese nelle "Lettres édifiantes et curieuses", famosa raccolta di lettere scritte dai gesuiti dalle varie sedi di missione, raccolta continuamente ristampata e tradotta in varie lingue nel corso del XVIII e del XIX secolo. La scoperta e la progressiva valorizzazione delle opere di Ippolito Desideri si ebbe solo dalla seconda metà del XIX secolo [6] .

Relazione

Desideri durante il suo viaggio aveva steso una "relazione" che senz'altro al suo ritorno a Roma era già completa. Una seconda versione, in tre libri, fu completata il 21 giugno 1728, dopodiché intraprese una notevole revisione che comportò la divisione in due libri del precedente libro secondo. Questo lavoro di revisione si interruppe dopo i primi tre capitoli del nuovo terzo libro e dopo aver riportato in bella copia i primi due libri. I manoscritti rimasti, quindi, sono quattro, titolati in diversi modi: "Ragguaglio", "Relazione de' viaggi all'Indie e al Thibet" e "Notizie istoriche del Thibet e Memorie de' viaggi e Missione ivi fatta".

È probabile che Desideri interruppe il suo lavoro quando iniziò a scrivere le "Difese" contro i Cappuccini e soprattutto quando capì che non gli sarebbe stata la possibilità di pubblicare i suoi lavori. Consapevole, tuttavia, dell'importanza di questo suo lavoro, Desideri fece pervenire una copia a suo fratello Giuseppe.

Il manoscritto fu scoperto da Gherardo Nerucci (1828-1906) tra le carte del pistoiese Filippo Rossi Cassigoli (1835-1890) e descritto da Carlo Puini (1839–1924)in un articolo uscito nel 1876 sul "Bollettino italiano degli studii orientali"[7]. Lo stesso Puini pubblicò vari brani del manoscritto nel 1904 [8] , mentre una traduzione quasi integrale in inglese fu pubblicata da Filippo De Filippi (1869-1938) nel 1932 [9] . Tra il 1954 e il 1956 uscì, finalmente, la versione integrale nell'originale italiano[10].

« Desideri ha lasciato una descrizione vivida del viaggio, arricchita da notazioni naturalistiche sorprendentemente accurate e spesso notevolmente anticipatorie, come nel caso della spiegazione degli effetti dell’altitudine e del processo di combustione (...). La bellezza straordinaria della sua prosa costituisce un esempio alto di espressione artistica, con il quale l’autore, attraverso una semplice descrizione minuziosa e che potrebbe diventare pedante e noiosa, riesce a trasmettere tutto il suo sentire, tutto il pulsare della sua vita. »

(Enzo Gualtiero Bargiacchi, Riflessioni su un missionario pistoiese troppo a lungo sottovalutato: Ippolito Desideri "esploratore" alla scoperta del Tibet e del buddhismo, in Bullettino Storico Pistoiese 108 (2006) 155-166[11].)

Manuale missionario

Dalle considerazioni finali della sua "Relazione", Desideri estrasse un piccolo documento autonomo, una sorta di manuale, il manoscritto del quale si trova alla Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma (ms. 1384, n° 31, del Fondo Gesuitico). Fu pubblicato per la prima volta da Angelo Gubernatis (1840-1913) con il titolo "Istruzione ai padri missionari nel Tibet"[12] e successivamente, nel 1928 da Luigi Foscolo Benedetto[13] e nel 1956 da Luciano Petech che lo chiamò "Manuale missionario".

Opere tibetane

Desideri scrisse durante il periodo in cui fu in Tibet alcune opere con le quali tentò un originale dialogo con la religione e la cultura buddista dei tibetani:

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"T'o-raṅs" (L'aurora indica il sorgere del sole che dissipa le ultime tenebre) "Sñiṅ-po" (Essenza della dottrina cristiana) "Byuṅ k'uṅs" (L'origine degli esseri viventi e di tutte le cose) "Ṅes legs" (Il sommo bene e fine ultimo) "Skye ba sṅa ma" (La trasmigrazione delle anime)

Le prime quattro di queste opere, tradotte dal saveriano Giuseppe Toscano (1911-2003), sono state pubblicate tra il 1981 e il 1989 [14] . L'ultima opera è ancora inedita; il dattiloscritto della traduzione di Giuseppe Toscano si trova presso l'"Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente".

Bibliografia LUCIANO PETECH (a cura di), I missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, Roma 1952-1956; in

sette tomi: i primi quattro I Cappuccini marchigiani (1952-1953); dal quinto al settimo: Ippolito Desideri S.I., 1954-1956.

GIUSEPPE TOSCANO (a cura di), Opere tibetane di Ippolito Desideri S.J., Roma 1981-1989; in quattro volumi: "T'o-raṅs" ("L’Aurora"), 1981; "Sñiṅ-po" ("Essenza della dottrina cristiana"), 1982; "Byuṅ k'uṅs" ("L’origine degli esseri viventi e di tutte le cose"), 1984; "Ṅes legs" ("Il sommo bene e fine ultimo"), 1989.

Enzo Gualtiero Bargiacchi, La "Relazione" di Ippolito Desideri fra storia locale e vicende internazionali, in Storia Locale 2 (2003) 4-103.

Enzo Gualtiero Bargiacchi, Il primo confronto tra cristianesimo e buddhismo, in Appunti di viaggio 82 (2006) 38-43; 83 (2006) 44-49; 84 (2006) 32-37.

Enzo Gualtiero Bargiacchi, Ippolito Desideri s.j. alla scoperta del Tibet e del buddismo, Pistoia 2006.

Enzo Gualtiero Bargiacchi, Ippolito Desideri S.J. Opere e Bibliografia, Roma 2007.

Enzo Gualtiero Bargiacchi, L'esperienza tibetana di padre Ippolito Desideri, in Nicola Gasbarro (a cura di), Le culture dei missionari, Roma 2009, 101-124.

Note1. ↑ La domanda è pubblicata in Giuseppe Toscano (a cura di), Opere tibetane di Ippolito

Desideri S.J., vol. II, Roma 1982, 271-273.2. ↑ A Lhasa vi erano passati nel 1661 due gesuiti provenienti da Pechino, Grueber e Dorville.

Nel 1707 vi avevano aperto una missione i Cappuccini abbandonandola, però, dopo quattro anni.

3. ↑ Lo scritto è stato pubblicato nel primo volume di Giuseppe Toscano (a cura di), Opere tibetane di Ippolito Desideri S.J., Roma 1981.

4. ↑ È il contributo dell'autore al XV Congresso della "International Association of Buddhist Studies" del giugno 2008; si trova a questo indirizzo: [1]

5. ↑ Lo scritto è stato pubblicato nel terzo volume di Giuseppe Toscano (a cura di), Opere tibetane di Ippolito Desideri S.J., Roma 1984.

6. ↑ Una rassegna completa delle opere di Ippolito Desideri insieme ad una vastissima bibliografia ragionata è stata pubblicata a cura dell'Istituto Storico della Compagnia di Gesù da Enzo Gualtiero Bargiacchi (Ippolito Desideri S.J. Opere e Bibliografia, Roma 2007).

7. ↑ Carlo Puini, Di una Relazione inedita del viaggio al Tibet, del P. Ippolito Desideri da Pistoia, scritta da lui stesso, in Bollettino italiano degli studii orientali 2-3 (1876) 33-42. L'articolo è in linea a questo indirizzo: [2].

8. ↑ Carlo Puini, Il Tibet (geografia, storia, religione, costumi) secondo la relazione del viaggio del P. Ippolito Desideri (1715-1721), Roma 1904.

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9. ↑ Filippo De Filippi, An Account of Tibet. The Travels of Ippolito Desideri of Pistoia, S.J., 1712-1727, Londra 1932.

10. ↑ La versione fu pubblicata negli ultimi tre dei sette tomi di Luciano Petech (a cura di), I missionari italiani nel Tibet e nel Nepal, Roma 1952-1956.

11. ↑ L'articolo è a questo indirizzo: [3]12. ↑ Fu pubblicato nella Rivista Europea 3 (1876) 121-128.13. ↑ Cfr. Luigi Foscolo Benedetto, Di uno scritto poco noto del P. Ippolito Desideri da Pistoia,

Firenze 1928; l'introduzione al libretto è in linea a questo indirizzo: [4]

14. ↑ Giuseppe Toscano (a cura di), Opere tibetane di Ippolito Desideri S.J., Roma 1981-1989; in quattro volumi: "T'o-raṅs" ("L’Aurora"), 1981; "Sñiṅ-po" ("Essenza della dottrina cristiana"), 1982; "Byuṅ k'uṅs" ("L’origine degli esseri viventi e di tutte le cose"), 1984; "Ṅes legs" ("Il sommo bene e fine ultimo"), 1989.

di Giuseppe Toscano

DESIDERI, Ippolito. - Nacque a Pistoia il 20 dic. 1684 da Iacopo e da Maria Maddalena Cappellini, in una famiglia patrizia del luogo. Il 9 maggio 1700 entrò nella Compagnia di Gesù a Roma e quasi certamente compì i suoi studi nel Collegio Romano, ove si trovava quando, il 14 ag. 1712, scrisse una lettera (edita in appendice allo Sñiṅpo, 1982, p. 271) al generale della Compagnia, Michelangelo Tamburini, chiedendo di partire per le Indie orientali. Esaudito subito tale suo desiderio, egli venne destinato al Tibet e il 27 settembre, dopo aver ricevuto gli ordini sacri, lasciò Roma. Il 7 apr. 1713 si imbarcò a Lisbona; arrivato a Goa il 27 settembre e attraversato Daman, Surat, Delhi, alla fine di maggio 1714 giunse ad Agra, ove si accinse allo studio della lingua persiana. Ritornato a Delhi, il 24 settembre insieme con E. Freyre, suo superiore, partì per il Kashmir. Dopo aver atteso sei mesi per attraversare l'Himalaya, finalmente il 17 maggio 1715 si mise in viaggio per il Tibet con un interprete che lo iniziò alla lingua tibetana, e il 26 giugno arrivò a Leh, capitale del Ladakh. Accolto con grandi onori dal re e dal Gran Lama, il D. avrebbe voluto restare, ma il Freyre preferì far ritorno in India attraverso una via più facile di quella già percorsa che, come gli era stato riferito, attraversava un regno la cui capitale era Lhasa e, nonostante le obiezioni del D., decise di seguirla.

Partiti il 26 agosto, percorsero il Tibet per quasi tutta la sua lunghezza, per zone in gran parte deserte, in un viaggio durato tutta la stagione invernale, arrivando a Lhasa il 18 marzo 1716. Il Freyre ritornò subito in India, mentre il D. rimase a Lhasa da solo fino all'arrivo dei padri cappuccini (10 ott. 1716).

Caratteristica dell'impegno missionario del D. fu la convinzione della necessità di apprendere perfettamente la lingua del paese, di conoscere a fondo la religione locale e, contemporaneamente, di acquistare influenza a corte per ottenere la libertà di propagare il Vangelo: era il metodo propugnato, più di un secolo prima, dal padre A. Valignano e attuato in Cina dal p. Matteo Ricci e nel Tibet dal padre A. d'Andrade.

Il D. stesso narra (Petech, V, p. 113) che lo studio del tibetano fu la sua preoccupazione nei dieci mesi di viaggio dal Kashmir a Lhasa. Giunto a Lhasa, "giorno e notte mi applicai allo studio travagliatissimo di questa lingua" (Lettera al pontefice, 13 febbr. 1717). "È incredibile l'ardor che concepii di applicarmi con tutto lo sforzo ... a uno studio ben fondato di quella lingua. Per tal fine ... sin all'ultimo giorno della mia dimora in quel regno, presi questo tenore che continuai per lo spazio di quasi sei anni, cioè di studiar da mattina a sera, e per farlo più comodamente differivo il pranzo a

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notte, sostenendomi fra giorno ... col bever del cià (té) che manipolato a quell'usanza è di grand'alimento" (Petech, V, p. 188). Quanto allo studio della religione locale vi si applicò fin da principio: "Per tal fine mi posi di tutto proposito a leggere e scrutinare con ogni studio i libri principali di quella setta. Per tal fine da varie perite persone andavo indagando meglio l'origini, i riti ed opinioni di questa setta" (Lettera al pontefice, 13 febbr. 1717). I primi libri studiati dal D. furono la Vita e le Profezie di Padmasarpbhava. Questo studio gli diede una discreta conoscenza della religione popolare tibetana, tanto che tre mesi dopo il suo arrivo a Lhasa, "ne' mesi di giugno, luglio e agosto, per divertimento dalla continua applicazione allo studio della lingua, in alcune ore per ciaschedun giorno ero andato componendo in italiano due libretti. Nel primo confuto l'errore molto sparso che ognuno si possa salvare nella sua legge [religione] mostrando che il cammino della salute è uno solo e tutte l'altre vie sono di perdizione. Nel secondo confuto la trasmigrazione dei buoni. Agli 8 di settembre cominciai da me stesso a tradurre in questa lingua e per più allettativo ancora in versi Thibetani, il primo di detti miei due libretti". Nacquero così la prima opera in lingua tibetana, il T'oraṅs (L'Aurora) e il primo abbozzo dell'opera sulla metempsicosi.

Pochi giorni dopo l'arrivo a Lhasa, il reggente Llia bzaṅ Khan l'aveva fatto chiamare a palazzo e gli aveva fatto chiedere da un suo ministro d'onde venisse e i motivi del suo viaggio. Il D. dichiarò il suo intento di propagare la religione cattolica come l'unica vera e quindi l'unica in grado di portare l'uomo alla salvezza. Impressionato favorevolmente dalla franchezza e dalla forte personalità del D., il ministro ne parlò al reggente il quale volle conoscerlo. Nell'udienza avvenuta il 10 maggio 1716, questi pose al D. molte domande concernenti soprattutto la religione cristiana, gli raccomandò lo studio della lingua tibetana e gli disse di voler essere istruito nella sua religione insieme con la sua corte, esortandolo a mettere per iscritto le sue "istruzioni" (Petech, V, p. 105). Da quel giorno le visite del D. a palazzo divennero frequenti e l'ammirazione del reggente per lui sempre più profonda. Fu così che il D. gli dedicò la sua prima opera (una specie di introduzione al cristianesimo: cfr. ibid., p. 83), presentandogliela nel corso di una memorabile udienza il 6 genn. 1717.

Nel marzo 1717 il reggente, fatto chiamare il D., gli disse di aver letto e meditato il suo libro, di averlo fatto leggere ed esaminare da vari lama e dottori: "Il parer di tutti esser questo che gli assiomi e principij in esso contenuti son ben proposti e non lasciano d'appagar la ragione; esser però molto opposti a' lor dogmi e opinioni". Dovendosi ben pesare da una e dall'altra parte le ragioni, prima di prendere una risoluzione, il reggente disse di aver stabilito che si facessero dispute fra il D. e i lama. Lo consigliò quindi di ritirarsi in una lamaseria, ove avrebbe avuto a sua disposizione i libri necessari. Il D. entrò pertanto in una lamaseria posta vicino al palazzo reale ove rimase dal 25 marzo alla fine di luglio, studiandovi i libri del bKa 'gyur (Raccolta dei libri sacri del canone buddhista), e quasi ogni giorno aveva conversazioni con i lama-dottori. Scrisse anche un dizionario dei termini propri della religione e scientifici. È giunto a noi uno "Zibaldone di brani ricopiati da libri", in cui una trentina di fogli riportano brani copiati da tredici opere del bKa 'gyur. È certamente di questo periodo anche l'opera Essenza della dottrina cristiana, divisa in due parti: nella prima viene confutato il fenomenismo universale buddhista; nella seconda parte vengono esposti i dogmi della religione cristiana.

Ben presto però il D. sentì il bisogno di un ambiente di studio più elevato, e ai primi di agosto dello stesso anno 1717 si portò nella lamaseria-università di Sera dove per tutto il mese continuò lo studio delle opere dal bKa 'gyur; quindi, per otto mesi, si immerse nello studio dei libri raccolti nel bsTan 'gyur e soprattutto i trattati sulla vacuità (sanscrito śūnyatā, tibetano stoṅ pa ñid). Da solo, non avendo trovato nessun lama in grado di dargli spiegazioni, riuscì "con ammirazione di quei dottori non solo a capir quelle intricatissime questioni, ma anche a possederle perfettamente e a saperle altrui spiegare, come se ne fussi maestro" (Petech, V, p. 200).

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Il 1717 fu un anno fecondissimo pel D., non solo per la raccolta di materiale, ma anche per la stesura di alcune opere.

Un'operetta in sei fogli datata 1º luglio 117, che potrebbe intitolarsi Esercitazioni di logica, tratta dell'uso della logica nelle dispute, al fine di individuare subito il punto debole di un ragionamento dell'avversario. Porta la data del 28 nov. 1717 il primo foglio di un'opera di filosofia intitolata L'origine degli esseri viventi, delle cose... Essa è divisa in due parti. Nella prima dimostra l'esigenza che esista una causa prima, origine di tutti gli esseri viventi e di tutte le cose, causata da se stessa, senza inizio e senza fine, la cui caratteristica è l'indipendenza. La seconda parte è un vero trattato sull'interdipendenza, cioè sul vuoto di tutte le cose. Partendo da questo vuoto (śūnyatā), il D. dimostra che se nulla nella sfera dell'esistente ha in sé la ragione della propria esistenza, si deve riconoscere l'esistenza di un Assoluto, ragione di essere delle cose. L'opera termina con la data 21 giugno 1718. Datato 8 dic. 1717 è l'inizio di un'altra opera sulla trasmigrazione delle vite, una delle tre scritte dal D. sullo stesso argomento in lingua tibetana. Vi si parla dell'avidyā (l'ignoranza), dei dodici nidana (pratītyasamuntpāda), dei quattro tipi di nascita (ex utero, ex ovo, ex putri, ex apparitione), delle rinascite buone (dei semidei, uomini) e cattive (lemuri, animali, dannati). Il D. tratta poi del karma ed esclude che possa esser causa di esseri viventi. L'esistenza delle cose esige una Causa prima, perché non è possibile che vengano dall'eternità a parte ante.

Nel 1717 il Tibet fu invaso dagli Zurigari che nella notte fra il 30 novembre e il 1º dicembre s'impadronirono di Lhasa, uccidendo il 3 dicembre il reggente. Il D. non ebbe a subire danni, ma essendo stato favorito dal reggente, per prudenza lasciò Lhasa ritirandosi nell'ospizio dei cappuccini situato nel Dvags po, ove rimase, eccetto qualche visita a Lhasa, fino al 1721, lavorando intensamente: finì l'opera L'origine degli esseri viventi, delle cose ecc., scrisse un'opera sul Fine ultimo e portò quasi a termine la grande opera sulla "trasmigrazione delle vite".

Il Fine ultimo, giuntoci purtroppo mutilo, sviluppa tre grandi temi. Il primo è che lo scopo finale dell'uomo, non può essere né Buddha, né il dharma, né il sangha ma solo l'Assoluto. Il secondo tema verte sull'esistenza dell'Assoluto. Il terzo tema riprende e sviluppa la tesi a lui cara che la dottrina della śūnyatā è vera e porta necessariamente ed inevitabilmente all'affermazione dell'esistenza dell'Assoluto, unico degno "luogo di rifugio" degli uomini ed unico loro degno "scopo finale". L'opera termina con una discussione sul Rarma.

La grande opera sulla metempsicosi, il capolavoro del D., inizia con un inno al Signore cui fanno seguito un inno all'opera divina della redenzione, un inno in onore del Tibet, dei suoi saggi e del suo popolo e la dedica al reggente Lha bzaṅ Khan ed è concepita secondo lo stile letterario tibetano, alternando brani filosofici e composizioni poetiche.

Nel frattempo a Roma la congregazione di Propaganda Fide decideva di affidare la missione del Tibet ai cappuccini. Il generale dei gesuiti richiamò quindi il D., che subito partì da Lhasa il 21 apr. 1721. Ritornato in India, lavorò dal 1722 al 1725 a Delhi; nel 1726 era a Karmatak e il 21 genn. 1727 si imbarcò a Pondichéry per l'Europa. Arrivato a Roma il 23 genn. 1728, si pose subito con entusiasmo a difendere i diritti della Compagnia di Gesù sul Tibet, mediante tre Difese, notevoli "esempi di eloquenza forense e di raziocinio giuridico" (Petech, V, p. XVIII). Intanto si dedicò alla stesura della sua relazione (Notizie storiche del Tibet e memorie de' viaggi e missione ivi fatta dalp. Ippolito Desideri della Compagnia di Gesù dal medesimo scritte e dedicate).

Per quest'opera il D. può essere considerato uno dei più grandi tibetanologi (cfr. i giudizi in questo senso di Petech, e di G. Tucci, Italia e Oriente, p. 204), in quanto, padrone della lingua, senza aiuto di grammatica e di dizionari, riuscì a penetrare nei segreti più reconditi e più astrusi della filosofia mahayanica, trasportata dall'India nel Tibet. Il D. è stato definito anche il più grande geografo del

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Tibet (S. Hedin, Southern Tibet, III, p. 13). Inoltre, per la invasione degli Zungari e la conseguente occupazione cinese, il D. è fonte di primissimo ordine, più chiara e fedele alla verità storica che non le cronache tibetane e gli aridi documenti cinesi (Petech, V, p. XXVII).

Il D. intendeva dare alle stampe la sua relazione, ma questa rimase inedita per cause non note. Nel frattempo, il 29 nov. 1732, la congregazione de Propaganda Fide dava il suo giudizio definitivo a favore dell'affidamento della missione del Tibet ai cappuccini. Per il D. ciò "fu il crollo definitivo dell'opera di tutta la sua vita". Il 14 apr. 1733 morì a Roma nel Collegio Romano.

Opere: Gli scritti del D. rimasero a lungo inediti, se si eccettuano la Lettera alp. Ildebrando Grassi (Lhasa, 10 apr. 1716), in Lettres édifiantes et curieuses, XV, Paris 1722, pp. 183-209, e la Lettera ad ignoto (Lhasa, 13 febbr. 1717), in Bibliotheca Pistoriensis, a cura di F. A. Zaccaria, I, Torino 1752, pp. 185 s., e poche altre lettere pubblicate nei primi decenni del nostro secolo. Le prime edizioni delle sue opere risalgono agli anni 1954-56, nella collana "Il nuovo Ramusio. Raccolta di viaggi, testi e documenti relativi ai rapporti fra l'Europa e l'Oriente", promossa dall'Ist. italiano per il medio ed estremo oriente. Nel secondo volume di questa, Imissionari italiani nel Tibet e nel Nepal, curato da L. Petech, sono dedicati al D. i tomi V-VII. Il tomo V (Roma 1954), oltre a un'introduzione del Petech preziosa per ricostruire la biografia del D., contiene ventiquattro lettere, la Citazione ai padri cappuccini, il riassunto delle tre difese e il libro I della relazione; il tomo VI (ibid. 1955) comprende il II e il III libro della relazione; il tomo VII presenta il IV libro della relazione, il Breve e succinto ragguaglio del viaggio alle Indie Orientali, l'Aggiunta di una breve ricapitolazione di ciò che appartiene ai sopra riferiti viaggi e alcuni più importanti sentimenti dell'autore intorno alle missioni dell'India e Ilmanuale missionario. Più recentemente sono state pubblicate, a cura di G. Toscano, alcune opere in lingua tibetana: T'o raṅs (L'Aurora), Roma 1981; Sñṅ po (Essenza della dottrina cristiana), ibid. 1982; in preparazione è il volume Byun K'uṅs (L'origine degli esseri viventi, delle cose ...). Numerosi scritti inediti del D. sono conservati nell'Archivum Romanum Societatis Iesu: Goa 73, f. 153 rv: Explicatio libri, Thibetensi idiomate conscripti, in confutationem Pithagoricae sententiae de Transmigratione animarum juxta Thibetanorum systema; Ibid., ff. 155-163: diario spese (in lingua portoghese); Ibid., ff. 248-253: lettere varie; Ibid., ff. 285-308: abbozzo di un'opera sulla trasmigrazione delle anime (in lingua italiana); Goa 74 (fogli non numerati): Nes legs (Il fine ultimo; ms. di ventiquattro fogli); scritto sulla metempsicosi (dodici fogli in lingua tibetana); esercitazioni di logica (sei pagine in lingua tibetana); preghiere cristiane (due fogli in lingua tibetana); Goa 75: Skye ba sṅa ma (trattato sulla trasmigrazione delle vite, duecentotrentadue fogli in lingua tibetana); Goa 76a, ff. 2-24: abbozzi di varie opere (in lingua tibetana); ff. 261-308: materiale servito per la stesura dell'opera Toraṅs.

Risultano perdute le seguenti opere: Dizionario dei termini religiosi e filosofici; Grammatica della lingua tibetana; traduzione italiana del Lam rim c'en mo (I gradi del cammino) di Tsoṅ K'a pa; Trattato sul "vuoto" (śūnyatā), che forse è stato inserito nell'opera Origine degli esseri viventi..., la cui seconda parte è tutta dedicata alla dottrina del "vuoto".

Bibl.: N. Delisle, Notes géographiques sur le Tibet, recuellies par N. Delisle et publiées par Klaproth, in Journal asiatique, VIII (1831), pp. 117-121; C. Puini, Di una relaz. ined. del viaggio delp. I. D. da Pistoia scritta da lui stesso, in Bull. ital. degli studi orientali, I (1876), pp. 33-42; G. Nerucci, Intorno al padre D. da Pistoia, in Rivista europea, VII (1876), pp. 289-294; P. Amat di San Filippo, Gli illustri viaggiatori ital. ..., Roma 1895, pp. 341-347; C. Sommervogel, Bibliothèque de la Compagnie de Jesus, Bruxelles 1891, II, coll. 1963 ss.; C. Puini, Il p. I. D. e i suoi viaggi in India e nel Tibet, in Studi italiani di filologia indo-iranica, III (1899), pp. I-XXXIII, 1-63; Id., Il Buddhismo nel Tibet secondo la relazione delp. I. D., ibid., pp. 113-152; Id., Il matrimonio nel Tibet, in Riv. ital. di sociologia, IV (1900), 1, pp. 149-168; Id., Viaggio nel Tibet delp. I. D., in Riv. geografica ital., VII (1900), pp. 562-582; Id., Il Tibet (geografia, storia,

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