Biblioteca di via Senato€¦ · Gioconda, perché la Giocondaè in casa mia e la resti-tuirò al...

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n. 4 – aprile 2019 la Biblioteca di via Senato Milano mensile, anno xi PERSONAGGI D’Annunzio a Parigi: i libri e la Gioconda di giuseppe scaraffia NOVECENTO La prima fuga del giovane Holden di antonio castronuovo BIBLIOFILIA DEL GUSTO Eugenio Montale tra poesia, cibo e arte di massimo gatta BIBLIOFILIA Medicamenta alla portata di tutti di giancarlo petrella IL LIBRO DEL MESE La storia dell’arte in casa editrice di annalisa laganà LO SCAFFALE DEL BIBLIOFILO Castelvetro e il ‘giuoco’ degli scacchi di giancarlo petrella BIBLIOTECHE Storie e leggende di una ‘libraria’ gesuitica di stefano drei ISSN 2036-1394

Transcript of Biblioteca di via Senato€¦ · Gioconda, perché la Giocondaè in casa mia e la resti-tuirò al...

n. 4 – aprile 2019

la Biblioteca di via SenatoMilanomensile, anno xi

PERSONAGGID’Annunzio a Parigi: i libri e la Giocondadi giuseppe scaraffia

NOVECENTOLa prima fuga del giovane Holdendi antonio castronuovo

BIBLIOFILIA DEL GUSTOEugenio Montale tra poesia, cibo e artedi massimo gatta

BIBLIOFILIAMedicamentaalla portata di tuttidi giancarlo petrella

IL LIBRO DEL MESELa storia dell’arte in casa editricedi annalisa laganà

LO SCAFFALE DEL BIBLIOFILOCastelvetro e il ‘giuoco’degli scacchidi giancarlo petrella

BIBLIOTECHEStorie e leggende di una ‘libraria’ gesuiticadi stefano drei

ISSN 2036-1394

Aldo Manuzio e la nascita dell’editoria

Martin Lutero cinquecento anni dopo

intervengonoGiancarlo Petrella

Stefano Salis

introduceGianluca Montinaro

la Fondazione Biblioteca di via Senatoha il piacere di invitarLa

alla presentazione dei primi due volumi della

“Piccola Biblioteca Umanistica”Firenze, Leo S. Olschki, 2019

lunedì 6 maggio 2019 – ore 18Biblioteca di via SenatoVia Senato, 14 – Milano

Sommario6

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PersonaggiD’ANNUNZIO A PARIGI: I LIBRI E LA GIOCONDAdi Giuseppe Scaraffia

NovecentoLA PRIMA FUGA DEL GIOVANE HOLDENdi Antonio Castronuovo

Bibliofilia del GustoEUGENIO MONTALE TRA POESIA, CIBO E ARTEdi Massimo Gatta

BibliotecheSTORIE E LEGGENDE DI UNA ‘LIBRARIA’ GESUITICAdi Stefano Drei

BibliofiliaMEDICAMENTAALLA PORTATA DI TUTTIdi Giancarlo Petrella

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Il Libro del MeseLA STORIA DELL’ARTE IN CASA EDITRICEdi Annalisa Laganà

Lo Scaffale del BibliofiloCASTELVETRO E IL ‘GIUOCO’DEGLI SCACCHIdi Giancarlo Petrella

IN SEDICESIMO – Le rubricheLO SCAFFALE –L’APPUNTAMENTO DEL MESE – RIFLESSIONI E INTERPRETAZIONI –ANDAR PER MOSTRE –IL LIBRO D’ARTE –IN APPENDICE/FEUILLETON di Lorenzo Fiorucci, Greta Massimi,Luca Pietro Nicoletti e Errico Passaro

la Biblioteca di via Senato – MilanoMENSILE DI BIBLIOFILIA E STORIA DELLE IDEE

anno XI – n.4/104 – Milano, apri le 2019

Biblioteca di via SenatoVia Senato 14 - 20121 MilanoTel. 02 76215318 - Fax 02 76215316segreteria@bibliotecadiviasenato.itwww.bibliotecadiviasenato.itPresidenteMarcello Dell’UtriSegreteria Margherita SavareseServizi GeneraliGaudio SaracinoResponsabile Archivio MalaparteMatteo Noja

«la Biblioteca di via Senato»Direttore responsabileGianluca MontinaroVicedirettoreAntonio CastronuovoComitato scientificoClaudio Bonvecchio; AntonioCastronuovo; Massimo Gatta; Gianluca Montinaro; Giorgio Nonni;Giancarlo Petrella; Giovanni Puglisi; Ugo Rozzo; Giuseppe ScaraffiaProgetto graficoElena BuffaFotolito e stampaGalli Thierry, MilanoImmagine di copertinaLudovico Antonio Muratori, Dissertazioni sopra le antichità italiane, tomo primo, Monaco, Olzati, 1765 Stampato in Italia© 2019 – Biblioteca di via Senato EdizioniTutti i diritti riservatiReg. Trib. di Milano n. 104 del 11/03/2009

AbbonamentoItalia: 50 euro, annuale (undici numeri)Estero: 60 euro, annuale (undici numeri)

Il pagamento può essere effettuato tramitebonifico bancario, sul conto correnteBancoPostaImpresa IT67G 07601 01600 00103 1448721intestato a Fondazione Biblioteca di viaSenato. Una volta effettuato il pagamentocomunicare i propri dati, comprensivi diindirizzo e codice fiscale, a:[email protected]

L’Editore si dichiara disponibile a regolare eventualidiritti per immagini o testi di cui non sia statopossibile reperire la fonteTutti i contributi, prima di essere pubblicati, sonorivisti in forma anonima. «la Biblioteca di via Senato»è un mensile che utilizza il metodo della valutazionetra pari (peer review)

Ringraziamo le Aziende che ci sostengono con la loro comunicazione

Si inaugura, con l’uscita dei primi duevolumi – Aldo Manuzio e la nascitadell’editoria e Martin Lutero

cinquecento anni dopo – la “PiccolaBiblioteca Umanistica”, collana di studi della Biblioteca di via Senato, stampata presso l’editore Leo S. Olschki.

Due volumi su due ‘personaggi’ che,ognuno nel proprio campo, hanno contribuito a cambiare il volto dell’Europa Occidentale.L’uno – Aldo Manuzio, celebre stampatore e fine umanista – mettendo le basi di quella che è, a tutt’oggi, la professione di editore‘moderno’, nell’accezione più alta di‘organizzatore culturale’. L’altro – MartinLutero, religioso dallo spirito inquieto –aprendo (seppur fra tante contraddizioni) a una nuova coscienza individuale e a una

visione alternativa del rapporto col divino.Due volumi che si propongono d’essere

strumenti d’approfondimento: scientifici e puntuali. Ma pure chiari e agili. E che, in virtù di ciò, si rivolgono non solo al mondoaccademico ma soprattutto a coloro che,appassionati al dibattito delle idee, intendonoconoscere meglio queste due paradigmatichefigure.

Aldo Manuzio e la nascita dell’editoriae Martin Lutero cinquecento anni doposaranno presentati – da Giancarlo Petrella e Stefano Salis – il prossimo lunedì 6 maggio,alle ore 18, negli spazi della Biblioteca di viaSenato (via Senato, 14 – Milano).Un’occasione – alla quale ne seguiranno altre,in differenti città d’Italia – da non mancare, e alla quale invitiamo tutti i nostri lettori!

Gianluca Montinaro

Editoriale

7aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

vano versati gli aperitivi. D’Annunzio presiedevaseduto spesso tra due incantevoli dame, stupendoi francesi con la sua assoluta padronanza della lorolingua. Ma quello che più impressionava gli ospitiera il passaggio continuo dalla spontaneità alla re-citazione, dalla semplicità alla posa. Raccontava lestorie più incredibili e affascinanti senza lasciarecapire se ci credesse anche lui. Prima di caderesotto il suo fascino, le donne guardavano stupite ilfisico deludente di quel celebre seduttore. Il viso,sotto la testa calva, era avvizzito, il naso grosso egli occhi cerchiati da aloni bluastri. Ma, appenacominciava a parlare, quell’uomo minuto diven-tava irresistibile. Non era soltanto quello che di-ceva, ma come lo diceva. «Udivo la sua voce, per laprima volta: scandita, metallica, e insieme carez-zevole, dava di per sé una sensazione analoga aquella che suscitano le sue liriche più prestigiose:di trasognamento», osservò Sibilla Aleramo. NelLibro segreto (1935) d’Annunzio confessava: «Mo-

D’ANNUNZIO A PARIGI: I LIBRI E LA GIOCONDA

Il fascino del Vate in Francia

D’Annunzio sapeva trasformare in casaogni luogo. Persino la suite del lussuo-so Hotel Meurice fu presto sepolta

sotto una valanga di cuscini e di stoffe preziose ac-quistati a credito. Chi, dopo avere ricevuto da unmessaggero nero una busta violacea con l’invito, sipresentava per una cena o per un déjeuner dinatoirealle due e mezzo, restava colpito dalla raffinatezzadella tavola e dall’estrema cortesia del poeta.

Anticipando le mode di molti anni, i piattivenivano serviti su un tavolo protetto solo da unalastra di vetro, senza tovaglia. Cavallini di porcel-lana bianchi e neri galoppavano intorno ai bic-chierini grigio fumo di foggia romana, in cui veni-

Personaggi

di GIUSEPPE SCARAFFIA

Nella pagina accanto: Gabriele d’Annunzio, ritratto nel suo

studio, alla Capponcina (Firenze), negli anni

immediatamente precedenti al trasferimento in Francia

d’annunzio in paris: the books and the “gioconda”The article depicts the poet Gabriele d’Annunzio in Paris, in between literature and dandyism and astonishing theFrench for his absolute mastery of their language. He was living partly in rue Bassano 11, partly in avenue Kléber47, where he kept on the piano the scores of Debussy, his beloved «Claude de France», and also held antique musicalinstruments such as a double keyboard spinet and an Érard harpsichord. It was in those houses that, in 1913,d’Annunzio planned to write L’homme qui a volé la Gioconda: in it, he would state that the Gioconda was in his house and that he would return it to the Louvre as soon as the book would publish. In 1914, he worked there on the captions of the silent film Cabiria.

dulo la mia voce per sedurre, per incantare, perdomare».

Alla fine del pranzo, mentre si sorseggiavacaffè turco o tè di verbena nello studio, d’Annun-zio sciorinava i suoi tesori, dalla collezione di pro-fumi custodita in un cofano antico a due improba-bili reliquie: un flacone di olio di rose di LucreziaBorgia e la boccetta da profumo di Machiavelli.Un giorno si vide Rilke, indifferente ai gridolinid’ammirazione delle invitate, affondato in unapoltrona, immobile e «come trasformato nella suaombra» osservare con malinconica ironia tuttoquell’entusiasmo. Alcuni dei libri che d’Annunzio

leggeva «alla luce gialla di piccole clessidre illumi-nate dall’interno» erano stati rilegati dal famosoLéon Gruel (1841-1923) e avevano sul dorso e sulrecto un piccolo labirinto in oro.

Nel 1913 Ferruccio Busoni, in forse per unacollaborazione artistica con d’Annunzio, lo trovòall’11 di rue Bassano - sei stanze al terzo piano - av-volto in una vestaglia giapponese che gli sembròstranamente femminile. Il poeta era pallidissimo ela concentrazione invecchiava i tratti del viso. «Stoappunto scrivendo un libro: L’homme qui a volé laGioconda, perché la Gioconda è in casa mia e la resti-tuirò al Louvre non appena il libro sarà pubblica-

Da sinistra: copertina della prima edizione (1935) del Libro segreto di Gabriele d’Annunzio (qui con lo pseudonimo di

«Angelo Cocles asolano») stampato a Verona, da Arnoldo Mondadori; Marie de Régnier (1875-1963), anche nota con il

suo nom de plume Gérard d’Houville. Nella pagina accanto in basso: Léon Gruel con il pittore-illustratore Louis-Edouard

Fourmier, in una foto del maggio 1913

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to». Mentre lo ascoltava Busoni si chiedeva, comegià altri in varie circostanze, se il poeta fosse con-vinto di quello che stava dicendo oppure stesse ela-borando ad alta voce un progetto letterario.

L’uomo che ha rubato la Gioconda proviene dauna famiglia di pitttori mistici che risale a 600anni fa. Egli me la portò ad Arcachon. Sulla fi-gura della Gioconda si erano accumulati tanti se-coli di adorazione e di amore, che il sentimentodi tante migliaia di uomini aveva, in fine, fattopartecipe il quadro della sua propria vita. Peròera necessario uccidere un uomo perché la Gio-conda si appropriasse direttamente di un certoelemento del sangue proveniente dal cuore;l’azione mistica riuscì e io ho vissuto quattrogiorni con la Gioconda. Il mio potere non duròpiù a lungo ed essa si dissolse. Sul quadro è rima-sto solo il paesaggio e nel paesaggio solo il suosorriso; nel paesaggio è rimasto impresso il ge-sto del suo sorriso ma la figura è scomparsa. AlLouvre il quadro verrà restituito in questo stato.

Aggiunse che ad Arcachon, dove aveva unavilla, avrebbero lavorato bene insieme perché ilpaesaggio era fluttuante, «le nubi sono le onde, e leonde la foresta, ed essa è inafferrabile». L’immensacultura dello scrittore turbava i colleghi. Mentreparlavano Busoni aveva notato che dai libri del pa-drone di casa uscivano strisce di carta: «con tuttaprobabilità egli sfrutta i passi segnati, quando glifanno bisogno - per il suo proprio libro».

�Un’altra sera d’Annunzio l’aveva invitato a ce-

na a un’ora insolitamente avanzata. La russa che eracon loro, probabilmente la bellissima contessa Na-thalia de Goloubeff, era molto più alta del poeta,ma, contrariamente a quello che si diceva delle sueintemperanze, era rimasta tranquilla. Aveva sussul-tato solo quando il Vate aveva annunciato di averesolamente due anni di vita. Mentre la russa lo fissa-

va terrorizzata, Busoni era scoppiato in una risata,mentre d’Annunzio, invece di offendersi, si era li-mitato a sorridere, replicando: «Sì, ma è così».

Nei primi mesi del 1914 anche il nuovo ap-partamento ammobiliato al 47 di Avenue Kléberaveva subito il trattamento dannunziano a base divelluti e cuscini. «Creava un’atmosfera insieme dabottega di un antiquario e laboratorio di un alchi-mista». Solo l’abate Mugnier - il sacerdote snobprediletto dall’aristocrazia per il suo spirito e lasua cultura - abituato a sondare gli abissi delle ani-me, aveva notato la bruttezza dell’arredamentodietro i paraventi e le stoffe dorate. Sempre prontoa mettersi in sintonia con l’ospite d’Annunzio ave-va sostenuto di essere sempre «in stato di fervo-re», per poi passare alla sua «impotenza a odiare»,malgrado i molti attacchi subiti. Poi gli aveva mo-strato dei vasi che asseriva di avere modellato dipersona in un atelier in rue de Suffren. Sul piano-forte spartiti del Cinquecento fiancheggiavanoquelli dell’amato Debussy, da lui chiamato «Clau-de de France». Alle pareti ritratti di contempora-

9aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

nee rivaleggiavano con alcunetele del Settecento. Antiche ar-mi damascate convivevano paci-ficamente con eccentrici bibelotsu cui il padrone di casa erapronto a narrare aneddoti fiabe-schi. Come Balzac sapeva tra-sformare i suoi acquisti attri-buendoli ai più grandi maestrifino a convincersene lui stesso.Così in breve un anonimo qua-dro del Settecento era diventato«il mio piccolo Watteau». A chisi meravigliava che un noto su-perstizioso come lui tenesse inmostra sul camino le piume dipavone, spiegava premurosa-mente che portavano sfortunasolo se erano 999. Ma il mobilepiù curioso era il pungiball con cui il poeta si alle-nava quotidianamente, salvo nasconderlo, al mo-mento delle visite, sotto una vecchia parruccaarancione.

Malgrado il fiume di debiti - «Io sono tantostufo di trovarmi sempre in guai per il danaro, chemedito di ritirarmi in un Convento della Trappa» -d’Annunzio continuava a sedurre. Negli otto mesiin cui rimase in quelle stanze, lavorò alle didascalie

del film Cabiria ed ebbe, a sentireil segretario Tom Antongini, ot-to diverse amanti. Ma non tuttele donne che annusavano l’in-censo aleggiante nell’aria cede-vano al suo impeto. Lì la giovaneSibilla Aleramo, riparata a Pariginel tentativo di dimenticareUmberto Boccioni, aveva potutoavere un assaggio del suo fasci-no, senza però soggiacervi. Ungiorno lo scrittore la ricevette aletto sotto una grande coperta diermellino. Era convalescente, siscusò, ma il «volto trasparente,traslucido… illuminato dall’in-terno» lo faceva sembrare quasiultraterreno. Quando, consolatadalle sue parole, si chinò per ba-

ciargli le mani, lui la fermò e le baciò prima la fron-te e poi la bocca «rapido e lieve», ripetendole: «Vi-vrete. Coraggio. Ci ritroveremo». Un’attrice fa-mosa come la flessuosa Marguerite Moreno, asse-diata di messaggi, aveva acconsentito a cenare conlui. Moreno «ammirava profondamente il poetache trovava pieno di fuoco». L’aveva avvertito chetra loro non sarebbe successo nulla, ma l’altro ri-mase ugualmente deluso. «Ecco il vestito alle chi-

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mere, ella è morta per me poiché il vostro corpo neè assente. Avreste trovato qui dei fiori, dei frutti edei sogni, ma il diavolo domenicale ha mal consi-gliato il vostro orgoglio».

Da quelle finestre d’Annunzio vide, nell’ago-sto 1914, gli aerei dell’Intesa lanciare rudimentalibombe su Parigi. Uno spettacolo che lo lasciavaindifferente mentre era assillato dal timore che isuoi amati levrieri, «belve crudeli e damigelle ti-mide, sognatori taciturni e dilaniatori inesorabili»cadessero vittime dell’avanzata tedesca a cui assi-steva durante le sue escursioni sul fronte francese.Era stata l’ex-moglie a indicargli, verso la fine del1914, le cinque stanze al pianterreno, «con soffittialtissimi e con le boiseries quasi intatte», e il minu-scolo giardino di uno sfarzoso quanto délabré pa-lazzo seicentesco al 26 di Rue Geoffroy-l’Asnier.Una soluzione perfetta per la sua crescente insof-ferenza all’appartamento di Avenue Kléber. «Nonpotevo più vivere in quell’orrendo appartamento[…] dove udivo continuamente spiattellare e cian-ciare le cuoche del vicinato». Lì toccò l’apice lapassione collezionistica di d’Annunzio e presto lanuova dimora venne soprannominata «La casa deimille Buddha». Il poeta ne comprava senza sostadi ogni dimensione. Per evitare le osservazioni dichi conosceva le sue difficoltà finanziarie si era in-ventato la leggenda che nel ventre di alcune statui-ne poteva nascondersi un mucchio di pietre pre-ziose e davanti ai servitori picchiava sul ventretondo dei Buddha per assicurarsi che non nascon-dessero improbabili tesori.

Chi entrava - donne bellissime e artisti famo-si - veniva sorpreso dal sentore acuto dei gigli sel-vatici e delle rose voluttuose, diceva, «come i con-torni del corpo femminile». Una luce soffusa lam-biva i vetri di Murano e indugiava sulle antiche se-te veneziane, cullati dalla dolcezza estenuata dellemusiche del Settecento. Al bric-à-brac abituale sierano aggiunti una serie di antichi strumenti mu-sicali, dalla spinetta a doppia tastiera al clavicem-balo costruito dal celebre Sébastien Erard (1752-

1831). Il ritmo delle relazioni di Gabriele, distrat-to dalla guerra, era meno intenso e un’anziana zi-tella che abitava nello stesso stabile era rimasta de-lusa di non sorprendere, malgrado i suoi apposta-menti, qualche scena faunesca nell’appartamentodi fronte. «Mi chiedo, si era lamentata col portina-io, se valeva la pena di avere, come inquilino, und’Annunzio, che non solamente è poeta, ma ancheitaliano!».

Lì il Vate aveva accolto in dicembre la brunae bellissima Marie de Régnier (1875-1963), «so-rella Notte», che scriveva al «frate Foco» come sierano soprannominati al tempo dei loro amori diArcachon. «Caro Foco, ho un’estrema, irresisti-bile voglia di venirti a trovare e, siccome verrò altramonto, sarò io a portarti, senza che tu lo so-spetti, tutta la Notte». Un giorno gli amanti sicongiunsero nella foresta di Saint-Cloud, dietroun tronco immane. L’indomani d’Annunzio loraccontò a tutta Parigi.

Nella pagina accanto, da sinistra in senso orario: Gabriele

d’Annunzio ad Arcachon, con il suo levriero e una cesta di

cuccioli (foto del 1911); biglietto autografo di Gabriele

d’Annunzio (su carta dell’hotel Meurice, Parigi) a Nathalie

de Goloubeff; Nathalie de Goloubeff (1879-1941). Qui

sopra: Léon Gruel (1841-1923), qui ritratto insieme al

rilegatore Emile Mercier, in uno scatto del gennaio 1903

11aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

13aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

Pur figura leggendaria, Salinger non ha avutoun’ampia produzione, ma nel 1951 azzeccò il col-po con The Catcher in the Rye (Boston, Little,Brown and Company), sua opera prima e unico ro-manzo a oggi noto. Fino a quel momento era statoun raffinato scrittore di racconti apparsi perlopiùsu «The New Yorker», e adesso, in breve tempo, lasua fama decollò. Ancor oggi ci si chiede se questoè accaduto più per il linguaggio del romanzo cheper la sua trama, peraltro precaria. Sta di fatto cheil libro ha influenzato la visione del mondo, i com-portamenti e i linguaggi di una quantità enorme digiovani, e non di una sola generazione. Situazionein netto contrasto con le scelte di Salinger, che almontare della fama si ritrasse sempre più dal cla-more sociale, e nel 1953 si trasferì da New York aCornish, paesino del New Hampshire, nel quale siblindò in un’insuperabile clausura.

Il romanzo è praticamente privo di trama: ilsedicenne Holden viene espulso da un collegiodella Pennsylvania - niente di grave per lui: era cir-

LA PRIMA FUGA DEL GIOVANE HOLDEN

I cento anni di Salinger

Ha qualcosa di bizzarro, ma suona ancheaugurale, nascere il giorno di Natale op-pure il primo giorno dell’anno, e Jerome

David Salinger lo fece: venne al mondo cent’annifa, nel 1919, a New York e proprio il primo di gen-naio, figlio di un commerciante di origini ebreo-li-tuane. Sempre a gennaio se n’è andato, nel 2010,all’età di novantuno anni e come uno degli scrittoripiù celebri del Novecento: l’autore statunitensepiù letto e più discusso, figura centrale della scenaletteraria del secondo dopoguerra, mito dapprimaamericano e poi mondiale. Il suo enorme e perdu-rante successo vede addirittura lati di venerazione,simile a quella che sorge per certi divi del cinema edella musica.

Novecento

di ANTONIO CASTRONUOVO

Nella pagina accanto: copertina di Vita da uomo, prima

traduzione italiana di The Catcher in the Rye stampata da

Gherardo Casini (Roma, 1952)

the first flight of the young holdenThe article traces the events regarding the first editions of the works of Jerome David Salinger (1919-2010), and in particular those of his first successful novel The Catcher in the Rye, released in the United States in 1951. The history of the book also involves that of the covers, which the author wanted to be more and more anonymous: a request that was progressively respected by the Italian publisher Einaudi, until the last edition of Il giovaneHolden, which has an entirely white cover, without any image or paratext.

condato da «morons», da cretini - e, per tardare ilmomento in cui i genitori scopriranno il guaio sco-lastico, vaga in un fine settimana pre-natalizio nelcentro di New York, con in testa quel berretto ros-so da cacciatore che è diventato icona del perso-naggio. Non è certo memorabile l’itinerario che ilragazzo compie nel romanzo, solo un tragitto inte-riore che di continuo coinvolge il lettore col pro-prio humour e lo cala nella rete metropolitana -strade, alberghi, ambienti equivoci, locali notturni- di una New York familiare ma cinica, accesa dallascenografia della settimana natalizia.

Ma è il linguaggio a uscirne vincente, talmen-te potente da risultare ancor oggi meno consuntodelle traduzioni, che devono fronteggiare i nonpochi problemi interpretativi delle espressionigergali; una lingua ricca di invenzioni lessicali chesi accendono nel registro confidenziale del prota-gonista. Tutto infine scorre secondo un ritmo ser-rato e come un racconto orale fluido e squillante,per il quale da tempo la critica ha individuato il mi-racolo: il linguaggio di Holden è la parlata comunedi un adolescente del tempo e del luogo, ma assaicaratterizzato e dunque originale. Anche pungen-te, come attesta il ricorrere di alcuni termini forti;uno per tutti: «goddamn» (maledizione!) che ap-pare nel romanzo 255 volte, una volta per pagina.

�Pubblicando The Catcher in the Rye Salinger

non poteva certo immaginare che il protagonistaHolden Caulfield sarebbe diventato il simbolo dialmeno un paio di generazioni, che avrebbe sedot-to milioni di giovani e sollevato l’interesse di mi-gliaia di critici nel mondo. La trama da bildungsro-man, racconto di una formazione giovanile perstrada, s’intrecciava con il fenomenale linguaggio,che andò a incunearsi con prepotenza nell’imma-ginario di tanti inquieti adolescenti conquistati dalsogno della fuga, dal conflitto con la società degliadulti, dal contrasto - tutto sommato seducenteper ogni indisciplinato - tra ribellione e sorda incli-

14 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

nazione a integrarsi. E sebbene risalente allo stessoanno in cui Kerouac scriveva On the Road - pubbli-cato però solo nel 1957 - Salinger anticipava tutti,anche la letteratura dei giovani ‘arrabbiati’ inglesiche nel 1959 si sarebbero riconosciuti in AbsoluteBeginners di Colin MacInnes, storia calata in unaLondra di immigrati caraibici, omosessuali e dro-gati. Non è un caso che simile, anche se assai mino-re successo abbia avuto negli anni Novanta in Italiaun romanzo che ricalca consapevolmente il model-lo narrativo di Salinger: Jack Frusciante è uscito dalgruppo del bolognese Enrico Brizzi, ventiduenne almomento della pubblicazione e autore di un libro-culto che più volte allude a The Catcher in the Rye.

Il fatto è che in Holden bolliva nel 1951 qual-cosa che sarebbe in pochi anni diventato movi-mento beat e cultura psichedelica, rivolta dei cam-pus universitari e opposizione all’impegno ameri-cano nel Vietnam. Ma dopo, per quella sorta di fe-conda contraddizione che trasforma in canone gliideali ribellistici, saranno proprio i primi lettori diSalinger - nel frattempo diventati professori licealio universitari, giornalisti o critici letterari - a radi-care le vicende di Holden nella narrativa america-na e a farne qualcosa di ineluttabile per il lettore:quel lancio contribuì infine a proiettare The Cat-cher in the Rye nell’olimpo della letteratura con-temporanea mondiale.

C’è però anche chi si chiede se davvero Hol-den sia un ribelle: a leggere bene il romanzo emer-gono scelte e atteggiamenti che invitano a riflette-re meglio su questa etichetta. Il protagonista è in-fatti un’anima in pena, che definire ribelle è esage-rato: sia sufficiente richiamare la sua repulsioneper il cinema, la sua cautela in tema di sesso, la vo-glia di comunicare con qualcuno che non si trova, ilrifugio a Central Park a osservare le anatre, finen-do infine a dormire sul divano di un professore. Èquesta la storia di un ribelle?

The Catcher in the Rye fu pubblicato a Boston,presso Little, Brown and Company, nel luglio del1951 e oggi questa prima edizione è valutata, se

l’esemplare è autografato, attorno ai 10.000 euro.Fece appena in tempo a uscire che, nel pieno delsuccesso pubblico e lungo la medesima estate, il ro-manzo fu selezionato come libro del mese dal ‘Bo-ok of the Month Club’, e fu per Salinger l’incon-trastabile notorietà, qualcosa di sconcertante perlui, che l’anno seguente si sfogò così con un amico:«Ora che la stagione del successo di The Catcher inthe Rye è al tramonto mi sento alquanto sollevato.Certo, sono stato in parte contento per questo suc-

Nella pagina accanto dall’alto: un giovane Jerome David

Salinger (1919-2010) intento a leggere; copertina

di The Catcher in the Rye nell’edizione tascabile uscita per

i Signet Books a New York nel 1953. Qui sopra: copertina

della prima edizione di The Catcher in the Rye di Salinger

uscita da Little, Brown and Company (Boston, 1951)

15aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

cesso, ma l’ho trovato per lo più frenetico, depri-mente professionalmente e personalmente. Dicia-mo che non sopporto più di vedere quell’ingrandi-mento del mio volto che appare nel retro della co-pertina».

Disegnata dall’artista canadese Michael Mit-chell, vicino di casa dell’autore, la copertina dellaprima edizione raffigura un cavalluccio da giostradi fiammeggiante colore rosso-arancio. Era statolo stesso Salinger a chiedere il disegno, che secon-do lui fissava bene nella fantasia del lettore uno deimomenti culminanti del romanzo, quando Holden

e la sorella Phoebe salgono su una giostra nel Cen-tral Park. La foto cui l’autore allude, invece, appa-riva sul retro della sovraccoperta; ne era autriceLotte Jacobi, ebrea tedesca emigrata negli StatiUniti e poi diventata ritrattista di fama internazio-nale. La foto rimase al suo posto anche nelle primedue ristampe; fu una delle pochissime immaginidel suo volto che Salinger permise di pubblicare.Da quel momento cominciò a pensare che il librodoveva essere ripulito da tutto ciò che era super-fluo; ottenne infatti che a partire dalla terza ristam-pa la foto fosse tolta. Da quel momento Salinger

Sopra da sinistra: Il giovane Holden uscito nei “Supercoralli” Einaudi nel 1961, con la famosa copertina di Ben Shahn;

l’edizione einaudiana del 2014 de Il giovane Holden, con la candida copertina bianca. Nella pagina accanto: copertina di

Fanny e Zooey stampato da Little, Brown and Company (Boston, 1961)

16 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

diventò uno scrittore che aveva sulle copertine soloun nome, non un volto.

Ma non era finita: se il successo era stato gran-de, si fece addirittura dilagante quando nel marzodel 1953 uscì a New York, per i Signet Books dellaNew American Library, l’edizione tascabile del ro-manzo. L’illustrazione di copertina è infelice: la fi-gura di Holden che vaga per la metropoli con unavaligia in mano, addobbato con cappottino, sciarpae berretto rossi, appare con una fisicità che nel ro-manzo non è mai descritta. Copertina ulterior-mente appesantita da un riquadro che suona:«This unusual book may shock you, will make youlaugh, and may break your hearth - but you willnever forget it». Anche adesso Salinger s’adirò epretese, con categorica clausola contrattuale, chenelle edizioni successive la copertina non dovevaportare alcun disegno, solo il suo nome abbreviatoe il titolo dell’opera.

In dieci anni il romanzo vendette solo negliStati Uniti un milione e mezzo di copie; oggi le co-pie vendute nel mondo - nell’originale e nelle quasitrenta lingue in cui è stato tradotto - toccano i cen-to milioni. Nella nazione di origine, il romanzo èaddirittura considerato un documento sociologicoinfluente, un fenomeno di costume ineguagliatonella storia della letteratura del Novecento.

�In Italia la prima edizione giunse precoce:

uscì come Vita da uomo nel luglio 1952 presso l’edi-tore Gherardo Casini, all’epoca quasi ignota casaeditrice romana, stampato dalle mitiche officine ti-pografiche dei Fratelli Stianti di San Casciano inVal di Pesa, purtroppo con una carta di bassa quali-tà e dunque assai fragile. La traduzione era di Jaco-po Darca, pseudonimo dietro il quale si celavaCorrado Pavolini, noto regista e drammaturgo,fratello del gerarca Alessandro, traduttore di spes-sore che aveva già al suo attivo altre traduzioni eche viene considerato un rilevante tramite tra l’Ita-lia neorealista e la cultura internazionale.

La tiratura - poco meno di mille copie - avevauna sovraccoperta con titolo e nome completo del-l’autore, ma soprattutto era illustrata da un ritrattodi Van Gogh. Era anche cinta da una fascetta rossasui cui appariva l’interrogativo: «Un libro scanda-loso o profondamente morale?». Costava 750 lire ealla luce del suo destino bisognava acquistarlo: fuinfatti un’edizione sfortunata, che vendette pochecentinaia di copie; lo stesso editore cessò la propriaattività nel 1994, e la tiratura giacente finì proba-bilmente dispersa.

L’insuccesso fu certo causato dal titolo infeli-ce, che sebbene alludeva alla vita adulta che l’ado-lescente vuole sperimentare andando a zonzo perNew York, e con una sonorità neorealista gradita aiprimi anni Cinquanta, era però distante dallo spiri-

17aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

to americano del romanzo; la stessa edizione era inanticipo sui tempi rispetto a quel boom americanoche giunse in Italia solo anni dopo. Ma il fiasco edi-toriale fu anche legato alla scarsa promozione e allafrancamente brutta copertina: un teenager ameri-cano simbolizzato da una figura di mezza età conabito da bohémien europeo del tardo Ottocento. Nediscende che questa prima edizione italiana è piut-tosto rara e ricercata dai collezionisti, con valuta-zioni che oscillano dai 300 euro fino ai 500 per unacopia con sovraccoperta e fascetta.

Il romanzo ottenne successo in Italia soltanto

con la seconda edizione. Fu un redattore di Einau-di, forse Carlo Fruttero o forse Italo Calvino, aconsigliare l’acquisizione dei diritti del romanzo,che ormai da una decina d’anni circolava negli StatiUniti ed era già una sorta di idolo culturale. L’Ei-naudi fece di più: acquistò i diritti di tutte le operedi Salinger e il romanzo, intitolato Il giovane Hol-den, uscì nella collana dei “Supercoralli” il 9 no-vembre 1961.

La traduzione era stata dapprima chiesta aMarisa Bulgheroni, che valutando la lingua narra-tiva rifiutò l’incarico per il fondato rischio di trarnequalcosa di banale. Fu infine affidata ad AdrianaMotti, che proveniva da una già solida carriera ditraduttrice, avviata nel 1947 con un’opera di Wo-dehouse e protratta fino ai primi anni Novanta connote traduzioni per Adelphi e Mondadori (la suatraduzione adelphiana di Ehrengard di Karen Bli-xen si aggiudicò nel 1980 il premio Monselice). LaMotti tradusse il romanzo sdraiata a letto, con unquadernetto a quadretti sulle cui facciate di destratraduceva il testo e su quelle di sinistra annotavadubbi, ripensamenti e correzioni.

Ora, chi meglio di un traduttore entra nellacarne di un libro? Quando Luca Sofri intervistò laMotti nel 1999 per «Diario», la risposta che elladiede resta magnifica:

Sembrerà un’eresia: sono diventata celebre colGiovane Holden che io non ho preso sul serio perniente. Mi è piaciuto, molto acuto, molto pro-fondo, ma non gli ho dato quest’importanza: di-venne un dogma, un catechismo che non capi-sco tutt’ora. È un libro individualista, la crisi esi-stenziale di un ragazzo americano. Per dei ra-gazzi di sinistra italiani, Salinger avrebbe dovu-to essere il tipico americano altoborghese e ra-dical chic, non vedevo che rapporto ci fosse condei giovani marxisti. Lo dissi anche a tre di loroche vennero a parlarmi per fare un pezzo sulgiornale di Lotta Continua, e si fecero prestaredelle lettere. Più rivisti, né loro né le lettere.

Copertina di Raise high the Roof Beam Carpenters

and Seymour: an introduction uscito da Little, Brown

and Company (Boston, 1963)

18 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

19aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

Non fu facile superare il primo scoglio, quellodel titolo, che alla lettera sta per L’acchiappatore nel-la segale (ma catcher e rye sono termini non solo delmondo agreste, anche dello sport e dell’alcol, il cherende le cose ancor più complicate) e che deriva daun sogno nel quale Holden afferra dei bambini checorrono in un campo di segale prima che precipiti-no in un burrone: era una sorta di traduzione visivadella speranza del protagonista di salvare la propriaschiettezza infantile dal baratro dell’età e dall’ipo-crisia degli adulti. La Motti, rifacendosi in manieragenerica all’originale, aveva proposto a Einaudi iltitolo Il pescatore di segale, ma il caso indusse la casaeditrice a preferire l’anonimo Il giovane Holden, emai decisione fu più azzeccata e felice.

�Conflittuale si rivelò anche la scelta della co-

pertina italiana, sorta da un’idea di Giulio Bollati:un disegno colorato dell’artista statunitense BenShahn con un ragazzino intento a leccare un conogelato. Una incantevole descrizione di questa co-pertina la fece Manganelli nel 1962, recensendol’edizione Einaudi nella «Illustrazione italiana» etrovando il disegno conforme alla materia del ro-manzo e alla personalità del protagonista:

Questa nuova traduzione dell’ormai classicoThe Catcher in the Rye di J.D. Salinger si fregia incopertina di un disegno di Ben Shahn. Un ra-gazzo dinoccolato e sghembo, dalla larga facciacauta a protettivamente ottusa, regge nellemolte dita, ritagliate a fatica nella tigliosa, com-patta carne delle mani, un glorioso gelato aquattro strati, quattro colori, improbabileframmento di iride, infantile imitazione di sole;più giù, sventolano le magre gambe, che culmi-nano nella goffa insegna dell’adolescenza,quelle scarpe con legacci, che si slegano sem-pre, con tacchi grevi e insieme instabili cometrampoli; il ragazzo soggiace ad una immobilitàcoatta, quasi stesse subendo l’oltraggio offensi-

vo di una istantanea. Ben Shahn ha care figurecome queste, solitarie e mitemente aspre: cam-pite contro una palizzata, annegate nel verdeeffimero e caldo di un prato domenicale, inten-te a giochi di intensità rituale, creature irte e ap-prossimative, diffidenti e solitarie quanto an-siose di colloquio. Holden Caulfield, narratoree protagonista, appartiene a codesta famiglia diesseri ossuti e fragili, eroici e terrorizzati.

E invece, quando una copia del libro fu invia-ta all’eremita del New Hampshire, egli ne uscì fu-rioso: nessuna immagine doveva apparire in co-pertina. Da quel momento le successive edizioniEinaudi si sono pian piano adattate alla scelta mi-nimalista di una copertina immacolata: nell’edi-zione del 1971 uscita nella collana degli “Struzzi”,la copertina è un semplice quadrato di colore az-zurro ideato da Munari. Ma nemmeno questa ver-sione lasciò soddisfatto l’autore, che di nuovo in-giunse di modificarla: all’Einaudi, un po’ esaspe-rati, decisero di vuotare quel quadrato dal colore elasciare la sola cornice nera su fondo bianco. Il pi-gnolo Salinger neppure così fu contento e imposeche in futuro i suoi romanzi non dovevano averenemmeno un segno grafico e nessun paratesto: illettore deve accostarsi al romanzo solo per il con-tenuto, non perché attratto da una qualche sirenadi copertina. Volontà perfettamente soddisfattadall’ultima edizione del 2014, ‘rinverdita’ dallapiù fresca traduzione di Matteo Colombo: unpiatto anteriore interamente bianco, come uncandido lenzuolo, solo autore e titolo.

Vale notare che la scelta di Salinger è stato in-fine rispettata solo in Italia: se qualcuno si toglies-se il capriccio di osservare le copertine delle deci-ne di traduzioni uscite in giro per il mondo si ac-corgerebbe che hanno tutte dei disegni, spessobrutti. Per i collezionisti, la notizia resta che la va-lutazione dell’edizione Einaudi del 1961 oscillatra 200 e 400 euro in base alla conservazione dellacopia.

Little, Brown and Compa-ny di Boston restò l’editore diSalinger anche per le opere suc-cessive. Nine Stories uscì nel-l’aprile 1953; la raccolta com-prendeva nove racconti dei tren-ta che Salinger aveva già pubbli-cato in varie riviste americanetra il 1940 e il 1953: sette rac-conti provenivano dal settima-nale «The New Yorker», colquale l’autore collaborava stret-tamente dal 1948, gli altri dueerano stati rifiutati dalla rivista.In Italia i Nove racconti arrivaro-no nel 1962 da Einaudi nella tra-duzione di Carlo Fruttero.

Fanny e Zooey vide la lucenel 1961; raccoglieva due rac-conti apparsi in «The New Yor-ker» nel 1955 e 1957 ed ebbe immediato successo:gli ammiratori di Salinger attendevano da anni unsuo nuovo libro e fecero la fila nelle librerie, dovele prime forniture si esaurirono in pochi giorni.Anche Raise high the Roof Beam Carpenters and Sey-mour: an introduction raccoglieva due lunghi rac-conti già apparsi sullo stesso settimanale (nel 1955e 1959) e vide la luce nel 1963. In Italia queste dueopere giunsero poco dopo, e sempre da Einaudi:

Fanny e Zooey nel 1963 nella tra-duzione di Romano Carlo Cer-rone e Ruggero Bianchi; Alzatel’architrave, carpentieri e Sey-mour. Introduzione nel 1965 tra-dotto dal medesimo Cerrone.

Tengono banco oggi le vi-cende della causa intentata perla pubblicazione in Italia di al-cuni racconti giovanili col titoloI giovani da parte del Saggiatoresenza possedere correttamente idiritti. L’episodio è frutto di unmalinteso: l’editore aveva ac-quistato i diritti per la traduzio-ne da una piccola casa editriceamericana che li aveva pubbli-cati nel 2014, ma quei raccontierano di pubblico dominio ne-gli Stati Uniti, non in Italia. Ri-

leviamo che la prima edizione italiana del Catcher,quella di Casini, era probabilmente edizione pira-ta, alla luce del fatto che Einaudi acquistò dopoqualche anno tutti i diritti di Salinger. Ma soprat-tutto: il ritiro dal commercio e la distruzione dellecopie edite dal Saggiatore non ha fatto che offrireai collezionisti una nuova avventura: tentare diprocurarsi un esemplare sfuggito alle maglie dellasentenza penale.

Copertina della prima edizione

di Nine Stories uscita da Little, Brown

and Company (Boston, 1953)

• Uno sguardo generale sulla vita e le opere di Salinger è L’invitoalla lettura di Salinger di EnnioRanaboldo (Milano, Mursia,1999).

• La lettera all’amico si legge in E.P. Hazard, Eight Fiction

Finds, «Saturdav Review»,16 febbraio 1952.

• La bella intervista ad AdrianaMotti di Luca Sofri, La donna che tradusse ‘Il giovane Holden’,appare in «Diario», 1 settembre1999.

• La recensione al Giovane Holdendi Manganelli apparve ne«L’Illustrazione italiana» nel marzo1962 ed è stata poi raccolta inDe America. Saggi e divagazionisulla cultura americana (Milano,Marcos y Marcos, 1999).

NOTA BIBLIOGRAFICA

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23aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

raccontare, disse che nessuno degli artefici dell’An-tico Fattore (famoso ristorante fiorentino) pensòmai di farne un luogo celebre, ricordato nelle an-tologie della letteratura italiana del Novecento.C’era invece, e forte, il richiamo giornaliero di unasemplice trattoria fiorentina posta in una delle piùbelle e suggestive strade di Firenze: «Nella zonadel Ponte Vecchio c’è la via Lambertesca, unastrada corta, curva alla fine, che si muove dal por-ticato degli Uffizi e giunge fino alla via Por SantaMaria [...]. Là era questa vecchia trattoria, l’AnticoFattore: due stanze sulla strada e una saletta in-terna, un locale che aveva vissuto già allora un suocentenario di bottega di mercanti, quelli del ve-nerdì in particolar modo, il giorno ufficiale delmercato in Firenze, quello che aveva ancora come

EUGENIO MONTALE TRA POESIA, CIBO E ARTE

Il premio Antico Fattore

Circostanze imponderabili, fortuite casualità,destini geniali, tutte insieme queste cosepossono determinare, a volte, la nascita di

eventi culturali irripetibili, e gli stessi protagonistiè difficile che siano realmente consci dell’effettivovalore di ciò che loro stessi stanno realizzando inquel momento. Eugenio Montale (1896-1981), pro-tagonista di uno di questi eventi che cercherò di

Bibliofilia del Gusto

di MASSIMO GATTA

Nella pagina accanto: la plaquette di Montale vincitrice della

prima edizione del premio nel 1931; in copertina un disegno

di Guido Peyron, un vaso di fiori con aragosta su un balcone

in riva al mare. Di Peyron è anche il fregio editoriale;

la tiratura della plaquette era di 150 esemplari

eugenio montale between poetry, food and artNear Ponte Vecchio, in Florence, there was the old Antico Fattore inn, with two rooms opening onto the street and an interior dining room. This is where a famous poetry award was born. The founders established that the firstedition of the award, which was named after the inn, would be assigned in 1931 to a previously unpublished poem byan Italian author. Wednesday meetings were always very intense. The examination of the manuscripts, which arrivedin abundance, was carried out by Libero Andreotti, Arturo Loria and Candido Vanni. In the end, three names wereselected: Eugenio Montale with La casa dei doganieri, Salvatore Quasimodo with Vento a Tindari and AdrianoGrande with Alla sera. There was great uncertainty on the winner but on that Wednesday, May 27, 1931, thepanel decided to award the first prize to Montale. This article recalls that award, that place and those artists, writersand poets who made the Antico Fattore one of the main locations of artistic-literary culture of the Thirties.

luogo d’incontro per le trattazioni d’affari la vicinaPiazza della Signoria».1

Una trattoria dove tu andavi a mangiare ac-compagnato dal fascino di una cucina dai saporisecolari, di un vino celebre come il Chianti, con-fortato dall’amicizia dei proprietari competenti ecordiali, affascinato dalle pareti affrescate da pit-tori amici come Carena, Magnelli, Peyron e altri.Ma soprattutto costituiva un porto franco dallebrutture del periodo: «Se penso a quando ci si ri-trovava all’Antico Fattore risento in me un pro-fondo contrasto fra il ricordo del tono leggero, an-che se tutt’altro che frivolo, delle nostre riunioni,e la pesante inciviltà di quel tempo. Quando entra-vamo nelle stanze di via Lambertesca era come seciascuno di noi lasciasse alla porta un suo fardello

di malinconia e magari di rancori, per accoglierein piena serenità la parola degli amici, la loro uma-na presenza», come ricordava il pittore GiovanniColacicchi,2 e che il più grande poeta italiano delNovecento così definì: «Quella che fu o che non ful’antica tertulia dell’Antico Fattore»,3 uno schiet-to cenacolo tra sodali, uniti dal comune amore perl’arte, la letteratura, la musica e ovviamente labuona cucina.

Ma partiamo dall’inizio e come ogni favolache si rispetti iniziamo così: c’era una volta... Giàc’era una volta una semplice trattoria fiorentinache una sera ottobrina del 1929 (o novembrina, se-condo altre fonti) venne come dire ‘scoperta’ percaso da tre artisti: lo scultore Libero Andreotti e ipittori Felice Carena e Alberto Magnelli. Subitopensarono di convincere il proprietario, Giulio,«alto, maestoso, che mai alzava la voce, gentile eamichevole con tutti» (Luigi Dallapiccola), a la-sciar loro la disponibilità, ogni mercoledì, della sa-letta interna che avrebbero usato per discutere traamici d’arte, scultura e letteratura. Nasceva cosìquella ‘tavolata’ che sarebbe diventata una dellepiù intense esperienze artistico-letterarie italianedegli anni Trenta. I tre amici, uniti dal comuneamore per la poesia, pensarono subito di istituireun premio di poesia la cui giuria - è questa la parti-colarità - sarebbe stata composta non da addetti ailavori (critici, letterati, professori) ma da artistidello scalpello e dei pennelli, scultori e pittoriquindi, affiancati da esponenti di varie professionima il cui unico titolo, per prendere parte alle vota-zioni, sarebbe stato l’amore per la letteratura(pensiamo infatti che Gadda farà parte di una diqueste giurie in qualità di ingegnere, anche se pa-tito di letteratura). In fondo una specie di rivincitada parte di chi era solitamente presentato e giudi-cato da critici di professione e che adesso potevalui stesso giudicare scrittori e poeti.

Era ‘l’arte’ che si prendeva la rivincita sulla‘letteratura’, il gusto di attribuirle un premio quan-tificato in 1000 lire (meno 300 lire per la stampa

Sopra: Autoritratto di Eugenio Montale del 1952

(Collezione Cesare Zavattini, Roma). Nella pagina accanto

in senso orario: frontespizio della plaquette, il colophon, la

poesia vincitrice del premio, la celebre poesia Carnevale di

Gerti e il disegno di Libero Andreotti

24 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

della plaquette commemorativa), una bella sommain quegli anni, ricavata dalla vendita delle opere ar-tistiche messe all’asta nelle salette dello stesso An-tico Fattore, in uno dei mercoledì, con quadri diGiorgio De Chirico, Carlo Carrà, Giorgio Moran-di, Libero Andreotti, Felice Carena, Enrico Sac-chetti, Guido Peyron, tutti amici della ‘tavolata’.

I fondatori stabilirono che la prima edizione

del premio di poesia, che prese il nome dalla tratto-ria stessa, da attribuirsi per l’anno 1931, fosse affi-dato a una poesia inedita di autore italiano. Le riu-nioni del mercoledì erano sempre affollatissime.Lo spoglio dei manoscritti, giunti in abbondanza,venne inizialmente fatto dal solo Libero Andreotti,per passare in seguito al vaglio anche di Arturo Lo-ria e Candido Vanni.4 In finale giunsero tre nomi

25aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

che si sarebbero giocati il premio della prima edi-zione: Eugenio Montale con la La casa dei doganieri,Salvatore Quasimodo con Vento a Tindari e Adria-no Grande con Alla sera. Faccio solo notare, persottolineare sia la qualità delle opere che quella deipoeti e dei giudici, che i primi due nomi, all’epocanon certo famosi, ottennero entrambi in seguito ilNobel per la letteratura.

Ci fu grande indecisione sul nome del vincito-re ma alla fine, quel mercoledì 27 maggio del ’31, lagiuria decise di assegnare il primo premio a Euge-nio Montale per la poesia La casa dei doganieri.5 Pertradizione la poesia vincitrice (insieme a qualche

altra) veniva pubblicata dall’editore Vallecchi inuna plaquette fuori commercio.6 La sera della pre-miazione la poesia fu letta dal pittore Giovanni Co-lacicchi e in copertina figurava un disegno dell’arti-sta Guido Peyron (un vaso di fiori con aragosta suun balcone in riva al mare). Peyron è figura moltointeressante di pittore-cuoco (diede tra l’altro aMontale i primi rudimenti di scultura), anche segiudicato da un esperto come Giulio un «dilettan-te».7 È lui, infatti, l’autore di un suggestivo e pococonosciuto ricettario,8 con in apertura la poesia diMontale Il gallo cedrone (1949), con la dedica «AGuido Peyron pittore e cuoco»: «Dove t’abbattidopo il breve sparo / (la tua voce ribolle, rossonero/ salmì di cielo e terra a lento fuoco) / anch’io ripa-ro, brucio anch’io nel fosso [...]».9

Nella presentazione al volume Peyron sottoli-neava la particolarità del suo libro: «questo libro,come vi dice il titolo, non è un trattato di cucina néuno dei ‘Re dei cuochi’ di buona memoria: perciònon mi meraviglierei se qualche cuoco patentatomi dicesse, dopo averlo letto, di esserne rimastoquasi spaventato. È semplicemente il racconto del-le cose che mi piacciono di più, scritto in un lin-guaggio cordiale».10 Montale simpaticamente cosìricordò Peyron in una sua prosa: «Come cuocotoccò l’eccellenza dell’arte sua. Mediocre forchet-ta, non cucinava per sé ma per gli amici; alzava peròtroppo il gomito per confortare la sua solitudine, ene pagò forse le conseguenze».11 Ma il poeta geno-vese ricordò l’amico anche in un’altra prosa del ’62,questa di carattere ‘gastronomico’, Amici a tavola:«Quando tornavo a Firenze, l’invitato atteso, nellostudio di Guido Peyron, ero io. Toscano di lontanaorigine piemontese, vissuto a Livorno nella primagioventù e poi a Firenze, Guido non è stato forse unpittore di immenso talento, ma si considerava im-battibile come cuoco».12

L’Antico Fattore fu, fondamentalmente,un’ottima trattoria toscana. La sua cucina, il sanctasantorum, era un posto sacro, aperto da Giulio soloagli amici: una stanza stretta e lunga ove si entrava

Sopra: disegno di Alberto Magnelli. Nella pagina accanto

dall’alto: disegni di Gianni Vagnetti, Giovanni Colacicchi

e Felice Carena

26 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

dopo aver superato lo scalino diun pianale in legno, posto dietroal banco maiolicato della mescitae così ricordato da Marcello Van-nucci: «Era una stanza stretta ca-rica di profumi di arrosti e salse,un vano che si apriva subito dopoavere superato il banco del locale.Lì ci sono state grandi discussionisull’arte del mangiare bene: ri-cette segrete, mai cadute in manoalle signore che speravano sem-pre di convincere gli amici fortu-nati che avevano accesso al ‘sa-crario’ di Giulio, a rivelare le for-mule occorrenti; discussioni seuna salsa dovesse essere così o co-sì; se bisognasse caricarla di quel-la o di quell’altra spezia; se i fa-gioli alla toscana dovessero esse-re cucinati in un modo o in un al-tro. Montale era stato il più tardoa prendere questa abitudine dellasosta in mezzo ai fornelli, ma poifu anche fra i più assidui. Per Ma-gnelli e Peyron, invece, che ave-vano il ‘pallino’ d’essere dei gran-di cuochi, era come un obbligo:c’era sempre in loro come un’ariadi sfida nei confronti del ‘mae-stro’ Giulio».13

Questi era un uomo piace-vole e sempre pronto allo scher-zo, difficilmente arrabbiato an-che nei giorni di gran pieno dellocale, quando qualche camerie-re non funzionava come lui vole-va e le cose andavano al rilento,come ricordava ancora Vannucci.Nel locale c’era una cosa per luisacra che mai doveva essere mes-sa in discussione: il suo gatto so-

riano Vanni, dagli occhi verdi eargento, diventato a suo modofamoso per il disegno che ne feceOttone Rosai.

Famose anche le preziosericette di Giulio, come le cele-bri rigaglie alla salvia o gli in-voltini di carne e carciofo cosìcome i vari aneddoti gastrono-mico-letterari: Gadda moltogoloso, Carlo Bo che fa pazzieper un piatto di fagioli all’uccel-letto, Tommaso Landolfi raffi-nato intenditore di vini, LuigiDallapiccola che non avrebbemai mangiato un piatto di spa-ghetti appena più cotti del pun-to giusto, Prezzolini che dona aGiulio una copia del suo Mac-cheroni e C., appena pubblicato,dedicandoglielo;14 oppure le vi-site del grande fisico e ‘umani-sta’ Sebastiano Timpanaro:«Quando Libero Andreottifondò il cenacolo dell’AnticoFattore, Seb fu uno degli assi-dui. Gli adepti si riunivano ilgiovedì, mi pare, ma spesso di-sertavano; tuttavia finchè visseAndreotti e finchè l’Antico Fat-tore durò, Seb non mancò mai.Mangiava là anche solo, per faratto di presenza, per creare unatradizione. Fanatico dell’arte, epiù ancora degli artisti, nonavendo mezzi per farsi una col-lezione di quadri ripiegò sullestampe. Ne possedeva a miglia-ia», così ricordava Montale.15

Per l’edizione del ’3216 vin-citore del premio fu SalvatoreQuasimodo con la poesia Odore

27aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

di eucalyptus; la terna finale era composta da GlaucoNatòli e Raffaele Gadotti, con l’esclusione di uncelebre poeta come Alfonso Gatto. Anche questa

poesia verrà poi stampata da Vallecchi e costitui-sce, al pari di tutte le altre plaquette, una vera raritàbibliografica.17 Nello stesso anno gli amici del-

NOTE1 Marcello Vannucci, Firenze: dalle

«Giubbe Rosse» all’«Antico Fattore», con pa-gine dall’inedito «Giornale di bordo» di Artu-ro Loria, Firenze, Le Monnier, [ma edito a cu-

ra della Banca Toscana] 1973, p. 11. Vedi an-

che la breve prosa che Montale dedica nel

1973 a questo volume, ristampata in Euge-

nio Montale, Il secondo mestiere. Prose1920-1979, a cura di Giorgio Zampa, Mila-

no, Mondadori, 1996, tomo secondo, pp.

3006-3007. Questo volume di Vannucci, og-

gi dimenticato, rappresenta la migliore do-

cumentazione relativa all’Antico Fattore, ai

suoi protagonisti e allo spirito che animò

quella «tavolata», come fu definita. Dieci an-

ni dopo lo stesso Vannucci pubblicava un

volume monografico sempre sulla celebre

trattoria fiorentina, Le tre stagioni dell’Anti-

co Fattore, Firenze, Premio Chianti Ruffino

Antico Fattore, 1983 [stampato in 3000 co-

pie di cui 700 numerate dalle Arti Grafiche ‘Il

Torchio’ di Firenze]; il volume contiene an-

che ricordi e testimonianze di Baccio Maria

Bacci, Carlo Bo, Mario Bonfantini, Giovanni

Colacicchi, Luigi Dallapiccola, Alfonso Gat-

to, Arturo Loria, Mario Luzi e Eugenio Mon-

tale. Si ricorda che Marcello Vannucci era fi-

glio del proprietario dell’Antico Fattore, al-

l’epoca poco più che un ragazzino. Segnalo

infine anche la tesi di laurea in Geografia

storica di Elisa Gestri, Firenze al centro. Unsecolo di attrazione geografica e culturalenella vicenda dell’«Antico Fattore», Firenze,

Università degli Studi, Facoltà di Lettere e Fi-

losofia, Anno Accademico 1997/1998, Fi-

renze, 7 aprile, 1999.2 Giovanni Colacicchi, Ricordi, in Mar-

cello Vannucci, Le tre stagioni dell’AnticoFattore, cit., p. 66.

3 Eugenio Montale in Firenze: dalle«Giubbe Rosse» all’ «Antico Fattore», con pa-gine dall’inedito «Giornale di bordo» di Artu-ro Loria, cit., p. 1.

4 Cfr. Piero Boragina, Il Nanni dell’AnticoFattore, in Una dolcezza inquieta. L’universopoetico di Eugenio Montale, a cura di Giu-

seppe Marcenaro e Piero Boragina, Milano,

Electa, 1996, pp. 162-163.5 Pubblicata in prima edizione su «L’Italia

letteraria», a. II, n. 39, Roma, 28 settembre

1930, p. 1. Vedi Eugenio Montale, L’opera inversi, edizione critica a cura di Rosanna Bet-

tarini e Gianfranco Contini, Torino, Einaudi,

1980, p. 917 (IV. 161).6 Eugenio Montale, La Casa dei Doga-

nieri e altri versi, Firenze, Vallecchi, 1932,

Sopra da sinistra: copertina della plaquette pubblicata da Vanni Scheiwiller il 12 ottobre 1966 in occasione dei 70 anni

di Montale; disegno di Montale (Fiori secchi del 1965, collezione Vanni Scheiwliler, Milano); la copertina della plaquette

di Glauco Natòli del 1934, stampata in 160 esemplari. Nella pagina accanto: la copertina della plaquette di Salvatore

Quasimodo del 1932, stampata in 170 esemplari

28 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

l’Antico Fattore pensarono diistituire anche un premio di mu-sica, vinto da Pietro Montani,mentre la terza edizione del pre-mio di poesia (1933) se l’aggiudi-cò Glauco Natòli, esimio france-sista dell’università di Firenze,con la poesia Risveglio, anch’essapubblicata in seguito da Vallec-chi18 (escluso ancora una voltaAlfonso Gatto con la poesia Cre-puscolo della sera) e arricchita dadisegni di Bacchelli, Bramanti,Gelli, Peyron, Marchig e Inno-centi. L’edizione del ’33 fu inve-ce dedicata alla memoria di Libero Andreotti,scomparso all’inizio di quell’anno. L’ultima edi-zione del ’34, prima del disastro della guerra e chedi fatto concluse la prima straordinaria ‘stagione’dell’Antico Fattore determinando un prima e undopo, vedrà tre concorrenti disputarsi il premio:Cardarelli, Barile e lo sconosciuto Fenci, che in re-altà altri non era che Vieri Nannetti, partecipante

al premio sotto falso nome. Allafine la spuntò Vincenzo Carda-relli con la poesia Sardegna.19

Si può tranquillamente af-fermare che con il ’34 il Premio, el’intera avventura artistico-lette-raria dell’Antico Fattore, finì sal-vo qualche tardo tentativo di re-staurarlo dopo la fine del secon-do conflitto bellico, come adesempio fece il pittore e xilografofiorentino Bruno Bramanti(1898-1957), a suo tempo amicodi molti artisti legati all’AnticoFattore: «[...] uno dei pochi che,

all’inizio degli anni Cinquanta, tenterà di ripristina-re la consuetudine conviviale e letteraria del premiodell’Antico Fattore, rompendo il proprio naturaleriserbo con una serie di inviti scritti a letterati e pit-tori».20 Nella trattoria intanto facevano il loro in-gresso altri avventori di tutto rispetto, le ‘nuove le-ve’ della letteratura: Piero Bigongiari, Mario Luzi,Alessandro Parronchi, Tommaso Landolfi, Leone

Premio Antico Fattore 1931. Gli artisti della

tavolata, che figurano con un disegno cia-

scuno nella plaquette, erano Libero Andre-

otti, Felice Carena, Giovanni Colacicchi, Al-

berto Magnelli, Guido Peyron (che firma an-

che la copertina e il fregio editoriale), Gianni

Vagnetti. Il volumetto fu stampato in 150

esemplari, dei quali 25 numerati con lettere

dell’alfabeto, 25 in numeri romani e 100 in

numeri arabi. Nel maggio del ’32 Montale

così scriveva a Sergio Solmi: «A giorni mi

pubblicano la plaquette dell’Antico Fattore;

è abbastanza carina, ma val poco». Invece

nel 1997 una rara copia dell’opuscolo valeva

più di 5 milioni (cfr. Sandro Dorna). 7 Così infatti si esprimeva: «Dei buoni di-

lettanti! Ecco di cosa si trattava. Più artisti

che professionisti nel far da mangiare. In-

tendo artisti del pennello!», ricordato dal fi-

glio Marcello Vannucci in Le tre stagionidell’Antico Fattore, cit., p. 27, e aggiungeva

che era invece proverbiale la solennità con

cui Gadda e Gatto stavano ad ascoltarlo,

quando insegnava com’era fatto un piatto e

con che vino si dovesse accompagnare.8 Guido Peyron, Note sulla cucina e altre

cose, Firenze, Vallecchi, 1956, con disegni

dello stesso Peyron.9 La poesia fa parte di Silvae, quinta

parte della terza grande raccolta monta-

liana La Bufera e altro, Venezia, Neri Pozza,

1956, p. 109, che raccoglie le poesie scritte

tra il 1940 e il 1954.10Nel volume si alternano menu a consi-

gli pratici (ad esempio: come conservare il

basilico d’inverno, come cuocere gli aspara-

gi a punta verde, come mangiarli, quale be-

vanda è indicata per le notti di gran caldo,

ecc.). L’ultima parte del volume è invece de-

dicata ai vini.11 In Eusebio e Trabucco. Carteggio di Eu-

genio Montale e Gianfranco Contini, Mi-

lano, Adelphi, 1997, p. 186; ora in Eugenio

Montale, Il secondo mestiere. Prose 1920-1979, cit., tomo secondo, p. 2543.

12 Eugenio Montale, Amici a tavola, ora

in Id., Il secondo mestiere. Prose 1920-1979,

cit., pp. 2540-2546 [citazione a p. 2542].13 Marcello Vannucci, Le tre stagioni

dell’Antico Fattore, cit., p. 27. 14 In effetti Prezzolini aveva pubblicato

in prima edizione in inglese Spaghetti Din-ner, New York, Abelard-Schuman, 1955 (con

illustrazioni), che due anni dopo sarà tra-

dotto e rielaborato in italiano col titolo Mac-cheroni e C., Milano, Longanesi, 1957, con 9

tavole e 23 vignette illustrative. Su queste

29aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

Traverso, Antonio Delfini, Carlo Levi, Mario Tobi-no. Come accadde per le Giubbe Rosse anche l’An-tico Fattore si avviò ad essere un locale ‘sorvegliato’,perché ritenuto politicamente pericoloso. La stanzadella cucina era il posto più riservato per riunirsi;Levi, Landolfi, Gatto e Traverso erano spesso invi-tati a parlare (Vannucci). Col 1940, infine, giunse laguerra con le sue catastrofi, e tutto s’annebbiò.

Molti anni dopo, nel 1997, la società vinicolaChianti Ruffino (della famiglia Folonari) pensò diriportare l’antico premio ai suoi fasti iniziali. Nac-que così l’edizione 1997 del Premio Letterario In-ternazionale Ruffino Antico Fattore dedicato alla

poesia, la cui giuria era presieduta da Carlo Bo.Quell’anno il premio venne assegnato ai poeti Fer-nando Bandini, Piero Bigongiari, Alda Merini, Ro-berto Mussapi e Andrea Zanzotto, senza però checi fosse un vero e proprio vincitore, e per l’occasio-ne venne pubblicata un’elegante plaquette.21 L’annosuccessivo toccò ai poeti Eugenio De Signoribus,Harald Hartung, Alessandro Parronchi, GiovanniRaboni, Charles Wright, anch’essi ricordati in unaanaloga pubblicazione.22 Fu questa l’ultima edizio-ne di un Premio che si volle strenuamente resusci-tare, ma che ormai era inesorabilmente scomparsoda più di sessant’anni.

30 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

due opere rimando a Francesca Pino Pongo-

lini, Prezzolini: un secolo di attività. Lettereinedite e bibliografia di tutte le opere, a cura

di Margherita Marchione, Milano, Rusconi,

1982, pp. 104-105.15 Eugenio Montale, Seb, in Id., Il se-

condo mestiere. Prose 1920-1979, cit., tomo

primo, pp. 910-913.16 Ecco il nuovo Bando: «La Tavolata

dell’Antico Fattore rende noto, a chi non

avesse avuto notizia dalla stampa del mag-

gio scorso, che il Premio di Poesia 1931 è sta-

to vinto dal poeta Eugenio Montale con Lacasa dei doganieri. A norma del Bando la

Giuria che ha prescelto detta poesia su 386

concorrenti, era composta dagli scultori Li-

bero Andreotti, Lello Gelli, Bruno Innocenti e

dai pittori Felice Carena, Alberto Magnelli,

Giovanni Colacicchi, Gianni Vagnetti, Bruno

Bramanti, Giannino Marchi, Gian Carlo Sen-

sani, Enrico Sacchetti, Francesco Chiappelli,

Guido Peyron. Per il 1932 la Tavolata ban-

disce: 1) il secondo Concorso di Poesia, 2) il

primo Concorso di Musica», in Giuseppe

Marcenaro, Eugenio Montale, cit., pp. 76-

77.17 Salvatore Quasimodo, Odore di Euca-

lyptus e altri versi, Firenze, Vallecchi [stampa

Istituto d’Arti Grafiche di Firenze], 1932,

Premio dell’Antico Fattore. La plaquette, il-

lustrata dallo scomparso Libero Andreotti e

stampata in 170 esemplari, comprende 6

poesie, la prima, L’Eucalyptus, è presa dal-

la seconda raccolta del poeta siciliano,

Oboe sommerso (Genova, Edizioni di Cir-

coli, 1932), comprendente 37 poesie e pri-

mo titolo di queste raffinate edizioni ge-

novesi dirette da Adriamo Grande; le altre

5 liriche erano tratte dal successivo volu-

me Erato e Apòllon (Milano, Scheiwiller,

1936). Quasimodo volle che fosse stam-

pata questa dedica: «A Libero Andreotti

che amò la poesia quanto la sua arte, de-

dico l’Eucalyptus e quest’altre liriche che

non conobbe». La plaquette era in vendita

nel 1997 presso la Libreria antiquaria Pon-

tremoli di Milano a 2,3 milioni di lire (cfr.

Sandro Dorna).18 Glauco Natòli, Risveglio ed altri versi,

Firenze, 1933, Premio Libero Andreotti, edi-

zione di 160 esemplari fuori commercio. I di-

segni che accompagnavano l’edizione era-

no di Bacchelli, Bramanti, Chiappelli, Lelio

Gelli, Bruno Innocenti, Giannino Marchig e

Guido Peyron. La poesia verrà ristampata nel

volume Poesia,edito a Firenze da Parenti nel

1939 nella “Collezione Letteratura”.19 Premio di poesia Libero Andreotti.

Stranamente né in Vannucci né nella biblio-

grafia inserita in Vincenzo Cardarelli, Opere,

a cura di Clelia Martignoni, Milano, Monda-

dori, 1981, risulta pubblicata per l’occasione

alcuna plaquette, come invece per le prece-

denti edizioni del Premio.20 Susanna Ragionieri, Bruno Bramanti

pittore e xilografo, Firenze, Olschki, 2002, p.

61 e nota 314 («riuniti in una apposita cartel-

la dedicata all’Antico Fattore, sono conser-

vati biglietti di Carena, Peyron, Dallapiccola,

Castelnuovo, Tedesco, Vittorini, Carocci,

Nannetti, Berti, Porra, tutti datati 1953, Ar-

chivio Eredi Bramanti, San Domenico di Fie-

sole»).21 I poeti dell’Antico Fattore 1997, prefa-

zione di Carlo Bo, introduzione di Mario Luzi,

disegni di Impero Nigiani, Firenze, Le Lettere

[per conto dell’azienda Ruffino], 1998, edi-

zione f.c. in 800 esemplari numerati a mano. 22 I poeti dell’Antico Fattore 1998, pre-

messa di Enrico Bosi e uno scritto di Marcel-

lo Vannucci, disegni di Enzo Faraoni, Firenze,

Le Lettere [per conto dell’azienda Ruffino],

1999, edizione f.c. in 500 esemplari numera-

ti a mano.

Da oltre 50 anni siamo vicini ai bambini per aiutarli a crescere “Perché non bisognerebbe mai smettere di giocare, specialmente quando si diventa grandi”

Mario Clementoni

33aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

ricelli di Faenza. Si riferiva probabilmente, più chealla quantità dei libri, al loro pregio e in particolarealla presenza, inconsueta per una scuola, di un fon-do antico costituito da varie migliaia di volumi.Non era l’unica eccellenza rivendicata, a torto o aragione, dalla cittadina romagnola e dal suo liceo.Durante l’età neoclassica, nella sua massima fioritu-ra demografica e culturale, Faenza si era autodefini-ta l’Atene della Romagna. Pare che i faentini di allo-ra ci credessero veramente: è emblematico del van-to un grande quadro ottocentesco che domina tut-tora un’aula del liceo e ritrae un gruppo di perso-naggi locali, abbigliati e atteggiati come antichi gre-ci. Nell’Atene della Romagna, qualcuno si ricono-sceva in Socrate, qualcun altro in Alcibiade e cosìvia. A proposito, si chiamava Socrate anche il presi-de autore, nel secolo successivo, della relazione so-pra menzionata: Socrate Topi. Nomina omina; pec-

STORIE E LEGGENDE DIUNA ‘LIBRARIA’ GESUITICA

Una biblioteca ritrovata

Nell’Italia delle cento capitali e dei millecampanili non sono pochi i piccoli centriche esibiscono orgogliosamente primati

reali o immaginari, regionali o nazionali. Accade intutti i campi: dallo sport alla cucina, alle istituzioniculturali. Accade anche nella scuola, naturalmente,e anche nelle biblioteche.

«Siamo, fra tutti gli istituti scolastici italiani,quello con la più ricca dotazione di libri» proclama-va in una relazione del 1928 il preside del liceo Tor-

Biblioteche

di STEFANO DREI

Nella pagina accanto: Ludovico Antonio Muratori,

Dissertazioni sopra le antichità italiane, tomo primo,

Monaco, Olzati, 1765. Fra le pagine di questo volume,

nel 1990, un’alunna trovò un paio di occhiali tipicamente

settecenteschi, ancora integri

stories and legends of a jesuit libraryLocated in Faenza (Ravenna), the Torricelli classical high school is one of the oldest institutions in Italy. Situated inan ancient palace which had hosted a Jesuit boarding school since the 17th century, it displays a huge library,including 4,000 notably ancient volumes, mostly inherited from the Jesuit school. Over the 19th century, famousteachers have been in charge of the library, such as Isidoro del Lungo, Giuseppe Cesare Abba and Gaetano Salvemini.Among the usual habitués of the school library we also find the Nobel Prize poet Giosue Carducci, whereas theprevious Jesuit library had been attended by Cardinal Giovanni Maria Mastai Ferretti, later to become Pope Pio IX.This article includes a short summary of the history of this library, some odd facts and curiosities about it, and last butnot least some food for thought on the interest that this ancient heritage may arouse in today’s students.

cato per l’ossimorico cognome.Un primato regionale, forse anche nazionale,

riguardava e riguarda l’antichità del liceo.1 Il RegioLiceo per la provincia di Ravenna (dal 1865 LiceoTorricelli, ora sezione classica del Liceo Torricelli-Ballardini) era stato istituito nel 1860, prima ancoradell’unità d’Italia, a seguito del plebiscito che avevadeterminato l’annessione delle ex Legazioni ponti-ficie al regno di Sardegna; aveva e ha tuttora sedenell’«antico palazzo rosso» cantato da Dino Cam-pana nei Canti Orfici. Ma le sue radici si estendono aepoche ben più remote: Faenza fu preferita a Raven-na come sede dell’unico Regio Liceo della provinciaperché ereditava la tradizione, e in parte anche ledotazioni scientifiche e librarie, di almeno tre glo-riose istituzioni scolastiche che nei secoli si eranoavvicendate entro le mura del medesimo edificio.Innanzitutto, il collegio dei gesuiti, che nel Seicentoaveva accolto alunni come Evangelista Torricelli, ilpiù geniale degli eredi di Galileo, e nel Settecento la

colonia dei padri paraguayani profughi dalle reduc-ciones sudamericane. Poi, il liceo dipartimentale na-poleonico che, istituito nel 1803 sotto gli auspici delfaentino Dionigi Strocchi e del ‘quasi faentino’ Vin-cenzo Monti, aveva visto sorgere nel 1805 un altroRegno d’Italia. Infine, il nuovo collegio dei gesuiti,solennemente inaugurato nel 1840, dopo la rifonda-zione dell’ordine e la sontuosa ristrutturazione neo-classica dell’edificio. Fra il 1841 e il 1842, la ricosti-tuenda biblioteca del ricostituito collegio era statasede di ripetuti incontri tra due personaggi che inseguito avrebbero fatto molto parlare di sé: il gesuitaribelle Carlo Maria Curci, poi fondatore della «Ci-viltà Cattolica» e protagonista di memorabili pole-miche e riconciliazioni con Gioberti, con Rosmini,con l’autorità ecclesiastica e civile, e l’arcivescovodella vicina Imola, Giovanni Maria Mastai Ferretti,poi papa con il nome di Pio IX.2

Una recentissima ricerca compiuta incrocian-do note di possesso, testimonianze storiche, atti no-tarili, inventari e altri documenti d’archivio ha fattoluce sulle vicende delle ‘librarie’ possedute da questeistituzioni scolastiche. L’inventario redatto nel1773, dopo la prima soppressione della Compagniadi Gesù, comprende circa 2800 titoli per almeno4000 tomi. Provenivano per oltre la metà dall’eredi-tà del cardinale Carlo Rossetti, vescovo di Faenzadal 1643 al 1681. Ma le note di possesso Rossetti fi-nora rinvenute si concentrano nella biblioteca dellocale seminario vescovile, che tuttora conserva ciòche rimane di quell’antica collezione. Assai più mo-desta era la biblioteca del liceo napoleonico: menodi duecento volumi secondo l’inventario del 1815.Dunque, negli anni Quaranta del XIX secolo, i ge-suiti dovettero ricostituire quasi ex novo la loro ‘li-braria’. Come è noto, i gesuiti, formidabili cataloga-tori ed elaboratori di regole, avevano messo a puntouna loro biblioteca ideale, una sistemazione univer-sale del sapere.3 Ma, allo stato attuale delle nostre ri-cerche, ci sembra di capire che qui acquisirono so-prattutto lasciti testamentari di collezionisti e dona-zioni comprendenti, come vedremo, anche opere

34 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

che è difficile inserire nel loro progetto educativo.Chiuso definitivamente nel 1859 il collegio,

inventariati i suoi beni (si conservano relazionidettagliate e accuratissime di queste operazioni),ricatalogati i volumi, questi ammontavano a 9489unità. Nel gennaio del 1863, Giovanni Ghinassi,primo preside del liceo, ne selezionò 3506 che di-vennero così il fondo originario della biblioteca delliceo, orgoglio e vanto, sessantacinque anni piùtardi, del suo successore Socrate Topi. Gli altri vo-lumi andarono alla biblioteca comunale o furonoscartati. Fra il 12 febbraio e il 12 maggio del 1863,il Consiglio dei Professori del Regio Liceo fu con-vocato ben quattro volte per approvare il regola-

mento della biblioteca appena costituita. Non era-no riunioni particolarmente affollate: il corpo do-cente del liceo era composto di sette professori, ot-to con il preside. Anche troppi per una scolarescache ammontava, sommando le tre classi liceali, adappena quattordici alunni (ed erano duecentocin-quanta ai tempi di padre Curci!).4

Sono piccole storie di provincia, ma rappre-sentano bene gli sforzi di una nazione che deve for-mare una classe dirigente.5 Capita poi di incrociarenuovamente in queste piccole storie personaggi il-lustri. Il professore bibliotecario, estensore dellabozza di regolamento, era un autentico enfant prodi-ge: si chiamava Isidoro del Lungo ed era destinato a

Nella pagina accanto: Tito Livio, Decades, Venezia, Bartolomeo Zani, 1498. L’incunabolo, che reca una nota di possesso

dell’umanista fra Sabba da Castiglione, fu acquistato dal liceo nel 1960. Qui sopra da sinistra: Girolamo Savonarola,

Prediche de fra hieronymo per quadragesima, Venezia, Cesare Arrivabene, 1519; Tommaso Garzoni, La piazza universale di

tutte le professioni del mondo, e nobili et ignobili, Venezia, Giovanni Battista Somaschi, 1585. Prima e rara edizione della

bizzarra compilazione enciclopedica che all’epoca ebbe grande successo e numerose ristampe

35aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

una luminosa carriera di filologo, accademico dellaCrusca, ultimo “arciconsolo” e poi primo presiden-te dell’Accademia stessa; infine senatore. Nono-stante i suoi ventuno anni, Del Lungo aveva già alsuo attivo varie pubblicazioni; doveva comunque lanomina faentina alle raccomandazioni di GiosueCarducci che con l’amico ‘Doro’ intratteneva un fit-to carteggio. Dalla vicina Bologna, il ventisettenneCarducci non perdeva occasione per venire anche dipersona, in treno, a Faenza, dove contava numerose

amicizie, tra cui il preside stesso; ne avrebbe con-tratte e coltivate altre nei decenni successivi. Al-l’epoca, lo legava alla città romagnola e in particola-re al suo liceo una ferita recente: un anno prima, gliera toccato di pronunciare l’orazione funebre per ilpiù caro dei suoi ‘amici pedanti’, Torquato Gargani,predecessore di Del Lungo nella cattedra licealed’italiano, deceduto a ventotto anni dopo settimanedi penosa agonia. Causa scatenante della malattiauna delusione d’amore: così almeno si disse.

Sopra da sinistra, in senso orario: Carlo Maria Curci (1809-1891); Giosue Carducci (1835-1907); Giuseppe Cesare Abba

(1838-1910); Isidoro del Lungo (1841-1927); Gaetano Salvemini (1873-1957); Dino Campana (1885-1932)

36 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

Le quattro convocazioni del consiglio si rese-ro necessarie perché gli insegnanti non riuscivanoad accordarsi su uno degli articoli proposti dal gio-vane ma morigeratissimo bibliotecario: «Il Biblio-tecario dovrà ricusare agli alunni libri che possanopervertirne il cuore e la mente». Alla fine, l’articolofu cassato (a maggioranza); Del Lungo pretese pe-rò che al libro dei verbali fosse allegata una sua me-moria autografa. È d’uopo a questo punto cedere laparola al futuro arciconsolo della Crusca: «Che visiano alcuni libri i quali niun di noi vorrebbe, sen-z’arrossire, porre in mano a giovanetti e più a nostrialunni, e che di questi libri la Biblioteca liceale neabbia, è un fatto. [...] Togliamo le frasi uggiose, mauna qualche norma al Bibliotecario convien darla:se, non volete ch’egli sia costretto dal vostro silen-zio a por l’Adone o la Pucelle in mano d’un giovanet-to trilustre, che potrà portarla a casa e leggere, disoppiatto a’ genitori, i libri dati a lui da’ maestri».6

L’Adone di Marino, potenziale pervertitore di cuorie menti trilustri, è tuttora rappresentato in biblio-teca dall’edizione veneziana del 1623, con tanto ditimbro gesuitico sul frontespizio nonostante le no-te condanne ecclesiastiche ob eius obscenitatem quammaximam. Non abbiamo invece trovato traccia del-la Pucelle, neanche nei vecchi schedari e inventari.Del resto, la Pucelle d’Orléans, scandaloso poemasatirico di Voltaire, ebbe una circolazione clande-stina per tutto l’Ottocento mentre la traduzioneitaliana dell’ex seminarista faentino VincenzoMonti era all’epoca ancora inedita.

Un vetusto Regolamento della Biblioteca, mano-scritto e incorniciato, campeggia ancora su una pa-rete della biblioteca. Ma non è più quello di DelLungo; la data è del 1904, le firme sono di personag-gi solo localmente noti: il bibliotecario AntonioMesseri, docente di storia, il preside Flaminio delSeppia. Tre anni prima, le firme di Messeri e DelSeppia avevano sancito la bocciatura di un alunnopure trilustre, forse già affetto per conto suo da per-vertimenti di mente e di cuore: Dino Campana. Pri-ma ancora, Del Seppia aveva retto il collegio Cico-

gnini di Prato, frequentato da un adolescente assaipiù promettente di Campana, ancora più indiscipli-nato, precocemente affetto da altri pervertimenti:Gabriele d’Annunzio. Nelle sue memorie senili, ilVate ex collegiale rievocherà in pagine vivacissimegli scontri e i battibecchi (in latino!) con il «cefalo-podo» rettore, anzi «paedagogus paedagogorum».7

Su un’altra parete, entro un’elegante corniceottocentesca, spicca un ritratto di Garibaldi; forsedono di Giuseppe Cesare Abba, altro indimentica-to docente del liceo, altro bibliotecario. Abba giun-se a Faenza nel 1881, esordiente nell’insegnamentoa quarantatré anni, emozionatissimo benché già ce-lebre per le Noterelle di uno dei Mille. Non aveva lalaurea; doveva anche lui la nomina alle «sollecitepremure» di Carducci. Ma non meno emozionatidi lui erano gli alunni che si trovavano davanti unmonumento vivente della storia patria. Il primogiorno d’insegnamento fu un trionfo; Abba rimaseal Torricelli tre anni, circondato da una stima cherasentava la venerazione.

Qualche anno dopo Abba, troviamo come bi-bliotecario il piemontese Paolo Luotto, docente difilosofia e autore negli anni faentini di una monu-mentale monografia, Il vero Savonarola e il Savonaro-la di Pastor, tuttora fondamentale negli studi sul mo-naco domenicano. Di Savonarola, il liceo possiedevarie edizioni cinquecentesche; tra le loro paginesono ancora conservati alcuni segnalibri con appun-ti di Luotto. Luotto scomparirà prematuramentenel 1897, appena in tempo per vedere il volumepubblicato da Le Monnier. Al funerale, pronunceràl’orazione commemorativa in rappresentanza delTorricelli un «giovanotto egregio», suo collega distoria e geografia, che poi gli subentrerà anche nellamansione di bibliotecario: Gaetano Salvemini.

A proposito di segnalibri dimenticati, gli anti-chi volumi ci hanno riservato in anni recenti piccolee grandi sorprese; anche qualche delusione. L’erba-rio di Castore Durante è stato usato a lungo comeraccoglitore di campioni vegetali, che venivano col-locati in corrispondenza delle pagine che li descri-

37aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

vono; purtroppo ora ne rimangono solo sparuti re-litti. Ma in occasione dell’ultima ‘notte nazionaledel liceo classico’ un’alunna che collaborava all’alle-stimento di una piccola mostra si è trovata fra le ma-ni il biglietto d’invito a una festa indetta per il lugliodel 1695, dimenticato tra le pagine di una bizzarracompilazione cinquecentesca, la Piazza universale ditutte le professioni del mondo di Tommaso Garzoni(Venezia, 1585). Ben più sorprendente avventuracapitò a quell’altra alunna che nel 1990 rinvenne inmezzo al primo tomo delle Antichità italiane di Lu-dovico Antonio Muratori (Monaco, 1774) un paiodi occhiali di fattura tipicamente settecentesca, per-fettamente integri, che sono tuttora conservati nellabiblioteca del liceo. Circola da allora fra gli studenti

la leggenda degli occhialini dimenticati da un gesui-ta il cui fantasma, impegnato nella vana ricerca, infe-sterebbe ancora ‘l’antico palazzo rosso’. Altre leg-gende di fantasmi circolavano già in tempi remoti;lo stesso edificio sembra favorirle. Il solito SocrateTopi, nelle sue relazioni annuali al ministero, non siperitava di evocare le «ombre biancicanti dei piimonaci risorgenti dai sepolcri» vaganti «ogni notteper questi immensi corridoi» (relazione 1938). Cer-tamente, si compiaceva del proprio estro letterario,ma probabilmente intuiva ciò che gli antropologiben sanno: una comunità ha anche bisogno di leg-gende condivise, che carichino di significati i luoghiche abita.

Pur con qualche perdita e dopo vari traslochiinterni, i tremila e più volumi del fondo gesuitico sitrovano ancora nel Palazzo degli Studi, concentratiin tre sale. Li contrassegna un grande timbro otto-centesco con la sigla COLL. SOC. IESU. FA-VENT. Diversi frontespizi sono gremiti di note dipossesso pregresse, in molti altri le note di possessosono state abrase, asportate, ricoperte nei modi piùdisparati. In alcuni volumi lo stesso timbro del colle-gio è stato sovrascritto: segno di una damnatio me-moriae intrapresa dal Regio Liceo e presto abortita.Le scaffalature sono ancora le stesse del 1863.

Nei centocinquant’anni successivi, oltre venti-mila libri si sono aggiunti e non sono solo lettureamene per giovinetti. Lo stesso Ghinassi era un bi-bliofilo e donò al liceo trecento volumi. Ancora nel1960, la scuola poteva permettersi di acquistare sulmercato antiquario un incunabolo, grazie alle sov-venzioni di una banca locale. Ora gli incunaboli (cu-stoditi in cassaforte insieme ai pezzi più preziosi) so-no dieci, più di quattrocento le cinquecentine, circaquattromila i libri antichi. Fra i libri moderni nonmancano naturalmente le collezioni di classici: finoagli anni Settanta del secolo scorso, donazioni mini-steriali e cassa scolastica consentivano di tenere ag-giornate raccolte prestigiose: tutta la seconda seriedei “Rerum Italicarum Scriptores”, e poi “Teubne-riana”, “Oxoniensis”, “Corpus Paravianum”, “Loeb

Sopra e nella pagina accanto: Castore Durante, Herbario

nuovo, Venezia, Michele Hertz, 1718. Il volume veniva

usato anche come raccoglitore di campioni vegetali

38 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

Classical Library”, “Scrittori Italiani Laterza”, “Lo-renzo Valla”. Sì, ci fu un tempo in cui si riteneva chequesti fossero ferri del mestiere indispensabili perun insegnante liceale. Del resto, in queste collane sipossono anche incontrare contributi di docenti delTorricelli.

Si prende ora cura della biblioteca quotidiana-mente e senza alcun compenso un’insegnante pen-sionata da quindici anni. Alle vecchie schede mano-scritte subentrò negli anni Novanta del secolo scor-so la schedatura informatica con il sistema Winisis,ormai obsoleto. Da qualche mese, grazie alla colla-borazione dell’Istituto regionale per i Beni Culturalie della Biblioteca Comunale Manfrediana, si è avvia-to un progetto di nuova descrizione nel catalogo online della Rete bibliotecaria di Romagna e San Mari-no, che consente ricerche anche per possessore.

Nelle tre sale della biblioteca si affacciano ognitanto classi per visite guidate, insegnanti in cerca dicuriosità da mostrare in classe, studenti isolati pervisite furtive nel quarto d’ora di ricreazione. Comepuò essere utilizzato un patrimonio simile all’inter-no dei percorsi didattici? Spetta anche alla creativitàdel docente trovare una risposta. Ma ci si deve in-nanzitutto chiedere: quali interessi, quali suggestio-ni, quali affetti può suscitare questo patrimonio inuno studente liceale? Nel terzo millennio, un nativodigitale, trilustre o poco più che trilustre, difficil-mente inseguirà piaceri proibiti nell’editio princeps

dell’Adone (disponibile, peraltro, anche su GoogleBooks). Nei gravi personaggi agghindati da Socratee da Alcibiade, vedrà forse dei cosplayers impegnatiin giochi di ruolo. Può però emozionarsi nello sco-prire un’annotazione plurisecolare manoscritta, unframmento di codice medievale diventato pagina di

• Sul liceo e la sua storia, rimando aun libro recentissimo, da cuiprovengono alcune delle foto quiriprodotte: Liceo Torricelli -Ballardini Faenza, a cura di LuigiNeri, Bologna, Minerva, 2017.

• Un altro libro ricchissimo diinformazioni fu pubblicato inoccasione delle celebrazioni per il

centenario: Il Liceo «Torricelli» nelprimo centenario della suafondazione. 1860-61 1960-61, acura di Giovanni Bertoni, Faenza,Stabilimento grafico fratelli Lega,1963. Il volume contiene anche(pp. 504-521) un contributo Dialcuni libri rari della Biblioteca delLiceo Ginnasio Torricelli.

• Per ulteriori approfondimenti sullabiblioteca, vediwww.liceotorricelli.it/biblioteca erelativi link. Sono riprodotti nelsito anche i frontespizi di tutti gliincunaboli e di tutte lecinquecentine possedute.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE

39aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

guardia in una cinquecentina; incuriosirsi a decifra-re un teorema di geometria in latino. Avrà anche sti-

moli per affrontare in modo diverso i contenuti sco-lastici, se, nei luoghi che quotidianamente frequen-ta, troverà sorprendenti intersezioni con vicende epersonaggi oggetto di studio. Peraltro, in un liceostorico, potrà trovare stimoli analoghi anche fuoridalla biblioteca: nelle secolari collezioni di strumen-ti scientifici, nelle collezioni naturalistiche, negli ar-chivi, nelle stesse lapidi dei corridoi. Forse, qui agi-sce anche la legge del pendolo: luoghi che agli ado-lescenti degli anni Settanta apparivano fatiscenti eammuffiti ora sembrano attivare nell’immaginariorisonanze recondite, vengono percepiti come scri-gni di meraviglie. Non escludo che nel concorsodelle cause entrino frequentazioni di serie televisiveaccattivanti, fantasie collettive popolate di maghet-ti, elfi, terre di mezzo. Poco male, quando ne puòderivare un’affezione per i luoghi e quello stuporeper le cose senza il quale non si dà la conoscenza. Sa-rebbe un peccato non sfruttare queste occasioni.8

NOTE1 Il 6 settembre 2015, il quotidiano «la

Repubblica» pubblicò un ampio servizio

sul liceo di Verona, definito «il più vecchio

d’Italia». Ma quel liceo sorse nel 1866

(quello di Faenza nel 1860) ed ereditava la

tradizione di un liceo napoleonico istitui-

to nel dicembre del 1804 (quello di Faen-

za un anno prima, anche a non tener con-

to del secolare collegio dei gesuiti).2 Carlo Maria Curci, Memorie di padre

Curci, Firenze, Barbera, 1891, pp. 131-

132.3 Sull’argomento, vedi Albano Biondi,

La Bibliotheca Selecta di Antonio Possevi-no. Un progetto di egemonia culturale, in

Gian Paolo Brizzi, La “Ratio studiorum”.Modelli culturali e pratiche educative deiGesuiti in Italia fra Cinque e Seicento, Ro-

ma, Bulzoni editore, 1981.4 Divisi però in sei classi. Memorie di

padre Curci, cit., p. 133. 5 Il numero esiguo era dovuto soprat-

tutto alla concorrenza del seminario ve-

scovile. Vedi Giovanni Bertoni, Cronacadei cento anni del liceo E. Torricelli, in Il Li-ceo «Torricelli» nel primo centenario dellasua fondazione, Faenza, Fratelli Lega,

1963, p. 57.6 Deliberazioni del Consiglio dei Pro-

fessori 1860-1865, Archivio del Liceo Tor-

ricelli. Tutta la vicenda è riportata anche

da Bertoni (cit., p. 55) secondo cui la lette-

ra è degna di essere conosciuta «per la av-

vedutezza del suo contenuto e per la do-

verosa preoccupazione morale che ispi-

rava l’animo di quel nobile educatore».

Bertoni riporta anche la valutazioni in

‘condotta morale’ assegnate dal preside

ai professori e conservate all’Archivio

Centrale dello Stato: Del Lungo è l’unico

valutato con 10/10 (p. 57).7 Gabriele d’Annunzio, Le faville del

maglio, Milano, Treves, 1924, pp. 376 segg.8 Ringrazio per la preziosa collabora-

zione Cristina Briccoli, Luisa Pazzi, Elena

Romito, Daniela Simonini, Fabiano Zam-

belli.

Giambattista Marino, L’Adone, Venezia, Sarzina. L’Adone

uscì per la prima volta nel 1623 a Parigi e dopo pochi mesi

a Venezia. Qui è stata utilizzata la forma dell’edizione

1623 con frontespizio del 1626(?)

40 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

43aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

alla lettera una delle tante formule che vi eranoprescritte. Per agevolarne l’impiego i precetti era-no saggiamente raccolti nell’agile strumento pa-ratestuale di una Tabula:

a cognoser una che hauesse maculato lo matri-monio … a una donna che non podesse ingrave-darsi … a poner amore fra marito e molie …contra male di ochi … contra fluxo di sangue …a far che li putti metano li denti senza dolore …a sapere se la tua donna è casta … a usar infinitefiate l’atto venereo in una notte … se tu voi sa-pere le cose future … contra febre quartana … auno che non podesse urinare … che la tua don-na non usarà con altri … a caciar de casa le mo-sche … a caciar via tutti li sorgi de casa … che ladonna non possa fornicar … a far che le ranestiano quete … a far un foco che voli per aere.

«Se tu voi che la donna non si corumpine cerchi homini togli la verga del lu-po e li peli delle soe palpebre e li peli

che son sotto la barba e bruscia ogni cosa insieme edaglielo a bere ch’ela no sapia e non cercherà piùhomo». Chi, nel tardo Quattrocento, avesse volu-to mettersi al riparo da un eventuale tradimento daparte della propria donna non avrebbe dovuto farealtro che procurarsi una copia dell’Opra d’AlbertoMagno, nota anche come Liber aggregationis o Li-bro de le cose meravegliose de Alberto Magno, e seguire

Bibliofilia

di GIANCARLO PETRELLA

MEDICAMENTAALLA PORTATA DI TUTTI

Il Liber aggregationis

Nella pagina accanto: Alberto Magno, De le uirtu de l’herbe,

animali et pietre preciose & di molte marauegliose cose del

mondo, Venezia, Manfredo Bonelli, 20 giugno 1495

“medicamenta” available to everyoneThe essay investigates the 15th century printed tradition of the Liber aggregationis or Libro de le cosemeravegliose de Alberto Magno, a vulgarization of two texts concerning natural philosophy that circulated inmanuscript form from the late 13th century with the false attribution to Albert the Great from Cologne: the Liberde virtutibus herbarum, lapidum et animalium, divided into three short books on the therapeutic properties ofherbs, stones and animals, and the De mirabilibus mundi, a treatise on the magical-alchemical marvels of nature.The work was aimed at both scholars of natural philosophy and ordinary readers, to whom the variegated typology of the experimenta and the formulas for treating every disease was destined. It enjoyed a great fortune during the15th century, to the point that at the end of it over sixty editions had been issued, both of the original in Latin and of the numerous translations in several languages, about twenty of which were printed in Italy.

I lettori vi avrebbero trovato rimedi che pre-scrivevano l’impiego di erbe e parti organiche di ani-mali quasi per ogni necessità: per curare l’infertilità,la febbre quartana, accertare il tradimento di unadonna, per scacciare le mosche, far attecchire il fuo-co, contro topi e altri animali infestanti, o per in-fluenzare la mente e il cuore di una persona. Del tipo:

et quando si suffumiga la casa con la ongia sinistradel mulo non vi rimangono mosche … se la donnanon può concipere togli corno di cervo polveriza-to e mescola col fiele vaccino e tengalo la donnasopra di sé e usi con l’homo e subito se ingravede-rà. Se tu metti sopra la porta la seta de la coda delcavallo non potrano intrar zenzale in casa. Eldente del lupo di un anno appicato al collo ad unputto li fa uscir fuora li denti senza lesione alcuna… a fare che la donna non possi usare con alcuno

taglia delli suoi capilli e della polvere di essi spargisopra el tuo lecto ma ongila prima con miele etpoco doppo usa con la donna e quando la voraisciolgere fa el simile con li toi capegli. Dicesi chese alcuno se ongerà con lacte de asina tutti li pulicidela casa raduneranno adosso di lui.

Ma cosa nasconde davvero questa portentosaraccolta di experimenta? Sotto il titolo Liber aggre-gationis o Libro de le cose meravegliose de Alberto Ma-gno si cela il volgarizzamento di due testi concer-nenti la filosofia naturale che circolavano diffusa-mente in forma manoscritta sin dalla fine del XIIIsecolo con la menzognera attribuzione ad AlbertoMagno da Colonia: il Liber de virtutibus herbarum,lapidum et animalium, articolato in tre brevi librisulle proprietà terapeutiche delle erbe, pietre eanimali sulla scia degli erbari, lapidari e bestiarimedievali, e la parte centrale, costituita dagli expe-rimenta, ricette, formule e misture del De mirabili-bus mundi, trattato sulle meraviglie magico-alche-miche della natura.1 L’opera così assemblata trova-va impiego in un contesto di terapeutica medico-magica se non opposto quantomeno parallelo allamedicina classica, popolato di talismani, profilatti-ci, rimedi placebo che aveva goduto di lunga tradi-

A sinistra: Alberto Magno, De le uirtu de l’herbe, animali et

pietre preciose & di molte marauegliose cose del mondo, Brescia,

Battista Farfengo, 1494, incipit. Nella pagina accanto da

sinistra in senso orario: Liber secretorum Alberti Magni de

virtutibus herbarum, & animalium quorundam eiusdemque

liber de mirabilibus mundi, Venezia, Giovanni Tacuino, 1516,

colophon; Liber secretorum Alberti Magni de virtutibus

herbarum, & animalium quorundam eiusdemque liber de

mirabilibus mundi, Venezia, Giovanni Tacuino, 1516,

frontespizio; Alberto Magno, De le uirtu de l’herbe, animali

et pietre preciose & di molte marauegliose cose del mondo,

Venezia, Fabio e Agostino Zoppino, 1584; Alberto Magno,

De le uirtu de l’herbe, animali et pietre preciose & di molte

marauegliose cose del mondo, Torino, Francesco Silva, 1508

44 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

zione nella letteratura medieva-le. Le prescrizioni contenute nelDe virtutibus più che a curare unaspecifica malattia mirano infattia prevenire qualsivoglia malan-no sia fisico che spirituale e aporre rimedio ai più frequentiaccidenti della vita quotidiana.2

Gli experimenta del De mirabili-bus mescolano esperienze magi-co-superstiziose (filtri, incante-simi, misture) a rimedi naturalipertinenti alla filosofia naturale,all’astrologia, alla medicina eall’alchimia.3 L’opera così com-posta era al contempo indirizza-ta al dotto filosofo naturale (singolare fortuna ebbeil De mirabilibus nella ricezione di Cornelio Agrip-pa),4 cui compete la comprensione dei secreta natu-rae e di ciò che può apparire inusitato e inspiegabi-le, e agli indocti, ai quali era invece destinata la va-riegata tipologia degli experimenta.

Il risultato è un miscuglio di medicina preven-tiva e profilassi popolare che apertamente sconfinanella magia, epurata però degli elementi eterodossie intesa non come pratica evocativa dei demoni mal-

vagi, ma come sapere che ha peroggetto le cause naturali, fisiche eastrologiche. L’anonimo compi-latore ne era consapevole e forseproprio per mettersi al riparoaveva anteposto una breve pre-messa che rassicura sull’uso a finibuoni dei precetti, essendo rivoltia evitare malanni e non ad arreca-re male: «la operatione è alcunavolta bona alcuna volta cattiva se-condo che la scientia si muta o abono o a cativo fine al quale seadopera. Per el qual dicto conclu-diamo doi cose. De le quale l’unae principale è che la scientia de

l’arte magica non è cativa. Imperoché per la cogni-tione di quella si po’ fugire il male e seguire el bene».

La tipografia quattrocentesca si appropriòprontamente di questa compilazione, finendo colprolungarne la fortuna ben oltre la stagione dei ma-noscritti, al punto che a fine Quattrocento se neconteranno oltre sessanta edizioni (sia dell’origina-le latino che delle versioni nelle principali linguenazionali), una ventina delle quali stampate in Ita-lia.5 Si era iniziato probabilmente a Ferrara, nei tar-

45aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

di anni Settanta del secolo decimoquinto [Ferrara,Severinus Ferrariensis, c. 1477],6 a mettere sotto iltorchio l’originale latino del De mirabilibus mundi.Dopodiché molti replicarono stampando e ristam-pando un titolo destinato a facile smercio e altret-

tanto guadagno. Le edizioni di questa raccolta de-stinata a correre per le mani di un pubblico eteroge-neo di mercanti, contadini, litterati e illitterati, sisuccedono senza sosta da un centro tipografico al-l’altro della penisola. Le officine romane e napole-tane rispondono a quelle del Nord stampandonepiù d’una, anche se l’unica con esplicita sottoscri-zione è quella della versione latina del De mirabili-bus licenziata a Napoli da Antoine Gontier il 12 no-vembre 1493.7 Ma ragionevoli appaiono le attribu-zioni all’officina romana di Eucharius Silber di altretre sine notis.8 Alla tipografia bolognese spetta l’ini-ziativa di mettere in circolazione la versione in vol-gare, col titolo di Tractato de le cose marauegliose delmondo. Le edizioni bolognesi datate 1493 e 10 lu-glio 1494, rispettivamente per i tipi di Caligola eBazaliero Bazalieri,9 devono a loro volta aver solle-citato la risposta della tipografia di area padana. Se-guono infatti, in un brevissimo arco cronologico,un’edizione bresciana, sottoscritta da Battista Far-

NOTE1 ISABELLE DRAELANTS, Le Liber de virtuti-

bus herbarum, lapidum et animalium (Li-ber aggregationis). Un texte à succès at-tribué à Albert le Grand, Firenze, Sismel -

Edizioni del Galluzzo, 2007; ISABELLE DRAE-

LANTS - ANTONELLA SANNINO, Albertinisme ethermétisme dans une anthologie en fa-veur de la magie, le Liber aggregationis:prospective, in Mélanges offerts a Hos-sam Elkhadem par ses amis et élèves, ed.

Frank Daelemans - Jean-Marie Duvosquel

- Robert Halleux - David Juste, Bruxelles,

Archives et bibliotheques de Belgique,

2007, pp. 223-255; ANTONELLA SANNINO, Il“De mirabilibus mundi” tra tradizione ma-gica e filosofia naturale, Firenze, Sismel -

Edizioni del Galluzzo, 2011; EAD., La que-stione della magia e dell’ermetismo nel DeMirabilibus Mundi, in Universalità dellaRagione. Pluralità delle Filosofie nel Me-dioevo, XII Congresso Internazionale di Fi-

losofia Medievale: Palermo, 17-22 set-

tembre 2007, Palermo, Officina di Studi

Medievali, 2012, II, pp. 387-394.2 IOLANDA VENTURA, Medicina, magia e

Dreckapotheke sull’uso delle sostanzeanimali nella letteratura farmaceutica traXII e XV secolo, in Terapie e guarigioni.Convegno internazionale, Ariano Irpino,

5-7 ottobre 2008, a cura di Agostino Para-

vicini Bagliani, Firenze, Sismel - Edizioni

del Galluzzo, 2010, pp. 303-362: 328; Bet-ween Text and Patient: The Medical Enter-prise in Medieval and Early Modern Euro-pe, ed. by Florence Eliza Glaze - Brian K.

Nance, Firenze, Sismel - Edizioni del Gal-

luzzo, 2011.3 A. SANNINO, Il “De mirabilibus mundi”

A sinistra: Alberto Magno, De le uirtu de l’herbe, animali et

pietre preciose & di molte marauegliose cose del mondo,

Brescia, Battista Farfengo, 1494. Nella pagina accanto:

Alberto Magno, De le uirtu de l’herbe, animali et pietre

preciose & di molte marauegliose cose del mondo, Venezia,

Manfredo Bonelli, 20 giugno 1495

46 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

fengo il 19 dicembre 1494,10 una stampa milanesesottoscritta da Uldericus Scinzenzeler (9 marzo1495)11 e una duplice edizione veneziana licenziatada Manfredo Bonelli in data 1495 e 20 giugno1495.12 Né la fortuna si interrompe al giro di boa del

nuovo secolo. L’editoria cinquecentesca raccoglie-rà infatti il testimone dalle edizioni incunabole pro-seguendo a inondare il mercato con questa compi-lazione che tutti, evidentemente, non potevano farea meno di tenere in saccoccia.13

tra tradizione magica e filosofia naturale,

cit., pp. 22-71.4 Ivi, p. 47.5 GW 619-673. Sulla fortuna dei trat-

tati di Alberto Magno o a lui attribuiti si

veda DAGMAR GOTTSCHALL, Albert’s contri-butions to or influence on vernacular lite-ratures, in A companion to Albert the Gre-at, ed. by I. M. Resnick, Leiden, Brill, 2013,

pp. 725-757. Sulla tradizione manoscritta

del De mirabilibus si veda A. SANNINO, Il “Demirabilibus mundi” tra tradizione magicae filosofia naturale, pp. 75-84.

6 ISTC ia00248500 ne censisce tre soli

esemplari in Italia.7 ISTC ia00261500 ne censisce solo

quattro esemplari.8 ISTC ia00255800; ia00267100;

ia00267700.9 IGI 195, GW 668, ISTC ia00267200;

IGI 196, GW 669, ISTC ia00267300. Di en-

trambe si conserva un’unica copia, rispet-

tivamente presso l’Estense di Modena (al-

fa.H.7.5.5) e la Corsiniana di Roma

(51.B.23).10 ISTC ia00267350.

11 GW 670; ISTC ia00267380 censisce

un unico esemplare. 12 ESSLING 846, IGI 197, GW 671, ISTC

ia00267400; GW-Manuskript 0066920N,

ISTC ia00267450. Entro la fine del secolo

usciranno altre tre edizioni sine notis, una

veneziana (assegnata ancora al Bonelli c.

1496) e due romane c. 1500: GW 672-673,

GW-Manuskript 0067220N, ISTC

ia00267500, ia00267600, ia00267700. 13 Nel nuovo secolo se ne contano al-

meno una ventina di edizioni, prevalente-

mente della versione in volgare.

47aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

49aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

presentato, nel libro, come una figura che ha age-volato un importante slancio verso l’internaziona-lizzazione della cultura italiana e partecipato signi-ficativamente all’applicazione di un meditato pro-getto culturale, volto all’emancipazione da una tra-dizione resistente alle sollecitazioni artistiche piùaggiornate. Con il sostegno di approfondite ricer-che d’archivio, Nicoletti traccia, dunque, la storiadell’uomo e la storia dello studioso, per dedurneuna piccola storia della cultura artistica italiana.

Il vantaggioso pretesto di indagare il contri-buto dello storico dell’arte allo sviluppo di un set-tore specializzato nel catalogo dell’editore richie-de e produce, nondimeno, un esame altrettantoutile della storia degli studi condotti da Argan:una rassegna commentata delle sue letture e dellasua produzione bibliografica, che accompagnal’intero corso dell’argomentazione. Oltre checonsulente, infatti, Argan fu per l’Einaudi un au-tore operoso. Inaugurò l’attività di Argan all’Ei-naudi l’edizione di Walter Gropius e la Bauhaus,

LA STORIA DELL’ARTE IN CASA EDITRICE

Giulio Carlo Argan e l’Einaudi

L’avvio della collaborazione di Giulio Car-lo Argan (1909-1992) con l’Einaudi re-cuperò, tra il secondo dopoguerra e la fi-

ne degli anni Cinquanta, le più care e brillantiamicizie che lo studioso aveva stretto nell’am-biente intellettuale torinese durante gli anni dellaformazione. Il racconto che Luca Pietro Nicolettine fa nel suo Argan e l’Einaudi (Macerata, Quodli-bet, 2018) - supportato da una preziosa postfazio-ne redatta da Orietta Rossi Pinelli - prende lemosse dall’analisi dei contesti nei quali si svolsel’esercizio professionale di Argan, con lo scopo diinserire l’esperienza in casa editrice nella com-plessa fase di costituzione di una storia dell’artenell’Italia postbellica. L’autore ricostruisce le di-namiche interne all’azienda, ripercorrendo le fasidi sviluppo dei progetti dedicati alle disciplinestorico-artistiche; riallaccia il dialogo tra i nume-rosi protagonisti della scena culturale dell’Italiadel Novecento; tesse la trama del quadro politico-sociale che ha fatto da sfondo alle vicende narrate.

Funzionario in Soprintendenza, estensore dimolte voci enciclopediche per la Treccani, accade-mico e «grande epistolografo» (p. 11), Argan è rap-

Il Libro del Mese

di ANNALISA LAGANÀ

Nella pagina accanto: Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte

italiana, Firenze, Sansoni, 1968 (copertina della prima

edizione del secondo volume; il terzo, L’arte moderna

1770-1970, apparve nel 1970)

� Luca Pietro Nicoletti, «Argan e l’Einaudi. La storia dell’arte in casa editrice», Macerata, Quodlibet, 2018, pp. 201, 20 euro

pubblicato nel 1951. Sensibile da sempre all’im-pegno politico, lo studioso accolse la stesura diquesto libro come un’opportunità utile per rico-struire la storia di un’esperienza artistica straordi-nariamente influente sull’arte europea e un esem-pio rinnegato di politica positiva, ispirato alla de-mocrazia nel tempo delle dittature.

Ma fu l’anno 1952 il momento di più intensoe prolifico scambio con la casa editrice: quando,cioè, Giulio Einaudi affidò ad Argan la direzionedella sezione dedicata alle arti visive della nuovacollana “Biblioteca delle arti”. Questo passaggioregistrò due effetti notevoli: da un lato, l’avanza-mento di carriera di Argan e l’accresciuto valoredel suo ruolo; dall’altro, l’assunzione, da parte del-

l’Einaudi, di un profilo editoriale modellato sullasua personalità di storico dell’arte e di militantepolitico. Nel corso dello stesso anno, infatti, Ar-gan già suggeriva la traduzione di Peinture et Socié-té di Pierre Francastel che, uscito da poco in Fran-cia, assecondava con evidenza i suoi orientamentimetodologici (p. 89).

«Argan punta a libri recenti, a far tradurrequasi in presa diretta e a far entrare nel dibattitoquei testi che ritiene possano contribuire a tenerela cultura italiana al passo con le prospettive dellacritica di lingua non italiana. Einaudi, invece, but-ta lo sguardo all’indietro, verso testi classici, rac-colte di scritti o monografie su artisti» (pp. 93-94).I criteri di selezione, operati da Argan e da Einau-

Sopra da sinistra: Lionello Venturi, Il gusto dei primitivi, Torino, Einaudi, 1972 (copertina della prima edizione); Giulio

Carlo Argan (1909-1992) in una foto di Milton Gendel. Nella pagina accanto: copertina della prima edizione di Walter

Gropius e la Bauhaus, di Giulio Carlo Argan (Torino, Einaudi, 1951)

50 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

di, dei libri da offrire a un bacino di lettori semprepiù ampio, spesso conflissero. Allo stesso tempo,tuttavia, si concilieranno in elezioni fortunatissi-me, come la riedizione de Il gusto dei primitivi delmaestro Lionello Venturi, che uscirà nel 1972 (p.97) e la traduzione di Abstraktion und Einfülung diWilhelm Worringer, pubblicata nel 1975 (p. 89),entrambi, però, proposti all’editore da Argan tra il1952 e il 1953.

�Come consulente editoriale e come operato-

re della ricerca storico-artistica, Argan cercò,dunque, un equilibrio tra la tensione verso gliorientamenti teorici più attuali e la volontà di re-cuperare i contributi classici della disciplina. Lesue intenzioni confluivano, comunque, nell’obiet-tivo di costruire il canone della storiografia artisti-ca (p. 105), ossia un repertorio di testi che avevanoconcorso all’edificazione della storia dell’arte co-me disciplina e come ambito della memoria cultu-rale. Il progetto di riunire i grandi pezzi della sto-riografia convinsero, poi, Argan a occuparsi del-l’edizione degli scritti di Roberto Longhi, dal cuiapproccio, pure, diverse sempre. I lavori sulla rie-dizione dell’Officina ferrarese non si concluseroper motivi estranei alla volontà di Argan. Ciono-nostante, l’iniziativa rimane nella storia della casaeditrice come una testimonianza della felice di-sposizione alla composizione di un catalogo gene-rosamente comprensivo.

Si arenò anche il progetto di una grande Sto-ria dell’arte in dodici volumi che doveva essere di-retta da Venturi e coordinata da Argan. Eppure, ilavori - prolungatisi per un decennio - costituiro-no un vero e proprio laboratorio di ricerca per lastoria dell’arte, che riunì i più grandi nomi dellamateria intorno ai problemi della classificazionedelle arti minori, della precisazione delle questio-ni contestuali alla produzione artistica, della trat-tazione di argomenti di approfondimento cheavrebbero dovuto supportare lo studio della storia

dell’arte negli ordini di formazione superiore.Avendo avvertito le richieste delle scuole e delleuniversità, infatti, Argan puntava a colmare le la-cune presenti nell’editoria italiana specializzata,mettendo a punto un grande programma: la strut-turazione di un manuale rigoroso sotto il profilofilologico, ma adatto a una larga diffusione; chesquadernasse analiticamente le istituzioni dellastoria artistica, ma anche i fenomeni sociali corre-lati al suo sviluppo; che dividesse i livelli di appro-fondimento per favorire ogni possibile approccioai contenuti. Doveva realizzarsi, così, l’esito piùalto del contributo di Argan all’Einaudi.

Dopo la fine degli anni Cinquanta, Argantroverà altrove una dimora per i lavori capitali chescriverà nel decennio successivo e l’ultimo irrag-giunto progetto einaudiano incoraggerà il com-pletamento della Storia dell’arte italiana, uscita perSansoni a partire dal 1968.

51aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

Lo Scaffale del Bibliofilo

Nella cesta dell’ultimo catalogo della Li-breria Bongiorno di Modena (via Lana72; [email protected]) rinveniamo

alcune proposte che riteniamo interessanti e adat-te alla consueta rubrica mensile. Per gli amanti delgenere la prima e unica edizione di uno dei mag-giori trattati sul gioco degliscacchi del Settecento, opera delmodenese Giambattista Lolli(1698-1769), rinomato teorico escacchista.

L’opera ha un titolo piutto-sto ridondante, che dà benespiegazione del contenuto e del-le novità che promette al lettoredesideroso di apprendere i se-greti del ‘giuoco’: Osservazioniteorico pratiche sopra il Giuoco de-gli Scacchi ossia il Giuoco degliScacchi esposto nel suo miglior lumeda Giambatista Lolli Modenese.Opera novissima contenente le leg-gi fondamentali: i precetti più pur-gati: le migliori aperture: le più es-senziali terminazioni del Giuoco:una scelta Centuria di elegantissi-mi partiti: in somma tutto il mi-gliore degli antichi e moderni Au-tori, e Giuocatori riformato, ricor-

retto, ed appianato conforme l’esigenza, e arricchito(oltre un Indice copioso ed esatto) di moltissimi avverti-menti, e dichiarazioni valevoli ad istruir pienamentechiunque desideri d’apprendere con fondamento le re-gole, gli artifizi , e le finezze di questo nobil Giuoco.L’opera rivede e amplia il precedente trattato del1750 del modenese Ercole del Rio, uno degli av-versari del Lolli. L’edizione, pubblicata in Bolo-

gna, nella Stamperia di SanTommaso d’Aquino nel 1763, èun volume in folio di oltre sei-cento pagine arricchito di oltrecento diagrammi che illustranole posizioni finali. Aperta da unalettera del Del Rio con l’esposi-zione di alcuni precetti genera-li, comprende alcuni commentiteorici delle partite e cento fina-li di partita di cui 29 di Del Rio e11 dello stesso Lolli.

La proposta successiva ciporta indietro di due secoli e ciconduce allo scaffale dei classicidella letteratura italiana. Si trat-ta della prima edizione del Can-zoniere petrarchesco con l’im-portante commento di un altromodenese, il filologo e letteratoLodovico Castelvetro (1505-1571), esule in Svizzera religioniscausa. L’edizione (Le Rime del Pe-

CASTELVETRO E IL‘GIUOCO’ DEGLI SCACCHI

Consigli di collezionismo antiquario

di GIANCARLO PETRELLA

53aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

Nella pagina accanto: Osservazioni teorico

pratiche sopra il Giuoco degli Scacchi di

Giambatista Lolli Modenese, Bologna,

nella Stamperia di S. Tommaso d’Aquino,

1763. Sopra: Le Rime del Petrarca

brevemente sposte Per Lodovico Castelvetro»,

In Basilea ad istanza di Pietro

Sedabonis: incipitario manoscritto

trarca brevemente sposte Per Lodovico Castelvetro) fustampata postuma a Basilea per le cure di GiacomoCastelvetro da Pietro Perna (1519-1582), uno deipiù importanti tipografi della Basilea protestante,anch’egli esule per ragioni religiose («In Basilea adistanza di Pietro Sedabonis, 1582»). Il commentodel Castelvetro, la cui stesura risale fin dagli annigiovanili, sebbene fu portato a termine negli annidella maturità e dell’esilio tra il 1545 e il 1556, segnaun punto di svolta nella tradizione dei commenticinquecenteschi a Petrarca, superando l’interpreta-zione neoplatonica a favore invece di una più rigo-rosa indagine filologica e grammaticale, con atten-zione alla disamina delle fonti dell’autore. Il com-mento non fu però più ripubblicato sino all’edizio-ne veneziana del 1756 per i tipi dello Zatta.

�L’esemplare offerto dalla Libreria Bongiorno

presenta alle carte di guardia un interessante inci-pitario delle rime di mano cinquecentesca, segnaledell’impiego fattone da un lettore coevo.

Un’opera del Settecento libertino, infine. Laprima edizione de Il Corriero infedele («In Venetia,appresso Michiel’Angelo Barboni, 1671») del ve-neziano Pietro Capello, ambasciatore della Sere-nissima presso la Corte Pontificia, autore anchede Il favorito in Corte overo lo specchio de Cortegiani(1673). L’espediente è piuttosto diffuso nella let-teratura del secolo (si pensi al più noto Corrierosvaligiato di Ferrante Pallavicino), il presunto fur-to o la sottrazione di alcune lettere private, espe-diente per piccanti pagine intrise di misoginia eallusioni oscene (tra cui «Lettera d’una ruffianaad una Donzella, Lettera d’una Puttana ma artifi-cio fatto al suo Drudo, Lettera d’un Poeta carce-rato per componimenti indecenti , Lettera d’unaserva di meretrice in di lei detrattione, Lettera diDama interessata al suo Amante assente, Letteradi chi si querela esser fatto dalla moglie Becco,Lettera ad una Dama con una scattola di tabbaccoin polvere»).

Dall’alto: Le Rime del Petrarca brevemente sposte Per

Lodovico Castelvetro», In Basilea ad istanza di Pietro

Sedabonis, 1582; Osservazioni teorico pratiche sopra il

Giuoco degli Scacchi di Giambatista Lolli Modenese, Bologna,

nella Stamperia di S. Tommaso d’Aquino, 1763

55aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 57

Later. Aldus Manutius: Culture,Typography and Philology, curato daNicola Vacalebre, raccoglie gli atti delmedesimo convegno, tenutosi a Milano(19-20 novembre 2015) presso laBiblioteca Ambrosiana e organizzatodal Centro di Ricerca Europeo LibroEditoria Biblioteca dell’UniversitàCattolica del Sacro Cuore insieme alGrolier Club di New York. «L’obiettivo -scrive il curatore - è statoprincipalmente quello di fare il puntosugli studi aldini sviluppatisi negliultimi decenni , sulle differentitendenze e le nuove linee di indagineche gli studiosi hanno percorso inseguito alle celebrazioni del biennio1994-1995. Non solo dunqueinterventi relativi alla dimensione dellastoria tipografica o del collezionismoma anche contributi che si relazionano

alla realtàsociale edeconomicadella Veneziaaldina, aglistampatori cheoperarono inconcorrenzacon la casa

«Ancora per Aldo Manuzio. Ai margini del V centenario.Contributi e ricercheinterdisciplinari», a cura di Alessandro Scarsella e MarcoMenato, «Studi Goriziani», n. 111, Gorizia, Libreria antiquariaDrogheria 28 - Biblioteca StataleIsontina, 2018, pp. 186, 25 euro

Nella vastamesse dicontributi,saggi evolumigemmatinell’occasionedel Vcentenario

della morte di Aldo Manuzio, questovolume - curato da AlessandroScarsella e Marco Menato - spicca pervarie ragioni. In esso sono raccolti gliatti del convegno promosso dalDipartimento Studi Linguistici eCulturali Comparati dell’Università diVenezia e dal Convento di SanFrancesco della Vigna, svoltosi l’8 e il 9aprile 2016. Le ragioni alle quali siaccennava poc’anzi risiedono nel fattoche in Ancora per Aldo Manuzio il tema

LO SCAFFALEPubblicazioni di pregio più o meno recenti,fra libri e tomi di piccoli e grandi editori

inSEDICESIMO

è stato affrontato dai contributori contaglio interdisciplinare. Al di là - quindi- degli aspetti riguardanti la storia dellibro e dell’editoria, la figura di AldoManuzio è stata messa al centro di unaserie di riflessioni che hanno coinvoltotanto la comparatistica e la semiologia(utili per lo «studio della scrittura, dellacomunicazione e dell’immagine»)quanto la storia delle idee e dei processiculturali. Interessanti, fra gli altri, isaggi di Giovanna Zaganelli(Corrispondenze, richiami e interscambitra parole e immagini nel Polifilo), diPaola Mollo (Sul Musarum Panagyris diAldo Manuzio. Fonti letterarie etraduzione italiana), di Piero Scapecchi(Erasmo e Aldo, Aldo e Erasmo), diFederica Formiga (Aldo Manuzio: dalfumetto al grapich novel) e MassimoGatta (Il Franciscus Columna ovverol’estremo omaggio di Charles Nodier adAldo Manuzio).

«Five Centuries Later. AldusManutius: Culture, Typography and Philology», a cura di NicolaVacalebre, Firenze, Olschki, 2018,pp. 250, 35 euroL’imponente volume Five Centuries

LO SCAFFALE – L’APPUNTAMENTO DEL MESE – RIFLESSIONI E INTERPRETAZIONIANDAR PER MOSTRE – IL LIBRO D’ARTE – IN APPENDICE/FEUILLETON

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 57

Later. Aldus Manutius: Culture,Typography and Philology, curato dayyNicola Vacalebre, raccoglie gli atti delmedesimo convegno, tenutosi a Milano(19-20 novembre 2015) presso laBiblioteca Ambrosiana e organizzatodal Centro di Ricerca Europeo LibroEditoria Biblioteca dell’UniversitàCattolica del Sacro Cuore insieme alGrolier Club di New York. «L’obiettivo -scrive il curatore - è statoprincipalmente quello di fare il puntosugli studi aldini sviluppatisi negliultimi decenni , sulle differentitendenze e le nuove linee di indagineche gli studiosi hanno percorso inseguito alle celebrazioni del biennio1994-1995. Non solo dunqueinterventi relativi alla dimensione dellastoria tipografica o del collezionismoma anche contributi che si relazionano

alla realtàsociale edeconomicadella Veneziaaldina, aglistampatori cheoperarono inconcorrenzacon la casa

«Ancora per Aldo Manuzio.Ai margini del V centenario.Contributi e ricercheinterdisciplinari», a cura di Alessandro Scarsella e MarcoMenato, «Studi Goriziani»,n. 111, Gorizia, Libreria antiquariaDrogheria 28 - Biblioteca StataleIsontina, 2018, pp. 186, 25 euro

Nella vastamesse dicontributi,saggi evolumigemmatinell’occasionedel Vcentenario

della morte di Aldo Manuzio, questovolume - curato da AlessandroScarsella e Marco Menato - spicca pervarie ragioni. In esso sono raccolti gliatti del convegno promosso dalDipartimento Studi Linguistici eCulturali Comparati dell’Università diVenezia e dal Convento di SanFrancesco della Vigna, svoltosi l’8 e il 9aprile 2016. Le ragioni alle quali siaccennava poc’anzi risiedono nel fattoche in Ancora per Aldo Manuzio il tema

LO SCAFFALEPubblicazioni di pregio più o meno recenti,fra libri e tomi di piccoli e grandi editori

inSEDICESIMO

è stato affrontato dai contributori contaglio interdisciplinare. Al di là - quindi- degli aspetti riguardanti la storia dellibro e dell’editoria, la figura di AldoManuzio è stata messa al centro di unaserie di riflessioni che hanno coinvoltotanto la comparatistica e la semiologia(utili per lo «studio della scrittura, dellacomunicazione e dell’immagine»)quanto la storia delle idee e dei processiculturali. Interessanti, fra gli altri, isaggi di Giovanna Zaganelli(Corrispondenze, richiami e interscambitra parole e immagini nel Polifilo), diPaola Mollo (Sul Musarum Panagyris diAldo Manuzio. Fonti letterarie etraduzione italiana), di Piero Scapecchi(Erasmo e Aldo, Aldo e Erasmo), diFederica Formiga (Aldo Manuzio: dalfumetto al grapich novel) e MassimollGatta (Il Franciscus Columna ovverol’estremo omaggio di Charles Nodier adAldo Manuzio).

«Five Centuries Later. AldusManutius: Culture, Typography and Philology», a cura di NicolaVacalebre, Firenze, Olschki, 2018,pp. 250, 35 euroL’imponente volume Five Centuries

LO SCAFFALE – L’APPUNTAMENTO DEL MESE – RIFLESSIONI E INTERPRETAZIONIANDAR PER MOSTRE – IL LIBRO D’ARTE – IN APPENDICE/FEUILLETON

manuziana, alla sfera della linguistica,al rapporto diretto di Aldo con lalingua e la grammatica greca, alcommercio librario antico e allecollezioni aldine di alcune note emeno note raccolte contemporanee». Isaggi presenti (molti dei quali ininglese), sancendo, da un lato, leconoscenze raggiunte negli ultimivent’anni sullo stampatore diBassiano, aprono, dall’altro, a nuovispunti di ricerca, come nel caso dellostudio di apertura, firmato dal celebreincunabolista Piero Scapecchi(Vent’anni dopo). Seguono poi altriscritti di valore, come quello di ScottClemons (Pressing business. Theeconomics of the Aldine press),dedicato - sulla scia degli studi diMartin Lowry - agli «aspetti economicie di mercato» della stamperia aldina, ocome quello firmato da David Speranzi(La scrittura di Aldo e il suo ultimocarattere greco), centrato «sui modellicui si sono ispirati i caratteri aldini».Interessanti anche i saggi dedicati alcollezionismo (Nicolas Barker: TheAhmanson-Murphy cataloguerevisited; Andrea De Pasquale: Ilcollezionismo di aldine nelle biblioteched’Italia nord-occidentale del XIX secolo:i casi delle biblioteche nazionali diMilano e Torino) nonché quelliindirizzati alla presentazione di «alcunecollezioni aldine di biblioteche italianecontemporanee» (Isabella Fiorentini: Laraccolta aldina della BibliotecaTrivulziana; Marina Bonomelli: Lacollezione aldina dell’Ambrosiana;Marzia Sorrentino: Aldo Manuzio e isuoi eredi a Monreale nelle biblioteche“Ludovico II De Torres” e “Santa MariaLa Nuova”).

V ecchi Libri in Piazza Diaz, lastorica mostra-mercato cheogni seconda domenica del

mese da venticinque anni ‘invade’ dilibri il centro di Milano, torna ancheper il mese di aprile. Saranno oltrecento gli espositori che animeranno lagiornata di domenica 14 aprile,proponendo sui loro banchi: libriantichi, usati, da collezione e fuoricatalogo. Non mancheranno anchestampe antiche, manifesti, cartoline,fotografie e fumetti. Un percorso tutto‘libresco’, che si snoda sotto i portici dipiazza Diaz, piazza del Duomo, viaGonzaga, via Marconi e via Baracchini,dedicato a collezionisti, bibliofili eavidi lettori che potranno avventurarsia caccia di rarità e offerte imperdibiliin quella che è la manifestazioneall’aperto, dedicata al libro antico, piùgrande d’Europa.

Ma non è finita qui. Alle ore 11,presso gli spazi di Panino Giusto

(piazza Diaz, 6), con la conferenza Ilmestiere di valutar libri, si tenterà difornire a una risposta ad alcunedomande che spesso un bibliofilo sipone: quanto vale un libro antico?Quali sono le caratteristiche che devepossedere per una stima corretta dimercato? A chi mi devo rivolgere peruna valutazione? I relatori scelti perl’occasione sono professionisti delmondo librario e non solo. Per ilsettore dei ‘manoscritti e documentiautografi’ interverrà Giancarlo Moroni,perito del Collegio Lombardo PeritiEsperti Consulenti, mentre per lacategoria ‘cartoline’ sarà presenteClaudio Di Masi. Entrambi sonocoautori di Emmeacca, il catalogostorico dei Manuali Hoepli dall’iniziodella loro pubblicazione nel 1875 finoal 1945. In esso sono racchiuse più di1.700 immagini delle copertine delleprime edizioni e oltre 20.000informazioni relative a tutti i volumi

58 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

L’APPUNTAMENTO DEL MESEIL MESTIERE DI VALUTAR LIBRIVecchi libri in piazza Diaz (Milano)

manuziana, alla sfera della linguistica,al rapporto diretto di Aldo con lalingua e la grammatica greca, alcommercio librario antico e allecollezioni aldine di alcune note emeno note raccolte contemporanee». Isaggi presenti (molti dei quali ininglese), sancendo, da un lato, leconoscenze raggiunte negli ultimivent’anni sullo stampatore diBassiano, aprono, dall’altro, a nuovispunti di ricerca, come nel caso dellostudio di apertura, firmato dal celebreincunabolista Piero Scapecchi(Vent’anni dopo). Seguono poi altriscritti di valore, come quello di ScottClemons (Pressing business. Theeconomics of the Aldine press),sdedicato - sulla scia degli studi diMartin Lowry - agli «aspetti economicie di mercato» della stamperia aldina, ocome quello firmato da David Speranzi(La scrittura di Aldo e il suo ultimocarattere greco), centrato «sui modellicui si sono ispirati i caratteri aldini».Interessanti anche i saggi dedicati alcollezionismo (Nicolas Barker: TheAhmanson-Murphy cataloguerevisited; Andrea De Pasquale: Ilcollezionismo di aldine nelle biblioteched’Italia nord-occidentale del XIX secolo:i casi delle biblioteche nazionali diMilano e Torino) nonché quelliindirizzati alla presentazione di «alcunecollezioni aldine di biblioteche italianecontemporanee» (Isabella Fiorentini: Laraccolta aldina della BibliotecaTrivulziana; Marina Bonomelli: Lacollezione aldina dell’Ambrosiana;Marzia Sorrentino: Aldo Manuzio e isuoi eredi a Monreale nelle biblioteche“Ludovico II De Torres” e “Santa MariaLa Nuova”).””

V ecchi Libri in Piazza Diaz, lastorica mostra-mercato cheogni seconda domenica del

mese da venticinque anni ‘invade’ dilibri il centro di Milano, torna ancheper il mese di aprile. Saranno oltrecento gli espositori che animeranno lagiornata di domenica 14 aprile,proponendo sui loro banchi: libriantichi, usati, da collezione e fuoricatalogo. Non mancheranno anchestampe antiche, manifesti, cartoline,fotografie e fumetti. Un percorso tutto‘libresco’, che si snoda sotto i portici dipiazza Diaz, piazza del Duomo, viaGonzaga, via Marconi e via Baracchini,dedicato a collezionisti, bibliofili eavidi lettori che potranno avventurarsia caccia di rarità e offerte imperdibiliin quella che è la manifestazioneall’aperto, dedicata al libro antico, piùgrande d’Europa.

Ma non è finita qui. Alle ore 11,presso gli spazi di Panino Giusto

(piazza Diaz, 6), con la conferenza Ilmestiere di valutar libri, si tenterà diiifornire a una risposta ad alcunedomande che spesso un bibliofilo sipone: quanto vale un libro antico?Quali sono le caratteristiche che devepossedere per una stima corretta dimercato? A chi mi devo rivolgere peruna valutazione? I relatori scelti perl’occasione sono professionisti delmondo librario e non solo. Per ilsettore dei ‘manoscritti e documentiautografi’ interverrà Giancarlo Moroni,perito del Collegio Lombardo PeritiEsperti Consulenti, mentre per lacategoria ‘cartoline’ sarà presenteClaudio Di Masi. Entrambi sonocoautori di Emmeacca, il catalogostorico dei Manuali Hoepli dall’iniziodella loro pubblicazione nel 1875 finoal 1945. In esso sono racchiuse più di1.700 immagini delle copertine delleprime edizioni e oltre 20.000informazioni relative a tutti i volumi

58 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

L’APPUNTAMENTO DEL MESEIL MESTIERE DI VALUTAR LIBRIVecchi libri in piazza Diaz (Milano)

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 59

della collana. Per il mondo dellestampe antiche sarà presente LuigiVilla, esperto di stampe, cartografia evedutistica. A completare e amoderare l’incontro anche SergioMalavasi, in qualità di esperto di libriantichi e rari della storica LibreriaAntiquaria Malavasi di Milano.Fondatore di Maremagnum.com,piattaforma italiana per la venditaonline di libri antichi, rari, d’occasionee moderni, e di Marelibrorum.com,l’archivio storico di 50 milioni di libriapparsi su Maremagnum.com dal1996, uno strumento indispensabileper chi intende effettuare unavalutazione in totale autonomia.

U na delle figure più affascinantie controverse della storiaantica. Una donna che seppe

sfruttare la sua posizione privilegiataper conquistare il potere, nonché pergarantire la successione al figlio, ilgrande Alessandro. Un unicum di dotistraordinarie che la resero e la rendonotuttora un personaggio mitico, ma alcontempo vittima di una campagnadiffamatoria millenaria e forse non contutti i torti.

L’indagine svolta da LorenzoBraccesi in Olimpiade Regina diMacedonia edita da Salerno Editrice, hail grande pregio di sollevare il velo cheda troppo tempo grava sulla figuradella grande regina d’Epiro. Misteri,qualità, difetti, vicende storiche - checoncorrono a caratterizzare il profilodella protagonista - sono stati passatial setaccio, snocciolando uno per unoinformazioni, fonti storiche ericostruzioni ricavate dai minimidettagli al fine di trasmettere al lettoreun ritratto volto a riflettere ‘l’originale’storico. Nell’antichità non era facile peruna donna detenere il potere e ottenereil rispetto da parte della società.Proverbiale era la considerazione di cuigodevano le donne spartane in quantomadri di valorosi guerrieri dell’esercitolacedemone e ‘responsabili’ del buonandamento della casa e delle proprietàquando gli uomini erano assenti,esercitando un potere assoluto sugliiloti che lavoravano per loro. Nel

RIFLESSIONI E INTERPRETAZIONIOLIMPIADE DI MACEDONIAUna protagonista dei suoi tempi

� Vecchi Libri in Piazza DiazDomenica 14 aprile 2019Milano, Piazza Diazore 9-17

� «Il mestiere di valutar libri»Domenica 14 aprile 2019Milano, Piazza Diaz 6(Panino Giusto)ore 11

Dall’alto: Olimpiade, medaglione d’oro,

III sec. a.C., Salonicco, Museo Archeologico;

Alessandro Magno e Olimpiade, cammeo

del I sec. a. C., Firenze, Museo Archeologico

Nazionale

di greta massimi

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 59

della collana. Per il mondo dellestampe antiche sarà presente LuigiVilla, esperto di stampe, cartografia evedutistica. A completare e amoderare l’incontro anche SergioMalavasi, in qualità di esperto di libriantichi e rari della storica LibreriaAntiquaria Malavasi di Milano.Fondatore di Maremagnum.com,piattaforma italiana per la venditaonline di libri antichi, rari, d’occasionee moderni, e di Marelibrorum.com,l’archivio storico di 50 milioni di libriapparsi su Maremagnum.com dal1996, uno strumento indispensabileper chi intende effettuare unavalutazione in totale autonomia.

U na delle figure più affascinantie controverse della storiaantica. Una donna che seppe

sfruttare la sua posizione privilegiataper conquistare il potere, nonché pergarantire la successione al figlio, ilgrande Alessandro. Un unicum di dotistraordinarie che la resero e la rendonotuttora un personaggio mitico, ma alcontempo vittima di una campagnadiffamatoria millenaria e forse non contutti i torti.

L’indagine svolta da LorenzoBraccesi in Olimpiade Regina diMacedonia edita da Salerno Editrice, hail grande pregio di sollevare il velo cheda troppo tempo grava sulla figuradella grande regina d’Epiro. Misteri,qualità, difetti, vicende storiche - checoncorrono a caratterizzare il profilodella protagonista - sono stati passatial setaccio, snocciolando uno per unoinformazioni, fonti storiche ericostruzioni ricavate dai minimidettagli al fine di trasmettere al lettoreun ritratto volto a riflettere ‘l’originale’storico. Nell’antichità non era facile peruna donna detenere il potere e ottenereil rispetto da parte della società.Proverbiale era la considerazione di cuigodevano le donne spartane in quantomadri di valorosi guerrieri dell’esercitolacedemone e ‘responsabili’ del buonandamento della casa e delle proprietàquando gli uomini erano assenti,esercitando un potere assoluto sugliiloti che lavoravano per loro. Nel

RIFLESSIONI E INTERPRETAZIONIOLIMPIADE DI MACEDONIAUna protagonista dei suoi tempi

� Vecchi Libri in Piazza DiazDomenica 14 aprile 2019Milano, Piazza Diazore 9-17

� «Il mestiere di valutar libri»Domenica 14 aprile 2019Milano, Piazza Diaz 6(Panino Giusto)ore 11

Dall’alto: Olimpiade, medaglione d’oro,

III sec. a.C., Salonicco, Museo Archeologico;

Alessandro Magno e Olimpiade, cammeo

del I sec. a. C., Firenze, Museo Archeologico

Nazionale

di greta massimi

figli troppo giovani, di fatto tenevano lesorti del potere in prima persona. Ed èproprio il triplice ruolo di moglie, madree regina che costituisce la chiave percomprendere la complessa figura diOlimpiade regina d’Epiro, genitrice delfuturo conquistatore del mondo, sposadel poligamo Filippo II di Macedonia, laquale dovette combattere contro lemogli rivali e i loro figli per arrivare agarantire la successione al trono del suoAlessandro.

Lei, donna dai natali illustri, figlia delre Neottolemo della dinastia Eacide,dalla duplice discendenza mitica ‘greca etroiana’ e che secondo Giustino, sin dagiovinetta, era chiamata «Myrtale»,termine che nell’onomastica greca siriconnette alla pianta del mirto, simbolodi vitalità e rinascita della natura, ma altempo stesso al regno dei morti e aiculti dionisiaci. Dualità caratterialetipica della nostra protagonista, la qualedovrà imporsi tra le sette donne, mogli econcubine che suo marito collezionerànella sua carriera politico-militare.Edificatore, Filippo, di uno statorinnovato dal respiro ‘europeo’ chespianerà il campo al figlio Alessandro,educato per suo volere dal grandeAristotele, garantendogli l’eredità di unmonarcato all’avanguardia, ma padrecolpevole di non averlo protetto da altripossibili pretendenti. Ma colpa dameritargli l’uccisione da parte (forse)della stessa moglie Olimpiade con lacomplicità del figlio? Un ruolo, quellodella regina d’Epiro, di protettrice evendicatrice degli interessi del suoAlessandro cui la lega un sentimentoindissolubile, sebbene sconfitta daldestino, da donna ribelle e passionalecome Medea e altera come una dea.

periodo ellenistico tra le persone piùricche di Sparta figurano donne. Uncorrispettivo evoluto in tal senso lotroviamo nelle donne romane di etàimperiale che conquistarono dignità eautonomia. Molte imperatrici aiutaronoi propri mariti a costruire il proprioimpero come Livia, la moglie diAugusto, o a farne rispettare le volontàcome Plotina, moglie di Traiano, chedopo la morte di quest’ultimo neassicurò le segrete volontà politichetestamentarie facendo ottenere lasuccessione ad Adriano senza contrasti,o a Galla Placidia, la quale reggerà ilgoverno per suo figlio Valentiniano IIIsul finire dell’impero romanod’Occidente.

Se con le nozze gli uoministabilivano fruttuose alleanze politiche,è pur vero che le ‘donne’, appoggiando imariti o reggendo il trono per conto dei

Sopra: Giulio Romano (1499-1546), Il concepimento di Alessandro Magno, Mantova, Palazzo Te:

Zeus (al centro) seduce Olimpiade (a sinistra) mentre il marito Filippo (a destra) viene

temporaneamente accecato da una folgore

� Lorenzo Braccesi,«Olimpiade regina di Macedonia», Roma, Salerno Editrice, 2019, pp. 168, 16 euro

60 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

figli troppo giovani, di fatto tenevano lesorti del potere in prima persona. Ed èproprio il triplice ruolo di moglie, madree regina che costituisce la chiave percomprendere la complessa figura diOlimpiade regina d’Epiro, genitrice delfuturo conquistatore del mondo, sposadel poligamo Filippo II di Macedonia, laquale dovette combattere contro lemogli rivali e i loro figli per arrivare agarantire la successione al trono del suoAlessandro.

Lei, donna dai natali illustri, figlia delre Neottolemo della dinastia Eacide,dalla duplice discendenza mitica ‘greca etroiana’ e che secondo Giustino, sin dagiovinetta, era chiamata «Myrtale»,termine che nell’onomastica greca siriconnette alla pianta del mirto, simbolodi vitalità e rinascita della natura, ma altempo stesso al regno dei morti e aiculti dionisiaci. Dualità caratterialetipica della nostra protagonista, la qualedovrà imporsi tra le sette donne, mogli econcubine che suo marito collezionerànella sua carriera politico-militare.Edificatore, Filippo, di uno statorinnovato dal respiro ‘europeo’ chespianerà il campo al figlio Alessandro,educato per suo volere dal grandeAristotele, garantendogli l’eredità di unmonarcato all’avanguardia, ma padrecolpevole di non averlo protetto da altripossibili pretendenti. Ma colpa dameritargli l’uccisione da parte (forse)della stessa moglie Olimpiade con lacomplicità del figlio? Un ruolo, quellodella regina d’Epiro, di protettrice evendicatrice degli interessi del suoAlessandro cui la lega un sentimentoindissolubile, sebbene sconfitta daldestino, da donna ribelle e passionalecome Medea e altera come una dea.

periodo ellenistico tra le persone piùricche di Sparta figurano donne. Uncorrispettivo evoluto in tal senso lotroviamo nelle donne romane di etàimperiale che conquistarono dignità eautonomia. Molte imperatrici aiutaronoi propri mariti a costruire il proprioimpero come Livia, la moglie diAugusto, o a farne rispettare le volontàcome Plotina, moglie di Traiano, chedopo la morte di quest’ultimo neassicurò le segrete volontà politichetestamentarie facendo ottenere lasuccessione ad Adriano senza contrasti,o a Galla Placidia, la quale reggerà ilgoverno per suo figlio Valentiniano IIIsul finire dell’impero romanod’Occidente.

Se con le nozze gli uoministabilivano fruttuose alleanze politiche,è pur vero che le ‘donne’, appoggiando imariti o reggendo il trono per conto dei

Sopra: Giulio Romano (1499-1546), Il concepimento di Alessandro Magno, Mantova, Palazzo Te:

Zeus (al centro) seduce Olimpiade (a sinistra) mentre il marito Filippo (a destra) viene

temporaneamente accecato da una folgore

� Lorenzo Braccesi,«Olimpiade reginadi Macedonia»,Roma, Salerno Editrice,2019, pp. 168, 16 euro

60 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

N on si può fare a meno, difronte alle venti scultureesposte da Lorenzelli Arte a

Milano nella mostra Herbert Ferber.Scultura come metafora di un’idea (15febbraio-30 aprile 2019), quantol’opera dell’artista newyorkese (1906-1991), esponente della prima ora dellagloriosa scuola del Pacifico, abbiacontato per la scultura italiana.Bisognerebbe percorrere le vie dellaricezione e della fortuna di unoscultore la cui traiettoria sembratoccare di rado l’Italia, finché non èproprio Lorenzelli a organizzare, nel1988, la prima mostra personale diFerber in Italia presentata da FlaminioGualdoni.

Eppure quella vocazionearchitettonica sembra foriera di grandiinsegnamenti per certa sculturaitaliana e milanese in particolare, perle forme sempre più astraenti peresempio di Carlo Ramous e la suafusione di lamine saldate e motiviondulati. Al contempo, come facevagià notare Gualdoni, non mancanoaddentellati con una cultura visivaitaliana, quasi la sua ricerca potesseessere un effetto del riverbero a lungagittata della ricezione del Futurismoitaliano negli Stati Uniti, seppuremediato anche entro una linea disurrealismo astratto molto evidenti.Nella sua scultura, forme geometrichedi animazione spaziale creano un

gioco di equilibri, poggiando su unsolo punto e da questo sollevandosida terra, secondo quel calibrato giocodi pesi e contrappesi che rendepossibili momenti di slancio dinamicopausati da accenni di stasi,provocando un ritmo avvolgente difigure che si rincorrono nello spazio.Sono strutture aperte le sue,attraversabili, virtuali cattedraliall’aperto, monumenti al concretismo:

sta qui lo stacco dai suoi modelli dipartenza, Picasso e Gonzales, dal cuiesempio aveva appreso l’artedell’assemblaggio mediandola conl’idea di gabbia desunta da Giacometti,a cui lo lega un profondo interesse. Sisarebbe però tentati di pensare a unamemoria futurista di fronte a unalamiera danzante che, piegandosi,disegna uno spazio basandosi suspesso su tre semplicissimi elementi: il

ANDAR PER MOSTRE/1IL METALLO DANZANTEAppunti su Herbert Ferber

Sopra: Bartonville I, 1968, rame copper. Sotto: Four Poles I, 1979, acciaio steel

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 61

di luca pietro nicoletti

N on si può fare a meno, difronte alle venti scultureesposte da Lorenzelli Arte a

Milano nella mostra Herbert Ferber.Scultura come metafora di un’idea (15febbraio-30 aprile 2019), quantol’opera dell’artista newyorkese (1906-1991), esponente della prima ora dellagloriosa scuola del Pacifico, abbiacontato per la scultura italiana.Bisognerebbe percorrere le vie dellaricezione e della fortuna di unoscultore la cui traiettoria sembratoccare di rado l’Italia, finché non èproprio Lorenzelli a organizzare, nel1988, la prima mostra personale diFerber in Italia presentata da FlaminioGualdoni.

Eppure quella vocazionearchitettonica sembra foriera di grandiinsegnamenti per certa sculturaitaliana e milanese in particolare, perle forme sempre più astraenti peresempio di Carlo Ramous e la suafusione di lamine saldate e motiviondulati. Al contempo, come facevagià notare Gualdoni, non mancanoaddentellati con una cultura visivaitaliana, quasi la sua ricerca potesseessere un effetto del riverbero a lungagittata della ricezione del Futurismoitaliano negli Stati Uniti, seppuremediato anche entro una linea disurrealismo astratto molto evidenti.Nella sua scultura, forme geometrichedi animazione spaziale creano un

gioco di equilibri, poggiando su unsolo punto e da questo sollevandosida terra, secondo quel calibrato giocodi pesi e contrappesi che rendepossibili momenti di slancio dinamicopausati da accenni di stasi,provocando un ritmo avvolgente difigure che si rincorrono nello spazio.Sono strutture aperte le sue,attraversabili, virtuali cattedraliall’aperto, monumenti al concretismo:

sta qui lo stacco dai suoi modelli dipartenza, Picasso e Gonzales, dal cuiesempio aveva appreso l’artedell’assemblaggio mediandola conl’idea di gabbia desunta da Giacometti,a cui lo lega un profondo interesse. Sisarebbe però tentati di pensare a unamemoria futurista di fronte a unalamiera danzante che, piegandosi,disegna uno spazio basandosi suspesso su tre semplicissimi elementi: il

ANDAR PER MOSTRE/1IL METALLO DANZANTEAppunti su Herbert Ferber

Sopra: Bartonville I, 1968, rame copper.II Sotto: Four Poles I, 1979, acciaio steelII

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 61

di luca pietro nicoletti

primordiale, inquietante e primitivo,da cui si coglie la radice surrealistadell’immaginario di Ferber.

Qui, scriveva Gualdoni, siriconosce un «elementod’eccentricità, di classicità d’assettosottoposta a movenze didrammatizzazione formale, in gradod’innescare effetti di vibrantecircolazione nello spaziocircostante».

Mi chiedo, oltretutto, quantoqueste sculture sentano la nostalgiadel colore, che è invece cosìimportante nelle sue opere su carta.È invece certo che quella sculturacontiene una implicita vocazionemonumentale anche laddove nondarebbe a vederlo: questi segmenticonvergenti in una forma aerea emobile sono indicazionipluridirezionali che divaricano lastruttura e le danno uno schemaaperto, articolato come una frasecon uno sviluppo spaziale. [lpn]

N el 2008 un gruppo di artisti èchiamato a intervenire sudelle altissime colonne di

tessuto appese nel cortile del Palazzodi San Galgano a Siena: sono iPropilei. Un colonnato perl’immaginario alla base del progetto“San Galgano Square” pensato daMassimo Bignardi nel contesto del suoinsegnamento di storia dell’artecontemporanea, in occasione delquale aveva chiamato Omar Galliani,Mainolfi, Nunzio, Salvatore, Spoldi eZorio nel cuore di un’irripetibileesperienza didattica di cui dà conto unpiccolo libro curato da Bignardi stessoper l’editore Mimesis nel 2018 suSiena laboratorio del contemporaneo.Didattica tra ricerca ed esperienze sulcampo. Le pagine qui raccoltecostituiscono il diario di un’esperienzaeducativa nel campo di una disciplinagiovane per l’ambito accademico, doveha dignità di insegnamento autonomosoltanto dalla fine degli anni Settanta.Nei successivi quarant’anni, dunque, siè assistito a una progressiva messa apunto di metodi e strategie che hannoportato in profondità il discorsopionieristicamente avviato da un certonumero di critici militanti che eranoentrati nell’università portando il lorobagaglio di esperienze sul campo esulla base delle quali fondare glistatuti di una disciplina. È dunquenormale che si tratti di una materia inmovimento che, alla ricerca di unapropria identità, lascia apertemolteplici possibilità di intendere ladidattica e il suo potenziale.

È quando Massimo Bignardi, dasempre diviso fra l’insegnamento e lamilitanza sul campo specialmente in

disco, l’arco, e una saetta che liattraversa conficcandosi al suolo.Eppure, se si butta un occhio aldisegno ci si rende conto come lostesso soggetto si animaall’improvviso: quell’incastro dilamiere dà vita a una sorta di insetto

HERBERT FERBER. SCULTURACOME METAFORA DI UN’IDEA

MILANO, LORENZELLI ARTE

15 febbraio - 30 aprile 2019

Sopra: Untitled 9/84, ink and acrylic wash + pastel. Sotto: Atlantis I, 1972, rame copper

62 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

primordiale, inquietante e primitivo,da cui si coglie la radice surrealistadell’immaginario di Ferber.

Qui, scriveva Gualdoni, siriconosce un «elementod’eccentricità, di classicità d’assettosottoposta a movenze didrammatizzazione formale, in gradod’innescare effetti di vibrantecircolazione nello spaziocircostante».

Mi chiedo, oltretutto, quantoqueste sculture sentano la nostalgiadel colore, che è invece cosìimportante nelle sue opere su carta.È invece certo che quella sculturacontiene una implicita vocazionemonumentale anche laddove nondarebbe a vederlo: questi segmenticonvergenti in una forma aerea emobile sono indicazionipluridirezionali che divaricano lastruttura e le danno uno schemaaperto, articolato come una frasecon uno sviluppo spaziale. [lpn]

N el 2008 un gruppo di artisti èchiamato a intervenire sudelle altissime colonne di

tessuto appese nel cortile del Palazzodi San Galgano a Siena: sono iPropilei. Un colonnato perl’immaginario alla base del progetto“San Galgano Square” pensato daMassimo Bignardi nel contesto del suoinsegnamento di storia dell’artecontemporanea, in occasione delquale aveva chiamato Omar Galliani,Mainolfi, Nunzio, Salvatore, Spoldi eZorio nel cuore di un’irripetibileesperienza didattica di cui dà conto unpiccolo libro curato da Bignardi stessoper l’editore Mimesis nel 2018 suSiena laboratorio del contemporaneo.Didattica tra ricerca ed esperienze sulcampo. Le pagine qui raccoltecostituiscono il diario di un’esperienzaeducativa nel campo di una disciplinagiovane per l’ambito accademico, doveha dignità di insegnamento autonomosoltanto dalla fine degli anni Settanta.Nei successivi quarant’anni, dunque, siè assistito a una progressiva messa apunto di metodi e strategie che hannoportato in profondità il discorsopionieristicamente avviato da un certonumero di critici militanti che eranoentrati nell’università portando il lorobagaglio di esperienze sul campo esulla base delle quali fondare glistatuti di una disciplina. È dunquenormale che si tratti di una materia inmovimento che, alla ricerca di unapropria identità, lascia apertemolteplici possibilità di intendere ladidattica e il suo potenziale.

È quando Massimo Bignardi, dasempre diviso fra l’insegnamento e lamilitanza sul campo specialmente in

disco, l’arco, e una saetta che liattraversa conficcandosi al suolo.Eppure, se si butta un occhio aldisegno ci si rende conto come lostesso soggetto si animaall’improvviso: quell’incastro dilamiere dà vita a una sorta di insetto

HERBERT FERBER. SCULTURACOME METAFORA DI UN’IDEA

MILANO, LORENZELLI ARTE

15 febbraio - 30 aprile 2019

Sopra: Untitled 9/84, ink and acrylic wash + pastel. Sotto: Atlantis I, 1972, rame copperII

62 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

area campana, dichiara esplicitamentenella lunga introduzione al volume,portando l’esempio senese come unapossibile via che renda l’insegnamentouna cosa viva e pulsante fino persino,scrive, a «compromettersi con la vita».Bignardi fa parte di quella generazionenata alla metà degli anni Cinquanta,fra i primi allievi di quei pionieri di cuisi diceva: in una possibile storiadell’arte contemporaneanell’università italiana, ancora tutta dascrivere, si potrebbe definire laseconda generazione di storicidell’arte entrata a pieno titolo nell’artecontemporanea e mossasi in questoambito autonomo a partire dapremesse embrionali ma con unintenso dibattito alle spalle.

Rispetto alla viadell’avvicinamento per via di filologiadella storia dell’arte contemporaneaalle altre discipline storiografiche,Bignardi ha invece spintol’acceleratore su un percorso giàtracciato da Enrico Crispolti, da cuiproprio nel 2008 prende le redini delladirezione di una delle scuole dispecializzazione più attive eintraprendenti del panorama italianodi allora, a Siena appunto: le premessestavano proprio nell’idea di una storiadell’arte che non dimenticassel’esigenza di una presa diretta sulpresente, in cui attività militante escavo storico andassero di pari passo esi sostenessero vicendevolmente;

stabilendo un dialogo continuativocon gli artisti come veri e propricompagni di strada da cui imparare aleggere con occhi diversi il propriotempo.

A questo imprinting Bignardiaggiungeva poi la propria esperienzadiretta di interessi per l’arteambientale e per l’intervento artisticocome rilettura e talvoltaemancipazione dello spazio urbano.Nasceva da qui, dunque, l’idea di unadidattica attiva che si potesseconfigurare come un sapere nel fare,attivo e progettuale. Bignardi dichiaraprogrammaticamente l’intenzione dicreare una università viva, che non siasolo un misuratore di conoscenze

acquisite ma un laboratorio attivo,possibilmente un «laboratorio senzapareti» che puntasse ad «aprire gliargini di abusate schematizzazioni esentirsi nel presente senza rinunziareal proprio specifico statuto di storicodell’arte». Questo significava uncoinvolgimento diretto degli studenticome attori di un’azione formativa enon semplici spettatori a cui vieneelargita una conoscenza o raccontataun’esperienza. L’esperimento senesenon voleva infatti limitarsi a unesercizio di pratica espositiva ma siponeva un obbiettivo critico piùprofondo: «entrare con strumenti dianalisi storico-critica nel contestodell’attualità, della effervescente scena

IL LIBRO D’ARTEL’AMBIENTE COME LABORATORIOIl contemporaneo in Università

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 63

di luca pietro nicoletti

area campana, dichiara esplicitamentenella lunga introduzione al volume,portando l’esempio senese come unapossibile via che renda l’insegnamentouna cosa viva e pulsante fino persino,scrive, a «compromettersi con la vita».Bignardi fa parte di quella generazionenata alla metà degli anni Cinquanta,fra i primi allievi di quei pionieri di cuisi diceva: in una possibile storiadell’arte contemporaneanell’università italiana, ancora tutta dascrivere, si potrebbe definire laseconda generazione di storicidell’arte entrata a pieno titolo nell’artecontemporanea e mossasi in questoambito autonomo a partire dapremesse embrionali ma con unintenso dibattito alle spalle.

Rispetto alla viadell’avvicinamento per via di filologiadella storia dell’arte contemporaneaalle altre discipline storiografiche,Bignardi ha invece spintol’acceleratore su un percorso giàtracciato da Enrico Crispolti, da cuiproprio nel 2008 prende le redini delladirezione di una delle scuole dispecializzazione più attive eintraprendenti del panorama italianodi allora, a Siena appunto: le premessestavano proprio nell’idea di una storiadell’arte che non dimenticassel’esigenza di una presa diretta sulpresente, in cui attività militante escavo storico andassero di pari passo esi sostenessero vicendevolmente;

stabilendo un dialogo continuativocon gli artisti come veri e propricompagni di strada da cui imparare aleggere con occhi diversi il propriotempo.

A questo imprinting Bignardiaggiungeva poi la propria esperienzadiretta di interessi per l’arteambientale e per l’intervento artisticocome rilettura e talvoltaemancipazione dello spazio urbano.Nasceva da qui, dunque, l’idea di unadidattica attiva che si potesseconfigurare come un sapere nel fare,attivo e progettuale. Bignardi dichiaraprogrammaticamente l’intenzione dicreare una università viva, che non siasolo un misuratore di conoscenze

acquisite ma un laboratorio attivo,possibilmente un «laboratorio senzapareti» che puntasse ad «aprire gliargini di abusate schematizzazioni esentirsi nel presente senza rinunziareal proprio specifico statuto di storicodell’arte». Questo significava uncoinvolgimento diretto degli studenticome attori di un’azione formativa enon semplici spettatori a cui vieneelargita una conoscenza o raccontataun’esperienza. L’esperimento senesenon voleva infatti limitarsi a unesercizio di pratica espositiva ma siponeva un obbiettivo critico piùprofondo: «entrare con strumenti dianalisi storico-critica nel contestodell’attualità, della effervescente scena

IL LIBRO D’ARTEL’AMBIENTE COME LABORATORIOIl contemporaneo in Università

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di luca pietro nicoletti

delle arti, muovendosi, senzapreconcetti, sui dilatati perimetri deilinguaggi e delle pratichecontemporanee».

Non simulare delle ipotesi dimostra come puro esercizio, insomma,ma fare delle mostre vere e proprie cheusassero gli spazi dell’ateneo per darevita a un ciclo di esposizioni chedavano un effettivo presente delle artivisive nella vita quotidiana di unafacoltà, puntando al dibattito e allavoro di gruppo. La scommessa,insomma, era proprio quella di portaregli studenti ad assumere un ruoloresponsabile, ad appropriarsi di unluogo e mettersi in gioco cercando diaffinare le proprie capacità dioperatore: sono giovani curatori, opotenziali futuri operatori delcontemporaneo, alle prese conaltrettanti artisti della scena italianache insieme costruiscono delle mostreper gli spazi dell’Universitàrimodulando scenari delcontemporaneo, dall’installazione allavideoarte all’arte ambientale, con unadoppia finalità: sforzarsi dicomprendere le potenzialità di unluogo e capire quanto l’opera di voltain volta dialoghi o non dialoghi conquesto, se stabilisca o meno unarelazione e in che termini, e quanto lointerpreti e lo faccia vedere in termininuovi.

Alcuni degli artisti coinvolti, comeil salernitano Angelo Casciello,dichiarano apertamente questo nessofra l’attività di critica militante deldocente (sia per Bignardi sia a suotempo per Crispolti, che ne sono statiimportanti esegeti) e l’occasione dicreare una connessione viva con un

presente operante.La congiuntura in cui questo

accadeva, oltretutto, non va trascurata,perché va a coincidere con momenticritici di riforma del sistemauniversitario, portando l’esigenza dirispondere a un’annosa questionelegata alle scienze umane: renderepratico e operativamente spendibile unambito universitario nato per essereprincipalmente speculativo.

Si giocava qui, infatti, la partitadell’insegnamento con unapropedeuticità professionalizzante.

Ma quali sono, a questo punto, leprofessioni del contemporaneo?Bignardi risponde portandoun’esperienza sul campo volta a

«costruire una “figura” attiva nelterritorio sociale, capace di assumereuna nuova responsabilità nelladimensione contemporanea». Eglisogna infatti un professionista «chesappia, nelle sue scelte, far vivere ilpassato e il presente come propriaidentità; cioè, essere nellacontemporaneità, cioè nel propriotempo, con la responsabilità etica disentirsi nei processi della storia». Atratti si percepisce che la prospettiva èquasi utopica, seppur fondata suesigenze reali e su una ragionevolemessa in prospettiva futuradell’esigenza di nuove figureprofessionali capaci di modulare i temidella conservazione sulle nuovefrontiere problematiche poste dainuovi media e dalla pluralità deilinguaggi: una figura che possasmarcarsi polemicamente dalla praticadei curator, a cui opporre unacoscienza etica maturata su unrapporto orizzontale fra passato epresente, e di cui ogni tentativo diriforma non ha attutito fino all’ultimoil fascino.

Questo diario, infatti, si pone acompendio di un’esperienza che stavolgendo rapidamente ai tempi delpassato, ma che non vuol dire, abilancio, una resa dei conti. «Il tempodel mio rapporto con il mondodell’università, parlo dell’insegnamento»,scrive Bignardi, «inizia a far sentire irintocchi abbreviati o forse, ed è piùforte, avvento lo slancio di continuaread agire sulla vita, cioè dicomprendere, da altra ‘visuale’,l’immenso ‘territorio’ di umanità, neisuoi pro e nei suoi contro, e dare sensoal mio presente». [lpn]

64 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

� «Siena laboratorio del contemporaneo. Didattica tra ricerca ed esperienze sul campo»A cura di Massimo BignardiMimesi edizioni, Milano-Udine 2018

delle arti, muovendosi, senzapreconcetti, sui dilatati perimetri deilinguaggi e delle pratichecontemporanee».

Non simulare delle ipotesi dimostra come puro esercizio, insomma,ma fare delle mostre vere e proprie cheusassero gli spazi dell’ateneo per darevita a un ciclo di esposizioni chedavano un effettivo presente delle artivisive nella vita quotidiana di unafacoltà, puntando al dibattito e allavoro di gruppo. La scommessa,insomma, era proprio quella di portaregli studenti ad assumere un ruoloresponsabile, ad appropriarsi di unluogo e mettersi in gioco cercando diaffinare le proprie capacità dioperatore: sono giovani curatori, opotenziali futuri operatori delcontemporaneo, alle prese conaltrettanti artisti della scena italianache insieme costruiscono delle mostreper gli spazi dell’Universitàrimodulando scenari delcontemporaneo, dall’installazione allavideoarte all’arte ambientale, con unadoppia finalità: sforzarsi dicomprendere le potenzialità di unluogo e capire quanto l’opera di voltain volta dialoghi o non dialoghi conquesto, se stabilisca o meno unarelazione e in che termini, e quanto lointerpreti e lo faccia vedere in termininuovi.

Alcuni degli artisti coinvolti, comeil salernitano Angelo Casciello,dichiarano apertamente questo nessofra l’attività di critica militante deldocente (sia per Bignardi sia a suotempo per Crispolti, che ne sono statiimportanti esegeti) e l’occasione dicreare una connessione viva con un

presente operante.La congiuntura in cui questo

accadeva, oltretutto, non va trascurata,perché va a coincidere con momenticritici di riforma del sistemauniversitario, portando l’esigenza dirispondere a un’annosa questionelegata alle scienze umane: renderepratico e operativamente spendibile unambito universitario nato per essereprincipalmente speculativo.

Si giocava qui, infatti, la partitadell’insegnamento con unapropedeuticità professionalizzante.

Ma quali sono, a questo punto, leprofessioni del contemporaneo?Bignardi risponde portandoun’esperienza sul campo volta a

«costruire una “figura” attiva nelterritorio sociale, capace di assumereuna nuova responsabilità nelladimensione contemporanea». Eglisogna infatti un professionista «chesappia, nelle sue scelte, far vivere ilpassato e il presente come propriaidentità; cioè, essere nellacontemporaneità, cioè nel propriotempo, con la responsabilità etica disentirsi nei processi della storia». Atratti si percepisce che la prospettiva èquasi utopica, seppur fondata suesigenze reali e su una ragionevolemessa in prospettiva futuradell’esigenza di nuove figureprofessionali capaci di modulare i temidella conservazione sulle nuovefrontiere problematiche poste dainuovi media e dalla pluralità deilinguaggi: una figura che possasmarcarsi polemicamente dalla praticadei curator, a cui opporre unarrcoscienza etica maturata su unrapporto orizzontale fra passato epresente, e di cui ogni tentativo diriforma non ha attutito fino all’ultimoil fascino.

Questo diario, infatti, si pone acompendio di un’esperienza che stavolgendo rapidamente ai tempi delpassato, ma che non vuol dire, abilancio, una resa dei conti. «Il tempodel mio rapporto con il mondodell’università, parlo dell’insegnamento»,scrive Bignardi, «inizia a far sentire irintocchi abbreviati o forse, ed è piùforte, avvento lo slancio di continuaread agire sulla vita, cioè dicomprendere, da altra ‘visuale’,l’immenso ‘territorio’ di umanità, neisuoi pro e nei suoi contro, e dare sensoal mio presente». [lpn]

64 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

� «Siena laboratorio del contemporaneo. Didattica tra ricercaed esperienze sul campo»A cura di Massimo BignardiMimesi edizioni, Milano-Udine 2018

C ome ogni anno il 12 marzo laFondazione Palazzo Albizzini diCittà di Castello festeggia la

ricorrenza della nascita di Alberto Burricon una mostra dedicata all’artistatifernate. L’iniziativa messa in campoquest’anno da Bruno Corà, haconcentrato i propri sforzi in unamostra fotografica dal titolo suggestivoper quanto chiaro: Obiettivi su Burri.Fotografi e fotoritratti di Alberto Burridal 1954 al 1993. Un’iniziativa originalee inedita per raccontare le tappecentrali della vita dell’artista attraversogli scatti di trentasei fotografi italiani estranieri, che lo hanno immortalato findagli esordi della sua carriera. Lamostra, nelle intenzioni curatoriali, sioffre come un lavoro su Burri, presentauna narrazione per immagini di alcunidei momenti più significativi dell’artista,immortalato in pose riflessive e assorte

o intento nella pratica artistica, mentrein altre appare nella veste più giocosa espensierata, assieme agli amici: Scialoja,Calder, Afro, De Kooning ed altri. Illabirintico percorso espositivo, che sisnoda lungo i nuovi spazi degli ExSeccatoi del Tabacco di Città di Castelloaperti per l’occasione e destinati amostre temporanee della Fondazione,offre lo spunto per riflessioni ulterioriattorno al lavoro di Burri. Le soggettivefotografiche, in mano a maestri comeAmendola, Basilico, Colombo, solo percitarne alcuni, non rappresentanounicamente la componente estetica digrande effetto che il mezzo fotograficoconsegna catturando stralci di realtà,ne è confinabile unicamente sotto unalettura simbolica, per quantoemozionale, che alcuni scattisuggeriscono fermando in un flash lacreazione artistica di Burri.

Rappresentative in questo senso sonoproprio le suggestive foto di AurelioAmendola che colpiscono in quantocatturano l’atto creativo nel suocompiersi. Un’immagine certoemozionale, che offre il fianco perletture simboliche evocative che, comericordava Giuseppe Marchiori parlandoproprio del lavoro del tifernate, possonoperò correre il rischio di scivolare in“enigmi per interpretazioni esoteriche oletterarie ai margini dell’arbitrio”. Nelsuo statuto la fotografia offresoprattutto una lettura diretta dellarealtà, immortalata secondo aspettisoggettivi evidentemente orientatidall’occhio del fotografo, ma non menoutili a chi li osserva, soprattutto sequesti documenti sono messi inprospettiva storica, interrogandol’immagine su quegli elementi necessariper chiarire la direzione operativa entrocui Burri si muove. È naturale dunqueche su questa prospettiva assumonovalore quegli scatti che ritraggonol’artista all’opera e lo vedono in azioneincidendo direttamente la materia, inparticolare i ferri: aggrediti con ilsaldatore, o le plastiche con la fiammaossidrica. Una modalità che si ripete poiin tempi più recenti quando l’artistaricorre al cacciavite per scavare icellotex, o al taglierino per spellarestrati di materia colorata. Unapanoramica di azioni “eterodosse”compiute sulla materia, cherestituiscono l’immagine di un artistacapace di mettere in crisi lo statutotradizionale della pittura, avvicinandosipiù ad un approccio operativoscultoreo.

Raramente infatti, egli èfotografato nell’atto di dipingere con

ANDAR PER MOSTRE/2ALBERTO BURRIQuante cose da una fotodi lorenzo fiorucci

66 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

C ome ogni anno il 12 marzo laFondazione Palazzo Albizzini diCittà di Castello festeggia la

ricorrenza della nascita di Alberto Burricon una mostra dedicata all’artistatifernate. L’iniziativa messa in campoquest’anno da Bruno Corà, haconcentrato i propri sforzi in unamostra fotografica dal titolo suggestivoper quanto chiaro: Obiettivi su Burri.Fotografi e fotoritratti di Alberto Burridal 1954 al 1993. Un’iniziativa originalee inedita per raccontare le tappecentrali della vita dell’artista attraversogli scatti di trentasei fotografi italiani estranieri, che lo hanno immortalato findagli esordi della sua carriera. Lamostra, nelle intenzioni curatoriali, sioffre come un lavoro su Burri, presentauna narrazione per immagini di alcunidei momenti più significativi dell’artista,immortalato in pose riflessive e assorte

o intento nella pratica artistica, mentrein altre appare nella veste più giocosa espensierata, assieme agli amici: Scialoja,Calder, Afro, De Kooning ed altri. Illabirintico percorso espositivo, che sisnoda lungo i nuovi spazi degli ExSeccatoi del Tabacco di Città di Castelloaperti per l’occasione e destinati amostre temporanee della Fondazione,offre lo spunto per riflessioni ulterioriattorno al lavoro di Burri. Le soggettivefotografiche, in mano a maestri comeAmendola, Basilico, Colombo, solo percitarne alcuni, non rappresentanounicamente la componente estetica digrande effetto che il mezzo fotograficoconsegna catturando stralci di realtà,ne è confinabile unicamente sotto unalettura simbolica, per quantoemozionale, che alcuni scattisuggeriscono fermando in un flash lacreazione artistica di Burri.

Rappresentative in questo senso sonoproprio le suggestive foto di AurelioAmendola che colpiscono in quantocatturano l’atto creativo nel suocompiersi. Un’immagine certoemozionale, che offre il fianco perletture simboliche evocative che, comericordava Giuseppe Marchiori parlandoproprio del lavoro del tifernate, possonoperò correre il rischio di scivolare in“enigmi per interpretazioni esoteriche oletterarie ai margini dell’arbitrio”. Nelsuo statuto la fotografia offresoprattutto una lettura diretta dellarealtà, immortalata secondo aspettisoggettivi evidentemente orientatidall’occhio del fotografo, ma non menoutili a chi li osserva, soprattutto sequesti documenti sono messi inprospettiva storica, interrogandol’immagine su quegli elementi necessariper chiarire la direzione operativa entrocui Burri si muove. È naturale dunqueche su questa prospettiva assumonovalore quegli scatti che ritraggonol’artista all’opera e lo vedono in azioneincidendo direttamente la materia, inparticolare i ferri: aggrediti con ilsaldatore, o le plastiche con la fiammaossidrica. Una modalità che si ripete poiin tempi più recenti quando l’artistaricorre al cacciavite per scavare icellotex, o al taglierino per spellarestrati di materia colorata. Unapanoramica di azioni “eterodosse”compiute sulla materia, cherestituiscono l’immagine di un artistacapace di mettere in crisi lo statutotradizionale della pittura, avvicinandosipiù ad un approccio operativoscultoreo.

Raramente infatti, egli èfotografato nell’atto di dipingere con

ANDAR PER MOSTRE/2ALBERTO BURRIQuante cose da una fotodi lorenzo fiorucci

66 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

indicativo notare come fotografi diversi,in un arco di più di quarant’anni ditempo, tendono ad immortalare gliaspetti operativi che gli appaiono piùsignificativi del lavoro di Burri,rimanendo concentrati verso l’azionesulla materia, anche quando la forzacreativa dell’artista sembra affievolirsi,come nei cellotex dell’ultimo periodo.Amendola, infatti, in una rarainquadratura dal basso verso l’altro chedrammatizza l’azione, ritrae la mano diBurri intenta ad incidere con uncacciavite la polpa materica delsupporto più che evidenziare elementiformali o spaziali dell’opera. É come se

il fotografo riconosce ancora nellagestualità il momento edificante in cuila scintilla creativa si manifesta nelrapporto empirico, istintivo con lamateria, più che mettere l’accento, inuna posa formale, sul risultato finaledell’opera. Anche le inquadrature sonofondamentali, spesso anzi dirimenti percogliere i punti focali su cui siconcentra il fotografo. Ad uno sguardorapido si noterà infatti come le scenepreferite, impiegate per descrivere Burriall’opera, sono dall’alto verso il basso,quasi cinematografiche. In questavisuale a volo d’uccello, il soggetto nonè più l’artista in quanto Burri, ma la

colore e pennello, spesso anzi il pennelloè intriso di vinavil, la vera invenzionedegli anni Cinquanta, i cui barattolianimano loro malgrado molte delle fotoin cui l’artista lavora, quasi a colmare undebito di riconoscenza al materiale piùsignificativo per la ricerca artistica diquegli anni. Una sequenza di azionievidenzia da un lato, l’attenzione per legestualità che tra due polarità: la primatattile, come nelle combustioni plasticheche si lasciano modellare da Burri chebuca e accarezza la bruciatura “fresca”conferendogli un’imprevedibilemodellabilità. In altre occasioni, comecon i ferri, Burri diventa all’oppostocostruttore, allontanando ogniinterazione puramente palpabile, ma“limitando” l’azione all’assemblaggiodelle lamiere, incidendo e cauterizzandodirettamente la materia con la forza delsaldatore. Un’operatività quest’ultimacondivisa negli stessi anni da scultoricome Franco Garelli o piuttosto l’amicoEdgardo Mannucci, ai quali Burri nonrimane dunque indifferente. Inoltre inquesta successione di azioni, sembra dicogliere quella necessità di vivere ilmomento che uno scultore dalla fortesensibilità espressiva come Leoncillo,descrive chiaramente nel Piccolo Diarioa proposito della sua scultura informale:“questo eterno togliere e aggiungere,alienare e creare, scoprire ciò che erasepolto e nascere nuovo; questo sensodella sedimentazione questoattualissimo modo di vedere il presente”.Parole che il silenzioso Burri nonavrebbe mai pronunciato, ma che il suolavoro sembra comunque restituire.

Se come sostiene Rosalind Krauss, lafotografia è un indice soggettivo chetrasmette talvolta realtà oggettive, è

Nella pagina accanto: Alberto Burri agli Ex Seccatoi Tabacco, Citta di Castello, 1991, foto di

Lionello Fabbri. Qui sopra: Alberto Burri, Citta di Castello, anni 70, foto di Aurelio Amendola

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 67

indicativo notare come fotografi diversi,in un arco di più di quarant’anni ditempo, tendono ad immortalare gliaspetti operativi che gli appaiono piùsignificativi del lavoro di Burri,rimanendo concentrati verso l’azionesulla materia, anche quando la forzacreativa dell’artista sembra affievolirsi,come nei cellotex dell’ultimo periodo.Amendola, infatti, in una rarainquadratura dal basso verso l’altro chedrammatizza l’azione, ritrae la mano diBurri intenta ad incidere con uncacciavite la polpa materica delsupporto più che evidenziare elementiformali o spaziali dell’opera. É come se

il fotografo riconosce ancora nellagestualità il momento edificante in cuila scintilla creativa si manifesta nelrapporto empirico, istintivo con lamateria, più che mettere l’accento, inuna posa formale, sul risultato finaledell’opera. Anche le inquadrature sonofondamentali, spesso anzi dirimenti percogliere i punti focali su cui siconcentra il fotografo. Ad uno sguardorapido si noterà infatti come le scenepreferite, impiegate per descrivere Burriall’opera, sono dall’alto verso il basso,quasi cinematografiche. In questavisuale a volo d’uccello, il soggetto nonè più l’artista in quanto Burri, ma la

colore e pennello, spesso anzi il pennelloè intriso di vinavil, la vera invenzionedegli anni Cinquanta, i cui barattolianimano loro malgrado molte delle fotoin cui l’artista lavora, quasi a colmare undebito di riconoscenza al materiale piùsignificativo per la ricerca artistica diquegli anni. Una sequenza di azionievidenzia da un lato, l’attenzione per legestualità che tra due polarità: la primatattile, come nelle combustioni plasticheche si lasciano modellare da Burri chebuca e accarezza la bruciatura “fresca”conferendogli un’imprevedibilemodellabilità. In altre occasioni, comecon i ferri, Burri diventa all’oppostocostruttore, allontanando ogniinterazione puramente palpabile, ma“limitando” l’azione all’assemblaggiodelle lamiere, incidendo e cauterizzandodirettamente la materia con la forza delsaldatore. Un’operatività quest’ultimacondivisa negli stessi anni da scultoricome Franco Garelli o piuttosto l’amicoEdgardo Mannucci, ai quali Burri nonrimane dunque indifferente. Inoltre inquesta successione di azioni, sembra dicogliere quella necessità di vivere ilmomento che uno scultore dalla fortesensibilità espressiva come Leoncillo,descrive chiaramente nel Piccolo Diarioa proposito della sua scultura informale:“questo eterno togliere e aggiungere,alienare e creare, scoprire ciò che erasepolto e nascere nuovo; questo sensodella sedimentazione questoattualissimo modo di vedere il presente”.Parole che il silenzioso Burri nonavrebbe mai pronunciato, ma che il suolavoro sembra comunque restituire.

Se come sostiene Rosalind Krauss, lafotografia è un indice soggettivo chetrasmette talvolta realtà oggettive, è

Nella pagina accanto: Alberto Burri agli Ex Seccatoi Tabacco, Citta di Castello, 1991, foto di

Lionello Fabbri. Qui sopra: Alberto Burri, Citta di Castello, anni 70, foto di Aurelio Amendola

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 67

centralità si sposta ancora sull’azione,sull’operatività più che sull’opera o sulsuo autore. Colpisce inoltre laprovvisorietà dei luoghi in cui l’artistadecide di operare, lo si vede infattiintento a saldare i ferri appoggiandolialla seduta di una seggiola o acospargere il vinavil steso sul pavimento.Tutto questo depone a favore di unalettura meno meditativa e piùempiricamente estemporanea dellaprima opera di Burri, almeno fino ai ferri.Uno scenario che cambia sensibilmentenegli anni successivi in particolare neisettanta e ottanta, in cui all’interno degliEx Seccatoi, Burri allestisce un grandetavolone dove appoggia ancora inorizzontale i cellotex, ma in unaposizione in cui è favorita un’azione piùmeditata, corrispondente al mutatoprocesso operativo dell’artista, dedito astrutturare forme pittoriche astratte edecisamente più rigorose anche se forsemeno incisive. Anche l’analisi filologicapuò essere suggerita da certi scatti,come ad esempio la corrispondenzadescrittiva di alcune foto cherimandano alle osservazioni appuntatein più momenti, dal 1956 al 1959,come affondi di lettura critica, neitaccuini di Giuseppe Marchiori chevisita lo studio romano di Burrinotando come: “In un angolo dellaparete di fondo c’è un tronco d’albero,dipinto di bianco a metà e in nero nelcentro, con un pezzo di carta nelmezzo, stracciata in modo irregolare.(Sembra davvero un «papier dèchirè» dimarca «dada» e invece è il bersaglio peril tiro a segno, nel quale Burri siesercita con un modernissimo fucile adaria compressa e con una pistola atamburo per distendere i nervi).”

Descrizione che si ritrova pressochépuntuale nelle foto di Sanford Rothche immortala il celebre bersaglionegli stessi mesi in cui il critico diLendinara visita lo studio di Burri.

Altre note, sempre di Marchiori, incui descrive il profilo espressivodell’artista sembrano tratteggiare evalorizzare, dandogli voce, l’espressioneche tante volte ricorre nei fotoritattiesposti: “gli occhi gli brillano e la parolagli esce semplice e spontanea. Ma l’ariasvagata o distratta, divertita o ironicanon deve trarre in inganno. Burri ètormentato da un’inesauribile curiositàe volontà di ricerca”. Mentre in questeparole sembra di scorgere le fotoentusiastiche di Amendola: “Ora sta

provando con infantile felicità unnuovo tipo di bruciatore americano(una bomba atomica!) sulle lastremetalliche che servono per lafabbricazione dei frigoriferi”.Interessante è infine riflette anchesull’incontro a Milano con LucioFontana immortalato da Giuseppe Loy;mettendo in relazione questi scatti conalcuni dati, ci si accorgerà come la visitadi Burri, in Corso Monforte, sia motivatada una necessità di chiarimento. Infattiil foglio che Burri mostra a Fontana, sucarta intestata del MoMa di New York,riguarda l’invito alla mostra itineranteAlberto Burri and Lucio Fontana pensatanel 1966 dal Modern Art Museum diNew York, per la quale Burri, neldicembre del 1965, scrive a CesareBrandi da Los Angeles, mostrando ilproprio dissenso: “Qui lotta col Museod’Arte Moderna di New York, per lamostra con Fontana. [...] Voglionoquadri di mia proprietà e non sarà fattaa New York. Ho detto che non sonoaffatto d’accordo e che per me possonoandare al diavolo. Penso la faranno lostesso con quadri di collezionistipurtroppo”. É quindi probabile che perquesta ragione Burri, nel marzo 1966, sirechi nello studio di Fontana a Milanocercando di chiarire la propria posizionerispetto alla mostra. La mostra agli ExSeccatoi del Tabacco, nonostante unalettura in superficie delle foto, offre lapossibilità di interrogarsi, con obiettividiversi, sul lavoro di Burri, suscitandoriflessioni non banali attorno allaproduzione di un artista che per suanatura lascia parlare le immagini inquanto opere e, come in questo caso, lefotografie in quanto indici soggettivi direaltà oggettive. [l.f.]

68 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

OBIETTIVI SU BURRI.FOTOGRAFIE E FOTORITRATTIDI ALBERTO BURRI DAL 1954 AL 1993

CITTÀ DI CASTELLO, FONDAZIONEPALAZZO ALBIZZINI COLLEZIONEBURRI EX SECCATOI DEL TABACCO

12 marzo - 12 settembre 2019

Alberto Burri, Citta di Castello, anni 70, foto

di Aurelio Amendola

centralità si sposta ancora sull’azione,sull’operatività più che sull’opera o sulsuo autore. Colpisce inoltre laprovvisorietà dei luoghi in cui l’artistadecide di operare, lo si vede infattiintento a saldare i ferri appoggiandolialla seduta di una seggiola o acospargere il vinavil steso sul pavimento.Tutto questo depone a favore di unalettura meno meditativa e piùempiricamente estemporanea dellaprima opera di Burri, almeno fino ai ferri.Uno scenario che cambia sensibilmentenegli anni successivi in particolare neisettanta e ottanta, in cui all’interno degliEx Seccatoi, Burri allestisce un grandetavolone dove appoggia ancora inorizzontale i cellotex, ma in unaposizione in cui è favorita un’azione piùmeditata, corrispondente al mutatoprocesso operativo dell’artista, dedito astrutturare forme pittoriche astratte edecisamente più rigorose anche se forsemeno incisive. Anche l’analisi filologicapuò essere suggerita da certi scatti,come ad esempio la corrispondenzadescrittiva di alcune foto cherimandano alle osservazioni appuntatein più momenti, dal 1956 al 1959,come affondi di lettura critica, neitaccuini di Giuseppe Marchiori chevisita lo studio romano di Burrinotando come: “In un angolo dellaparete di fondo c’è un tronco d’albero,dipinto di bianco a metà e in nero nelcentro, con un pezzo di carta nelmezzo, stracciata in modo irregolare.(Sembra davvero un «papier dèchirè» dimarca «dada» e invece è il bersaglio peril tiro a segno, nel quale Burri siesercita con un modernissimo fucile adaria compressa e con una pistola atamburo per distendere i nervi).”

Descrizione che si ritrova pressochépuntuale nelle foto di Sanford Rothche immortala il celebre bersaglionegli stessi mesi in cui il critico diLendinara visita lo studio di Burri.

Altre note, sempre di Marchiori, incui descrive il profilo espressivodell’artista sembrano tratteggiare evalorizzare, dandogli voce, l’espressioneche tante volte ricorre nei fotoritattiesposti: “gli occhi gli brillano e la parolagli esce semplice e spontanea. Ma l’ariasvagata o distratta, divertita o ironicanon deve trarre in inganno. Burri ètormentato da un’inesauribile curiositàe volontà di ricerca”. Mentre in questeparole sembra di scorgere le fotoentusiastiche di Amendola: “Ora sta

provando con infantile felicità unnuovo tipo di bruciatore americano(una bomba atomica!) sulle lastremetalliche che servono per lafabbricazione dei frigoriferi”.Interessante è infine riflette anchesull’incontro a Milano con LucioFontana immortalato da Giuseppe Loy;mettendo in relazione questi scatti conalcuni dati, ci si accorgerà come la visitadi Burri, in Corso Monforte, sia motivatada una necessità di chiarimento. Infattiil foglio che Burri mostra a Fontana, sucarta intestata del MoMa di New York,riguarda l’invito alla mostra itineranteAlberto Burri and Lucio Fontana pensatanel 1966 dal Modern Art Museum diNew York, per la quale Burri, neldicembre del 1965, scrive a CesareBrandi da Los Angeles, mostrando ilproprio dissenso: “Qui lotta col Museod’Arte Moderna di New York, per lamostra con Fontana. [...] Voglionoquadri di mia proprietà e non sarà fattaa New York. Ho detto che non sonoaffatto d’accordo e che per me possonoandare al diavolo. Penso la faranno lostesso con quadri di collezionistipurtroppo”. É quindi probabile che perquesta ragione Burri, nel marzo 1966, sirechi nello studio di Fontana a Milanocercando di chiarire la propria posizionerispetto alla mostra. La mostra agli ExSeccatoi del Tabacco, nonostante unalettura in superficie delle foto, offre lapossibilità di interrogarsi, con obiettividiversi, sul lavoro di Burri, suscitandoriflessioni non banali attorno allaproduzione di un artista che per suanatura lascia parlare le immagini inquanto opere e, come in questo caso, lefotografie in quanto indici soggettivi direaltà oggettive. [l.f.]

68 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

OBIETTIVI SU BURRI.FOTOGRAFIE E FOTORITRATTIDI ALBERTO BURRI DAL 1954 AL 1993

CITTÀ DI CASTELLO, FONDAZIONEPALAZZO ALBIZZINI COLLEZIONEBURRI EX SECCATOI DEL TABACCO

12 marzo - 12 settembre 2019

Alberto Burri, Citta di Castello, anni 70, foto

di Aurelio Amendola

www.maremagnum.com | [email protected] | [email protected]

dal momento che lo scontro a fuocotra lui e Stasi, aveva innalzato il livellodei controlli di frontiera, doveva farcalmare le acque. In quel lasso ditempo, poteva ‘intervistare’ lacandidata che si era proposta sui suoirecapiti del Dark Web.

Kane si cambiò d’abito e d’aspetto:indossò un dolcevita e un paio diocchiali da vista dalla montaturaspessa, assumendo le vesti di uninnocuo ricercatore universitario.Quindi, lasciò la sua casa ‘sicura’ nelquartiere di San Nicolau e si diresse alluogo fissato per l’incontro, facendoun giro tortuoso per arrivare allameta.

Berlino era molte città in una.

C’era, a pochi metri dal traffico deiviali di scorrimento, l’oasi di pace diSan Nicolau: non una semplice,silenziosa isola pedonale, ma una verae propria bolla temporale, cheriportava al Quattrocento con i suoiedifici in mattoni rossi, le insegne diferro battute, le aiuole ben curate.C’era il quartiere dei cortili, fatto ascatole cinesi, con angolini riparatiche davano in altri anditi, ciascunocon un tocco di verde e unabotteguccia, conviveva con i tratti dimuro sopravvissuti alla Caduta e allosfregio dei writers. C’erano i cantieri e le transenne e ledeviazioni e i cartelli e le grupreistoriche nel cielo di una cittàincompiuta, in divenire, si dividevanogli spazi con i pochi monumentisopravvissuti ai bombardamenti delpassato.

Alla fine, arrivò alla sede storicadella Biblioteca di Stato, situata sullaUnter den Linden a due passi dalTeatro dell’Opera e dalla HumboldtUniversität. Al di là della facciataneobarocca, la Haus 1 dellaStaatsbibliothek era stata sottoposta aun restauro generale, prendendo laforma di un grande cubo di pietra,vetro e legno. All’interno dellastruttura, oltre agli ambienti dedicatialla lettura, erano segnalati unosportello informativo per giovani e

IN APPENDICE – FEUILLETONL.E.X. LE BIBLIOTECHE PROFONDEXXX capitolodi errico passaro

70 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTIVictor Stasi è un agente di L.E.X. Il suoavversario è Kane, uomo della Loggia.Kane uccide un informatore di Stasi.Livia Malatesta si mette alla suaricerca nel Deep Web, invano, mentreStasi lo bracca nel mondo reale. Kanesfugge alla cattura prima ad Atene,poi a Roma e, infine a Berlino, doveStasi rimane ferito nel conflitto afuoco con il criminale. Livia gli viene insoccorso…

A bel Kane aveva unappuntamento. Non era aBerlino per fare reclute, ma,

dal momento che lo scontro a fuocotra lui e Stasi, aveva innalzato il livellodei controlli di frontiera, doveva farcalmare le acque. In quel lasso ditempo, poteva ‘intervistare’ lacandidata che si era proposta sui suoirecapiti del Dark Web.

Kane si cambiò d’abito e d’aspetto:indossò un dolcevita e un paio diocchiali da vista dalla montaturaspessa, assumendo le vesti di uninnocuo ricercatore universitario.Quindi, lasciò la sua casa ‘sicura’ nelquartiere di San Nicolau e si diresse alluogo fissato per l’incontro, facendoun giro tortuoso per arrivare allameta.

Berlino era molte città in una.

C’era, a pochi metri dal traffico deiviali di scorrimento, l’oasi di pace diSan Nicolau: non una semplice,silenziosa isola pedonale, ma una verae propria bolla temporale, cheriportava al Quattrocento con i suoiedifici in mattoni rossi, le insegne diferro battute, le aiuole ben curate.C’era il quartiere dei cortili, fatto ascatole cinesi, con angolini riparatiche davano in altri anditi, ciascunocon un tocco di verde e unabotteguccia, conviveva con i tratti dimuro sopravvissuti alla Caduta e allosfregio dei writers.C’erano i cantieri e le transenne e ledeviazioni e i cartelli e le grupreistoriche nel cielo di una cittàincompiuta, in divenire, si dividevanogli spazi con i pochi monumentisopravvissuti ai bombardamenti delpassato.

Alla fine, arrivò alla sede storicadella Biblioteca di Stato, situata sullaUnter den Linden a due passi dalTeatro dell’Opera e dalla HumboldtUniversität. Al di là della facciataneobarocca, la Haus 1 dellaStaatsbibliothek era stata sottoposta aun restauro generale, prendendo laforma di un grande cubo di pietra,vetro e legno. All’interno dellastruttura, oltre agli ambienti dedicatialla lettura, erano segnalati unosportello informativo per giovani e

IN APPENDICE – FEUILLETONL.E.X. LE BIBLIOTECHE PROFONDEXXX capitolodi errico passaro

70 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

RIASSUNTO DELLE PUNTATE PRECEDENTIVictor Stasi è un agente di L.E.X. Il suoavversario è Kane, uomo della Loggia.Kane uccide un informatore di Stasi.Livia Malatesta si mette alla suaricerca nel Deep Web, invano, mentreStasi lo bracca nel mondo reale. Kanesfugge alla cattura prima ad Atene,poi a Roma e, infine a Berlino, doveStasi rimane ferito nel conflitto afuoco con il criminale. Livia gli viene insoccorso…

A bel Kane aveva unappuntamento. Non era aBerlino per fare reclute, ma,

turisti, una sala informatica per ladigitalizzazione e un laboratorio direstauro.

Si firmò «Alaphilippe» all’atto dirichiedere un volume qualsiasi e sisistemò a un banco di consultazione,in un punto da cui poteva osservare imovimenti dei visitatori. Alle suespalle, una finestra, che dava sulcortile interno in acciottolato, con alcentro una fontana zampillante e suiquattro lati pareti coperte dirampicanti.

In un’altra vita, Kane aveva fattoregolari studi e aveva coltivato ilsogno di diventare un professore dilettere. Ora, fra quelle balconate divolumi (non tutti testi fondanti dellacultura occidentale, ma alcuni pezziesposti sugli scaffali avrebbero fattola felicità di molti collezionisti),avvertiva sensazioni che credeva diaver perduto. Si sentiva in unmagazzino di memoria: non laclassica biblioteca dall’odore tombale,dove i libri prendevano polvere suiripiani, ma una casa della conoscenzache custodiva fantastilioni di parolepreziose.

Si riscosse da quei pensierinostalgici, rimproverandosi per ladebolezza del momento. In quelmomento, stagliata contro i muri dilibri, vide entrare nella sala unabellezza non terrestre: visofotogenico, fisico a clessidra datestimonial di moda. Non dubitòneppure per un secondo che sitrattasse della sua ‘candidata’.

La donna si guardò intorno.Quando l’individuò, si avviò senzaesitazione verso di lui, trascinandosi

dietro i commenti nella scabra linguatedesca dei maschi presenti in sala (egli sguardi invidiosi delle femmine).

Lei gli sedette accanto e,continuando a guardare il libro cheaveva portato come copertura,pronunciò la parola d’ordineconvenuta per il riconoscimento.

- Le biblioteche sono granaipubblici per l’inverno dello spirito.

Era una citazione da MargueriteYourcenar, una reminiscenza di quelpassato remoto che ora rinnegava.

- Sono d’accordo - rispose lui. Ilviso della donna gli diceva qualcosa,ma non riusciva ad associarlo a unnome.

- Mi è giunta voce che cercate…apprendisti - disse la donna,sfiorandosi gli orecchini con la puntadelle dita.

- Dipende.- Per chi lavorerei?Lei si leccò un polpastrello e voltò

pagina con un gesto a dir pocosensuale, ma Kane restò indifferentealla provocazione.

- Non ti deve interessare -. La suabocca era una linea stretta. - Dovrestisapere che, in certi ambienti, ladiscrezione è tutto.

Mentre parlava, un messaggioarrivò sul palmare. Un ‘pizzino’ sullasua bacheca web lo fece trasecolare.

Ecco perché mi ricordavaqualcuno…

Kane allargò con una mano ilgirocollo di lana, che improvvisamentesembrò stringersi intorno alla golacome un cappio.

La candidata terrorista era LiviaMalatesta di L.E.X.

Illustrazioni originali di Roberto Baldazzi (nella pagina accanto) e Anna Emilia Falcone (qui sopra)

per «la Biblioteca di via Senato»

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 71

turisti, una sala informatica per ladigitalizzazione e un laboratorio direstauro.

Si firmò «Alaphilippe» all’atto dirichiedere un volume qualsiasi e sisistemò a un banco di consultazione,in un punto da cui poteva osservare imovimenti dei visitatori. Alle suespalle, una finestra, che dava sulcortile interno in acciottolato, con alcentro una fontana zampillante e suiquattro lati pareti coperte dirampicanti.

In un’altra vita, Kane aveva fattoregolari studi e aveva coltivato ilsogno di diventare un professore dilettere. Ora, fra quelle balconate divolumi (non tutti testi fondanti dellacultura occidentale, ma alcuni pezziesposti sugli scaffali avrebbero fattola felicità di molti collezionisti),avvertiva sensazioni che credeva diaver perduto. Si sentiva in unmagazzino di memoria: non laclassica biblioteca dall’odore tombale,dove i libri prendevano polvere suiripiani, ma una casa della conoscenzache custodiva fantastilioni di parolepreziose.

Si riscosse da quei pensierinostalgici, rimproverandosi per ladebolezza del momento. In quelmomento, stagliata contro i muri dilibri, vide entrare nella sala unabellezza non terrestre: visofotogenico, fisico a clessidra datestimonial di moda. Non dubitòneppure per un secondo che sitrattasse della sua ‘candidata’.

La donna si guardò intorno.Quando l’individuò, si avviò senzaesitazione verso di lui, trascinandosi

dietro i commenti nella scabra linguatedesca dei maschi presenti in sala (egli sguardi invidiosi delle femmine).

Lei gli sedette accanto e,continuando a guardare il libro cheaveva portato come copertura,pronunciò la parola d’ordineconvenuta per il riconoscimento.

- Le biblioteche sono granaipubblici per l’inverno dello spirito.

Era una citazione da MargueriteYourcenar, una reminiscenza di quelpassato remoto che ora rinnegava.

- Sono d’accordo - rispose lui. Ilviso della donna gli diceva qualcosa,ma non riusciva ad associarlo a unnome.

- Mi è giunta voce che cercate…apprendisti - disse la donna,sfiorandosi gli orecchini con la puntadelle dita.

- Dipende.- Per chi lavorerei?Lei si leccò un polpastrello e voltò

pagina con un gesto a dir pocosensuale, ma Kane restò indifferentealla provocazione.

- Non ti deve interessare -. La suabocca era una linea stretta. - Dovrestisapere che, in certi ambienti, ladiscrezione è tutto.

Mentre parlava, un messaggioarrivò sul palmare. Un ‘pizzino’ sullasua bacheca web lo fece trasecolare.

Ecco perché mi ricordavaqualcuno…

Kane allargò con una mano ilgirocollo di lana, che improvvisamentesembrò stringersi intorno alla golacome un cappio.

La candidata terrorista era LiviaMalatesta di L.E.X.

Illustrazioni originali di Roberto Baldazzi (nella pagina accanto) e Anna Emilia Falcone (qui sopra)

per «la Biblioteca di via Senato»

aprile 2019 – la Biblioteca di via Senato Milano 71

72 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

� ANTONIO CASTRONUOVO Antonio Castronuovo (1954), bibliofilo e sag-gista, dirige varie collane per l’Editrice laMandragora di Imola. Ha fondato l’opificio diplaquette d’autore Babbomorto Editore. I suoiultimi titoli sono Ossa cervelli mummie e ca-pelli (Quodlibet, 2016) e Formíggini: un edi-tore piccino picciò (Stampa Alternativa, 2018).Traduttore dal francese, ha da ultimo pubbli-cato Il cervello non ha pudore di Jules Renard,Fisiologia del flâneur di Louis Huart, Storie dicoppia di Irène Némirovsky.

� STEFANO DREIStefano Drei (Faenza 1951), dopo essersi lau-reato a Bologna in lettere con una tesi di let-teratura patristica e in filosofia con una tesisu Kierkegaard, ha insegnato per trenta anniitaliano e latino nel liceo classico Torricelli diFaenza. Negli ultimi anni ha pubblicato varistudi sulla biografia e l’opera di Dino Campa-na, che di quel liceo fu allievo. Altri suoi inte-ressi vanno dalla storia delle istituzioni sco-lastiche locali all’utilizzo di nuove tecnologienella didattica e in particolare nell’insegna-mento del latino.

� LORENZO FIORUCCILorenzo Fiorucci (1982), storico e criticodell’arte, ha studiato all’Università di Perugiae si è poi perfezionato con Enrico Crispolti. Isuoi interessi si concentrano sull’arte italia-na del secondo dopoguerra, con particolareattenzione per la scultura informale. Tra leiniziative più recenti ha curato: Terrae. La ce-ramica nell’Informale e nella contempora-neità (Città di Castello, 2015); la Biennale diScultura di Gubbio (Gubbio, 2016); Epigoni efalsi di Rometti (Umbertide, 2016); FaustoMelotti. Trappolando (Milano 2016); Politics(Gemonio, 2017); Non in tinta con il divano(Milano 2018).

� MASSIMO GATTA Massimo Gatta (Napoli, 1959) è bibliotecariodell’Università degli Studi del Molise. Biblio-grafo, storico dell’editoria e della tipografiadel Novecento, già collaboratore del «Sole 24Ore-Domenica», è tra i primi collaboratoridella rivista «Charta» e direttore editorialedella casa editrice Biblohaus. È autore di ol-tre 450 contributi, tra articoli in riviste na-zionali e internazionali e monografie. Tra le

ultime pubblicazioni la Bibliografia dei libraie librerie, unica nel suo genere.

� ANNALISA LAGANÀAnnalisa Laganà si è laureata in Storia del-l’arte presso l’Università della Calabria e haproseguito la sua formazione alla Scuola dispecializzazione in Beni storico-artisticidell’Università degli studi di Udine. È attual-mente dottoranda presso l’Università dellaCalabria e l’École normale supérieure di Pa-rigi in cotutela. Il suo progetto di ricerca èintitolato Le lettere d’artista in Italia dal-l’Unità alla legge Bottai. Invenzione di unpatrimonio. I suoi interessi di ricerca insi-stono sull’analisi dei contesti di produzionee fruizione dell’arte in Italia a cavallo tral’Ottocento e il Novecento.

� GRETA MASSIMIGreta Massimi, studiosa di storia antica, hacondotto lavori archivistici e intrapreso unpercorso giornalistico con saggi artistici-culturali e affondi biografici. Si è occupata avario titolo di attività di promozione cultu-rale sul territorio abruzzese. Ha in corso distampa Il Cardinale Francesco Maria DelMonte e il suo tempo per L’Erma di Bret-schneider.

� LUCA PIETRO NICOLETTILuca Pietro Nicoletti (1984) dottore di ricercain storia dell'arte, ha studiato nelle Universi-tà di Milano e Udine. Dal 2015 dirige per Quo-dlibet la collana "Biblioteca Passaré. Studi distoria di arte contemporanea e arti primarie".Si è occupato di arti visive del Novecento fraItalia e Francia, di storia della scultura, dellacritica d'arte e di cultura editoriale. Ha colla-borato con la GAM di Torino e l'Archivio Cri-spolti di Roma. Attualmente sta curando laredazione del catalogo ragionato di PieroDorazio. Ha pubblicato: Gualtieri di San Laz-zaro (2014); Argan e l'Einaudi (2018).

� ERRICO PASSAROErrico Passaro è nato nel 1966 a Roma, dovelavora come colonnello dell’AeronauticaMilitare esperto in materie giuridiche. Vivead Anzio, circondato dai suoi 5000 libri. Hapubblicato circa 1800 articoli, un saggio involume, 12 romanzi, 130 racconti. Ultimeuscite La Guerra delle Maschere (Mondado-

ri), Mondo Fabbrica (Homo Scrivens), L.E.X. -Inverno Arabo (Mondadori), L.E.X. - BombaUmana (Mondadori), L.E.X. - Tolleranza Zero(Mondadori).

� GIANCARLO PETRELLAGiancarlo Petrella (1974), bibliografo e sto-rico del libro, insegna Storia del Libro e del-l’Editoria presso l’Università Federico II diNapoli, dopo aver insegnato presso le Uni-versità Cattolica di Milano-Brescia, Sassari eBergamo. Nel 2013 ha conseguito l’abilita-zione scientifica per la I fascia. È autore di uncentinaio fra contributi e monografie (tra lepiù recenti: L’oro di Dongo ovvero per unastoria del patrimonio librario del conventodei Frati Minori di Santa Maria del Fiume; I li-bri nella torre. La biblioteca di Castel Thun; Àla chasse au bonheur. I libri ritrovati di RenzoBonfiglioli; L’impresa tipografica di BattistaFarfengo a Brescia).

� GIUSEPPE SCARAFFIAGiuseppe Scaraffia è ordinario di Letteraturafrancese presso La Sapienza. Collabora alsupplemento domenicale de «Il Sole 24 ore».Ha curato la pubblicazione di svariate operedi Proust, Stendhal e Maupassant. È autore dinumerosi volumi, tradotti in più lingue, fracui Dizionario del dandy (1981); La donna fa-tale (1987); Il mantello di Casanova (1989);Torri d’avorio (1994); Miti minori (1995); Ilbel tenebroso (1999); Sorridi Gioconda!(2005); Cortigiane (2008); Femme Fatale(2009); I piaceri dei grandi (2012) e Il roman-zo della Costa Azzurra (2013).

� GIANLUCA MONTINAROGianluca Montinaro (Milano, 1979) è do-cente a contratto presso l’Università IULM diMilano. Storico delle idee, si interessa ai rap-porti fra pensiero politico e utopia legati allanascita del mondo moderno. Collabora allepagine culturali del quotidiano «il Giornale».Fra le sue monografie si ricordano: Lettere diGuidobaldo II della Rovere (2000); Il carteg-gio di Guidobaldo II della Rovere e Fabio Ba-rignani (2006); L’epistolario di LudovicoAgostini (2006); Fra Urbino e Firenze: politi-ca e diplomazia nel tramonto dei della Rove-re (2009); Ludovico Agostini, lettere inedite(2012); Martin Lutero (2013); L’utopia di Po-lifilo (2015).

H A N N O C O L L A B O R ATO A Q U E S TO N U M E R O ��

72 la Biblioteca di via Senato Milano – aprile 2019

� ANTONIO CASTRONUOVO Antonio Castronuovo (1954), bibliofilo e sag-gista, dirige varie collane per l’Editrice laMandragora di Imola. Ha fondato l’opificio diplaquette d’autore Babbomorto Editore. I suoiultimi titoli sono Ossa cervelli mummie e ca-pelli (Quodlibet, 2016) e Formíggini: un edi-tore piccino picciò (Stampa Alternativa, 2018).Traduttore dal francese, ha da ultimo pubbli-cato Il cervello non ha pudore di Jules Renard,Fisiologia del flâneur di Louis Huart, Storie dicoppia di Irène Némirovsky.

� STEFANO DREIStefano Drei (Faenza 1951), dopo essersi lau-reato a Bologna in lettere con una tesi di let-teratura patristica e in filosofia con una tesisu Kierkegaard, ha insegnato per trenta anniitaliano e latino nel liceo classico Torricelli diFaenza. Negli ultimi anni ha pubblicato varistudi sulla biografia e l’opera di Dino Campa-na, che di quel liceo fu allievo. Altri suoi inte-ressi vanno dalla storia delle istituzioni sco-lastiche locali all’utilizzo di nuove tecnologienella didattica e in particolare nell’insegna-mento del latino.

� LORENZO FIORUCCILorenzo Fiorucci (1982), storico e criticodell’arte, ha studiato all’Università di Perugiae si è poi perfezionato con Enrico Crispolti. Isuoi interessi si concentrano sull’arte italia-na del secondo dopoguerra, con particolareattenzione per la scultura informale. Tra leiniziative più recenti ha curato: Terrae. La ce-ramica nell’Informale e nella contempora-neità (Città di Castello, 2015); la Biennale diScultura di Gubbio (Gubbio, 2016); Epigoni efalsi di Rometti (Umbertide, 2016); FaustoMelotti. Trappolando (Milano 2016); Politics(Gemonio, 2017); Non in tinta con il divano(Milano 2018).

� MASSIMO GATTA Massimo Gatta (Napoli, 1959) è bibliotecariodell’Università degli Studi del Molise. Biblio-grafo, storico dell’editoria e della tipografiadel Novecento, già collaboratore del «Sole 24Ore-Domenica», è tra i primi collaboratoridella rivista «Charta» e direttore editorialedella casa editrice Biblohaus. È autore di ol-tre 450 contributi, tra articoli in riviste na-zionali e internazionali e monografie. Tra le

ultime pubblicazioni la Bibliografia dei libraie librerie, unica nel suo genere.

� ANNALISA LAGANÀAnnalisa Laganà si è laureata in Storia del-l’arte presso l’Università della Calabria e haproseguito la sua formazione alla Scuola dispecializzazione in Beni storico-artisticidell’Università degli studi di Udine. È attual-mente dottoranda presso l’Università dellaCalabria e l’École normale supérieure di Pa-rigi in cotutela. Il suo progetto di ricerca èintitolato Le lettere d’artista in Italia dal-l’Unità alla legge Bottai. Invenzione di unpatrimonio. I suoi interessi di ricerca insi-stono sull’analisi dei contesti di produzionee fruizione dell’arte in Italia a cavallo tral’Ottocento e il Novecento.

� GRETA MASSIMIGreta Massimi, studiosa di storia antica, hacondotto lavori archivistici e intrapreso unpercorso giornalistico con saggi artistici-culturali e affondi biografici. Si è occupata avario titolo di attività di promozione cultu-rale sul territorio abruzzese. Ha in corso distampa Il Cardinale Francesco Maria DelMonte e il suo tempo per L’Erma di Bret-schneider.

� LUCA PIETRO NICOLETTILuca Pietro Nicoletti (1984) dottore di ricercain storia dell'arte, ha studiato nelle Universi-tà di Milano e Udine. Dal 2015 dirige per Quo-dlibet la collana "Biblioteca Passaré. Studi distoria di arte contemporanea e arti primarie".Si è occupato di arti visive del Novecento fraItalia e Francia, di storia della scultura, dellacritica d'arte e di cultura editoriale. Ha colla-borato con la GAM di Torino e l'Archivio Cri-spolti di Roma. Attualmente sta curando laredazione del catalogo ragionato di PieroDorazio. Ha pubblicato: Gualtieri di San Laz-zaro (2014); Argan e l'Einaudi (2018).

� ERRICO PASSAROErrico Passaro è nato nel 1966 a Roma, dovelavora come colonnello dell’AeronauticaMilitare esperto in materie giuridiche. Vivead Anzio, circondato dai suoi 5000 libri. Hapubblicato circa 1800 articoli, un saggio involume, 12 romanzi, 130 racconti. Ultimeuscite La Guerra delle Maschere (Mondado-

ri), Mondo Fabbrica (Homo Scrivens), L.E.X. -Inverno Arabo (Mondadori), L.E.X. - BombaUmana (Mondadori), L.E.X. - Tolleranza Zero(Mondadori).

� GIANCARLO PETRELLAGiancarlo Petrella (1974), bibliografo e sto-rico del libro, insegna Storia del Libro e del-l’Editoria presso l’Università Federico II diNapoli, dopo aver insegnato presso le Uni-versità Cattolica di Milano-Brescia, Sassari eBergamo. Nel 2013 ha conseguito l’abilita-zione scientifica per la I fascia. È autore di uncentinaio fra contributi e monografie (tra lepiù recenti: L’oro di Dongo ovvero per unastoria del patrimonio librario del conventodei Frati Minori di Santa Maria del Fiume; I li-bri nella torre. La biblioteca di Castel Thun; Àla chasse au bonheur. I libri ritrovati di RenzoBonfiglioli; L’impresa tipografica di BattistaFarfengo a Brescia).

� GIUSEPPE SCARAFFIAGiuseppe Scaraffia è ordinario di Letteraturafrancese presso La Sapienza. Collabora alsupplemento domenicale de «Il Sole 24 ore».Ha curato la pubblicazione di svariate operedi Proust, Stendhal e Maupassant. È autore dinumerosi volumi, tradotti in più lingue, fracui Dizionario del dandy (1981); La donna fa-tale (1987); Il mantello di Casanova (1989);Torri d’avorio (1994); Miti minori (1995); Ilbel tenebroso (1999); Sorridi Gioconda!(2005); Cortigiane (2008); Femme Fatale(2009); I piaceri dei grandi (2012) e Il roman-zo della Costa Azzurra (2013).

� GIANLUCA MONTINAROGianluca Montinaro (Milano, 1979) è do-cente a contratto presso l’Università IULM diMilano. Storico delle idee, si interessa ai rap-porti fra pensiero politico e utopia legati allanascita del mondo moderno. Collabora allepagine culturali del quotidiano «il Giornale».Fra le sue monografie si ricordano: Lettere diGuidobaldo II della Rovere (2000); Il carteg-gio di Guidobaldo II della Rovere e Fabio Ba-rignani (2006); L’epistolario di LudovicoAgostini (2006); Fra Urbino e Firenze: politi-ca e diplomazia nel tramonto dei della Rove-re (2009); Ludovico Agostini, lettere inedite(2012); Martin Lutero (2013); L’utopia di Po-lifilo (2015).

H A N N O C O L L A B O R ATO A Q U E S TO N U M E R O ��