Bennato-Intervista su Facebook (Frate Indovino, febbraio 2009)

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3 / Febbraio 2009  F enomeno ACEBOOK È il fenomeno di cui si par- la e di cui tutti in forme diverse cercano di far ca- pire che ne sanno qualcosa, che se ne intendono… Poi però se si va un po’ oltre la crosta, si ca- pisce che sono più le domande delle risposte, le zone uscure ri- spetto a quelle illuminate. Stia- mo parlando di Facebook, una realtà in espansione che è già arrivata a coinvolgere sulla sua piazza virtuale un popolo di ol- tre 160 milion i di persone. È un oceano umano che si ingrandi- sce giorno dopo giorno. Per cer- care di capire e far capire di che cosa si tratta, abbiamo intervi- stato uno specialista di questa magmatica materia: Davide Bennato docente di Teoria e Tecnica dei Nuovi Media all’u- niversità “La Sapienza” di Ro- ma e autore del blog www.tec- noetica.it . Che vuoto ha colmato questo nuovo fenomeno? Più che vuoto, preferirei parla- re di esigenza. Una delle carat- teristiche della contempora- neità è sicuramente la mobilità. Ovvero solo poche persone fortunate riescono a crescere e lavorare nello stesso posto do- ve sono nati, molti - moltissi- mi - sono costretti a spostarsi da una regione all’altra, da una città all’altra e questo rende dif- ficoltoso mantenere contatti stabili. Spesso trasferirsi in un altro quartiere di una grande città rischia di sfilacciare rap- porti che il tempo aveva reso stabili. Facebook si inserisce in questa situazione fornendo un’opportunità, quella di con- tinuare a “frequentare” digital- mente persone che non vivono più vicino a noi. Come lei scrive, nel suo blog, “Facebook può essere conside- rato un grande palcoscenico dove ciascuno si costruisce e interpreta un proprio ruolo”. Non si rischia di estraniare il soggetto dalla concretezza del- la realtà? Una delle cose che hanno in- segnato gli studi più recenti sui media digitali è che le persone su internet cercano di ricostrui- re pezzi della propria identità tradizionale. Cercano informa- zioni sui propri hobby; coltivan- do le proprie passioni, elabora- no tutta una serie di strategie che non fanno altro che riaffer- mare quello che si è a compu- ter spento. È difficile avere un’identità digitale concreta se non si ha una solida identità tradizionale. I mondi virtuali non estraniano, anzi spesso rafforzano alcuni aspetti del nostro essere persone. I social network come Face- book stanno diventando anche un veicolo per le società per operazioni commerciali e di marketing. Uno strumento di business e non solo di socializ- zazione quindi? Ovviamente Facebook - e tut- ti gli altri social network - na- scono come imprese commer- ciali e quindi è inevitabile che diventino strumenti per il mar- keting. Ma nessuno si sognereb- be di criticare i lettori dei libri, solo perché il libro è diventato parte dell’industria contempo- ranea dei media. Così come nessuno si sentirebbe di critica- re le persone che trasformano il momento dello shopping come situazione per incontrare ami- ci, per passare del tempo insie- me. Basta guardare le persone che frequentano un grande centro commerciale: da un la- to c’è chi vaga da un negozio al- l’altro in cerca di merci, dall’al- tro invece ci sono cricche di adolescenti che usano gli spazi dei centri commerciali come luoghi per incontrarsi. Il confine tra pubblico e pri- vato all’interno di questa piat- taforma può diventare labile. Secondo lei, senza un uso con- sapevole, l’effetto può essere dirompente? Questo è il vero problema. Senza un uso consapevole del- la dimensione semi-pubblica (o semi-privata, a seconda dei punti di vista), Facebook può diventare un rischio costante per la privacy delle persone. Ma a ben vedere questo è un pro- blema dei media digitali e del- la loro dimensione sempre più personale. Un caso emblemati- co è quello del cellulare: c’è chi lo usa per comunicazioni episo- diche e impersonali e chi inve- ce per comunicazio ni intime e confidenziali. È difficile dire quali dei due stili renda meglio l’uso “giusto” del mezzo, perché dipende dallo stile di relazione delle persone. Quanto e cosa di etico ci può essere in Facebook? Un uso pertinente della piat- taforma è quello di un’etica del rispetto dell’altro. Non si pos- sono bombardare le persone di inviti, messaggi, test che han- no solo un ruolo di distrazione: comunicare il vuoto è sintomo di qualcosa che non va nei rap- porti fra persone. Infatti la tec- nologia su cui Facebook incar- na proprio questa esigenza: se vuoi essere sommerso dai bran- delli di relazione, lo puoi fare, ma se ciò ti disturba puoi “spe-  gnere” il rumore derivante dal chiacchiericcio altrui. Come è possibile sfruttarla sen- za venirne “assorbiti” troppo? È difficile dare una risposta che vada bene per tutti. Basta ave- re presente opportunità - la ca- pacità di stare sempre in contat- to con la nostra rete sociale di riferimento - e limiti - il rischio di ipersocializzazione e di rare- fazione della privacy. Su queste basi si può usare questo stru- mento in maniera compatibile con la nostra dimensione indi- viduale. In qualità di docente, quotidia- namente si trova a contatto con i ragazzi. Come pensa sia cambiato il loro modo di comu- nicare e socializzare ? La mia sensazione è che siano molto più smaliziati nell’uso di queste tecnologie, anche se hanno maggiore bisogno di fi- gure di riferimento, non che dia loro delle regole, ma che li fac- cia riflettere su cosa vale la pe- na fare con questi strumenti e cosa no. D’altra parte la questio- ne è antica: si ricordi dell’effet- to deleterio della lettura che eb- be su Don Chisciotte de la Mancia, il quale immerso nei suoi libri non riuscì più a rico- noscere l’immaginazione dalla realtà quotidiana. Prima il boom del telefonini, SMS, internet ora questi social network. Quale sarà la prossi- ma frontiera? La prossima frontiera è l’inte- grazione fra le due tecnologie. Se siamo sempre in movimen- to, ma abbiamo bisogno del contatto con gli altri che rite- niamo importanti, queste due tecnologie si intrecceranno l’u- na con l’altra i modo che siano le persone a decidere – in pie- na autonomia – se interagire con gli altri con la voce, con un messaggio, o semplicemente fissando un appuntamento per un caffè. F acebook è un social network, ergo una rete sociale che riunisce un gruppo di persone connesse tra loro da diversi legami sociali.  FB è stato fonda- to nel 2004 dallo studente di Harvard Mark Zuckerberg che in origine lo con- cepì come circolo esclusivo per tenersi in contatto con i compagni di college, scam- biarsi dispense e appunti. Oggi questo so- cial network è un vero e proprio fenome- no diventato un business da 300 milioni di dollari, aperto a tutti, gratis. All’inizio del 2008 gli italiani iscritti a Facebook erano circa 100 mila, prima dell’estate erano po- co più di mezzo milione, a settembre era- no raddoppiati e nel giro di altri due me- si sono arrivati a oltre 4 milioni. In tutto il mondo i contatti sono oltre 160 milio- ni. Secondo un sondaggio del Sole 24 Ore il 60% lo utilizza per ritrovare amici e fa- re nuove conoscenze, seguono quelli che ne apprezzano soprattutto la possibilità di espansione (22%) e gli appassionati di gio- chi (8%). Un utente su dieci si collega anche due ore al giorno (con punte fino a nove). Per entrare basta compilare un pro- filo con qualche dato ed eventuale foto: ci si connette con conoscenti, amici, per- sone con interessi in comune. Ci si scam- bia opinioni attraverso la bacheca persona- le, via posta o utilizzando il sistema della chat. È possibile collegarsi al sito anche con il cellulare in modo da aggiornare il proprio status in tempo reale. Utilizzando questa piattaforma è possibile recuperare amicizie del passato, dai vecchi compagni delle elementari ai compagni di univer- sità, pubblicare fotografie e pubblicare e pubblicizzare eventi. In ITALIA un popolo di oltre 4 MILIONI di utenti Spiare e farsi spiare da un buco della serratura. Intervista con Davide Bennato, docente di T eor ia e T ecnic a dei Nuovi Media all’Università “La Sapienza” di Roma. Il problema di un uso consapevole di uno strumento semi-privato Servizio di LAURA DI TEODORO

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3 / Febbraio 2009

 Fenomeno

ACEBOOK

Èil fenomeno di cui si par-la e di cui tutti in formediverse cercano di far ca-

pire che ne sanno qualcosa, chese ne intendono… Poi però sesi va un po’ oltre la crosta, si ca-pisce che sono più le domande

delle risposte, le zone uscure ri-spetto a quelle illuminate. Stia-mo parlando di Facebook, unarealtà in espansione che è giàarrivata a coinvolgere sulla suapiazza virtuale un popolo di ol-tre 160 milioni di persone. È unoceano umano che si ingrandi-sce giorno dopo giorno. Per cer-care di capire e far capire di checosa si tratta, abbiamo intervi-stato uno specialista di questamagmatica materia: DavideBennato docente di Teoria eTecnica dei Nuovi Media all’u-niversità “La Sapienza” di Ro-ma e autore del blog www.tec-noetica.it.

Che vuoto ha colmato questonuovo fenomeno?Più che vuoto, preferirei parla-re di esigenza. Una delle carat-teristiche della contempora-neità è sicuramente la mobilità.Ovvero solo poche personefortunate riescono a crescere elavorare nello stesso posto do-ve sono nati, molti - moltissi-mi - sono costretti a spostarsi dauna regione all’altra, da unacittà all’altra e questo rende dif-ficoltoso mantenere contattistabili. Spesso trasferirsi in unaltro quartiere di una grandecittà rischia di sfilacciare rap-

porti che il tempo aveva resostabili. Facebook si inserisce inquesta situazione fornendoun’opportunità, quella di con-tinuare a “frequentare” digital-mente persone che non vivonopiù vicino a noi.

Come lei scrive, nel suo blog,“Facebook può essere conside-rato un grande palcoscenicodove ciascuno si costruisce einterpreta un proprio ruolo”.Non si rischia di estraniare ilsoggetto dalla concretezza del-la realtà?Una delle cose che hanno in-segnato gli studi più recenti sui

media digitali è che le personesu internet cercano di ricostrui-re pezzi della propria identitàtradizionale. Cercano informa-zioni sui propri hobby; coltivan-do le proprie passioni, elabora-no tutta una serie di strategieche non fanno altro che riaffer-mare quello che si è a compu-ter spento. È difficile avere

un’identità digitale concreta senon si ha una solida identità

tradizionale. I mondi virtualinon estraniano, anzi spessorafforzano alcuni aspetti delnostro essere persone.

I social network come Face-book stanno diventando ancheun veicolo per le società peroperazioni commerciali e dimarketing. Uno strumento dibusiness e non solo di socializ-zazione quindi?Ovviamente Facebook - e tut-ti gli altri social network - na-scono come imprese commer-ciali e quindi è inevitabile chediventino strumenti per il mar-keting. Ma nessuno si sognereb-

be di criticare i lettori dei libri,solo perché il libro è diventatoparte dell’industria contempo-ranea dei media. Così comenessuno si sentirebbe di critica-re le persone che trasformano ilmomento dello shopping comesituazione per incontrare ami-ci, per passare del tempo insie-me. Basta guardare le persone

che frequentano un grandecentro commerciale: da un la-

to c’è chi vaga da un negozio al-l’altro in cerca di merci, dall’al-tro invece ci sono cricche diadolescenti che usano gli spazidei centri commerciali comeluoghi per incontrarsi.

Il confine tra pubblico e pri-vato all’interno di questa piat-taforma può diventare labile.Secondo lei, senza un uso con-sapevole, l’effetto può esseredirompente?Questo è il vero problema.Senza un uso consapevole del-la dimensione semi-pubblica(o semi-privata, a seconda deipunti di vista), Facebook può

diventare un rischio costanteper la privacy delle persone. Maa ben vedere questo è un pro-blema dei media digitali e del-la loro dimensione sempre piùpersonale. Un caso emblemati-co è quello del cellulare: c’è chilo usa per comunicazioni episo-diche e impersonali e chi inve-ce per comunicazioni intime e

confidenziali. È difficile direquali dei due stili renda meglio

l’uso “giusto” del mezzo, perchédipende dallo stile di relazionedelle persone.

Quanto e cosa di etico ci puòessere in Facebook?Un uso pertinente della piat-taforma è quello di un’etica delrispetto dell’altro. Non si pos-sono bombardare le persone diinviti, messaggi, test che han-no solo un ruolo di distrazione:comunicare il vuoto è sintomodi qualcosa che non va nei rap-porti fra persone. Infatti la tec-nologia su cui Facebook incar-na proprio questa esigenza: sevuoi essere sommerso dai bran-

delli di relazione, lo puoi fare,ma se ciò ti disturba puoi “spe- gnere” il rumore derivante dalchiacchiericcio altrui.

Come è possibile sfruttarla sen-za venirne “assorbiti” troppo?È difficile dare una risposta chevada bene per tutti. Basta ave-re presente opportunità - la ca-

pacità di stare sempre in contat-to con la nostra rete sociale di

riferimento - e limiti - il rischiodi ipersocializzazione e di rare-fazione della privacy. Su questebasi si può usare questo stru-mento in maniera compatibilecon la nostra dimensione indi-viduale.

In qualità di docente, quotidia-namente si trova a contattocon i ragazzi. Come pensa siacambiato il loro modo di comu-nicare e socializzare?La mia sensazione è che sianomolto più smaliziati nell’uso diqueste tecnologie, anche sehanno maggiore bisogno di fi-gure di riferimento, non che dia

loro delle regole, ma che li fac-cia riflettere su cosa vale la pe-na fare con questi strumenti ecosa no. D’altra parte la questio-ne è antica: si ricordi dell’effet-to deleterio della lettura che eb-be su Don Chisciotte de laMancia, il quale immerso neisuoi libri non riuscì più a rico-noscere l’immaginazione dallarealtà quotidiana.

Prima il boom del telefonini,SMS, internet ora questi socialnetwork. Quale sarà la prossi-ma frontiera?La prossima frontiera è l’inte-grazione fra le due tecnologie.

Se siamo sempre in movimen-to, ma abbiamo bisogno delcontatto con gli altri che rite-niamo importanti, queste duetecnologie si intrecceranno l’u-na con l’altra i modo che sianole persone a decidere – in pie-na autonomia – se interagirecon gli altri con la voce, con unmessaggio, o semplicementefissando un appuntamento perun caffè.

F

acebook è un social network, ergouna rete sociale che riunisce un

gruppo di persone connesse tra loroda diversi legami sociali. FB è stato fonda-to nel 2004 dallo studente di HarvardMark Zuckerberg che in origine lo con-cepì come circolo esclusivo per tenersi incontatto con i compagni di college, scam-biarsi dispense e appunti. Oggi questo so-cial network è un vero e proprio fenome-no diventato un business da 300 milioni didollari, aperto a tutti, gratis. All’inizio del2008 gli italiani iscritti a Facebook erano

circa 100 mila, prima dell’estate erano po-co più di mezzo milione, a settembre era-

no raddoppiati e nel giro di altri due me-si sono arrivati a oltre 4 milioni. In tuttoil mondo i contatti sono oltre 160 milio-ni. Secondo un sondaggio del Sole 24 Oreil 60% lo utilizza per ritrovare amici e fa-re nuove conoscenze, seguono quelli chene apprezzano soprattutto la possibilità diespansione (22%) e gli appassionati di gio-chi (8%). Un utente su dieci si collegaanche due ore al giorno (con punte fino anove). Per entrare basta compilare un pro-

filo con qualche dato ed eventuale foto:ci si connette con conoscenti, amici, per-

sone con interessi in comune. Ci si scam-bia opinioni attraverso la bacheca persona-le, via posta o utilizzando il sistema dellachat. È possibile collegarsi al sito anchecon il cellulare in modo da aggiornare ilproprio status in tempo reale. Utilizzandoquesta piattaforma è possibile recuperareamicizie del passato, dai vecchi compagnidelle elementari ai compagni di univer-sità, pubblicare fotografie e pubblicare epubblicizzare eventi.

In ITALIA un popolo di oltre 4 MILIONI di utenti

Spiare e farsi spiare da un buco

della serratura.Intervista con Davide 

Bennato, docente di Teoria e Tecnicadei Nuovi Media

all’Università

“La Sapienza”di Roma.Il problema di 

un uso consapevole di uno strumento

semi-privato

Servizio di

LAURA DI TEODORO