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Quaderno Bio agricoltura sociale Risultati dell’indagine di AIAB sulle bio-fattorie sociali Realtà, problematiche, prospettive di sviluppo a cura di AIAB - Associazione Italiana Agricoltura Biologica AIAB

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QuadernoBio agricoltura sociale

Risultati dell’indagine di AIAB sulle bio-fattorie sociali Realtà, problematiche, prospettive di sviluppo

a cura di

AIAB - Associazione Italiana Agricoltura Biologica

AIABQuaderno realizzato all’interno del progetto

«Programma nazionale di sviluppo e promozione della Rete delle biofattorie sociali»finanziato dal Ministero della Solidarietà sociale

ai sensi dell’art. 12, lett. f ) legge 383/2000. Annualità 2005

cop BioAgricolturaSociale AIAB:Layout 1 3-07-2007 16:32 Pagina 1

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Bio agricoltura socialeBuona due volte

Risultati dell’indagine di AIAB sulle bio-fattorie socialiRealtà, problematiche, prospettive di sviluppo

A cura diAIAB - Associazione Italiana Agricoltura Biologica

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Coordinamento editorialeAnna Ciaperoni

Monitoraggio - censimento delle bio-fattorie socialiSimona Zerbinati

EditingVerba sequentur S.a.s. di Alessandra Viana

Finito di stampare nel mese di giugno 2007dalla tipografia Selegrafica 80 S.r.l.Loc. Tavernelle km 19Guidonia Montecelio - Roma

Copyright by AIAB 2007Casa editrice AIABVia Piave 14 - 00187 RomaTel. 06 45437485 Fax 06 45437469Sito internet: www.aiab.itE-mail: [email protected]

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Indice

PresentazioneAndrea Ferrante 5

AIAB per l’agricoltura socialeDocumento programmatico di AIAB per l’agricoltura sociale - 2005 7

PARTE PRIMA

L’agricoltura sociale biologica tra nuovo modellodi sviluppo rurale e nuovo welfare localeAnna Ciaperoni 9

Premessa 9

CAPITOLO PRIMO

Gli innumerevoli volti della bio-agricoltura sociale 9

1. La fattoria sociale come centro di servizi e di aggregazione delle aree rurali 92. L’agricoltura, un ambiente più inclusivo per soggetti svantaggiati 113. Gli attori e le dimensioni del fenomeno 124. Il valore aggiunto della bio-agricoltura sociale 12

CAPITOLO SECONDO

Multifunzionalità e motivazioninelle bio-fattorie sociali 13

1. Differenze e punti in comune delle bio-fattorie sociali 132. Le motivazioni etiche, sociali, ambientali e religiose delle bio-fattorie sociali 143. Innovazione, qualità e diversificazione nelle bio-fattorie sociali 154. Alcuni esempi di un «modello» di sviluppo agricolo alternativo all’industrializzazione 16

CAPITOLO TERZO

Verso una nuova fase di sviluppo dell’agricoltura sociale 17

1. Alle origini dell’agricoltura sociale 172. Nuove opportunità per l’agricoltura sociale 193. I punti di forza dell’agricoltura sociale oggi 194. Le politiche pubbliche di sostegno per l’agricoltura sociale 21

CAPITOLO QUARTO

Germogli di un nuovo welfare locale/rurale. Alcuni esempi di buonepratiche di bio agricoltura sociale 23

1. Azienda agricola Il Giglio Scarperia (FI): oltre il lavoro 24

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2. Il Progetto La Buona terra di Agricoltura Capodarco-Grottaferrata (RM):un partenariato molto virtuoso 253. Azienda agricola San Damiano Cantù: anche piccola va bene 264. Le Cooperative sociali di Libera terra: lavoro, legalità e prodotti d’eccellenzanelle terre della mafia 275. Agricoltura Nuova-Decima (RM): la storica cooperativa punto di riferimentodel biologico romano 286. Lazzaria - Velletri: dal carcere un nuovo modello di azienda agricola 297. Azienda agricola Colombini-Lari: dove convivono etica e profit 308. La Fattoria verde - Palidoro: prodotti a marchio due volte buono 329. Cooperativa sociale Il Noce - Termoli: dalla comunità per tossicodipendenti al recuperodi antiche varietà di grano 3210. Cooperativa sociale Rinatura-Modena: i mille volti della multifunzionalità 33

Conclusioni 34

PARTE SECONDA

Monitoraggio-inventario delle bio-fattorie sociali in ItaliaSimona Zerbinati 36

Il censimento delle bio-fattorie sociali in Italia 39

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Presentazione

Andrea Ferrante Presidente AIAB

Le attività agricole, oltre alla funzione di produrrebeni alimentari, svolgono anche un ruolo di pro-mozione di una vasta gamma di servizi. Il mo-dello agricolo familiare, che ha storicamente ca-ratterizzato l’agricoltura italiana, ha da sempresvolto un fondamentale ruolo nell’organizzazio-ne sociale delle comunità rurali, in particolare nelfarsi carico dei bisogni di soggetti deboli o vul-nerabili.La scelta dell’agricoltura come ambito di supportoa percorsi terapeutico-riabilitativi e per l’inseri-mento lavorativo e l’inclusione sociale non è ca-suale. Le attività agricole, e in particolare quellenel settore biologico, presentano infatti alcunepeculiarità particolarmente favorevoli allo scopo.Tra le caratteristiche che rendono l’azienda agri-cola biologica un contesto potenzialmente inclu-sivo di soggetti fragili rientrano:■ l’organizzazione dell’unità di produzione, chepuò essere estremamente duttile (infatti gli ordi-namenti produttivi possono essere scelti in unventaglio molto ampio di possibilità che includeattività in pieno campo e al coperto, di coltivazio-ne e di allevamento, a ciclo breve o a ciclo lungo,ecc.);■ le modalità con cui può essere svolto un pro-cesso produttivo (lavoro in un ambiente aperto, acontatto con la natura);■ gli obiettivi che guidano le scelte dell’impren-ditore, orientati non solo alla massimizzazione diun parametro economico, ma anche al consegui-mento di risultati di carattere sociale;■ l’adozione di tecniche di produzione che in unalogica puramente economica risulterebbero ineffi-cienti ma che in una prospettiva di efficienza so-ciale possono essere proficuamente condotte.L’AIAB, che associa produttori agricoli, tecnici,consumatori, cittadini, promuove stili di vita so-stenibili per l’ambiente (attraverso la divulgazionee il sostegno del metodo di produzione biologicain agricoltura, il risparmio energetico, il consumo

consapevole) e per l’uomo impegnandosi nellapromozione di percorsi terapeutici, riabilitativi edi integrazione sociale di persone svantaggiatemediante la valorizzazione delle risorse agricole eambientali.Per tutti questi motivi AIAB, anche attraverso leazioni previste nel progetto «Programma nazio-nale di sviluppo e promozione della Rete dellebio-fattorie sociali», finanziato dal Ministero dellaSolidarietà sociale, intende facilitare l’avvio epromuovere nuove bio-fattorie sociali, nonchésostenere e valorizzare quelle imprese agricole,private o cooperative, che già svolgono un ruolosociale e didattico.Due gli obiettivi prioritari di AIAB: realizzare unarete di bio-fattorie sociali gestite direttamente daaziende private, cooperative agricole e cooperati-ve; facilitare l’avvio di progetti sperimentali checoinvolgano direttamente tutti i soggetti interes-sati: realtà produttive, persone variamente «svan-taggiate», associazioni del Terzo settore, istituzio-ni pubbliche dell’area socio-sanitaria e scolastica,al fine di avviare programmi di inclusione socialee lavorativa e di attivazione di altri servizi. A que-sto scopo, AIAB è impegnata a promuovere poli-tiche di sostegno per lo sviluppo dell’area dell’im-presa agricola sociale, attivando tutti i canali pro-grammatici e di spesa possibili a livello nazionale,comunitario e regionale, primi fra tutti i Fondistrutturali UE per lo sviluppo rurale e per le poli-tiche regionali e di coesione. Particolarmente im-portante, in proposito, che i nuovi cicli program-matori, relativi al prossimo quinquennio (2007-2013) dell’intervento di tali fondi, prevedano mi-sure specifiche per l’agricoltura sociale. Per questoi nuovi Piani di sviluppo rurale costituiranno untest decisivo per le stesse Regioni, rispetto allereali volontà di promuovere e sviluppare espe-rienze importanti anche dal punto di vistadell’urgenza di creare nuovi sistemi di welfarelocale.

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AIAB per l’agricoltura sociale

Documento programmatico di AIAB per l’agricoltura sociale - 2005

L’agricoltura biologica rimette al centro delle de-cisioni aziendali il produttore/contadino, cui è af-fidata la gestione del territorio, compito che esaltail ruolo di utilità sociale dell’azienda agricola e in-tegra quello di operatore economico, un operato-re che deve percepire un giusto reddito ed ottene-re il riconoscimento, attribuito dalla collettività,per un’attività che ha un forte legame positivocon il territorio e che rispetta le chiare regole san-cite dalle norme del metodo di produzione biolo-gico. Proprio da qui nasce un legame che sta di-ventando sempre più forte fra l’agricoltura biolo-gica intesa come un modello di sviluppo multi-funzionale ed una revisione profonda della societàche vuole integrare le fasce deboli in un nuovowelfare di prossimità che si lascia alle spalle il pie-tismo compassionevole che per anni ha solocreato ulteriore emarginazione.I punti da cui avviare una politica di AIAB perl’agricoltura sociale:■ Rimettere al centro l’uomo significa dare a chiun-que lavori nell’azienda agricola un senso di respon-sabilità rispetto all’attività che sta svolgendo; infatti ilprocesso tecnologico/produttivo è solo figlio dellescelte fatte in azienda e non dipende da pacchettitecnologici che devono essere applicati. Il conven-zionale è ormai figlio di questa logica ed i produttorisono sempre più espropriati del proprio sapere. Ilbiologico rimette questo sapere al centro del proces-so tecnologico e ne rende tutti protagonisti. È evi-denti che questo aspetto è forse l’elemento di par-tenza fondamentale per la costruzione di una pro-pria autostima che è alla base di qualsiasi percorso diinserimento. L’azienda biologica è quindi i luogoideale per avviare questo percorso.■ Il metodo dell’agricoltura biologica permetteanche a chi è in difficoltà di lavorare in tutta sicu-rezza. L’uso di sostanze a tossicità ridotta per ladifesa delle colture rende l’azienda biologica an-che un luogo sicuro, dove le liberta di sperimen-tazione individuale sono più libere, dove quindi lapropria soggettività può esprimersi liberamente,trovando spesso nel rapporto con animali e pianteche non sono in stato di stress un proprio equili-brio interiore.■ L’agricoltura biologica è un modello di svilup-

po multifunzionale per eccellenza. La funzionesociale ovvero la capacità di offrire servizi di ca-rattere sociale alla collettività è ormai ricono-sciuta da tutti. L’azienda biologica è quindi giàimpostata per essere un luogo dove la produzio-ne agroalimentare è sempre associata alla forni-tura di servizi alla collettività rendendola il luogopiù appropriato per l’inserimento di persone indifficoltà che hanno bisogno di una poliedricitàdi obiettivi per poter dar spazio alle loro esigen-ze di espressione. Infatti alla propria necessità diespressione, di affermazione, risponde una orga-nizzazione aziendale versatile che deve dare di-verse risposte e non un solo prodotto finito(scarpe o ceramica o altro).■ L’altra gamba del biologico riconosciuta da tuttiè il suo naturale orientamento al mercato perchérisponde ad una domanda reale di prodotti diqualità a livello di sicurezza alimentare e con in séun portato ambientale importante. Questo fa sìche l’azienda sia orientata a rispondere alla do-manda di qualcuno e chi vi lavora sente questarelazione con il consumatore. Siamo in vereaziende, non si fa quindi un assistenzialismo de-qualificante e tutto questo crea delle straordinariemotivazioni per chi è coinvolto, la produzione haun senso e non è fine a se stessa■ Il sistema di certificazione del biologico può es-sere ampliato alla sfera sociale e qualificare il pro-dotto. Il mondo del biologico per primo nell’a-groalimentare ha scelto la strada della certificazio-ne ovvero del coinvolgimento di una autorità ter-za che garantisse il consumatore in merito al pro-cesso di produzione dichiarato dal produttore.Una rivoluzione che ci fa essere all’avanguardianell’agroalimentare e che deve essere utilizzata pervalorizzare ulteriormente il prodotto provenienteda una agricoltura biologica sociale. Essendo giàun sistema di certificazione in piedi, il passo per lacertificazione etica sociale che garantisce anchesulla organizzazione (ovvero il fatto che si tratti dicooperativa sociale di tipo B) è senza dubbio fatti-bili senza oneri aggiuntivi e nello stesso tempo è diun enorme valore se si vuole anche individuare unpolitica di marchio che deve essere supportata daun sistema di certificazione.

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■ La vendita diretta, la filiera corta, rendono l’a-zienda un luogo aperto alla società e facilitanol’incontro dei diversamente abili con il resto dellasocietà. Questo aspetto è nel Dna del biologico;l’aver cercato il rapporto diretto con il consuma-tore, il legame della produzione con il territoriodove si consuma è parte fondante di un modellodi sviluppo promosso dall’agricoltura biologica eche oggi viene riscoperto. L’azienda è quindi unluogo aperto per definizione, l’incontro fra il con-sumatore e il produttore è elemento fondamen-tale di questa strategia; le fasce deboli presenti inazienda sono quindi nello stesso tempo in un am-biente «protetto», la loro azienda, ma anche nelpieno di un crocevia di relazioni con il mondoesterno che stimola l’integrazione e la valorizza-zione delle proprie capacità.■ L’agricoltura biologica deve entrare in relazionecon i servizi sociali, deve essere riconosciuto que-sto ruolo e valorizzato in un quadro generale diriforma del sistema del welfare locale. Significarimettere anche in discussione il rapporto fra am-

biente rurale ed urbano, ri-valorizzare l’ambienterurale come elemento qualificante del tessuto so-ciale cittadino, come luogo di integrazione e for-nitore di servizi a tutta la collettività. L’AS nel suoessere multifunzionale riesce a far emergere an-che il ruolo dell’agricoltura nella riforma del wel-fare, per un allargamento delle prestazioni ed unsuo miglioramento qualitativo. L’ambiente delleaziende biologiche fa coesione sociale e nonesclusione: è la base per costruire un welfare diprossimità.■ I marchi per la valorizzazione AIAB, ed in par-ticolare il suo marchio Garanzia AIAB, vengonoidentificati come qualità nel biologico. Sulla basedi questa forza ci sembra opportuno realizzare unmarchio Garanzia AIAB per il sociale: AIAB, in-fatti, vuole valorizzare le tante esperienze che giàsono nel nostro corpo sociale (le diverse decine dicooperative sociali che sono aziende bio) con unapposito marchio per la valorizzazione delle pro-duzioni, delle esperienze e del ruolo di questeaziende.

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PARTE PRIMAL’agricoltura sociale biologica tra nuovo modellodi sviluppo rurale e nuovo welfare locale

Anna Ciaperoni

Premessa

Nel quaderno sono riportati i risultati di un’in-dagine-cesimento di AIAB sulle bio-fattorie so-ciali, realizzata nell’ambito di un progetto finan-ziato dal Ministero della Solidarietà sociale che siarticola in due parti: la prima offre una «lettura»sui dati emersi dal censimento (tipo di realtà so-ciale e produttiva, motivazioni degli operatori, ti-po di servizi offerti, prospettive di sviluppo dellarete delle bio-fattorie sociali); la seconda parte ri-porta i risultati del censimento con l’indicazionedi nomi, recapiti e tipo di attività delle realtà cen-site. Il lavoro di indagine ha coinvolto circa 250realtà, tra aziende agricole private, cooperative so-ciali e cooperative agricole, ma nel censimentosono riportate solo le aziende biologiche certifi-cate (bio-fattorie sociali), che assommano a pocopiù di un centinaio (si veda la seconda parte delquaderno), di cui la parte più rilevante è costituitada cooperative sociali di tipo B che svolgono atti-vità agricola. Sono state escluse, invece, sia le co-operative che si occupano di manutenzione delverde, che sono numerose, sia le aziende/coo-perative che producono con metodo biologicoma che non sono certificate. L’indagine di AIABsulle fattorie sociali biologiche, la prima realizzatain Italia, fotografa una realtà multiforme di azien-de biologiche che, oltre a produrre beni agro-alimentari, sono impegnate nello svolgimento dimolteplici attività sociali, primi fra tutti l’in-clusione di soggetti variamente svantaggiati, comepersone con handicap psico-fisico, carcerati ed excarcerati, disoccupati di lungo corso, personesottoposte a varie dipendenze e schiavitù (alcoli-sti, tossicodipendenti, ragazze sfruttate sessual-mente ecc.), evidenziando una realtà estrema-mente ricca e variegata, difficilmente classificabilesecondo chiavi di lettura uniformi. Emerge, infat-ti, un quadro particolarmente sfaccettato in ter-mini di tipo di azienda, origine e motivazioni del-l’attività sociale, soggetti promotori, servizi pre-stati, utenti coinvolti, partenariati realizzati, cosìcome differenti sono i contesti locali in cui le sin-

gole realtà operano, siano esse aziende private ocooperative. Ed è proprio questo l’elemento ca-ratterizzante più emblematico: il «primato» delcontesto locale in cui si colloca l’agricoltura so-ciale. Del resto, la grande sfaccettatura delle espe-rienze concretamente realizzate si evidenzia connettezza anche da altre indagini condotte nelcampo dell’agricoltura sociale in generale, com-prendenti fattorie biologiche e convenzionali,come quella promossa dall’ARSIA della RegioneToscana, curata da Marco Noferi (fondatore diPaterna, una delle prime cooperative agricole-sociali toscane), Roberto D’Alonzo di Arsia eFrancesco Di Iacovo dell’Università di Pisa. Cosìcome quella della Regione Lazio, svolta in colla-borazione con l’Università della Tuscia. Tuttavia idati raccolti, pur nella loro eterogeneità, offronosufficienti elementi che consentono di delineareun quadro d’insieme che mette in luce una serie direaltà, informazioni e riflessioni che possonoconcorrere a delineare una più chiara strategiad’intervento e di animazione, utili per coloro –privati, associazioni, enti e amministratori pubbli-ci, istituzioni scientifiche e socio-sanitarie – cheintendono attivarsi per la promozione di progettidi bio agricoltura sociale.

CAPITOLO PRIMO

Gli innumerevoli voltidella bio-agricoltura sociale

1. La fattoria sociale come centro di servizie di aggregazione delle aree rurali

Sebbene non esista una definizione univoca diagricoltura sociale (As) o agricoltura etico-sociale,con questo termine ci si riferisce generalmente acooperative sociali o imprese agricole, private ocooperative, che oltre a produrre beni agro-ali-mentari, zootecnici e forestali, svolgono un’atti-vità sociale inerente all’inserimento in azienda disoggetti socialmente deboli e/o svantaggiati, an-che in base alla legge 381 dell’8 novembre 1991

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che disciplina le cooperative sociali che hanno trai loro scopi la promozione umana e l’integrazionesociale e lavorativa di cittadini appartenenti a ca-tegorie svantaggiate e deboli. A questo propositola Regione Veneto – una delle poche che ha in-centivato, insieme alla Toscana, questo tipo diagricoltura nei bandi 2003-2004 della misura 16del Piano di sviluppo rurale (diversificazione delleattività legate all’agricoltura) – dice: «per fattoriesociali si intendono imprese agricole, come defi-nite dal d.lgs. 18 maggio 2001, n. 228 (Orienta-mento e modernizzazione del settore agricolo) ingrado di ospitare e svolgere attività di socializza-zione rivolte a fasce particolari della popolazione,quali bambini in età prescolare e anziani o attivitàcon valenza terapeutica rivolte a persone diver-samente abili». Analoga, ma più ampia, la defini-zione di Alfonso Pascale, presidente dell’Asso-ciazione rete fattorie sociali, secondo il quale lafattoria sociale è «un’impresa economicamente efinanziariamente sostenibile, condotta in formasingola o variamente associata, che svolge l’atti-vità produttiva agricola e zootecnica proponendoi suoi prodotti sul mercato, in modo integrato conl’offerta di servizi culturali, educativi, assistenziali,formativi e occupazionali a vantaggio di soggettideboli (portatori di handicap, tossicodipendenti,detenuti, anziani, bambini e adolescenti) e di areefragili (montagna e centri isolati), in collaborazio-ne con istituzioni pubbliche e con il vasto mondodel terzo settore» (A. Pascale). In senso più ampiol’agricoltura sociale comprende anche le attivitàdelle fattorie didattiche che svolgono attività in-formativa e formativa rivolta in particolare almondo della scuola, favorendo, in tal modo,l’incontro fra realtà differenti, facilitando l’integra-zione e lo scambio esperienziale tra i giovani dellescuole e soggetti appartenenti a fasce deboli evulnerabili, con il mondo dell’impresa e del lavoro.Per il professor Saverio Senni, dell’Universitàdella Tuscia, «la «funzione sociale» dell’AS si ma-nifesta nella sua capacità di erogare in forma (im-plicita od esplicita) servizi che tendono a miglio-rare la qualità della vita di alcune particolari fascedella società». La finalità sociale dell’agricolturasociale «è nel promuovere forme di terapia, di ria-bilitazione e di integrazione lavorativa di soggettisvantaggiati: ci si riferisce ad un variegato insiemedi attività rivolte a persone con problemi di varianatura che trovano in un’attività agricola a diversilivelli di organizzazione un luogo vocato al recu-pero ed al reinserimento sociale e lavorativo. Si

possono catalogare diverse forme di agricolturasociale:■ recupero e reinserimento lavorativo di soggetticon problemi di dipendenza (droga e alcool in parti-colare)■ agricoltura terapeutica (ortoterapia, ippoterapiaecc.) con disabili fisici e psichici di diversa gravità■ reinserimento sociale e lavorativo di personeemarginate (minori a rischio, disoccupati di lungadurata, ecc.)■ attività agricola volta al miglioramento del benes-sere e della socialità (es. orti urbani per gli anziani)».Il professor Francesco Di Iacovo, dell’Universitàdi Pisa, ne dà una versione ancor più allargata, in-cludendo l’AS tra gli elementi che possono con-correre a definire nuove politiche di welfare loca-le, in presenza della crisi del modello di welfarecentrale. Dice Di Iacovo in proposito: «Il venirmeno del patto nazionale che legava partecipa-zione al processo produttivo, fiscalità e creazionedi una estesa rete di diritti, nelle città come nellecampagne, pone le basi, oggi, per una riconfigura-zione dei sistemi di welfare in senso municipale. Ilsistema locale, oggi più di ieri, è chiamato a ricer-care i percorsi più praticabili per assicurare, allostesso tempo, una vita sociale ed economica ca-pace di rispondere alle aspettative e ai diritti ac-quisiti dai propri abitanti. I riferimenti alla gover-nance locale, e soprattutto alla responsabilità esussidiarietà, si prestano oggi ad una doppia in-terpretazione, da una parte quella di aumentodell’efficacia della pubblica amministrazione…dall’altra, quella di rimandare ai soggetti locali ilcompito di trovare soluzioni pertinenti in un qua-dro divenuto difficile… Il dibattito sulla multi-funzionalità dell’agricoltura è intrinsecamente le-gato al tema della rilocalizzazione e mira a preci-sare in quale modo l’agricoltura può fornire rispo-ste utili a concreti e diversi bisogni presenti nellepopolazioni locali, rurali e urbane… Il temadell’agricoltura sociale, o di comunità, rappresentaun tassello importante – quanto ancora poco svi-luppato – del dibattito in corso sul futuro dell’a-gricoltura e delle aree rurali dell’Unione»1.Anche la Federazione città solidale – costituita daassociazioni, cooperative, gruppi e comunità cheoperano nel campo dell’emarginazione sociale edel disagio, in particolar modo di quello giovanilee che ha scelto di promuovere l’agricoltura sociale 1 Francesco Di Iacovo, Lo sviluppo sociale nelle aree rurali: traorizzonte di senso, ricerca, metodo ed applicazioni, Pisa 2004.

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biologica – ne dà una versione più ampia, sia purecon alcune rigidità riguardanti la natura giuridicadell’azienda e i canali commerciali. «La fattoriaSociale – afferma la Federazione Città solidale – èun’impresa economicamente e finanziariamentesostenibile, condotta in forma associata da unarete di soggetti del terzo settore, che svolgel’attività produttiva agricola e zootecnica propo-nendo i suoi prodotti sul mercato, in modo inte-grato con l’offerta di servizi culturali, educativi,assistenziali, formativi e occupazionali a vantaggiodi soggetti deboli (portatori di handicap, tossico-dipendenti, detenuti, anziani, bambini e adole-scenti) e di aree fragili (montagna e centri isolati),in collaborazione con istituzioni pubbliche eaziende private. …Le attività sociali della fattoriasi potranno estendere allo sviluppo delle attivitàlaboratoriali dell’impresa sociale, anche preveden-do soggiorni periodici che potrebbero coinciderecon le visite scolastiche, e dar luogo a forme or-ganizzate di trasmissione delle esperienze dallegenerazioni più mature ai ragazzi. Si potranno in-sediare ludoteche e centri di produzione artistica,installare servizi internet e postali, punti vendita dilibri, giornali e materiale multimediale, sportelli dienti ed associazioni, soprattutto nei piccoli centridispersi, dove queste attività non sono economi-camente sostenibili se svolte in via principale. Lafattoria sociale, in sostanza, dovrà essere intesacome centro di servizi sociali, ma anche di aggre-gazione delle aree rurali, dove la comunità si potràritrovare, con le persone che vi operano, nelle piùsvariate iniziative, da quelle culturali a quelle ri-creative e turistiche. In sostanza, investire in re-sponsabilità sociale per un’azienda agricola signi-fica non solo produrre consenso e reputazione,ma «beni pubblici»: più qualità, più tutela am-bientale e paesaggistica, più utilizzo virtuoso edefficiente delle risorse energetiche, più relazioniimprontate al mutuo aiuto, più sviluppo che tengaconto dello spirito civico».

2. L’agricoltura, un ambiente più inclusivoper soggetti svantaggiati

L’indagine di AIAB conferma ciò che oramai èlargamente riconosciuto – sia pure in modo più omeno empirico, ma secondo una prassi consoli-data – ovvero che l’agricoltura costituisce uncontesto più favorevole al recupero terapeutico eall’inserimento lavorativo di soggetti variamente

svantaggiati e/o marginali rispetto ad altri settorilavorativi. Le ragioni sono molteplici: maggioreflessibilità dell’organizzazione del lavoro, sia intermini di orario che di mansioni; attività che va-riano anche con il variare della giornata e dellestagioni; rapporto con la natura e ambienti di la-voro aperti e meno costrittivi. Ma ciò che emergecon grande chiarezza, è la valenza «terapeutica-inclusiva» del rapporto con la vita che l’agricolturaconsente: dal seme alla pianta, al frutto, dalla fe-condazione alla nascita, cura e crescita degli ani-mali. Attività queste che, secondo esperienze con-solidate, consentono di impiegare le persone in uncontesto più confacente alle diverse attitudini eabilità di ciascuno. L’agriterapia è, infatti, solita-mente considerata più idonea al recupero di sog-getti svantaggiati di un ambiente industriale o bu-rocratico perché, mettendo le persone in contattocon il ciclo della natura e della vita, aiuta a conse-guire maggiori livelli di autonomia e di senso disé, rispetto ad altri tipi di attività più ripetitive,frustranti e spersonalizzanti, spesso fonti essestesse di disagio personale. Del resto sull’alie-nazione del lavoro svolto in contesti industriali oburocratici sono stati spesi fiumi di parole.Molte le testimonianze raccolte nel corso dell’in-dagine che sottolineano come il lavoro in agri-coltura permetta di dare un senso più compiutoalla propria vita e di ritrovare la propria integrità,interezza, identità e quindi autostima. «È stato ve-rificato – dice Jeanette De Knegt dell’asso-ciazione La Fattoria verde Onlus – Centro agri-colo sperimentale con finalità sociali di Palidoro(Rm) – che le attività in agricoltura, varie a secon-da delle colture e delle stagioni, consentono lavalorizzazione delle specifiche capacità. Prendersicura degli animali significa sentirsi utili ed aiuta agestire la propria emotività. L’agricoltura è fatta dimansioni semplici e concrete, i risultati si vedonoe sono tangibili, si sta a contatto con la natura e ladiversità delle attività aiuta a trovare in ogni sog-getto le proprie capacità e a svilupparle, aumen-tando l’autostima personale». E Marco Sassi, di-rettore della Cooperativa Rinatura di Modena,nell’intervista ad AIAB afferma: «i punti di forzadell’attività sociale in ambito agricolo rimandanoall’idea di un lavoro svolto all’aperto con fatica esforzo fisico che aiuta a concentrare l’attenzionedelle persone che hanno avuto problemi di de-vianza sociale su cose concrete. In una parolapossiamo parlare di agriterapia». Ed ecco le con-siderazioni che hanno spinto la Cooperativa so-

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ciale Archimede di Scarperia (FI) – una grandecooperativa che opera in numerosi settori extra-gricoli – a fondare l’azienda agricola Il Giglio,proprio in seguito ad esperienze negative riscon-trate nell’inserimento di soggetti svantaggiati neglialtri settori di intervento della cooperativa stessa:«la possibilità di svolgere attività lavorative inagricoltura rappresenta una condizione altamentestimolante per il reinserimento sociale di personecon disagio. Le attività connesse con l’agricolturae l’ambiente costituiscono un’opportunità im-portante e privilegiata per il reinserimento socio-lavorativo. I livelli di capacità richiesti per l’ac-cesso al mondo del lavoro risultano troppo spessoelevati per molti tipi di disagio, in particolare perquello psichiatrico, e questo succede, purtroppo,anche in alcuni dei servizi realizzati e gestiti dallecooperative sociali». Per di più, ciò che finora ap-pariva soprattutto dall’esperienza empirica sembraoggi confermato da lavori scientifici. Secondo al-cuni studiosi – come riferito al corso di AIAB daldottor Giorgio Gerani, del Servizio psichiatricodiagnosi e cura dell’ospedale Grassi di Ostia, chesta conducendo un esperimento di urtoterapiaidroponica all’interno della struttura sanitaria – trale teorie a supporto dei processi riabilitativi vi è,oltre a quella cognitiva, dell’attaccamento e dell’ap-prendimento, quella della biofilia, ovvero un’atti-tudine genetica incisa nel Dna degli esseri umaniper l’attrazione verso gli altri esseri viventi.

3. Gli attori e le dimensioni del fenomeno

Per bio-fattoria sociale si intende una impresa(privata o cooperativa) che opera nei settori agri-colo e zootecnico utilizzando il metodo di produ-zione biologico o biodinamico certificato, chesvolge un’attività sociale analoga alle imprese agro-sociali convenzionate. I soggetti «agri-sociali» co-involti sono molteplici: imprese private, o aziendeagri-sociali, che hanno aperto al sociale nell’am-bito di una scelta di multifunzionalità; strutturesocio-agricole, ovvero imprese sociali, enti morali,associazioni e onlus che hanno scelto l’agricolturaquale settore per affrontare la formazione el’inclusione; neo e vecchie comunità rurali (co-munità di persone che operano in contesti rurali eutilizzano l’attività agricola quale attività econo-mica e al tempo stesso inclusiva); le strutture e glioperatori socio-sanitari e i volontari che svolgonola loro attività in ambito agro-rurale. La realtà più

numerosa è costituita da cooperative sociali di ti-po B che, in base alla legge 381/1991, svolgonoattività produttive finalizzate all’inserimento lavo-rativo di persone svantaggiate (mentre quelle ditipo A perseguono l’integrazione sociale attraver-so la gestione di servizi socio-sanitari ed educati-vi). Dal punto di vista delle dimensioni del feno-meno, le esperienze di AS sono circa 2000, traqueste ben 470 sono costituite da cooperative so-ciali di tipo B e tra queste circa il 70% sono bio-logiche. Nell’insieme, le valutazioni che si posso-no trarre dal censimento indicano una dimensionedella socialità nelle bio-fattorie molto più estesadel semplice inserimento lavorativo - inclusione disoggetti variamente svantaggiati.

4. Il valore aggiunto della bio-agricoltura sociale

Dall’indagine di AIAB emerge anche un altrodato: il valore aggiunto incorporato del metodo diproduzione biologica, relativo al processo di re-cupero e inserimento lavorativo di fasce conside-rate marginali, rispetto a quello già positivo dell’a-gricoltura convenzionale. Se le valenze «agrotera-piche» dell’agricoltura sono ormai acquisite, granparte delle interviste realizzate ha rimarcato il plusrappresentato dall’inserimento di questi soggettiin un contesto di produzione biologica da molte-plici punti di vista. Tra questi: il recupero tera-peutico e l’inserimento lavorativo di persone consvantaggio socio-sanitario in ambiente sano; l’of-ferta di maggiore prevenzione e tutela della salutedegli operatori inseriti in azienda; il valore educa-tivo di un’attività produttiva svolta nel rispettodell’ambiente e all’insegna della tutela del territo-rio e del paesaggio; l’attenzione alla biodiversità,alle produzioni autoctone e alle tradizioni locali; lacreazione di una rete di mercato locale meno in-quinante e più gratificante per il consumatore; lacentralità di un nuovo rapporto produttore-consumatore. Dice in proposito Paolo Di Luzio,presidente della Cooperativa sociale Il Noce,nonché di AIAB Molise: «la cooperativa ha sindall’inizio della propria attività orientato le pro-prie produzioni verso l’agricoltura biologica. Si èinfatti visto in questo metodo quello più confa-cente ad uno stile di vita rinnovato e rispettosodella natura. Quindi l’opzione per il bio è sem-brata una naturale conseguenza del tentativo divedere nel lavoro in agricoltura un modo per rin-novare se stessi e per produrre consumando il

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minimo di risorse ed evitando l’impiego di mole-cole di sintesi. Altri aspetti connaturati alla sceltadel metodo bio sono la possibilità di valorizzare almeglio il lavoro dell’uomo e quella di avere unrapporto franco ed aperto col consumatore». E laCooperativa Valle del Marro - Libera terra, sortanel 2004 su terreni confiscati della mafia nellaPiana di Gioia Tauro, spiega così la scelta delbiologico: «La cooperativa ha scelto di adottare ilmetodo di agricoltura biologica che con i suoiprodotti risponde ai bisogni di sicurezza e genui-nità alimentare e rispetta le reali potenzialità che laterra offre in termini di risorse produttive, senzadeterminarne uno sfruttamento insostenibile. Tut-te le scelte produttive dell’azienda rispondono allevocazionalità agricole dei terreni e alle favorevolicondizioni pedoclimatiche del territorio…».Ma, dal punto di vista del plus di «beneficio tera-peutico» del biologico, è emersa come dato parti-colarmente positivo la maggiore salubrità del la-voro svolto in un contesto privo di sostanze chi-miche di sintesi per gli stessi soggetti svantaggiati.Ecco come spiega la conversione al biologico laCooperativa sociale Archimede di Scarperia (Fi): «lostrumento adottato dalla cooperativa per rendereaccessibili il maggior numero di fasi e momenti dilavoro a persone con difficoltà è stata quella di con-vertire i terreni dell’azienda all’agricoltura biologica.Tale tipo di gestione agronomica oltre a tutelarel’ambiente tutela le persone che vivono all’internodel territorio aziendale e consente una maggiorepossibilità di inserimento di persone in situazione disvantaggio. L’utilizzo di sostanze tossiche, quali ifitofarmaci, infatti, rende molto spesso limitantel’impiego di persone svantaggiate in alcune fasi dellavoro e soprattutto in una fase di avviamento aquesto. L’assenza di sostanze tossiche facilita l’inse-rimento di persone svantaggiate».

CAPITOLO SECONDO

Multifunzionalità e motivazioninelle bio-fattorie sociali

1. Differenze e punti in comunedelle bio-fattorie sociali

L’indagine mette in evidenza differenze, punti dicontatto e problematiche, più o meno comuni.Nell’insieme emerge un quadro di imprese (pri-

vate e cooperative agricole o sociali) fortementemotivate sul piano professionale, etico, ambien-tale, sociale, e persino religioso. Negli ultimi anni,con l’esperienza delle cooperative siciliane e cala-bresi, costituite sui beni sottratti alla mafia, chefanno capo all’Associazione Libera di Don Ciotti,anch’esse rigorosamente biologiche, si sono ag-giunte anche motivazioni anti-illegalità e di ri-scatto civile e democratico.Le principali differenze che emergono dal censi-mento AIAB tra le bio-fattorie sociali riguardanola natura giuridica delle imprese, i soggetti pro-motori, le motivazioni degli stessi, i partenariatirealizzati e le metodiche riabilitative utilizzate. Ri-spetto alla natura giuridica dell’azienda siamo inpresenza di soggetti privati, cooperative sociali ditipo B (le più numerose), miste (di tipo A e di tipoB) e di cooperative agricole. Anche tra i soggettipromotori delle bio-fattorie sociali lo spettro èampio, si va da associazioni di volontariato e delterzo settore a cooperative di vario tipo; da co-munità e case-famiglia ad aziende agricole private;da istituzioni religiose e socio-sanitarie a comunitàscientifiche, enti e amministrazioni locali. Lo stes-so vale anche per le motivazioni dei soggettipromotori. A questo proposito si va da realtàpromosse da gruppi caratterizzati dalla forte im-pronta ideologica delle comuni e cooperativeagricole di fine anni ’70, a quelle solidaristiche delvolontariato cattolico e di istituzioni religiose ogravitanti intorno ad esse; dal movimento per ilrecupero delle terre incolte all’autorganizzazione eautoaiuto delle famiglie alle prese con familiaricon problemi di svantaggio, che hanno dato vitaad associazioni ad hoc, fino a soggetti privati conforte sensibilità sociale.Differenze si registrano anche in merito a:■ i servizi offerti e gli utenti coinvolti;■ le metodologie formative, di accoglienza, di in-serimento lavorativo, di accompagnamento postformazione e recupero;■ i soggetti istituzionali locali ed esterni all’azien-da interessati e partecipi;■ le diverse problematiche incontrate con le isti-tuzioni coinvolte.Ma, al di là delle differenze, più o meno vistose, siregistrano un insieme di punti di contatto tra lebio-fattorie sociali, i principali dei quali sono:■ l’attività produttiva agricola fondata sul metododi produzione biologico;■ la particolare attenzione alla qualità, sicurezza erintracciabilità dei prodotti;

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■ le forti motivazioni etiche e ambientali, conparticolare riferimento alla ricerca di sostenibilitàambientale, economica e sociale dell’attività dell’a-zienda, anche in termini di assunzione di respon-sabilità verso gli ecosistemi, i popoli svantaggiati,le nuove generazioni;■ l’attenzione a stili di vita complessivamente piùsostenibili;■ l’impegno per la costruzione di una rete di eco-nomia locale (filiera corta, ristorazione collettivain ambito territoriale, vendita diretta, mercatini,gruppi d’acquisto) e di economia solidale (com-mercio equo e solidale);■ la ricerca di rapporto con i consumatori, più direttoe personalizzato, tendente a far conoscere l’attività e apromuovere comportamenti di consumo virtuosi.In sintesi, i principali dati che accomunano le va-rie realtà censite sono due:a) le forti motivazioni etico, ambientali, sociali, pro-fessionali, religiose e «legalitarie» degli operatori;b) gli alti livelli di innovazione, diversificazione emultifunzionalità delle aziende coinvolte

2. Le motivazioni etiche, sociali, ambientalie religiose delle bio-fattorie sociali

Le motivazioni socio-ambientali

Il valore aggiunto dell’agricoltura sociale in gene-rale si moltiplica nelle bio-fattorie sociali ancheperché spesso si registra una coincidenza tra lemotivazioni sociali ed etiche dell’agricoltura bio-logica e gli interessi sociali più complessivi.La gran parte delle aziende e cooperative agricolebiologiche hanno, infatti, alla base di questa sceltaproduttiva, forti motivazioni etiche e di tuteladell’ambiente che costituiscono di per sé già mo-tivazioni sociali. Ciò configura un contesto dipropensione e disponibilità alla sfera del socialeinteso in senso più esteso. Le cooperative sociali,che hanno nella loro «missione» obiettivi di soli-darietà, inclusione e comunanza, esprimono dalcanto loro valenze di facile interscambio con lemotivazioni ambientali della produzione biologi-ca. Così, molto spesso, la scelta o il passaggio almetodo di produzione biologica da parte di realtàproduttive «sociali» diventa un percorso quasi ob-bligato e «naturale». In sostanza ci troviamo difronte ad aziende molto sensibili e interessate, ol-tre che alla giustizia e solidarietà sociale, alla co-

struzione di un mercato e di una economia soli-dale, in cui collocare lo sviluppo di economie lo-cali integrate e su cui costruire un’attività econo-mica e sbocchi occupazionali attenti ai bisognidelle persone, dell’ecosistema e delle collettività.In molti casi l’insieme di queste motivazioni con-vivono nella stessa realtà produttiva.Nella scelta del biologico sono già implicite, in-fatti, scelte attente al rispetto dell’ambiente e delcorretto uso delle risorse naturali (acqua terra,aria, energia), alla difesa del territorio (cura deiterreni, dei fossi, delle siepi) e della biodiversità,alla salute del consumatore, del risparmio energe-tico, della solidarietà tra generazioni, popoli eecosistemi, alla sostenibilità ambientale economi-ca e sociale. Comune è, infatti, la ricerca di conci-liare l’attività economica con l’impegno socialedell’azienda. I due fini non vengono consideratialternativi o contrapposti ma funzionali: creazionedi ricchezza dell’impresa e sviluppo sociale dellecollettività non sono visti in contrapposizioneneppure nelle imprese profit. Generalmente la«filosofia» che muove le aziende bio è contraria apolitiche e comportamenti di rapina delle risorsecollettive, energivori e insostenibili.

L’agricoltura e il territorio ruralecome scelta professionale e di vita

La scelta consapevole del lavoro in agricoltura,fondamentale per qualsiasi prospettiva di sviluppodel settore che richiede «attori» fortemente moti-vati, soprattutto in un quadro che vede semprepiù restringersi politiche «assistenziali», emergecon forza come un elemento caratterizzante lebio-fattorie sociali. L’altro elemento di notevoleinteresse è l’età mediamente giovane e i livelli me-dio alti di scolarizzazione delle persone impegnatenelle bio-fattorie sociali. Il lavoro agricolo non èvissuto come ripiego o peggio subito, ma comelibera scelta. Si sceglie di continuare a lavorare inagricoltura se l’azienda è rilevata dalle generazionipiù anziane, o di tornare alla terra dal rientro daaltre occupazioni o dopo gli studi. Basti citarel’esempio dell’Azienda Colombini di Lari (PI) edell’Azienda agricola San Damiano di Cantù (CO):entrambe sono aziende private guidate da giovanifortemente motivati. O quelli della Cooperativaagricola Agricampus di Barberino del Mugello(FI), costituita nel 2000 da 4 giovani laureati inagraria e scienze forestali, tra cui un sacerdote, o,ancora, la Cooperativa sociale Il Cerro (Vicchio

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del Mugello) che nasce dalla collaborazione di ungruppo di studenti e laureati in agraria e scienzeforestali. Ma sono solo degli esempi.

Le motivazioni religiose

Nella scelta dell’agricoltura sociale biologica tro-viamo persino motivazioni religiose. A volte an-che molto «radicali». Spiega così la scelta del bio-logico la Cooperativa La Pietra scartata di Rimini– sorta nell’ambito dall’associazione ComunitàPapa Giovanni XXIII, che per i propri prodottiha scelto il marchio «Madre Terra» –: «la coope-rativa ha tra i propri scopi quello di “fare pulizia”nel rapporto con la terra, gli alimenti, il lavoro (equesto) è il risultato di una pulizia più profondache nasce dal sentirsi figli dello stesso “padre”…Da qui il bisogno di vivere in un’economia chenon sia di arricchimento di pochi ma equa e soli-dale». E nel suo sito internet così sintetizza ilproprio impegno: «La Terra, proprietà di Dio,ama i suoi figli. Questo legame riporta l’uomo el’agricoltura in armonia con le cose create». LaCooperativa sociale Il Ciottolo di Sorbolo (PR),formata da persone impegnate nel volontariatocattolico (Scaut, Croce rossa, Case della carità)nella propria carta costitutiva indica «tra i propriscopi ultimi la qualificazione umana, morale, cul-turale, professionale dei cittadini e la loro integra-zione sociale, nonché il contribuire alla costruzio-ne di politiche sociali ed economiche più eque epartecipative. In questo la cooperativa si ispira aiprincipi cristiani della condivisione evangelica: ilrispetto della dignità umana e il valore dell’acco-glienza».Non sono casi isolati. Numerose, soprattutto inEmilia, le cooperative sociali che praticano agri-coltura biologica animate da gruppi di persone eistituzioni religiose. La Cooperativa agricolo-sociale San Giuseppe di Saturano di CastrocaroTerme (Forlì), che occupa ex carcerati, malati psi-chiatrici, persone con devianza e in stato abban-dono, fa capo al Centro parrocchiale di S. MariaAssunta ed è stata fondata da don Dario Ciani nel1982, mentre molte cooperative sorgono su terre-ni messi a disposizione da istituzioni religiose,come Il Noce di Termoli, che opera su terrenidella Curia, Radici di Acquapendente che utilizzaterre dell’ex orto dei monaci, Agricampus di Bar-berino del Mugello che dispone di 150 ettari diproprietà dell’Opera Divina provvidenza Madon-nina del Grappa.

La forza dell’impegno per la legalità

Nel corso degli anni ’90 emerge un altro aspettoparticolarmente significativo: la nascita di coope-rative sociali in Sicilia e Calabria che ottengono ingestione beni confiscati alla mafia. A seguito delvasto movimento anti-illegalità che si sviluppa ne-gli anni precedenti, guidato da numerose forzepolitiche, sociali e associative, e dall’AssociazioneLibera di Don Ciotti, nel 1996 viene approvata lalegge 109 sul «riutilizzo a fini sociali dei beni con-fiscati ai mafiosi» (detta anche legge La Torre, dalnome del dirigente politico assassinato dalla ma-fia) che apre la via a importantissimi sviluppi eco-nomico-sociali e di riscatto civile.In Sicilia circa 450 ettari di fondi confiscati allamafia sono oggi coltivati da cooperative sociali.La prima di queste, la Cooperativa Placido Riz-zotto, che comprende tra i soci anche soggetticon handicap motorio, ha avviato l’attività nelnovembre 2001 su 180 ettari confiscati a Bruscae Riina nei comuni di Corleone, San GiuseppeJato, Piana degli Albanesi, Monreale, Campo-reale, San Cipirrello. Interessanti i risultati eco-nomici ottenuti con un fatturato che, nel 2004,ha raggiunto i tre milioni di euro grazie alla ven-dita di prodotti biologici (olio, legumi, pasta).Altre iniziative rilevanti sono a Castelvetrano (laCasa dei giovani che produce vino, marmellatapomodoro e olio), a Corleone e Partinico. InCalabria, nella piana di Gioia Tauro, la coopera-tiva La Valle del Marro, costituita da disoccupati,ha avuto in prestito dai Comuni della zona 33ettari sequestrati alla ’ndrangheta sui quali pro-duce ortaggi ed olio. Le cooperative, che dannolavoro a più di un centinaio di persone, indottoescluso, vendono i loro prodotti con il marchiodi «Libera terra».

3. Innovazione, qualità e diversificazionenelle bio-fattorie sociali

Al di là delle differenze e dei punti in comune so-pra evidenziati, gli aspetti che accomunano la granparte delle bio-fattorie sono l’ampio ventaglio difunzioni sociali cui assolvono queste imprese e iforti livelli di innovazione e multifunzionalità cheesprimono. Infatti, l’azienda/cooperativa bio im-pegnata in attività sociale, se da un lato svolge uninsieme di funzioni e valenze tipiche di tutte leaziende agricole che fanno attività sociale, dall’al-tro manifesta una tendenza ad aprirsi ad altre fun-

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zioni e servizi all’interno dell’ambiente rurale e delterritorio, fino a configurare primi elementi inno-vativi di welfare locale. L’indagine mette, infatti,in luce una realtà che ha visto dilatare negli anni lafunzione sociale «classica» che ha caratterizzato laquasi totalità delle cooperative o comunità agri-cole fin dal loro sorgere attorno alla metà deglianni ’70, ovvero l’inserimento in azienda di sog-getti sociali «deboli», che rappresenta tuttora laprincipale mission dell’agricoltura sociale. Questaperò si è via via arricchita di nuove aperture al ter-ritorio rurale e a nuove attività, sia nei confrontidelle aree rurali che di quelle urbane. Pressochétutte le aziende censite costituiscono una realtàmultifunzionale che incorpora attività sociali«classiche» e servizi molto innovativi. Numerosebio-fattorie effettuano l’intero ciclo produttivo(produzione, trasformazione, commercializzazio-ne e rapporto diretto con i consumatori) e offro-no un’ampia gamma di servizi (filiera corta, risto-razione, agriturismo, laboratori ambientali, fatto-rie didattiche) e conseguentemente un tipo di oc-cupazione polifunzionale.La multifunzionalità riscontrata è di due tipi: difiliera e «orizzontale». Di filiera perché la maggio-ranza delle aziende e cooperative svolge attività diproduzione, trasformazione, vendita diretta ed èimpegnata a realizzare reti commerciali locali, conuna particolare attenzione al rapporto con i con-sumatori.Ciò contribuisce a mantenere in azienda e nel ter-ritorio il valore aggiunto delle attività di trasfor-mazione e commercializzazione, a creare svilupponel territorio interessato, a fornire ai consumatoriprodotti locali freschi, sani, a prezzi accessibili,con bassi costi energetici e bassi tassi di inquina-mento ambientale rispetto alla «dissennata» mo-vimentazione delle merci, spesso irrazionale eimmotivata. Orizzontale, perché la gran partedelle aziende e cooperative bio, oltre a produrrebeni e a svolgere attività sociale «classica», si po-ne sempre più come luogo di costruzione dinuove reti locali di protezione sociale con serviziper utenti svantaggiati, inseriti direttamente nelprocesso produttivo aziendale, ma aperti anchead altri soggetti come famiglie, anziani, emigrati,ragazze sottoposte a nuove schiavitù, extraco-munitari, disoccupati di lungo corso. I campi diintervento e i servizi delle bio-fattorie sociali so-no innumerevoli. Vanno dall’accudimento di an-ziani (preparazione dei pasti), all’accoglienzaprovvisoria di persone con momentanea diffi-

coltà abitativa; dai soggiorni periodici per anzia-ni, bambini, giovani e famiglie, alla realizzazionedi laboratori ambientali, e artistico-culturali. In-somma si delinea una figura di bio-fattoria comecentro di nuovi servizi sociali innovativi, fino adallargarsi ad attività di animazione del territoriorurale.Tanto per fare degli esempi concreti riportiamodue esperienze che illustrano questa tendenza. Lacooperativa sociale Il Ciottolo di Sorbolo (PR),che coltiva biologico dalla sua fondazione, svolgeattività di educazione alimentare e al consumoall’interno del progetto «Teseo» e Arcobaleno de-gli alimenti del Comune di Parma; la CooperativaRadici di Acquapendente, che produce seguendoil metodo biodinamico, effettua attività di turismosociale, gestendo un maneggio e tutte le attivitàdella Riserva naturale Monte Rumeno, compresi ivecchi casali adibiti a ristoranti e case per ferie cheutilizzano i prodotti della cooperativa. In questocontesto, la bio-fattoria sociale «produce» anima-zione territoriale e l’azienda agricola diventa ilcentro di molteplici relazioni e di nuovi spazi disocialità di cui possono usufruire gli stessi soggettisvantaggiati; si passa dall’apertura al disagio so-ciale in azienda all’apertura al territorio, dal «wel-fare aziendale» ad elementi di welfare territoriale;dall’inserimento di lavoro in azienda alla polifun-zionalità territoriale.Tutto ciò concorre a creare nella bio-fattoria so-ciale un clima più aperto e ricco di stimoli, rela-zioni umane, culturali e affettive, utili sia per dareuna risposta al problema del frequente isolamentodi chi lavora in contesti rurali, che per le stessepersone inserite in un percorso di recupero tera-peutico e di reinserimento sociale.

4. Alcuni esempi di un «modello» di sviluppoagricolo alternativo all’industrializzazione

Le esperienze raccolte testimoniano che il cam-biamento di ruolo dell’azienda agricola è già inatto. Gli esempi di questo processo sono nume-rosi. Per ragioni di spazio ne citiamo solo alcuni,mentre rinviamo al terzo capitolo per informa-zioni più dettagliate su alcune realtà che già espli-citano la loro funzione sociale più ampia. La Co-operativa sociale Agricoltura Capodarco di Grot-taferrata (RM), storica comunità impegnata inagricoltura, è divenuta un punto di riferimentoper il biologico della provincia di Roma. Oltre a

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produrre e a commercializzare i propri prodotti,ha attivato un servizio di commercializzazione peri piccoli produttori bio della zona. Vende diretta-mente in azienda e in un altro punto vendita nelcentro della città e rifornisce la rete dei negozispecializzati di Roma e provincia. Inoltre è dive-nuta anche un polo di formazione e divulgazionedell’agricoltura biologica. La Capodarco è dotatadi una sala e di attrezzature per attività didattiche,formative e convegnistiche. Ha un agriturismosociale, un grande ristorante molto frequentato dagiovani e famiglie, dispone di ampi spazi per atti-vità ludiche e didattiche. Analogamente la Coope-rativa sociale Rinatura di Modena e la Cooperati-va agricola di Agricampus di Barberino nel Mu-gello si configurano come due esempi concreti diwelfare rurale/locale. La Cooperativa Rinatura sipotrebbe definire «esempio vivente» di multifun-zionalità e di welfare rurale in un contesto localeallargato. Con 110 ettari di seminativi, bosco, siepie frutteti è al tempo stesso un’azienda di produ-zione agricola e fattoria didattica, agriturismo bioe laboratorio ambientale del comune, fornisce al-loggio per utenti inseriti nel progetto di recuperoe alloggio temporaneo per persone con difficoltàabitativa. Accoglie ex detenuti, ex tossicodipen-denti, emarginati sociali vari e persone con lievihandicap psichici. Oltre a ciò svolge un’importanteattività nel campo della difesa della biodiversità.Produce, infatti, frutta di vecchie varietà e vini davitigni autoctoni. Inoltre dal 2000 la cooperativasta sviluppando un progetto di partenariato con ilComune di Modena che ha permesso a Rinaturadi acquisire in affitto un fondo da ristrutturare aMarzaglia, ed una quarantina di ettari di terrenoper la creazione di un centro alloggio per personein inserimento lavorativo e la realizzazione di unafattoria didattica biologica.La Cooperativa agricola Agricampus di Barberi-no del Mugello è una nuova azienda agricola esilvo-pastorale, sorta a fine 2000, e fondata daquattro laureati in agraria e scienze forestali, tracui un sacerdote. Ha in affitto 150 ettari di pro-prietà dell’Opera divina provvidenza Madonninadel Grappa, abbandonati da anni sull’Appenninotosco-emiliano tra i 500 e i 900 metri s.l.m., dovesi occupa di forestazione e allevamento di pecoree suini della razza di cinta senese. Si occupa diagriturismo e ospitalità. Interviene nell’area deldisagio giovanile e dell’immigrazione con unaconvenzione stipulata con l’ente che ha dato inaffitto le terre per 25 anni. Contatti in corso an-

che con il Comune di Barberino e i servizi socialilocali. Tra gli scopi anche l’attività di animazionedel territorio, con la realizzazione della sagradella castagna (il Mugello ha una forte vocazionecastanicola e il Marrone di Marradi è tra i miglio-ri d’Italia) e la promozione di attività culturali(incontri sull’immigrazione e altro). Agricampusgestisce anche una casa-comunità dove i ragazzirisiedono occasionalmente o per periodi prolun-gati. Alcuni di loro sono stati presi in affida-mento, mentre altri sono stati assunti dalla co-operativa. Agricampus è inoltre impegnata a fa-cilitare l’inserimento lavorativo in altre aziendedel territorio.

CAPITOLO TERZO

Verso una nuova fase di sviluppodell’agricoltura sociale

1. Alle origini dell’agricoltura socialeLe prime esperienze di agricoltura sociale, cosìcome le conosciamo oggi, nascono attorno allafine degli anni ’70, quando si verificarono un in-sieme di fattori economico-sociali e «filosofico»-culturali che sfociarono in iniziative e misurenormative che consentirono la nascita del feno-meno. Concorsero a questo processo fattori di-versi. Sul piano economico-strutturale si saldaro-no due processi: la forte pressione sul mercato dellavoro di forze giovanili disoccupate e la esorbi-tante, intollerabile dimensione delle terre incolte,susseguenti al processo di abbandono delle cam-pagne degli anni ’60. In questo contesto si aggiun-sero altri due fattori: la battaglia di Psichiatria de-mocratica e del suo leader Antonio Basaglia per lachiusura dei manicomi e l’adozione di nuoveprassi terapeutiche inclusive e non ghettizzantiche il movimento sosteneva, e l’esplosione del fe-nomeno delle tossicodipendenze giovanili, cheindividuarono nell’agricoltura forme efficaci direcupero.Entrambe queste questioni concorsero a far ma-turare le prime esperienze di inserimento lavorati-vo di persone con disagio psichico e psicologicoin contesti agricoli e portarono alla nascita di co-munità di recupero di tossicodipendenti, dislocatesolitamente in aree rurali. L’insieme di questi fe-nomeni portò all’adozione di provvedimentinormativi che spianarono la strada alla nascitadelle prime realtà di agricoltura sociale. Nel 1977viene approvata la legge 285 per l’occupazione

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giovanile, l’anno seguente la legge sulle terre in-colte e nello stesso anno la legge 180 (la cosid-detta legge Basaglia) per la chiusura dei manicomi.Questi dati strutturali si inserirono in un contestopolitico-sociale e culturale caratterizzato da cor-renti di pensiero e ideologie utopiche del post-sessantotto, di cui furono espressione importantisettori del movimento anarco-libertario dei figlidei fiori e della sinistra alternativa, incentrate suidee e stili di vita comunitari e che portarono allanascita delle «comuni».Analogamente, anche nel mondo cattolico, oltrealle forme classiche del solidarismo sociale, ven-nero ad affermarsi alcune tendenze per così dire«radicali», fondate anch’esse su filosofie comuni-tarie, come ad esempio l’esperienza della Comu-nità Nomadelfia alle porte di Grosseto, fondatada don Zeno Saltini che ha un’organizzazione so-ciale fondata sull’autosufficienza, sullo scambio esull’assenza di denaro, con accoglienza di minoridisabili in famiglie allargate e di cui l’agricolturacostituisce parte rilevante dell’attività comunitaria.Fu così che, tra la fine degli anni settanta e lametà degli anni ’80, nacquero alcune realtà cheutilizzarono la terra e l’agricoltura per creare oc-cupazione e sviluppo, saldando l’aspetto econo-mico con la solidarietà e l’inclusione di soggetti arischio di marginalità. Tra queste alcune realtà«storiche», come le Cooperative agricole Paternadi Terranova Braccionini (AR), l’Emilio Sereni diBorgo San Lorenzo (FI) o la Cooperativa inte-grata Agricoltura nuova di Decima (RM). Già inquegli anni in alcune strutture sanitarie della To-scana e dell’Emilia si sviluppò un rapporto dicollaborazione tra i Ser.T (Servizio tossicodipen-denze) e cooperative agricole, mentre è sempre inquegli anni che nascono anche le prime comunitàrurali, le case-alloggio e le case-famiglia di varioorientamento culturale. Alcune comunità o coo-perative prevedevano, e prevedono ancor oggi,forme di condivisione più ampie tra i soci del sololavoro, e in alcuni casi, comprendevano e com-prendono anche adozioni e/o affidamento ai socidi giovani disabili, o con svantaggi sociali.

Il Mugello, un crocevia della cooperazione agricola e sociale

Da questo punto di vista è particolarmente signi-ficativo il caso del Mugello, dove si determinaro-no un insieme di condizioni favorevoli alla nascitadella cooperazione agricola/sociale che conservaancor oggi un peso rilevante nell’economia della

zona. Il Mugello rappresenta così, per certi versi,un condensato della storia e dell’evoluzione dellacooperazione agricola e sociale, operante in agri-coltura. L’area Nord collinare e montuosa dellaprovincia di Firenze subì nel dopoguerra, in coin-cidenza con l’intensa industrializzazione dell’a-gricoltura italiana, un grave processo di abbando-no e spopolamento di campagne e di borghi rura-li, che determinò sul territorio una grande abbon-danza di terre incolte. La disponibilità dei terreni,l’esplodere del movimento politico libertario,della sinistra antistituzionale e delle filosofie «co-munitarie», insieme al problema delle tossicodi-pendenze giovanili, l’esperienza di Don Milani edella sua scuola di Barbiana a Vicchio, nell’AltoMugello, che ebbe grande influenza su molti gio-vani cattolici, fecero sì che tra il ’77 e i primi anni’80 nel Mugello si costituissero diverse cooperati-ve agricole con finalità sociali e un numero signi-ficativo di cooperative e comunità operanti inagricoltura. La zona del Mugello diventò un in-crocio di convergenza di tutte queste motivazioni:religiose (di settori del cattolicesimo sociale), «po-litico-ideologiche, culturali» (del movimento dellecomuni) e di fattori «strutturali» e sociali, quali ilrecupero delle terre incolte e l’inserimento di gio-vani con tossicodipendenze. Sorsero così molterealtà agricolo-sociali che tuttora hanno un ruolorilevante nell’economia della zona, come la Co-operativa agricola Il Forteto di Vicchio (1979),promossa da un gruppo di giovani cattolici, «se-guaci» di Don Milani, la Cooperativa agricola Emi-lio Sereni di Borgo San Lorenzo (fine anni ’70), lacooperativa sociale Comes di Marradi (1982).

Anche le cooperative «storiche» passano al biologico

Nel frattempo sono sorte nuove cooperative,molte delle quali a conduzione biologica come laCooperativa sociale Il Cerro di Vicchio, l’Aziendaagricola Il Giglio di Scarperia della Cooperativasociale Archimede, la cooperativa agricola Agri-campus di Barberino del Mugello.Peraltro molte delle cooperative sociali «storiche»che hanno visto la luce a fine anni ’70, in partico-lare in Toscana, Emilia, Lazio, insediatesi spessoin aree marginali e in terreni incolti, si sono nelcorso degli anni convertite al biologico, alcuneancor prima dell’approvazione del Regolamenton.2092/91, come la Cooperativa agricola Paternao la Emilio Sereni, che iniziò la conversione at-torno al 1985. Analogamente anche alcune realtà

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di tipo «comunitario», come la Comune di Bagnaia oquella di Nomadelfia, sono passate al biologico. LaSereni rappresenta ancora oggi una delle principalicooperative agricole esistenti, con i suoi 350 etta-ri, 14 dipendenti, 300 mucche in stalla e all’apertoche riforniscono quasi interamente il mercato fio-rentino di latte biologico con il conferimento allaCentrale del latte di Firenze. Sul piano sociale lacooperativa mette a disposizione borse lavoro e ti-rocini per soggetti deboli (tossicodipendenti e im-migrati) e inserimento al lavoro di persone diversa-mente abili; accoglie gite e visite scolastiche, pro-muove scambi culturali, in collaborazione con l’U-niversità di Firenze, con soggetti provenienti da altripaesi europei ed extra-europei, collabora con entilocali, Asl, associazioni di volontariato e d’impresasociale. Con gli anni, invece, quasi tutte le comunisono scomparse – con qualche eccezione come laComune di Bagnaia di Sociville (Siena) – mentre so-pravvivono ancora realtà cooperative che effettuanooltre all’inserimento lavorativo anche quello abitati-vo nelle case-alloggio, insieme alla condivisione piùampia di ideali e regole di vita comuni.

2. Nuove opportunità per l’agricoltura sociale

Se a fine anni ’70 il complesso di situazioni de-scritte sulle origini dell’agricoltura sociale aprì lavia e generò il fenomeno dell’agricoltura sociale,soprattutto ad opera delle cooperative sociali eagricole, nel periodo intercorso fino ad oggi si èregistrata una sorta di «oblio». In sostanza il setto-re – che nel frattempo è cresciuto, come nel restod’Europa e come la stessa indagine di AIAB di-mostra – ha dovuto contare sull’impegno e lemotivazioni dei singoli soggetti (privati, coopera-tive, strutture socio-sanitarie e istituzioni pubbli-che, istituzioni scientifiche e universitarie, asso-ciazioni del volontariato e del terzo settore, più omeno «illuminate» e volenterose), piuttosto che suun quadro di riferimento certo che fornisse all’ASpolitiche pubbliche di sostegno e adeguati servizi.Oggi sembra, finalmente, configurarsi un contestofavorevole ad una svolta: dallo «spontaneismo» edalla buona volontà di singoli e gruppi ad una fasedi nuovo impulso per le fattorie sociali, fondatosu condizioni socio-culturali e strutturali più soli-de, al punto da configurare una sorta di nuova fa-se costituente, come sostiene Alfonso Pascale.Ma quali sono questi elementi innovativi? Ancorauna volta un insieme di fattori sociali, culturali e

anche strutturali sembrano essere arrivati a matu-razione. Insieme al peso delle realtà già esistenti,gli elementi che sembrano emergere con più for-za, come condizione essenziale per lo sviluppodell’agricoltura sociale, sono sostanzialmente due.Da un lato, la crisi del modello agricolo industriali-sta, finora prevalente a livello europeo, e che ha mo-strato tutti i suoi limiti in termini di sostenibilitàeconomica, ambientale e sociale e il contemporaneobisogno di proiettare lo stesso sviluppo agricolo inuna prospettiva totalmente nuova e alternativa almodello post-bellico. La necessità, in sintesi, di unnuovo «modello» agricolo che abbia al proprio cen-tro la valorizzazione delle risorse endogene, dellepeculiarità e specificità dei territori locali, anche alfine di costruire nuove possibilità di sviluppo in uncontesto di globalizzazione dei mercati che togliecompetitività ad un’agricoltura massiva e omologata.Da qui il processo di revisione della Pac e le norma-tive conseguenti che puntano all’innovazione, diver-sificazione e multifunzionalità dell’economia agri-cola. Dall’altro, la crisi del vecchio modello di welfa-re statale, anche a causa della crisi fiscale degli Statinazionali, e dalla conseguente necessità di trovarenuove risposte al bisogno di una rete di protezionesociale, che si fondi sulla valorizzazione delle risorselocali (si vedano, in proposito gli studi di Di Iacovo).L’agricoltura sociale può concorrere a dare rispostea entrambe le questioni: offre nuove opportunità disviluppo all’impresa agricola, nell’ottica della diver-sificazione, multifunzionalità e di un diverso svi-luppo rurale, configurando un nuovo ruolo socialee nuove possibilità di reddito per il mondo agrico-lo, e offre alle politiche pubbliche e alla collettivitàservizi socio-sanitari, formativi, ricreativi, di coe-sione sociale e di inserimento lavorativo di soggetticontrattualmente deboli, a costi più sostenibili, conforti contenuti inclusivi e con effetti potenzial-mente virtuosi sullo sviluppo delle comunità locali.In questo contesto l’agricoltura sociale può rappre-sentare, per la parte più avvertita delle amministra-zioni locali e nazionali, tanto del settore socio-sanitario che agricolo, una risposta efficace e finan-ziariamente «sostenibile» rispetto alle esigenze vec-chie e nuove di protezione/coesione sociale dellapopolazione, anche in aree più «svantaggiate».

3. I punti di forza dell’agricoltura sociale oggiOltre a questi importanti fattori, una serie di con-dizioni rendono possibile la svolta dall’esperienza

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isolata a quella più organizzata della crescitadell’AS e delle bio-fattorie sociali. Di seguito indi-chiamo quelle, a nostro parere, principali.

Le esperienze in atto

Le realtà operanti in agricoltura sociale presenta-no pressoché tutte un bilancio molto positivo intermini di recupero socio-terapeutico di personecon diversi «svantaggi» e costituiscono dunqueimportanti esempi per l’ulteriore diffusione diesperienze concrete. Le aziende e cooperative so-ciali che hanno scelto l’agricoltura come settoreprivilegiato per la loro attività sociale sono, così,un importante punto di riferimento per qualsiasioperazione di valutazione dell’efficacia dell’inter-vento. Si tratta generalmente di realtà anche attivedal punto di vista economico.

Un nuovo interesse tra gli operatori agricoli

L’agricoltura sociale registra un crescente interessetra aziende agricole, cooperative agricole e sociali,organizzazioni dei produttori, giovani tecnici, agro-nomi e laureati in scienze agrarie e forestali, comedimostrano ad esempio le nuove cooperative natenegli ultimi cinque anni, l’esperienza di alcune dellequali riportiamo nel terzo capitolo del lavoro.

Il comune lavoro di associazioni e organizzazioni agricole

A fine 2006 si è costituita l’Associazione dellaRete delle fattorie sociali che, oltre a mettere inrete le realtà esistenti, si propone anche un’azionedi promozione delle stesse. Nel contempo alcuneorganizzazioni come l’ALPA, l’AIAB e le ACLITerra, la Rete delle fattorie sociali, insieme a do-centi delle Università della Tuscia, ad economistiesperti in materia come Roberto Finuola, e allaCooperativa sociale Capodarco, in collaborazionecon altre istituzioni come l’ARSIA (Agenzia re-gionale per lo sviluppo e l’innovazione in campoagricolo e forestale) e l’Università di Pisa, hannoattivato un lavoro comune finalizzato a coordina-re e promuovere le esperienze di agricoltura so-ciale, costituituendo così per la prima volta unasorta di pool di coordinamento, progettazione epromozione dell’agricoltura sociale. Tra le inizia-tive in cantiere anche la creazione di uno Spor-tello informatico per l’agricoltura sociale e di unsito internet ad hoc che fornirà servizi di infor-

mazione e consulenza per chi volesse intrapren-dere la strada dell’AS. Lo sportello metterà a di-sposizione servizi e informazioni sui percorsi e irisultati delle esperienze in atto, le modalità opera-tive e gli interlocutori da coinvolgere, le politichepubbliche e i possibili canali di spesa da attivare.

La rete AIAB delle bio-fattorie sociali

Nell’ambito del progetto Programma nazionale disviluppo e promozione della rete delle bio-fattoriesociali, AIAB è impegnata nello svolgimento di ini-ziative di monitoraggio, formazione e informazionerivolta ad operatori agricoli biologici, finalizzate adaccrescere la conoscenza delle opportunità offertedall’agricoltura sociale e a promuovere esperienzepilota. L’obiettivo è quello di attivare un processo didisseminazione delle fattorie sociali biologiche anchein aziende private. Inoltre AIAB partecipa al pool dicoordinamento e alla realizzazione e gestione delloSportello informatico di cui sopra. A questo propo-sito l’associazione promuoverà, all’interno del mondodella produzione e del consumo biologico e in co-operazione con gli altri soggetti dello Sportello, unaRete AIAB delle bio-fattorie sociali aperta ai proprisoci, esperti, studiosi, giovani e volontari che vorran-no parteciparvi; fornirà servizi di consulenza e assi-stenza per aziende e cooperative agricole e/o socialibiologiche che già operano o che intendono attivarsi.

L’impegno della comunità scientifica

Le Università di Pisa e della Tuscia costituisconodue importantissimi poli di riferimento per lo studioe la promozione dell’AS. L’Università di Pisa coor-dina per l’Italia, insieme all’Arsia, il So Far, un im-portante progetto europeo di studio e ricerca sul-l’AS, mentre l’Università della Tuscia ha promosso ilprimo Master per operatori di agricoltura sociale.Entrambe le università, insieme ad altre che nelfrattempo si sono impegnate in progetti specificicome quelle di Pordenone e Udine, non sono solosedi di studi, più o meno accademici, ma volani dipromozione di esperienze concrete di fattorie socia-li, in collaborazione con le amministrazioni pubbli-che, le organizzazioni agricole e le forze sociali.

L’azione delle istituzioni pubbliche

Alcune Regioni sono da qualche anno impegnate inattività di sostegno dell’AS. Tra le più attive la To-

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scana, l’Emilia, il Veneto e il Lazio. La Toscana,all’interno del precedente PSR (Piano di svilupporurale) 2000-2006 ha attivato, tramite l’Arsia e incollaborazione con l’Università di Pisa, un progettodi monitoraggio e promozione di agricoltura socialee sostenuto iniziative e progetti concreti, promuo-vendo anche accordi di partenariato tra i vari sog-getti interessati. La Regione Veneto ha inserito tra lepriorità del precedente PSR 2000-2006 le fattoriedidattiche e le fattorie sociali ed ha approvato, inadempimento all’accordo quadro tra il Ministerodella Sanità e il Comitato delle Regioni, una buonalegge per la Pet-therapy, analogamente a quanto stafacendo la Regione Lazio, in cooperazione con l’I-stituto zooprofilattico sperimentale Toscana-Lazio.Da segnalare anche l’iniziativa della Provincia diRoma che, attraverso l’Ufficio del consigliere dele-gato alle Politiche dell’handicap, ha promosso unForum delle Fattorie sociali, che prevede la messa inrete delle varie realtà e sta lavorando ad un progettodi integrazione di soggetti svantaggiati anche in pic-cole aziende agricole, in un contesto in cui l’aziendaoffre anche altri servizi di «prossimità», come serviziper anziani non autosufficienti, creazione di labora-tori artistici, di ludoteche ed altro. In Sardegna si se-gnala l’attività di inclusione sociale nel Leader +(GAL di Oristano). Impegnata in questa direzioneanche la Valle d’Aosta. L’Assessorato regionale dellaSanità e Politiche sociali ha infatti promosso unprogetto con la Fondazione Ollignan, con il relativoCentro agricolo Ollignan, per la promozione el’offerta di inserimento lavorativo di persone disabilio variamente emarginate, in collaborazione con leASL interessate. Dal canto loro, diverse strutture so-cio-sanitarie, Comuni e Province hanno attivatoprogetti pilota, in accordo con associazioni del vo-lontariato, terzo settore e organizzazioni agricole.Uno dei principali banchi di prova per le Regionisarà costituito dal nuovo ciclo di programmazione(2007-2013) dei PSR.

La normativa sulle carceriSpazi di intervento per l’AS si sono aperti anche nelsettore dell’«agricoltura carceraria», grazie alle leggi381/1991 e 193/2000 (più conosciuta come leggeSmuraglia dal nome del suo sostenitore). I dueprovvedimenti riconoscono i detenuti come soggettisvantaggiati e ne favoriscono il reinserimento nelmondo del lavoro. La legge Smuraglia, in particola-re, prevede agevolazioni per cooperative esterne

all’organizzazione penitenziaria che assumono dete-nuti o persone che hanno già scontato la pena. Gra-zie a questi provvedimenti normativi, diverse co-operative hanno potuto accogliere al lavoro carce-rati e ex carcerati. Significativo a questo proposito ilprotocollo tra Confagricoltura, Dipartimento Ammi-nistrazione penitenziaria ed Amab (Associazione me-diterranea agricoltura biologica), che prevede progettidi inserimento nel settore di detenuti ed ex detenuti.

La legge sui beni confiscati alla mafia

Sul finire degli anni ’90 un importantissimo spaziodi azione si è aperto grazie alla legge sui beni confi-scati alla mafia. Nel 1996 l’Associazione Libera didon Ciotti promuove una petizione popolare e pre-senta al Parlamento un milione di firme per utilizza-re a fini sociali i beni sottratti alla mafia. Viene cosìapprovata la legge 109/96 che reca «Disposizioni inmateria di gestione di beni sequestrati o confiscati».Inizia così quello straordinario processo che riportai beni confiscati alla mafia, in particolare terreni eimmobili, ad un utilizzo di interesse collettivo. Na-scono così le prime cooperative sociali siciliane ecalabresi che coltivano terreni appartenuti a boss delcalibro di Riina e Brusca. L’iniziativa è importanteda molti punti di vista: economico-sociale (il recupe-ro di risorse inutilizzate e la creazione di lavoro pergiovani e di ricchezza per il territori), ma soprattuttocivico e culturale: si ha il coraggio di sfidare le orga-nizzazioni mafiose nel cuore dei loro «possedimen-ti» e, soprattutto, si ha il coraggio di contendere allamafia il controllo del territorio e dell’economia lo-cale, su cui fonda buona parte del suo potere anchesulla società civile.

4. Le politiche pubblichedi sostegno per l’agricoltura sociale2

Queste esperienze, benché limitate, sono tuttaviasignificative, ma per svilupparsi richiedono coe-renti politiche pubbliche di indirizzo e di soste-gno, tali da configurare un quadro di riferimentonormativo, strumentale e finanziario certo e pro-grammato. In questo contesto debbono rientraresia le politiche agricole che quelle socio-sanitarie,di coesione sociale e di sviluppo regionale. È im- 2 Le informazioni relative alle politiche pubbliche sonotratte dalla relazione di Roberto Finuola svolta al Corsodi formazione AIAB, marzo 2007.

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portante sapere che canali di spesa per l’AS pos-sono essere attivati da molteplici «Politiche pub-bliche»: Politiche di sviluppo rurale, Politiche re-gionali e di coesione sociale, Politiche sanitarie,dell’istruzione e della ricerca (scuola, università ericerca scientifica), della sicurezza (aziende carce-rarie - beni confiscati alla mafia), Politiche fiscali edel lavoro. Particolarmente importante che l’ASrientri a pieno titolo nel nuovo ciclo di program-mazione dei Fondi strutturali UE. Positiva, inproposito, la coincidenza, con l’inizio del nuovociclo quinquennale (2007-2013) di programma-zione e di spesa che riguarda sia le Politiche disviluppo rurale, finanziate dal secondo pilastrodella PAC (FEARS - Fondo europeo di svilupporurale), sia le Politiche regionali e di coesione, fi-nanziate dal FSE (Fondo sociale europeo) e dalFERS (Fondo europeo di sviluppo regionale). Aquesto proposito è necessario:■ attivare tutte quelle linee e capitoli di spesa incui sia possibile contemplare l’AS;■ coordinare le azioni previste nei Fondi struttu-rali europei e le altre politiche nazionali.Ma quali sono i possibili capitoli di spesa? Perquanto attiene alle Politiche di sviluppo rurale, l’ASpuò, in senso lato, rientrare in tutti e quattro gli assidel Piano strategico nazionale per lo sviluppo rurale(PSN), ovvero: Asse I (Miglioramento della compe-titività del settore agricolo e fo-restale); Asse II (Mi-glioramento dell’ambiente e dello spazio rurale); As-se III (Qualità della vita nelle zone rurali e diversifi-cazione dell’economia rurale); Asse IV (Leader).Nell’insieme, l’AS risulta complessivamente coe-rente con gli obiettive previsti nel PSN e può rien-trare in tutti gli Assi. Tuttavia l’Asse più pertinente èsenz’altro l’Asse III. In questo, infatti, l’AS è espres-samente citata in rapporto:■ al miglioramento dell’attrattività dei territori ruraliper le imprese e la popolazione. A tale proposito siafferma «una tendenza che appare interessantepromuovere e sostenere è quella legata alle impreseproduttive anche agricole e di servizi che operanonel campo della cosiddetta agricoltura sociale (usodell’azienda agricola per il soddisfacimento di bisognisociali quali il recupero e l’inserimento di soggettisvantaggiati, attività didattiche per la scuola, ecc.);■ alla diversificazione dell’economia rurale, man-tenimento e/o creazione di nuove opportunitàoccupazionali e di reddito nelle aree rurali. Fra leazioni chiave per la creazione di iniziative di di-versificazione rientrano «le già ricordate iniziativedi agricoltura sociale».

Mentre, come per tutto il settore biologico, le bio-fattorie sociali possono rientrare negli obiettividell’Asse II, relativamente alle misure agro-ambientali.La ripartizione dei fondi tra i vari Assi, purtroppo,non è particolarmente favorevole all’Asse III(solo il 13% della spesa nel PSN e il 14,6 la medianei PSR; mentre per l’Asse II è invece previsto il40% della spesa tanto nel PSN che nella mediadei PSR). E, tuttavia, nonostante la loro esiguità, ifondi ripartiti rappresentano comunque una delleprincipali voci di bilancio cui è possibile ancoraregli interventi per l’AS nei PSR.Nelle Politiche regionali e di coesione l’AS può,invece, rientrare nel capitolo «I territori rurali nellepolitiche regionali e di coesione» (FSE FERS).Le priorità previste dal Quadro strategico nazio-nale (QSN) 2007-2013 di interesse del settoreagricolo sono:■ accrescere l’attrattività delle aree rurali e delle cittàmigliorando l’accessibilità, garantendo servizi diqualità e salvaguardando le potenzialità ambientali;■ promuovere l’innovazione, l’imprenditoria e losviluppo dell’economia della conoscenza attraver-so la ricerca e l’innovazione;■ creare nuovi e migliori posti di lavoro aumen-tando gli investimenti nel capitale umano.Mentre le priorità del QSN in cui può rientrarel’Agricoltura sociale sono:■ Priorità 3 - uso sostenibile ed efficiente dellerisorse ambientali per lo sviluppo:– qualità dell’ambiente e dei servizi ambientali allapopolazione e alle imprese;– definizione di modelli di produzione e consumoper un uso sostenibile delle risorse e per la tuteladegli ecosistemi e della salute.Priorità 4 - inclusione sociale e servizi per la qua-lità della vita e l’attrattività territoriale:– valorizzazione del capitale sociale sotto-utilizzato attraverso il miglioramento della qualitàed accessibilità dei servizi di protezione sociale,destinatari i soggetti deboli fra i quali le personediversamente abili e quelle non autosufficienti.■ Priorità 8 - competitività e attrattività delle cittàe dei sistemi urbani:– miglioramento della qualità della vita;– costruzione dell’urban welfare per servizi effi-cienti e tempestivi; servizi socio-sanitari culturali ericreativi; – rafforzamento della relazioni funzionali fra si-stemi urbani e sistemi rurali.Nelle Politiche socio-sanitarie l’AS può rientrare

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nei seguenti interventi di carattere nazionale e re-gionale:■ Guadagnare salute (c.m. 16/2/07) del Ministe-ro della Sanità – chiede di privilegiare come sceltesalutari le fattorie sociali nei PSR e l’inclusionesociale e urban welfare in POR);■ Accordo Stato-Regioni su pet terapia (d.p.c.m.28/2/03);■ Fondo nazionale per le politiche sociali (Mini-stero Solidarietà sociale) - finanziamento delle Re-gioni per la rete integrata di servizi sociali territoriali;■ Sostegno all’associazionismo sociale - progettidel volontariato e delle organizzazioni no profit -cooperative sociali;■ Comitato nazionale bioetica - 21/10/05 (pet-therapy= co-terapia da finanziare in progetti di ricerca);■ D.d.l.l. su ippoterapia (AC 1235 e AC 1482);■ L. 17/1/05 n. 3 Reg. Veneto - riconosce la pet te-rapia e il programma sperimentale IZPS delle Vene-zie, ASL 16 Padova, Centro polifunzionale Verona;Le altre politiche attivabili per l’AS sono:■ L. 109/96 terre confiscate a mafiosi;■ Le misure per l’imprenditoria agricola giovanile efemminile;■ La legge 193/2000 (legge Smuraglia ) che ri-conosce i detenuti come soggetti svantaggiati e nefavorisce il reinserimento nel mondo del lavoro.Come si vede, il quadro normativo e regolamentare,con i relativi capitoli di spesa, può offrire nuove op-portunità allo sviluppo/diffusione di imprese agri-colo-sociali. È necessario però, per il pieno dispie-gamento delle nuove opportunità, realizzare una ef-fettiva complementarità fra le Politiche di svilupporurale, le Politiche regionali e di coesione sociale e lealtre politiche nazionali che possono essere attivate.Il primo obiettivo è quello di armonizzare sia le mi-sure per lo sviluppo agricolo (Fondo europeo agri-colo per lo sviluppo rurale) che quelle inerenti allepolitiche regionali e di coesione ((FSE e FERS), in-sieme a quelle per i servizi socio-sanitari, preveden-do appositi capitoli di spesa coordinati e integrati. Ilfatto che siano in fase di avvio, sia i Piani di svilup-po rurali che il Quadro strategico nazionale dellepolitiche di coesione, può costituire un’occasioneper aprire spazi di intervento più corposi e struttu-rati a favore dell’agricoltura sociale. Molte delle mi-sure potrebbero essere inserite nei capitoli di spesarelativi all’innovazione e alla multifunzionalità del-l’azienda agricola, mentre altri finanziamenti po-trebbero essere attinti dai capitoli del Fondo socialerelativi alla formazione. Nel complesso c’è bisognoche le competenze istituzionali interessate ai vari li-

velli cooperino alla definizione di programmi inte-grati di intervento. Tra questi, particolarmente im-portante il raccordo tra le politiche e gli interventidei ministeri interessati: Sanità, Politiche agricole,Lavoro, Solidarietà sociale e Famiglia e tra questi e laConferenza Stato-Regioni. Occorre, sostiene inproposito Finuola, che «le fattorie etico-sociali sianofra i soggetti ammissibili al finanziamento contem-plando anche la possibilità per le autorità di gestionenazionali di attribuire loro, in caso di parità, unapriorità nei bandi. Potranno inoltre essere previsteapposite misure specifiche per le attività svolte dallefattorie etico-sociali, ad esempio nell’ambito degliinterventi destinati alla diversificazione delle aziendee alla formazione e che, a livello nazionale, venganopreviste modalità di armonizzazione dei nuovi Pianiregionali di sviluppo rurale con il Piano nazionaledei servizi socio-sanitari e dei Piani di zona».Diventa pertanto fondamentale per la dissemina-zione delle fattorie sociali, da un lato attivare unconfronto con le Regioni affinché nei nuovi Pianidi sviluppo rurale siano previsti azioni a sostegnodell’agricoltura sociale, e dall’altro individuare lepossibili azioni, accordi e partenariati con i sog-getti socio-sanitari titolari della salute pubblica edelle politiche di coesione, collegando mondoagricolo e mondo socio-sanitario a livello regio-nale e locale. Significative a questo proposito leesperienze de La Buona terra, un progetto diAgricoltura Capodarco che coinvolge moltissimisoggetti: tutti i Comuni e le ASL dei Castelli ro-mani, le imprese agricole, le organizzazioni pro-fessionali e alcune realtà del Terzo settore e ilprogetto Il Giardino dei semplici della Valdera (v.cap. 3). Significativo anche il bando del Comune diRoma per la fornitura di prodotti biologici per lemense scolastiche, che assegna un maggior pun-teggio ai prodotti biologici di cooperative sociali.

CAPITOLO QUARTO

Germogli di un nuovo welfare locale/rurale. Alcuni esempi di buone pratichedi bio agricoltura sociale

Riportiamo di seguito alcuni esempi di imprese ecooperative sociali biologiche innovative e multi-funzionali, espressione di una funzione sociale piùampia tale da configurare primi elementi di welfa-re in ambito rurale.

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1. Azienda agricola Il Giglio Scarperia (FI):oltre il lavoro

L’Azienda agricola Il Giglio, della Cooperativasociale Archimede, coopera con le mense scola-stiche della zona, ha un centro di vendita ancheper i piccoli produttori bio e di informazione peril biologico locale, coinvolge in diverse attivitàgiovani e ragazzi normodotati insieme ai portatoridi handicap, accoglie i soggetti svantaggiati nonsolo al lavoro ma anche in un contesto abitativo.La Cooperativa sociale Archimede di Scarperia(Mugello) – una grande cooperativa che intervie-ne in numerosi settori extragricoli (cura del verdepubblico, raccolta rifiuti, gestione di un Bar so-ciale no alcool a Firenze, gestione mense ecc.) –ha fondato l’azienda agricola Il Giglio e lavora circa33 ettari di terra. La scelta è stata motivata pro-prio dal fatto che l’inserimento di persone con di-sagi o disabilità in settori extragricoli ha registratoalcuni fallimenti, proprio a causa della rigidità deiprocessi lavorativi in termini di orari e di organiz-zazione del lavoro. L’azienda agricola è risultatainvece più flessibile e diversificata nelle attività,nei ritmi di lavoro e mansioni e dunque più com-patibile con le diverse attitudini dei singoli sog-getti svantaggiati. L’azienda coltiva foraggi e allevaanimali da carne con metodo biologico ed ha an-che un’attività di orto-florovivaismo. Forte diquesta esperienza l’Archimede ha deciso di arric-chire l’attività agricola e di accoglienza rurale at-traverso il Progetto Campo aperto, che nasce da alcu-ne riflessioni emerse durante i dieci anni di lavorodella cooperativa e rappresenta elementi fonda-mentali per migliorare e realizzare consapevol-mente i processi di inserimento lavorativo. Il pro-getto prende le mosse dalle seguenti considera-zioni: «è necessario un lavoro terapeutico e for-mativo preliminare all’inserimento lavorativo, chedeve avere tempi di scadenza e verifiche determi-nati ma non determinanti e vincolanti per il suc-cesso dell’inserimento lavorativo. L’importanzadegli inserimenti socio-terapeutici o propedeuticial lavoro, dei percorsi formativi è innegabile, mapuò spesso trasformarsi in un insuccesso perchéimpone improvvisamente alla persona il raggiun-gimento di una performance in un arco di tempoestremamente breve, a fronte di una pregressamancanza di progettualità e di obiettivi nel per-corso riabilitativo. È necessaria, all’interno dellacooperativa, una realtà maggiormente protetta ri-spetto ai servizi normalmente gestiti che serva da

momento di osservazione, di transizione versosituazioni lavorative sempre più vicine a quelle«convenzionali». L’inserimento lavorativo può inalcuni casi rappresentare una «goccia nel mare» senon si riesce a costruire una rete di supporto in-torno alla persona che prenda in considerazionealcuni aspetti della vita «privata», soprattutto ilproblema abitativo. Nonostante la necessità ditutelare le persone in situazione di disagio la co-operativa deve continuare ad essere una realtàche si confronta con il mercato e che di esso fapropri alcuni aspetti. Occorre lavorare affinchéla comunità dia credibilità e riconosca il valoresociale che hanno le realtà che operano perl’inserimento lavorativo di persone in situazionedi disagio.

Il Progetto Campo aperto

Prevede un incremento dell’attività agricola fina-lizzato ad un potenziamento delle capacità di ac-coglienza dell’azienda stessa e rappresentato dauna implementazione delle colture orticole pro-tette e di pieno campo. L’obiettivo è quello direalizzare una realtà lavorativa attiva e diversifi-cata all’interno della quale effettuare percorsi diavviamento al lavoro e offrire un contesto lavora-tivo sempre più qualificante. La cooperativa in-tende sviluppare rapporti con le amministrazionilocali per la vendita dei prodotti biologici nellemense scolastiche, con la Coop per la fornitura diprodotti locali e con aziende per il conferimentodei prodotti biologici.

Le azioni previste

La costituzione all’interno dell’azienda agricola diun centro informativo e di vendita dei prodottibiologi locali, di un centro di accoglienza e for-mazione, ed una nuova impresa agricola a preva-lente partecipazione femminile.Il centro informativo e di vendita dei prodotti, ac-cogliendo un’esigenza emersa in vari incontriall’interno del coordinamento dei produttori bio-logici, ha le seguenti finalità:■ aprire l’azienda agricola a percorsi formativi enaturalistici destinati alle scuole materne, ele-mentari e medie e contemporaneamente avvicinarei giovani al mondo della solidarietà e del disagio;■ costituire un luogo informativo e di dissemina-zione riguardo alla reti di supporto alla persona,alla tutela ambientale, ai prodotti locali;

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■ aprire l’azienda verso l’esterno e favorire l’in-tegrazione di persone in situazione di svantaggio;■ aumentare la visibilità, il coinvolgimento terri-toriale e la condivisione dei progetti sociali;■ offrire opportunità di formazione e avviamentoal lavoro e inserimento lavorativo;■ accogliere i prodotti di piccoli fornitori la cuientità di produzione non consente di accedere allagrande distribuzione.Il Centro accoglienza e formazione risponde, in-vece, all’esigenza emersa durante l’esperienza diinserimento lavorativo da parte degli utenti e dei fami-liari di percorsi di vita indipendente e autonoma che possanosostenere la persona anche in assenza o carenza del conte-sto familiare. Non è infrequente che gli ottimi ri-sultati ottenuti con l’attività lavorativa venganoinvalidati perché fuori dal contesto lavorativo altriproblemi, come l’assenza di un contesto familiaree sociale di supporto, prendono il sopravvento de-terminando comunque l’esclusione e l’emargina-zione della persona. Nella consapevolezza che lapersona non si esaurisce nella sua dimensione lavo-rativa e per dare risposta a tale bisogno la cooperati-va intende offrire insieme ad una abitazione conso-na a tale esigenza, anche un contesto di vita socialeche rispetti il diritto ad una adeguata integrazionecon il proprio ambiente ed il proprio territorio.Le attività previste sono relative all’autonomiadomestica e sociale, alla partecipazione territoria-le, al perseguimento degli interessi dei singoli inun contesto di gruppo di appartenenza, attraversouna organizzazione del tempo che garantisca unaqualità di vita migliore possibile, sia nel campooccupazionale/lavorativo che in quello sociale erelazionale, oltre che ludico e di tempo libero.Soluzioni più favorevoli rispetto a quelle offertedall’istituzionalizzazione.Infine, per l’avviamento di nuove filiere produtti-ve all’interno dell’Azienda agricola la CooperativaArchimede vuole costituire una nuova impresa agricolaa prevalente partecipazione femminile che sviluppi pro-getti sociali in ambito agricolo e ambientale.

2. Il Progetto La Buona terra di Agricoltura Capodar-co-Grottaferrata (RM): un partenariato molto virtuoso

L’Agricoltura Capodarco, della Società cooperati-va Soc, è capofila di un progetto per l’inserimentolavorativo di soggetti a rischio o in situazione didipendenza, particolarmente interessante per ilcoinvolgimento diretto portato di numerosi sog-

getti istituzionali e non, come la ASL RM H, iComuni di Monte Porzio Catone, Genzano,Ciampino, Pomezia, Velletri e Anzio, Dear - Uni-versità degli Studi della Tuscia, le aziende agricoleIacchelli Giulio e Figli s.s. e Pandolfo Nicolò, iServizi CIA (Confederazione italiana agricoltori)Roma S.r.l. e lo «Spazio-lavoro» Cooperativa so-ciale e integrata Onlus.Il territorio di competenza della ASL RM H è par-ticolarmente esteso; comprendente ben 6 Distret-ti: D H1 – i Comuni di Colonna, Frascati, Grotta-ferrata, Montecompatri, Monte Porzio Catone,Rocca di Papa e Rocca Priora; DH 2 – i Comunidi Albano, Ariccia, Castelgandolfo, Genzano, La-nuvio e Nemi; DH 3 – i Comuni di Ciampino eMarino; DH 4 – i Comuni di Ardea e Pomezia;DH 5 – i Comuni di Lariano e Velletri; DH 6 – iComuni di Anzio e Nettuno. In pratica il progettocoinvolge tutta l’area dei Castelli Romani, fino allitorale, un territorio dove risiede un numero ele-vatissimo di popolazione.Il progetto prevede l’attuazione di interventi perl’inserimento lavorativo di 48 soggetti tra cui tos-sicodipendenti e alcolisti, ex tossicodipendenti edex alcolisti, consumatori di sostanze d’abuso a ri-schio di drop out sociale e/o abbandono scolasti-co. Tra gli obiettivi specifici:■ promuovere reti locali intersistemiche (sociali,sanitarie, formative e del lavoro), che mettano incomune strategie, risorse e metodologie di lavoro,al fine di favorire percorsi individualizzati di inse-rimento lavorativo;■ promuovere l’acquisizione di competenze daparte dei soggetti destinatari del Progetto, inun’ottica di empowerment, attraverso la realizza-zione di percorsi formativi, di inserimento lavora-tivo e di accompagnamento all’avvio di impresa;■ promuovere la partecipazione attiva del mondoimprenditoriale, quale ulteriore attore dei processidi sviluppo produttivo e sociale del territorio.Nel progetto sono privilegiate le realtà aziendaliche operano negli stessi ambiti delle aziende agri-cole multifunzionali, ad esempio: produzione evendita prodotti alimentari; distribuzione prodottialimentari; ristorazione; attività sociali rivolte alterritorio.Le azioni previste:■ Azione 1. Promozione della rete locale intersi-stemica. Prevede:– l’ampliamento e consolidamento della rete– la pubblicizzazione dei contenuti del Progettopresso gli attori locali

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– l’attivazione di contatti informali– l’individuazione di realtà produttive presenti sulterritorio– l’adesione formale dei partners del progetto.■ Azione 2. Costruzione e realizzazione di percor-si di orientamento, formazione ed inserimento allavoro. Prevede:– attività di rilevazione e monitoraggio dei fabbi-sogni formativi ed occupazionali– attività di invio ed accoglienza degli utenti– attivazione di percorsi di orientamento– articolazione ed avvio di percorsi di formazione.■ Azione 3. Promozione dell’integrazione e parte-cipazione al progetto da parte dei rappresentantidell’imprenditoria locale. Prevede:– attività d’indagine qualitativa sui fabbisogniformativi e professionali delle imprese– attività di promozione, sensibilizzazione e pub-blicizzazione.Il progetto ha la durata di 18 mesi; l’azione 2 saràarticolata lungo 2 cicli, ciascuno della durata di 9mesi, ed è rivolto a 24 utenti (per un tot. com-plessivo di 48 destinatari finali). Ogni ciclo saràcomposto da 2 fasi: fase 1 di formazione (aula +stage) di 3 mesi e fase 2 di inserimento lavorativodi 6 mesi.

3. Azienda agricola San DamianoCantù: anche piccola va bene

La San Damiano è una piccola azienda privata in-serita nel circuito Fattorie didattiche AIAB, ac-creditata dalla Regione Lombardia, fondata dadue giovani cugini, Stefano Frisoli e Marco DiFeo. Situata nel cuore verde della Brianza, circon-data da boschi, su una piccola estensione di terre-no, è specializzata in coltivazione di frutti di bo-sco, ortaggi e allevamento di api e chiocciole. L’a-zienda nasce da una forte motivazione professio-nale ed etica dei due conduttori: dalla volontà dimettere su un’azienda agricola rispettosa dell’am-biente e dei consumatori, spinti in ciò anche dacontesti culturali che trovano anche nella religionele motivazioni sociali e ambientali. «Si è scelto dilavorare la terra e di lavorarla in armonia con gliesseri umani e il creato», afferma Stefano Frisoli.L’idea nasce da una precedente analoga esperien-za lavorativa nel Canton Ticino in ambito Caritas,in territorio svizzero. L’azienda offre ai ragazzil’opportunità di scoprire alcune piccole meravigliedella natura e del mondo agricolo quali: il bosco,

la coltivazione biologica di piante da frutto (mir-tilli, lamponi, more, ribes e kiwi); l’apicoltura; l’al-levamento delle chiocciole. «L’Azienda AgricolaBiologica San Damiano – spiega Frisoli – è natanel 2000, rilevando una piccola realtà produttivadi frutti di bosco.«Tale realtà era costituita da ca. 5000 mq occupatida una piantagione di lampone, ca. 2000 mq oc-cupati per la produzione di mirtillo gigante ameri-cano, ribes rosso e kiwi. La rimanente superficie,27.000 mq di cui 2000 a bosco, era incolta e sipresentava trascurata da lungo tempo, ricoperta dirovi, robinie e vegetazione spontanea. Nel corsodei primi due anni di vita si sono realizzate operedi bonifica con estirpazioni, livellamenti, canaliz-zazioni ecc. Attualmente l’Azienda si estende suuna superficie di circa 35.000 mq coltivati. La rac-colta dei frutti, che prima avveniva a luglio e ago-sto, oggi parte da giugno e arriva fino a fine no-vembre con il conseguente sviluppo della retecommerciale; l’azienda serve direttamente negozialimentari biologici, grossisti, fruttivendoli, risto-ranti e privati. Nel 2001 si sviluppa una linea diprodotti bio trasformati, confetture e succhi. Nel2002 si inseriscono le prime arnie che oggi sono50. Nel 2003 si ottiene l’accreditamento «Fattoriedidattiche» dalla provincia di Como. Gli agricolto-ri e gli animatori propongono agli alunni dellescuole materne, elementari, medie e superiori,percorsi didattico-ambientali, accompagnati dalaboratori manuali e teatrali, con duplice scopo difar conoscere la bellezza e la ricchezza della natu-ra e stimolare la creatività, le potenzialità espressi-ve, le capacità manuali e le dinamiche di socializ-zazione dei partecipanti.Le visite avvengono da aprile a ottobre e preve-dono Percorsi didattici e laboratori sul volo e ilciclo delle api, sulle chiocciole, sul campo colti-vato e laboratori di educazione alimentare. Suc-cessivamente è iniziata la collaborazione con iservizi sociali di diversi Comuni della zona, conl’Opera Don Guanella di Como, con Comunità diaccoglienza per minori, con Sead del Comune diMilano, con i CPS di Cantù ed Erba e con laFondazione Minoprio». In tutti questi casi la SanDamiano offre inserimenti lavorativi come borselavoro, tirocini o percorsi di educazione al lavoro.Le segnalazioni sono di persone che a vari livellihanno deficit o situazioni di emarginazione. At-tualmente è promotrice di un progetto per l’in-serimento di ex carcerati in aziende agricole, in-sieme a Coldiretti di Como e Lecco, Confcoope-

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rative, Consorzio il Solco e Fondazione Minoprio.«La nostra – concludono i due conduttori – non èuna cooperativa sociale, ma un’azienda profit,ciononostante concepiamo l’azienda come uncontenitore, un luogo di condivisione, di scambiodi esperienze, di accoglienza, di risorsa per il ter-ritorio. Riteniamo che l’azienda agricola biologicasia portatrice sana di valori, che non si esaurisco-no con il produrre sapore ma che hanno a che fa-re anche con il sapere».

4. Le Cooperative sociali di Libera terra: lavoro,legalità e prodotti d’eccellenza nelle terre della mafia

Di seguito riportiamo le esperienze di due dellecooperative sorte grazie alla legge sull’uso socialedei beni sottratti alla mafia: la Placido Rizzotto -Libera terra di San Giuseppe Jato e la Valle delMarro - Libera terra di Gioia Tauro. Tutte le coo-perative di Libera terra operano con il metodo diproduzione biologica fin dal loro sorgere. In que-sti anni di avvio delle esperienze di riutilizzo so-ciale dei beni confiscati alla mafia, alcuni compartidella Coop hanno sostenuto il progetto «Liberaterra» dando consulenza alle cooperative sociali ediffondendo i prodotti col marchio Libera terrapresso i propri punti vendita, dal Nord al Sud. Ilmessaggio etico contenuto nel marchio, è statoaccolto positivamente e da parte dei consumato-ri. Entrambe le cooperative recentemente sonostate fatte oggetto di attacchi della criminalità edhanno subito danni alla produzione e alle strut-ture.

Cooperativa sociale Placido Rizzotto - San Giuseppe Jato(PA): i sapori della legalità

La cooperativa nasce nel novembre 2001, ad ope-ra di un gruppo di giovani disoccupati e grazie alprogetto Libera Terra, promosso dall’Associa-zione Libera di don Ciotti, in collaborazione conla Prefettura di Palermo e il Consorzio Sviluppo elegalità, costituito da numerosi comuni dell’areapalermitana (Altofonte, Camporeale, Corleone,Monreale, Piana degli Albanesi, Roccamena, SanCipirello, San Giuseppe Jato). Prende il nome daPlacido Rizzotto, sindacalista di Corleone, assas-sinato dalla mafia nell’immediato dopoguerra. Lacooperativa opera inizialmente su più di 155 ettaridi terra (ora circa 200) messi a disposizione dalConsorzio Sviluppo e legalità. La costituzione

della cooperativa è stata preceduta da un bandoper selezionare 15 giovani e ragazze in base a pre-cisi profili professionali che hanno poi partecipatoa un percorso formativo della durata di tre mesi.Successivamente, nello stesso anno, è stata atti-vata la sede operativa e, grazie ad un contributo diCoopfond, sono stati rimessi in marcia i trattoriconfiscati ad alcuni prestanome di Riina e semi-nati i primi terreni. Nel luglio dello stesso annoinizia il raccolto del «grano della speranza» a Cor-leone, nella Valle del Gorgo del Drago, teatrodelle battaglie del giovane segretario della Cameradel lavoro, Placido Rizzotto. Alla presenza delpresidente della Commissione parlamentare anti-mafia, del sottosegretario del Ministero degli In-terni, del prefetto di Palermo e di tutti sindaci delconsorzio, prende avvio la trebbiatura del fru-mento seminato su quelle terre rese particolar-mente fertili dagli anni di abbandono. La coltiva-zione biologica eseguita sui terreni assegnati allacooperativa si ispira alle tradizionali scelte coltu-rali dell’entroterra palermitano, prevede la rota-zione quinquennale di grano duro con leguminoseda granella (ceci, lenticchie, cicerchie), melone opomodoro. Tutte le colture sono eseguite com-pletamente in asciutto, senza il ricorso ad acquairrigua, grazie alla natura argillosa dei terreni. Lazona dell’Alto Belice corleonese è, inoltre, parti-colarmente vocata per la produzione di uva da vi-no. Tutti i vigneti della cooperativa ricadono nelterritorio della Doc di Monreale e grazie all’aiutodi Slow Food stanno lentamente tornando pro-duttivi. Attualmente la cooperativa è impegnatanel recupero di 18 ettari di vigneto reimpiantaticon vitigni autoctoni come il Catarratto e il Grilloper i bianchi e il Nero d’Avola ed il Perricone peri rossi, e alloctoni come lo Chardonnay per i bian-chi ed il Cabernet-Sauvignon, Sirah e il Merlot peri rossi. Altri 9 ettari coltivati a Catarratto e Treb-biano sono già produttivi. La Cooperativa aderi-sce a Libera e al Conapi (Consorzio nazionale diapicoltori e agricoltori biologici). La cooperativagestisce l’agriturismo «Portella della Ginestra» e ilcentro ippico «Giuseppe Di Matteo», due struttu-re confiscate a Bernardo Brusca e ristrutturategrazie all’intervento del Programma di sicurezzadel Ministero degli Interni. Dopo anni di abban-dono le terre confiscate ai boss mafiosi del cor-leonese tornano così ad essere coltivate. Da allo-ra, nonostante le non poche difficoltà, e grazieall’impegno dei giovani soci, tra cui anche alcuniportatori di handicap, l’esperienza di Libera terra

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è divenuta un progetto pilota a livello europeo. Lacooperativa ha assunto un altissimo livello simbo-lico per tutta una serie di motivi: si ispira ai prin-cipi della solidarietà e della legalità, effettua l’inse-rimento lavorativo di soggetti svantaggiati, crean-do opportunità occupazionali legali, utilizza prati-che produttive rispettose dell’ambiente e dellasalute dei consumatori, rispetta le vocazioni agro-nomiche dei territori, recupera le tradizioni arti-gianali locali e opera per il conseguimento e latutela della qualità dei prodotti della tradizione si-ciliana. E tutto ciò nel cuore dei possedimenti edel sistema di potere dei più efferati boss mafiosi.

Cooperativa sociale La Valle del Marro - Gioia Tauro:prodotti di qualità e attenzione ai consumatori dalle terredella ’ndrangheta

La Cooperativa Valle del Marro - Libera Terra ènata nel dicembre del 2004 a conclusione del Pro-getto «Uso sociale dei beni confiscati nella pro-vincia di Reggio Calabria», promosso da Libera(Associazioni, nomi e numeri contro le mafie) efinanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politi-che sociali. Un’iniziativa che ha ricevuto sostegnoe collaborazione da parte di vari soggetti, dallaPrefettura di Reggio Calabria all’Agenzia stataleItalia lavoro; dalla Diocesi di Oppido-Palmi allaLegaCoop e associazioni e istituti scolastici locali.È una cooperativa sociale di tipo B, che gestisceuna cooperativa agricola sorta su circa 30 ettari diterra sottratti alla ’ndrangheta nella Piana di GioiaTauro e assegnati alla cooperativa in comodatouso gratuito della durata di 30 anni dai Comuni diGioia Tauro, Oppido Mamertina e Rosarno. L’at-tività agricola consiste nella coltivazione e tra-sformazione di ortaggi e produzione di olio e dimiele.La cooperativa punta a realizzare la gestionedell’intera filiera agro-alimentare dei propri pro-dotti. La distribuzione è rivolta essenzialmentealla rete delle botteghe del biologico specializzato,del commercio equo e solidale, e ai gruppi d’acqui-sto. Infatti sono sempre di più i GAS (gruppi diacquisto solidali) che rivolgono la loro attenzioneverso questo tipo di prodotti a forte contenutoetico. Rilevante è tuttavia l’interesse manifestatoanche da alcuni comparti della grande distribu-zione nei confronti dei prodotti di qualità e biolo-gici che hanno un ulteriore valore aggiunto: quellodel riscatto sociale dal condizionamento dellacriminalità.

5. Agricoltura Nuova-Decima (RM): la storicacooperativa punto di riferimento del biologico romano

La Cooperativa Agricoltura nuova è una «storica»cooperativa sociale integrata a r.l. Nasce nel 1977per iniziativa di un gruppo di giovani disoccupati,braccianti e contadini con due obiettivi principali:creare occupazione in agricoltura; impedire, ancheattraverso l’occupazione dell’area, la edificazionedi un vasto comprensorio di elevato pregio am-bientale. La battaglia per salvare le Tre Decime dalcemento ha conquistato il ritorno agricolo del-l’area attraverso l’inserimento nella variante di«salvaguardia» e la perimetrazione del parco re-gionale di Decima Malafede (circa 6000 ettari). Lacooperativa nel 1996 ha avuto in concessione iterreni coltivati, superando una occupazione abu-siva quasi ventennale. Alla fine degli anni ’70,Agricoltura nuova, come tutto il movimentocontadino e bracciantile che ruotava attorno almovimento per l’occupazione delle terre incolte,si pose il problema di cosa, come, per chi produr-re. A quest’ultima domanda la cooperativa ha ri-sposto con la scelta di abbandonare la strada dellavendita a grossisti, mercati generali, supermercati,optando per la vendita diretta ai consumatori. Ciòha cambiato il modo di essere, pensare e lavoraredell’azienda e dei soci. Cosa produrre è stata ladiretta conseguenza. Non più solo cereali e qual-che verdura ma: cereali con cui fare pane, pasta,dolci; latte per formaggi, ricotta, yogurt; miele,polline, pappa reale; frutta, uova, vino, legumi eortaggi di stagione; carni di agnello, vitello emaiale. La risposta a come produrre, pur non es-sendo la scelta più facile, è stata la più scontata.Produrre alimenti sani e genuini secondo la tradi-zione e nel rispetto dell’ambiente. Da una agri-coltura «chimica» ad una agricoltura biologica chesalvaguardasse contemporaneamente la salute deiconsumatori e dei produttori. Nel 1996 la coope-rativa ha aderito ad AIAB. Attualmente Agricol-tura nuova opera su 170 ettari di terreno ed occu-pa 9 soggetti svantaggiati.Tra i servizi, la cooperativa mette a disposizioneun centro vendita in azienda aperto per 9 ore tuttii giorni, anche di domenica, con una vastissimagamma di prodotti freschi e trasformati, compresii prodotti da forno e le carni; dispone di un risto-rante, di un’area pic-nic e di un maneggio. Acco-glie visite di studenti della scuola elementare emedia, e effettua laboratori enogastronomici e dieducazione al consumo, aderisce alla rete delle

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Fattorie didattiche di Roma natura e del Comunedi Roma. La commercializzazione avviene tramitefiliera corta, attraverso vendita diretta, vendita on-line, vendita a gruppi d’acquisto. Nel suo carnetanche il primo premio per il pecorino stagionato aBiocaseus 2005 e il premio «gocce d’oro» per ilmiele 2006.

Il progetto «Sapere i sapori, Educazione alimentare» -Arsial Regione Lazio

La cooperativa partecipa al progetto di educazio-ne ambientale e alimentare «Sapere i sapori» dellaRegione Lazio che coinvolge nove classi del LiceoVirgilio e altri alunni delle scuole del Lazio, conl’obiettivo di educarli a «scelte consapevoli e sa-ne», attraverso la conoscenza dei processi produt-tivi degli alimenti. Nell’ultimo anno scolastico gliistituti scolastici coinvolti sono stati oltre 600, conla partecipazione di oltre 573 mila persone traalunni, familiari e docenti. L’esecuzione del pro-getto è affidata all’ARSIAL (Agenzia regionale perlo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura nel La-zio) che si avvale della collaborazione dell’Inran(Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e lanutrizione). «Sapere i sapori» si articola in visite inaziende agricole, fattorie e lezioni di agronomi epsicologi; il progetto vuole promuovere stili divita sani, basati sulla conoscenza e sulla consape-volezza di scelte alimentari che tengano conto dei«gusti e dei disgusti» dello studente. Il progettorappresenta anche una occasione per promuoveree valorizzare le tradizioni alimentari e gastrono-miche del territorio regionale. Il programma pre-vede visite alle aziende, incontri con gli operatori,laboratori, degustazione dei prodotti e pranzonell’azienda.

6. Lazzaria - Velletri:dal carcere un nuovo modello di azienda agricola

Nel 2003 il Fuggiasco fu il caso enologico del-l’anno. Si trattava di un novello al primo anno diproduzione, fatto dai detenuti della Casa circon-dariale di Velletri. L’attenzione destata fu enormee non solo per il nome (anche i nomi degli altrivini, Sette mandate, Quarto di luna, sono tutto unprogramma): si trattava del primo vino italianoprodotto in un carcere. Il successo pure: le prime4500 bottiglie furono subito tutte vendute. Nellostesso anno arrivarono sul mercato circa 15.000

bottiglie di Chardonnay Igt e successivamente dialtrettante bottiglie di Sangiovese Igt. L’esperienzadell’attività agricola della Casa circondariale diVelletri – divenuta nel frattempo un caso nazio-nale – nacque nel 1998 per iniziativa dell’alloradirettore Luigi Magri e di Rodolfo Craia, un gio-vane agronomo funzionario del Ministero dellaGiustizia. L’idea iniziale del direttore del carcereera di realizzare un orto tra le mura, i cortili e glispazi vuoti della casa circondariale ricoperti di er-bacce, per offrire un’opportunità di lavoro ai 350carcerati. Poi nacque l’idea del vigneto, ma civollero cinque anni prima che le prime 4500 bot-tiglie di novello arrivassero sul mercato, a causadelle numerose difficoltà burocratiche e normati-ve. Lazzaria nasce nel 2003 come Onlus, cioècome cooperativa di utilità sociale, grazie alle leggi381/91 e 193/2000 (legge Smuraglia).Oggi, in soli 6 ettari coltivabili (dodici ettari com-presi edifici, strade e servizi) della Casa circonda-riale di Velletri, che sorge in un territorio al confi-ne tra i Castelli romani e Agro pontino, si sonoconcentrate viticoltura, frutticoltura, olivicoltura,apicoltura, orticoltura e le industrie connesse, cioèenologica, conserviera e oleicola. La dimensionetecnica e produttiva dell’azienda supera gli inizialiobiettivi del progetto e vanta, in piccolo, struttureed impianti d’alto livello, tra cui una cantina da50.000 bottiglie dotata di sistemi di vinificazioneper produzioni d’alta qualità, interamente a tem-peratura ed atmosfera controllata nei processi divinificazione ed affinamento, completa di una salabarriques, laboratorio d’analisi, e impianti d’im-bottigliamento con microfiltrazione; un frantoio aciclo continuo da oltre 400 kg/h, con sistemi perla conservazione dell’olio extravergine ad atmo-sfera controllata; un laboratorio conserviero per laproduzione di conserve alimentari, comprese con-fetture e succhi di frutta, in grado di lavorare, se-condo il ciclo produttivo, fino a 100 kg di pro-dotto l’ora; un apiario composto di 30 arnie e unlaboratorio per le operazioni di smielatura ed in-vasettamento; 3500 mq di serre riscaldate, predi-sposte per la coltivazione in assenza di suolo, siain canalina, sia in sacchi, attualmente adibiteall’orticoltura ma utilizzabili in floricoltura od invivaismo; 600 piante da frutto raccolte in unfrutteto multispecie ed un agrumeto, 400 olivi damensa e da olio; più di 100 viti per uva da tavolain pergolati; oltre 3 ettari di vigneti per produzionidi qualità d’uve bianche Trebbiano Toscano eMalvasia di Candia, uve rosse Merlot, Sangiovese

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e Cabernet. Attualmente le tecniche di produzio-ne sono imperniate sui sistemi a basso impattoambientale, ma in prospettiva si intende giungereal biologico certificato. «Questo – commentaCraia – non è un miracolo, afferma il tecnico, mail risultato di un impegno costante in cinque annidi duro lavoro, studio e passione professionale,ma anche di pazienza e condiscendenza da partedi tutto il personale che direttamente od indiret-tamente ha contribuito al successo dell’iniziativa.I risultati non possono oscurare i problemi legatialla mancanza di personale addetto alla sorve-glianza ed alla difficoltà di integrare il lavoro verocon il sistema penitenziario». Al momento l’azien-da è attiva per circa il 50% delle potenzialità edoggi occupa mediamente 10-12 detenuti, di cui 2-3 in art. 21 come addetti alla gestione della canti-na, del frantoio e delle coltivazioni nell’area inter-na alle cinta. Il progetto prevede un sistema percollegare il lavoro nell’azienda dell’istituto ad altrenuove cooperative, per rendere autonome perso-ne che alla scarcerazione troverebbero insupera-bili difficoltà d’inserimento lavorativo, mentre lagran parte degli stranieri sarebbero destinati alrientro in clandestinità. In virtù di tutto ciò, oggiLazzaria è un esempio particolarmente positivoed estendibile ad altri istituti di pena. Ma non so-lo. «L’esperienza – afferma Rodolfo Craia – ciporta a riaggiornare in chiave moderna l’incre-dibile esperienza del lavoro agricolo in carcere.Da un punto di vista tecnico l’idea per la Casa cir-condariale di Velletri scaturisce dalla constatazio-ne che oggi una moderna azienda agricola è resaefficiente dalle capacità tecnologico-professionaliin essa impegnate e non più solo dalla superficiecomplessiva coltivata… Di conseguenza, l’impie-go della tecnologia anche in carcere diviene lostrumento per ottenere il più alto livello di pro-fessionalizzazione del detenuto lavorante, in unsistema operativo-formativo tale da consentire lemassime possibilità di reinserimento lavorativo».Il lavoro svolto a Velletri in questi anni ha ungrande valore sociale, civile ed economico, «nonsolo – conclude Craia – per i consistenti investi-menti e per le opere realizzate, ma per il profondovalore tecnico, culturale e, non ultimo, sociale chequesta piccola azienda agricola intende rappre-sentare per il territorio e per l’amministrazionepenitenziaria; un esempio di scuola professionaleper detenuti ad indirizzo agricolo, in grado di dareun senso preciso al lavoro ed all’opera di recuperodel detenuto».

7. Azienda agricola Colombini-Lari:dove convivono etica e profit

Alessandro Colombini è il primo agricoltore chericeve il premio «Etica & Impresa», un riconosci-mento prestigioso destinato alle imprese che sidistinguono per responsabilità sociale. SocioAIAB, certificato ICEA, Alessandro conduce, in-sieme ai genitori, un’azienda famigliare, in cui pre-stano la loro attività cinque giovani «soggetti de-boli», portatori di handicap psichici e psichiatrici.L’azienda coltiva e trasforma ortaggi a Lari, terradi ciliegie, in provincia di Pisa, commercializzaattraverso la filiera corta e i GAS. Il prestigiosoriconoscimento è destinato ad imprese che si di-stinguono in pratiche di responsabilità sociale,tramutate in accordi sindacali. È promosso datutte le principali associazioni di quadri e dirigentid’impresa in collaborazione con la Regione To-scana. Colombini ha assunto la direzione dell’a-zienda di famiglia solo nel 2001 a soli 28 anni,convertendola immediatamente al biologico. Dal2003 è contitolare de Il Giardino dei semplici, unimportante progetto promosso dall’associazioneORISS (Organizzazione interdisciplinare sviluppoe salute) di Lari, uno dei 15 comuni della Valdera,all’interno di un «Patto per la salute» della Calde-ra, che prevede l’utilizzazione dell’agricoltura an-che come risorsa per favorire processi d’inclu-sione socio-lavorativa di soggetti socialmenteemarginati. Il progetto è condiviso dalle strutturesocio-sanitarie pubbliche dei comuni interessati,dall’Università di Pisa e dalle famiglie dei ragazzicon disagi psichici e psicologici. Contempora-neamente Colombini ha contribuito a mettere inmoto altri due processi socialmente «virtuosi»: lacreazione di un mercato locale che ha coinvolto iprivati, tramite i gruppi d’acquisto, e i soggettipubblici titolari della ristorazione collettiva del-l’area (mense e ospedali); la «promozione» dellaproduzione biologica degli agricoltori confinanti,allettati dagli importanti risultati imprenditorialiottenuti dell’azienda. I conti dell’azienda sono, in-fatti, attivi e dimostrano che l’agricoltura socialenon contrasta con le esigenze di profitto delle im-prese private. Oggi la Colombini rifornisce, tra-mite gruppi di acquisto, ben 600 famiglie di Pisain collaborazione con un centro anziani che a suavolta è divenuto un punto di riferimento per un in-sieme di altre attività. Grazie a questo progetto laColombini è diventata un importante punto di rife-rimento, insieme all’Arsia provinciale e all’Università

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di Pisa, dell’esperienza di agricoltura sociale della re-gione, tanto che a settembre scorso è iniziato il nuo-vo progetto Il Giardino dei semplici 2 dove sonocoinvolti 8-10 utenti e tre aziende agricole, precedutoda un intenso lavoro di formazione che durerà seimesi. Riportiamo di seguito una sintesi del progetto.

Il progetto «Il Giardino dei semplici» di Lari - Un «modello» diintegrazione socio-sanitaria tra settore pubblico e settore privato

Il progetto, elaborato dall’associazione ORISS(Organizzazione interdisciplinare sviluppo e sa-lute) di Lari, uno dei 15 comune della Valdera, ènato dall’esigenza di contribuire alla valorizzazio-ne del patrimonio ambientale rurale locale per fa-vorire processi d’inclusione socio-lavorativa disoggetti socialmente emarginati. Sostenuto ini-zialmente da 5 Comuni del territorio, il progetto èstato successivamente incluso nel Piano sociale dizona 2002-2004 approvato dalla Conferenza deisindaci della Valdera. Obiettivo fondamentale delprogetto, la promozione di un Patto per la salute,da stabilirsi tra Conferenza dei sindaci, ASL esettore dell’imprenditoria rurale della zona.Il Giardino dei semplici si è attivato grazie allacollaborazione di ORISS con due aziende agricolee in particolare con l’azienda biologica Colombinidi Lari, sostenuto attivamente da altri soggettiistituzionali: ASL e le strutture pubbliche compe-tenti, l’Università di Pisa (cattedra di Economia ePolitica agraria della Facoltà di Veterinaria) e l’AR-SIA locale (Agenzia regionale per lo sviluppo el’innovazione in campo agricolo e forestale ). Ilprogetto – iniziato nel 2003 con una serie di in-contri tra l’équipe di operatori sociali e sanitaridell’Area funzionale di salute mentale dell’ASL n.5 - Zona Valdera, e di due educatori di sostegnoin collegamento con gli operatori dei servizi diprovenienza dei singoli soggetti – è finalizzato acostruire una «rete» per l’inserimento lavorativo inagricoltura di persone con svantaggio socio-sani-tario (handicappati fisici e psichici) o sociale (gio-vani a rischio di devianza e/o in cerca di primaoccupazione, donne, extracomunitari ecc.).Nel progetto sono stati inseriti inizialmente setteutenti (poi ridotti a cinque) dei Servizi socio-sanitari zonali, quattro con disabilità psico-fisica etre con disabilità psichiatrica di grado medio. Ilgruppo ha condotto una preliminare esperienzaterapeutico-riabilitativa e di sensibilizzazione alletecniche fondamentali di coltivazione orticola efloreale attraverso la progettazione e realizzazione

di un orto-giardino con il supporto di un operato-re esperto di Horthycultural Therapy.Al termine della prima fase di sei mesi i cinquesoggetti rimasti nel programma hanno iniziato lafase di tirocinio lavorativo presso due aziende lo-cali: una grande azienda vinicola a produzione in-dustriale e una media azienda orticola biologica aconduzione familiare, la Colombini. Quest’ultimasi è rivelata più appropriata (sia come tecniche dicoltivazione che come sistema ambientale di rela-zioni umane) all’inserimento lavorativo, tanto chetutti e cinque i soggetti alla fine sono stati accoltinell’azienda Colombini. L’inserimento è statopossibile grazie al sostegno di due psicologhe eduno psichiatra di ORRIS, a loro volta in costantecontatto con i servizi socio-sanitari di provenien-za dei giovani. Delle cinque persone operantipresso l’azienda biologica Colombini tre sonostate inserite sulla base di un contratto di tirociniodi terapia occupazionale stipulato tra gli interes-sati, la ORISS e l’azienda; una sulla base di uncontratto di tirocinio stipulato tra l’interessata,l’azienda e la provincia di Pisa; una assunta concontratto ai sensi della legge 68/99 in favore deiportatori d’invalidità civile con percentuale mini-ma del 48%, che prevede sostanziali sgravi fiscaliper i datori di lavoro.L’esperienza ha così permesso di sperimentarelocalmente un nuovo modello d’integrazione so-cio-sanitaria tra settore pubblico e settore privatoper il recupero terapeutico e riabilitativo di sog-getti prima curati all’interno dei centri tradizionali.Non solo, l’esperienza ha attivato un rapportocon i responsabili e operatori del servizio sociale econ il servizio di salute mentale della ASL 5 diPontedera, con altre realtà cooperative della zonae, attraverso l’azienda agricola, con le associazionidei produttori agricoli. Com’è stata accolta l’espe-rienza? Le famiglie delle persone con disagio psi-co-fisico hanno particolarmente apprezzato perloro e per i loro congiunti il clima di intensa par-tecipazione affettiva esistente nell’azienda con icui proprietari hanno stabilito una sincera amici-zia. I diretti interessati si sono ben integrati nelcontesto aziendale e hanno manifestato una nettapreferenza per le attività rurali rispetto a quelleche li avevano precedentemente impegnati pressoCentri diurni della ASL. In particolare una ragazzaha dichiarato di sentirsi decisamente meglio daquando lavora in azienda rispetto a quando lavo-rava in una piccola industria calzaturiera e poi inun ristorante, esperienze che, a suo dire, l’avevano

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fatta ammalare. Pertanto riteneva che la sua at-tuale collocazione aveva per lei un valore, in ter-mini di qualità della vita, più importante di quellomeramente economico. Il cambiamento in positi-vo di queste persone è stato osservato anche daglioperatori del servizio di salute mentale che li han-no in carico. Una esperienza che le istituzioni in-teressate intendono consolidare, assicurando cosìun ruolo di primo piano al mondo rurale nel con-correre allo sviluppo del welfare locale («Quader-no Inea», 2005 - www.arsia.toscana.it).

8. La Fattoria verde - Palidoro:prodotti a marchio due volte buono

L’Associazione «La Fattoria verde Onlus» (in pro-cinto di diventare cooperativa sociale), è situataall’interno della tenuta Albucceto a Palidoro, per-tinenza distaccata dell’azienda agricola Castel diGuido, all’interno della Riserva naturale del lito-rale laziale e dispone di 3 ettari di terreno coltivaticol metodo dell’agricoltura biologica. L’attivitàprincipale è l’allevamento di cinque diverse razzedi galline che producono particolari tipi di uova(guscio spesso per abbassare il rischio di conta-minazione da salmonella, basso contenuto di co-lesterolo ecc.). La Fattoria alleva anche oche, lecui uova vengono impiegate nella produzione dipasta, e polli da carne (razza olandese). Le coltureprincipali sono: ortaggi (si sono recuperate varietàantiche di pomodoro e di carciofo), erbe aromati-che, piccoli frutti (soprattutto fragole) e un frut-teto (impiantato nel 2006 e che deve ancora en-trare in produzione). La fattoria coltiva con ilmetodo biologico di agricoltura, non viene utiliz-zato alcun tipo di trattamento fitosanitario, siconcimano i terreni con il letame aziendale, sipratica il sovescio e si adoperano erbe officinali emacerato di ortica per la cura delle piante e ci sioccupa anche della trasformazione dei prodotti(dolci, conserve e marmellate). L’associazione «LaFattoria Onlus» è stata costituita per promuoverenel settore agricolo iniziative utili a persone condisabilità, soprattutto mentali. Ad oggi un gruppodi queste persone lavora assiduamente all’internodella fattoria e sarà quello che gestirà in primapersona la cooperativa sociale che dalla fattoriastessa deve nascere. I soggetti che partecipano alleattività della fattoria si occupano di tutto il pro-cesso produttivo (dalle pratiche colturali alla tra-sformazione dei prodotti), dell’allevamento del

bestiame, della ristorazione, dell’accoglienza degliospiti (che sono altri soggetti svantaggiati oppurescuole), delle visite guidate e dei laboratori speci-fici sulle varie attività. La fattoria produce perautoconsumo, i prodotti sono consumati dai sog-getti interni all’associazione stessa, durante le vi-site o nell’agriturismo. Gli appezzamenti sono fa-cilmente raggiungibili e accessibili per le carroz-zelle dei disabili. All’interno della fattoria si trova-no molti animali da compagnia come asini (dal-l’anno prossimo verrà attivato un progetto dionoterapia), maialini, conigli, pony e pecore cheaiutano nel percorso di recupero. Gli utenti coin-volti sono chiamati a svolgere numerose e diversi-ficate mansioni che si sono rivelate utili al proces-so terapeutico: preparare il pranzo e mangiare in-sieme stimola ad una maggiore autonomia ed alrapporto con gli altri. La trasformazione e la distri-buzione dei prodotti inserisce la fattoria con i suoiutenti nel tessuto socioeconomico del territorio in-staurando una concreta e utile integrazione. Unafattoria protetta è insieme un’azienda agricola e unasituazione terapeutica. «La Fattoria – dice JeanetteDe Knegt, responsabile dell’associazione – ha giàregistrato il marchio “2 volte buono” (che ha ispi-rato il titolo di questo quaderno) che sta proprio adindicare il valore aggiunto dell’attività sociale ac-compagnato al valore dell’agricoltura biologica: ri-spetto della natura che si traduce in prodotti salubrie utilità sociale dell’agricoltura come modo per in-tegrare e recuperare persone svantaggiate. La pro-duzione del centro è strumento per le sue finalitàsociali in quanto l’utente vede nel prodotto il ri-sultato concreto del proprio impegno. Molte per-sone sono ormai consapevoli degli acquisti chefanno e rendere visibili questi valori non può cheavere un riconoscimento sul mercato».

9. Cooperativa sociale Il Noce - Termoli: dalla co-munità per tossicodipendenti al recupero di antichevarietà di grano

La Cooperativa «il Noce» s.c. a r.l nasce da unacomunità di recupero di tossicodipendenti esi-stente dagli anni novanta a Termoli e dal 2000 hapreso in comodato d’uso dei terreni da una Fon-dazione che fa capo alla Curia, diventando cosìcooperativa sociale con attività agricola. L’aziendaagricola è a Petacciato Marinelle (Campobasso) eopera su circa 4 ettari pianeggianti coltivati a or-taggi e cereali con il metodo dell’agricoltura bio-

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logica. La Cooperativa Il Noce, presieduta daPaolo Di Luzio, presidente di AIAB Molise, nasceda un progetto della Associazione FaCED (Fami-glie contro l’emarginazione e la droga) di Termoli,con lo scopo di favorire il reinserimento socialedei giovani al termine di un programma di recu-pero. La cooperativa cura le attività di educazioneal lavoro all’interno della comunità di recupero,dove è situato un laboratorio artigianale per il le-gno, e inoltre gestisce direttamente l’azienda agri-cola. L’attività sociale si basa sul recupero di tos-sicodipendenti; la prima fase è seguita da un’ope-ratrice sociale che accompagna i soggetti inseritinel progetto anche nelle attività agricole, che con-sistono nell’attiva partecipazione in tutto il pro-cesso produttivo (dalla semina alla raccolta allatrasformazione dei prodotti). La cooperativa fariferimento ai SERT della zona e si impegna a re-cepire le politiche sociali regionali inserendo finoa 15 soggetti svantaggiati. Il Noce è l’unica coope-rativa in Molise che, allo stesso tempo, è di tipo Ain quanto affianca la FaCED nella gestione diservizi socio-sanitari ed educativi e di tipo B inquanto svolge attività diverse, in ambito agricolo,artigianale e di servizi, allo scopo di realizzarel’integrazione lavorativa di persone socialmentesvantaggiate. La Cooperativa Il Noce si occupaanche della trasformazione dei prodotti produ-cendo conserve, e pasta integrale, ottenuta dallavarietà «Cappelli», una antica varietà autoctona digrano duro. In futuro la cooperativa conta di col-tivare anche piante officinali e di mettere su unlaboratorio per la creazione di oli essenziali e, aseguito dell’impianto di un frutteto misto, potràdisporre di frutta fresca e da trasformare in mar-mellata e succhi. «Il Noce» esprime da un puntodi vista operativo, le linee ed i principi elaboratidall’associazione FaCED che, attraverso il con-fronto con altre realtà analoghe e l’esperienzamaturata negli anni, ha messo a punto una tipolo-gia di intervento incentrata sulla costruzione/ ri-costruzione delle capacità relazionali e degli ele-menti di socializzazione in un contesto comunita-rio, in cui, attraverso il rispetto di semplici ma ri-gide regole, la continua verifica dei comporta-menti e delle relazioni intra-comunitarie, la pre-sentazione e partecipazione attiva ad attivitàsvolte da soggetti esterni (associazioni religiose enon, comunità ecc.)». La cooperativa – dice DiLuzio – è portatrice di valori basati su sobrietà edeconomia solidale, ed effettua un processo di veroe proprio reinserimento al lavoro basato su atti-

vità a forte contenuto etico (agricoltura biologica,artigianato). Si tenta, in sostanza, di far emerge-re/riemergere quelle capacità e quella forza inte-riore delle persone che le mettano in grado di nonricadere nel circolo vizioso delle dipendenze. I ri-sultati ottenuti dall’attività di recupero sociale deIl Noce vanno distinti – prosegue il presidente –:da un lato il recupero totale, inteso come fuoriu-scita definitiva dalla tossicodipendenza è del 2-5%di coloro che vengono a contatto con la comunità(una percentuale che è in linea con i risultati ditutte le altre esperienze nazionali); dall’altro, occor-re rilevare che la stragrande maggioranza degliutenti, una volta completato, o comunque realiz-zato in parte il percorso comunitario, rimane co-munque in qualche modo legata alla comunità e siriesce così a limitare il danno sociale e personale».La Cooperativa Il Noce ha sperimentato forme divendita allo stesso tempo antiche e modernissime,quali il porta a porta, ma fornisce anche alcuni ri-storatori e dettaglianti della zona, oltre a venderedirettamente in azienda che è il metodo preferito inquanto il consumatore può vedere di persona ilcontesto produttivo e il luogo di origine dei pro-dotti. L’attività sociale crea un valore aggiunto alprodotto. La pasta che Il Noce produce viene mes-sa in commercio con evidenziato in etichetta la«socialità» incorporata nel prodotto che costituisceun elemento decisivo nel rapporto diretto con iconsumatori. L’attività sociale non incide molto sulreddito, ma lo integra e consente di pareggiare ilbilancio.

10. Cooperativa sociale Rinatura-Modena: i millevolti della multifunzionalità

Rinatura nasce a metà degli anni ’90 come coope-rativa sociale grazie all’aiuto di due cooperativegià esistenti (Porta aperta e Oltremare). La coope-rativa fin dalla sua costituzione si occupa di agri-coltura biologica e di recupero di ex detenuti, extossicodipendenti, emarginati sociali, soggetti conlievi handicap psichici. La cooperativa dispone dicirca 110 ettari di terreno in affitto di cui 60-70sono investiti a boschi, siepi, prati, zone umide, alfine di ricreare l’ambiente tipico della pianura pa-dana. Vengono coltivati cereali misti (farro, orzo,grano), pisello, favino, per la pratica del sovescio,girasole, ortaggi. Circa 2 ettari sono destinati adun frutteto allestito recuperando numerose varietàantiche tipiche della zona modenese. Anche il vi-

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gneto è costituito da varietà antiche (circe 20 tipidiversi di uva) ed è stato ripreso il vecchio meto-do della piantata modenese maritata con l’olmo.Dal 2000 la cooperativa sta sviluppando un progettodi partenariato con il Comune di Modena che hapermesso a Rinatura di acquisire in affitto un fon-do da ristrutturare a Marsaglia, ed una quarantinadi ettari di terreno, finalizzati alla creazione di uncentro alloggio per persone in inserimento lavo-rativo e la realizzazione di una fattoria didatticabiologica.Gli obiettivi sono duplici: rispondere a due biso-gni principali che provengono dalle persone infase di inclusione sociale: oltre al lavoro, l’alloggioe la socialità. A questo scopo è finalizzata la crea-zione della fattoria didattica, dove si integrino at-tività di tipo produttivo ad altre strutturate a finididattici per la creazione di un ambiente agricoloed uno spazio pubblico a disposizione della scuo-la, consentendo anche ai soggetti socialmenteemarginati di inserirsi non solo in un contesto la-vorativo, di per sé già socializzante, ma anche inun contesto esterno all’azienda più vasto.Dal momento della sua costituzione la cooperati-va ha realizzato:■ un bosco con vegetazione autoctona disposto acorona dell’area di circa 30 ettari, del quale sicontinuano le manutenzioni per favorirne la cre-scita;■ un frutteto con funzione di campo catalogodelle varietà autoctone della Provincia di Modena;■ un vigneto con l’antico metodo della piantatamodenese;■ un lago naturalistico per la preservazione di pianteautoctone, già divenuto punto di ristoro per anatre ealtri uccelli acquatici nelle loro migrazioni stagionali;■ colture di tipo estensivo di diversi cereali bio-logici;■ nel 2005 è stato impiantato un vigneto per laproduzione di Lambrusco biologico;■ il progetto «BiOasi», che vede un gruppo divolontari impegnato nella gestione di un ortocoltivato secondo le metodologie del biologico;■ una batteria di arnie per apicoltura;■ dal 2003 è operativa la Fattoria didattica Cento-fiori nella quale si svolgono attività didattichesulle tematiche ambientali ed agricole per lescuole della Provincia di Modena. Rinatura parte-cipa alle giornate Fattorie aperte, della Regione,con grande riscontro di partecipazione.■ a dicembre 2003 è stata inaugurata la struttura

ricettiva Centofiori, convenzionata con il Comunedi Modena, capace di ospitare 16 persone per of-frire agli inserimenti lavorativi nelle cooperativesociali e alle persone in difficoltà abitativa unaopportunità temporanea di alloggio. Dalla prima-vera 2006 è attivo nell’ex fienile il Laboratorio diEducazione ambientale del Comune di Modena, eun agriturismo biologico nell’ex stalla.

Altri progetti della Cooperativa Rinatura

In collaborazione con il Settore ambiente ed ilSettore istruzione e rapporti con l’Università delComune di Modena, propone la realizzazione diun di centro estivo in un fondo agricolo alle portedi Marzaglia Nuova, ove è già stata realizzata unafattoria aperta didattica e biologica, circondata daun bosco aperto all’uso e alla fruizione collettiva.Il fondo è in una posizione centrale rispetto adeccellenze ambientali, esistenti o in corso di rea-lizzazione, quali:■ Parco fluviale del Secchia (ideale allungamentodell’area protetta della Riserva delle Casse di espan-sione del Secchia);■ Pista ciclabile Modena-Sassuolo, a circa 400 m inlinea d’aria;■ Oasi faunistica fluviale del Colombarone, in co-mune di Formigine;■ Pineta di Marzaglia, in corso di valorizzazione etrasformazione in bosco planiziale.L’area si caratterizza per la presenza di altre eccel-lenze naturalistiche quali: 30 ettari di bosco plani-ziale, un complesso «macchia-radura» e siepi, 2 ettaridi stagno, zona umida e vegetazione idrofila, nonchégrandi spazi ricreativi per attività di animazione.La proposta di un centro estivo a carattere am-bientale nasce dall’esperienza consolidata dellaCooperativa Rinatura rispetto alle iniziative e alleattività didattiche rivolte alle scuole di Modena eProvincia. La cooperativa si propone la pro-grammazione di attività capaci di promuovereesperienze che si rivelino utili e divertenti per tuttii partecipanti e che sappiano rispondere ai princi-pali bisogni di autonomia, gioco, ricerca, avventu-ra e socializzazione.

Conclusioni

Il dato più significativo che risulta dall’indagine diAIAB, è l’emergere di un nuovo modello di svi-

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luppo rurale e agricolo, alternativo al modello in-dustrialista finora prevalente in Europa, che èstato alla base della PAC fin dalla sua attivazione.Un modello, com’è noto, incentrato sul sostegnodei prezzi e su un’agricoltura fortemente indu-strializzata, intensiva, dipendente dalla chimica edenergivora. Ebbene, le esperienze raccolte daAIAB testimoniano che un nuovo modello ruraleè possibile e che proprio le bio-fattorie sociali necostituiscono la punta più avanzata, a conferma diquanto sostiene lo studioso olandese Jan Douwevan der Ploeg nel suo libro «Oltre la modernizza-zione. Processi di sviluppo rurale in Europa»,Rubbettino editore.La crisi del vecchio modello è del resto sotto gliocchi di tutti, al punto che si è reso necessarioapportare sostanziosi correttivi alla vecchia Pac,anche se non sempre coerentemente perseguitinelle politiche pubbliche reali, in un contesto cheha visto cambiare persino la natura giuridica del-l’impresa agricola, e che apre interessanti pro-spettive per l’AS.Osserva in proposito Roberto Finuola: «rilevante,dal punto di vista dell’agricoltura sociale è il fattoche si considerano imprenditori agricoli anche lecooperative di imprenditori agricoli e i loro con-sorzi quando utilizzano per lo svolgimento delleattività prevalentemente prodotti dei soci, ovveroforniscono prevalentemente ai soci beni e servizidiretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico.In particolare sono equiparate alle attività agrituri-stiche le attività ricreative, didattiche e culturalisvolte in azienda, oltre alla pratica sportiva edescursionistica e all’ippoturismo. Il d.lgs. n. 99/04introduce la figura dell’imprenditore agricolo pro-fessionale (IAP) che sostituisce la precedente fi-gura dell’imprenditore agricolo a titolo principale(IATP). Vengono inoltre riconosciute le «societàagricole» che hanno quale oggetto socialel’esercizio esclusivo delle attività agricole, e chepossono anche essere IAP e godere dei beneficiprevisti per lo stesso. Molto rilevante nella pro-spettiva dell’agricoltura sociale è la possibilità peruna società di persone, di capitali o cooperativa,che abbia al suo interno la presenza di almeno unimprenditore agricolo professionale, di godere ditutti i benefici previsti per questa figura. Operato-ri sociali ed imprenditori agricoli potrebbero darecosì vita a società agricole traendone reciprocogiovamento. Ne consegue che tutte le attivitàagricole, anche quelle non direttamente connesseal ciclo produttivo, finiscono per rispondere ad

una logica economica in quanto danno risposta aduna domanda specifica diretta (agricoltura pro-duttiva tradizionale, agricoltura biologica, di qua-lità, agriturismo, ecc.) che viene remunerata attra-verso il pagamento di un prezzo; o di tipo indi-retto con vantaggi per la collettività (presidio delterritorio, protezione delle risorse naturali e con-servazione dell’ambiente) che la remunera conpolitiche di sostegno ad hoc. In buona sostanza losviluppo di attività parallele a quella produttivaaccresce la gamma di prodotti che l’impresa puòoffrire direttamente o indirettamente al consu-matore e le attività extragricole si mescolano aquelle propriamente agricole in un connubio in-scindibile ed in modo tale che le prime finisconoper rafforzare e consolidare le seconde»3. Questaprospettiva tende a creare contesti territoriali par-ticolarmente includenti e solidali, utili tanto aisoggetti svantaggiati e alle loro famiglie, quantoall’agricoltura e ai territori rurali, con benefici an-che per le strutture socio-sanitarie pubbliche el’insieme delle comunità locali. Inoltre può favori-re l’integrazione delle comunità rurali in un siste-ma di relazione più ampio, un rapporto città cam-pagna meno iniquo, un uso meno estraniante econsumistico della campagna da parte delle po-polazioni urbane, troppo spesso improntatoall’usa e getta delle aree e risorse rurali. Si sta in-somma facendo strada quello che studiosi comeDi Iacovo, Senni e Finuola sostengono con la lo-ro attività scientifica e divulgativa circa la possibi-lità per l’agricoltura sociale di avviare processi dinuovo welfare locale.

3 Roberto Finuola, dirigente del Dipartimento per le Po-litiche di sviluppo della Presidenza del Consiglio dei mi-nistri - Scheda n. 26 «L’agricoltura etico-sociale: una ulte-riore dimensione della multifunzionalità dell’agricoltura»,nel volume L’agricoltura italiana - sfide e prospettive di un setto-re vitale per l’economia della nazione, INEA, Roma, gennaio2006.

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PARTE SECONDAMonitoraggio-inventario delle bio-fattorie sociali in Italia

Simona Zerbinati

Il progetto «Programma nazionale di sviluppo e pro-mozione della rete delle bio-fattorie sociali» finanziatodal Ministero della Solidarietà sociale, prevede la co-stituzione di una rete di cooperative sociali e aziendeagricole biologiche operanti in agricoltura sociale. Conquesto termine si intende una serie di attività all’in-terno di un’azienda agricola che portano all’inclusionee all’inserimento lavorativo di soggetti cosiddetti «svan-taggiati», o «diversamente abili», dove la diversità e ildisagio possono essere sia fisici che psichici e psicolo-gici o sociali; comprende quindi il recupero di soggettitossicodipendenti o alcolisti, il reinserimento lavorati-vo di ex carcerati o attività come l’orto-terapia negliospedali psichiatrici, attività agricola all’interno dellecase circondariali ecc. Il monitoraggio-inventario dellerealtà esistenti, previsto dal progetto, e che riportiamonel quaderno, si è concentrato soprattutto sulle coope-rative sociali di tipo B che svolgono attività di agricol-tura biologica certificata come da regolamento 2092/91,mentre abbiamo escluso quelle (la gran parte) che opera-no nel settore della manutenzione del verde urbano e delgiardinaggio; in esso figurano anche alcune aziende agri-cole o cooperative agricole che, nel loro percorso, hannoallargato l’attività agricola a quella sociale. Il lavoro nonha la pretesa di rappresentare tutte le esperienze operantiin Italia; l’intento è quello di far sì che queste realtà sianoconosciute e riescano a mettersi in rete fra loro per soste-nersi, confrontarsi e mettere in luce il loro grande lavorodi inclusione sociale, di cura e contenimento dei disagi edelle differenze fra le persone, operando in un settorecome quello agricolo che offre più opportunità grazie alsuo carattere multifunzionale.La raccolta dei dati non è stata semplice, essendo la bi-bliografia scarsa e frammentaria. Le fonti sono state di-verse: conoscenze sul campo, ricerca su internet, mate-riale cartaceo e libri editi sull’argomento. Ci siamo avvalsidel contributo delle AIAB regionali, degli esperti di que-ste tematiche, come l’Università di Pisa e della Tuscia,delle esperienze e dei contatti con le Regioni più attivesull’agricoltura sociale e delle iniziative varie di approfon-dimento. A partire da questi contatti abbiamo effettuatointerviste telefoniche che sono state pubblicate settima-nalmente sul sito di AIAB.Nella fase iniziale del progetto sono stati pubblicati duedossier sull’AS su «Bioagricoltura», la rivista dell’AIAB,che riportano l’esperienza di alcune cooperative o aziendeagricole che operano nel sociale e che occupano al pro-prio interno personale diversamente abile.

Nei due dossier è stata pubblicata anche una scheda disegnalazione di realtà operanti che potevano esseresfuggite al censimento. Le risposte sono state numero-se e continuano tuttora a pervenire. Nell’insieme ab-biamo rilevato un forte interesse dei soggetti coinvoltiverso l’iniziativa e le informazioni utili allo sviluppodell’attività, nonché una notevole sensibilità e disponi-bilità a collaborare al progetto.A fronte del dato ISTAT, secondo cui in Italia si con-tano circa 470 cooperative sociali di tipo B con attivitàagricola, il monitoraggio di AIAB ha rilevato l’e-sistenza in Italia più di 100 fattorie sociali biologichecertificate. Il dato non è definitivo poiché la situazioneè in evoluzione: alcune cooperative praticano l’agricol-tura biologica ma non hanno la certificazione (spessoper problemi economici), altre hanno recentementeabbandonato l’attività agricola ma contano di ripren-derla al più presto. Infine numerose realtà sono inte-ressate a fare agricoltura sociale biologica e stanno ri-cercando fondi e sostegni. Queste realtà, non compre-se nel presente elenco, sono state comunque contattateper capire l’interesse per l’agricoltura sociale, per avereinformazioni sulle attività svolte e sulle eventuali moti-vazioni per cui manca una certificazione sul metodobiologico di coltivazione e per illustrare loro il pro-getto. L’indagine conferma una maggiore diffusionedell’AS al Centro-Nord; nel Mezzogiorno la nascitadella bio-agricoltura sociale è prevalentemente legataalla confisca di terreni della mafia, soprattutto in Cala-bria e Sicilia, nonché all’accoglienza di rifugiati politicie di immigrati. Le informazioni rilevate dal monitorag-gio riguardano i nomi delle aziende/ cooperative, i lo-ro recapiti e la loro ragione sociale, le attività agricole esociali svolte, le tipologie di inserimento lavorativo, iltipo di «utenti» del servizio, gli enti socio-sanitari pub-blici o privati e gli altri soggetti coinvolti. L’interventodelle cooperative sociali o aziende agricole riguardaogni tipo di disagio, dalle tossicodipendenze alle pro-blematiche psico-fisiche, ma la maggior parte dellerealtà analizzate opera con persone portatrici di han-dicap psichico e psichiatrico. Dai dati rilevati si puònotare, infatti, che le attività legate all’orticoltura ealla trasformazione dei prodotti si prestano meglio alrecupero e inserimento di persone diversamente abili,anche perché sono coinvolte in mansioni relativa-mente semplici e poco faticose, ma comunque ingrado di suscitare un impegno motivato dei soggetticoinvolti.

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QuadernoBio agricoltura sociale

Risultati dell’indagine di AIAB sulle bio-fattorie sociali Realtà, problematiche, prospettive di sviluppo

a cura di

AIAB - Associazione Italiana Agricoltura Biologica

AIABQuaderno realizzato all’interno del progetto

«Programma nazionale di sviluppo e promozione della Rete delle biofattorie sociali»finanziato dal Ministero della Solidarietà sociale

ai sensi dell’art. 12, lett. f ) legge 383/2000. Annualità 2005

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