Bietti Sestieri - Bronzo Finale in Italia

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Padusa 2008

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BOLLETTINO DEL CENTRO POLESANODI STUDI STORICIARCHEOLOGICI ED ETNOGRAFICIROVIGO

Anno XLIV · Nuova serie · 2008

FABRIZIO SERRA EDITOREPISA · ROMA

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PADUSA, Bollettino delCentro Polesano di Studi Storici, Archeologici ed Etnografici

Direttore responsabile:Paolo Bellintani

Segretaria di redazione:Maria Cristina Vallicelli

Comitato di redazione:Giovanna Bermond MontanariSimonetta BonomiPier Luigi Dall’AglioArmando De GuioRaffaele PerettoLuciano SalzaniEnrico Zerbinati

In rappresentanza del Comune di Rovigo:Fausto Merchiori, Sindaco

Direzione, redazione e amministrazione presso ilCentro Polesano di Studi Storici, Archeologici ed EtnograficiC.P. 196, i 45100 Rovigo, [email protected]

Le norme redazionali e la scheda di prenotazione sono consultabili sul sito: www.padusacpssae.it.Le norme redazionali sono anche scaricabili dal sito: www.libraweb.net.

Autorizzazione del Tribunale di Rovigoin data 5 agosto 1965 N. 127

PADUSA esprime la sua gratitudine a quanti hanno volutopartecipare alla realizzazione di questo numero.Le opinioni espresse negli articoli firmati impegnano solo la responsabilità degli autori.

Questo numero è stato stampato con il contributodella Regione Veneto, del Comune di Rovigo e della

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SOMMARIO

Anna Maria Bietti Sestieri, L’età del Bronzo finale nella penisola italiana 7

Anna Consonni, L’abitato protostorico di Villamarzana (ro). Nuovi dati e spunti per un’analisi cronologica e territoriale 55

Andrea Gaucci, Adria. Via Spolverin - tombe 46 e 106. Il gentilizio Muliu ad Adria 81

Anna Lunardi, Analisi tecno-funzionale degli strumenti in pietra non scheggiata per una ricostruzione del contesto economicodella cultura dei vasi a bocca quadrata. I siti di Fimon - Molino Casarotto, Quinzano e Rivoli - Rocca (Veneto) 117

Livio Pontieri, Giorgio Trojsi, Armi dell’età del Bronzo. Ricostruzione di una fonderia protostorica 155

Gabriele Luigi Francesco Berruti, StefanoViola, Tentativo ricostruttivo delle parures in dentalium sexangulumdella necropoli di Arolo attraverso l’analisi funzionale e nuovi spunti interpretativi in chiave psicologica 169

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1. Introduzione

el corso di alcuni decenni di studio e di ricerca sullaprotostoria italiana ho cercato di elaborare e consoli-

dare un approccio scientifico coerente all’analisi archeolo-gica, basato su alcuni punti fermi (cfr. Bietti Sestieri1996, capp. 1-3):- la convinzione che l’archeologia è un ramo dell’antro-

pologia, senza che questo modifichi in alcun modo il suostatuto di disciplina storica. Un corollario di questo pun-to è che, almeno per quanto riguarda le attività dell’uo-mo biologicamente moderno, la distinzione fra pre- oprotostoria e storia non ha alcuna accettabile base teori-ca né giustificazione pratica.

- Che si tratta di un ambito specifico e autonomo di ri-cerca, che fornisce elementi di ricostruzione sincronicae diacronica che non possono essere ricavati dalle fontiscritte (cosa che ovviamente non esclude la validità diqueste e di altre fonti di informazione eventualmente disponibili).

- Che l’analisi sistemica di complessi di cultura materialenel loro contesto ambientale (da trattare come sisteminon nel senso di insiemi chiusi, ma di associazioni deli-mitate criticamente di dati interrelati) costituisce lo stru-mento specifico della ricostruzione archeologica.In altre parole, il contributo originale ed esclusivo del-

l’archeologia alla ricostruzione storica consiste nella suacapacità di riconoscere e leggere situazioni definite dalpunto di vista spaziale e in senso ampio sincroniche. Soloa questa condizione, infatti, i dati materiali di ordine siaambientale che antropico possono essere analizzati comeinsiemi nei quali ognuno degli elementi del contesto ac-quista il proprio significato specifico precisamente sullabase delle sua correlazione con gli altri.

A questo proposito, è interessante sottolineare chel’analisi contestuale ‘sincronica’ è la base indispensabileper l’identificazione della pluralità di significati della documentazione archeologica che è stata il cavallo di bat-taglia del postprocessualismo, e per la praticabilità di am-pliamenti di prospettiva teorica come quelli proposti dal-l’archeologia del genere (v. per esempio Conkey, Gero1991) e della agency (Dobres, Robb 2000).

Credo che sia necessario insistere in primo luogo su questo punto perché lo statuto dell’archeologia come di-

sciplina storica e antropologica dipende direttamente dauna definizione chiara della specificità e unicità del suo me-todo di ricerca. Definizione che non può essere rica vata ca-so per caso dalle diverse prospettive teoriche proposte ne-gli ultimi decenni, né dai diversi approcci che prevalgono,e in parte convergono, nella ricerca pre- e protostorica ita-liana attuale: fra i più praticati, le analisi naturalistico-am-bientali e bio-archeologiche rivolte a definire il rapportodei gruppi umani con il loro ambiente, l’etno-archeologia,l’utilizzazione preminente della cultura materiale come in-dicatore di diacronia (sulla quale, più che sugli altri approc-ci, credo che sia indispensabile un serio confronto critico).

La prospettiva generale di questo lavoro, di matrice so-stanzialmente empirica, si basa su alcuni elementi: la con-siderazione delle caratteristiche e potenzialità del conte-sto ambientale e territoriale come uno dei fattori cheentrano a pieno titolo nei processi che si sviluppano nel-l’ebf italiana; la lettura dei processi relativi a questo pe-riodo anche sulla base della loro collocazione in una pro-spettiva diacronica più ampia; l’attenzione agli aspettiformali e funzionali, oltre che alla possibile pluralità di si-gnificati, della cultura materiale; la ricerca dei correlatimateriali delle diverse forme di strutturazione sociale, po-litica ed economica che è possibile riconoscere sul territo-rio italiano nel corso dell’ebf; la messa a fuoco dei colle-gamenti interregionali e internazionali, che costituisconoprobabilmente per la prima volta in questo periodo un fat-tore complessivo, anche se parziale, di integrazione eco-nomica e politica delle diverse traiettorie regionali.

1. 1. L’età del Bronzo finale italiana

Alcune date radiometriche calibrate per il periodo in Italiacentrale e meridionale sono state ottenute di recente dailaboratori di Groningen per siti del Lazio antico, e dal cedad di Mesagne per i livelli della fase 5 del saggio x diRoca Vecchia (Melendugno, Lecce).

Una collocazione di massima dello svolgimento del-l’ebf nella penisola fra xii e xi sec. a.C. sembra plausibile.

Lazio antico (cfr. Bietti Sestieri, De Santis 2007,fig. 1):

ebf, fase antica:Salina di Torre Astura (Attema et alii 2003)

L’ETÀ DEL BRONZO FINALE NELLA PENISOLA ITALIANA

Anna Maria Bietti Sestieri

N

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8 anna maria bietti sestieri

- GrA-22092: 3005+-45 BP; 1370-1200 calBC (1sigma); 1390-1125 cal bc (2sigma)

- GrA-22090: 2945+-45BP; 1260-1060 calBC (1sigma); 1295-1015 cal bc (2sigma)

Quadrato di Torre Spaccata, focolare:- GrA-27848: 2985+-40BP; 1295-1130 calBC (1sigma); 1380-

1060 cal bc (2sigma)

ebf, fase recente (i periodo Laziale):Foro di Cesare, tomba 1:- GrA-16432: 2920+-60BP; 1250-1025 calBC (1sigma); 1305-

935 calBC (2sigma)

S.Palomba, tomba 1:- GrA-27028: 2875+-35BP; 1115-1005 calBC (1sigma); 1190-

930 calBC (2sigma)

Trigoria, tomba 3:- GrA-27025: 2870+-35BP; 1115-1000 calBC (1sigma); 1185-

965 calBC (2sigma)

S.Palomba, tomba 2:- GrA-27847: 2865+-40BP; 1115-980 calBC (1sigma); 1190-

920 calBC (2sigma)

Roma Quadrato, tomba 2:- GrA-16423: 2820+-50BP; 1040-910 calBC (1sigma); 1115-840

calBC (2sigma)

Roma Quadrato, tomba 1:- GrA-16411: 2810+-50BP; 1040-900 calBC (1sigma); 1120-835

calBC (2sigma)Foro di Cesare, tomba 2:- GrA-16433: 2770+-60BP; 975-840 calBC (1sigma); 1110-810

calBC (2sigma)

Roca Vecchia saggio x, fase 5 (Pagliara et alii 2007,pp. 356s. fig. 21):- LTL1872A 2876+-60 BP; calBC 1117-977, 64%; 1191-903,

95,4%

Il periodo corrisponde all’esito di processi che si sono svol-ti per tutto il corso dell’età del Bronzo. Aspetti almeno inparte convergenti di queste traiettorie che sono diretta-mente identificabili nella documentazione archeologicasono in particolare lo sviluppo della produzione metallur-gica, che acquista un peso crescente in tutti i settori di at-tività, e un aumento demografico generalizzato. In molteregioni italiane, la combinazione dei cambiamenti che ca-ratterizzano questo periodo, e la loro relativa rapidità,hanno contribuito a fare emergere condizioni favorevolialla comparsa di forme di organizzazione socio-politica

più stabili rispetto al passato e con maggiori potenzialitàdi crescita di complessità.

Per inciso, è interessante notare che a questa situazionedi sviluppo nel Mediterraneo centrale corrisponde nel-l’Egeo la cosiddetta Dark Age – una fase di declino che èstata oggetto di molti studi, riesaminati recentemente daO. Dickinson (2006) – successiva alla crisi dei regni mice-nei e caratterizzata anche dalla interruzione o dalla fortediminuzione dei contatti verso occidente.

La caratteristica più interessante dell’ebf italiana consi-ste nel fatto che si tratta di un periodo nel quale si deli-neano e cominciano ad affermarsi le novità strutturali eorganizzative che troveranno il loro pieno sviluppo fral’età del Ferro e l’Orientalizzante. Le comunità sono ge-neralmente dotate di un livello limitato di articolazionesociale e di organizzazione politica, e la base dei rapportiintracomunitari è e resta la parentela; anche i meccanismiche permettono lo sviluppo di scambi e collegamenti in-terregionali non si configurano come rapporti politici edeconomici formalizzati fra entità politiche nettamente de-finite, ma piuttosto come forme diverse di integrazione.Tuttavia questi fattori strutturali diffusi non escludonol’esistenza di differenziazioni anche sostanziali: dalla di-sponibilità non omogenea di risorse naturali, al grado disviluppo delle attività produttive, all’emergere in alcuneregioni di una gerarchia di centri su territori relativamen-te estesi e, soprattutto, di forme di centralizzazione delladecisione politica.

L’insieme dei fattori che caratterizzano l’ebf italiana of-fre comunque una possibilità di lettura, e quindi di rico-struzione storica, più favorevole rispetto ai periodi prece-denti, al livello sia di singoli contesti, sia di quadri regionalie interregionali. La dimensione più consistente delle sin-gole comunità e l’evidenza di aggregazioni politiche più omeno stabili ed efficienti fra comunità culturalmente affi-ni determina fra l’altro, almeno in alcuni casi, la possibili-tà di riconoscere nella documentazione archeologica sin-goli eventi storicamente significativi.

Inoltre, la relativa prossimità alle fasi storiche ci per-mette di confrontare alcune notizie riportate dagli autoriantichi con i risultati dell’analisi archeologica.

Nonostante questo insieme di condizioni favorevoli, ledifficoltà che si incontrano nel tentativo di proporre unquadro storico compiuto e completo del periodo sonomolto consistenti, e sconsigliano un eccesso di ottimismo.Come si vedrà nelle pagine che seguono, l’enorme quan-tità dei dati, e la relativa scarsità di analisi contestuali si-stematiche, due caratteristiche strutturali della ricerca ar-cheologica, permettono, più che un tentativo di sintesi, lamessa a fuoco di alcuni casi specifici particolarmente rap-

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l’età del bronzo finale nella penisola italiana 9

presentativi, da considerare in ogni caso come materialisemilavorati.

1. 2. Elementi generali che caratterizzano l’età del Bronzo finalesul territorio dell’Italia continentale

- La massima densità demografica complessiva rispetto aiperiodi precedenti dell’EdB (con l’eccezione della pianuraPadana a Sud e in parte anche a Nord del Po), indicata dal-l’aumento quantitativo di tutte la categorie di complessi.

Un fattore collegato direttamente e indirettamente al-l’aumento di popolazione, del quale non siamo per ora ingrado di misurare l’importanza nel corso dell’ebf, è l’im-patto ambientale determinato dalle attività antropiche.Per i periodi precedenti dell’età del Bronzo le analisi polli-niche hanno indicato ampie aree di disboscamento in re-lazione con l’impianto dei siti terramaricoli (Cremaschi1997); la densità di occupazione della pianura padana cen-trale nell’età del Bronzo media e recente implica verosi-milmente un impatto molto significativo sulla coperturaboschiva della regione, che potrebbe aver costituito unodei fattori della crisi che determinò il completo abbando-no dell’area a Sud del Po alla fine dell’ebr.

Per l’ebf non abbiamo una documentazione consisten-te, ma l’aumento complessivo di popolazione e la crescitaesponenziale della produzione metallurgica hanno proba-bilmente determinato importanti attività di disboscamen-to su molte parti del territorio della penisola. Sul versantepositivo è possibile supporre che la diminuzione delle zo-ne di bosco e di foresta, in diretto collegamento con la cre-scita delle aree insediate, abbia favorito la percorribilità delterritorio e l’intensificazione dei contatti a media e lungadistanza.

- Lo sviluppo molto rilevante nel campo della metallur-gia, che investe sia la quantità dei manufatti, sia lo spettrodi attività e di funzioni da essi documentato, al quale cor-risponde un alto livello di competenza tecnica nella com-posizione delle leghe e nello sviluppo degli aspetti forma-li e decorativi.

L’incidenza quantitativa della produzione metallurgicanon può essere calcolata con una approssimazione verifi-cabile perché non siamo in grado di stabilire quale sia ilrapporto fra la documentazione archeologica disponibilee il volume originario della produzione. Un punto di rife-rimento di larga massima a causa del dislivello cronologi-co, ma comunque significativo, è la stima della produzio-ne mineraria di rame nel distretto di Sestri Levante fra ive iii millennio bc (Campana et alii 2006), che indica unaproduzione media annua di ca. 500 kg, corrispondenti ad

alcune migliaia di manufatti, per il periodo compreso fra3800 e 2400 bc. Questo dato può fornire un termine di con-fronto approssimativo, ma probabilmente realistico, perimmaginare l’ordine di grandezza della produzione del-l’ebf, molto più consistente di quella dell’Eneolitico e di-stribuita in uno spazio di tempo di circa due secoli.

Dati cronologicamente più vicini all’ebf riguardanol’attività di estrazione del metallo dal minerale cupriferosvolta fra il xiv e la fine del xii sec. dalla batteria di forna-ci di Acqua Fredda (Bedollo, Trento, h 1445m), vicino alpasso del Redebus, fra i distretti minerari dell’Altopiano diPinè e della valle dei Mòcheni, che secondo la valutazionedegli studiosi avrebbe prodotto 800-1000 tonnellate di sco-rie (Cierny et alii 2004; Pearce 2007, p. 76).

Nell’ebf, in diretta continuità con gli sviluppi già rico-noscibili nell’ebr, l’uso di manufatti metallici diventa unelemento essenziale, oltre che nei settori tradizionali dell’abbigliamento-gioielleria e delle armi offensive e di-fensive, anche nella maggior parte delle attività produtti-ve: agricoltura, allevamento, caccia, pesca; attività estrat-tive e di costruzione, movimenti di terra, disboscamento;in tutti i settori dell’artigianato: lavorazione, del legno,dell’osso, del corno e dell’avorio, carpenteria in genere, la-vorazione dei tessuti, accessori per la lavorazione della ce-ramica, elementi di carri e mezzi di trasporto e finimentiper gli animali; attrezzature sofisticate per la lavorazionedei metalli comprese l’oreficeria e la produzione di vasi ealtri oggetti di lamina di bronzo decorata a sbalzo e di og-getti di prestigio, come fibule e armi da parata di grandeeffetto visivo. Nelle fasi iniziali del periodo questo aspettodella produzione metallurgica nell’Italia centrale è esem-plificato in particolare dal ripostiglio di Coste del Marano(Allumiere, Roma: Peroni 1960); nella fase di passaggio alla prima età del Ferro, dai materiali della cerchia metal-lurgica alla quale appartiene il ripostiglio di Piediluco-Contigliano (cfr. Carancini, Peroni 1999, tav. 11, nn. 38-44, 54-64).

- L’intensificazione dei collegamenti intercomunitari e interregionali, in parte legata al carattere sistematico delrifornimento di metallo; quindi, specialmente sul piano lo-cale e nell’ambito di territori morfologicamente omoge-nei o definiti da limiti naturali, l’aumento della comunica-zione e di forme specifiche di integrazione culturale elinguistica.

In relazione con il livello tecnologico riconoscibile perl’EdB italiana, una condizione favorevole per il radica-mento nel tempo di questo tipo di sviluppi è che i singolidistretti nei quali essi avvengono facciano parte di una ba-se territoriale ampia e fornita di vie naturali di comunica-

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10 anna maria bietti sestieri

zione. Si tratta però di una combinazione di fattori mor-fologici tutt’altro che frequente nell’Italia continentale,dove le uniche macroregioni che rispondono a questi pa-rametri sono la pianura padana e il territorio storico del-l’Etruria (Toscana e Lazio settentrionale attuali). Una si-tuazione complessiva con queste caratteristiche è infattichiaramente riconoscibile nel corso dell’EdB media e re-cente nella pianura padana centrale, dove emerge il siste-ma palafitte-terramare.

I meccanismi che possono attivarsi nelle circostanze de-scritte comprendono, fra i più importanti, la circolazionedi idee e l’emergere di fenomeni di trascinamento simbo-lico-ideologico, e lo sviluppo di sistemi interregionali diproduzione e di scambio, condivisi da più comunità poli-ticamente autonome o da gruppi di comunità che occu-pano distretti territoriali omogenei. Si tratta evidente-mente di precondizioni per la comparsa di formecomplesse di organizzazione politico-territoriale. L’esem-plificazione di un processo di questo tipo in uno dei di-stretti dell’area palafitte-terramare, le Valli Grandi Vero-nesi, è stata proposta per gli abitati arginati di FondoPaviani, Fabbrica dei Soci, Castello del Tartaro, con le ri-spettive necropoli, siti minori e complessi collegati (Bali-sta, De Guio 1997, tab. 1), che potrebbero essere identifi-cati come il diretto precedente locale dello sviluppo nelperiodo successivo del grande centro di produzione e discambi di Frattesina di Fratta Polesine (Rovigo).

Nelle prossime pagine vedremo qualche esempio dellaintensificazione/accelerazione dei processi di integrazio-ne e strutturazione politica su scala locale e regionale, cheavvengono nella penisola nel corso dell’ebf.

Gli elementi elencati sopra, che costituiscono le princi-pali condizioni condivise su tutto il territorio dell’Italiacontinentale, non implicano però uno sviluppo omoge-neo fra le varie regioni; del resto, come è ben noto, l’omo-geneità culturale e nelle strutture sociali e organizzativenon sarà raggiunta che attraverso la conquista romana,che comunque non ha annullato le profonde specificità regionali che ancora oggi caratterizzano il territorio ita-liano.

Le differenze nei processi regionali di sviluppo dipen-dono in primo luogo da fattori interni: l’estensione e le po-tenzialità specifiche dei terreni coltivabili in relazione conil livello tecnologico disponibile; la morfologia non omo-genea del territorio peninsulare, fortemente segnato dallapresenza della catena appenninica, che nelle diverse re-gioni può rappresentare un mezzo di comunicazione (peresempio l’Appennino tosco-umbro-marchigiano fra la To-scana, la pianura padana e l’area adriatica), una barriera,una risorsa per attività specifiche, come la transumanza e

lo sfruttamento di giacimenti metalliferi localizzati (Cat-tani, Monti 1997; Cardarelli 2000, p. 88); la posizioneinterna o con uno sbocco costiero più o meno ampio eprotetto; la distribuzione non omogenea delle vie natura-li di comunicazione e delle risorse minerarie più consi-stenti.

Sembra anche necessario rivalutare l’importanza, fra lerisorse del territorio, di lagune costiere e paludi/acquitri-ni (cfr., per esempio, Salerno 2002). Questi elementi na-turali ampiamente diffusi sul territorio della penisola finoa tempi recenti, e oggi quasi completamente scomparsi,sono stati generalmente percepiti come fattori di insalu-brità ambientale, e, in misura limitata, come possibile ri-paro per le imbarcazioni. Inoltre, le acque ferme costitui-scono un ambiente favorevole per la vita di piante,molluschi, pesci, animali acquatici utilizzati per l’alimen-tazione e per produzioni specializzate come l’estrazionedella porpora dai murici e le saline. Alcune scoperte re-centi delle quali si parlerà di seguito, come i siti di Le Vi-gnole, sulla laguna di Maccarese, a Nord di Roma, e Lon-gola di Poggiomarino, in un’area umida collegata al corsodel fiume Sarno, indicano che, specialmente a partire dal-la tarda età del bronzo, le zone umide vengono utilizzateper l’impianto di attività artigianali su scala relativamenteampia.

In generale, la frequenza di impianti artigianali di variogenere in aree costiere e vicine alla costa è stata rimessa afuoco recentemente per il Lazio a S del Tevere da M. An-gle e C. Belardelli (2007).

A questi fattori vanno aggiunti quelli, progressivamen-te più importanti, che dipendono da condizioni politicheed economiche esterne, che possono interessare l’interoterritorio della penisola o parti di esso; al livello regionale,un fattore significativo può essere costituito dalla prossi-mità a un’area nella quale sono già presenti forme com-plesse di strutturazione socio-politica e/o di organizza-zione della produzione e dello scambio. Un esempio diquesto tipo, che vedremo di seguito, è quello dei rapportidel Lazio antico con l’Etruria meridionale.

Fra i fattori di lunga durata, stabilizzati all’interno deiquadri culturali regionali, si può ricordare il ruolo com-plesso dell’Adriatico. I rapporti fra le sponde occidentale eorientale rappresentano, almeno a partire dal Neolitico,una componente costante dei processi che si svolgono nel-le regioni adriatiche della penisola (cfr. Archeologia del-l’Adriatico 2003, pp. 38-212).

Un altro fattore significativo è l’intensa attività della viadi comunicazione e scambio costituita dal corridoio adria-tico, chiaramente documentata da molti indicatori ar-cheologici di collegamenti interregionali. Alcuni di questi

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l’età del bronzo finale nella penisola italiana 11

sono di tipo diffuso, avvengono prevalentemente per viaterrestre, e implicano contatti “culturali” e la circolazionecapillare di idee e credenze fra le comunità di tutta l’areache gravita sull’Adriatico. Fra gli elementi più riconoscibi-li nella documentazione archeologica sono compresi al-cuni tipi di statuette antropomorfe (Figg. 1 e 17) trovate aFrattesina e Montagnana (Bianchin Citton 1998, p. 335,fig. 199) in Veneto, Campomarino nel Molise (Di Niro1991, tav. 2b, fig. b2), Roca Vecchia nel Salento (Gugliel-mino 2005a, tav. 168.A,B), e i dischi di lamina d’oro lavora-ti a sbalzo con motivi solari (cfr. Fig. 19) da Borgo Paniga-le (Bologna), Redù (Modena), Gualdo Tadino (Perugia) eRoca (Pagliara, Guglielmino 2005; Maggiulli 2006).

Altri elementi indicano invece collegamenti marittimi,cioè verosimilmente direzionali e di natura specificamen-te economica, che si sviluppano fra gli estremi settentrio-nale e meridionale dell’Adriatico, come vedremo a propo-sito del ‘ripostiglio dei bronzi’ di Roca.

Alcuni dei fattori attivi in questo periodo nel contestoitaliano dipendono dallo sviluppo dei traffici internazio-nali nell’area mediterranea, che mostrano ora alcuni cam-biamenti significativi.

La presenza egea, molto consistente in Italia meridio-nale e in Sicilia a partire dai secoli centrali del ii millennioa.C., subisce dal xiii sec. una progressiva attenuazione, fi-no probabilmente alla totale interruzione dei collegamen-ti, che si verifica almeno nell’area ionica nell’ultima fasedell’ebf. Contemporaneamente crescono in modo espo-nenziale il peso e l’importanza della presenza vicino-orientale (in particolare cipriota) e fenicia, che negli ultimianni sta emergendo come una componente cruciale nelquadro complessivo della protostoria mediterranea (cfr.A. e S. Sherratt 1993; Njiboer 2008). Questo fattore co-mincia ad essere riconoscibile in coincidenza con la pro-gressiva perdita di peso della presenza egea dopo la crisidell’Ausonio (primi decenni del xiii sec. a.C.), quando l’asse principale dei contatti da e verso Oriente passa dallaSicilia alla Sardegna. Nelle fasi successive, fra ebf e inizidell’EdF, indicazioni nello stesso senso possono essere ri-conosciute nel collegamento della Sardegna con le Eolie,la Sicilia soprattutto meridionale e la costa tirrenica dellapenisola, con una significativa concentrazione prima inEtruria meridionale, e successivamente, nella i EF, neicentri villanoviani dell’Etruria propria e della Campania(Bietti Sestieri 2003, pp. 578 ss, 580).

Su una scala territoriale e cronologica più ampia vannoricordate, per quanto riguarda la precocità della presenzafenicia in tutta l’area mediterranea e oltre, l’innalzamentodella data della fondazione di Cartagine (prima della finedel ix sec.: Nijboer 2005, pp. 530 s.) e le consistenti evi-

denze dalla penisola iberica, a cominciare dal sito di Huel-va, sulla costa atlantica dell’Andalusia (Gonzalez de Ca-nales Cerisola et alii 2003).

1. 3. Elementi più precisamente localizzati dal punto di vista cro-nologico e/o spaziale

È anche interessante mettere rapidamente a fuoco alcuniaspetti locali dei processi riconoscibili nell’ebf, rimandan-do alla seconda parte di questo lavoro la trattazione piùampia relativa all’Etruria, al Lazio antico, alla Calabria e alcomplesso di Roca Vecchia, nel Salento.

- A parte alcuni caratteri ampiamente diffusi per quan-to riguarda forme e decorazioni della ceramica, l’ebf se-gna la comparsa e/o il progressivo consolidamento diaspetti regionali di cultura materiale che continuerannonella ief. Ad esempio, per citare solo i casi più noti, il protogolasecchiano delle regioni nord-occidentali, il pro-tovillanoviano dell’Etruria meridionale, gli aspetti della fi-ne dell’età del Bronzo nell’area interna compresa fra ilTernano e la conca del Fucino, la facies del primo periodolaziale mostrano una continuità ininterrotta nella culturamateriale, e spesso anche in aspetti significativi dell’inse-diamento e del rituale, con le culture locali dell’età del Ferro.

- Una situazione più complessa e meno facilmente rico-noscibile soprattutto a causa della scarsa consistenza delladocumentazione archeologica riguarda i due aspetti dell’ultima fase dell’ebf finora noti in Campania: quellorappresentato dalla tomba a incinerazione di S.Angelo inFormis (Johannowski 1983, p. 24 ss., tav. ii, tomba 1) e daun certo numero di sepolture con caratteristiche simili venute in luce nelle province di Caserta e Napoli con i la-vori tav degli anni scorsi, che si collega direttamente agliaspetti villanoviani di Capua e di Pontecagnano; e quelloesemplificato dalla necropoli a incinerazione di Carinaro(Caserta), legato da un lato alla facies del i periodo laziale,dall’altro alla facies delle tombe a fossa tipo Cuma-TorreGalli (Bietti Sestieri, De Santis 2004a, pp. 588 ss., fig. 1;Marzocchella 2004).

- La ripresa, dopo alcuni secoli, di collegamenti siste-matici dalla costa tirrenica meridionale in direzione dellaSicilia orientale e delle isole Eolie.

Si tratta degli sviluppi successivi dell’invasione ‘Ausonia’delle Eolie e dell’area nord-orientale della Sicilia, caratte-rizzati da contatti sistematici fra la Sicilia orientale e inter-na e la Calabria, e da intensi rapporti economici fra le dueregioni, indicati dalla forte affinità formale nella produ-zione metallurgica (Albanese Procelli 1993, p. 231). Ilcollegamento strutturale con il continente segna la perdi-

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ta di specificità insulare della Sicilia, che nei secoli centra-li del II millennio aveva costituito la condizione principaledel forte radicamento egeo nell’isola (Bietti Sestieri2003, p. 576ss. e cs).

Questo insieme di elementi generali e locali è già suffi-ciente per fare emergere a grandi linee un quadro com-plessivo fortemente differenziato, molto dinamico e in ra-pida trasformazione. Quest’ultimo aspetto si riconoscesoprattutto nello sviluppo di forme complesse di organiz-zazione socio-politica ed economica, che si concentra, co-me vedremo, in alcune regioni.

La ricostruzione completa dei singoli sviluppi regionalisu tutto il territorio della penisola richiederebbe uno spa-zio più ampio di quello di questo articolo, anche perchèper molte regioni il quadro del periodo non è ancora suffi-cientemente definito. Mi limiterò quindi alle situazioniper le quali sono disponibili elementi generali o puntualiche permettono ipotesi ricostruttive almeno in parte veri-ficabili. In altri termini, si tratta di situazioni in senso am-pio locali che esemplificano processi storici specifici, ge-neralmente con continuità ininterrotta nell’EdF.

2. L’Etruria fra età del Bronzo finale e prima etàdel Ferro: il processo di definizione culturale epolitico-territoriale

I problemi discussi in questa sezione sono stati trattati piùampiamente in Bietti Sestieri 1998 e 2001.

Il processo di sviluppo di questa regione nel periodocruciale compreso fra ebf e ief è particolarmente com-plesso: uno degli aspetti più controversi e difficili da defi-nire riguarda la stessa estensione territoriale interessatadal suo svolgimento, che non solo è molto più ampia ri-spetto al territorio dell’Etruria come definito dagli storiciantichi, ma varia in misura considerevole nelle diverse fa-si del periodo.

Per mettere chiaramente in luce i termini della questio-ne, il procedimento più lineare consiste probabilmente nelpartire dalla situazione della ief e risalire all’indietro ver-so l’ebf.

Nella documentazione archeologica della ief in Italiacentro-settentrionale occupano un posto di primo piano icomplessi villanoviani. Come è ben noto, la facies archeo-logica che caratterizza questi complessi è esclusiva nel-l’Etruria propria, nel territorio bolognese e in parte dellaRomagna, mentre il cosiddetto villanoviano periferico sitrova, al contrario, in regioni nelle quali sono contempo-raneamente presenti anche altre facies archeologiche:grandi centri villanoviani, a volte accompagnati da centriminori, compaiono lungo il versante tirrenico della peni-

sola in Campania (Capua, Pontecagnano, Sala Consilina ecentri minori) e nell’area adriatica nelle Marche (Fermo,forse con qualche estensione fino all’Abruzzo teramano).Un altro nucleo villanoviano poco conosciuto e in generepoco citato è quello di Perugia.

Si tratta di un fenomeno macroscopico dal punto di vi-sta della visibilità archeologica, con una fisionomia relati-vamente omogenea soprattutto nelle fasi iniziali. Alcunievidenti caratteri locali nella cultura materiale che si rico-noscono negli aspetti villanoviani delle diverse regioni, esi accentuano dopo la fase più antica della ief, sono staticonsiderati un argomento decisivo per negare la specifici-tà e la stessa verosimiglianza del Villanoviano come feno-meno culturale complessivamente unitario (Peroni 1992;1994). Ma, di fatto, esistono almeno due fattori decisivi perriconoscerne la sostanziale unità: da un lato una conside-razione diacronica della documentazione archeologica,che mostra la coincidenza quasi completa della distribu-zione del Villanoviano con il territorio storicamente defi-nito dell’Etruria propria, padana e campana; dall’altrol’analisi dei numerosi elementi che sono comuni, soprat-tutto nelle fasi più antiche, agli aspetti villanoviani presenti in regioni diverse, e che li differenziano in modosistematico rispetto alle facies contemporanee. Fra i piùvisibili, il rituale funerario esclusivo o prevalente dell’inci-nerazione con urna biconica, le scodelle monoansate conorlo rientrante caratterizzate sistematicamente dalla pre-senza di due bugne simmetriche ai lati dell’ansa, l’uso mol-to frequente del pettine nella decorazione della ceramica,l’uso prevalente di rasoi semilunati, la presenza sistemati-ca di fibule femminili ad arco con staffa a disco (con l’ec-cezione dei centri del villanoviano emiliano-romagnolo,dove la staffa a disco è rara per le fibule sia ad arco, sia ser-peggianti), l’abbondanza e la varietà di manufatti metalli-ci e una tecnica metallurgica sofisticata, anche nella mani-fattura di ornamenti personali.

Una indicazione particolarmente significativa del-l’omogeneità culturale di fondo fra tutti i gruppi villano-viani nelle fasi iniziali della ief è la condivisione del divie-to rituale di deporre armi nelle tombe a incinerazione.Nelle fasi Villanoviane più antiche questo fortissimo con-dizionamento ideologico ammette solo un numero estre-mamente ridotto di eccezioni, probabilmente relative a in-dividui che rivestono i più importanti ruoli verticali (chepossiamo indicare genericamente come quelli dei capi po-litico-militari delle comunità). Nel Villanoviano padano,in particolare a Bologna, la convergenza del divieto di de-porre armi nella tomba e della necessità di rendere visibi-le il ruolo eccezionale del defunto anche al momento del-la sepoltura viene risolto con la frammentazione delle

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armi, in particolare delle rarissime spade, in tutto sette,databili a partire da un momento avanzato della ief (Mo-rigi Govi, Tovoli 1993, pp. 32ss., figg. 20, 21). In Etruriameridionale e in Campania le armi sono altrettanto rare,ma non vengono frammentate: a Tarquinia (Fig. 2) e aPontecagnano, per esempio, si trova un numero esiguo ditombe di uomini sepolti con le loro armi, probabilmenteanche in questo caso personaggi che rivestono un ruoloverticale importante riconosciuto da tutta la comunità al-la quale appartengono. Per Tarquinia possiamo ricordaresingole tombe con armi dalle necropoli dell’Impiccato edei Monterozzi (Hencken 1968, pp. 115-119, 194 fig. 176,336-328 fig. 25a-b, 339 fig. 338); a Pontecagnano, necropolidel Picentino, la tomba 180, con una panoplia completa,datata dagli autori al passaggio fra le fasi iA e i B (D’Ago-stino, Gastaldi 1988, pp. 132-133, figg. 56-58). A Sala Consilina, nella fase più antica (1A/B), nelle poche incine-razioni maschili con armi compare solo un piccolo giavel-lotto o una freccia di lamina (Kilian 1970, p. 306, Beil. 20,tombe a incinerazione J50/3, A25, A293, D86, B22, B24-25).

Questi elementi, che sono stati presi in considerazionesoprattutto per la loro immediata visibilità archeologica,sono comunque già sufficienti a mostrare la condivisionefra tutti i gruppi villanoviani del rituale funerario e dellesue caratteristiche formali, dell’ideologia relativa alle ar-mi, di aspetti qualificanti del costume e del gusto decora-tivo, del livello tecnico ed estetico e del volume della pro-duzione metallurgica.

Inoltre, nel loro insieme, i complessi villanoviani costi-tuiscono la punta più avanzata del processo di articolazio-ne sociale, crescita di complessità della strutturazione po-litico-territoriale e organizzazione della produzione edegli scambi nell’Italia della ief.

Un altro aspetto che è utile mettere in evidenza nellaprospettiva diacronica che si sta cercando di delineare è ilfatto che, nonostante l’omogeneità culturale di fondo,l’insieme dei complessi villanoviani mostra alcuni impor-tanti elementi di differenziazione, sia fra i singoli centri,anche sul territorio dell’Etruria propria, sia fra le due areegeografiche che lo costituiscono: l’Etruria meridionale(l’attuale territorio di Viterbo), legata al Villanoviano cam-pano, e l’Etruria toscana che gravita verso l’area padana el’Adriatico. L’Etruria meridionale è la sede del processo distrutturazione dei grandi centri protourbani (Veio, Cerve-teri, Tarquinia, Vulci, Bisenzio, alle quali si può aggiunge-re Orvieto) e dell’organizzazione di un sistema di scambiche gravita sull’area tirrenica centro-meridionale. Soprat-tutto nella fase iniziale dell’EdF che stiamo considerando,i centri villanoviani della Toscana non sembrano inveceraggiungere le dimensioni e l’importanza di quelli del-

l’Etruria meridionale, e le principali attività di produzionee di scambio li collegano alle regioni adriatiche e padane eall’Europa transalpina. Coerentemente con questa situa-zione, il centro protourbano più importante di tutta l’areavillanoviana compresa fra la Toscana, parte dell’Umbria ela pianura padana sud-orientale, sede della acquisizione elavorazione su vasta scala di materia prime e dell’organiz-zazione degli scambi, è Bologna, e in subordine Veruc-chio, nella Romagna costiera.

Premesso quindi che l’insieme degli aspetti villanovianiva considerato come una manifestazione di specificità cul-turale che può essere legittimamente collegata con gli svi-luppi della civiltà etrusca di età arcaica e successiva, i dueprincipali punti da chiarire per il periodo che ci interessapiù direttamente sonoa) il momento a partire dal quale possiamo parlare di una

continuità di sviluppo che giunge fino all’Etruria di etàstorica;

b) il territorio complessivo che è possibile riconoscere co-me il luogo dello svolgimento di questo processo.

Molti aspetti del quadro delineato per le fasi inziali del-la ief si presentano in modo chiaro come l’esito coerentedella situazione riconoscibile nell’ebf. Non si tratta esclu-sivamente, né in modo determinante, dell’evoluzione for-male della facies archeologica, che da sola non sarebbe dicerto sufficiente a sostenere un’ipotesi di continuità delprocesso storico. Ciò che invece appare determinante inquesto senso è la coincidenza quasi completa delle ten-denze riconoscibili nell’ebf con il quadro relativo alla ief:l’estensione complessiva del territorio interessato, la di-stinzione fra aree di gravitazione tirrenica e adriatico-pa-dana, la localizzazione delle punte più avanzate di struttu-razione socio-politica e territoriale e di organizzazionedella produzione, lo sviluppo e le direzioni prevalenti del-le vie di scambio, il rituale funerario e i condizionamentiideologici.

Per la chiarezza dell’esposizione, è preferibile esamina-re separatamente la situazione nelle due aree che si colle-gano rispettivamente all’Etruria toscana e all’Etruria me-ridionale.

Per quanto riguarda l’Etruria toscana, i termini (ar-cheologici) del problema sono ben noti. Nella fase pienadell’ebf questa regione, con l’Umbria, le Marche, la Ro-magna, in particolare l’area riminese con il territorio del-la repubblica di San Marino, condividono una facies cera-mica, definita Chiusi-Cetona da Alessandro Zanini (Fig.3), che si distingue in modo abbastanza netto dal Protovil-lanoviano dell’Etruria meridionale per alcuni aspetti for-mali: fra i più evidenti, la frequenza di anse e decorazionia scanalature parallele, che si collegano allo stile ceramico

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del gruppo palafitte-terramare, i motivi ricorrenti dellasvastica e di elementi continui di meandro ottenuti concordoni plastici, presenti specialmente su alcune forme co-me coperchi troncoconici e olle a spalla rientrante (v. Za-nini 1994, 1997,1999; Bellintani 2000; Bietti Sestieri2001, pp. 142-150; La Pilusa, Zanini 2007).

La facies Chiusi-Cetona trova molti elementi di affinitànella facies contemporanea del Veneto, in particolare delsettore orientale. In questa parte della regione si trova ilcomplesso di Frattesina, un abitato di notevole estensione(oltre 20 ha), densamente popolato, con almeno due ne-cropoli con (per ora) un totale di ca. un migliaio di tombe,che è il principale centro di acquisizione e trasformazionedi materie prime e di organizzazione dello scambio docu-mentato finora nell’ebf italiana.

In una certa misura, le somiglianze fra la facies Chiusi-Cetona e quella dell’ebf veneta possono essere dovute al-la presenza in entrambe di tratti formali che si colleganoalla tradizione ceramica terramaricola; ma molti elemen-ti indicano l’esistenza e la continuità di un collegamentodiretto del Veneto orientale con le regioni centrali inte-ressate dalla facies Chiusi-Cetona. Inoltre, non va dimen-ticato che per tutto il corso dell’EdB media e recente l’Italia nord-orientale è stata fra le regioni toccate diretta-mente da un flusso ininterrotto di collegamenti con la pe-nisola, riconoscibili specialmente sulla base della presenzanella ceramica locale di tratti tipologici e di materiali di ti-po appenninico e subappennico, e di elementi tipologici ditipo padano nella ceramica delle regioni centrali dalla To-scana alle Marche (Bianchin Citton 1989; Gnesotto1994; Zanini 1997).

Nell’ebf i due ambienti condividono una buona partedel patrimonio di forme e decorazioni della ceramica, enel Veneto sono presenti anche tipi fra i più specializzatidell’area tirrenica centrale, come le anse a corna cave, tro-vate recentemente a Saline di S.Martino di Venezze (Sal-zani, Peretto 2007, fig.2.3,4). I collegamenti con le regionicentrali della penisola fino alla costa tirrenica che si rico-noscono nella facies della piena ebf del Veneto, sono statisegnalati da molti studiosi (v. ad esempio Capuis 1993, pp.52ss.; Bagolan-Leonardi 2000, p. 22), e sono all’originedella sua definizione come protovillanoviano padano.

Le affinità interregionali nella ceramica, che in questoperiodo è prodotta quasi completamente in ambito do-mestico, possono essere considerate come una indicazio-ne consistente di movimenti di individui e di gruppi fra lecomunità interessate. L’intensità del collegamento è indi-cata anche dalla presenza, nell’area della facies Chiusi-Ce-tona, di alcuni rari tipi di manufatti metallici (asce tipoPonte S. Giovanni, coltelli con immanicatura a tortiglio-

ne, palette a cannone: Bietti Sestieri 1998, p. 34 ss., figg.3, 4, 7), che sono specifici della produzione metallurgicapadana e in particolare di Frattesina. Nelle stesse aree, lun-go una direttrice che dalla costa adriatica della Romagna edelle Marche raggiunge la Toscana nel territorio di Gros-seto, compaiono i lingotti di bronzo noti come pani a piccone, un mezzo per la circolazione internazionale delmetallo in uso dai Balcani settentrionali alla Francia (Bor-gna, Turk 1998; Bietti Sestieri 1998, fig. 3; Bellinta-ni, Stefan 2008), con una forte concentrazione nel Ve-neto orientale e a Frattesina.

In altri termini, nell’ebf l’Etruria a Nord del Fiora par-tecipa al principale circuito di scambio del metallo attivoin Europa centro-meridionale, facendo capo al centro pa-dano di Frattesina e al suo territorio.

Al passaggio alla ief, apparentemente una fase di decli-no del ruolo di Frattesina come centro di produzione e discambio, è documentato in questa parte del Veneto unaspetto relativamente vicino al Villanoviano iniziale to-scano e bolognese, con concentrazione di elementi di abi-tato a Villamarzana (Salzani 1976, 1989) e nella stessaFrattesina (materiali di superficie e da livelli di passaggioalla ief), e dalle tombe più recenti della necropoli del fon-do Zanotto di Fratta (De Min 1986, tombe 25, 31, 21, 11,tavv. 7, 9, 10, 11). È anche da ricordare la presenza nel terri-torio di Bologna di siti di facies villanoviana databili al momento iniziale della ief nella bassa pianura orientale aridosso dell’area polesana (Forte 1994, pp. 12-13; Bellin-tani 2000, pp. 53-54).

Le necropoli di Frattesina ci offrono anche alcune indi-cazioni significative sulle forme di organizzazione dellacomunità corrispondente, che permettevano il funziona-mento di una struttura di produzione e scambio così vastae complessa. Le circa ottocento tombe che costituisconoper ora la necropoli delle Narde, databile quasi intera-mente all’ebf, comprendono due soli corredi nei quali so-no presenti armi, in entrambi i casi una spada tipo Allero-na rotta intenzionalmente in più pezzi. Questa evidenzaha due implicazioni: la prima è che nella necropoli delleNarde, come nelle altre necropoli a incinerazione con-temporanee in Italia settentrionale, viene osservato il di-vieto rituale della deposizione di armi nei corredi funera-ri. La frammentazione intenzionale delle due spade è unaconferma dell’efficacia del divieto, che viene in questomodo rispettato anche nel caso rarissimo in cui un’armadeve necessariamente far parte degli oggetti di corredo dialcuni individui. L’altra implicazione, simmetrica rispettoalla prima, è l’assoluta eccezionalità delle persone socialidei due personaggi oggetto di questo trattamento. Si trat-ta delle incinerazioni maschili 168 e 227 (Salzani 1989a,

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figg. 12, 16-17); la seconda, forse di poco più recente, è ac-compagnata da un corredo complesso, che verosimilmen-te indica che l’uomo incinerato era investito di più ruoliverticali (presenza contemporanea di spada e coltello), einclude anche segni di ‘ricchezza’, in particolare le rifini-ture in oro dell’impugnatura della spada e probabilmentedi una cintura (Fig. 4).

Aldilà dei particolari dei due corredi, è chiaro comun-que che la presenza della spada connota di per sé l’ec cezio-nalità del ruolo rivestito dai due incinerati, verosimilmen-te quello di capo politico-militare dell’intera comunità inmomenti successivi.

È interessante notare che anche nelle altre necropolidell’ebf dell’Italia settentrionale le armi sono assenti, o li-mitate a singole incinerazioni (Colonna 2006, p. 52 ss.,tav. 1), e che in questo secondo caso la loro presenza indi-ca probabilmente un importante ruolo verticale rivestitoda singoli individui; ma si tratta quasi sempre di una pun-ta di lancia o di giavellotto. Una spada compare solo nellatomba 292 della Ca’ Morta (Como) e nelle due incinera-zioni delle Narde di Fratta, le uniche nel territorio del Ve-neto e della Lombardia orientale. Il confronto più vicino epiù diretto per quanto riguarda sia le implicazioni ideolo-giche e rituali della rottura intenzionale della spada, sia an-che verosimilmente il ruolo rivestito da questi personag-gi, è con le pochissime incinerazioni con spada della ief diBologna, nelle quali, come si è visto, l’arma è sempre spez-zata in più parti.

La situazione territoriale ricostruibile nello stesso pe-riodo per l’Etruria meridionale presenta qualche elemen-to di affinità con quella appena descritta, nonostante alcu-ne differenze formali e sostanziali.

La facies protovillanoviana locale è divisa nelle due fasisuccessive dette di Tolfa e di Al lumiere (Fig. 5) (v. da ulti-mi Di Gennaro, Guidi 2000, pp. 102 s., figg. 1-3). Il re-pertorio delle forme e decorazioni della ceramica è in par-te simile a quello della facies Chiusi-Cetona, ma se nedifferenzia per alcune forme, per la quasi totale assenza dianse con decorazioni plastiche sulle forme aperte e perl’uso limitato di decorazioni costituite da fasci di scanala-ture parallele sul corpo dei vasi; le decorazioni sono inve-ce prevalentemente incise, oltre che con impressioni acuppelle e a cordicella.

Una facies protovillanoviana iniziale, molto vicina aquella di Tolfa dell’Etruria meridionale, è ben riconoscibi-le e forse presente su tutto il territorio del Lazio antico (dalTevere al promontorio del Circeo: Bietti Sestieri, DeSantis 2007, pp. 210-213); qualche indizio si riconosce pro-babilmente anche in Campania (d’Agostino 1979). Latomba a incinerazione di Lacedonia (Avellino) può essere

probabilmente datata al passaggio fra ebr ed ebf (D’Ago-stino 1974, tav. xl).

Oltre alle affinità nella ceramica, il collegamento con leregioni tirreniche più a Sud è indicato dalla presenza sianel Lazio che in Campania di manufatti metallici specificidella importante produzione dell’Etruria meridionale, inparticolare le grandi fibule con arco a doppia piegatura(Bietti Sestieri 1998, fig. 2).

Nella successiva fase di Allumiere (Fig. 5) il rapportocon il territorio del Lazio antico perde di intensità, mentrein Campania è presente un aspetto tardo-protovillanovia-no con confronti in Etruria meridionale, documentatoprevalentemente da sepolture a incinerazione come quel-la di S.Angelo in Formis già citata.

L’insediamento dell’ebf in Etruria meridionale, ogget-to di un gran numero di ricognizioni e di studi, è caratte-rizzato dalla preferenza per le posizioni di altura, special-mente pianori tufacei modellati dalla confluenza di duecorsi d’acqua; l’esempio meglio noto è l’abitato di Sor-genti della Nova, indagato sistematicamente da N. Ne-groni (1995). È possibile riconoscere una gerarchia di abitati a due ordini, con estensione degli insediamentimaggiori fino a ca. 20 ha.

La regione è con ogni probabilità sede di una produzio-ne metallurgica, basata forse sui giacimenti metalliferi locali, ma mancano per ora evidenze significative di sfrut-tamento minerario, ed è anche relativamente rara la do-cumentazione dell’attività di officine metallurgiche, comela casa-laboratorio di Scarceta (Poggiani Keller 1999;cfr. Fig. 23)

Certamente non abbiamo per il momento alcun indiziodella presenza in questa parte della penisola di un centrodi produzione e di scambio confrontabile con Frattesina.L’evidenza archeologica più significativa è la consistenza el’alto livello tecnico ed estetico dei manufatti di bronzo,documentata da corredi funerari e ripostigli (Coste delMarano, Tolfa, Monte Rovello: Peroni 1960), nei qualicompaiono tipi specifici dell’Etruria meridionale come lefibule con arco a doppia piegatura citate sopra.

L’inizio dell’occupazione dei grandi pianori isolati chediventeranno la sede dei centri protourbani villanoviani epoi delle città etrusche si colloca nel corso dell’ebf, forsenella fase recente. I grandi pianori sono simili agli abitatitipici dell’ebf dal punto di vista morfologico e delle impli-cazioni strategiche di controllo territoriale, ma sono di di-mensioni molto maggiori; l’estensione delle aree abitabiliè di solito superiore ai 100 ha.

L’esame complessivo delle evidenze funerarie dell’ebfin Etruria meridionale ha permesso recentemente di iden-tificare un cambiamento localizzato nel tempo, probabil-

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mente molto importante nel processo di organizzazionepolitica delle comunità di questa regione. A partire da unmomento relativamente antico (fase di Tolfa) e con conti-nuità ininterrotta nella successiva fase di Allumiere, il rituale funerario della regione documenta due novità si-gnificative con importanti implicazioni ideologiche e poli-tiche:

- per la prima volta l’urna che contiene le ceneri del defunto viene concepita e rappresentata come una casa,indicata inizialmente dal coperchio che riproduce un tet-to di capanna (Bietti Sestieri, De Santis 2004); a que-sto tipo di rappresentazione parziale si aggiungono nellafase successiva le prime urne a capanna complete.

- Come nell’area padana, il rituale funerario implica ildivieto di includere armi nei corredi maschili, che in questo contesto sembra però non ammettere eccezioni dialcun tipo: non conosciamo, almeno per il momento, in-cinerazioni protovillanoviane dall’area della Tuscia i cuicorredi comprendano armi.

- Inoltre, le incinerazioni di questo periodo non costi-tuiscono necropoli nel senso proprio del termine, cioèluoghi specifici per la sepoltura di tutti o di una maggio-ranza consistente dei membri delle singole comunità; sitratta invece di un numero ridottissimo di sepolture, spes-so un’unica tomba isolata.

Verosimilmente, questo nuovo tipo di rituale è riserva-to agli individui che nelle rispettive comunità sono inve-stiti dei principali ruoli verticali. In alcuni casi, all’incine-razione è associata una grande fibula ad arco rialzato condue noduli, verosimilmente una indicazione generica diprestigio.

Solo il complesso di Poggio La Pozza (D’Ercole 1995,1998), che secondo i vari studiosi che se ne sono diretta-mente occupati comprende almeno un centinaio di tom-be che potrebbero fare riferimento all’abitato di MonteRovello oppure (Di Gennaro, Guidi 2000) a più comu-nità, si presenta come una vera e propria necropoli.

Sembra possibile riconoscere in questo complesso cam-biamento ideologico e rituale il correlato archeologico diuna importante trasformazione organizzativa: la centra-lizzazione del potere politico nelle mani di singoli ‘capi’,segnalata dalla evidenza del fatto che il nuovo rituale nonè destinato a tutti i componenti delle singole comunità, néal gruppo ristretto dei membri di una ipotetica aristocra-zia, ma piuttosto a singoli individui investiti di un ruolo ri-conosciuto da tutta la comunità alla quale appartengono.

Quello che per ora riusciamo a cogliere nella docu-mentazione archeologica non è lo svolgimento di questoprocesso, ma solo il suo esito finale. Sulla base delle carat-teristiche generali del periodo e della situazione comples-

siva dell’Etruria meridionale, è possibile proporre un’ipo-tesi ricostruttiva. La regione è caratterizzata da un gradoelevato di omogeneità culturale e probabilmente lingui-stica, risultato di intense comunicazioni su tutto il suo ter-ritorio; inoltre, dalla crescente complessità della struttura-zione politica dei diversi centri e dallo sviluppo delleattività produttive e degli scambi. Queste condizioni com-plessivamente favorevoli possono aver determinato unaconsapevolezza condivisa dalle singole comunità della ne-cessità di darsi una guida politica unitaria. Il meccanismocapace di dare luogo a una decisione di questo tipo po-trebbe essere stato l’accordo fra le unità di base della so-cietà di questo periodo, probabilmente gruppi di discen-denza presenti contemporaneamente in più comunità,per affidare a turno il potere politico-militare al rappre-sentante di uno di questi gruppi per ognuna delle comu-nità interessate. Il divieto della deposizione di armi nellesepolture, che nella tarda età del bronzo si presenta comeuna componente specifica del rituale della cremazione,potrebbe in questo caso costituire un efficace correlatosimbolico di un patto che ha lo scopo di ridurre o elimi-nare la violenza nella competizione fra i gruppi.

Come vedremo di seguito, un processo molto simile siverifica contemporaneamente nel Lazio antico.

Nelle fasi iniziali della ief un principio analogo di effi-cienza organizzativa, identificato sulla base dell’analisidelle rare sepolture con armi del Villanoviano dell’Etruriameridionale, sembra caratterizzare in modo sistematicol’organizzazione politica dei grandi centri protourbani diquesta regione (De Santis 2005).

I risultati di questa breve analisi ci permettono di riesa-minare i problemi relativi allo sviluppo dell’Etruria in etàprotostorica.

- Il complesso quadro territoriale, politico ed economi-co dell’Etruria come lo conosciamo a partire dagli inizidell’EdF sembra collegarsi senza soluzione di continuitàalla situazione riconoscibile nell’ebf; in questo periodo so-no infatti già evidenti i principali elementi strutturali checoncorrono a definire l’identità della regione, a partire dal-la sua articolazione in due distinte entità territoriali: a Sudla Tuscia, a Nord la Toscana attuale con la parte adiacen-te dell’Umbria e l’area padana sud-orientale ai piedi del-l’Appennino, dalla pianura bolognese alla Romagna.

- Le linee di tendenza nello sviluppo di queste due areesono sostanzialmente simili: la caratteristica più evidenteè il coinvolgimento sistematico delle regioni adiacenti inun sistema di scambio a lunga distanza. Dalla Tuscia, unmovimento di questo tipo si riconosce chiaramente in di-rezione del territorio laziale e della Campania (anche seper quest’ultima regione la documentazione archeologica

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è ancora scarsa); la direttrice di scambi indicata da tipi dibronzi specifici dell’Etruria meridionale prosegue aldilàdell’area di contatto diretto, raggiungendo lungo la costatirrenica la Calabria e la Sicilia, nell’interno l’Abruzzo finoalla conca di Sulmona.

L’area toscana e padana sviluppa collegamenti sistema-tici verso le Marche e la costa adriatica della Romagna,mentre è più difficile stabilire la natura dei rapporti con lapianura padana nord-orientale, cioè l’area del ‘protovilla-noviano padano’, con il centro più importante a Frattesi-na. Potremmo trovarci, anche in questo caso, di fronte acontatti che partono dall’Etruria toscana e padana a Suddel Po e investono Frattesina e il territorio circostante; op-pure, forse più verosimilmente, il protovillanoviano pada-no potrebbe indicare che in questo periodo le due regionicostituiscono una unità. Fra i collegamenti che coinvolgo-no le due aree dell’Etruria esiste infatti una differenza so-stanziale: la Tuscia si presenta come un’area primaria diproduzione di manufatti di bronzo con caratteri tipologi-co-stilistici propri, dalla quale partono direttamente i col-legamenti interregionali e le attività di scambio. Al con-trario, almeno sulla base delle informazioni attualmentedisponibili, l’Etruria toscana sviluppa una produzione me-tallurgica propria (cioè con caratteri formali e stilistici spe-cificamente locali) solo a partire dalla fase tarda dell’ebf,anche se è fortemente verosimile che sia comunque in at-to lo sfruttamento delle risorse minerarie locali.

Indicazioni consistenti dello sviluppo di una produzio-ne metallurgica locale compaiono invece a partire dalle fa-si iniziali dell’ebf nell’area adriatica della Romagna, nelleMarche e in Umbria, cioè lungo la via costiera e internache mostra un collegamento ininterrotto dalla Toscana alla pianura padana orientale a Sud e a Nord del Po, rag-giungendo il territorio di Frattesina, che è il principale nodo di produzione e di scambi presente in Italia centro-settentrionale nell’ebf.

In sostanza, comunque, le due regioni nucleari che co-stituiscono l’Etruria gravitano sulle principali direttrici dicollegamento e scambio internazionale che sono attive inquesto periodo nel Mediterraneo centrale: l’Etruria meri-dionale sulla direttrice tirrenica, l’Etruria toscana e pada-na sulla direttrice adriatica, e verso Nord ed Est sulle vieterrestri che portano verso l’Europa transalpina e i Balca-ni settentrionali.

Credo che questa sia la ragione strutturale della diffe-renza di sviluppo produttivo e di complessità socio-politi-ca fra le due Etrurie: lo sviluppo dell’Etruria toscana e pa-dana non avviene direttamente sul territorio della regionecome lo conosciamo in età storica, ma segue piuttosto ladirezione dei collegamenti internazionali, con una parte-

cipazione diretta e sistematica alla concentrazione e orga-nizzazione di attività che emerge ora nel Veneto meridio-nale e in particolare a Frattesina.

Questa situazione presenta anche altri elementi di com-plessità. L’anomalia strutturale rappresentata da Frattesi-na, che si configura per la prima volta in Italia come un vero e proprio complesso industriale/commerciale, po-trebbe essere contemporaneamente il risultato della pre-senza e attività cipriota-fenicia nell’Adriatico settentriona-le, come in molte altre regioni del Mediterraneo.

Con tutte le necessarie distinzioni fra la situazione del-l’ebf e quella della ief, sembra del tutto evidente che ilruolo di Frattesina e del Veneto nord-orientale in questoprocesso anticipi per molti aspetti quello di Bologna e diVerucchio villanoviane. Bologna, specialmente, è il centromaggiore al quale fanno capo i centri dell’Etruria toscana,non comparabili per dimensioni e per livello di sviluppo aigrandi complessi protourbani dell’Etruria meridionale.

Il declino del ruolo di Frattesina al passaggio fra ebf eief, e la progressiva concentrazione di funzioni produtti-ve e di strutturazione politico-territoriale a Bologna, pos-sono essere il risultato della crescita di organizzazione po-litica ed economica autonoma delle comunità del Venetomeridionale, alla quale si collega lo sviluppo dei centriprotourbani del Friuli.

Con la ief, la definizione territoriale dell’Etruria pro-pria diventa meno ampia e più precisamente delimitata,mentre nelle regioni che nel periodo precedente eranocoinvolte in collegamenti capillari ad ampio raggio si svi-luppano aspetti specificamente locali. In alcuni casi – aNord il Veneto orientale, a Sud il Latium vetus – i rappor-ti ‘culturali’ sistematici e l’integrazione con l’Etruria si interrompono in modo pressoché completo – probabil-mente a causa dell’emergere di processi locali di fortestrutturazione politico-territoriale – mentre continuanogli scambi economici riconoscibili soprattutto dalle carat-teristiche della produzione metallurgica. In altre regioni –a Est le Marche, a Sud la Campania – la continuità del col-legamento assume una fisionomia politico-territorialemolto più marcata, con la comparsa di centri villanovianiperiferici contemporanei di quelli dell’Etruria e con carat-teristiche strutturali e organizzative simili.

3. Lo sviluppo del Lazio antico: il ruolo dei rap-porti della regione con l’Etruria meridionalefra la fine dell’EdB e la IEF.

La ricostruzione dei processi storici che si svolgono nel Lazio antico prima dell’inizio ufficiale della storia della regione, fissato tradizionalmente intorno al 750 a.C., che

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viene presentata in questa sezione, è il risultato di un la-voro di ricerca archeologica sistematica cominciata allafine degli anni ’70 e tuttora in corso. Questa attività è sta-ta condotta sul terreno con la ricognizione sistematicadell’intero territorio del comune di Roma e con gli scavidelle necropoli di Osteria dell’Osa e Castiglione, dellastruttura dell’EdF di Fidene e di numerosi nuclei di abitato e di necropoli databili fra Eneolitico e ief, e illu-strata con una serie consistente di pubblicazioni dedica-te sia alla edizione di dati e complessi, sia alla lettura sto-rica dell’evidenza archeologica; inoltre, nel 2000 è stataaperta nel Museo Nazionale Romano-Terme di Diocle-ziano, una sezione dedicata alla Protostoria dei PopoliLatini, che raccoglie i materiali e i complessi venuti in lu-ce negli ultimi anni nel territorio di Roma, accompagna-ti da una completa ricostruzione storico-archeologica. Aquesti lavori si rimanda per la presentazione dettagliatadei dati e delle relative interpretazioni, che vengono pro-posti di seguito in forma sintetica (bibliografia in BiettiSestieri cs 2).

Il territorio compreso fra il Tevere e il Circeo (Fig. 6) –il Latium vetus delle fonti storiche – ha dimensioni mode-ste rispetto a quelli delle due grandi regioni adiacenti,Campania ed Etruria, è privo di risorse cruciali, in parti-colare metalli, ed è ulteriormente caratterizzato dalla di-somogeneità dei suoi principali componenti morfologici:la pianura costiera, che offre una via naturale di collega-mento dall’Etruria meridionale alla Campania; la posizio-ne approssimativamente centrale dei Colli Albani, che co-stituiscono un punto di riferimento visibile da tutta l’areadella regione; la facilità di attraversamento del Tevere incorrispondenza dell’isola Tiberina e del sito di Roma (cfr.Fig. 10); le vie interne di collegamento in direzione Est eSud rappresentate dalle valli dell’Aniene e del Sacco-Liri.Nel corso del periodo compreso fra la teb e la ief, i primitre di questi fattori hanno svolto successivamente la fun-zione di poli della gravitazione culturale, politica ed eco-nomica del Lazio antico e dei collegamenti verso le dueregioni confinanti a no (l’Etruria meridionale) e a se (laCampania).

Nel contesto dell’area tirrenica, il territorio laziale sipresenta come un cul-de-sac terminale delle regioni meri-dionali (in particolare della Campania); l’estremo nord-oc-cidentale di questo territorio è in diretto contatto conl’Etruria, dalla quale è separato dal confine naturale costi-tuito dal corso del Tevere. Grazie a questa posizione spe-cifica, e nonostante l’affinità culturale e linguistica di fon-do con l’area tirrenica meridionale, il Lazio antico haspesso gravitato culturalmente verso l’Etruria, alla qualelo lega anche la necessità di rifornimento di metalli.

Il periodo compreso fra ebf e ief si caratterizza in mo-do particolarmente marcato per l’evidenza di fasi alterne,di durata relativamente breve, di collegamento privilegia-to della regione con l’Etruria e con la Campania-Calabria.

1. Nelle fasi più antiche dell’ebf la cultura materiale del Lazio antico, e molti aspetti dell’organizzazione dell’inse-diamento, dell’economia e dell’ideologia funeraria dellaregione indicano uno stretto collegamento con l’Etruriameridionale (Bietti Sestieri, De Santis 2007, pp. 210-213, figg. 3b, 4, 5). I principali elementi da considerare sono:a) una facies archeologica di tipo protovillanoviano, for-

malmente molto vicina alla facies di Tolfa, documen-tata da complessi come Torre Astura (probabilmenteun sito specializzato per l’estrazione del sale marino) el’abitato di Quadrato (Attema et alii 2003; De Santis2006).

b) Il ruolo centrale dell’area costiera, dove compaiono iprincipali fattori di innovazione e di sviluppo che inve-stono la regione in questa fase: i collegamenti interre-gionali, che privilegiano il rapporto con l’Etruria meridionale, la comparsa di forme potenzialmentecomplesse di organizzazione politico-territoriale (v.punto 1c), i caratteri formali della produzione metal-lurgica.

c) La tendenza a collocare gli abitati su pianori isolati, inalcuni casi di grandi dimensioni, specialmente nell’areacostiera, dove si sviluppano i maggiori insediamenti diquesto periodo: Lavinio (Pratica di Mare) (Fig. 7) e Ar-dea, su pianori con superficie utile rispettivamente dica. 30 e ca. 80 ha.

d) Uno stretto collegamento con l’Etruria meridionaleper quanto riguarda gli aspetti tipologici e stilistici del-la produzione metallurgica, che probabilmente impli-ca la dipendenza dai giacimenti metalliferi a Nord delTevere. Un complesso particolarmente indicativo inquesto senso è il ripostiglio del Rimessone (Delpino,Fugazzola Delpino 1979).

e) L’identità con l’Etruria meridionale per quanto riguar-da in particolare gli ornamenti metallici che in questoperiodo svolgono verosimilmente una funzione di in-dicatori di prestigio (le grandi fibule ad arco con duenoduli o liscio, e gomito al di sopra della staffa, siste-maticamente presenti nelle incinerazioni laziali da Fi-cana, Pratica di Mare, Ardea, Campo del Fico (Fig. 8a,b; cfr Bietti Sestieri 1998, p. 24, fig. 2).

f ) Il rituale esclusivamente incineratorio caratterizzatodall’uso di urne ovoidi o biconiche con coperchio cheriproduce un tetto di capanna (Bietti Sestieri, DeSantis 2004).

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g) L’assenza di vere e proprie necropoli: sono documen-tati esclusivamente piccoli gruppi di incinerazioni (dauna ad alcune unità), senza corredo o con singoli og-getti che possono essere letti come indicazioni di prestigio non specifiche, anche se probabilmente col-legate al ruolo, in particolare le grandi fibule ad arcorialzato con due noduli, presenti, come si è visto, in al-cune incinerazioni della fase di Tolfa in Etruria meri-dionale (v. punto 1.e).

ebf, fase inizialeNumero di tombe per i singoli contesti noti

Ficana (Acilia) 13 (solo alcune databili)Osteria del Curato (Roma) 1Quadrato (Roma) 7Lavinio-Pratica di Mare, 3

area centraleCampo del Fico (Ardea) (Fig. 7) 2+?Ardea acropoli, la Croce 1I Padiglioni (Nettuno) 1

Nell’insieme, la documentazione archeologica laziale degli inizi dell’ebf si presenta come una versione menoricca e dinamica, ma sotto tutti gli altri punti di vista mol-to simile, dello sviluppo che nello stesso periodo (fase diTolfa) caratterizza l’Etruria meridionale. Le affinità nellacultura materiale con la facies di Tolfa possono essere con-siderate come un correlato formale del collegamento si-stematico fra le due regioni, che verosimilmente in questoperiodo avviene attraverso la circolazione e l’integrazionedi gruppi e di individui fra le rispettive comunità.

Un possibile riscontro nelle fonti (Livio e Virgilio) dellapresenza etrusca nell’area costiera del Lazio all’epoca del-l’arrivo di Enea, cioè sostanzialmente nella teb, è stato piùvolte sottolineato (v. per esempio Colonna 1974, p. 298).

2. Nella fase successiva (fase avanzata dell’ebf, fino al passaggio alla ief, generalmente indicata come primo periodo laziale), molti aspetti del record archeologicosembrano convergere nel documentare un processo di definizione di identità culturale ed etnica che si sviluppasul territorio del Lazio antico con modalità specifiche, no-nostante alcuni elementi di affinità formale con le regionicircostanti. Alla accentuazione di tratti culturali specifica-mente regionali corrisponde un allentamento altrettantochiaramente avvertibile del rapporto privilegiato conl’Etruria meridionale.

I dati dagli abitati relativi alla facies archeologica di que-sta fase sono per ora mal definiti; l’ipotesi più probabile è

la continuità di un aspetto di tipo protovillanoviano, chenon sembra per ora distinguibile da quello della fase pre-cedente. Al contrario, la facies documentata dai corredifunerari ha caratteristiche locali molto definite dal puntodi vista formale, alle quali si aggiungono alcuni aspettiideologici significativi, in particolare il sistema di rappre-sentazione funeraria delle armi.

Un collegamento con l’Etruria meridionale continua,anche se in forma attenuata rispetto alla fase precedente,in questo periodo e nel successivo investendo in particola-re il rifornimento di metallo e la dipendenza almeno par-ziale dell’industria metallurgica laziale da modelli elabo-rati in Etruria.

I principali elementi che caratterizzano il i periodo la-ziale sono:a) Un cambiamento di ordine territoriale generale, rap-

presentato dallo spostamento del polo principale dellagravitazione culturale, politica ed economica della re-gione, che passa dalla fascia costiera ai Colli Albani conl’area immediatamente circostante. In questa zona siconcentrano tracce di abitati e il maggior numero dipresenze funerarie del i periodo. I Colli Albani costi-tuiscono il centro fisico del Lazio antico, visibile, comesi è detto, da tutto il resto del suo territorio. Alla cre-scita di importanza di un elemento morfologico parti-colarmente qualificato come punto di riferimento sim-bolico in un momento di definizione dell’identitàculturale ed etnica della regione, è possibile collegarele notizie riportate da Plinio (NH iii, 56-70) relative alsantuario federale di Jupiter Latiaris sul Monte Cavo (lacima maggiore dei Colli) e alla lega dei populi albenses.

b) L’occupazione di pianori isolati continua dalla fase piùantica, ma l’insediamento prevalente è per piccoli nu-clei vicini, verosimilmente corrispondenti a singole co-munità collegate da rapporti politici non molto stretti,di tipo tribale, che si collocano sia su piccole alture, siain posizioni aperte di terrazza o di fondovalle. Questotipo di organizzazione politico-territoriale è esemplifi-cato da aree di insediamento particolarmente impor-tanti nella storia del Lazio antico, come i Colli Albani eil sito di Roma (Fig. 10).

c) Il rituale dell’incinerazione è esclusivo come nella faseprecedente, nella quale come si è visto era identico aquello dell’Etruria meridionale. Nel i periodo l’incine-razione mostra una evoluzione specificamente locale,che costituisce uno dei tratti più riconoscibili di tutta lasequenza laziale. Anche durante questa fase non sonodocumentate vere necropoli, ma esclusivamente pic-coli gruppi di tombe, formati da poche unità (da una aca. 10).

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i periodo Laziale (ebf, fase finale).Numero di tombe per il totale dei contesti noti

(bibliografia in Bietti Sestieri, De Santis 2003, 2007)

Le Caprine (Guidonia)(LC) 5Roma area centrale, Arco di Augusto (AA) 4Roma area centrale, Foro di Cesare (FC) 5Quadrato (Roma) (Q) 2Trigoria (Roma) (Tr) 3Tor Pagnotta (Roma) 1Santa Palomba (Roma) (SP) 10 (4 gruppi)Tenuta Quadraro (Roma) 20 (4 gruppi)Fosso di Gregna (Roma) 1+Lavinio - Pratica di Mare, area centrale 3Lavinio - Pratica di Mare, necr. esterna (Lav) 5Anzio 1+Boschetto (Grottaferrata) 1Villa Cavalletti (Grottaferrata) 3Colli Albani, tomba Andreoli 1S.Lorenzo Vecchio (Rocca di Papa) (SLV) 1Vigna D’Andrea (Velletri) 1Colle dell’Acero (Velletri) 1Campofattore (Marino) 2?Pascolaro (Marino) 1S.Chiara (Colonna) 6?Bosco del Polverino (Priverno) (BdP) 1

È molto probabile che si tratti di un rituale riservato esclu-sivamente ad alcuni membri delle singole comunità. Le in-cinerazioni sono in grande maggioranza maschili; l’urnaè un vaso con coperchio a tetto o, in qualche caso, la ri-produzione completa di una capanna; il corredo è forma-to da oggetti miniaturizzati in associazioni ricorrenti: mol-ti vasi, ornamenti personali, quasi sempre armi (Fig. 9a,b). Alcuni di questi oggetti sono riconoscibili come indi-catori di ruoli verticali (cioè di ruoli sovraordinati rispettoall’intera comunità, dei quali vengono investiti solo singo-li individui): la spada si riferisce probabilmente al ruolo dileader politico-militare, il coltello, la statuetta, i doppi scu-di, forse il carro a due cavalli sono invece attributi di ruolisacerdotali. La percentuale della presenza nei corredi diquesti elementi, molto alta in relazione al numero com-plessivo di tombe nei singoli gruppi, si colloca intorno al50%. Nel calcolo sono compresi sia i complessi già noti(Bietti Sestieri, De Santis 2003, Tabella ii) sia i nume-rosi gruppi di tombe di questa fase scoperti negli ultimi an-ni e ancora in corso di studio.

In complessi della fase iniziale dell’EdF (ii periodo la-ziale), come la parte più consistente della necropoli di

Osteria dell’Osa, nella quale il seppellimento formale inun’area specifica è esteso a tutta la comunità, gli stessi ruo-li si riconoscono in un numero limitatissimo di corredi,corrispondenti a ca. il 2,9% del totale (13 corredi su un to-tale di 446 tombe con determinazione antropologica).Questo insieme di elementi indica la forte probabilità chei piccoli gruppi di tombe a incinerazione del I periodo nonriflettano intere comunità, né gruppi familiari aristocrati-ci che si differenziano rispetto al resto della comunità, masiano invece riservati esclusivamente agli individui che inogni comunità rivestono i principali ruoli verticali.

Un altro elemento significativo che caratterizza il i pe-riodo laziale è la presenza sistematica di incinerazioni ma-schili con corredi nei quali i principali indicatori di ruolopolitico-militare e sacerdotale (rispettivamente la spada eil coltello) compaiono associati, come nel caso della tom-ba 1 di Quadrato (Bietti Sestieri, De Santis 2003, fig. 1)e della tomba 21 di Lavinio-Pratica di Mare, necropoliesterna (Sommella 1976, cat. 94, pp. 294-96, tavv. lxxivb,lxxva). Ci troviamo probabilmente di fronte a personag-gi che riuniscono su di sé le funzioni di guida politica e re-ligiosa delle comunità laziali: un tipo di organizzazioneche sembra essere specifico di questo periodo, mentre nel-la ief, almeno sulla base della documentazione da Osteriadell’Osa, i due ruoli sono nettamente separati.

È possibile proporre che queste figure investite di unasomma eccezionalmente ampia di poteri e funzioni sianoi protagonisti e gli agenti della crescita di identità etnica eculturale che caratterizza il Lazio antico in questo periodo.d) La polarizzazione della regione sulla zona dei Colli Al-

bani e la progressiva attenuazione della prossimità cul-turale all’Etruria sono accompagnate dall’evidenza dirapporti con la Campania, che diventeranno più inten-si e diffusi nella fase iniziale dell’EdF. La documenta-zione più importante, databile probabilmente al pas-saggio fra ebf e ief, viene dalla necropoli di Carinaro(Caserta) con tombe a incinerazione in urne con co-perchio conico e corredo di vasi miniaturizzati, moltovicine a complessi del i periodo laziale come la quattrotombe dall’Arco di Augusto a Roma (Bietti Sestieri,De Santis 2004a, pp. 588 s.; Marzocchella 2004).

Rispetto alla fase più antica dell’ebf, il i periodo lazialesi caratterizza per l’evidenza di una forte coesione internaal territorio del Latium vetus, che si coglie in primo luogonella cultura materiale come documentata specialmentedall’evidenza funeraria, molto abbondante e omogenea. Aquesta fisionomia formalmente definita, e bene individua-bile archeologicamente, corrispondono elementi altret-tanto omogenei nell’organizzazione politico-territoriale enell’ideologia funeraria.

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Per quanto riguarda i rapporti interregionali, in questoperiodo viene meno la forte integrazione del Lazio anticonel sistema culturale ed economico centrato sull’Etruriameridionale. Continua invece la dipendenza economicada questa regione per quanto riguarda il rifornimento dimetalli. Contemporaneamente, nella documentazione ar-

cheologica comincia ora ad essere più evidente il collega-mento culturale, probabilmente con implicazioni lingui-stiche, del Lazio antico con l’area meridionale tirrenica.

Nelle fasi iniziali della ief, che non rientrano nel temadi questo lavoro, diventa molto evidente il collegamentoprivilegiato del Lazio antico con la Campania e con le re-

Tabella 1. i periodo Laziale – Totale delle incinerazioni maschili con indicatori riconoscibili di ruolo verticale (Sigle: AA, Arco diAugusto; BdP, Bosco del Polverino; Q, Quadrato; Tr, Trigoria; Lav, Lavinio-Pratica di Mare, necropoli esterna; FC, Foro di Cesare;SP, Santa Palomba).

Tabella 2. i periodo Laziale – Totale delle incinerazioni femminili con indicatori riconoscibili di ruolo verticale (LC, Le Caprine;SLV, S.Lorenzo Vecchio).

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gioni meridionali soprattutto tirreniche più a Sud. Deveessere sottolineato che gli elementi di affinità non sono ge-neralizzati, ma riguardano soprattutto una delle compo-nenti del complesso quadro culturale della ief nelle re-gioni meridionali, che è l’aspetto delle tombe a fossa tipoCuma-Torre Galli; sono invece limitate e molto meno si-gnificative le affinità con il Villanoviano campano e anchecon i complessi tipo Oliveto-Cairano.

Le somiglianze fra il Lazio antico e i complessi delletombe a fossa comprendono molti elementi con correlatiarcheologici bene identificabili: forme simili di organizza-zione sociale basata sulla parentela, che si riconoscononelle necropoli di Osteria dell’Osa e di Torre Galli; forti af-finità formali e tecniche nel repertorio ceramico; alcuniaspetti della produzione metallurgica laziale, in particola-re ornamenti femminili come le fibule ad arco ingrossatoe staffa simmetrica con decorazione incisa e plastica, cheindicano l’introduzione di modelli, e forse di materia pri-ma, di origine meridionale; aspetti dell’ideologia funera-ria, con la prevalenza dell’inumazione.

Tuttavia per quanto riguarda le forme di organizzazio-ne socio-politica, il Lazio antico sembra invece conserva-re alcuni importanti elementi che sono emersi nell’ebf,nella fase più antica di intensi rapporti con l’Etruria meri-dionale. Si tratta di alcune indicazioni relativamente chia-re della presenza nelle comunità laziali di un livello deci-sionale centralizzato, sia politico-militare che religioso,anche se i due ruoli sono ora generalmente separati. Nel-la documentazione archeologica, questo elemento puòessere identificato attraverso il confronto puntuale fra icomplessi funerari di Osteria dell’Osa e di Torre Galli. Nel-le fasi iniziali della ief (fasi iiA-iiB dell’Osa, grosso modocontemporanee delle fasi iA-iB di Torre Galli) la strutturadelle due comunità è basata su unità di parentela simili,identificabili come famiglie estese. La differenza più signi-ficativa consiste nel numero di corredi maschili nei qualisono presenti i principali indicatori di ruolo verticale, inparticolare la spada. A Torre Galli una o più sepolture conspada sono presenti in ognuna delle unità di base della co-munità, mentre all’Osa la spada, o il suo equivalente, com-pare in un numero molto limitato di tombe, probabil-mente riferibili a un solo uomo per generazione rispettoal totale dei membri della comunità. Sembra possibileidentificare queste due situazioni come correlati di due di-versi tipi di organizzazione socio-politica: nel caso di Tor-re Galli la condivisione del potere politico fra le diverseunità di base (famiglie estese appartenenti a più lignaggi);in quello di Osteria dell’Osa, la centralizzazione della de-cisione politica, che viene di volta in volta delegata a unodei gruppi di parentela, che a sua volta la affida a un pro-

prio membro rappresentativo. Una situazione analoga potrebbe caratterizzare le due comunità anche per quan-to riguarda la distribuzione dei principali ruoli di tipo reli-gioso. Questi elementi sono esposti analiticamente inBietti Sestieri, De Santis 2004a.

Visti nella prospettiva dei successivi sviluppi storici,questi aspetti di organizzazione socio-politica che avvici-nano il Lazio all’Etruria protourbana, differenziandolo inmodo permanente dalle comunità culturalmente e lingui-sticamente affini delle regioni meridionali tirreniche, potrebbero avere avuto un peso significativo nel sorpren-dente sviluppo politico – territoriale di Roma, già concre-tamente avvertibile in età orientalizzante e arcaica.

4. La Calabria: il livello di integrazione fra ‘mi-cenei’ e indigeni nelle fasi finali della presenzaegea e gli sviluppi successivi

Per quanto riguarda questa sezione, e la successiva relati-va a Roca Vecchia, è necessario ricordare che la presenzaegea nel Mediterraneo centrale è un fenomeno estrema-mente articolato, con differenze sostanziali fra le princi-pali aree dei contatti (adriatica, ionica, tirrenica, Sicilia,Sardegna), differenze che si riconoscono nell’approccioiniziale e nel tipo e nel livello di integrazione fra ‘Micenei’e indigeni. Inoltre, per ognuna di queste aree, esistono dif-ferenze significative anche fra i singoli centri interessati.Le proposte di lettura che verranno presentate di seguitosi riferiscono quindi alla situazione del contatto con parti-colare riferimento all’area ionica, e al caso specifico di Bro-glio di Trebisacce.

L’abitato di Broglio, con il territorio circostante (la pia-na di Sibari) (Fig. 11a, b), è stato oggetto per molti anni dicampagne di scavo e di ricognizioni sistematiche, sotto ladirezione di R. Peroni (per una sintesi dei risultati delle ri-cerche e per la bibliografia principale v. Vanzetti 2000). Idati provenienti da queste ricerche possono essere in par-te integrati, per quanto riguarda l’evidenza funeraria, conquelli relativi alla necropoli a inumazione di Castellace-Oppido Mamertina (Reggio Calabria) (Pacciarelli1999). Deve essere però tenuto presente che la qualità del-la documentazione archeologica dei due complessi è for-temente sbilanciata a favore del primo, dal momento cheper la necropoli di Castellace, esplorata in modo saltuarionegli anni venti del ’900, è stato possibile solo proporreuna ricostruzione delle associazioni di corredo di un pic-colo numero di sepolture a inumazione.

Per quanto riguarda il sistema di insediamento, vieneidentificata fra la meb e gli inizi dell’EdF una tendenza al-la selezione di siti naturalmente difesi e relativamente am-

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pi, accompagnata dal progressivo abbandono dei siti mi-nori non difesi. Nell’ebf questa tendenza, che è legata a unprogressivo aumento demografico, viene verificata sullabase di una leggera diminuzione del numero complessivodelle presenze, accompagnata da un aumento dei siti di di-mensioni maggiori. L’ordine di grandezza dei siti mag-giori è di ca. 20 ha. In sostanza, si tratterebbe di una ge-rarchia territoriale a due ordini, ma il livello di controlloche i siti maggiori sono in grado di esercitare rimane undato estremamente incerto.

La struttura sociale che esprime questo sistema è quel-la che è stata tradizionalmente definita da Peroni gentili-zio-clientelare preurbana (un termine che viene di solitointerpretato come l’equivalente del modello di organizza-zione socio-politica noto come chiefdom). Questo tipo distruttura e di organizzazione, che comparirebbe in Italiameridionale grazie agli impulsi al cambiamento sociale in-dotti dai contatti con i navigatori micenei (Peroni 2004, p.171), viene riferito a tutta l’ampia area che comprende l’Ita-lia meridionale e le regioni tirreniche centrali, a partiredalle fasi avanzate della meb e fino al passaggio alla ief.

L’economia di base nella piana di Sibari comprende lapratica dell’agricoltura a secco, che produce essenzial-mente cereali e leguminose, e l’olivicoltura; la produzio-ne agricola è integrata dall’allevamento, con prevalenza diovicaprini, e dalla caccia.

Il sito di Broglio si trova nella fascia collinare prossimaalla costa, e occupa un’altura con un’area abitabile di ca. 10ha, che si affaccia sulla piana. L’insediamento comincia nel-le fasi iniziali della meb e si intensifica nell’ebr, quando lapresenza egea si consolida e si sviluppano produzioni localidi classi ceramiche caratterizzate da una tecnologia basatasull’uso del tornio (Fig. 12): ceramica italo-micenea, checostituisce la quasi totalità del materiale di tipo miceneotrovato a Broglio, ceramica grigia tornita, doli cordonati ditipo egeo e orientale (cfr. Fig. 16a). Nell’ebr le prime dueclassi ceramiche sono concentrate in particolare in un’areadell’acropoli nella quale si trovava una struttura absidata,forse frequentata per attività rituali e di banchetto che in-cludevano il consumo di vino. L’impulso alla produzione el’uso delle tre classi ceramiche specializzate vengono con-siderati come attività specifiche delle elites locali. Un’ipo-tesi che è stata più volte presentata (Peroni 1993, p. 127 ss.,ripresa in Peroni 2004, pp. 171 ss.; Bettelli 2002, pp. 117ss.) riguarda lo stabilirsi nell’ebr di un rapporto pariteticonegli scambi fra le elite indigene e quelle egee, con l’orga-nizzazione di spostamenti di gruppi guidati da capi aristo-cratici che raggiungono la Grecia continentale. Nell’ambi-to di questi rapporti, le aristocrazie locali avrebberomutuato dai partner egei, membri di una più complessa so-

cietà palaziale, il know-how per l’adozione di una sistemaeconomico basato sulla redistribuzione (documentato inparticolare dai grandi doli cordonati).

Nell’ebf le strutture identificate sull’acropoli, conside-rata la sede di una vera e propria classe aristocratica, com-prendono tre o quattro case con una superficie interna di40-50 mq e alcuni magazzini; il più conservato di questi,D1 (una struttura rettangolare di m 7 × 3 ca) conteneva cin-que doli, almeno uno dei quali conservava tracce di oliod’oliva rilevate con l’analisi gas-cromatografica (Peroni,Trucco 1994, p. 855, nota 59). Inoltre è stata identificatauna forgia per la produzione di ferro, che conferma i datigià noti sulla comparsa della metallurgia del ferro in Italiae in Sicilia nell’ebf.

Per quanto riguarda la produzione ceramica, le classi checoesistono, almeno fino a una fase centrale dell’ebf, sonol’impasto fatto a mano, la ceramica dipinta di stile proto-geometrico japigio (cfr. Fig. 16b) fabbricata prevalente-mente a mano, la ceramica italo-micenea di stile iiiC, la ce-ramica grigia tornita, i doli cordonati (cfr. Fig. 16a) conelementi di affinità tecnica e stilistica che in questo periodosi trovano a Cipro piuttosto che nell’Egeo, costruiti proba-bilmente al tornio. Le tre ultime classi sono certamenteprodotte da artigiani specializzati.

Le produzioni specializzate hanno una distribuzione es-senzialmente costiera in tutta l’area ionico-adriatica meri-dionale, mentre la ceramica protogeometrica è diffusa an-che in aree interne. Per l’ebr la produzione e l’uso diceramica tornita e dipinta, ceramica grigia e doli vengonoconsiderati specifici delle elites, mentre nell’ebf il quadro,come documentato in particolare a Broglio, appare menodefinito.

In conclusione, l’elemento determinante che vieneidentificato nella situazione documentata a Broglio e nel-la Sibaritide nell’ebf è il ruolo centrale delle elites nellapromozione, organizzazione e controllo di numerose attività produttive, fra le quali le più importanti sono l’oli-vicoltura e la fabbricazione di manufatti di ferro. Per quan-to riguarda la ceramica, in questa età le lavorazioni spe-cialistiche vengono orientate su classi funzionali di tipoutilitario, in particolare i grandi doli cordonati, piuttostoche su manufatti di prestigio come la ceramica tornita edipinta di tipo miceneo. Negli abitati cresce di importanzail ruolo dell’acropoli come sede della direzione politicadelle comunità, con una organizzazione che risponde a lo-giche clientelari; sul territorio si riconoscono indizi di pia-nificazione nell’occupazione e nello sfruttamento agrico-lo, in particolare nell’area che gravita sul sito di TorreMordillo. Il sistema crolla su se stesso dopo la crisi che se-gue alla fine della presenza egea nella regione.

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Una integrazione per quanto riguarda l’ebf degli ele-menti basati sulle ricerche su Broglio e sulla Sibaritide, checome abbiamo visto si riferiscono in generale a insedia-mento, territorio, economia e sistema di scambio, vieneproposta da M. Pacciarelli (1999, 2000), con l’analisi dellanecropoli di Castellace (Oppido Mamertina, Reggio Cala-bria), segnalata da K. Kilian (1970, Taf. 280), che dovrebbefornire dati utili per la ricostruzione delle strutture socialinell’ebf calabrese.

Lo studio consiste in un attento lavoro di recupero didati ancora identificabili da questo complesso, del qualevengono ricostruiti elementi riferibili a quattro corredimaschili e due femminili (Fig. 13). Si tratta con ogni pro-babilità di tombe a inumazione.

Corredi maschili- Tomba del 1927: cote di pietra levigata, coltello, spada corta e

punta di lancia- Tomba 2: lancia tipo Pahzok e schiniere tipo Kallithea-Enkomi- Tomba 4: cote e punta di lancia di ferro- Tomba 5: spada corta e daga

Corredi femminili- Tomba 1: doppie spirali (probabilmente braccialetti) di filo

d’oro, fibula, vaso- Tomba 3: spillone, 6 frammenti di fibule ad arco semplice o fo-

liato, frammenti di un braccialetto, spirale fermatrecce.

Viene proposta una datazione all’ebf pieno, con qualcheelemento più antico. In particolare, i bracciali di filo d’orodalla tomba 1, considerati come una possibile importazio-ne dall’area danubiana, vengono confrontati con quellidalla tomba 31 della necropoli di Piazza Monfalcone a Li-pari, databile a un momento iniziale dell’Ausonio ii.

Secondo l’ipotesi proposta da Pacciarelli come conclu-sione di questo studio, i corredi di Castellace sono riferibi-li ai membri di un’aristocrazia militare identificata sullabase dell’armamento complesso degli uomini e delle ric-che parures di ornamenti femminili; la tomba 5, con spa-da corta e daga, potrebbe documentare la presenza di ‘ca-pi’ guerrieri con un seguito di armati di lancia. È possibileche intorno a piccoli gruppi di tombe ‘aristocratiche’ sitrovassero originariamente quelle dei rispettivi gruppi diseguaci armati di sola lancia.

Viene anche sottolineata una delle caratteristiche piùinteressanti di questa necropoli: la presenza di forti affi-nità formali con materiali presenti in complessi balcani-ci (ad esempio per le lance tipo Pazhok, i confronti conle necropoli di Vajze e Patos in Albania) e della Greciacontinentale, o di Cipro (schinieri tipo Kallithea-Enko-mi); anche l’uso del ferro potrebbe essere legato a rap-porti con l’Egeo e l’Epiro, e (indirettamente?) con Cipro

e la Fenicia, sotto forma di contatti paritari fra elitesguerriere.

Si tratta, come si vede, di un quadro complesso, nel qua-le molti degli elementi interpretativi, in particolare quellidi portata storica più ampia, sono sostanzialmente ipote-tici, e quindi difficili da verificare.

Ovviamente, il primo dato da sottolineare è l’impor-tanza dei risultati raggiunti con la ricerca sistematica suBroglio e sul territorio del quale fa parte dal punto di vistadella qualità e quantità della documentazione ed elabora-zione archeologica.

Sono di fondamentale importanza l’integrazione dianalisi intensiva (lo scavo del sito di Broglio) ed estensiva(la ricognizione territoriale), la pubblicazione del lavorosvolto sul terreno, la messa a fuoco su un’ampia base do-cumentaria del rapporto fra micenei e indigeni e della suadimensione diacronica. Inoltre, un contributo di interessegenerale è consistito nella costruzione e ampia imple-mentazione di un programma sistematico di analisi dellaceramica micenea/TE in Italia, che è stato esteso negli an-ni a una parte consistente della documentazione relativaall’Italia continentale e alle isole.

Come avviene quasi sempre in archeologia, la rilevanzadi questi risultati non è direttamente proporzionale al-l’importanza relativa del territorio e del sito consideratinel contesto dell’Italia meridionale, ma dipende invece dalcarattere ampio e sistematico della ricerca, che offre un pa-trimonio di dati elaborati che ha una consistente ricadutapositiva sulla nostra conoscenza del periodo interessato.

Sembra invece molto meno convincente l’enfasi sul-l’importanza di Broglio come centro pienamente rappre-sentativo delle modalità dell’interazione fra micenei e in-digeni e punto di riferimento essenziale delle relazionianche nell’area egea, in base all’identificazione, di fatto as-sai dubbia, di una elite locale stabile, attiva e capace di ini-ziativa internazionale.

I punti critici sono abbastanza numerosi sia sul versan-te indigeno che su quello miceneo.

Per quanto riguarda gli indigeni, un problema ben notoche investe gran parte delle regioni meridionali è la scarsaattestazione, per tutto il corso dell’EdB, dello sviluppo diforme di organizzazione su scala regionale, con una ge-rarchia di centri funzionale a un controllo politico-territo-riale efficiente. In linea generale, comunità dell’ordine digrandezza ricostruibile sulla base dei dati noti sono vero-similmente basate su strutture di parentela, e articolate ingruppi di discendenza e famiglie allargate.

Alcune delle situazioni meglio note, come quella di Ro-ca Vecchia che vedremo di seguito, sembrano riferibili acentri anche di notevole importanza, come indicano le di-

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mensioni del muro di fortificazione e degli edifici dell’ebf,attivi nei traffici marittimi, per alcuni dei quali è possibileipotizzare la presenza di processi di differenziazione so-ciale, ma con un interesse per il territorio limitato presu-mibilmente al rifornimento di risorse agricole.

Per centri naturalmente delimitati delle dimensioni diBroglio, con un territorio di riferimento la cui carrying ca-pacity (ovviamente molto superiore alla dimensione de-mografica effettiva) viene stimata per la meb ed ebr in unmigliaio di persone (Peroni, Trucco 1994, p. 835), sem-bra invece difficile ipotizzare la presenza di un sistemagentilizio-clientelare formato da gentes aristocratiche chemantengono e legano a sé gruppi di clienti; tanto meno sequesto rapporto è basato in primo luogo su forme di redi-stribuzione di beni di sussistenza, che presuppongono ilcompleto controllo politico esercitato da questo centro suun ulteriore gruppo sociale presente sul territorio, forma-to da agricoltori-allevatori.

L’insieme della documentazione relativa all’Italia meri-dionale sembra invece indicare un grado limitato di inte-grazione politica fra le comunità che coesistono sullo stes-so territorio, assimilabile a un modello generale di tipotribale, nel quale l’aggregazione di più comunità è unacondizione temporanea, legata a situazioni di crisi am-bientale o di conflitto. Un caso di questo genere, relativoall’area meridionale tirrenica, potrebbe essere documen-tato dall’invasione ‘ausonia’ delle Eolie e della costa nord– orientale della Sicilia in un momento iniziale dell’ebr.

Per quanto riguarda i micenei, il primo dato da prende-re in considerazione sono le caratteristiche strutturali del-le società palaziali della Grecia continentale, che secondoanalisi recenti sono molto lontane dall’immagine di cen-tralizzazione ed efficienza amministrativa che ad esse vie-ne più o meno automaticamente associata. In particolarele autorità centrali monopolizzano esclusivamente produ-zioni specializzate e di prestigio (che includono la cerami-ca solo per quanto riguarda alcune produzioni specifiche),trascurando la produzione di sussistenza (v. ad esempioParkinson 1999); oppure, secondo un’altra lettura dellecaratteristiche e del declino dei palazzi, ne amministranosolo alcuni settori specializzati, e non sono in grado diesercitare, o non sono interessate a un controllo efficientee all’organizzazione complessiva dell’economia di sussi-stenza (Halstead 1992, 2001). In entrambe le versioni, ilcontrollo insufficiente della circolazione dei beni di sussi-stenza costituisce un fattore non secondario della crisi fi-nale. Il dato comunque più interessante ai fini di questo la-voro è che il modello della redistribuzione sembra esseredifficilmente applicabile al funzionamento complessivodelle società palaziali, la cui capacità di controllo si esten-

de solo a settori limitati del territorio della Grecia conti-nentale (v. per questo punto l’ampia discussione, con bi-bliografia, in Borgna, Cassola Guida 2004, pp. 152 ss.;2005, pp. 498 ss.).

Da un lato, quindi, i navigatori micenei che giungonosulle coste italiane non sono rappresentativi dell’aristo-crazia palaziale né stabiliscono con le comunità indigenerapporti formali di natura politico-diplomatica, come av-viene in una certa misura nel Levante mediterraneo. Unaindicazione in questo senso viene, fra l’altro, dalla consta-tazione che le forme ceramiche micenee associate con gliambienti palaziali e con le componenti sociali ad essi collegati sono molto frequenti a Cipro e nel Levante, men-tre compaiono solo sporadicamente in Italia meridionale(Van Wijngaarden 2002, pp. 253, 261 ss., cfr. Borgna,Cassola Guida 2004, p. 154), dove prevalgono invece «for-me ceramiche associate piuttosto a componenti non pala-ziali e non ufficiali, rappresentanti di contesti periferici delmondo miceneo».

Inoltre, è stato osservato su base analitica che le produ-zioni specializzate di ceramica dipendono da molti giaci-menti diversi di argilla locale (Jones et alii 1994), e vengo-no probabilmente fabbricate per ognuno dei singoli centriindigeni; per quanto riguarda la ceramica italo-micenea,anche lo stile e i motivi decorativi sono localizzati, conscarsa circolazione fra i vari centri (Bettelli 2002, pp. 68ss., 255). In altri termini, in una regione caratterizzata dal-la prevalenza di piccole entità territoriali politicamente au-tonome, la presenza egea non costituisce un fattore unifi-cante, ma, al contrario, sembra modellarsi direttamentesulla situazione locale.

Sull’altro fronte, quello della possibile influenza eserci-tata dai visitatori egei sulle comunità indigene dell’Italiameridionale, l’evidenza archeologica nell’area ionica sem-bra invece documentare rapporti paritetici, che escludonoforme di subordinazione culturale, e si riflettono in una in-troduzione molto limitata di elementi di origine egea, dal-l’ambito tecnico e tecnologico a quello strutturale-orga-nizzativo (v. su questi punti già Bietti Sestieri 1988).

Le tracce di questi rapporti riconoscibili nella culturamateriale sono sorprendentemente limitate. Nel campoarcheologicamente più sensibile, che è quello della pro-duzione ceramica, lo scambio di elementi funzionali-tipo-logici fra le classi specialistiche (ceramica italo-micenea,ceramica grigia, doli cordonati) e la ceramica d’impasto ri-guarda essenzialmente la ceramica grigia, e solo alcuneforme, in particolare tazze e scodelle carenate. Inoltre, fat-to che appare particolarmente significativo, nonostante lalunga durata dei contatti (almeno dal xv al xii sec. a.C.), iprocessi di produzione delle diverse classi ceramiche re-

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stano nettamente separati, e non è ipotizzabile che venis-sero praticati nelle stesse officine. In questa direzione pun-tano alcuni elementi significativi messi ripetutamente inluce dalle analisi condotte a partire dal materiale di Bro-glio (Jones et alii 1994, pp. 413-454; conclusioni generali p.452s.) ed estese recentemente a molti siti dell’Italia meri-dionale (Levi et alii 1999; Jones et alii 2005).

1. La localizzazione differenziata dei giacimenti di ar-gilla sfruttati per la fabbricazione della ceramica d’impa-sto e delle classi specialistiche.

2. L’uso del tornio, che rimane sistematicamente estra-neo alla produzione della ceramica d’impasto.

3. La pittura a vernice brillante, esclusiva della cerami-ca di tipo miceneo, mentre la produzione locale relativa-mente tarda del Protogeometrico japigio (cfr. Fig. 16a),prevalentemente lavorata a mano, si caratterizza per la pit-tura a vernice opaca.

Questo insieme di elementi sembra indicare una nettae persistente separazione fra le attività degli artigiani indi-geni e di quelli di provenienza egea. Come è ben noto, èassai difficile che un vasaio abituato dall’adolescenza allamodellazione a mano passi all’uso del tornio (v. per esem-pio Rice 1984, p. 244; Jones et alii 1994, p. 452). Da questopunto di vista, è significativo il fatto che la separazione frai due ambiti di competenza tecnica continui per tutta ladurata dei contatti, e che lo sviluppo tipologico e decora-tivo della ceramica d’impasto a Broglio, come negli altri siti del contatto egeo nell’area ionica, sia del tutto omoge-neo a quello della produzione appenninica e subappenni-nica delle regioni meridionali della penisola.

L’implicazione più probabile è che la ceramica italo-mi-cenea e la ceramica grigia venissero sistematicamente pro-dotte da ceramisti egei, e utilizzate essenzialmente dai nu-clei di popolazione di provenienza egea che sembranoessere presenti in molte delle comunità locali. Lo scarsointeresse di queste per la più complessa e raffinata produ-zione ceramica degli artigiani ‘stranieri’ sembra implicitaanche nella quasi completa assenza di ceramica di tipo mi-ceneo nei corredi funerari indigeni.

Una considerazione a parte deve essere dedicata allaclasse dei doli cordonati, che ovviamente non hanno undiretto significato come possibili beni di prestigio, ma si le-gano invece alla funzione di immagazzinamento di risor-se alimentari, a sua volta considerata come una possibileindicazione di una qualche forma di redistribuzione (Bor-gna, Cassola Guida 2004, p. 151). Si tratta anche in que-sto caso di una produzione specialistica che compare nel-l’ebr, per la quale è necessario l’uso del tornio. I dolidell’ebr, generalmente presenti negli stessi siti e contestinei quali si trovano la ceramica grigia e quella italo-mice-

nea, sono decorati da bande applicate a rilievo, con con-fronti in area egea (Grecia continentale e Creta).

L’evidenza archeologica meglio nota per l’ebf è la strut-tura D1 di Broglio citata sopra. La presenza dei cinque do-li può essere considerata come una probabile indicazionedi immagazzinamento di risorse alimentari, ma certa-mente non documenta di per sé il fatto che gli alimenticonservati fossero oggetto di redistribuzione.

Nonostante un certo numero di lavori di sintesi (Levi etalii 1999; Bettelli 2002, pp. 106-112; Bettelli, Levi2003), una raccolta di dati verificabili sulla presenza, origi-ne e tipologia dei doli cordonati nell’ebf non è ancora di-sponibile, ed è quindi possibile solo proporre qualche ipotesi sulla base dei dati comunque noti.

I doli dell’ebf, caratterizzati dalla decorazione a fasce disolcature, hanno confronti soprattutto a Cipro (Vagnetti2000, p. 83); paralleli nella stessa direzione sono stati segnalati anche per i frammenti di doli con decorazione figurativa da Frattesina (Cassola Guida 1999, p. 492 s.;cfr. Bellintani 1995, fig. 2).

In questo periodo aumentano in Italia meridionale laquantità e l’importanza economica dei grandi doli, che so-no parzialmente o completamente eseguiti al tornio; di-minuisce invece sensibilmente la qualità tecnica e la quan-tità della ceramica italo-micenea e della ceramica grigia,ancora presenti nelle fasi iniziale e avanzata del periodo,che corrispondono approssimativamente al TEiiiC medioe tardo. La presenza di materiali ceramici delle classi spe-cializzate, ai quali si associa la ceramica protogeometricalocale, si concentra nel Sud-est della penisola, che conser-va rapporti diretti con la Grecia almeno fino alla fine del-l’ebf, come vedremo nella sezione dedicata a Roca.

Secondo Borgna e Cassola Guida (2004), la continuitànella produzione e nell’uso dei grandi doli in Italia meri-dionale in queste fasi indica che le società egee dell’età palaziale finale e post-palaziale si rifornivano di beni de-peribili, in particolare derrate agricole, prodotti dalle co-munità italiane; Cipro avrebbe svolto un ruolo importan-te come intermediaria degli scambi, che acquistano ora uncarattere più specificamente commerciale, mentre la Pu-glia adriatica è la regione italiana più direttamente coin-volta nel nuovo tipo di contatto.

È difficile valutare un’ipotesi così definita sul significatodella presenza di elementi con affinità cipriote, in partico-lare i grandi doli, nell’ambiente specifico del Sud-est italiano alla fine dell’EdB. Un’alternativa minimalista, macomunque da non trascurare, potrebbe essere che la con-tinuità nell’ebf della produzione di doli cordonati, che ri-chiede l’uso del tornio, ancora sostanzialmente estraneoalla tecnologia ceramica locale, sia legata soprattutto al lo-

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ro valore utilitario come sistema efficiente di immagazzi-namento.

Sembra invece meno probabile che recipienti fragili, didimensioni così grandi (h ca. 140 cm, diametro massimoca. 100cm, capacità ca. 600 litri per i due doli ricostruiti dailivelli dell’ebf di Roca: Guglielmino 1999, p. 475, nota 2,figg. 1-4), e di peso corrispondente una volta riempiti, po-tessero essere utilizzati in modo sistematico per il tra-sporto a lunga distanza di derrate per via terrestre o ma-rittima. Deve essere ricordato, a questo proposito, che igrandi doli di tipo cipriota trovati nella nave di Ulu Burunerano utilizzati come contenitori di una delle merci checostituivano il carico: vasetti di ceramica, anche questi ci-prioti (Pulak 2001, p. 14; Vagnetti 2000, p. 64).

In ogni caso, specialmente per quanto riguarda motiva-zioni e implicazioni della possibile presenza cipriota nellaPuglia adriatica, è necessario esaminare questo dato in re-lazione con il quadro dell’aumento generalizzato di ele-menti e materiali di origine cipriota-levantina che si verifi-ca nel Mediterraneo centrale a partire dal xiii sec. a.C. (v.sopra). Si tratta infatti di un fenomeno che tocca molte re-gioni, con particolare evidenza in Sardegna e in Sicilia, eche si sviluppa in concomitanza con il progressivo declinodella presenza egea.

La documentazione funeraria da Castellace è certa-mente significativa; ma la lettura di questo complesso co-me correlato di una situazione di forte articolazione ecomplessità sociale non sembra sufficientemente sostenu-ta dell’evidenza archeologica, che inoltre, come si è visto,è quantitativamente scarsa e molto incompleta. L’identifi-cazione degli uomini con corredo di armi più complesso(tomba del 1927 con cote, coltello, spada corta e lancia,tomba 5 con spada corta e daga, tomba 2 con lancia e schi-niere) come capi aristocratici alla testa di ipotetici gruppidi armati che ne rappresenterebbero i ‘clienti’, apparefrancamente troppo elaborata. Il complesso che per vicinanza cronologica e geografica potrebbe offrire unplausibile parallelo è la necropoli della ief di Torre Galli(Pacciarelli 1999a), nella quale è evidente la rappresen-tazione funeraria di un certo numero di gruppi familiari,formati da non più di venti-trenta persone. Di regola, inognuno di questi gruppi le sepolture maschili compren-dono uno o due individui con armamento complesso, e unnumero più alto di uomini con un armamento costituitoda una o due lance/giavellotti. Una situazione simile si ve-rifica anche per quanto riguarda i corredi femminili, soloalcuni dei quali comprendono segni evidenti di prestigio edi ruolo. Sembra ragionevole pensare che queste differen-ze interne, che si ripetono in modo abbastanza sistemati-co, rispecchino l’organizzazione di base delle unità di pa-

rentela costitutive della comunità, in ognuna delle quali gliuomini adulti portatori di armi sono subordinati a un sin-golo ‘capo’. La situazione di Castellace potrebbe essere ac-costata verosimilmente a quella di Torre Galli, della qualesembra essere un precedente più o meno diretto.

Un altro aspetto delle tombe di Castellace che corri-sponde alla situazione di Torre Galli viene messo in evi-denza nell’analisi: la presenza di elementi che indicano lapartecipazione a scambi e relazioni a lunga distanza. Nelcaso specifico, gli indicatori vanno in direzione dei Balca-ni, forse ancora dell’Egeo, e dell’area levantino-cipriota.

Nelle fasi iniziali dell’EdF, nella necropoli di Torre Gal-li sono presenti alcune classi di materiali esotici prove-nienti dal Levante mediterraneo (Njiboer 2008, p. 365, fig.3: scarabei, perle di pasta vitrea e faience, tazze emisferi-che di lamina di bronzo, una bocchetta tornita), che ven-gono acquisiti da questa comunità attraverso il commer-cio fenicio. Sembra chiaro che singoli gruppi di parentelagestissero l’acquisizione di tipi specifici di beni di prestigioesotici: il caso più evidente è la concentrazione esclusivadegli scarabei trovati in questa necropoli in corredi fem-minili del gruppo B (Bietti Sestieri, De Santis 2004a,p. 603, fig. 13a).

Nel caso di Castellace non è ovviamente possibile iden-tificare il meccanismo attraverso il quale gli scambi avve-nivano; ma l’aspetto più interessante consiste nella evi-denza dell’emergere nel corso dell’ebf di un nuovosistema di produzione, circolazione e scambio di materieprime e prodotti finiti, che investe l’attuale territorio ita-liano (e probabilmente altre aree del Mediterraneo cen-trale e occidentale) in modo molto più capillare rispetto aiperiodi precedenti.

5. Il caso di Roca: la norma o l’eccezione nel con-tatto con l’area egea?

Il sito di Roca Vecchia (Melendugno, Lecce) si distingue ri-spetto ad altri contesti dell’Italia meridionale toccati daicontatti con l’Egeo e il Mediterraneo Orientale per alcunitratti esclusivi, che investono in una misura per ora nonprecisamente definita anche altre parti del territorio delSalento. Nelle pagine che seguono si cercherà di metterein luce le specificità di questo sito e di proporne una lettu-ra, da considerare comunque provvisoria, visto lo statoancora del tutto preliminare dell’elaborazione dei dati.

Il complesso di Roca si presenta oggi come uno dei piùimportanti dell’età del Bronzo dell’Italia meridionale, og-getto di ricerche sistematiche tuttora in corso, condottedal gruppo di lavoro coordinato da Cosimo Pagliara e Ric-cardo Guglielmino. Fra il 2007 e il 2008 sono state presen-

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tate due ampie relazioni di scavo (Pagliara et alii 2007 e2008) alle quali si rimanda per la bibliografia precedente.

L’insediamento occupa un promontorio di calcarenite(la roccia tenera locale) sulla costa orientale del Salento, ilcui margine su tutti i lati è stato parzialmente eroso dalmare per una estensione non precisamente valutabile(Fig. 14); sul lato verso terra esisteva una laguna, oggicompletamente scomparsa, che forniva risorse di vario ge-nere, compresa probabilmente una possibilità di riparoper le imbarcazioni.

Un abitato di età altomedievale ha coperto e danneg-giato una parte consistente dell’insediamento protostori-co, che è relativamente ben conservato soprattutto nellasezione rivolta verso terra.

Il saggio x, condotto nel corso della campagna di sca-vo 2005 (Pagliara et alii 2007), ha permesso di identifi-care una sequenza di cinque fasi di occupazione: meb ap-penninica (fase 1), ebr (fasi 2 e 3), ebf (fasi 4 e 5). Nell’areadel saggio, la sequenza stratigrafica comprende in tutte lefasi resti strutturali in associazione con materiali mobili,mentre sulla maggior parte dell’area scavata resti strut-turali consistenti sono stati finora identificati soprattuttoper la fase più antica (meb iniziale, non documentata nelsaggio x) e per l’ebf. Materiali di tipo egeo sono statiidentificati all’interno del saggio x nei livelli relativi allefasi 2, 3 e 4.

Per quanto riguarda, più in generale, i risultati raggiun-ti nello scavo del sito, la più antica delle fasi di occupazio-ne finora identificate si data alla parte iniziale della meb,durante la quale l’istmo che collega la penisola di Roca al-la terraferma era fortificato da un poderoso muro di pie-tre a secco, dello spessore di ca. 20 m, con una grande por-ta centrale con ambienti sui lati, e almeno cinque postierleche lo attraversano completamente.

Questa prima fase venne conclusa alla fine della meb dauna distruzione violenta e da un grande incendio, che cau-sò fra l’altro il crollo degli ambienti ai lati della porta.

I materiali locali di facies protoappenninica e appenni-nica sono associati con ceramica TE/TM ii e iiiA, con unpugnale di bronzo di tipo egeo, e con una piccola sculturaa testa di uccello in avorio di ippopotamo, forse riferibile auna duck pyxis di tipo minoico (Guglielmino 2004-2006,pp. 88-90, figg. 2, 3.1, 4).

Nell’ebr la facies locale è di tipo subappenninico, forsecon alcune importazioni dall’area palafitte-terramare. Ilmuro e la porta vengono ricostruiti in forme meno arti-colate; sono stati identificati anche resti di capanne e si-stemazioni di spazi aperti. In questa fase la percentuale diceramica TE iiiB e iiiC early e middle, proveniente in pre-valenza dal Peloponneso, raggiunge ca. il 10% del totale.

Le forme sono soprattutto vasi per bere, ai quali si ag-giunge un numero consistente di frammenti di anfore astaffa in ceramica coarse, un tipo di recipiente da trasportoprobabilmente per olio d’oliva, prodotto a Creta e moltocomune nell’Egeo e nel Mediterraneo Orientale, ma qua-si sconosciuto in Occidente. Un altro oggetto significativoè un sigillo lenticolare di pietra rossa di tipo minoico/mi-ceneo con una figura di quadrupede incisa (Guglielmino2004-2006, pp. 91-96, figg. 7-10). Tutti e tre questi elementi(la prevalenza di forme aperte nella ceramica di tipo ‘mi-ceneo’, le anfore da trasporto e il sigillo) sembrano con-notare la presenza egea a Roca in modo diverso rispetto adaltri centri contemporanei come Scoglio del Tonno e Bro-glio, nei quali prevalgono le forme chiuse e mancano sia leanfore da trasporto che i sigilli. Inoltre esistono forti indi-cazioni che durante questa fase venisse praticata a Roca lalavorazione dell’avorio di ippopotamo.

Nella fase di passaggio fra ebr ed ebf cominciano alcu-ne produzioni specialistiche: la ceramica grigia e i doli cor-donati (Guglielmino 1999), interamente eseguiti al tor-nio, e la ceramica dipinta di stile Protogeometrico japigio,che a Roca è invece fatta esclusivamente a mano (cfr. Fig.16a, b).

Mancano ancora analisi su scala ampia dei materiali, mai primi risultati sembrano indicare che qui la produzionelocale di ceramica dipinta di tipo miceneo è molto menoconsistente che in altri siti, come Broglio, e che la maggiorparte del materiale, per un totale di varie migliaia di fram-menti, potrebbe essere di importazione.

Veniamo ora a un esame più dettagliato delle caratteri-stiche e dello sviluppo dell’insediamento di Roca nelle fasidell’ebf (Guglielmino 2004-2006, pp. 96-101, figg. 11-16),che rientrano più direttamente nell’argomento di questarelazione.

Lo scavo in estensione praticato sul sito ha permesso dimettere in luce su una superficie molto ampia soprattuttoi livelli più recenti, datati dagli scavatori a una fase centra-le dell’ebf. Il muro difensivo viene ora ricostruito con unatecnica nuova e più grossolana rispetto ai periodi prece-denti, mentre la porta centrale viene inclusa in una strut-tura di legno. L’area dell’abitato sembra essere attraversa-ta da un reticolo regolare di strade pavimentate, checonservano alcune tracce dei solchi di ruote. Lungo una diqueste strade, che costeggia verso l’interno il muro di for-tificazione, sono venuti in luce i resti di almeno due gran-di edifici, il maggiore dei quali, conservato solo in parte,misura 15 m di larghezza e oltre 40 di lunghezza (Fig. 15).L’alzato era probabilmente di legno, con file di grandi pa-li che dividevano longitudinalmente lo spazio interno. Ledimensioni degli edifici, oltre a molti dei materiali trovati

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al loro interno, ne indicano una funzione non abitativa,ma pubblica, e prevalentemente cultuale.

Anche questa fase di occupazione si conclude con unviolento incendio, che apparentemente provocò l’interru-zione delle attività che si stavano svolgendo nei due edifi-ci. Dai piani di calpestio, sigillati da uno spesso strato di ce-neri e carbone, viene una grande quantità e varietà dimateriali. Fra questi, oltre 3000 vasi di impasto, ceramichedelle tre classi specialistiche già comparse alla fine del pe-riodo precedente, ceramica dipinta locale di stile proto-geometrico (Fig. 16a, b) e molta ceramica di tipo TEiiiClate (cfr. Fig. 18, in alto a sinistra) e Submicenea; quest’ul-tima categoria, che segna il momento finale del ciclo diproduzione della ceramica ‘micenea’, è stata trovata fino-ra in Italia solo a Roca (R. Guglielmino, comunicazionepersonale).

Una serie consistente di manufatti rari o esclusivi sem-bra indicare la funzione cultuale dei due edifici: piattafor-me quadrate di impasto argilloso con aggiunta di calcare-nite sbriciolata, simili ai piccoli altari sacrificali checompaiono in santuari dell’area egea e del Mediterraneoorientale; una delle piattaforme era accompagnata da unbacino dello stesso materiale, usato verosimilmente perraccogliere il sangue delle vittime, con un confronto neltempio Gamma di Micene. Sono anche presenti piastre diceramica d’impasto di forma circolare con tre piedi di ap-poggio, decorate con una grande croce o svastica incisasulla faccia superiore, un tipo di manufatto con confrontipuntuali e numerosi in santuari e tombe in area egea, especialmente a Creta, dove viene identificato come vasso-io per offerte.

Altri oggetti notevoli in ceramica d’impasto sono tre fi-gurine, una di animale, le altre due antropomorfe (Fig.17), e un’olla ovoide decorata al di sotto dell’orlo con uncordone plastico a zig-zag che riproduce un serpente. Ilmotivo non trova precisi confronti in contesti italiani con-temporanei, mentre è ampiamente diffuso su vasi e deco-razioni architettoniche in area egea e a Cipro.

La probabile destinazione cultuale delle strutture sem-bra essere associata anche ad altre funzioni.

La metallurgia è documentata da una varietà di mate-riali. Indicazioni consistenti della presenza di un’officinaper la fabbricazione di manufatti metallici sono una doz-zina di forme di fusione più o meno frammentarie (Gu-glielmino 2005) per punte di lancia o di giavellotto, ascepiatte a codolo, e per alcuni manufatti di tipo egeo: coltel-li con codolo piatto, martelli con foro rettangolare, unadoppia scure (Fig. 18). Dalla stessa area viene anche unabocca di mantice.

Due ripostigli formati da associazioni di materiali di ti-

po diverso sono stati scoperti all’interno di cavità scavatea partire dal piano di calpestio dell’edificio maggiore, nelsettore Nord. Il primo, definito ripostiglio degli ori (Mag-giulli 2006), comprende molti manufatti, sia interi cheframmenti: ornamenti, strumenti, lingotti e armi di bron-zo, oggetti di pasta vitrea, conchiglia e avorio, e tre ‘dischisolari’, lamine d’oro di forma circolare con superfice ester-na convessa, probabilmente fissati in origine su un sup-porto di materiale deperibile (Fig. 19). La superficie hauna decorazione incisa e a sbalzo che richiama quella deidischi d’oro del ripostiglio di Gualdo Tadino (Bettelli1997, p. 734 s., fig. 434). Due dischi dello stesso tipo, ripie-gati, sono stati trovati sul piano di calpestio della grandestruttura, a breve distanza dalla fossetta che conteneva ilripostiglio.

Il secondo ripostiglio, formato da oggetti di bronzo,comprende alcune falci e asce di tipo friulano e nord-bal-canico, tutte frammentarie o fuori uso, giunte verosimil-mente via mare dal Nord dell’Adriatico come metallo darifusione (Guglielmino 2004-2006, p. 99 ss., fig. 3.3-5;Maggiulli cs). Per una considerazione analitica dei ma-teriali è necessario attenderne l’edizione integrale, ma cer-tamente possiamo rilevare fin da ora che questo comples-so è un documento straordinario dell’intensità degliscambi marittimi che si svolgevano nel corridoio adriaticonell’ebf, e probabilmente già in periodi più antichi.

Le ultime campagne di scavo e le analisi delle strutturee dei materiali ceramici indicano che l’abitato di Roca con-tinua nell’EdF.

I dati provenienti dai livelli e dalle strutture dell’EdBmostrano alcune caratteristiche che, almeno per ora, so-no esclusive di questo sito per quanto riguarda l’Italia con-tinentale, e che compaiono già nelle fasi iniziali, anche sesembrano più abbondanti ed evidenti nell’ebf. In partico-lare, si tratta della quantità molto consistente di ceramicadi tipo miceneo-TE probabilmente in gran parte importa-ta, della prevalenza di forme aperte da mensa, della pre-senza di altri oggetti significativi di provenienza egea, co-me il sigillo, e della lavorazione locale dell’avorio diippopotamo; l’evidenza relativa all’ebf comprende traccedi pratiche cultuali e arredi con una forte impronta egea oorientale e la produzione locale di bronzi di tipo egeo.

Quest’ultimo dato è particolarmente significativo per-ché contraddice la tendenza generale nei collegamenti fraItalia continentale ed Egeo per quanto riguarda il ruolo delmetallo e la direzione degli scambi. Come è noto, fra l’ebre gli inizi dell’ebf il principale indicatore degli scambi frale due aree è la frequente presenza di bronzi di tipo euro-peo, ma prevalentemente italiano, in contesti della Greciacontinentale, delle isole, e fino al Mediterraneo Orientale.

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Roca, con alcune altre località e complessi del Salento, sicaratterizza invece per la presenza di bronzi di tipo egeo,che nell’ebf vengono in parte anche prodotti localmente.Il più antico è probabilmente il pugnale dai livelli della mebdi Roca; al passaggio fra ebr ed ebf appartiene il riposti-glio di Surbo (Lecce), con una spada corta con impugna-tura a T della classe F delle spade egee (Fig. 20.1) e due pic-coli martelli simmetrici con foro ovale di tipo egeo ocipriota (Fig. 20.2, 3) (Macnamara 1970); altri elementivengono da ripostigli pugliesi dell’ebf, come lo spillonecon testa a globetto da Mottola (Taranto), con confrontiin contesti di età postpalaziale (cfr. Kilian Dirlmeier1984, tipo B; Dickinson 2006, p. 163, fig. 5.22.3, da Argo),e il martello asimmetrico con foro stretto rettangolare dal-lo stesso ripostiglio (Bietti Sestieri 1973, p. 392, fig. 6.1,2).La valva 2 di Roca comprende le impronte per due picco-li martelli asimmetrici con foro stretto rettangolare (Gu-glielmino 2005, pp. 39ss., fig. 6, con ampia discussione ebibliografia), tipo presente anche nel ripostiglio degli ori(Pagliara, Guglielmino 2005, ii.212). Un pezzo simile vieneprobabilmente da Firenze (Bietti Sestieri, Macnamara2007, n. 187). Coltelli con codolo piatto, di tipo egeo, sonodocumentati a Roca dalle valve di matrici nn. 2 e 5 (Fig. 18,in alto a destra), da un pezzo dal ripostiglio degli ori e daaltri tre dal pavimento del grande edificio, dal quale vieneanche la doppia scure già ricordata (Fig. 18, in basso a de-stra), uno strumento ben noto in area egea e del tutto sco-nosciuto in Italia continentale (Pagliara, Guglielmino2005, ii.213, ii.214-216, ii. 217). Coltelli a codolo piatto si tro-vano anche nella tomba 12 del tumulo di Santa Sabina, aScoglio del Tonno, a Torre Castelluccia e nel ripostiglio diScorrano (Guglielmino 2005, pp. 41 ss., figg. 4-5, 12-13, note 56-58).

Queste caratteristiche della produzione metallurgicapresente a Roca e nel territorio circostante sono una ulte-riore indicazione di un rapporto con la Grecia continenta-le e l’Egeo diverso da quello riconoscibile con l’area ioni-ca, e probabilmente connotato, per tutta la sua durata, dauna presenza più consistente, che investe in modo ricono-scibile aspetti come le pratiche religiose e le attività arti-gianali.

Da un lato, quindi, questo sito si presenta come una me-ta privilegiata della presenza micenea in Italia continenta-le; questo aspetto potrebbe essere in parte collegato allaprossimità della costa meridionale del Salento alla Greciasettentrionale, alle isole Ionie e al Peloponneso occidenta-le. La prevalenza a Roca, come, più a Sud, a Punta Meliso(Santa Maria di Leuca: Benzi, Graziadio 1996) di cera-mica micenea di probabile provenienza dal Peloponnesonord-occidentale all’epoca della crisi dei palazzi potrebbe

indicare una estensione aldilà dell’Adriatico degli sposta-menti di popolazione verso occidente che si verificano inGrecia continentale in questo periodo.

Un’altra caratteristica importante e significativa di Ro-ca è la sua posizione allo sbocco meridionale del corrido-io adriatico, cioè della via naturale di comunicazione fra ilMediterraneo centrale e orientale e l’Europa, che è stataattiva almeno dalla meb. Nell’ebf l’intensa partecipazionedi Roca alle attività di scambio che utilizzavano il corrido-io adriatico è dimostrata in modo eloquente dalle caratte-ristiche del ripostiglio dei bronzi: oggetti fuori uso prove-nienti dal Friuli o dalle regioni nord-balcaniche adiacenti,che arrivano via mare a Roca come materia prima per l’at-tività metallurgica.

Come si è accennato nelle sezioni precedenti, alcunielementi potrebbero indicare una presenza e attività ci-priota-fenicia nell’area adriatica, da Frattesina alle regionidel Caput Adriae, alla stessa Roca.

Fra i molti aspetti di questa situazione che sarà necessa-rio chiarire possiamo quindi includere anche la possibilitàche la persistente presenza di gruppi provenienti dallaGrecia a Roca e in altri siti della regione salentina sia lega-ta alla partecipazione diretta di quest’area al nuovo siste-ma di scambi che emerge nel Mediterraneo centrale a par-tire dal xiii sec. In questa nuova fase, in cui il movimentoverso occidente parte dal Mediterraneo Orientale mentrediminuiscono progressivamente i contatti dall’area egea,lo scambio non dipende più dai meccanismi di integrazio-ne culturale su una base politico-territoriale più o menoampia che caratterizzavano l’approccio ‘miceneo’, mapiuttosto dallo stimolo allo sviluppo di attività produttivee commerciali in centri presenti in molte regioni del Me-diterraneo con caratteristiche adatte dal punto di vista del-la posizione geografica e delle risorse: come, appunto,Frattesina e Roca. Da questo punto di vista, possiamo an-che chiederci se nell’ebf Roca debba essere consideratarappresentativa della partecipazione al nuovo sistema del-le regioni meridionali della penisola, o piuttosto come unaestensione al di là dell’Adriatico di attività con base nellaGrecia continentale e nell’Egeo.

6. Altri elementi per una conclusione

È molto difficile, per le ragioni che sono state indicate al-l’inizio, proporre come conclusione di questo lavoro ipo-tesi di ricostruzione storica interamente definite per l’ebfitaliana. Possiamo però cercare di estrarre dal testo prece-dente e di mettere meglio a fuoco alcune linee di tenden-za che emergono in modo relativamente chiaro e coeren-te su tutto il territorio della penisola e che possono essere

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messe almeno ipoteticamente in relazione con gli svilup-pi che ci sono noti per i secoli successivi, nella ief e nel-l’Orientalizzante.

In sostanza possiamo proporre uno schema basato suifattori di rilievo più generale che è stato possibile identifi-care nel quadro presentato in questo lavoro.

Sul piano degli sviluppi locali, cioè dei processi di arti-colazione interna che possiamo cogliere nelle comunitàdella penisola, le differenze strutturali più significative so-no quelle che separano le regioni centro-settentionali daquelle meridionali, qui esemplificate in particolare dal-l’area ionica.

Nel centro-nord lo sviluppo è qualificato da due fattoricollegati:

1. un processo di articolazione socio-politica ed econo-mica che per molti aspetti sembra essere strutturalmentelegato agli sviluppi del complesso palafitte terramare frameb ed ebr. Una condizione essenziale della continuità diquesto processo nei secoli successivi è la sua sostanzialeomogeneità su un territorio ampio, che nell’ebf com-prende, in tutto o in parte, l’Emilia orientale, l’area pada-na centro-orientale a N e a S del Po, la Romagna, le Mar-che, l’Umbria, l’Etruria toscana, l’Etruria meridionale, ilLazio, la Campania settentrionale.

Nella ief, che vede la crescita generalizzata di defini-zione politica e di identità culturale e linguistica su scalaregionale, in questa parte dell’Italia continentale emergein modo progressivamente più chiaro una differenziazio-ne fra l’area Villanoviana propria (Romagna costiera, areabolognese, Etruria toscana ed Etruria meridionale fino al-l’attuale territorio dell’Umbria), alcune estensioni nelleMarche e in Campania (il cosiddetto Villanoviano periferi-co), dove sono presenti anche aspetti culturali più specifi-camente locali, e sviluppi collaterali ma culturalmente epoliticamente separati nel Veneto (area di Este-Padova) enel Lazio antico.

2. Probabilmente a partire dalla fine dell’ebr, si ricono-sce su questo ampio territorio lo sviluppo di un grado re-lativamente avanzato di efficienza politico-organizzativa,che si concretizza nella tendenza diffusa alla centralizza-zione della decisione politica.

Una indicazione riconoscibile di questo cambiamento sitrova in particolare nella documentazione archeologicarelativa alle necropoli delle regioni a Nord del Po. Fra mebed ebr il tratto saliente della autorappresentazione fune-raria delle comunità è costituito da gruppi di sepolturemaschili con spada, verosimilmente rappresentativi delleunità di parentela che le costituiscono. Nell’ebf, pratica-mente in tutte le necropoli delle stesse regioni, sono pre-senti solo una o due sepolture di armati, verosimilmente

singoli capi politico-militari riconosciuti dall’intera comu-nità. Si tratta di un salto di livello che, come abbiamo vi-sto, si presenta su gran parte dell’area centro-settentrio-nale come una trasformazione strutturale permanente.

Le regioni meridionali si differenziano dal centro – nordsotto entrambi gli aspetti. I caratteri specifici degli svilup-pi riconoscibili sono:

1. la coesistenza di numerose entità politico-territorialiautonome e relativamente piccole anche nei casi in cui èpossibile ipotizzare l’esistenza di una gerarchia di centri adue ordini. A differenza di quello che avviene nell’area vil-lanoviana, e in particolare in Etruria meridionale, con laconcentrazione dell’insediamento sui grandi pianori dellefuture città etrusche, questa situazione non cambia in mo-do significativo fra ebf e ief.

2. Un livello di articolazione socio-politica che non sem-bra andare aldilà di una organizzazione delle comunità pergruppi di parentela formalmente paritetici. La competi-zione fra gruppi può risolversi nella preminenza tempo-ranea di un gruppo sugli altri, ma in nessuno dei casi notisembra portare a una trasformazione permanente dellastruttura del controllo politico, del tipo di quella che haluogo nell’area centro-settentrionale. È particolarmentesignificativa, in questo senso, la situazione osservata nellanecropoli della ief di Torre Galli, dove ognuno dei gruppifamiliari identificati come le unità di base della comunitàcomprende uno-due uomini che hanno fra gli oggetti dicorredo una spada, in genere associata ad altri segni di pre-stigio e di ruolo.

Gli altri elementi del quadro sono rappresentati dallecomponenti ‘esterne’ che a partire dalla meb giocano unruolo più o meno importante nei processi che interessanola penisola:

1. la componente egea, che compare in Italia prima del-la metà del ii millennio e si concentra nelle aree costieremeridionali, in particolare adriatica e ionica, con estensio-ni dirette o indirette nelle regioni centro-settentrionali. Se-condo una modalità specifica dei collegamenti a lunga di-stanza nel Mediterraneo nel ii millennio a.C., la baseprincipale di questa presenza non è sul continente, ma suuna grande isola, la Sicilia.

L’approccio dei navigatori egei con le comunità localidella penisola, come si presenta in particolare nell’area io-nica, è parcellizzato, i rapporti sono paritetici, fortementecondizionati dalla necessità di trovare con gli interlocuto-ri indigeni forme di integrazione che permettano la parte-cipazione alle reti locali di scambio.

2. La componente cipriota-fenicia, più recente, che su-bentra a quella egea nel corso del xiii sec. e che utilizza co-me base mediterranea la Sardegna, in posizione favorevo-

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le per movimenti e scambi verso occidente, e in subordi-ne la Sicilia.

L’approccio con le comunità indigene dell’Italia conti-nentale, radicalmente diverso da quello egeo, è di tipocommerciale-imprenditoriale. Frattesina è il complessoper ora più grande e più importante che sembra legittimoconsiderare in questa prospettiva: si tratta infatti, come ènoto, di un centro di grandi dimensioni all’incrocio di viedi scambio internazionale terrestri e marittime, con unaintensa attività di acquisizione e trasformazione di mate-rie prime in gran parte non locali e di scambi anche a lun-ga distanza. L’insieme delle produzioni rappresentate aFrattesina, e il loro volume complessivo, non hanno con-fronti in Italia, e documentano in modo inequivocabilel’emergere del nuovo sistema, il cui funzionamento èstrutturalmente affine a quello dei grandi empori cipriotie fenici, come per esempio, in un momento di poco più re-cente, Huelva, sulla costa atlantica dell’Andalusia (Gon-zalez De Canales Cerisola et alii 2003).

Nelle altre regioni italiane le possibili tracce di sviluppinella stessa direzione sono meno riconoscibili archeologi-camente rispetto alla presenza egea, ma già abbastanzanumerose e consistenti.

Una evidenza significativa è la circolazione di manufat-ti finiti, isolati o, più spesso, in associazioni ricorrenti, chetrovano i confronti più consistenti e le affinità più dirette,sia dal punto di vista formale, sia per quanto riguarda lematerie prime utilizzate, nelle produzioni di Frattesina;inoltre, almeno alcuni dei manufatti di questo gruppo par-tecipano a un sistema di circolazione che si estende a mol-te regioni del Mediterraneo. I tipi più riconoscibili, pre-senti in numerosi contesti contemporanei di abitato e dinecropoli su tutto il territorio italiano, sono le perle d’am-bra dei tipi Tirinto e Allumiere (Fig. 21) e alcune perle dipasta vitrea. Perle d’ambra tipo Tirinto sono state trovate,oltre che in Italia peninsulare e padana, a Lipari, in Sarde-gna, nella ex Iugoslavia, nelle isole Ionie, in Grecia conti-nentale, a Creta, Rodi e Ugarit, in Israele e in Ucraina; perle d’ambra a scanalature tipo Allumiere in Italia penin-sulare e padana, Sardegna, Svizzera, ex Iugoslavia, Alba-nia, Isole Ionie, Thasos, Ucraina (Negroni Catacchio etalii 2006, fig. 7, con bibliografia; Cultraro 2006, con ag-giornamenti sulla presenza di perle tipo Tirinto in areaegeo-balcanica). Alcuni tipi di perle di pasta vitrea ben no-ti a Frattesina, dove sono caratterizzati dalla tipica com-posizione locale ad alcali misti, e spesso associati in Italiacon perle d’ambra tipo Tirinto e Allumiere, sono presentiin molte regioni europee, e anche in area egea. Si tratta diperle dei tipi in vetro blu a botticella con decorazione a spi-rale di pasta bianca, ad anello, a occhi cornuti blu e bian-

chi, trovate in particolare nella necropoli di Elatia-Alona-ki, in Focide, dove compaiono anche perle d’ambra tipoTirinto. A Thasos sono presenti perle d’ambra tipo Allu-miere e vetri ad alcali misti. Sembra quindi che, a diffe-renza di quanto avveniva nei periodi precedenti dell’EdB,in cui perle di vetro o faience di provenienza orientale oegea si trovano in contesti dell’Italia continentale e dellaSicilia, nell’ebf perle di vetro e di ambra di tipo ‘occiden-tale’ viaggino insieme in direzione dell’Egeo e del Medi-terraneo Orientale (Bellintani et alii 2006, p. 1513ss.).

Un altro manufatto che rientra in questo gruppo, il pet-tine tipo Frattesina (Fig. 22), di avorio o, in alcuni casi perlo più non verificati analiticamente, di corno di cervo, conparte superiore semicircolare, rientranze laterali e deco-razione a cerchielli impressi, è presente in necropoli e abi-tati di tutta Italia (Frattesina, Caorle, Castions di Strada,Pianello di Genga, Gubbio-Monte Ingino, Guidonia LeCaprine, Timmari, Torre Mordillo) e compare a Cipro nel-la tomba 6 della necropoli di Enkomi (Vagnetti et alii2006, pp. 20ss, fig. iB, nn. 6-17, con bibliografia; v.sotto peril pezzo da Maccarese - Le Vignole).

Modalità almeno in parte simili potrebbero essere al-l’origine della circolazione di alcuni manufatti di bronzodi tipo ‘occidentale’ che compaiono nell’ebf fra Sardegna,Sicilia, Etruria meridionale costiera e nella penisola iberi-ca (Giardino 2005, pp. 49ss., 191ss.).

Alla circolazione di oggetti di ornamento descritta soprasi collegano alcuni complessi venuti in luce negli ultimi an-ni, che sembrano avere una destinazione produttiva esclu-siva o nettamente prevalente, con molti elementi di con-fronto con le produzioni di Frattesina per quanto riguardasia le materie prime utilizzate, sia la tipologia dei manufat-ti. Un esempio è la ‘casa-laboratorio’ dell’ebf di Scarceta(Fig. 23), con documentazione di attività metallurgica e dilavorazione di pasta vitrea, ambra, osso, corno di cervo oltre a possibili indizi della lavorazione di ambra e vetro(Poggiani Keller 1999, pp. 74-127); un altro i gruppi distrutture scavate recentemente a Maccarese, località Le Vi-gnole (Facciolo et alii cs), che si presentano come superfi-ci artificiali costruite originariamente in ambiente umido,quindi con ampia disponibilità di risorse idriche. Si tratta dipiattaforme di dimensioni relativamente piccole (ca. m 5 ×5) isolate per mezzo di recinti di legno e fibre vegetali e co-stituite da livelli sovrapposti formati da elementi vegetali,sabbia, terra e frammenti ceramici, con possibile indica-zione di attività produttive pirotecnologiche e non (metal-li, vetro, corno di cervo, ambra, avorio, probabilmente ceramica e tessuti; i materiali da questo sito comprendonoanche un pettine d’avorio tipo Frattesina). A questa cate-goria potrebbero appartenere anche la struttura di Mosco-

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si di Cingoli, databile all’ebr, con evidenza di lavorazionedel bronzo, del corno di cervo e del vetro (Silvestrini etalii 2004, p. 141s.146s., fig. 1), e il sito di Longola-Poggioma-rino, sul Sarno, formato da ‘isolotti’ artificiali con conti-nuità di uso almeno dalla ief all’Orientalizzante (ma con livelli ancora non esplorati compresi fra meb ed ebf); anchequi compaiono tracce consistenti di lavorazione di metalli,ambra (perle a scanalature tipo Allumiere), avorio ricavatoda denti di maiale, cinghiale e orso, osso, corno di cervo,pietra, ceramica, tessuti (Longola 2005, schede 9-12).

La produzione e la circolazione dei manufatti che pos-siamo definire complessivamente tipo Frattesina continuadall’ebf fino alle fasi inziali della ief. I dati, ancora moltoframmentari, che possiamo utilizzare per un tentativo dilettura di queste evidenze, sono comunque interessanti, etoccano livelli e ambiti geografici e cronologici diversi.

La produzione e circolazione di questi manufatti è ba-sata su alcuni fattori che nel loro insieme costituisconouna indicazione evidente della operatività di un sistemacomplesso:

- la presenza di materie prime di diversa provenienza:metalli probabilmente dalla zona alpina, e poi dall’Etruria(Pearce 2000; 2007), ambra prevalentemente dal Baltico,avorio di elefante presumibilmente dall’Africa settentrio-nale; corno di provenienza locale.

- Una evidente gerarchia di centri, basata sul numero difunzioni e sulle dimensioni della produzione. Frattesinapuò essere identificata come un emporio internazionaleall’incrocio di vie di scambio europee e mediterranee, confunzioni di acquisizione e trasformazione delle materieprime e di scambio di semilavorati (per esempio i pani apiccone di bronzo) e di una gamma molto ampia di ma-nufatti. Piccoli siti produttivi, come Scarceta e Maccarese,dipendono probabilmente dai centri maggiori per il rifor-nimento di materie prime, oltre che dei modelli per i varitipi di produzioni.

- La possibilità che queste due categorie di complessisiano integrate in un ampio sistema di produzione e scam-bio è fortemente indiziata dalla circolazione interregiona-le di modelli omogenei per la produzione dei manufatti.Manufatti molto simili per materia prima, forma e tipocomprendono, oltre alle perle d’ambra e di vetro dei tipidescritti e ai pettini d’avorio tipo Frattesina, anche moltioggetti di corno di cervo, come alamari e teste di spilloneconiche (cfr. C. Colonna 2006, tavv. 91-94). Sembra evi-dente che non ci troviamo di fronte a produzioni locali au-tonome, ma alle diramazioni di un sistema di produzionee scambio che distribuisce materie prime e modelli. Daquesto punto di vista le modeste variazioni tipologiche os-servate per esempio nelle perle d’ambra dei tipi Tirinto e

Allumiere e nei pettini tipo Frattesina non hanno in primoluogo un significato cronologico, ma rispondono proba-bilmente alla variabilità insita nella riproduzione deglistessi modelli in contesti diversi.

- La centralità dell’Italia in questo sistema. Il primo deifattori da considerare da questo punto di vista è la voca-zione naturale del territorio italiano, e in particolare delversante adriatico, a svolgere un ruolo di collegamento fraMediterraneo orientale ed Europa, grazie a una colloca-zione alla confluenza di vie terrestri e marittime da e ver-so questi due mondi; vocazione che dispiega le sue poten-zialità in corrispondenza di fasi di sviluppo degli scambi,come è avvenuto nell’EdB, e più volte in età storica. Il se-condo fattore dipende dal fatto che la crescita di comples-sità socio-politica che fra ebf e ief si verifica in Italia cen-tro-settentrionale con lo sviluppo di Frattesina e poi deicentri villanoviani, fa dell’Italia, e in particolare delle re-gioni centro-settentrionali, quello che Albert Nijboer hadefinito recentemente (2008) una land of opportunities. Inaltri termini, la situazione complessiva che si sviluppa fraebf e ief rappresenta una condizione favorevole per ilcoinvolgimento di tutto il territorio italiano nel sistema di-namico di produzione e di scambi che parte dal Mediter-raneo Orientale; ma in questo quadro il primo emergeree il consolidamento di strutture politiche ed economicheforti è probabilmente all’origine della concentrazione del-le presenze attive prima al Nord (Frattesina) e poi nelle re-gioni interessate dallo sviluppo del villanoviano ‘centrale’(Emilia, Romagna, Etruria toscana e meridionale) e peri-ferico (Marche, Campania).

Come è evidente, si tratta di un insieme di problemi digrande rilevanza storica, che sarà necessario esaminare intermini molto ampi per arrivare a conclusioni più solide diquelle che è possibile proporre come chiusura di questo lavoro.

Una delle questioni di maggiore interesse che emergedall’insieme degli elementi esaminati è la possibilità dellapartecipazione attiva di una componente orientale ciprio-ta/fenicia al più antico processo di strutturazione del-l’Etruria che avviene fra ebf e ief. È anche interessantesottolineare che l’insieme dell’evidenza archeologica rela-tiva ai collegamenti da oriente che investono l’Italia fra ilii e gli inizi del i millennio a.C. ci costringe a rivedere al-cune convinzioni fortemente radicate: in particolare, sem-bra evidente che la presenza egea, anche se pervasiva e dilunga durata, non ha rappresentato un elemento signifi-cativo di trasformazione strutturale delle comunità delleregioni meridionali. Al contrario, il contatto dal Levanteha costituito un importante fattore di stimolo al processodi consolidamento dell’organizzazione politica ed econo-

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mica delle regioni centro-settentrionali. Le ragioni di que-sta differenza vanno probabilmente ricercate da un latonella capacità di penetrazione di un sistema di produzionee di scambio di tipo industriale/commerciale, almeno inparte svincolato dalla rete di obbligazioni sociali che ca-ratterizza l’economia dell’EdB italiana; dall’altro dallamaggiore possibilità di recepire e adottare il nuovo siste-ma da parte di comunità con un ampio radicamento terri-toriale, una capacità consolidata di controllo politico e unalunga tradizione di scambi sistematici in direzione del-l’Europa transalpina e nord-balcanica e della penisola.

RiassuntoL’articolo propone un’analisi critica dei dati e delle ricostruzio-ni storico-archeologiche relativi a quattro situazioni particolar-mente rappresentative dell’età del Bronzo finale della penisola:in Italia centrale l’Etruria e il Lazio antico, in Italia meridionaledue siti oggetto di ricerche intensive tuttora in corso, Broglio diTrebisacce e Roca Vecchia.

Queste situazioni vengono contestualizzate da un punto divista spaziale nel quadro degli sviluppi contemporanei sia sulterritorio italiano attuale, sia nell’intera area del Mediterraneo,mentre dal punto di vista cronologico le linee di tendenza cheemergono dall’analisi vengono messe a fuoco come momentispecifici di traiettorie diacroniche, che occupano gli ultimi se-coli del ii e quelli iniziali del i millennio a.C.

Un aspetto rilevante di questo quadro è il declino della pre-senza egea nel Mediterraneo centrale, sostituita dall’iniziativacipriota-fenicia, fortemente orientata alla diffusione capillare diattività produttive e di scambio che si estende fino all’estremoOccidente.

Il nuovo sistema di scambi investe gran parte del territorioitaliano, ma una partecipazione attiva anche dal punto di vistadell’organizzazione della produzione riguarda in particolare leregioni centro-settentrionali, grazie alla presenza di una baseterritoriale ampia (la pianura Padana e successivamente l’Etru-ria) e allo sviluppo precoce di processi di centralizzazione delladecisione politica. Queste condizioni favoriscono la comparsa digrandi centri produttivi e nodi di scambio internazionale, concontinuità da Frattesina, central-place padano dell’età del Bron-zo finale, ai centri Villanoviani, con ricadute anche sulle regionivicine, in particolare il Veneto e il Lazio antico.

Summary

This paper analyzes the material data and archeological-historical re-constructions relative to four regional areas or individual contexts, allof which are expecially representative of the Italian Final Bronze Age(hereafter fba): southern Etruria and Ancient Lazio in central Italy,and two sites in southern Italy: Broglio di Trebisacce (Cosenza, Cal-abria) and Roca Vecchia (Lecce, Puglia). These different local situationsare then contextualized within the present Italian territory, and thewhole Mediterranean area. The different trends highlighted by the

analysis provide a significant sample of the articulate processes whichtook place between the end of the 2nd and the early 1st millennium bc. Arelevant feature of this period is the decline of the intensive sailings fromthe Aegean regions towards the central Mediterranean. From the 13th

cent. bc, the Mycenaean presence was steadily substituted by increas-ing contacts from the Eastern Mediterranean (Cyprus ad Phoenicia).The eastern approach was characterized by the spreading of trade andproductive activities from the Levant to the Atlantic coast of the Hiber-ian peninsula. The new trade system involved the whole area of Italy,and was especially active along the Adriatic sea and in the eastern Poplain: in this region, two major central places emerged during the fba

and eia: Frattesina, in southern Veneto, and the Villanovan centre ofBologna, both showing some significant indication that a centralizedpolitical system was operating. A contemporary as well as structurallysimilar development took place in southern Etruria. During the eia,other areas of Italy, such as Veneto and Ancient Lazio, became activelyinvolved in the main trend of socio-political and economic change.

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Anna Maria Bietti SestieriUniversità del Salento - Dipartimento di Beni Culturalivia Birago, 6473100 Lecce

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Fig. 1. Statuetta antropomorfa dall’abitato diCampomarino (Campobasso). Rielaborato daDi Niro 1991.

Fig. 2. Corredo di sepoltura a incinerazione con armi della i età delFerro, da Tarquinia (Viterbo).

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Fig. 3. Età del Bronzo finale, materiali della facies Chiusi-Cetona. 1-3 Livorno-Stagno; 4 Le Sparne (Pitigliano, Grosseto); 5-6 MonteIngino (Gubbio, Perugia); 7 S.Michele di Valestra; 8 Monte Lieto (Stazzema, Lucca); 9 Vallin del Mandorlo (S.Vincenzo, Livorno).Rielaborato da Zanini 2000.

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Fig. 4. Età del Bronzo finale, fase antica. Corredo della tomba a incinerazione 227 delle necropoli delle Narde di Fratta Polesine(Rovigo). L’eccezionalità del corredo è indicata in particolare dalla presenza della spada tipo Allerona con chiodi d’oro, spezzata intenzionalmente (n. 3), di altri ornamenti d’oro (nn. 5 e 7) e del coltello (n. 18). Rielaborato da Salzani 1989a.

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Fig. 5. Etruria meridionale, materiali della facies di Allumiere (età del Bronzo finale, fase tarda). In alto a sinistra coperchio di urnacineraria che riproduce un tetto di capanna con terminazione ad apice; la decorazione incisa riproduce elementi strutturali del tetto. Rielaborato da Di Gennaro, Guidi 2000.

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Fig. 6. Il territorio del Lazio antico, dal corso del Tevere (indicato dalla posizionedi Roma), al promontorio del Circeo. Immagine Google Earth.

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Fig. 7. Il pianoro di Lavinium (Pratica di Mare, Roma).

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Fig. 8. Età del Bronzo finale, fase antica. (a) Pratica di Mare, gruppo di incinerazioni sul pianoro, urna e fibula con arco a doppiapiegatura dalla tomba 6. (b) urna biconica con decorazione a lamelle metalliche applicate da Campo del Fico (Ardea, Roma).

Fig. 9. Età del Bronzo finale, fase avanzata (i periodo laziale). (a) corredo della tomba femminile a incinerazione di San LorenzoVecchio (Rocca di Papa, Roma). La statuetta in atteggiamento di offerta è probabilmente una rappresentazione della defunta, indimensioni corrispondenti agli oggetti miniaturizzati del corredo e all’urna a capanna. (b) corredo della tomba maschile a incine-razione 2 da Roma, Foro di Cesare. Urna con coperchio conico a tetto e vasi e bronzi miniaturizzati (coltello, lancia, fibula ser-peggiante, rasoio). La statuetta e il coltello indicano probabilmente il ruolo sacerdotale dei due defunti.

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Fig. 10. Posizione e morfologia del sito di Roma, caratterizzato dalla collocazione sul Tevere, in corrispondenza dell’Isola Tiberina,e dall’alternanza di piccoli pianori e aree pianeggianti di fondovalle.

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Fig. 11. (a) la regione Calabria, con la posizione dell’abitato di Broglio di Trebisacce (n. 1) e della necropoli di Castellace (n. 2).(b) siti dell’età del Bronzo finale nel territorio della piana di Sibari. La posizione dell’abitato di Broglio, sulla prima fascia di collineal disopra della pianura costiera, è indicata dal pallino più grande.

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Fig. 12. Broglio di Trebisacce, ceramica di tipo miceneo (a), grigia tornita (b), e d’impasto (c).

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Fig. 13. Età del Bronzo finale, necropoli a inumazione di Castellace: corredo della tomba del 1927, con spada, coltello, punta di gia-vellotto e cote, e bracciali di filo d’oro da un corredo femminile. Rielaborato da Pacciarelli 1999.

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Fig. 14. Posizione dell’abitato di Roca Vecchia, che occupava unapiccola penisola sulla costa adriatica del Salento. La carta mostra lalaguna costiera alle spalle dell’abitato, oggi scomparsa, e una rico-struzione ipotetica della estensione originaria della penisola.

Fig. 15. Roca Vecchia, età del Bronzo finale, pianta del grande edificio.

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Fig. 16. Roca Vecchia, età del Bronzo finale. (a) dolio cordonato; (b) vaso a due ansedi ceramica protogeometrica locale con pittura a vernice opaca.

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Fig. 17. Roca Vecchia, età del Bronzo finale. Statuette antropomorfe.

Fig. 18. Roca Vecchia, età del Bronzo finale. Ceramica di stile MiciiiC, forme di fusione, martelli e doppia scure di tipo egeo.

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Fig. 19. Roca Vecchia, età del Bronzo finale. ‘Disco solare’ di lamina d’oro.

Fig. 20. Transizione età del Bronzo recente-finale. Il ripostigliodi Surbo (Lecce), con spada e martelli di tipo egeo.

Fig. 21. Perle d’ambra dei tipi Tirinto e Allumiere.

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Fig. 22. Pettini d’avorio tipo Frattesina, da Frattesina (Fratta Polesine, Rovigo).

Fig. 23. Scarceta (Pitigliano, Grosseto). La casa-laboratorio dell’età del Bronzo finale. Rielaborato da Poggiani Keller 1999.

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composto in carattere dante monotypedalla fabriz io serra editore, p i sa · roma.stampato e r ilegato nella t ipografiadi agnano, agnano p i sano (p i sa) .

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Giugno 2009

(cz2/fg21)

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