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BIBLIOGRAFIA di PIER ANGELO GRAMAGLIA 1. Supplica per i cristiani Athnagoras Edizioni paoline, 1965 monografia | testo a stampa 2. Tre libri ad Autolico Theophilus : Antiochenus Edizioni paoline, 1965 monografia | testo a stampa 3. Il battesimo dei bambini nei primi quattro secoli Gramaglia, Pier Angelo Morcelliana, 1973 monografia | testo a stampa

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BIBLIOGRAFIA

di

PIER ANGELO GRAMAGLIA

1. Supplica per i cristiani

Athnagoras

Edizioni paoline, 1965

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2. Tre libri ad Autolico

Theophilus : Antiochenus

Edizioni paoline, 1965

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3. Il battesimo dei bambini nei primi quattro secoli

Gramaglia, Pier Angelo

Morcelliana, 1973

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4. Il concordato

Gramaglia, Pier Angelo

1976

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5. Il papato di Pio 11

Gramaglia, Pier Angelo

s.n.!, 1976

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6. Il regno di Pio 9., Il regno di Benedetto 15

Gramaglia, Pier Angelo

s.n.!, 1976

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7. Il regno di Pio 9., Il regno di Benedetto 15

Gramaglia, Pier Angelo

s.n.!, 1976

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8. La interpretazione del periodo repubblicano

Gramaglia, Pier Angelo

s.n.!, 1976

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9. La interpretazione fascista e papale, La interpretazione clerico-fascista

Gramaglia, Pier Angelo

s.n.!, 1976

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10. Perchè i patti lateranensi?

Gramaglia, Pier Angelo

s.n.!, 1976

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11. Esame di alcune teologie protestanti sul battesimo

Gramaglia, Pier Angelo

s.n.!, 1977

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12. Problematiche cattoliche sul battesimo

Gramaglia, Pier Angelo

s. n.!, 1977

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13. L' uomo della Sindone non è Gesù Cristo : un'ipotesi storica fondata su documenti finora trascurati

Gramaglia, Pier Angelo

Claudiana, 1978

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14. Il battesimo

Tertullianus, Quintus Septimius Florens

Edizioni paoline, 1979

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15. A Scapula

Tertullianus, Quintus Septimius Florens

Edizioni paoline, 1980

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16. La corona

Tertullianus, Quintus Septimius Florens

Edizioni paoline, 1980

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17. Ai martiri

Tertullianus, Quintus Septimius Florens

Edizioni paoline, 1981

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18. Le ultime scoperte sulla Sindone di Torino : rassegna critica e bilancio dell'operazione

Gramaglia, Pier Angelo

Claudiana, 1981

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19. La testimonianza dell'anima

Tertullianus, Quintus Septimius Florens

Edizioni paoline, 1982

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20. Le semantiche del sangue in Tertulliano

Gramaglia, Pier Angelo

Centro Studi Sanguis Christi, 1982

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21. Il linguaggio eucaristico in Tertulliano

Gramaglia, Pier Angelo

s. n.!, 1983

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22. De virginibus velandis: la condizione femminile nelle prime comunità cristiane

Tertullianus, Quintus Septimius Florens

Borla, 1984

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23. La preghiera

Tertullianus, Quintus Septimius Florens

Edizioni paoline, 1984

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24. Non uccidere e non violenza nel sec. 4

Gramaglia, Pier Angelo

[S. l.!, 1984

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25. Perché non sono d'accordo con i testimoni di Geova

Gramaglia, Pier Angelo

Piemme, 1984

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26. Confronto con i Mormoni

Gramaglia, Pier Angelo

Piemme, 1985

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27. Il linguaggio eresiologico in Tertulliano: l'approccio cattolico all'eresia

Gramaglia, Pier Angelo

Institutum Patristicum Augustinianum, 1985

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28. Maria Valtorta: una moderna manipolazione dei Vangeli

Gramaglia, Pier Angelo

Piemme, 1985

29. Verso un "rilancio" mariano? : voci d'oltreterra : il movimento sacerdotale mariano, il mistico nazionale

(G. Baget Bozzo), le apparizioni di Medjugorje (Jugoslavia)

Gramaglia, Pier Angelo

Claudiana, 1985

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30. Lo spiritismo

Gramaglia, Pier Angelo

Piemme, 1986

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31. L' equivoco di Medjugorje : apparizioni mariane o fenomeni di medianità?

Gramaglia, Pier Angelo

Claudiana, 1987

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32. Il matrimonio nel cristianesimo preniceno

Tertullianus, Quintus Septimius Florens

Borla, 1988

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33. La Sindone di Torino: alcuni problemi storici

Gramaglia, Pier Angelo

Leo S. Olschki, 1988

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34. Le apparizioni a San Damiano : la Madonna di mons. Lefebvre

Gramaglia, Pier Angelo

Tipografia saviglianese, 1988

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Mentre Mamma Rosa, la veggente di San Damiamo Piacentino, non è stata sottoposta ad esame scientifico, diversa è

stata la situazione dei veggenti di Medjugorje, sui quali sono state compiute analisi scienti fiche rigorose. Gli studi sugli eventi di

Medjugorje hanno offerto un nuovo modello metodologico di accostamento agli stati alterati di coscienza tramite una serie di

esami, che possono essere così sintetizzati: elettroencefalografia, potenziali evocati visivi, potenziali evocati

uditivi, elettrooculografia, impedenziometria acustica, reflessologia pupillare, reflessologia corneale, resistenza elettrica cutanea,

studio del riflesso dell’ammiccamento spontaneo, studio del riflesso dell’ammiccamemto evocato, test della schermatura,

frequenza cardiaca, ritmo cardiaco, pressione arteriosa, studio dei sincronismi, sensibilità dolorifica, tono degli sfinteri arteriolari

precap illari (pletismografia), frequenza, forma e ampiezza degli atti respiratori.

Nell’estasi dei veggenti di Medjugorje il sistema nervoso ortosimpatico si manifesta in uno stato di iperattivazione, che,

sul piano clinico, è paragonabile solo ad uno stato di shock , cioè di allerta ergotrofica (accompagnata dalla diminuzione delle

variazioni nello elettroencefalogramma) o di forte allerta emozionale. Inoltre la scomparsa dei riflessi psicogalvanici, cioè delle

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rapide e vistose variazioni della resistenza elettrica della pelle, dovuta alla allerta emozionale, documenta che gli estatic i e i vari

visionari, che non simulano, sono spesso completamente isolati dall’ambiente circostante; l’aumento tonico della resistenza

della pelle dimostra che cessa la sudorazione emozionale (che interessa le mani, i piedi e le ascelle, ma non il tronco e la testa)

e che subentra la sudorazione omeostatica (che interessa la testa e il tronco e non gli arti), segnalando pertanto lo stato di

massima allerta ergotrofica, analogo a quello dello stress estremo. L’estasi si caratterizza ancora per le variazioni del to no degli

sfinteri precapillari del polpastrello di un dito (pletismografia); nelle mani dei veggenti si verifica una diminuzione dell’ irrorazione

capillare del 70 per cento dei valori di controllo, indice di uno spasmo arteriolare periferico dovuto ad ipertono ortosimpatico; alla

fine dell’estasi si ha un “rimbalzo parasimpatico” e cioè un aumento di ampiezza delle pulsazioni capillari che va oltre i va lori di

controllo. Infine, mentre nell’attività quotidiana la muscolatura fonatoria della laringe produce a livello dell’orecchio

medio variazioni registrabili di impedenza (rapporto tra pressione acustica e flusso sonoro), durante la cosiddetta estasi i

muscol i fonatori cessano di funzionare, dissociandosi dalla muscolatura della bocca, che rimane però in attività.

Si può ritenere che l’estasi di Medjugorje sia diversa dal samadhi (estasi yoga) e dal satori (estasi zen) a predominanza

iperattiva parasimpatica ma non si può escludere l’ipotesi che un’estasi iniziata in stato di allerta ortosimpatica, si evolv a poi

passando in ipertonia parasimpatica. E non è neppure il caso di forzare all’estremo la preoccupazione di dimostrare che dal

punto di vista psicologico l’estasi religiosa, essendo uno stato di coscienza differenziato, stabile e prevedibile (se ne

può costruire il modello) sarebbe diversa dall’ipnosi, che è invece uno stato di coscienza indifferenziato e fluttuante,

determinato dalla suggestionabilità dell’ipnotizzato, che può allucinare tutto quello che gli viene suggerito. In questo caso

infatti si ha il fenomeno dell’ipnosi eteroindotta, in genere meno selvaggia e intensa di quella autoindotta; infatti le

analogie globali dei fenomeni di Medjugorje e di altre visioni con gli stati medianici di ipnosi o di trance autoindotta

rimangono più che rilevanti, anche per i possibili paralleli costituiti dai fenomeni di xenoglossia.

La definizione dell’estasi come estrema attivazione ortosimpatica, verificata anche in altre apparizioni mariane , dal punto

di vista dell’ipertonia ortosimpatica, dovuta alla allerta emotiva, della drastica riduzione della attività elettrotermica e

della riduzione di ampiezza delle onde dicrote del tracciato pletismografico nonché della tachicardia, da una parte

documenta il degrado culturale del cattolicesimo italiano, portato dalle gerarchie ecclesiastiche e dai carismatici di grido ad

identificare con tale sconquasso fisio-neuro-fisiologico l’espressione più alta del misticismo religioso o, peggio ancora,

dell’ideale evangelico dell’imitazione di Cristo, ma dall’altra smaschera anche la demagogia con cui il misticismo soprattutto

spagnolo a partire dal sec. XVI ha presentato e propagandato l’estasi come stato di totale riposo in Dio, mentre con grande

probabilità si trattava di stati alterati di coscienza, ove c’era di tutto meno che la distensione interiore e il rilassamento psichico

e dove il cosiddetto “Dio della pace del cuore” probabilmente era assai più lontano di quanto le allucinazioni estatiche dei

cosiddetti mistici volesse ro far credere.

Tali ricerche inoltre offrono ancora una base scientifica per rivedere radicalmente la teoria cattolica più diffusa

sul discernimento spirituale. Troppo spesso è solo frutto di fanatismo e di ingenuità ridurre l’ambiguità dello psichismo religio so

ad una dialettica demonistica tra Spirito di Dio e Satana, che si spartirebbero il cuore dell’uomo nelle varie

manifestazioni e sensazioni interiori: in tal caso si fa del discernimento un pericoloso e ossessivo metodo di introspezione,

finalizzato ad u na morbosa analisi e contabilità degli impulsi e delle emozioni, che di volta in volta, secondo la fenomenologia

neuropsichica con cui sono recepiti, verrebbero attribuiti ora a Dio ora al Diavolo. Tale metodo crea in molte anime

credenti stati terribili d i angoscia e le porta a ritenersi in possesso di Satana ogni volta che si instaura uno stato di

depressione psichica o si innescano processi di automatismi incontrollabili. I cosiddetti “direttori spirituali” di tipo

carismatico si sentono poi autorizzati a lla manipolazione delle coscienze altrui con la loro arrogante pretesa di discernere

gli impulsi e gli stati affettivi provenienti ora da affinità con Dio ora da identificazione con Satana: ovviamente i direttori

spirituali più intelligenti, come erano alcuni a Medjugorje, sanno organizzare a meraviglia la loro orchestrazione,

attribuendo a Satana qualsiasi mozione interiore critica verso il Papa o il magistero della Chiesa, in attesa di evidenti

contropartite, a meno che non venisse coinvolta la loro Mado nna,

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Nel qual caso erano anche disposti a forme di dissenso ecclesiastico vuoi occulto vuoi pubblico. In tutti questi

fenomeni carismatici troppe cose “non sono di Dio”, non già perché siano “di Satana”, bensì perché appaiono come il

risultato di stati alterati di coscienza, identificabili vuoi nella loro base neurofisiologica come l’opposto della “pace

sensoriale”, anche se i veggenti hanno tale illusione, vuoi nella loro struttura psichica come canali montanti del subconscio, che

crea personalità nuove, capaci di attingere al patrimonio eidetico sedimentato nella memoria sotto lo stimolo irresistibile del

bisogno religioso e della ostentazione di presunti privilegi carismatici.

35. Le fonti del linguaggio paolino

Gramaglia, Pier Angelo

Institutum Patristicum Augustinianum, 1988

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36. Personificazioni e modelli del femminile nella transizione dalla cultura classica a quella cristiana

Gramaglia, Pier Angelo

Marietti, 1988

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37. G. I. Gurdjieff e la quarta via

Gramaglia, Pier Angelo

Tipografia Saviglianese, 1989

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38. La novella di Cupido e Psyche : genere letterario e interpretazione : estratto

Gramaglia, Pier Angelo

Marietti, 1989

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39. Il sangue in alcune epigrafi africane

Gramaglia, Pier Angelo

s.n.!, 1989

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40. La reincarnazione : ...altre vite dopo la morte o illusione?

Gramaglia, Pier Angelo

Piemme, 1989

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41. Perché non sono d'accordo con... i testimoni di Geova

Gramaglia, Pier Angelo

Piemme, 1989

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42. Visceratio: semantica eucaristica in Tertulliano?

Gramaglia, Pier Angelo

1989

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43. Agostino, Confessioni 1-2

Gramaglia, Pier Angelo

Marietti, 1990

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44. Spiritismo: dimensioni occulte della realtà?

Gramaglia, Pier Angelo

Piemme, 1990

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45. Ancora la Sindone di Torino

Gramaglia, Pier Angelo

Leo S. Olschki Ed., 1991

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46. Esoterismo, magia e cristianesimo: fatti, persone e false promesse

Gramaglia, Pier Angelo

Piemme, 1991

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47. Linguaggio sacrificale ed Eucarestia in Gregorio Magno

Gramaglia, Pier Angelo

Institutum Patristicum Augustinianum, 1991

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48. Sangue di Cristo e comunione al calice nel concilio di Trento

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 1991

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49. Sangue e Eucarestia nelle dispute latino-bizantine del sec. 11

Gramaglia, Pier Angelo

s. n, 1991

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50. New Age : teorie e prassi

Gramaglia, Pier Angelo

s. n. (Tipografia Saviglianese), 1992

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Negli anni precedenti pareva di vivere in una bolgia frenetica di apocalittica e di panteismo magico :

cosmologia esoterica, occultismo medianico, sbocchi ecologisti seri, influssi orientaleggianti mediati da filibustieri

californiani, analogie gnostiche di parata pseudoscientifica, il mito degli stati alterati di coscienza, l’esaltazione delle

tecniche d i meditazione, paradigmi antropologici pseudo-olistici, il culto del paranormale psichico, modelli ideologici e culturali

pseudo-buddisti, tutto convergeva in un gran polentone, che si presentava come la salvezza escatologica del “New Age”

americano, che in realtà stava colonizzando la cultura europea e mondiale come un’unica lobby amalgamata.

Bisognava trovare una matassa di ricerca, che garantisse in modo sincronico un approccio scientifico e un uso

dell’ironia di fronte a tanti deliri assolutamente acritici.

Pensai bene di focalizzare l’area di ricerca innanzitutto su quella che si presentava come la nuova gnosi di Princeton

con il suo immanentismo cosmologico, l’idea di una coscienza organica primaria, il presupposto di una coscienza cosmico

- divina nella materia, un rapporto primordiale tra embriologia e psicogenesi e un’etica provocatoriamente borghese. Passai

poi ad un’opera famosa di Fritjof Capra, il Tao della fisica , che proponeva i modelli di una nuova fisica sulla base del

Bootstrap , capace di recuperare le esperienze allucinatorie, gli stati alterati di coscienza, la mania del buddhismo e del

taoismo nonché il mito delle culture alternative. Sono passato poi ad un esame delle teorie morfogenetiche, che affrontavano in

modo olistico i comportamenti formativi nei processi chimici, lo psichismo biologico immanente, l’istintualità animale, l’embriologi

a e la presunta coscienza trans-personale.

Ma l’accostamento ad opere serie come il problema di Dio in Paul Davies e come l’esperienza dello scia manismo in

Mircea Eliade mi permise di affrontare in modo del tutto diverso gli andazzi ideologici maggioritari; la ricerca scientifica vera

permetteva infatti di analizzare con nuovi strumenti e con nuove conoscenze le differenziazioni tra gli stati di co scienza e

il sonno, i rapporti tra gli indici elettroencefalografici e l’attività razionale, le differenziate funzioni degli emisferi cerebrali e

una vera e documentata fisiopsicologia degli stati alterati di coscienza in modo da poter individuare con fond amento le

proiezioni metafisiche delle tecniche yogiche e i presupposti infondati della “Meditazione Trascendentale” con le applicazioni

esoteriche dello Yoga.

A questo punto sentivo di avere una strada aperta per affrontare con ironia, a volte anche fero ce, i veri grandi miti di

quel tempo, come la “Transpersonal Psychology” di Stanislav Grof, le ciarlatanerie acquariane di Marylyn Ferguson

(ad esclusione del suo ammirevole impegno ecologico), le avventure dell’io stradivino e megalomane di Shirley MacLaine

nonché dei suoi incomparabili “chakra”, presenti in quasi tutte le parti del suo corpo, ad esclusione forse degli emisferi

cerebrali , e di molte altre novità rimbuddhite della demagogia californiana di quegli anni.

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51. Comprensione e perdono in Epitteto e in Erma

Gramaglia, Pier Angelo

Marietti, 1992

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52. Scientology e unification church

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 1992

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53. Cipriano e il primato romano

Gramaglia, Pier Angelo

Olschki, 1992

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54. Semantiche bibliche e teologiche del sangue in Alberto Magno

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 1993

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55. La sacrificalità della messa nel Concilio di Trento

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 1993

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56. Fisiologia del sangue in Alberto Magno

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 1993

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57. Gesù Cristo nella cultura laica

Gramaglia, Pier Angelo

1993

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58. I carismatici

Gramaglia, Pier Angelo

Vol. I e II, 1994

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Fu l’incontro con i Mormoni a stimolare il mio interesse per le esperienze visionarie e carismatiche nel pieno

della esplosione cattolica ed evangelica del pentecostalismo. Dal punto di vista metodologico occorreva prendere in

considerazione ed esaminare alcune ipotesi ermeneutiche, così catalogabili: ipotesi farmacologica, ipotesi fisiologiche,

ipotesi neurologiche (soprattutto per le esperienze allucinatorie), ipotesi socio-psicologiche di effetti psichici favoriti

dall’isolamento e dalla solitudine, ipotesi freudiane (che amavano leggere nelle apparizioni di esseri luminosi una proiezione

dell’immagine del padre), ipotesi junghiane, che scoprivano invece gli archetipi dell’inconscio collettivo, ipotesi di esperienze di

escursioni extracorporee e infine quelle molto più utili dal punto di vista euristico e fenomenologico, cioè lo studio delle forme

degli stati alterati di coscienza, utili e necessari soprattutto negli eventi di visioni-apparizioni e di tutta la fenomenologia mistica

nelle sue forme più disparate. Del pentecostalismo moderno impressionava soprattutto il rigurgito di un escatologismo

apocalittico totalmente irrazionale.

Per poter valutare appieno la dimensione ecumenica dei movimenti carismatici ritenni opportuno non già un discorso

teologico bensì verificare sul campo il fenomeno di una frammentazione ecclesiale a catena, analizzando alcune figure, che

fornivano sufficienti settori di analisi esperienziale, vale a dire le esperienze di un carismatico africano (Simon Kimbangu), di un

pastore anglicano (Dennis J. Bennet), di un pastore metodista (Merlin R. Carothers) e di un pastore pentecostale (il

dottor Yonggi Cho).

L’area cattolica e riformata esigeva invece un metodo ermeneutico del tutto diverso: vale a dire una verifica ermeneutica

a partire dai testi biblici soprattutto nella dinamica progressiva del passaggio dal battesimo del Battista al cosiddetto battesimo

carismatico di spirito e al battesimo apocalittico di fuoco e poi nei fenomeni carismatici del parlare in lingue e del profetismo

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quasi divinatorio nelle comunità paoline e poi nelle comunità dell’Apocalisse fino al profetismo della Ascensione di Isaia verso

l’inizio del sec. II d. C.

A questo punto occorreva smontare l’arroganza cristiana pentecostale, che non solo connetteva spesso in modo

esplicito o implicito e anche in modo paranoico ed esclusivista il messaggio della salvezza a tali esperienze carismatiche ma

riteneva di essere l’unico bacino culturale a partire dalla creazione del mondo, ove Dio manifestasse tali e tante

meraviglie prodigiose. Di grande gratificazione ermeneutica fu l’allargamento dello studio alla importanza della divinazione

oracolare negli scritti di Plutarco, poi in alcune figure emblematiche del mondo ellenistico come Alessandro di Abonuteichos e

soprattutto nel pitagorismo carismatico e in Apollonio di Tiana (ove fu possibile analizzare a fondo i fenomeni di precognizione,

di chiaroveggenza, di telepatia, di guarigioni e di esorcismi). Altrettanto era possibile annotare nei fenomeni carismatici

descritti con acribia e precisione nella letteratura spiritistica, nel mondo della parapsicologia junghiana di Aniela Jaffè e

nell’app roccio ermeneutico esoterico di Ugo Dèttore.

Fu soprattutto l’analisi sul campo della fenomenologia pentecostale del “parlare in lingue” che documentò la sistematica

demagogia di quanti asserivano durante raduni pentecostali cattolici di riuscire a parlare in aramaico: se non altro erano s tati

elaborati studi di grande valore scientifico e linguistico, che attestavano in modo lampante le strutture neurovegetative

e psichiche della glossolalia. I dati ritrovati nella ricerca diretta sui pazienti carismatici e documentati in pubblicazioni s

cientifiche di grande valore attestavano durante l’estrinsecazione dei carismatici di maggio prestigio uno stato alterato di

coscienza con esperienze allucinatorie sincroniche a precise e ripetute variazioni del sistema neurovegetativo con mutazioni

paradigmatiche dei comportamenti cinetici, sicché apparivano con evidenza gli inneschi liturgico-rituali dello stato alterato

di coscienza, le funzioni psichiche della glossolalia e la sua efficacia terapeutica nelle operazioni carismatiche di

guarigioni interiori e di guarigione dei ricordi. Il che però faceva emergere le profonde analogie con la fenomenologia

spiritistica e i fenomeni carismatici nello Spiritismo soprattutto nella struttura neurofisiologica della medianità.

Sconcertante fu inoltre la scoperta e l’analisi del successo di un vero e proprio spiritismo cattolico ad opera di Giovanni

Martinetti, patrocinato dalla casa editrice “Elle Di Ci”, di Mario Mancigotti dopo la morte della figlia Daniela (con uso spi ritistico

della scrittura automatica, dei disegni medianici e della psicofonia medianica) nonché del caso increscioso di Lino

Sardos Albertini.

L’ideologia generale dei vari movimenti pentecostali nel porre nei carismi e nella glossolalia l’estrinsecazione

più sublime del battesimo di Spirito tradisce certamente quella inconfondibile caratteristica neotestamentaria, che vede invece

nella sequela di Cristo tramite il martirio il segno storico più sublime dell’esistenza cristiana, analoga al “battesimo” di Cristo

stesso sulla croce. Da questo punto di vista l’alienazione o l’illusione religiosa contemporanea del mondo cristiano con tutta

la sua fenomenologia di apparizioni, visioni, sogni, estasi, glossolalie, locuzioni interiori, contatti con angeli e con spiriti di

defunti non può probabilmente vantarsi di essere un segno molto qualificante del regno di Dio, che irrompe nel mondo, a sentir

dire.

59. La gratitudine nell'anacoretismo cristiano orientale dei secc. 4-5

Gramaglia, Pier Angelo

Giardini Editori e Stampatori, 1994

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60. La meraviglia in un detto apocrifo di Gesù

Gramaglia, Pier Angelo

Giardini, 1994

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61. Guarigioni e miracoli

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, Vol. I e II, 1995

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Si viveva in quel tempo nel pieno della reazione carismatica cattolica e pentecostale contro il metodo storico -

critico nell’esegesi biblica e nella corsa dei “rinati nello Spirito”, che si radunavano in alberghi di lusso per intontimenti di

profezia e di glossolalia.

Occorreva dunque ritornare ad una metodologia seria di analisi dei racconti evangelici sui miracoli di Gesù, tenendo ben

conto tramite sistematiche analisi lessicali e sinottiche di ciò che poteva risalire a tradizioni, collegabili in certo modo al Gesù

storico, ben distinte dagli interventi redazionali dei singoli evangelisti e dalle amplificazioni dei sommari sintetici sulla freque nza

di tali prodigi. Per questo sono stati pazientemente sottomessi ad esame lessicale di quasi trecento pagine tutti e singoli

i racconti di guarigione, di prodigi sulla natura e di espulsione degli spiriti maligni e immondi da parte di Gesù, con la

disposizione culturale ad accettare qualsiasi risultato esegetico, che avesse una plausibilità storico-critica, quand’anche si

trattasse di casi di manipolazione delle precedenti tradizioni narrative per motivi ideologici di propaganda o di

amplificazione della miracolosit à delle guarigioni operate dal Gesù storico.

Tutto ciò tuttavia non era sufficiente, poiché la storiografia germanica aveva creato un vero e proprio mito

sulla morfologia dei racconti di prodigio, secondo la quale gli scrittori del periodo ellenistico avrebbero elaborato tutte

le loro descrizioni del prodigioso nelle biografie di personaggi carismatici, come Pitagora, sul copione di uno schema che si

sarebbe ripetuto per tutti.

La traduzione e il commento a tutti i racconti di quasi tutte le stele dei santuari di Asclepio documentava con dovizia la

falsità di tale presupposto ermeneutico, poiché le narrazioni delle guarigioni erano estremamente personalizzate e indicavano

narrazioni assolutamente prive di paradigmi letterari. Indubbiamente la critica di Luciano di Samosata al prodigioso

nell’ellenismo andava ripresa e rimessa in auge ma non costituiva una pregiudiziale radicale contro l’autenticità descrittiva delle

guarigioni presso i santuari di Asclepio.

Per questo mi ritenni autorizzato a riprendere sulla base di tutte le fonti più sicure dei verbali degli interrogatori

alla veggente la storia delle apparizioni a Lourdes, analizzando con criteri antropologici le apparizioni di Bernadette Soubirous

e le registrazioni molto serie delle cosiddette guarigioni prodigiose presso il noto santuario, soprattutto a partire dal 1882,

allorché venne istituito il meritevole Bureau des constatations médicales , che Karol Wojtyla avrebbe poi cercato di isolare

per la sua eccessiva serietà, affidando il controllo dei miracoli, estranei a Lourdes, ai suoi amici medici compiacenti dell’Opus

Dei.

Per non fare opera di proselitismo allargai la ricerca a figure e movimenti e personaggi molto famosi, come Mary Baker

Eddy e la Christian Science , il carisma delle guarigioni nello spiritismo classico francese e nelle varie forme dello spiritismo

contemporaneo, l’attività dei guaritori nordamericani, privilegiando la figura meritevole di Kathryn Kuhlman , le nuove religioni

del New Age e le loro nuove terapie, i principi ideologici e le tecniche della pranoterapia, nonché il Reiki e la sua

teoria dell’energia vitale universale.

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Notai soprattutto un paradigma generale, cioè le ideologie e la teologia revanscista e reazionaria dei guaritori, in modo

del tutto particolare di quelli cattolici, presso i quali era spesso evidente la loro strategia di sollecitare una attenzione particolare

da parte delle gerarchie cattoliche, ostentando una adesione totale al riflusso, che ormai regnava sovrano in tali

gerarchie cattoliche in alto e in basso.

62. Demonismo e satanismo

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, vol. I e II, 1996

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Erano gli anni del delirio del mondo cattolico ed evangelico per gli spettacoli carismatici e soprattutto per le pagliacciate

esorcistiche delle americanate, travestite da semplici “preghiere di liberazione” per non destare le ire della centrale

ecclesiastica cattolica del monopolio sulla anagrafe di tutti gli spiriti extraumani. Era inevitabile una analisi dei testi storici della

cristianità e una verifica sia biblica sia antropologica sul problema di Satana e dei suoi spiriti maligni .

Non era solo implicato il demonismo neotestamentario piuttosto ossessivo a causa delle sue origini nel giudaismo del

Secondo Tempio e nel mondo giudaico del settarismo esseno ma si era creata una situazione culturale dialettica dopo che nel

Concilio Vaticano II il documento della Lumen gentium 16 aveva rotto il principio della letteratura neotestamentaria,

che demonizzava a priori ogni religiosità non cristiana; da allora nessun cattolico aveva più il diritto di identificare in un altro

uomo l’azione di Satana per semplice divergenza di religione. Non meno clamoroso era il rifiuto della demonizzazione del

dissenso interno alla Chiesa o nei confronti della Chiesa cattolica nella Unitatis Redintegratio 14-18, che contrastava

chiaramente il presupposto neotestamentario della demonizzazione del dissenziente. Ancor più esplicita era la radicale

revisione del demonismo neotestamentario là, ove nei confronti del dissenso intraecclesiale ci si appellava non più allo Spirito

maligno bensì allo Spirito santo, che agisce anche nei credenti non cattolici (cf. Lumen gentium 15; Unitatis

Redintegratio 3). Insomma il demonismo neotestamentario, se letto e recepito in prospettiva fondamentalista, non poteva

essere né fonte di cultura religio sa né espressione di una autentica esperienza umana: del resto una analisi storica a tappeto

documentava che esso aveva quasi sempre e soltanto fomentato il fanatismo culturale e l’arroganza ecclesiastica di fronte al

mondo.

Un’area poco frequentata era poi quella degli esorcismi battesimali di tutte le liturgie c ristiane prima della riforma

protestante; l’analisi dei rituali della liturgia battesimale romana fino alla macabra liturgia battesimale del Rituale Romanum del

1614 (viene data la traduzione italiana del testo integrale, comprese le istruzioni previe) documenta infatti non solo

evidenti prassi di magia ma soprattutto il sadismo di una proclamazione continua e ripetuta a iosa durante ogni battesimo dei

bambini che essi erano proprietà di Satana e che sarebbero stati condannati per tutta l’eternità all’inferno, se fossero

morti senza battesimo.

Alcuni appunti sul demonismo nelle opere di Tommaso d’Aquino rendevano esplicito il fatto che questo teologo

di regime aveva aperto le porte ideologiche di giustificazione dei processi alle streghe, la cui anima culturale era stato appunto

il demonismo. Il che appare in tutta la sua drammaticità criminale nella prassi processuale prima del Malleus Maleficarum , di

cui vengono citati e studiati moltissimi testi, e poi delle Disquisitiones magicae di Martin del Rio, analizzate pure esse a

fondo in tutti i loro risvolti (prassi inquisitoria con l’uso disumano della tortura, ideologia religiosa demonistica e prassi penale) ,

compresa la tardiva opposizione all’Inquisizione da parte della Cautio criminalis di Friedrich von Spee. Insomma il Papato ha

commesso per trecento anni crimini contro l’umanità.

Ovviamente non poteva mancare un tentativo di comprendere anche il fenomeno del satanismo nell’epoca moderna, a

partire dalle “messe nere” dell’era illuminista e massonica fino alla “Church of Satan” californiana di Anton Szandor LaVey.

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Avevo concluso la mia ricerca con uno studio sull’esorcista teatrante di allora Emmanuel Milingo, che mi costò parecchi

insulti dal mondo cattolico e carismatico; in quegli anni infatti mons. Milingo, accusato di magia e ciarlataneria dall’episcopato

dello Zambia presso Paolo VI nel 1974, venne subito dopo la morte di tale Papa ripescato e protetto da Karol Wojtyla, che nel

1983 lo nominò delegato speciale presso il Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti e lo

incaricò personalmente di una grande missione: girare per l’Europa a distribuire cresime ai militari cattolici della Nato e a

predicare contro l’azione di Satana nelle democrazie, che non vivevano sotto la dittatura comunista (i teologi polacchi infatti

sapevano molto bene dove si manifestava il Diavolo, anche se andavano beatamente in canoa o a sciare, mentre

alcuni atei laici cecoslovacchi vivevano in carcere duro per essersi opposti con chiarezza a quei “regimi satanici”), perché i

teologi europei, così gli avrebbe detto Karol Wojtyla, non credevano più al diavolo. Chi legge ora quanto descrivevo nel

1996 e che già da anni ripetevo nelle mie conversazioni, sempre sotto osservazione dall’alto, potrà notare che il demagogo

mons. Milingo, esattamente come il suo grande protettore di quegli anni, si anticipava già da solo profeticamente in quasi

tutte le idiozie e le pagliac ciate religiose esibite negli anni successivi.

63. Altre vite dopo la morte? : la reincarnazione

Gramaglia, Pier Angelo

Piemme, 1996

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64. Fisiologia del sangue in Tommaso d'Aquino

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 1996

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65. Sangue redentivo e sangue eucaristico di Cristo in Tommaso d'Aquino

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 1996

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66. La parrhesia neotestamentaria

Gramaglia, Pier Angelo

Giardini, 1996

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67. Padre Pio da Pietrelcina: analisi di un mito

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 1997

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68. Il Testimonium Flavianum. Analisi linguistica

Gramaglia, Pier Angelo

Silvio Zamorani, 1998

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69. L' iniziazione cristiana in Origene

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 1999

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70. 1: Il battesimo

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 1999

monografia | testo a stampa

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71. 2: L' eucaristia

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 1999

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72. Osservazioni linguistiche su Lc 16,16

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 1999

monografia | testo a stampa

73. La clandestinità di Pietro (At 12,17)

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 2000

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74. Missioni al popolo : meditazioni

Giuseppe : Cafasso <santo>

Effatà, 2002

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75. L' origine della religione in René Girard e Sigmund Freud

Gramaglia, Pier Angelo

[s.n.!, 2002

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Mi stupii non poco nel notare come la cultura laica di livello universitario si fosse lasciata ammaliare dagli scritti di Ren é

Girard per riflettere sulla funzione antisacrificale della morte di Cristo e sui presunti paradigmi strutturali del senso religioso nella

coscienza umana; l’ipostatizzazione del desiderio mimetico e il paradigma del linciaggio collettivo originario e della presun ta

origine del sacro da tale evento non sollecitavano molto i miei interessi cu turali, se non quando venne coinvolta in

tale ermeneutica la sacrificalità nell’ebraismo arcaico.

Mi pareva un tradimento ermeneutico della struttura pluralistica della sacrificalità nel mondo ebraico, tradimento che era

tra l’altro fondato su una ignoranza abissale dei dinamismi più arcaici di tale prassi religiosa. Lo studio delle fasce redazionali

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dei testi biblici attestava infatti che il sacrificio originario dell’ebraismo non era costituito dall’ idea della vittima espiatoria o del

capro espiatorio, poiché implicava come elementi essenziali, e non disgiungibili, l’offerta a Dio del sangue e del grasso degli

animali immolati quale suo privilegio alimentare, che nessun altro avrebbe potuto mangiare nei banchetti sacri. Il separare e

isolare il sangue da siffatta struttura falsifica l’intera prospettiva sacrificale ebraica delle origini. Ovviamente in epoca ellenistica

anche il giudaismo ha avuto interessi di propaganda a obliterare tale connubio sacrificale. L’esegesi cristiana poi, ossess ionata

dai suoi miti di sacrificalità espiatoria, ha sistematicamente falsificato, come documenta a esempio la Lettera agli Ebrei , la vera

sacrificalità delle origini bibliche; isolando il tabù ebraico del sangue dal suo insieme e soprattutto dal grasso, ha addiri ttura

modificato l’immagine di Dio, che stava dietro al Dio antico, prima che egli diventasse Yahweh degli Ebrei.

La struttura fondamentale del privilegio alimentare di Dio , quale emerge con chiarezza nelle funzioni arcaiche

della sacrificalità ebraica, trova molte analogie paleostoriche e non solo nel mondo umano. Infatti è noto a tutti che già nel

mondo animale, là ove si sono formate le prime strutture di socializzazione e di gerarchizzazione con la figura di un

maschio dominante, le funzioni associative si fondano soprattutto sul privilegio alimentare e sul privilegio sessuale di

tale maschio dominante; in modo specifico dopo la caccia e la predazione esso esige da parte di tutti gli altri membri del gruppo

il rispetto del suo privilegio alimentare; mangia per primo le parti migliori, soprattutto il sangue e le carni più nutrienti,

mentre gli altri attendono con paura e sottomissione il loro turno. La stessa cosa è ben documentabile nelle società

umane primitive; la spartizione delle prede di caccia e del bottino di guerra rispetta in genere il privilegio alimentare e sessuale

del capo del gruppo o del guerriero più forte.

Nella coscienza ebraica più arcaica Yahweh era un Guerriero terribile, che proteggeva il suo gruppo con stermini

e drastici interventi vendicativi; la sacrificalità ebraica è nata in una tradizione sacrale, che rimandava ad una contestualità

di piccoli clan di cacciatori e di predatori prima ancora del nomadismo della pastorizia; il suo culto esigeva quale principio

religioso fondamentale il rispetto sacrale del privilegio alimentare del capo-branco. Possiamo descriverlo come un processo

religioso, che sacralizza, proprio tramite la sacrificalità, la “trascendenza” sociale dell’autorevolezza del maschio dominante o

del capo-clan. In altri termini l’arcaica tradizione, che sta alla base della religiosità ebraica, fonda nel culto sacrificale una delle

primarie forme di strutturazione sociale dei branchi animali e di gruppi umani; per questo motivo le successive forme ed

evoluzioni del culto ebraico non hanno mai perso le loro radici fortemente discriminanti all’interno delle funzioni sociali e il

sacro è sempre rimasto monopolio di una classe maschile.

Tutto ciò rimanda anche a Sigmund Freud con una domanda semplicissima: come mai Sigmund Freud è riuscito

a fondare l’origine della religione sul paradigma del tabù e non ha fatto una sola parola sulla religione più tabuizzata, che

esista sulla faccia della terra, cioè l’ebraismo biblico? La risposta diveniva sempre più chiara nella rilettura di “Totem e tabù”.

Perché Sigmund Freud ha rimosso tutti i tabù dell’ebraismo? Già il mito del tabù originario dell’orrore dell’incesto

funzionava mollto male con la Bibbia ebraica. Infatti al mito di S. Freud sul totemismo esogamico delle origini dell’ umanità i testi

biblici oppongono a esempio l’arcaica tradizione di un rigido rapporto tra religione del clan e il matrimonio endogamico,

esattamente all’oppos to del sistema sociale degli aborigeni dell’Australia. Tale schema si opponeva ovviamente a ciò che

Freud cercava nei popoli primitivi a sostegno del suo sistema ideologico. Il giudaismo si presentava come sintesi di

antichissime tradizioni, molto pi ù arcaiche dei presunti uomini primitivi di S. Freud, nelle quali il proliferare dei tabù nasceva

non già in una struttura esogamica ma rigidamente endogamica, cosa ovviamente troppo pericolosa per la “teoria scientifica

psicoanalitica”, che non avrebbe più trovato in tal caso alcuna spiegazione “storica” decente al presunto ancestrale mitico orrore

dell’incesto.

La rimozione radicale di tutti i tabù dell’ebraismo, sostituiti dalle angosce ereditarie delle nobili borghesi

viennesi, avrebbe certamente messo S. Freud in grande difficoltà e non solo con gli ebrei europei; nella Bibbia infatti i tabù

erano molto più seri, radicali e sconcertanti. Freud si sarebbe trovato di fronte ad un panorama di vastità antropologica

incomparabile: tabù e delirio della pena di morte, tabù della nudità genitale, endogamia e sterminio delle donne straniere, lo

sterminio di religione, il formidabile tabù alimentare, il tabù delle menomazioni fisiche, il tabù dei morti, il tabù del sangue

mestruale, il tabù del sangue puerperale, ecc. Però, se avesse preso sul serio l’ebraismo biblico, si sarebbe certamente

risparmiata la stupidità sul suo Mosè (cioè lo stesso Sigmund Freud), egiziano di scarsa razza ebraica e molto nobile e

intellettuale illuminato ma assassinato dagli Ebrei con il loro Yahweh bellicoso e infame.

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76. Magistero papale e salvezza nel concilio di Ferrara-Firenze

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 2002

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77. Servo di Yahweh : in Isaia 52,13-53,12

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 2003

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78. Appunti linguistici su Gv 1,35-51

Gramaglia, Pier Angelo

Università di Macerata, 2003

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79. Dio, miracoli, Fátima

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2003

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80. La passione di Cristo in Anna Katharina Emmerich e in Mel Gibson

Gramaglia, Pier Angelo

s.l. 2004

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L’esaltazione del revanscismo cattolico e papista per il film di Mel Gibson ha rivelato con chiarezza che cosa era il

wojtylismo in tutta la sua demagogia di facciata.

La veggente tedesca Anna Katharina Emmerich, osannata e beatificata da Karol Wojtyla e vantata come maestra di

stupidità storiografiche su Gesù, alle quali attinse a piene mani come regista e sceneggiatore Mel Gibson, era già nota in Italia

per la traduzione delle sue due opere principali (Vita della beata Vergine Maria, descritta da Clemente Brentano , Napoli 1855

e La dolorosa passione di N. S. Gesù Cristo , Torino 1937). Tali presunte rivelazioni estatiche sono un concentrato

delle aberrazioni teologiche più indegne dell’agostinismo con il dogma solennemente definito da papi e da concili ecumenici

sulla dannazione di tutti i neonati e di tutti gli altri uomini all’inferno in caso di morte senza il battesimo cattolico e con un

ricupero ad oltranza dell’ideologia medioevale di Anselmo di Aosta nella razionalizzazione della necessità di un massacro

totale di Gesù Cristo per dare soddisfazione ad un Dio permaloso e taccagno, che vede solo il suo amore offeso e poi

dice di essere misericordioso, perché la fa pagare in modo spietato ad un Figlio divino, venuto a riparare l’onore offeso di suo

Padre, mentre tutti i neonati continuano, anche dopo, ad essere concepiti come maledetti e come proprietà di Satana

sino all’eventuale battesimo.

Quasi tutta la scenografia del film di Mel Gibson prende a pretesto accenni dei racconti evangelici, raffazzonati di qua e

di là in un concordismo infantile, per introdurre continue manipolazioni narrative di scene, di personaggi e di dialoghi, creati

dalla fantasia alienata della Emmerich, che in centinaia e in centinaia di pagine di visioni allucinatorie ha sciorinato

idiozie storiche, stupidità edilizie su Gerusalemme, falsità continue nella manipolazione delle testimonianze antiche e

invenzioni vergognose, da religiosità tipicamente paranoica e arrogante, su tutti i personaggi evangelici, a cominciare dalla

Madonna, d alla moglie di Pilato e da tutti gli altri santi o meno santi della fiera devozionale cattolica medioevale.

A tali manipolazioni Mel Gibson ha aggiunto l’ossatura ideologica del suo film, che emerge con chiarezza lungo tutto il

susseguirsi delle sue scene. Tale ossatura è riconducibile ad alcuni teoremi assiomatici, così sintetizzabili:

1) Nei libri biblici e soprattutto nel Libro di Isaia non possono esistere presupposti diacronici di

sedimentazione letteraria e di stratificazione storica; l’intero testo ispirato e canonico del profeta è autentico e

risale al profeta originario del sec. VIII a. C., che intendeva esplicitamente parlare di Gesù il Messia e della sua

morte di espiazione vicaria per vendetta divina.

2) La passione e la risurrezione di Cristo, in quanto Messia, sono il contenuto esplicito di tutte le profezie della Bibbia

ebraica.

3) Ogni singolo evento della passione di Gesù è un fatto demonistico .

4) Non può esistere perdono dei peccati senza spargimento di sangue , tipico teorema del tutto contrario alla prassi

dell’annuncio del perdono dei peccati da parte del Gesù storico.

5) Le redazioni evangeliche non sono “riletture” di precedenti tradizioni presinottiche e non contengono

nessuna “invenzione narrativa”, sicché la verità storica dei Vangeli consiste nella fusione sincronica e nella

conflazione concordista di tutti i racconti evangelici , comprese tutte le amplificazioni e le manipolazioni

redazionali dei singoli evangelisti.

6) Le esperienze visionarie di presunti mistici e mistiche, nonché di carismatici cattolici, hanno lo stesso

valore storico delle narrazioni evangeliche , essendo di origine soprannaturale.

7) Chiunque tradisce Gesù è sempre colpito da maledizioni divine già nella sua vita terrena e tali maledizioni

si concretizzano in terribili punizioni fisiche. La maledizione divina giustifica anche la pena di morte per i

violatori della legge morale.

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L’occasione del film di Mel Gibson ha rimesso in luce come nel cattolicesimo ecclesiastico spesso ci si converte solo con

dei “falsi storici”, purché facciano piangere o commuovano. E l’elenco di tale condizione spirituale, incredibilmente c inica nel

valutare gli eventi religiosi quasi solo dalla convenienza e dai vantaggi di proselitismo ecclesiastico, potrebbe continuare con le

presunte e ostentate reliquie di prestigio o con le ininterrotte apparizioni dei parenti più stretti del Salvator e.

Per i lettori più esigenti il libro, più sopra indicato, contiene anche un capitolo sull’aramaico parlato da Gesù, a dispetto

di quanti invece fanno del Gesù storico un intellettuale, che usava l’ebraico classico per ostentare la sua superiorità

sulle ignoranti folle palestinesi e recitava i Salmi nella lingua originaria per trovare favori presso Dio in cambio di tutte le volte

che aveva recitato il breviario nei suoi ritiri spirituali presso un collegio dei Gesuiti all’ombra dell’orto degli ulivi. La

conclusiva analisi della “Passione” secondo il Vangelo di Marco potrebbe essere un’ottima occasione per disintossicarsi da

demagoghi arrestati anche per ubriachezza e droga dopo avere guadagnato montagne di dollari con la sola professione

di intellettuali cattolici denutriti ma con la livrea di pasciuti attori americani.

81. Il “Padre nostro”

Gramaglia, Pier Angelo

Vol. 1 – 2005

Vol. 2 – 2007

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Nel Volume primo era necessaria una previa premessa sulle metodologie per risalire alle tradizioni più

autentiche concernenti il Gesù storico, secondo i criteri storico-critici più aggiornati. I detti del Gesù storico, riespressi

sulla base dell’analisi linguistica delle tradizioni premarciane e soprattutto della fonte Q , sono pertanto sistematicamente

messi in sinossi con il testo copto del “Vangelo di Tommaso” e con parallela analisi linguistica del testo originale. L’analisi più

lunga concerne il tema del “regno di Dio”, sistematicamente raffrontato con i detti del “Vangelo di Tommaso” e del giudaismo

postesilico. Molto risalto viene dato al problema della falsificazione ermeneutica cristiana del Sal 110, di 2Sam 7, 8-16 e di

Mi 5, 1-3 per farne testi profetici e messianici con annessa falsificazione ermeneutica della stessa auto-coscienza

messianica del Gesù storico. La coscienza del Gesù storico al battesimo nel Giordano si fonda su una esperienza estatica di

un rapporto privilegiato con il Padre celeste ma non presuppone nessuna pre-esistenza di Gesù, almeno nella fonte Q e nella

redazione marciana, e la voce percepita da Gesù in una probabile estasi non è affatto la citazione di qualche testo biblico.

Nel Volume secondo l’analisi sulla “volontà di Dio” si concentra sulla festa del sabato; per contestuare meglio lo stacco

del Gesù storico dal contesto dell’osservanza ebraica vengono analizzati molti testi qumraniani sul sabato e viene presentat a la

traduzione completa dei “Canti dell’olocausto del Sabato”. Sul tema del perdono fraterno si caratterizza in modo palese

lo stacco di Gesù dalla teologia giudaica del perdono divino, incentrata sul presupposto della espiazione annuale dello

Yom Kippur, e anche dalla esperienza del perdono dei peccati nella comunità di Qumran. Infine il tema della liberazione

dal Maligno è contestuato dall’analisi degli esorcismi nel mondo ellenistico-romano, nel mondo giudaico e a Qumran.

I criteri storico-critici più importanti per poter risalire con la maggiore probabilità possibile al Gesù storico possono essere

utilmente sintetizzati, a patto che vengano applicati sempre in modo sincronico e con cautela, badando piuttosto alla

loro plurima convergenza, e così catalogati: criterio dell’imbarazzo (riguarda azioni o detti di Gesù, che avrebbero

prodotto imbarazzo o creato difficoltà alla chiesa primitiva, sicché difficilmente tali azioni o detti possono essere stati creati da

comunità giudeo-cristiane della prima ora, e constata che alcune volte materiale imbarazzante proveniente dallo stesso

Gesù è stato soppresso o attenuato o modificato dalla tradizione posteriore), il criterio della discontinuità o della

dissomiglianza (riguarda azioni o detti di Gesù, che non possono derivare né dal giudaismo del tempo di Gesù né dalle

comunità delle origini giudeo - cristiane e privilegia il presupposto della originalità di Gesù), il criterio della molteplice

attestazione (riguarda detti o fatti di Gesù attestati da più fonti indipendenti tra loro, quali potrebbero essere la tradizione

premarciana, la fonte Q , Paolo o Giovanni, oppure in più generi letterari indipendenti , quali potrebbero essere la parabola, il

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racconto di disputa, il racconto di miracolo, la profezia o l’aforisma), il criterio della coerenza (detti o fatti di Gesù, che sono

congruenti con i dati fondamentali, ricavati dai primi tre criteri più sopra sintetizzati), il criterio del rifiuto e dell’esecuzione di

Gesù (riguarda azioni e detti contestatori di Gesù, che possono spiegare il fatto e i motivi per cui egli abbia subìto un processo e

una fine violenta di crocifissione per opera d ei responsabili giudaici e romani). Di carattere secondario per stabilire

l’autenticità di detti o di fatti del Gesù storico possono essere a volte il criterio degli indizi aramaici (vi è però la difficoltà di

discernere detti aramaici di Gesù dalla lingua aramaica dei primi giudeocristiani), il criterio dell’ambiente palestinese (rimando

alle abitudini, alle credenze, alle procedure giudiziarie, alle condizioni socio-politiche della Palestina del sec. I nonché alle

pratiche commerciali e agricole di quella regione per scoprire eventuali detti, che riflettano condizioni estranee al mondo

palestinese, specialmente nel caso dei detti del Vangelo copto di Tommaso ), il criterio della vivacità della narrazione (tende

però a confondere l’abilità narrativa di qualche evangelista con la storicità delle sue notizie), il criterio delle tendenze di

sviluppo della tradizione sinottica (con il rischio tuttavia di creare formalismi letterari arbitrari, con cui valutare poi

anche sulla loro base l’intera tradizione presinottica) e il criterio della presunzione storica (l’onere della prova

spetterebbe sempre a chi nega l’autenticità delle notizie evangeliche su Gesù). Nel contesto della ricerca sui detti autentici

del Gesù storico un posto privilegiato spetta senza dubbio agli studi sulla fonte Q e, per quanto riguarda anche la costruzione

narrativa sull’agire di Gesù, alle monografie concernenti il Vangelo di Marco.

82. Personaggi biblici nel Corano

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 2006

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Tentare una analisi del Corano con il metodo storico-critico è spesso ritenuto una “offesa alla religione islamica”. Poiché

sono abituato ad applicare, e l’ho applicato spesso, tale metodo anche al problema del Gesù storico, sono

assolutamente incapace di adottarne un altro, soprattutto se si tratta di metodologie ermeneutiche di tipo sincronico o

retorico, adottate con l’intento pretestuoso di evitare esegesi fondamentaliste, ma presupponendo a priori che il messaggio

religioso di Muhammad non possa essere in se stesso, nelle sue funzioni narrative e nel suo messaggio, una concezione

ideologica terribilmente fondamentalista o magari anche intollerante delle religioni altrui.

Sarebbe un grave errore ermeneutico eliminare la possibilità di una analisi critica sia della interpretazione della sua

ispirazione profetica sia del problema dell’uso da lui fatto delle fonti leggendarie o storiche dei suoi racconti coranici,

concernenti i personaggi fondamentali del mondo ebraico, di cui parlava già la tradizione mill enaria preislamica, soprattutto di

fronte alla costante pretesa di assoluta verità storica e rivelata, che Muhammad ha sempre esigito per le sue assolute

e indiscutibili rivelazioni di Allah su tali personaggi.

Questa prospettiva diacronica nell’analisi del Corano deve essere molto critica verso le successive esegesi islamiche,

che assumono invece come criterio ermeneutico prioritario le riletture fantasiose e spesso leggendarie della tradizione araba

post-coranica, le quali per lo più aggravano semplicemente le falsificazioni e le manipolazioni delle “fonti”, metodologicamente

assunte dallo stesso Muhammad come copertura o pretesto per le sue rivelazioni.

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I principi metodologici fondamentali dell’analisi diacronica dei racconti coranici o dei testi evangelici implicano

l’attenzione prioritaria al problema del rapporto tra tradizione e redazione; questo è stato rigorosamente il metodo da

me adottato, vale a dire individuare le possibili fonti orali di Muhammad (ormai è accertato che egli in tutta la sua vi ta non ha

mai letto una sola riga né della Bibbia ebraica né dei Vangeli, neppure in qualche parziale versione araba) e analizzare con

criteri linguistici e lessicali i suoi interventi redazionali sulle presunte fonti orali. Muhammad doveva fidarsi esclusivamente

della sua memoria, dopo avere ascoltato in arabo i racconti dei narratori ebrei, perché non gli era possibile accedere ai libri

ebraici ; egli aveva poi organizzato la sua tecnica mnemonica, focalizzando solo i particolari, che erano di suo interesse

immediato, ed eliminando soprattutto tutti i dati biografici, anagrafici e geografici dei suoi personaggi, difficilmente

memorizzabili a lunga scadenza, particolari che diventavano immancabilmente semplici paradigmi narrativi o semplici

morfologie mnemotecniche. La memoria ricordava solo pochi punti essenziali, neppure sempre narrativamente coerenti con la

tradizione ebraica; già dal punto di vista semplicemente testuale vi sono infatti eccezioni, variazioni, digressioni di rilievo nei

confronti sia del le narrazioni bibliche sia delle integrazioni narrative, desunte dai tardi midrashim giudaici preislamici, le

quali rappresentano sempre tipiche interpolazioni falsificatrici, o comunque ideologiche, da parte di Muhammad.

Muhammad si crea così per lo più una nuova storia in monologhi camuffati tra Allah e lui stesso, ove non esiste più

nessun vero nome e nessuna vera indicazione contestuale, mentre anche gli altri personaggi agiscono praticamente non poche

volte da “innominati”; in questa storia senza vere individualità egli può inventarsi tutto quello che vuole e falsificare tutto quello

che gli pare e aggrada; a sua disposizione ci solo più personaggi destoricizzati e radicalmente degiudaizzati da far recitare a

piacimento con solenni e continue professioni di fede e di prassi islamica.

Non indifferente diventa in tale ambito di analisi diacronica il problema dell’ordine seriale delle varie Sure e

delle eventuali interpolazioni medinesi o addirittura ancor più tardive; le varie ipotesi sono reperibili in lingua italiana sia nella

edizione di ALESSANDRO BAUSANI, Il Corano, Milano 2001, sia quella di HAMZA ROBERTO PICCARDO, Il Corano , Roma

2002; senza forzare né elaborare rigorose successioni per quanto concerne il periodo meccano (sul periodo medinese

vi è più vasto consenso), mi è parso un soddisfacente strumento di lavoro il risultato degli studi coranici occidentali,

prendendo come indicazione orientativa la sintesi di Alessandro Bausani sui risultati delle ricerche di Noeldeke.

Ormai si è concordi nel fatto che i tentativi di datazione non possono mai coinvolgere una intera Sura ma

devono spesso limitarsi a singoli versetti o blocchi omogenei per stile e per contenuto delle idee. Poiché tema dello

studio sono soprattutto i personaggi biblici veterotestamentari nel Corano, le singole Sure che contengono brani o

spezzoni su tali personaggi presentano grandi vantaggi per la loro unità e coerenza interna, senza coinvolgere ovviamente

nelle indicazioni di datazione l’intera Sura , in cui si trovano. In genere i singoli spezzoni sui vari personaggi biblici o sulle

leggende concernenti le presunte tribù arabe preistoriche non si presentano come semplici giustapposizioni di versetti

eterogenei ad incastro disorganico, il che è un grande vantaggio per l’analisi letteraria e lessicale; da tale punto di

vista si fa anche di notevole interesse cogliere l’evoluzione delle idee di Muhammad soprattutto nel periodo medinese,

allorché pure Allah rivela uno straordinario periodo di revisionismo teocratico e di creatività ideologica a scopi politici e sociali.

In questo turbinio di evoluzione religiosa si nota un macroscopico processo di fusione e di interferenza tra l’ossessione

apocalittica, sviluppatasi in un sec ondo momento dopo la prima rivelazione nella predicazione meccana di Muhammad, e la

rilettura delle storie bibliche nella luce ideologica delle “storie di punizione”, sistematicamente incentrate sul delirio dello

sterminio apocalittico da parte di Allah nel periodo meccano e trasfigurate poi nel delirio dello sterminio storico da parte delle

armate di Muhammad nel periodo medinese, durante il quale tutte le figure bibliche diventano, compreso Gesù Cristo, che

non fa tuttavia parte di questo studio, semplici marionette a sostegno dei programmi islamici di “guerra santa”. Nell’analisi dei

vari personaggi vi sono forzatamente alcune ripetizioni, le quali tuttavia facilitano la comprensione della loro evoluzione.

Lo studio prende come oggetto di analisi Adamo e Noè, le presunte popolazioni arabe preistoriche, Abr amo, Loth

e Ismaele, Giuseppe, a cui viene dedicata un’intera Sura , Mosè nel primo e nel secondo periodo meccano, Mosè nel

terzo periodo meccano, Mosè nel periodo medinese, Davide Salomone e la guerra santa , e infine Elia, Eliseo, Giobbe e Giona.

Già un anno o due prima dell’Egira emerge un svolta fondamentale: Muhammad inizia ad asserire che non è più

questione di terrore semplicemente apocalittico per spingere gli uomini alla fede musulmana bensì che gli stermini di Allah s i

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realizzano già prima del giudizio finale e durante la vita terrena dei suoi contemporanei, che gli si oppongono! La loro funzione

diventa sempre più quella di consegnare al ludibrio pubblico della vergogna e all’ignominia tutti coloro che si oppongono

al Corano e alla sua rivelazione come anticipo della vergogna finale della dannazione all’inferno. A questa nuova

ideologia si adeguano nel periodo medinese tutti i personaggi biblici del Corano, nessuno escluso.

Mi pare sia anche il caso di mettere in rilievo l’assurdità e la devastante epidemia fondamentalista, che deriva

dall’assumere come criterio ermeneutico dei testi sacri quel principio dogmatico, che accomuna nella arroganza culturale sia

l’Islam sia il cattolicesimo post-wojtyliano e pseudospiritualista ancora (o di nuovo) imperante, vale a dire l’identificazione tra

ispirazione profetica o carismatica di un testo o di un racconto e veridicità storica delle sue narrazioni o delle sue falsif icazioni.

Processi di falsificazione e di manipolazione regnano indisturbati in tutti i monoteismi rivelati, quelli, tanto per intenderci, che

hanno avuto e hanno volontà aggressive di dominio della loro verità o della loro identità su tutti gli uomini, cioè dei veri nemici

della convivenza democratica a lunga scadenza.

83. Gesù nel Corano

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 2007

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84. L' Eucaristia in Paolo

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2007

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La prima testimonianza cristiana della ripetizione della “cena del Signore” come memoriale e proclamazione della morte

di Cristo si trova in Paolo e proviene dalla prassi di una comunità in contesto ellenistico.

Inevitabile era dunque la necessità di un quadro generale e sintetico sulla prassi dei pasti religiosi nella

tradizione ellenistico-romana, anche solo per avere uno sfondo di confronto tramite le analisi di alcune feste agrarie,

del simposio ellenistico e di alcuni culti misterici (i misteri di Eleusi, il culto di Dioniso, i misteri di Atti, i misteri di Mitra).

Colpisce soprattutto l’assenza di lessemi simili e di funzioni lessicali religiose parallele tra la prima ritualità eucaristica

giudeo -cristiana e la commensalità misterica; un collateralismo tra eucaristia e pasti religiosi ellenistico-romani è

documentabile invece in fase molto embrionale in alcune riletture paoline e poi a partire dagli sviluppi liturgici all’inizio del sec.

III d. C., come attesta a esempio la Traditio Apostolica , attribuita ad Ippolito.

In tale contestualità assumeva importanza fondamentale la cena pasquale ebraica; ho preferito assumere come testo

base il rituale elaborato durante il periodo rabbinico, pur segnalando i blocchi rituali che potevano risalire fino al tempo del Gesù

storico. Di ogni “Seder” pasquale viene analizzata la struttura liturgica assieme alle varie ideologie religiose ebraiche.

Il problema della datazione della Pasqua viene esposto nei suoi dati essenziali e viene presa in consider azione anche la

‘Aqedah di Isacco.

La parte più impegnativa è tuttavia l’analisi lessicale del racconto di istituzione in Paolo, che implica ed esige il tentati vo

di una rielaborazione della tradizione prepaolina, probabilmente di origine antiochena. Necessaria diventava pure

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l’enucleazione dei gradi temi eucaristici di Paolo nei rapporti tra eucaristia e annuncio della morte di Cristo, tra eucarist ia ed

escatologia, tra eucaristia e giudizio divino nonché tra eucaristia e culto sacrificale ellenistico.

L’analisi del principio rituale del memoriale e della sua teologia giudeo-cristiana, la tradizione di eucaristie celebrate con

il solo pane nell’area siro-antiochena e soprattutto l’Anafora siriaca di Addai e Mari , riconosciuta pienamente ortodossa

e soprattutto valida dal supremo magistero cattolico, dovevano forzatamente portare qualsiasi teologo cattolico ad una

revisione radicale della teologia e della dogmatica eucaristica. Infatti l’Anafora siriaca di Addai e Mari non contiene la

narrazione corsiva dell’ultima cena e neppure le parole di Gesù sugli elementi eucaristici, ritenute dalla dogmatica cattolica e

papale essenza costitutiva della sacra mentalità eucaristica. Da ora in poi nessun cattolico può presentare come dogma

di fede principi e assiomi che escludano l’Anafora siriaca di Addai e Mari , vale a dire non si può più asserire che le parole

della consacrazione costituiscano l’essenza sacramentale dell’eucaristia, non si può più asserire come dogma che con le parole

della consacrazione Gesù ripete in modo incruento il suo atto di morte sulla croce, rinnovando ogni volta il sacrificio della

croce, non si può più dire che la presenza reale di Cristo esige l’ideologia tomista della “conversione di sostanza” dovuta alle

parole della consacrazi one; l’Anafora siriaca di Addai e Mari può legittimare solo una teologia dogmatica che si limiti

ad asserire che la presenza eucaristica di Cristo è fondata su Gesù risorto e non già sulla ripetizione misterica della sua morte

e soprattutto che la fe de della Chiesa nella presenza reale esige solo che la presenza dello Spirito, invocato nella epiclesi, e di

Cristo risorto coinvolga anche gli elementi, senza esigere nessuna delle ideologie elaborate nelle varie epoche storiche e

tanto meno quella medioevale e tridentina.

Infine in opposizione al fanatismo clericale e papista nonché riformato era opportuno sottolineare che anche la lettura

del senso soteriologico della morte di Cristo tramite l’ideologia della espiazione vicaria (con tutte le sue implicanze vend icative e

stragistiche per ridurre Dio a sospendere le sue vendette punitive) era solo uno, e non certo il più fedele alla predicazione del

Gesù storico, tra i molti paradigmi con cui la stessa letteratura neotestamentaria formula a livello lessicale e teo logico

tale assioma della fede cristiana.

85. L' Eucaristia nei sinottici

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 2007

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L’area lucana, oltre a presentare una concezione del tutto particolare sul gesto di Gesù durante l’ultima cena , tramanda anche

problemi non indifferenti di critica testuale. Vengono pertanto diligentemente analizzate tutte le varianti testuali di Lc 22, 17-20,

comprese le versioni latine dell’Itala e tutte le versioni siriache, e si allarga pure la verifica su un’area geografica in cui era

presente la prassi di una eucaristia senza la coppa del vino. Dopo la presentazione dell’eucaristia in Marco e Matteo viene

sviluppata una voluminosa sintesi sulla preghiera giudaica a Qumran con la traduzione e l’analisi filologica di un grande numero

di testi qumraniani sulle preghiere quotidiane e settimanali, sulla ideologia sacerdotale e sul calendario solare, sul rapporto tra

preghiera e purità rituale e infine sulla funzione della preghiera nella guerra santa di sterminio.

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86. Temi eucaristici

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 2008

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I temi eucaristici sono talmente vasti già nella letteratura cristiana dei primi secoli che era necessario stralciarne alcuni

per una analisi specifica e approfondita. Basti indicarli: i racconti evangelici sulla moltiplicazione dei pani, il tema giovanneo del

“pane di vita” (Gv 6, 26 - 58) e l’esegesi del Sal 22 vennero implicati a ragione o a torto con la passione di Gesù e

con l’eucaristia cristiana; occorreva verificare la legittimità ermeneutica di tali applicazioni. Sullo sfondo come materiale di

contrasto era bene porre i pasti esseni descritti da Filone di Alessandria e da Giuseppe Flavio, i pasti esseni e la

“purificazione” a Qumran e la commensalità religiosa presso i Terapeuti.

Per l’epoca contemporanea ritenni che meritassero di essere segnalati, presentati e commentati gli studi di Cesare

Giraudo, di Enrico Mazza e di Bruce Chilton.

Per sbloccare il fanatismo ideologico tomista, la dittatura della teologia tridentina e la mummificazione delle ideologie

papiste ho provato ad analizzare il senso e le dinamiche di alcune gestualità del profetismo ebraico classico e confrontarli con il

gesto di Cristo durante l’ultima cena, riconducendole ad una alternativa più semplice: azione profetica di Gesù o dono auto-

oblativo? In tal modo mi parve più corretta l’analisi critica di alcuni modelli formatisi nel pensiero cristiano a partire dal sec. IV

d. C. e trasposti poi alla ideologia eucaristica della presenza reale, vale a dire il modello creazionista, il modello dei miracoli

nonché il modello tomista e scolastico.

87. Codici antichi su Gesù

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 2008

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Lo studio cerca di mettere a fuoco alcuni testi del “Vangelo copto di Tommaso” con le tradizioni presinottiche sul Gesù storico

e con riferimenti alle letture ermeneutiche di Elaine Pagels e di Bart D. Ehrman, analizzando soprattutto

l’antigiudaismo viscerale degli gnostici. Accanto ad evidenti omertà della esegesi americana non confessionale di fronte al

problema del Gesù storico vengono analizzati, tradotti dai testi originali e commentati, il “Vangelo di Pietro”, il “Vangelo di

Giuda” con uno studio analitico sul “Giuda storico”, il “Vangelo di Maria Maddalena”, il “Vangelo segreto” di Morton Smith, il

“Protovangelo di Giacomo” e il “Vangelo del Salvatore”.

88. Ermeneutica e falsificazioni

Gramaglia, Pier Angelo

Tipografia saviglianese, 2008

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Si tratta di uno dei problemi più sconcertanti della esegesi confessionale, che giustifica purtroppo frequenti manipolazioni dei

testi biblici sulla base di una radicale mistificazione della ghezera shawah giudaica. Accanto a questa frontiera ermeneutica vi

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è anche il passaggio indebito dalla risurrezione di Cristo alla sua pre-esistenza, almeno per quanto riguarda la

tradizione premarciana e la fonte Q . Viene esemplificato tale processo con le falsificazioni ermeneutiche dei Sal 8; 69; 68 e dei

cosiddetti “Salmi regali”. Ampio spazio viene dato alle manipolazioni cristiane di Isaia (soprattutto nel caso del “Libro

dell’Emmauele” di Is 6, 1 – 9, 6) per propaganda cristologica, priva per di più di qualsiasi rimando alle reali formulazioni del Gesù

storico sulla propria messianità (cf a esempio il detto della fonte Q , ripreso e rielaborato in Lc 10, 15 e Mt 11, 23). Viene

anche esaminato il modo con cui gli scritti neotestamentari e i commenti cristiani successivi manipolano e falsificano con erme

neutiche di messianismo cristologico le figure di Giuseppe, di Mosè e di Davide. Come esemplificazioni di tali manipolazioni di

propaganda cristiana sono analizzate alcune citazioni lucane di Gioele 3, 1-5, di Abacuc 1, 5-11 e di Isaia 49, 1-6.

89. Sacerdozio e sacrificio

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2009

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Ecco un altro tema scottante per l’ideologia cattolica del sacrificio e del sacerdozio. Partire dalla sacrificalità e dalla

struttura del sacerdozio ebraico nel Tempio di Gerusalemme è ovviamente inevitabile per poi passare con frutto al rapporto

dialettico del Gesù storico con il culto sacrificale e con il Tempio di Gerusalemme; altrettanto necessaria è la verifica

sulla concezione del Tempio e del sacerdozio nei testi di Qumran. Certo risalta in modo macroscopico l’assenza di

categorie sacrificali di tipo espiatorio nel Gesù storico con la falsificazione ermeneutica del testo di Is 53 negli scritti

cristiani già nel periodo apostolico.

La parte più lunga e più densa è dedicata al sacerdozio biblico e al sacerdozio di Gesù nella Lettera agli Ebrei

. Incredibile è l’arroganza di tale testo cristiano nella falsificazione ermeneutica dei testi biblici come Sal 40, Sal 2, Deut 32, 1-

44 e Sal 104 nonché Sal 110. Ovviamente vi è una pregiudiziale generale, dovuta al fatto che tale autore falsifica l’intero sis

tema della sacrificalità rituale ebraica, riducendo tutti i paradigmi sacrificali, ben differenziati nella prassi cultuale del

Tempio postesilico, all’unica e universale forma del sacrificio espiatorio, per rovesciare poi il tutto sulla morte di Cristo, anzi

già sulle meditazioni celesti del Gesù pre-esistente.

90. Le diaconesse

Gramaglia, Pier Angelo

s.n, 2009

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Sono trascorsi più di cinquant’anni da quando i due vescovi cattolici Giuseppe Ruotolo e Léon de Uriarte Bengoa nel

1959 presentarono alla Commissione ante-preparatoria del Concilio Vaticano II la proposta di istituire il diaconato femminile.

L’attuale reazione clericale ratzingeriana tenta in tutti i modi di sabotare tale problematica, soprattutto in nome di un principio

dogmatico papista inossidabile: nell’unica economia esistente dell’Incarnazione il Verbo di Dio si è fatto uomo e pertanto solo il

maschio è abilitato a rappresentare sacramentalmente Cristo sacerdote; essendo appunto il sacerdote segno sacramentale di

Cristo, per essere tale, deve essere maschio.

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Ora la cosa più strabiliante è il fatto che nei testi liturgici delle chiese antiche del periodo patristico di tutto ciò non vi è

nulla; i formulari liturgici infatti impongono le mani su coloro che sono stati eletti in modo comunitario a svolgere

ministeri ecclesiali con una preghiera epicletica affinché tali candidati possano svolgere con fedeltà ed efficacia la

funzione l oro assegnata. La sacramentalità di tale ritualità ha come focalizzazione il dono dello Spirito santo in vista di

precisi compiti e funzioni ecclesiali per continuare parte del ministero degli apostoli. Questo è l’essenziale, soprattutto

nelle chiese orientali antiche, e non la questione antropologica della differenziazione sessuale.

Per di più il suddetto principio papista dell’agere in persona Christi da parte del ministro dell’eucaristia nel momento in

cui ripete le parole di Cristo per la consacrazione contrasta chiaramente contro la recente dichiarazione pontificia della validità

sacramentale dell’Anafora di Addai e Mari e di molte altre antiche anafore siriache, che non hanno nessuna formula

di consacrazione né alcun racconto di istituzione. Dunque l’ideologia tomista e papista dei ministeri ordinati non ha più alcun

diritto di presentarsi come formulazione dogmatica di fede e deve pure essa rientrare nell’ambito delle opinioni teologiche.

L’analisi storica doveva pertanto iniziare dalla prassi del discepolato da parte del Gesù storico per notare almeno la più

radicale assenza di criteri sacrali e sacrificali nonché di purità rituale nel discernimento dei discepoli ; il contrasto emerse

in modo ancor più irriducibile nell’analisi della ideologia sulla “consacrazione sacerdotale” a partire da Ezechiele fino ai testi

di Qumran del tempo di Gesù. Nelle prime comunità cristiane apparvero poi alcuni ministeri femminili del tutto mirati a

bisogni concreti dell’organizzazione ecclesiale.

Occorreva però passare ad un esame capillare delle testimonianze storiche nelle varie regioni ecclesiastiche, che si

rivelarono estremamente pluraliste nella strutturazione dei loro ministeri con punte di radicale antifemminismo e di sincroni ca

valutazione di necessari ministeri femminili, istituiti anche con una preghiera epicletica accompagnata da una imposizione delle

mani. Il panorama di ricerca sui testi originali nelle varie lingue orientali comprende i ministeri femminili nel mondo antio cheno e

bizantino (la Didascalia Apostolorum siriaca e le Constitutiones Apostolorum del mondo antiocheno, i ministeri nelle province

dell’Asia Minore, le diaconesse nel mondo bizantino, la presenza di profetesse e di vedove in non poche chiese e infine gli “ Atti

di Paolo e Tecla” ), i ministeri femminili nel mondo siriaco ed egiziano (il “Testamentum Domini nostri Iesu Christi” e la struttura

ecclesiastica dei “Canones s. Hippolyti” nella loro recensione araba), la ordinazione delle diaconesse nella tradizione bizantina

con l’analisi completa dei rituali bizantini fino all’epoca medioevale in una sinossi comparata dell’ordinazione del vescovo e del

presbitero, della liturgia dell’eucaristia, del dono sacramentale del perdono dei peccati, della concezione sacrificale

dell’eucaristia e della funzione dell’epiclesi nonché delle ordinazioni dei diaconi e delle diaconesse (l’analogia dei rituali

di ordinazione delle diaconesse con le altre ordinazioni rivela una chiarissima struttura sacramentale in una evidente

funzione specifica della epiclesi consacratoria). Desolanti apparivano nei confronti delle tradizioni orientali le ideologie papiste di

ignobile e progressivo antifemminismo sotto il controllo papale fino alle porte del Medioevo.

L’ opposizione al diaconato femminile, che ha sempre avuto in Joseph Ratzinger il suo patrocinatore più qualificato, non

dovrebbe tuttavia essere troppo allarmata. Infatti la tradizione costante e universale della Chiesa, tramandata

infallibilmente dall’ordinario ed universale magistero ha sempre professato in modo solenne ed esplicito a partire dal sec. V d.

C. fino al sec. XX l’esclusione della salvezza per i bambini morti senza il battesimo cattolico e il papato ha solennemente

proclamato ex cathedra e con la massima garanzia conciliare di infallibilità prima nel Concilio di Lione e poi nel Concilio di

Firenze nel 1439 come assoluta verità di fede che le anime dei bambini, morti con il solo peccato originale, scendono

nell’inferno per esservi eternamente dannate e tutto questo in sincronismo incondizionato e gemellare con il dogma sul papa

che detiene il primato del potere di magistero e di governo su tutte le altre chiese. In perfetta continuità della fede cattolica

inossidabile il papa J oseph Ratzinger ha fatto pubblicare il 5 maggio 2007 la dichiarazione ufficiale che i bambini morti senza

battesimo vengono salvati da Dio in paradiso.

Inoltre la tradizione costante e universale della Chiesa papale, tramandata infallibilmente dall’ordinario ed

universale magistero, ha sempre professato che l’eucaristia cristiana deve seguire l’istituzione e le parole di Gesù durante

l’ultima cena e il papato ha solennemente proclamato ex cathedra e con la massima garanzia conciliare di infallibilità

sempre a Firenze nel 1442, pena l’esclusione dalla appartenenza alla Chiesa cattolica, essere dogma di fede che la validità

dell’eucaristia esige la pronuncia delle parole della consacrazione, recitate in modo narrativo dal celebrante in persona

Christi.

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Per mantenere tale costante e universale tradizione Karol Wojtyla il 20 luglio 2001 ha approvato tramite la firma del

cardinale Walter Kasper la risoluzione del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che dichiara valida

l’antichissima Anafora di Addai e Mari , la quale non contiene né il racconto di istituzione né le parole di consacrazione sul

pane e sul calice e il cui celebrante non compie assolutamente nulla in persona Christi .

Nei confronti del diaconato femminile il papato non dovrebbe neppure compiere così grandi sforzi dogmatici per essere

fedele alla sua perenne infallibilità; gli basterebbe ricordare che la Chiesa bizantina ha praticato per un millennio il diaconato

femminile con la piena dignità sacramentale della imposizione delle mani di tipo epicletico.

91. La penitenza in Origene

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2010

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La prassi della penitenza per i peccati commessi dopo il battesimo costituisce uno dei problemi più intricati

del cristianesimo delle origini. Ho scelto Origene come ambito di verifica, perché le sue opere più importanti si pongono nella

prima metà del sec. III d. C., cioè nel periodo in cui avviene una grande svolta nella prassi penitenziale delle chiese e i

vescovi iniziano ad aprire la possibilità di una penitenza pubblica pure per i crimini più gravi, almeno per l’apostasia e l’adulteri o,

a costo anche di fratture, come attestano la svolta montanista di Tertulliano all’inizio del sec. III e la protesta scissionista dei

Novaziani poco dopo.

Origene agisce e riflette in questo momento storico di una prima crisi del cristianesimo di massa. Da un periodo iniziale

con strascichi di nostalgia per un maggior rigore morale e religioso nelle comunità cristiane, che praticavano anche espulsioni

definitive per colpe particolarmente gravi e notorie , egli passa ad un fervore carismatico per trovare strade di conversione e

pentimento al di dentro della normale vita ecclesiale, senza patrocinare il ricorso ad una scomunica previa, che era possibile

una sola volta nella vita.

Egli riuscì a elaborare in questo ambito un quadro sistematico non già delle sue ideologie personali bensì della prassi

penitenziale e dell’esperienza del perdono dei peccati nelle varie chiese dell’Oriente. Queste vedevano la

concretizzazione sacramentale del perdono diretto dei peccati, senza alcun’altra mediazione ecclesiastica, in vari eventi

così elencabili: il battesimo, il martirio, l’elemosina, il perdono fraterno dei torti ricevuti e commessi, la preghiera sincera del

“Padre nostro” nella richiesta del perdono divino, il far convertire un fratello peccatore dallo sviamento della sua strada nonché

l’esperienza d i una sovrabbondanza di amore. Del tutto particolare era il settimo evento del perdono: trascorrere il

tempo nelle lacrime del pentimento, confidando ad un sacerdote del Signore senza vergogna la propria colpa per

chiederne il rimedio medicinale, specialmente durante la malattia. Il sacerdote, a cui si riferisce Origene, è per lo più un

personaggio carismatico della comunità, che poteva anche essere il vescovo, ma non necessariamente. Poiché in questo

caso si faceva riferimento ad una certa vergogna, si può presupporre che si trattasse di peccati non pubblici; in ogni caso

si trattava di una modalità penitenziale del tutto diversa dalla penitenza pubblica imposta con una espulsione temporanea dalla

Chiesa dopo un processo formale da parte del vescovo in caso di colpe gravi e notorie. Ora nel caso della poenitentia del

settimo tipo di perdono non si parla di nessun intervento di espulsione o di scomunica temporanea; l’unica finalità del

sacerdoti Domini indicare peccatum non è affatto quella di ottenere tramite la penitenza la riammissione dopo una

espulsione penitenziale bensì quella del quaerere medicinam , il che non indica certamente una sentenza giudiziaria. In questo

caso Origene non dice mai che il peccatore in lacrime sia un penitente al di fuori della Chiesa né parla di un processo

penitenziale fatto di contrizione-confessione-assoluzione. Il perdono dei peccati in tutte queste sette modalità è sempre un

dono diretto di Dio al peccatore pentito e penitente e da questo punto di vista non emerge alcun’altra mediazione

ecclesiastica al di fuori della penitenza stessa del peccatore pentito. Probabilmente occorre porre il settimo modo del perdono

dei peccati come una penitenza personale del peccatore al di dentro della Chiesa, i l quale per peccati non pubblici consulta

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personalità prestigiose della Chiesa stessa per un suo tragitto personale di guarigione.

Giovava infine sottolineare che la distinzione dogmatica tridentina tra peccati mortali e peccati veniali non corrisponde in

alcun modo alla struttura della prassi penitenziale antica, presso la quale molti peccati, ritenuti incompatibili con la presenza

dello Spirito santo nel cuore dei fedeli (il che nella ideologia tridentina corrisponderebbe ai peccati mortali), trovavano n

ella conversione e nel pentimento personali con una sincera confessione dei peccati a Dio la garanzia del perdono senza alcun

altro ricorso normativo ad interventi giurisdizionali delle gerarchie ecclesiastiche, il cui ministero specifico, secondo Origene,

al di fuori dei casi di scomunica con espulsione dalla partecipazione liturgica, consisteva appunto nella predicazione carismatica

per far nascere nel cuore dei fedeli la compunzione per i loro peccati.

92. La penitenza

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2010

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L’intento era quello di mettere a confronto la dottrina penitenziale del Concilio di Trento con la predicazione del Gesù

storico sul perdono dei peccati e con la prassi penitenziale nelle prime comunità giudeocristiane. Il contesto di

sottofondo giudaico venne limitato ad una analisi del “Giubileo” ebraico e dello Yom Kippur . La prassi di Gesù era invece

sufficientemente esplicita in Lc 17, 3-4, nella preghiera del “Padre nostro” e nel racconto della guarigione del paralitico (Mc 2,

1-12); redazionale è invece la trasposizione di Mt 26, 27-28 al contesto eucaristico. Un esempio di perdono ecclesiale era

descritto sia in 2Cor 2,1-11 sia nella procedura di Mt 18,15-17; venne adottata dalle comunità giudeocristiane anche la prassi

della maledizione nel caso di colpe gravi.

Il Gesù storico aveva affrontato l’esperienza del perdono dei peccati con due semplici prospettive teologiche e religiose:

il perdono dei peccati si realizza nel perdono fraterno incondizionato e nel contesto della preghiera comunitaria, ove il perdono

reciproco è l’ambito ineludibile della preghiera per ottenere dal Padre celeste il perdono dei propri peccati. Il Gesù storic o si era

decisamente distaccato dalla prassi ebraica di riservare il perdono dei peccati alla funzione sacrificale dei sacrifici espiatori e

alla mediazione dello Yom Kippur per il perdono collettivo di Dio alla nazione ebraica.

Ma nelle comunità apostoliche si erano anche verificati i primi casi di colpe ritenute molto gravi, o anche solo di dissidio

pertinace, e pubbliche, che spinsero ad accettare la necessità di espulsioni forzate dopo previa verifica comunitaria dei singoli

casi. Tutto il procedimento testimoniale nel processo penitenziale matteano e paolino aveva come scopo esclusivo non

già l’attestazione comprovata di un fatto bensì l’aiuto fraterno per una conversione sincera; lo scopo ultimo era

esclusivamente il pentimento di un fratello e non appena questo avveniva cessava ogni altro intervento correttivo o penale

dei singoli e della comunità stessa. Al di fuori della espulsione con scomunica ogni credente poteva trovare molte

espressioni di pentimento personale e liturgico, alle quali le chiese credevano fosse garantito da Dio il perdono dei peccati.

La soluzione latina e papale della confessione auricolare come condizione unica e assoluta per ottenere

la giustificazione dopo il battesimo , così come venne imposta dalla teologia cattolica a partire dal sec. XII e poi ratificata

dal Concilio di Trento, non trova nessuna attestazione universale e obbligatoria nelle chiese del primo millennio (a parte la

prassi della penitenza tariffata dei monaci irlandesi e nordici del periodo carolingio in occidente) .

Tutto il resto del volume è dedicato all’analisi degli Atti del Concilio di Trento, alle discussioni dei teologi e dei padri

conciliari nonché alle costituzioni dogmatiche definitive.

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93. Battesimo e eucaristia a Trento

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2010

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Ho sempre amato verificarmi con le proclamazioni più solenni e ufficiali della fede cattolica sotto l’alto magistero papale,

se non altro per trasparenza culturale e per non adeguarmi al formidabile sistema della reticenza, che a mio modesto parere

caratterizza non pochi teologi cattolici.

L’analisi degli Atti originali del Concilio di Trento necessitava tuttavia di una ambientazione storica, che non

potevo dilungare all’infinito per tutto il Medioevo. Nel caso della iniziazione cristiana ritenni sufficiente un breve quadro sulla

prassi del battesimo a partire dalla Riforma protestante, privilegiando l’analisi integrale dei testi liturgici pretridentini e della

concezione ideologica della sacramentalità nella prassi pretridentina, verificando specialmente l’ideologia

radicalmente e quasi esclusivamente tomista del precedente Concilio di Firenze e il rigore fanatico dell’esclusivismo

soteriologico del sempre presente Anselmo di Aosta.

Dopo l’analisi di tutte le discussioni conciliari, della ideologia dei canoni definitivi sulla presenza reale e soprattutto d elle

ideologie clericali e teocratiche sulle processioni eucaristiche e sulla sacrificalità della Messa nel Concilio di Trento, ho inserito

un lungo capitolo su un confronto sinottico delle varie confessioni religiose cristiane, selezionando e analizzando con traduzione

dai testi originali siriaci e copti e congruo commento l’ Anafora di Addai e Mari per il mondo siriaco, l’Anafora egiziana di San

Basilio per il mondo di lingua copta e infine uno spoglio completo di tutte le preghiere eucaristiche riformate e protestanti nel

periodo successivo al Concilio di Trento e più vicino ai nostri giorni. Certo il mondo protestante si è fissato in modo paranoico

sulla recitazione della lettura del testo di Paolo sulla istituzione della “cena del Signore” e quasi nessuna preghiera eucaristica

ha conservato quella che era invece la vera anima della sacramentalità nella tradizione liturgica di tutte le chiese

cristiane premedioevali: vale a dire la preghiera epicletica sugli elementi eucaristici, che neppure il Canone romano,

truccato e manipolato dai papi, era riuscito a conservare.

94. Il Battesimo nel Nuovo Testamento

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. ; [stampa tip. Saviglianese], 2010

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Trattandosi di un uso manualistico del testo, occorreva percorrere pazientemente l’intero blocco degli

scritti neotestamentari secondo lo schema abituale della concezione cattolica della sacramentalità liturgica . Nel caso della

figura e della azione del Battista emergevano però questioni di enorme rilievo culturale da un punto di vista storico -critico:

applicazione di un rigoroso metodo di analisi linguistica per delineare le probabili tradizioni presinottiche e le

redazionalità dei singo li evangelisti, ricupero di tutte le fonti extracanoniche su tale personaggio significativo della vita

palestinese del sec. I d. C., soprattutto la testimonianza di Giuseppe Flavio e quella dei giudeocristiani delle successive

generazioni, verificare l’ipotesi storica più amata dalla propaganda giornalistica attuale, soprattutto nel mondo anglo-sassone e

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in quello ebraico, quella cioè di un Giovanni Battista esseno, sulla base di un confronto diretto con non pochi scritti di

Qumram, tradotti dai testi original i e commentati dal punto di vista filologico.

La scena del battesimo di Gesù al Giordano rivelava fatti redazionali e problemi di morfologia letteraria , come a esempio

la sistematica falsificazione dei testi biblici in funzione della propaganda per la messianità di Gesù, la paranoica tendenza degli

esegeti confessionali e inventare in alcune parole di Gesù continue allusioni intertestuali a Salmi e a profeti delle “ Scrit ture

ebraiche” per rimpinzarlo di un presunto messianismo biblico, quasi che egli fosse un fedele di Qumran, che trascorreva

le giornate a copiare testi e a memorizzare valanghe di associazioni lessicali di Scritture ebraiche; rimaneva tuttavia aperto il

problema della morfologia letteraria della scena del battesimo al Giordano: pura teofa nia letteraria oppure possibile rimando ad

una reale esperienza carismatica del Gesù storico?

Anche il linguaggio battesimale di Gesù poneva il problema della fonte Q in Lc 12, 49-53. Superato lo scoglio delle

vere tradizioni sul Gesù storico (a cui certo non risalivano i vari discorsi del Risorto sul battesimo delle prime comunità giudeo-

cristiane), si apriva un campo esegetico vastissimo, vale a dire il battesimo cristiano prima negli scritti paolini, poi nell

e successive comunità paoline (“Lettera agli Efesini” e “Lettera ai Colossesi”), quindi nelle comunità cristiane segnalate negli

“Atti degli Apostoli” lucani e nei testi giovannei e infine nelle comunità non paoline (1Pt 3, 18-22 e “Lettera agli Ebrei”). In

questo ambito a lunghe analisi puramente esegetiche era sempre annessa una domanda di verifica: esistono testi

neotestamentari, nei quali si possa parlare di una dimensione “sacramentale” della esperienza battesimale, vale a dire

l’esperienza liturgica di un lavacro di immersione nelle acque si riduceva ad un simbolismo rituale di una esperienza

morale o religiosa sia pure di conversione oppure si presupponeva un dono particolare di grazia da parte di Dio in quella

occasione specifica di conversione e di professione della fede in Cristo risorto?

Molto più problematica era la questione della cosiddetta “confermazione” cattolica; se si poteva provare l’esistenza di

un gesto di imposizione delle mani con una preghiera epicletica per un dono specifico e carismatico dello Spirito santo

ad integrazione del lavacro battesimale, nulla invece attestava un rito di unzione con crisma nelle comunità fondate dagli

apostoli. Era pertanto evidente che occorreva rileggere la definizione dogmatica della confermazione al Concilio di

Trento; la precisazione rituale dogmatica della confermazione non poteva più essere identificata nel rito del crisma consacrato

e usato per l’unzione bensì solo nella imposizione delle mani con la preghiera epicletica allo Spirito santo, salve restando

le tradizioni liturgiche delle varie chiese cristiane.

Occorreva poi anche rivolgere uno sguardo su alcuni fenomeni del cristianesimo delle origini; stralciai allora tra i tanti

possibili eventi l’analisi integrale con traduzione dai testi originali del Sacramentarium Gelasianum per la liturgia battesimale

romana e dell’Eucologio del Codice Barberini per la liturgia bizantina e soprattutto assunsi l’episodio del battesimo di

Costantino per documentare fino a quale livello giunsero i processi di falsificazione della storia negli scritti di

propaganda politico-religiosa della chiesa di Roma.

Il problema del battesimo dei bambini dovette ripercorrere l’intera storia del dogma papista della dannazione eterna

nell’inferno dei bambini morti senza battesimo nelle sue formulazioni di fede definita più solenni (definizione dogmatica

del concilio di Lione nel 1274 e di Firenze nel 1439 nonché di Pio IX nel 1854, il quale definì i dogmi di un peccato originale

capace di rendere ogni bambino nato a questo mondo una proprietà di Satana nonché un essere destinato alla dannazione

eterna, se muore senza battesimo, mentre la Madonna sarebbe stata preservata da tale condizione maledetta al momento

stesso del suo concepimento) fino alle dichiarazioni del 2007 di “completa continuità” del solenne magistero della Chiesa,

quae semper et ubique et ab omnibus aveva incontaminatamente predicato sulla salvezza eterna di tutti i bambini, che

fossero morti senza battesimo e senza essere per questo sudditi del Papa, come diceva Bonifacio VIII.

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95. L' apostolo Pietro

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2011

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Dopo una ovvia e indispensabile analisi della presenza e della funzione dei “Dodici” nella cerchia dei discepoli di Gesù e

della chiamata di Pietro si constatava il fatto che non vi era nulla di particolare o di speciale autorevolezza sulla figura di Pietro

nella tradizione presinottica di Marco e della fonte Q . Invece negli altri tre evangelisti apparivano tre blocchi specifici

sulla funzione speciale di Pietro tra i discepoli: Mt 16, 17-19, Lc 22, 31-33 e Gv 21, 15-19. Una rigorosa analisi lessicale di

questi tre testi attestava livelli di redazionalità assolutamente elevata e del tutto identificabile, il che significava che nessuno

dei tre blocchi risaliva al Gesù storico e non solo per un semplice confronto sinottico con la tradizione premarciana e con la

fonte Q . Lo stesso si poteva dire per i racconti su Pietro e il Signore risorto in Mc 16, 1-8; Mt 28, 1-10 e Lc 24, 1-11

nonché sulla tradizione antiochena circa le apparizioni del Risorto a Pietro. Era evidente o per lo meno molto probabile che

si trattava di invenzioni delle comunità apostoliche di una cinquantina d’anni dopo la morte di Gesù sulla base tuttavia di una

autorevolezza particolare, di cui l’apostolo Pietro aveva effettivamente goduto nelle vicende storiche della prima generazione

cristiana in tutte le aree della prima diffusione del cristianesimo. Tale fatto poteva essere verificato in altri indizi convergenti

come a esempio la discussione paolina sulla autorevolezza apostolica, fondata sulle visioni estatiche più che su una

particolare missione da parte del Gesù storico, o anche i rapporti di Paolo con la struttura istituzionale della chiesa di

Gerusalemme e soprattutto il sinodo di Gerusalemme nella costruzione lucana del dibattito e nella autorevolezza collegiale

della sua decisione con tutti i problemi connessi con la storicità o meno della narrazione lucana e delle cosiddette “clausole di

Giacomo”.

Si poteva comunque asserire con tutti i carismi del metodo storico-critico che nelle comunità dell’area

antiochena, dell’area siriaca e dell’area asiatica Pietro aveva goduto di una speciale autorevolezza.

Mt 16,19 la formulava con il lessico rabbinico della sua contestualità giudaica, rimandando ad una autorevolezza

decisionale di Pietro per quanto concerneva l’appartenenza al “regno dei cieli”, collegandola però espressamente con

una radicale collegialità nella gestione penitenziale da parte delle comunità cristiane (Mt 18, 15- 22).

Lc 22, 31-33 la formulava con il paradigma giudaico del rabbì, che cammina dinanzi ai discepoli e di tanto in tanto “si

volta” verso i discepoli che lo seguono per comunicare i suoi insegnamenti; compito specifico di Pietro, secondo Luca, non era

quello di inventare nuovi dogmi bensì quello di “rinsaldare i fratelli” nella fede ricevuta dall’incontro con il Gesù storico .

Gv 21, 15-19 la formulava con l’incarico di pastore per provvedere e guidare le pecore di Gesù.

Checché se ne dica, benché queste tre costruzioni redazionali e indipendenti non risalgano al Gesù storico, sono pur

sempre significative di una comune consapevolezza non tanto di una speciale missione da parte del Gesù storico

quanto piuttosto di una funzione sicuramente svolta da Pietro nelle varie chiese visitate e soprattutto in modo radicalmente

collegiale a Gerusalemme nei primi trent’anni di esistenza del cristianesimo. Nulla in tale funzione storica accertabile attesta

l’ideologia di una Chiesa che dovrebbe avere un solo vescovo a capo di tutti gli altri e neppure che Pietro avesse il potere di

formulare dogmi da solo al di fuori del gruppo degli altri apostoli (cf il lessico usato da Luca in At 15, 28 e l’intera e

lunga analisi lessicale comparata del blocco lucano sul sinodo di Gerusalemme in questo studio) e neppure che Pietro

si arrogasse il potere monarchico di costringere l’apostolo Paolo a seguire la linea pastorale delle comunità giudeocristiane.

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96. Pietro nel secondo secolo

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2011

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Ci voleva senza dubbio una integrazione non solo sulla figura di Pietro in alcuni testi giovannei più significativi ma anche

sul nefasto malcostume cristiano della pseudo-epigrafia (scrivere testi e attribuirli per falsificazione a personaggi

cristiani importanti della prima generazione per spacciare a loro nome le proprie idee o i propri problemi), che aveva sfornato da

parte di autori del tutto diversi la prima Lettera di Pietro e la seconda Lettera di Pietro; questi testi potevano però essere posti

in sinossi con le false Lettere pseudopaoline e pseudogiovannee.

Anche la figura di Giacomo aveva goduto nel sec. II d. C. di grande successo presso i falsari gnostici; per questo sono

tradotti dal copto per intero e commentati l’ Apocrifo di Giacomo , la Prima Apocalisse di Giacomo e la Seconda Apocalisse di

Giacomo .

Tuttavia la parte più importante dello studio riguarda l’evolversi delle leggende degli Actus Silvestri in area cattolica e

degli Atti di Pietro e dei dodici Apostoli nonché della Lettera di Pietro a Filippo in area gnostica. Tutti questi testi sono analizzati

e spesso tradotti nella loro interezza, soprattutto i testi copti della gnosi.

La parte più densa è tuttavia dedicata allo studio integrale di tutti i falsi che la curia papale e la chiesa di Roma a partire

dal sec. V-VI d. C. hanno spacciato per imporre il loro primato alle altre chiese occidentali e orientali e che apparterranno poi a

collezioni canoniche ufficializzate nel Medioevo, a partire dalla falsificazione papale dei canoni del Concilio di Nicea, falsificati e

interpolati con il rimando a Roma da parte dei canoni del sinodo di Sardica del 343 (la denuncia partì dai vescovi africani nel

concilio di Cartagine del 418 d. C. contro le pretese del papa Zosimo e contro l’appello a Roma da parte di presbiteri o diaconi

africani, che scavalcavano le competenze dirette di vescovi, di primati e di concili africani ) e poi via via attraverso i cosiddetti

Apocrypha Symmachiana a difesa del papato, inventati durante il pontificato di Simmaco (498- 514 d. C.), fino alla

falsificazione più clamorosa, confluita nelle Pseudodecretali isidoriane . Si tratta di una valanga di falsi inventati o accettati

dalla curia romana per costruire una delle più grandi truffe istituzionali e storiche del mondo latino. Que sto mio studio riporta tutti

i falsi spacciati per costruire il potere e l’arroganza del papato e del suo presunto primato di giurisdizione su tutte le ch iese,

comprese quelle orientali, che riguardano il presunto cristianesimo dei primi due secoli; il papato si è inventato anche i papi del

primo secolo e non solo le loro presunte Lettere autorevoli della suprema Sede Apostolica. Ha fatto credere alle chiese

in formazione nella Gallia e in Germania l’esistenza di documenti antichi in fantomatici archivi, che nessun vescovo

nordico avrebbe potuto controllare (ovviamente anche in Gallia e in Germania qualche vescovo in difficoltà con le autorità

civili diede man forte ai falsari romani, collaborando alla grande allo spaccio autonomo di falsi locali), creando così una

immagine farsesca delle chiese cristiane e di Roma dei primi due secoli. Ho sospeso la studio dei falsi dei due secoli

successivi per non soccombere all’abuso di oppio del popolo.

Se i testi evangelici erano così chiari e limpidi, come i papisti dicono, sul primato di giurisdizione diretta e immediata di

Pietro su tutte le altre chiese degli altri apostoli, perché allora inventarsi tale sistema di truffe colossali e continue per crearsi tale

potere così mastodontico?

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97. Vetus in novo

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2012

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Lo studio prolungato delle citazioni e delle allusioni degli autori neotestamentari nelle loro deliranti revisioni cristologiche

di tutta la Bibbia di Israele a me provoca grave disagio. Del resto la documentazione filologica di molti brani sinottici e paolini mi

aveva già confermato in una ipotesi piuttosto sconcertante: si trattava di una religione, quella cristiana, che tentava di fagocitare

e divorare l’ebraismo, onde togliergli ogni legittimità storica di fenomeno culturale e religioso autonomo e indipendente

dall’evento di Gesù Cristo, la cui risurrezione diventava il pretesto per abolire la stessa funzione soteriologica della religione dei

patriarchi e dei loro successori e per ridurre qualsiasi testo di Mosè e dei profeti ad un proclama divinatorio, che doveva i n realtà

negare tutti i parametri fondamentali del giudaismo biblico.

La verifica sulla versione greca dei LXX nelle sue varie recensioni risolveva un problema collaterale. Tale versione infatti

non presenta nei confronti delle eventuali fonti ebraiche la stessa libertà di rimando testuale e di lettura ermeneut ica dimostrata

dai primi scrittori giudeo-cristiani nei confronti dello stesso testo dei LXX; neppure la rilettura storicizzante dei LXX nella loro

versione greca del testo ebraico poteva aver aperto la strada leggittimatrice alla successiva ermeneutica cr istiana dell’intera

Bibbia ebraica.

Donde una ulteriore domanda: la predicazione del Gesù storico è davvero in continuità con il giudaismo palestinese del

sec. I d. C. e con il giudaismo, che si riconosceva nella versione greca della Bibbia da parte dei L XX, che al tempo di Gesù si

era ormai completata nei suoi testi fondamentali?

La pretesa di una Bibbia giudaica, che avrebbe preannunciato Gesù Cristo in tutte le sue dimensioni religiose

e soteriologiche non ha forse avuto come risultato una radicale degiudaizzazione della Bibbia ebraica e una

sincronica giudaizzazione demagogica della figura e della coscienza religiosa e messianica del Gesù storico?

Per rispondere a tali domande ho scelto di verificare dapprima una probabile ricostruzione delle varie rece nsioni dei LXX

con parziali sondaggi filologici; ho privilegiato poi una sinossi del commento al testo di Daniele da parte di Porfirio di Ti ro, un

ellenista pagano, e di Gerolamo, un cristiano, per verificare i loro criteri ermeneutici e la loro fedeltà al testo biblico, cosa che

non appartiene certamente a Gerolamo, aprendo in seguito il problema del rapporto con i testi di Qumran per la

figura demonizzata di Beliyya‘al e il suo eventuale o presunto influsso nell’esegesi cristiana della figura dell’Anticr isto. Sono

passato quindi a verificare la lettura dei testi dei LXX nel blocco di Rom 9 – 11 e del Deuteronomio nel corpo più vasto

degli scritti paolini, ricuperando inoltre testi biblici sparsi ed eterogenei ma rilevanti in alcune Lettere paoline e concludendo con

il problema del rapporto tra il “Gesù storico” e il Tempio di Gerusalemme e delle esplicitazioni date dai sinottici ai suoi detti al

riguardo sulla base del sussidio e del rimando a testi dei LXX. In ogni ambito sono sempre presenti verifiche su testi analoghi

degli scritti di Qumran.

Come dessert mi sono concesso uno sguardo alla falsificazione del Gesù storico in alcuni detti islamici a lui attribuiti,

per non lasciare tristi gli esegeti confessionali sulle falsificazioni cristiane delle Scritture di Israele.

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98. Giansenisti e papisti

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2011

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I tentennamenti nostalgici degli ultimi pontificati impongono una maggiore trasparenza storiografica nei confronti delle

affermazioni dogmatiche che venivano imposte dal papato al mondo cattolico prima del Concilio Vaticano II. Uno dei problemi più

cruciali è stato senza dubbio la dichiarazione teologica romana della salvezza donata da Dio ai neonati morti senza il battes imo.

Non si può fingere per omertà che la dottrina cattolica su questo punto sia in continuità con i dogmi proclamati solennemente

dopo i Concili ecumenici di Lione e di Firenze, che asserivano come verità di fede esattamente il contrario. Per questo il r ivedere

il problema del giansenismo poteva essere oltremodo significativo, poiché sulla esclusione della salvezza per i neonati morti

senza battesimo non vi era nessuna discrepanza tra i giansenisti, agostiniani di puro sangue, e il papato. Lo stesso dogma della

Immacolata Concezione della madre di Cristo venne formulato sul presupposto esplicito e intenzionale di ribadire il connesso

dogma della esclusione della salvezza per tutti gli altri neonati, i quali proprio a causa del cosiddetto “peccato originale” di

perversione religiosa agostiniana, da cui sarebbe esente il concepimento di Maria nonostante l’accoppiamento sessuale dei suoi

genitori, sarebbero invece puniti con la loro dannazione eterna ad una vendetta di Dio di esclusione dalla visione beatifica finale

già al momento del loro concepimento. Si ha l’impressione che i rappresentanti più qualificati della Chiesa cattolica su questa

terra non riescano rivedere alcune loro pretese megalomani di ritenersi il concentrato della rivelazione cristiana solo perché

hanno problemi di regressione infantile e narcisistica al Medioevo.

99. Fátima

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2012

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Il regime di Karol Wojtyla ha trascinato il mondo cattolico nel devozionalismo mariano più smaccato, nel miracolismo

carismatico ostentato e in una corsa spasmodica a tutte le manifestazioni di qualsiasi apparizione o visione. Alla luce dei

documenti esaminati la storia delle apparizioni di Fátima emerge come una vicenda ignobile nella gestione ecclesiastica dalle

origini fino ai nostri giorni. Impegolata nel 1917 nell’acredine della lotta tra Repubblicani e Clericali, legati alla monarchia,

spodestata da poco in Portogallo, la Madonna, coinvolta nelle piccole bugie dei tre pastorelli e più tardi nel la grandi menzogne di

suor Lúcia, diventata religiosa in Spagna e successivamente anche fanatica franchista, è sempre stata una marionetta in mano alle

gerarchie ecclesiastiche fino alle pagliacciate del cosiddetto “terzo segreto”, inventato da una suora megalomane e narcisista in

Spagna poco dopo la guerra civile spagnola, retrodatato poi con una menzogna spettacolare come messaggio profetico delle

apparizioni del 1917, durante le quali la Madonna non aveva mai fatto nessun cenno né alla Russia né alla morte per martirio di

qualche Pontefice, e strumentalizzato in modo incomparabile da un pontefice, che si riteneva il Messia del sec. XX e l’artefice

dell’inizio teatrale e teocratico del “Terzo Millennio”.

Sono ben documentate la falsa profezia sulla cessazione della prima guerra mondiale, la falsificazione dei primi verbali originali

degli interrogatori per cancellare le dichiarazioni sulla figura di una ragazzina apparsa con la gonna fino al ginocchio onde

trasformarla in una devota suora con la veste fino alle caviglie, le false dichiarazioni sulle omogeneità delle testimonianze circa la

danza del sole nell’ultima apparizione del 13 ottobre 1917 nonché le amplificazioni e le manipolazioni degli originari messaggi di

Fátima.

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100. Qumran e Gesù

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2013

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Lo studio è un tentativo di verificare il giudaismo degli aderenti alla comunità di Qumran e quello di Gesù sulla base di

una sinossi del loro atteggiamento nei confronti di Gerusalemme, del profeta Isaia, di Geremia, di Ezechiele, di Daniele e dei Salmi.

Nel caso del Gesù storico si ritrovan allusioni o citazioni bibliche estremamente rare e soprattutto ridotte ad una specie di

espressioni contratte, diventate del tutto idiomatiche e certamente già presenti nel lessico popolare di quanti avevano partecipato

alle feste di Gerusalemme o a qualche raduno sinagogale. Soprattutto le parabole di Gesù presentano immagini e lessico del tutto

scontato nelle loro descrizioni e del tutto esaurite nelle immagini spontanee della natura; solo il delirio patologico degli esegeti

confessionali ha ridotto le parabole di Gesù a costruzioni midrashiche su testi biblici. Al termine dello studio pare che non esista

ipotesi più assurda e strampalata di quella che legge la autocoscienza messianica del Gesù storico sulla base dei testi profetici del

risorgimento postesilico di Israele e non c’è ipotesi più insulsa di quella che collega il Gesù storico (e forse anche il Battista) ai

gruppi qumraniani e al movimento esseno.

101. Una vera fonte sul Gesù storico

Gramaglia, Pier Angelo

s.n. 2013

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La scoperta della fonte Q , così bistrattata nella esegesi italiana contemporanea, anzi del tutto rimossa dalla maggior parte

delle opere esegetiche di questi ultimi anni, ha però a suo favore l’incontestabile funzione di fonte storica, usata sia da Matteo sia

da Luca. Soprattutto lo studio della fonte Q documenta quanto siano state demagogiche e prive di una seria analisi lessicale

alcune opere molto strombazzate degli ultimi decenni, che hanno enfatizzato la cosiddetta “fedeltà della tradizione orale” de i detti di

Gesù nei Vangeli sinottici con esplicite finalità di propaganda confessionale. In modo analogo la fonte Q mette in crisi tutti gli sforzi

teoretici per nobilitare e ricondurre i Vangeli ai paradigmi della biografia greco-romana o anche giudaica, poiché essa non

corrisponde affatto né agli schemi letterari del mondo ellenistico-romano né a quelli veterotestamentari e neppure alla storiografia

giudaica, soprattutto perché la fonte Q non è assolutamente una biografia eppure è una delle prime fonti presinottiche sul Gesù

storico. Anche altri slogans si sono dimostrati insostenibili, come quello secondo cui Luca “avrebbe ricercato puntigliosamente le

sue fonti ricuperandole con cura, anche se con qualche libertà autorevole”, la solita frase che è puro fumo negli occhi, se si guarda

a esempio all’intero blocco con cui Luca ha creato il discorso programmatico di Gesù nell’ultima cena; un altro slogan puramente

ideologico è quello secondo cui Luca avrebbe riportato sempre fedelmente le parole di Gesù, perché egli riteneva che “le paro le di

Gesù fossero espressioni del Signore e quindi imbevute di speciale santità e per questo assolutamente inalterabili”. Le

manipolazioni dei detti di Gesù hanno avuto i più disparati contesti: intenti di propaganda apologetica o ideologica, dissidi religiosi

interni alle comunità cristiane, intensificazione dell’antigiudaismo, opposizione alla emancipazione delle donne, ecc.

I singoli detti di Q sono analizzati dal punto di vista lessicale in connessione con i detti del Vangelo copto di Tommaso ,

quando vi sono dei paralleli; viene anche sempre tentata una retroversione greca dei detti gnostici e ricostruito il probabile testo

greco originario della fonte Q .