Benedetto Foa un uomo vitale - Trino online

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Pier Franco Irico Benedetto Foa Dal ghetto di Trino alla Nebiolo torinese Anpi di Trino Comune di Trino un uomo vitale

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Pier Franco Irico

Benedetto Foa

Dal ghetto di Trino alla Nebiolo torinese

Anpi di TrinoAGS - TRINO Comune di Trino

un uomo vitale

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Pier Franco Irico

Benedetto Foaun uomo vitaleDal ghetto di Trino

alla Nebiolo torinese

Anpi - Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Trino

Comune di Trino

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ontinua anche quest’anno, in occasione della Giornata della Memoria, il prezioso lavoro di ricostruzione sto-rica condotto con passione da Pier Franco Irico e dalla

sezione trinese dell’ANPI.La pubblicazione che avete tra le mani ripercorre la vita

di Benedetto Foa, nato nel ghetto di Trino nel 1842, vivrà una vita intensa, trasferendosi dapprima a Casale quindi a Torino, per poi morire in quel di Casorzo nel 1921.

Una figura che quindi non ha vissuto direttamente gli anni bui delle leggi razziali e delle persecuzioni, ma che ha attraver-sato la seconda parte del XIX secolo e i primi anni del ‘900, mantenendo sempre stretti i legami con la comunità ebraica e dimostrando una incredibile versatilità e curiosità, come emerge scorrendo il lungo elenco di ruoli da lui ricoperti, soprattutto nella seconda fase della sua esistenza.

Un liberale, un uomo attento alle evoluzioni della società, interessato ad agevolare quei cambiamenti che possono portare dei miglioramenti nelle condizioni di vita e di lavoro delle fasce più deboli della popolazione.

Un cittadino che vive il suo ruolo nella società in modo pieno e attivo, con i limiti e le opportunità del suo tempo, ma che non si chiude nella sua torre d’avorio.

Per noi trinesi, quella di Benedetto Foa è una vicenda che conferma, ancora un volta, come dalla nostra città siano emerse persone con grandi capacità e che hanno “fatto fortuna”,

Comune di Trino

C

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lasciando il segno e partecipando al lungo e continuo processo di trasformazione e, speriamo, di miglioramento della società.

Il Sindaco di TrinoAlessandro Portinaro

Trino, gennaio 2017

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“...Proprio la “modernità” fu uno dei richiami costanti delle Scuole: di fronte

alle nuove necessità produttive si doveva fornire un bagaglio cognitivo che ispirasse

nei ceti popolari l’amore per il lavoro e una propensione al miglioramento personale.

Si trattava, insomma, di infondere nei giovani uno “spirito borghese” che li rendesse membri

attivi e fecondi della comunità non solo sul versante economico ma anche - in prospettiva

futura - consapevoli dei propri diritti all’interno del consorzio umano...

Emblematico è il caso dell’industriale Benedetto Foa,

nato a Trino il 6 giugno 1842 ...”.

(Dal saggio di Demetrio Xoccato, vedi nota 1)

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Presentazione

E’ del trinese Giuseppe Benedetto Foa che vogliamo qui parlare, dell’ebreo Foa, figlio del mercante Abram, nato in quel quartiere centrale di Trino all’epoca, la prima metà dell’800, ancora chiamato ghetto.Leggendo e rileggendo le note biografiche che lo riguardano non si può fare a meno di constatare l’intelligenza, l’intraprendenza e la vitalità di quest’uomo. Molto probabilmente nei primi anni settanta dell’ottocento Foa si trasferisce a Torino a cercar miglior sorte, la nostra cittadina gli va stretta. Qui non vi sono industrie, non vi sono vere banche, manca un ambiente culturale, non vi sono prospettive: Trino è un paese agricolo con nessuna possibilità di successo per-sonale o di carriera.Nell’ex capitale la situazione è diversa, vi sono fermenti innovativi nei vari campi, si incontrano uomini che si sforzano di “vedere” il futuro, si nutrono speranze nella scienza e nella tecnica, si notano timidi inizi nella ricerca, ci si imbatte persino in sacerdoti salesiani che insegnano ai ragazzi a pregare ma anche a usare il tornio. In questo ambiente Foa trova inevitabilmente una sua collocazione.Nel 1888 diventa socio dell’azienda Nebiolo, fonderia di caratteri mobili da stampa; dieci anni dopo assume la carica di consigliere dell’azienda e dal 1905 al 1918 la presidenza. Dal 1902 al 1905 siede nei banchi del consiglio comunale torinese come esponente liberale. Come tipico dell’epoca accanto alla fervida attività indu-striale Foa ricopre numerosi incarichi all’interno delle varie istitu-zioni cittadine: nel Patronato di soccorso per gli operai colpiti da infortuni sul lavoro, nel Patronato scolastico, nel Consiglio delle scuole serali, nell’Ospizio israelitico, nella Società torinese per la cremazione e altro ancora.Insomma una vita intera passata tra imprenditorialità e impegno sociale. Foa muore a Casorzo Monf. (Asti) il 29 agosto 1921 a 79 anni. Per i suoi funerali chiede che non vengano inviati fiori né pronunciati discorsi. Come socio della società per la cremazione

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di Torino la sua salma è cremata il 31 agosto e le ceneri deposte al Tempio crematorio.Giuseppe Benedetto Foa, un trinese che va ricordato.

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A pochi anni dallo Statuto

Anche in quel 1842 fatti di rilievo nel Piemonte sabaudo ci furono: il ventiduenne Vittorio Emanuele di Savoia, futuro re d’Italia, si sposava con la nobile austriaca (!) arciduchessa Adelaide d’Asbur-go suscitando perplessità e scandalo in molti patrioti; a Mondovì nasceva Giovanni Giolitti che sarà uomo politico avveduto e più volte presidente del Consiglio dei Ministri. Nella vicina Milano, ancora austriaca, Giuseppe Verdi riscuoteva successo alla Scala con il Nabucco.Mentre avveniva tutto questo permanevano ancora, nel Piemonte di Carlo Alberto, i soprusi nei confronti del mondo ebraico. I cancelli dei ghetti di notte venivano ancora chiusi, le abitazioni degli ebrei non comunicavano con quelle dei cristiani, i loro banchi del merca-to avevano uno spazio ben delimitato e così via.Anche a Trino ciò perdurava, le pagine dei registri dell’archivio sto-rico comunale parlano chiaro. Ancora in quegli anni si sollecitava

Ghetto ebraico

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l’amministrazione ad assumere provvedimenti al riguardo “dell’i-sraelita Simon Leon Foa” il quale viveva in una casa presa in af-fitto “fino a tutto il 1835, ma fuori dal ghetto”. Si invitava perciò il Foa, al termine del contratto, a risiedere in quelle case “che formano ghetto e che non siano contigue ad altre”. Stessa musica nel novembre 1843 con il sindaco Dellavalle che av-visa il comandante di far rispettare la disposizione sui banchi del mercato e “di far intimare ai contravventori di ritirarsi nella peri-feria del ghetto”. L’anno successivo si arriva al punto, da parte del sindaco, di incaricare un professionista (l’arch. Castelli) per la rea-lizzazione di un “tipo regolare dei membri componenti le case del ghetto”, che voleva significare un ingrandimento del ghetto, “affine di promuovere alla Comunità Israelitica di Trino un competente al-loggio, e togliere tra essi e li Cristiani comunicazione …”. Ma il progetto non andò in porto.Quattro anni dopo, nel 1848, un fin troppo titubante Carlo Alberto concedeva, tra mille ripensamenti, lo Statuto ai sudditi piemontesi in cui venivano concessi agli ebrei pieni diritti e libertà.Ma torniamo alla Trino del 1842. In quel clima di intolleranza pa-esana, forse non sempre troppo pesante, nasceva in un’abitazione del ghetto nella contrada di mezzo, il corso principale, il 6 giugno 1842 Giuseppe Benedetto Foa, figlio del mercante Abram. Nasceva

Trino, inizio ‘900. Piazza Principe Amedeo (oggi Piazza Audisio)

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in una Trino contadina (9 mila abitanti circa) con gravi problemi oc-cupazionali, sanitari, assistenziali. Sulla poltrona di sindaco sedeva allora il medico Giuseppe Fracassi. Rilevanti avvenimenti politico-amministrativi in quell’anno non ci furono. A gennaio il Consiglio comunale discusse, tra l’altro, sulla canoniz-zazione della beata trinese Arcangela Girlani (XV sec.) ascoltando la lettura del documento del rev. fra Tommaso Ghilardi dei Predica-tori provinciali e missionario apostolico.Nel mese successivo si discusse, alla presenza di varie autorità com-preso il conte Cavour, dei ripari contro le esondazioni del fiume Po (problema eterno per Trino!); del taglio di legna della Partecipanza per il riscaldamento delle scuole, e la nomina del vice-sindaco Bal-dassarre Dellavalle.A marzo, in prossimità della stagione primaverile, all’ordine del giorno fu posta la proibizione del pascolo nei prati. Poi il Consiglio nominò padre Valentino, Guardiano dei Cappuccini di Casale “for-niti di ottimi talenti”, a predicatore quaresimale per il 1844 retribu-ito con 250 lire. Nel Consiglio del 23 giugno si nominò il cappel-lano delle scuole pubbliche “essendo sprovvisti di sacerdote nella quotidiana celebrazione delle SS. Messe e come prescrivono li savii e religiosissimi regolamenti dell’ottimo nostro sovrano”, nella per-sona del rev. don Francesco Cavigiolio con 100 lire di retribuzione.Il 7 settembre si iniziò a discutere della costruzione del cimitero della Robella, con spese a carico dei richiedenti abitanti della fra-zione. A fine anno si stilò l’elenco dei “Maggiori Registranti 1842” che versavano le tasse al Comune. Al primo posto c’era il conte Ca-millo Benso di Cavour, residente a Torino ma proprietario a Trino della tenuta e dei terreni di Leri, che pagava lire 9.228,09; seguiva il marchese Ludovico Pallavicino Mossi, anch’egli residente nella capitale, con 8.871,5 lire. Sempre residente a Torino era il conte Vespasiano Biandrà con 1.108,56 lire. Il maggior contribuente resi-dente a Trino era il marchese Ottavio Pallavicino con 2.613,51 lire. Molto distanziato lo speziale trinese Giuseppe Ormea con 384,2 lire. E altri.

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Trino, inizio ‘900. Nei pressi dell’ospedale.

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Lutti e matrimoni in casa Foa

Giuseppe Benedetto Foa, come detto, nasce il 6 giugno 1842 alle 7 del mattino. Il padre Abram (1811-1860) è un mercante, la madre Stella Debenedetti (1823-1843) di Acqui (Asti) è mercante anch’es-sa. L’indicazione della nascita di Benedetto fu fatta dal dottor Gor-ria di Trino.Purtroppo la madre di Benedetto muore l’anno dopo a 20 anni, il 3 ottobre alle 6 del mattino. Stella Debenedetti era figlia del vivente Leone, negoziante di Alessandria e della vivente Sara. La sepoltura avviene il giorno stesso nel cimitero degli ebrei in quanto, si dice nel verbale di decesso, “malattia attaccaticcia”, che giustificava l’urgenza della sepoltura.In famiglia c’è un’altra figlia: Bella Giuditta nata il 14 maggio 1840, che il 5 settembre 1859 sposa il ventenne rigattiere Vitale Abram Jacob, di Bonajut Moiso e Pavia Benedetta. Avranno tre figli: Leon (24-12-1863), Giuseppe Benedetto (6-11-1864 / 7-1-1865) e Ruben (9-8-1871).

Trino, cimitero ebraico. Tomba di Bella Sacerdote.

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Il padre Abram, dopo la morte della moglie Stella, si risposa con Perla Montalcini, fu Sanson e fu Enrichetta, nata ad Asti nel 1815.Benedetto Foa si sposa, nel 1865 a Casale Monf., con Sacerdote Bella Abygail, nata a Casale nel 1849, figlia del fu Isacco e di Foa Allegra (sorella questa di Abram, padre di Benedetto). Ma qualche anno dopo, il 18 dicembre 1868 alle ore 11 pomeridiane, muore a Trino all’età di 19 anni. E’ sepolta nel cimitero ebraico di Trino; sulla lapide sono incise queste parole: “Bella Sacerdote Foa - pari al nome ebbe aspetto cuore mente ed opere - il 18 dicembre 1868 non peranco ventenne da inesorabile morte rapita - fratello consorte madre e figlia inconsolabili posero - R.I.P.”. Benedetto Foa ha dalla moglie Sacerdote Bella tre figli. Il 10 mag-gio 1866 era nato, nella loro abitazione di corso V. Emanuele, Edo-ardo Abram. Il bimbo non viene presentato in municipio, come al tempo era abitudine, a causa del suo “stato infermiccio”; ha gravi problemi di salute, infatti muore l’anno dopo il 12 agosto 1867, alle ore 9.30 nell’abitazione di un parente, Giuseppe Foa, in via S. Bartolomeo (oggi via Irico).Il secondo figlio si chiamava Lazzaro Amedeo che nasce l’8 maggio 1867 ma muore venti giorni dopo, il 28 maggio alle ore 18 nell’a-bitazione familiare.Il 21 giugno 1868, alle ore 3 del mattino in corso V. Emanuele, era nata Celestina. Rispetto ai due fratelli la ragazza vivrà e si sposerà il 20 giugno 1886 a Torino con Michele Luzzati di Moncalvo (Asti). All’età di 71 anni, sempre a Torino, il 10 febbraio 1939 dovrà fare obbligatoriamente in municipio dichiarazione di “razza ebraica” in osservanza alle leggi fasciste dell’anno prima contro gli ebrei ita-liani. Sopravvivrà alla guerra e alla persecuzione nazifascista e morirà a Moncalvo il 18 marzo 1949.Foa si risposa il 12 giugno1870 alle ore 9 nel Municipio di Casa-le Monf. con Sacerdote Rosina, fu Giuseppe Isacco e di Sacerdote Esterina, benestante, di 22 anni essendo nata il 16 gennaio 1848. Testimoni delle nozze: Levi Leon Salvador, 69 anni benestante, e Sacerdote Marco di Vita, 32 anni avvocato. I due sposi ebbero in

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dono due copie della “versione libera” del libro di Rut (testo conte-nuto nella Bibbia ebraica e cristiana), scritta in versi dallo studioso dantesco Donato Bocci (cfr. archivio Terracini). Dal matrimonio nascerà, nel settembre 1872 a Torino, Emma. Rosina Sacerdote mo-rirà, sempre a Torino, il 23 novembre 1919.

Osservando il registro del censimento 1858 del Comune di Trino si nota che risiedevano in quel tempo: Abram Foa 47 anni, la (secon-da) moglie Perla 42 anni, la figlia Bella 17 anni e Giuseppe Bene-detto 16 anni. Nel censimento 1873 a Trino risiedevano ancora in corso V. Emanuele: Perla Montalcini vedova Abram, G. Benedetto e la moglie Rosina. Qualche tempo dopo Benedetto Foa si trasferirà a Torino.

Trino, archivio storico. Censimento 1848.

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La Torino di fine ottocento(1)

Immaginiamo che quando Benedetto Foa giunse a Torino abbia sì trovato una città grande e varia ma pure un luogo non scevro da seri problemi.Torino la città dei santi sociali (Giovanni Bosco, Cottolengo, Faà di Bruno…), la città di una particolare borghesia interessata alla modernità e al progresso, ma anche la città con profonde questio-ni di emarginazioni e sacche di povertà. Accanto a nuove industrie d’avanguardia, per i tempi, persistevano officine e laboratori da pri-ma rivoluzione industriale; lavoratori mal pagati e giovani ragazzi sfruttati; abitazioni che sembravano tuguri posti in squallidi quartie-ri. Tutto ciò conviveva con una città volonterosa di aprirsi al futuro, dopo il trauma delle spostamento nel 1864 della capitale a Firenze.E’ bene quindi indugiare un istante per analizzare correttamente la realtà che incontrò Foa lasciando Trino.“Di fronte a una realtà in pieno mutamento, in cui il capoluogo pie-montese si stava incamminando sulla strada che l’avrebbe portato a

Torino, inizio ‘900. La fabbrica Nebiolo.

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diventare la “capitale dell’automobile”, le conseguenze del proces-so di industrializzazione si facevano profondamente sentire. In tale contesto (…) si avvertiva intensamente la necessità di fornire tutta una serie di servizi in risposta alle nuove esigenze. L’elite liberale cittadina tentò di rispondere a questi bisogni e fece ampio uso della formula associativa (in un contesto ancora lontano da uno stato so-ciale moderno)”.Centinaia erano le associazioni in Piemonte che offrivano prestazio-ni nei diversi campi: culturale, educativo, assistenziale… ”. Si trat-tava di una diretta conseguenza della mentalità borghese, diffusasi ormai in tutti i ceti produttivi. Etica del lavoro, orgoglio per l’abilità professionale e una valutazione positiva del progresso tecnologico ne erano i pilastri”. Non erano solo le case decorose o una alimentazione migliore che cambiavano in meglio la vita del lavoratore, ma anche l’offerta cul-turale. “La classe civile, di fronte ai problemi che affliggevano i ceti popolari, si rese ben presto conto della necessità di creare strutture adatte che garantissero da un lato un’istruzione scientifica e pratica finalizzata al mercato del lavoro, dall’altro un’educazione civica ri-volta a una cittadinanza attiva e consapevole”. La classe dirigente liberale si mosse per questi obiettivi.E qui ha inizio la storia “torinese” di Giuseppe Benedetto Foa, ini-zialmente socio, nel 1888, della fonderia Nebiolo una delle più im-portanti industrie cittadine del tempo.L’azienda ha origine nel 1852 col nome di Fonderia Giacomo Maz-zarino, ma nel 1878 assumerà il nome dell’artigiano Giovanni Ne-biolo in collaborazione con Lazzaro Levi (1856-1911, originario di Nizza Monf.). Nei primi anni la fonderia, con sede a Torino in cor-so V. Emanuele II, fabbricava caratteri da stampa. Dieci anni dopo arrivarono tre nuovi soci: Giuseppe Levi (1863-1902), fratello di Lazzaro e, appunto, Benedetto Foa (che era suocero di Giuseppe, avendo questi sposato la figlia Emma avuta dalla seconda moglie). Nel 1891 Nebiolo si ritira e nel 1899 la società si trasforma in acco-mandita per azioni con i soci Foa, i Levi, il banchiere biellese Pietro Pellosio e Gustavo Deslex.

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Foa, pur restando nell’azienda, nel 1902 intraprende per breve tem-po la carriera politica come consigliere comunale liberale a Torino. Nel 1905 ritorna alla Nebiolo con l’incarico di presidente (fino al 1918) portando l’azienda a conseguire successi industriali. Si deve all’intraprendenza di Foa se la Nebiolo stringe in quegli anni l’al-leanza con la Urania di Milano, una ditta concorrente. Poi giunge nel 1906 la compartecipazione con la Fonderia Subalpina, azienda specializzata nella lavorazione della ghisa. Tutte queste società si fondono infine in una unica grande impresa: la società Nebiolo.

Torino. La Sinagoga.

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Gli incarichi a Torino

Benedetto cav. Foa nel 1888 a Torino è socio dell’azienda Nebiolo, fonderia torinese di caratteri mobili da stampa, fondata dai fratelli Lazzaro e Giuseppe Levi, e dal 1905 al 1918 presidente della stes-sa. E’ una figura di primo piano nell’ambiente industriale torinese, appartiene al movimento liberale di cui sarà per alcuni anni consi-gliere comunale a partire dal 1902. Foa inoltre è presente in molte istituzioni di Torino.Tra l’inizio del ‘900 e la fine degli anni ‘10 è membro del Patronato scolastico centrale. Questo ente, fondato nel 1897 è costituito da vo-lontari che attraverso lasciti, contributi e raccolta fondi aiutano gli alunni bisognosi delle varie scuole torinesi, dando libri, quaderni, refezione, indumenti. Chiude nel 1977, col passaggio al Comune.E’ nel Consiglio delle scuole Monviso e Rignon. E’ vicepresidente delle scuole Officine serali, le quali nascono nel 1887 dall’intuito di un gruppo di cittadini che intendono migliorare la preparazione pra-tica degli operai. Ogni anno sono 600 gli allievi che frequentano i corsi di disegno, di fabbro, di intagliatore di legno… Foa sarà anche presidente fino al 1920. Inoltre entra come consigliere nella Lega italiana d’insegnamento.E’ vicepresidente dell’Asilo notturno Umberto I. Fondato nel 1888 da un gruppo di persone che volontariamente avevano deciso di of-frire ricoveri notturni temporanei, con controllo igienico-sanitario, a persone bisognose senza distinzione di nazionalità e religione. La struttura dall’anno di fondazione al 1911 accoglie più di 113 mila persone torinesi, italiane e straniere. Per le spese di gestione (10 mila lire circa) l’ente non dispone di altri mezzi se non quelli forniti dalla carità cittadina, e con eventi mondani e di beneficenza. Foa sarà presidente fino al 1921, l’anno della sua morte. Foa è segretario della Cucina per malati poveri, che nell’immediato primo dopoguerra ha sede in un palazzo, che ha lo scopo di distri-buire pasti a persone indigenti. Fondata nel 1903, assiste migliaia di poveri. Anche in questo caso l’ente si autofinanzia con eventi mondani e di beneficenza.

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E’ vicepresidente del sindacato subalpino di assicurazioni mutua. E’ consigliere del patronato di soccorso per gli operai colpiti da infortuni sul lavoro. Fondato nel 1886, eretto a ente morale due anni dopo, si propone la promozione di pratiche assistenziali per gli operai, la diffusione delle norme igieniche sui luoghi di lavoro e l’elargizione di sussidi ai lavoratori colpiti da infortuni e alle loro famiglie. Nel 1900 conta una trentina di soci, divisi tra perpetui (che versano 120 lire) e triennali (che versano 12 lire annue per tre anni). Svolge la sua attività attraverso rendite patrimoniali, proventi dei soci e dei benefattori, e con sussidi del governo e del comune di Torino.Inoltre, in quanto industriale fa parte della commissione della Borsa del Lavoro e della Confederazione fra industriali e commercianti. E’ membro della Comunità ebraica, e dell’ospizio israelitico. L’o-spizio di piazza Giulia, aperto nel 1863, è dotato di un refettorio e di un ambulatorio medico a disposizione anche degli abitanti della zona. Fa parte della Confraternita ebraica di misericordia funebre, sorta nel 1879, che provvede agli atti funebri religiosi per gli ebrei seppelliti nel cimitero della Comunità torinese. Soccorre inoltre gli iscritti in occasione della nascita di figli e contribuisce al manteni-mento dell’ospizio.

Torino, inizio ‘900. La fabbrica Nebiolo.

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Ancora, consigliere della società per l’Arbitrato internazionale e per la pace, il cui statuto dice: “diffondere idee e educare sentimenti umanitari per la cessazione delle guerre; favorire l’affrancamento dei popoli …”.Nominato commendatore della Corona d’Italia e cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro.

Il Foa consigliere comunale

Benedetto Foa a Torino (in quel tempo residente in via Accademia Albertina 42) entra in politica nelle file del partito liberale e viene eletto consigliere comunale l’8 giugno 1902. La prima seduta del consiglio avviene il 10 settembre dello stesso anno presieduta dal

sindaco Secondo Frola (a cui seguirà Alfonso Badini Confalonieri, nell’anno in cui Foa si dimette, nel 1905).Nei quattro anni da con-sigliere gli interventi di Foa non sono molti e su argomenti di non elevato rilievo. Nel 1903 parla e vota contro sul pun-to all’ordine del giorno riguardante un sussidio comunale alla Came-ra del lavoro di Torino (sorta nel 1891) e all’i-stituzione di un ufficio municipale del lavoro (quest’ultimo sull’e-sempio della Germania, sostiene un consigliere).Torino, archivio storico consiglio comunale.

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In un’altra seduta interviene a proposito della condotta municipale di acqua potabile in Venaria Reale e al suo progetto. Poi interviene su di una questione riguardante i magazzini generali (Dock) e sulla concessione di spazi adibiti a magazzini alla fabbrica torinese di colla e concimi. Si interessa dell’organizzazione e dei lavori delle linee tranviarie elettriche cittadine.Il 16 gennaio 1905 si astiene sul progetto di ampliamento del cimi-tero israelitico torinese, con concorso alla spesa da parte dell’Uni-versità israelitica (astensione forse dovuta al fatto che Foa ne faceva parte). Foa si dimette dal consiglio comunale il 15 novembre 1905.

Un uomo generoso e moderno

Abbiamo potuto osservare quali e quanti incarichi si fosse sobbar-cato Foa negli anni torinesi, impegni che andavano tutti in una sola direzione: verso l’emancipazione e l’assistenza dei ceti popolari. Probabilmente Foa, agendo in questo modo, pensava a un modello di giovane non più suddito ma, forse, già cittadino; con una for-te preparazione professionale, una discreta cultura, un forte senso

Giovani operai all’inizio del ‘900.

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civico. E forse pensava anche a una Italia diversa, non più afflitta dalla staticità e dal parassitismo improduttivo del ceto nobiliare e della chiesa (ma forse ci spingiamo troppo oltre?).Quello che distingue Foa dalla maggioranza degli uomini del suo tempo è anche l’atteggiamento verso la morte, anzi dopo la morte.

La scelta di Foa, la cremazione

Come detto Foa era iscritto alla Società Cremazionistica di Torino (società nata nel 1883) e quando morì fu cremato e le sue ceneri poste nel Tempio crematorio. Foa, vedovo della seconda moglie Sacerdote Rosina, morì a Casorzo Monferrato (Asti) il “29 agosto 1921 nella casa posta in via Madonna delle Grazie 24, alle ore 6 an-timeridiane” (nell’atto di morte è annotato: residente a Torino)(1bis). Ai fini storici sembra corretto fare qualche osservazione a propo-sito del rito della cremazione, pratica diffusasi in Italia a partire dalla seconda metà dell’800 in particolar modo nelle grandi città come Milano e Torino. Tale rito, vale la pena di ricordare, fu sempre

Torino. Targa sepoltura B. Foa.

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esplicitamente condannato dalla Chiesa cattolica e questa disappro-vazione durò fino ai giorni del Concilio Vaticano II, vale a dire fino ai primi anni ’60 del novecento.“E’ stato scritto che in realtà la condanna della cremazione (…) ave-va lo scopo di colpire i suoi fautori, contro ogni tentativo di moder-nizzazione e secolarizzazione”(2). A chi trasgrediva la proibizione della Chiesa veniva rifiutata la sepoltura ecclesiastica, e nel maggio 1926 il Santo Officio così si esprimeva: “Chi non tiene presente la risurrezione e l’esistenza dell’aldilà sceglie la strada della filosofia materialistica e professa più o meno esplicitamente il materialismo o il panteismo, come significato di estrema ostilità alla fede cristia-na”(3).Il decreto di condanna vietava inoltre qualsiasi partecipazione e col-laborazione con le società di cremazione. L’appartenenza ad esse non era però punita con la scomunica, a meno di una affiliazione di queste società con la massoneria. Nel 1893 il canonico Colombero ribadiva che la cremazione è un’empietà, una violenza al cadavere, contraria agli insegnamenti della Chiesa. Affermava che tale rito “è una bandiera massonica, [quindi] una setta di libertinaggio, è l’apoteosi di Satana”(4).Come ricordato, sarà il Concilio Vaticano II nel luglio del 1963 con “De cadaverum crematione: piam et constantem” ad allentare alcu-ne disposizioni del Codice di diritto canonico.Sulla cremazione le altre religioni hanno una posizione diversa. L’e-braismo ortodosso non riconosce tale pratica, al contrario di quello riformato. Tra l’altro molti ebrei, e proprio Foa, si iscrivono alle società cremazionistiche. I protestanti accettano, pur con qualche distinguo, la pratica della cremazione.

Al tempo del duce

Durante il fascismo, con decreto 27 luglio 1934, veniva approvato il nuovo regolamento sulle leggi sanitarie. L’art. 343 diceva che “la cremazione dei cadaveri è fatta in crematoi autorizzati dal prefetto

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(…). I Comuni debbono concedere gratuitamente l’area necessaria nei cimiteri per la costruzione dei crematoi”. Veniva così ribadito il principio dell’obbligo dei Comuni di concedere gratuitamente il terreno per il servizio (come già nel regolamento del 1892).Col passar degli anni però il fascismo sembrò voler prendere le distanze dalle norme inizialmente emanate, e già nel testo del ’34 all’art. 343 veniva sottolineato come “il sistema di bruciare i cada-veri, in uso presso i pagani, è stato rigorosamente avversato dalla chiesa cristiana non ammettendo che si debba affrettare la dissolu-zione del corpo umano con mezzi artificiali …”(5).Vale la pena anche di ricordare, a proposito di fascismo e crema-zione, il caso del torinese Emilio Foà, suicidatosi all’indomani dell’emanazione delle leggi razziali contro gli ebrei. Foà, giornali-sta capo ufficio stampa dell’Unione industriale di Torino, fascista e convertito al cattolicesimo, viene licenziato in quanto ebreo. Prima di spararsi lascia un biglietto alla moglie Lina, cattolica: “Mia cara moglie, vi lascio. Salvo così la mia famiglia, sarebbe stata la miseria (…). Siete così al riparo (…). Non condannatemi. La mia famiglia è salva”.Due giorni dopo, il 6 maggio 1939, su espressa sua volontà Emilio Foà veniva cremato a Torino. (La storia di Emilio Foà è ben raccon-tata da Fabio Levi nel suo libro: “L’identità imposta. Un padre ebreo

di fronte alle leggi razziali di Musso-lini”. Editore Zamorani, 1996).

Emilio Foà

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La Nebiolo, una fabbrica torinese

Si è già vista, in sintesi, la storia della Nebiolo, fabbrica nata con un tipo di lavorazione (caratteri a stampa) e poi evolutasi con produ-zioni diverse e più moderne. Azienda veramente con radici torinesi a partire dal “capostipite” Giovanni Nebiolo nel 1878 e poi via via con l’arrivo di altri personaggi sotto i suoi capannoni.Si è visto inoltre come la presenza di uomini di origine ebraica nei posti dirigenziali abbia caratterizzato in senso positivo l’andamento della Nebiolo. Verso la fine degli anni ’80 dell’ottocento la famiglia Levi-Foa acquisisce la maggioranza del capitale sociale, iniziando anche la produzione di macchine per tipografia. Nel 1899 entrano altri soci, tra cui Celestino Debenedetti, e nel 1902, alla morte di Giuseppe Levi, Donato Bachi.L’altro Levi, Lazzaro, muore nel 1911. Di lui il giornale “Vessillo Israelitico” lodò “l’operosità instancabile, la geniale iniziativa, l’in-gegno pronto e vivace”, ricordò “la sua giovinezza a Nizza Mon-ferrato dove il padre Rabbino Graziadio dirigeva quella comunità”,

Macchina stampatrice Nebiolo.

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sottolineò “lo strazio della famiglia e della compagna Emma Gua-stalla”.Il suo nipote, avvocato Mario Graziadio Levi(5bis), è direttore della Nebiolo e nel 1936, per arginare la diminuzione delle esportazioni dovute alle sanzioni della Società delle Nazioni per la guerra dell’I-talia all’Etiopia, introduce due settori produttivi: mozzi per eliche di aeroplano e macchine utensili (torni…). Due anni prima aveva deciso di farsi cattolico, decisione inutile perché nel 1941, malgrado la discriminazione ottenuta per il cambio di religione, la presidenza della Nebiolo e il consiglio di amministrazione unanime impongo-no a Levi le dimissioni. Inutile aggiungere che il consiglio di ammi-nistrazione era ormai controllato da personaggi fascistissimi. Si conclude così in modo amaro la “presenza ebraica” nella Ne-biolo.

Macchina stampatrice Nebiolo.

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1938, la figlia di Foa a Moncalvo

Il 1938 è l’anno delle ignobili leggi razziali contro gli ebrei vo-lute dal fascismo. Migliaia di padri di famiglia perdono il posto di lavoro, ad altri vengono confiscati conti bancari, case, aziende, altri ancora sono costretti a vendere le loro botteghe agli “ariani”. Qualcuno prevedendo il venire di giorni infausti se ne va, scappa all’estero. Molti si suicideranno. Le piccole comunità ebraiche si svuotano. A Trino, come a Moncalvo o in altri paesi, le famiglie di ebrei si contano su una mano.Nell’anno delle leggi razziali a Moncalvo (Asti) vivevano tre ebrei(6). Il 30 settembre il podestà rilasciò un certificato attestan-te benemerenze acquisite dal cav. Michele Luzzati (1852-1940), consigliere comunale per 14 anni e membro della Giunta, e dalla moglie Celestina Foa (figlia di Benedetto Foa) che avevano fatto costruire a loro spese un ampio salone ricreativo all’asilo infantile intitolato alla figlia Faustina, morta prematuramente in un disastro ferroviario in Svizzera.Il fratello Ippolito Luzzati, eminente personalità politica, era stato tre volte deputato. Michele e Ippolito erano figli di Marco Luzzati, ex consigliere comunale di Moncalvo.

Moncalvo, inizio ‘900. La Sinagoga.

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Hebreo miserabile

Quella di Benedetto Foa è un’altra pagina della antica storia della Comunità ebraica di Trino, il cui inizio risale ai primi decenni del XVI secolo.Nel primo censimento a noi disponibile, quello del 1734, troviamo molti Foa: Vincenzo di 59 anni, lavorante di campagna; Samuel 25 anni, mercante; Zaccaria 39 anni, mercante, con i figli Bella Conso-lina 15 anni, Stella Diana 3 anni, Israele 13 anni, Samuele Vita 10 anni e Benedetto 9 anni. Ma anche Miriam Foa, vedova di Simone Foa “hebreo miserabile”.In quell’anno la Comunità ebraica di Trino era formata da 28 pre-senze (5 assenze). Sono pure annotati 2 cavalli e 18 bovini. Nel censimento del 1848, quando Benedetto Foa ha ormai 6 anni, la “tribù” dei Foa è ancora cresciuta: sono quasi trenta. Foa Isaia, 31 anni, è addirittura rabbino.Nel primo censimento del XX secolo, quello del 1901, con la mo-glie Terracini Emilia è rimasto solo Foa Giuseppe (1837-1907), pa-rente di Benedetto, abitante in via Irico, nella cui abitazione si spen-se nel 1867 Edoardo Abram, di 1 anno, il primo figlio di Benedetto e Bella Sacerdote. In seguito non risultano più dei Foa in città. Nel 1911 gli ebrei residenti in Trino sono 40, di cui 20 donne.Negli anni successivi quasi tutte le fa-miglie della Comunità si trasferiscono in altre città, specie Torino. Dal 1938 al 1945 avrà inizio la persecuzione antie-braica da parte delle autorità fasciste e, a cominciare dal settembre 1943, in piena guerra, i pochi rimasti saranno costretti a nascondersi o a scappare.Trino ha recentemente dedicato una piazza a quattro ebrei trinesi uccisi nei lager tedeschi, tra cui Giacobbe Foa (1867-1944), all’epoca non più residente

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Giacobbe Foa

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a Trino, il quale fu arrestato, deportato ad Auschwitz e lì nel maggio 1944 ucciso. Gli altri tre erano: C. Pia Muggia, Ermelinda e Davide Segre.

Trino, 28/1/2013. Il Commissario straordinario Raffaella Attianese inaugura la piazza.

Siena, ghetto. Lapide commemorativa con la trinese Segre Ermelinda Bettina.

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Note

(1) Molte note di questo capitolo sono tratte dal bel saggio di Demetrio Xoccato “Un’educazione all’insegna della modernità: il caso torinese (1868-1925)”, apparso nel giugno 2015 sulla rivista L’impegno dell’I-stituto storico della Resistenza di Varallo Sesia.

(1bis) Comune di Casorzo, uff. stato civile.

(2) M. Filippa, La morte contesa. Cremazione e riti funebri nell’Italia fasci-sta. Paravia, 2001.

(3) Ibidem.(Z. Suchecki, La cremazione nel diritto canonico e civile. Ed. Vaticana, 1995).

(4) Ibidem. (G. Colombero, Sulla cremazione. Tip. Canonica, Torino 1893).

(5) Ibidem.

(5bis) Mario G. Levi, nato nel 1892 a Torino, era figlio di Giuseppe Salvador Levi e di Emma Foa. Si sposò con Leonie Incisa di Camerana. Il fratello Guido Levi (1895-1915) morì nella prima guerra mondiale.

(6) Cfr. Andrea Spagni, L’immane tragedia. Moncalvo negli anni della se-conda guerra mondiale.

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Ringraziamenti

Una particolare riconoscenza a Marco Luzzati, lontano parente di Benedetto Foa, per l’aiuto datomi.Il Comune di Trino per aver contribuito alla pubblicazione; Lorenzo Parodi per le immagini fotografiche di Trino; Giuseppe Zorgno per il contributo documentario; il personale dell’ufficio stato civile di Trino e di Casorzo; Mauro Gregoletto dell’ufficio stato civile di Casale M.; la segreteria della Comunità ebraica di Casale M. e Roberto Vitale.