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36 Diocesi di Arezzo – Cortona – Sansepolcro CENTRO PASTORALE PER IL CULTO Anno della Vita consacrata 2015 1 beato Ubaldo da Borgo Sansepolcro sacerdote

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Diocesi di Arezzo – Cortona – Sansepolcro CENTRO PASTORALE PER IL CULTO

Anno della Vita consacrata 2015

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beato Ubaldo da Borgo Sansepolcro

sacerdote

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In copertina: immagine devozionale diffusa tra i fedeli dai Servi di Maria. Rappresenta il beato Ubaldo vecchio e man-sueto, con lo scapolare colmo di acqua e circondato da uccel-lini, che si posano confidenti sulle sue spalle.

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Cappella dell’apparizione (parte dell’Oratorio primitivo)

Montesenario

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4 luglio

BEATO UBALDO DA BORGO SAN SEPOLCRO, sacerdote

memoria facoltativa Nacque a Borgo San Sepolcro verso la meta del secolo XIII. En-

trato nel giovane Ordine dei Servi di Maria e ordinato sacerdo-

te, si distinse per santita di vita e operosita . Fu in grande ami-

cizia con il Priore generale san Filippo Benizi; essendo questi

gia in agonia, all’arrivo di fra Ubaldo sembro riprendere un po’

di vita e spiro poi tra le sue braccia. Dopo 30 anni di eremitag-

gio a Montesenario (Firenze), in compagnia anche di sant’A-

lessio Falconieri (uno dei Sette Fondatori dell’Ordine), morì

nel 1315. Il suo culto fu confermato da Pio VII nel 1821.

MESSALE

ANTIFONA D’INGRESSO cf Sal 24 [23], 5-6 Questi sono i santi che hanno ottenuto benedizione dal Signore e misericordia da Dio loro salvezza; è questa la generazione che cerca il Signore. COLLETTA O Dio, fonte di castità e di amore santo, concedi ai tuoi servi, per le preghiere del beato Ubaldo e a sua imitazione, di glorificarti con la santità della vita e con l'unione dei cuori. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

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SULLE OFFERTE Accetta, o Signore, il sacrificio solenne che offriamo con gioia alla tua maestà; affinché, per intercessione del beato Ubaldo, possiamo celebrare in santa letizia questi divini misteri. Per Cristo nostro Signore. ANTIFONA DI COMUNIONE Sal 34 [33], 9 Gustate e vedete com’è buono il Signore; beato l’uomo che in lui si rifugia. DOPO LA COMUNIONE Nella comunione del tuo sacramento, o Signore, si riempie di gioia il nostro essere: fa' che, santificati dallo Spirito, ritroviamo in noi energie sempre nuove. Per Cristo nostro Signore.

LEZIONARIO PRIMA LETTURA Sir 6, 5-8. 14-17 Chi trova un amico fedele, trova un tesoro Dal libro del Siracide. Una bocca amabile moltiplica gli amici, una lingua affabile le buone relazioni. Siano molti quelli che vivono in pace con te, ma tuo consigliere uno su mille. Se vuoi farti un amico, mettilo alla prova e non fidarti subito di lui. C’è infatti chi è amico quando gli fa comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura.

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Resti della facciata dell’Oratorio primitivo Montesenario

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Il miracolo dell’acqua Convento Santa Maria dei Servi, Imola

Grotta e fonte dette di san Filippo Benizi (1629) Montesenario

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Un amico fedele è rifugio sicuro: chi lo trova, trova un teso-ro. Per un amico fedele non c’è prezzo, non c’è misura per il suo valore. Un amico fedele è medecina che dà vita: lo trove-ranno quelli che temono il Signore. Chi teme il Signore sa scegliere gli amici: come è lui, tali saranno i suoi amici. Parola di Dio. oppure: Fil 4, 4-9 Tutto ciò che merita lode sia oggetto dei vostri pensieri Dalla lettera i Filippesi di san Paolo apostolo. Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, ralle-gratevi. La vostra affabilità sia nota a tutti gli uomini. Il Si-gnore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche e ringrazia-menti; e la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, cu-stodirà i vostri cuori e i vostri pensieri in Cristo Gesù. In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giu-sto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri. Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi! Parola di Dio. SALMO RESPONSORIALE dal Salmo 15 rit. Il giusto riposerà in te, Signore. Signore, chi abiterà nella tua tenda? Chi dimorerà sul tuo santo monte? Colui che cammina senza colpa, agisce con giustizia e parla lealmente.

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Chi non dice calunnia con la lingua, non fa danno al suo prossimo. Ai suoi occhi è spregevole il malvagio, ma onora chi terne il Signore. Chi presta denaro senza fare usura, e non accetta doni contro l’innocente. Colui che agisce in questo modo resterà saldo per sempre. CANTO AL VANGELO Mt 5, 8 Alleluia, alleluia. Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Alleluia. VANGELO Lc 12, 35-40 Anche voi tenetevi pronti Dal Vangelo secondo Luca. In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: “Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese; siate simili a co-loro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro! Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate". Parola del Signore.

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Montesenario

Eremiti dei Servi di Maria Montesenario

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17. Aurora del sole, galassia notturna, piena di grazia, scrigno di Mosé. Salve, regina. 18. Luna bellissima, melodia celeste, tu, prediletta, musica del talamo. Madre di misericordia. 19. Tu incenso, guida, luce, tu più di Anna, Sara, Rachele, Rebecca, Lia, Susanna. Vita e speranza nostra.

Andrea del Sarto (1486—1530) Morte di san Filippo Benizi e risurrezione di un fanciullo

Chiostro Santissima Annunziata, Firenze

20. Tu monte, ponte, fonte, fronda che copri le rovine; neve, vello, suolo, urna, virgulto, manna. Prega per noi tuoi servi. 21. Sei data nave al navigante che cauta riporta di Salomone l’oro da Ofir. Ascolta, o Vergine, dei tuoi servi nuova melodia. 22. O vera serratura del nostro rifugio, o chiave della porta, a noi ancora apri il tempio della visione. Guida chi spera in te. Amen.

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PREGHIERA UNIVERSALE Ricordando la gloria e le virtù del beato Ubaldo, supplichia-mo il Padre di tutti i doni per la Chiesa, per il mondo e per la nostra comunità. Preghiamo insieme e diciamo: r. Ascoltaci, o Signore. Per tutti i cristiani, affinché, nel compimento della loro mis-sione nel mondo, raggiungano la propria santificazione e accrescano la santità della Chiesa, preghiamo. Per coloro che sono consacrati a Dio nella vita religiosa: per-ché, vivendo il comandamento dell’amore, indichino ai loro fratelli Cristo presente nel mondo, preghiamo. Per la pace, affinché, sedata ogni contesa, tutti i popoli pos-sano godere dei frutti di un'operosa concordia, preghiamo. Per tutti coloro che la malattia e la sofferenza rendono par-tecipi della passione di Cristo e del dolore della Vergine: perché lo Spirito Santo li renda forti nella prova e perseve-ranti nella fede, preghiamo. Per i nostri fratelli e sorelle defunti: affinché, purificati da ogni pena dovuta per i peccati, siano resi eredi del Regno di Dio, preghiamo. O Dio, Padre misericordioso, le preghiere della tua famiglia salgano a te più gradite nella memoria del beato Ubaldo, e per sua intercessione, rendici più graditi a te e alla Madre del Figlio tuo. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.

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LITURGIA DELLE ORE

Ufficio delle letture

SECONDA LETTURA

Dal trattato «Dell’amicizia spirituale» di Sant’Aelredo di Rievaulx, abate

(Lib. III, 115-118. 131-134; CCL Cont. Med. I, pp. 344-345. 348-350)

Chi prega Cristo per l’amico

è Cristo stesso che lui ama e desidera Vale la pena esaminare in che modo l’amicizia vada coltiva-ta. Ci sono alcuni che ritengono di non essere amati perché non sono promossi a cariche di responsabilità; si ritengono persone non valorizzate se non vengono loro affidati occu-pazioni e uffici. Sappiamo per esperienza che proprio da qui sono sorte discordie non piccole tra quelli che si ritenevano amici: allo sdegno tien dietro la separazione e alla separazio-ne parole gravemente offensive. Perciò nell’attribuire digni-tà e incarichi, soprattutto quelli ecclesiastici, si usi grande prudenza; non devi tener conto della carica che tu gli puoi dare, ma del peso che lui può sostenere. Certo devono essere ama ti anche quelli che non è possibile impegnare in particolari incarichi, e sono i più; è lodevole e bello che noi circondiamo del nostro amore coloro che solo per nostra imperdonabile negligenza e loro grave rischio po-tremmo coinvolgere in lavori di responsabilità. In queste cose è la ragione che bisogna seguire, non il sentimento: non dobbiamo attribuire onori e oneri a chi consideriamo più amico, ma a chi riteniamo più adatto a sostenerli. Nessuno, dunque, si ritenga non stimato perché mai pro-mosso a posizioni più elevate; quando il Signore Gesù prefe-rì Pietro a Giovanni, dando a Pietro il primato, non per que-sto diminuì l'affetto per Giovanni. A Pietro affidò la sua Chiesa, a Giovanni la sua Madre carissima.

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5. Tu glossa alla legge del Re, sapienza di Dio, al mondo porti ausilio di salvezza. Salve, regina.

6. Col ramo sostieni, con la fronda proteggi, o rosa, o candido giglio, dimora della divina potenza. Madre di misericordia.

7. Tu, finestra del cielo per cui dal Padre discese al mondo il Figlio di carne vestito. Vita e speranza nostra.

8. Tu, mediatrice, mano destra di Dio, o vergine, madre che stupisci per nuova generazione. Prega per noi tuoi servi.

9. Aquila grande sei detta, fanciulla: nel rostro hai verde ramo, che vince le feroci guerre. Salve, regina.

10. Luce divina, culla di bellezza, generi l’immenso che genera, o fiore di cedro, fulgida stella di Giacobbe. Madre di misericordia.

11. Tu schiacci il serpente, al servo cancelli l’accusa, o lucerna luminosa di chi non vede. Vita e speranza nostra.

12. Tu, bionda agnella, brocca di fonte celeste, anfora generosa all’assetato. Prega per i tuoi servi.

13. Fiorente frutteto, tu farmaco sei di nostra salvezza. Salve, regina.

14. Fra le braccia tu porti la forza che porta a libertà noi che oscuro male opprime. Madre di misericordia.

15. Ombrosa tenda di Dio, incanto dei beati, o sposa bella del re. Vita e speranza nostra.

16. Oracolo dei profeti, stupore del popolo, tu che rimuovi le strettoie della legge. Prega per i tuoi servi.

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Un testo del 1271 e dunque coevo al Beato, il Corale G, pro-veniente da Santa Maria dei Servi in Siena, alle coll. 128-132. 145v.-147 riporta 2 belle Sequenze mariane altrimenti sconosciute e quindi composte nell’ambito dei Servi di Ma-ria: Ave, Virgo virginum e Ave, novella foemina. 1. Ave, vergine delle vergini, ave, luce d’ogni luce, ave, madre della grazia.

2. Ave, salvezza degl’uomini, ave, speranza di conforto, ave, via della patria.

3. Ave, vergine Maria, ave, piena di grazia, ave, degna di venerazione.

4. Ave, o figlia di Dio, ave, pia madre, ave, o ineffabile.

5. Ave, splendore di gloria, ave, fulgida nel meriggio sopra ogni luce.

1. Ave, o donna nuova, gloriosa madre, per miracolo nuovo tu porti il tuo Dio. Salve, regina. 2. Fanciulla gravida di semi di cielo, al calice lo disseti della tua dolcezza. Madre di misericordia.

6. Ave, porta del perdono, fonte di misericordia, dolce sopra ogni cosa.

7. Salve, luce dei santi, salve, pace dei fedeli, salve, o beatissima.

8. Salve, nostra gioia, consolatrice dei cuori, salve, benignissima.

9. Ti supplichiamo, Signora, rivolgi il tuo orecchio a chi ti prega e supplica,

10. affinché col tuo aiuto, regniamo, o pace divina, nei cieli insieme a te. Amen.

3. Sposa di Dio, signora dei cieli, regina dei re, luminosa e serena. Vita e speranza nostra. 4. Rosso roseto, vergine in fiore, intreccio agli amanti e vena d’amore. Prega per i tuoi servi.

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A Pietro dette le chiavi del suo regno, a Giovanni svelò i se-greti del suo cuore. Diamo all'amico tutto l'amore di cui sia-mo capaci, tutto l'affetto, tutta la premura, tutta la carità; i futili onori e gli oneri lasciamoli a quelli che la ragione ci ha indicato come i più adatti. Teniamo bene a mente: per ama-re davvero l'amico, ci deve bastare lui solo; non c'è bisogno di accordargli queste cose di poco conto. D'altra parte biso-gna evitare che un affetto troppo tenero impedisca vantaggi maggiori. Non accada che teniamo lontano da impegni gra-vosi l'amico che prediligiamo, pur vedendo in lui la possibi-lità d ricavare frutti buoni. Nell'amicizia equilibrata la ragione regola il sentimento, così che l'attenzione nostra è rivolta non tanto a ciò che fa piace-re all'amico, quanto a qualche l'utilità di tutti esige. Ci deve essere una tale intesa fra gli amici che al solo veder-si, anche i loro volti assumono la stessa espressione: la tri-stezza di uno si riflette immediatamente sul volto dell’altro, la gioia di uno illumina il viso dell’altro. Potrai fare una scel-ta sicura di un amico solo quando ti sarai accertato che nulla ti viene chiesto di contrario alla vera amicizia; ti deve restar chiaro che egli reputa l’amicizia una virtù non un interesse; che sfugge l’adulazione, evita il servilismo; che sa unire la libertà alla discrezione; che è paziente nel correggere, fermo e costante nell’amore. Allora proverai quella dolcezza spiri-tuale di cui parla il salmista: «Quanto è bello e piacevole che i fratelli stiano insieme» (Salmo 132, 1). Se uno arriva a dimenticare se stesso per darsi tutto all’ami-co, qual grande aiuto troverà anche nel soffrire e preoccu-parsi per lui e nel portarne i pesi. Sarà facile preferire alla propria la volontà dell’amico; darsi da fare più per le sue ne-cessità che per le proprie, rischiare di persona nelle avversi-tà. È dolce mettere insieme le proprie esperienze, manife-starsi scambievolmente i propri gusti, esaminare insieme tutto e raggiungere su tutto l’unanimità di consensi. Anche la preghiera scambievole, innalzata a Dio per l’amico, è più intensa quanto più grande è l’affetto o il dolore per lui si effondono talora in lacrime abbondanti. Che prega Cristo per l’amico e vuol essere da Cristo ascoltato, in realtà non fa

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che amare e desiderare Cristo medesimo; e così, a poco a poco, quasi senza accorgersene, arriva a sperimentare la dolcezza di Cristo e incomincia a «gustare quanto è dol-ce» (Sal 33, 9) e «sentire quanto è soave» (Sal 99, 5). Sollevandoci quindi dal puro amore con cui amiamo l’amico all’amore di Cristo assaporeremo appieno il frutto gustoso dell’amicizia spirituale. Siamo in attesa del futuro completamento di tutte le cose, quando cadrà ogni timore e preoccupazione; cesserà ogni difficoltà che ora insieme dobbiamo affrontare; sarà vinta la morte, il cui pensiero oggi ci tormenta e ci fa soffrire. Godre-mo allora, senza più incertezze, l'eternità del bene supremo; e l'amicizia, che oggi riusciamo a dare a pochi, si espanderà in tutti e da tutti rifluirà in Dio: "Dio» sarà veramente «tutto in tutti» (1Cor 15, 28). RESPONSORIO cf 2Cor 1, 3 - 4; Tt 1, 4 r. Dio, che consola gli afflitti, * ci ha consolati con l’arrivo di un fratello e figlio secondo la fede. v. Benedetto Dio che ci consola in ogni nostra tribolazione; r. ci ha consolati con l’arrivo di un fratello e figlio secondo la fede. ORAZIONE O Dio, fonte di castità e di amore santo, concedi ai tuoi ser-vi, per le preghiere del beato Ubaldo e a sua imitazione, di glorificarti con la santità della vita e con l’unione dei cuori. Per il nostro Signore.

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IN PREGHIERA CON IL BEATO UBALDO

Madonna della Misericordia protettrice dei suoi Servi affresco della seconda meta del XV secolo Convento Santissima Annunziata, Firenze

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Urna del Beato sopra l’altare della Cappella di San Giuseppe

Montesenario

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LA VITA E IL CULTO Le fonti agiografiche

La letteratura sul Beato fornisce solo notizie sparse. Legenda “vulgata”, n. 22. 24, in: Fonti storico—spirituali dei Servi di Santa Maria, vol. I, Servitium editrice, Sotto il Monte, 1997. GIANI ARCANGELO, Annales sacri Ordinis Fratrum Servo-rum Beatae Mariae Virginis, I, Firenze 1618, pp. 43. 48. 75. MORINI AGOSTINO - SOUBIER PEREGRINO, Monumenta Ordi-nis Servorum Sanctae Mariae, IV, Bruxelles 1900-1901, p. 43; VIII, Bruxelles 1906, p. 18; XI, Roulers 1910, pp. 16. 18. 28; XII, Bruxelles-Roulers 1911, pp. 13. 30. Nel quadro della rinascita servitana dopo le soppressioni ottocentesche, fu pubblicato un libretto devozionale: RAF-

FAELLI LOTTARINGO MARIA, Vita del beato Ubaldo Adimari dell'Ordine dei Servi di Maria, Roma 1915. In seguito del Beato fu fatta menzione in: PIERMEI A.LESSANDRO FILIPPO, Memorabilium sacri Ordinis Servo-rum. Beatae Mariae Virginis Breviarium, I, Roma 1927, pp. 100-101.

Una nuova congregazione religiosa

L’Ordine dei Servi di Maria ebbe inizio a Firenze, per mezzo dei Sette Santi Fondatori, mercanti laici aderenti alla “Società maggiore di Nostra Signora” e dediti alla frequenza delle chiese, all’orazione (mediante la recita quotidiana dell'ufficio della Madonna, di quello dei defunti e dei salmi penitenziali), alla mortificazione del corpo, all’assistenza ca-ritativa dei poveri. Circa il 1233 abbandonarono famiglia e mestiere per ritirarsi poveramente a vita comune ai margini dell’abitato (in località Cafaggio, attuale Santissima Annun-ziata), sotto la protezione della Madonna. Nella Città divisa da lotte fratricide, essi dettero così una testimonianza visibi-le di comunione. Nel 1244 ricevettero dal futuro martire do-menicano san Pietro da Verona l’abito religioso e la Regola di sant’Agostino.

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Desiderosi di maggiore solitudine, l’anno seguente si trasfe-rirono sul Montesenario, passando alla vita eremitica; l’ac-correre di discepoli li spinse però a fondare nuove comunità cittadine.

Gli anni fra gli inizi dell’Ordine e la prima metà del Trecento furono il secolo d’oro della santità servitana, della quale so-no esponenti di riguardo i Sette Santi, san Filippo Benizi (+1285), i beati Gioacchino da Siena (+ 1306), Bonaventura da Pistoia (+ 1306), Giacomo da Città della Pieve (+ 1310), Francesco Patrizi (+ 1328), Tommaso da Orvieto (+ 1343), santa Giuliana Falconieri (+ 1341) e san Pellegrino Laziosi (+1345).

Un Borghese fra i Servi di Maria

In tale corona di santità sono annoverati anche 2 beati bi-turgensi: Andrea e il nostro Ubaldo, i quali furono coetanei. Ubaldo (= forte soccorritore) nacque dunque a Borgo San Sepolcro, verso la metà del XIII secolo (dagli autori antichi fu erroneamente ritenuto di origine fiorentina e della fami-glia Adimari). «Fin dall'infanzia amò la vita religio-sa» (ATTAVANTI PAOLO, Dialogus de origine Ordinis ad Pe-trum Cosmae, in: Monumenta O. S. M. , XI, p. 103). Si di-stingueva per la sua alta statura e il bell’aspetto e coltivò gli studi. Nel 1255 il quarto convento dei Servi di Maria fu fondato, con gemina sede ma sotto unico priore, a Borgo Sansepolcro e Città di Castello, ove il 21 agosto di quell’anno è documen-tata la presenza di uno dei Sette Fondatori, sant’Uguccione. Nel luglio precedente, con licenza del vescovo tifernate, i Servi di Maria avevano iniziato a costruire al Borgo un pic-colo oratorio con annessa abitazione in Via Cupa; nel 1272 si trasferirono poi fuori la Porta San Cristoforo o del Ponte, presso la località detta Le Santucce (cf DAL PINO FRANCO AN-

DREA, I frati Servi di S. Maria dalle origini all’approvazio-ne, Louvain 1972, I, p. 884; II, p. 216-217).

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Il culto Purtroppo, negli anni seguenti l’Eremo decadde, sia per le difficoltà dei tempi, sia perché l’Ordine preferì espandersi nelle Città. Solo il Capitolo generale del 1404 intraprese il restauro materiale e spirituale del Montesenario. Mentre la vita eremitica vi rifioriva e la chiesa veniva ingrandita nel 1412, i resti mortali di frate Ubaldo giacevano nascosti come il chicco di grano seminato nella buona terra. E così perma-sero anche quando a partire dal 1525 forti terremoti ridusse-ro progressivamente la presenza dei frati, tanto che dopo il 1580 ne rimase 1 solo. Ma di nuovo l’eremo risorse il 15 ago-sto 1595 (e stavolta prosperò fino alle soppressioni grandu-cali del 1778). Frattanto, la fama di santità di frate Ubaldo si manteneva viva nell’Ordine, tramandata per mezzo della venerazione, degli scritti e delle immagini, come per esempio la tela sei-centesca nella chiesa fiorentina della Santissima Annunzia-ta, raffigurante la visione avuta dal Beato della scala fra le nubi sulla quale salgono i confratelli; in mano ha un piatto da cui vola via, risuscitato, un colombo. Alla fine del XVII secolo iniziarono i lavori di ampliamento e abbellimento della chiesa di Montesenario, i quali all’inizio del 1707 portarono finalmente al ritrovamento delle ossa del beato Ubaldo, le quali dopo la canonica ricognizione, furono collegate e riposte nel sepolcro originario. Ne furono tolte nel 1724 e trasferite in sacrestia, per proteggerle dall’umidi-tà. Il processo ordinario per la beatificazione ebbe inizio nel 1806 e il 3 aprile 1821 Pio VII confermò il culto “ab imme-morabili”, fissando la memoria liturgica al 9 aprile; ne seguì una ulteriore ricognizione dei sacri resti, che rivestiti dell’a-bito religioso furono racchiusi entro un’urna sotto l’altare maggiore, per la venerazione dei fedeli. Nel 1969 il presbiterio fu modificato e i resti del beato Ubal-do furono traslati nella cappella di san Giuseppe, ove si tro-vano attualmente; anche la memoria liturgica fu trasferita al 4 luglio.

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“Sebbene gli eremiti di Monte Senario menassero una vita molto austera e penitente, pure non lasciavano di usare del-le agevolezze cogli infermi per sollevarli nei loro mali e ri-metterli nella primiera salute. Queste agevolezze praticava-no i religiosi con Ubaldo in un tempo che egli pure giaceva infermo ; ed un giorno gli portarono una pernice cotta appo-sta per lui e divisa in due parti. Ma egli non avvezzo a queste delicatezze e dalle medesime aborrendo, rimirò pensoso quella vivanda e quindi die' in questa esclamazione: «Oimè! Per questo corpo fragile e moribondo è stata uccisa adunque questa creatura di Dio!» Ed intanto, così da Dio ispirato, fe-ce il segno della croce sopra quella cotta bestiola. Ed ecco che ad un tratto si rianima la pernice, si ricompone, si alza sul vaso, getta le penne, spicca il volo; e già era scomparsa, già cogli altri uccelli svolazzava sugli alberi del bosco”. Gli ultimi anni e il pio transito Intanto giunse l’11 febbraio 1304, quando Benedetto XI ap-provò definitivamente i Servi di Maria, con Regola agosti-niana e Costituzioni proprie, era Priore generale un suo compatriota, Andrea di Balduccio Marescotti da Sansepol-cro (1300-1314). L’antico compagno di san Filippo Benizi e testimone delle sue fatiche per assicurare la sopravvivenza dell’Ordine dovette gioirne in modo del tutto particolare. Per un altro decennio frate Ubaldo continuò la sua ascesi, finché nel 1315, forse il 9 aprile, fu chiamato da Dio al pre-mio eterno e santamente morì, a circa 68 anni di età, carico di meriti soprannaturali. Il suo corpo, composto in una cassa di legno, fu sepolto nell’Oratorio, al lato sinistro dell’altare, presso la tomba dei Sette Santi Fondatori; segno questo inequivocabile della ve-nerazione di cui era circondato dai confratelli, che lo giudi-carono degno figlio di cotanti Padri.

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Nel 1255 Ubaldo doveva avere all’incirca solo 10 anni di età e forse imparò a conoscere i nuovi frati frequentando pro-prio il loro piccolo e povero luogo, che spiritualmente dovet-te esercitare su di lui un’attrazione maggiore della potente abbazia camaldolese e dei floridi e popolari conventi france-scano e agostiniano.

Del resto, dagli umili inizi i Serviti biturgensi assursero pre-sto a maggiori splendori: il 18 febbraio 1294, con il permes-so del vescovo di Città di Castello, posero la prima pietra della grande chiesa e ampio convento tra le Fonti del Comu-ne e la Porta del Ponte (quindi entro le mura cittadine, at-tuale Santa Maria dei Servi). Alla grandiosità degli edifici corrispose l’arruolamento di religiosi insigni per santità di vita e illustri per capacità e dottrina. Il Borgo, allora in pie-no sviluppo religioso e sociale, fu scelto dall’Ordine come luogo di svolgimento di Capitoli generali e fu patria di 5 Priori generali, tra cui frate Stefano Mucciachelli (teologo al Concilio di Costanza, diplomatico pontificio e infine cardi-nale prete di Santa Prassede, morto nel 1424 a Cracovia).

Tornando al giovane Ubaldo, sappiamo che san Filippo Be-nizi (Priore generale dal 1267), fu a Città di Castello nel gen-naio 1272, quando il Nostro doveva avere all’incirca 25 anni: forse un incontro con lui lo spinse a chiedere l’abito dei Ser-vi? Tale ingresso in religione avvenne certamente prima del 1274, perché da allora e fino al 1287 i Servi di Maria non po-terono ricevere novizi (come diremo fra poco).

Una Congregazione in situazione precaria

La congregazione religiosa a cui il giovane Ubaldo scelse di appartenere era di recente aggregazione, ancora poco nume-rosa e diffusa, ma ricca del fervore spirituale degli inizi. Però la vita mendicante era una novità per la Chiesa, alla cui ge-rarchia incombeva il dovere di discernere tale nuovo cari-sma dal pauperismo eretico, come anche di ridurre al mini-mo gli inevitabili conflitti giurisdizionali ed economici insor-ti fra l’antico Clero secolare e il nuovo regolare.

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A questo si aggiungeva la preoccupazione che una eccessiva proliferazione di nuovi istituti religiosi frazionasse le forze impegnate nel rinnovamento ecclesiale. Perciò, già i 2 Con-cili ecumenici Lateranense IV e Lionese II avevano legifera-to in materia; in particolare, il beato Gregorio X (con l’aiuto del domenicano Pietro di Tarantasia, poi beato Innocenzo V – il papa eletto in Arezzo il 21 gennaio 1276) aveva promul-gato nel 1274 a Lione la Religionum diversitatem nimiam, provvedimento per gli istituti obbligati alla "incerta mendi-cità" dalle proprie norme, le quali proibivano di avere "redditi o possedimenti". Ad essi fu proibito di ammettere postulanti e di fondare nuovi conventi, annullando gli even-tuali privilegi apostolici già ottenuti. Poiché da tale legge ca-nonica furono esentati solo i Domenicani e i Francescani, anche i Servi di Maria si ritrovarono condannati all’estinzio-ne. Per questo, san Filippo Benizi subito si adoperò per sal-vare la sua congregazione; non riuscì ad ottenere una esen-zione pontificia, ma saggiamente agì per incrementare la formazione spirituale dei circa 250 confratelli e dei laici de-voti loro simpatizzanti e per consolidare la situazione econo-mica dei conventi già esistenti mediante lasciti testamentari e acquisto di terreni, così che i Serviti potessero presentarsi come una congregazione non mendicante di regola agosti-niana, connotata da una particolare devozione mariana.

Religioso fervente

In mezzo a tante incertezze, il giovane novizio non si perse d’animo e si impegnò seriamente nella formazione religiosa, circa la quale possiamo desumere notizie da un testo norma-tivo, detto Costituzioni antiche (in: Fonti storico—spirituali, cit., pp. 124 – 126); benché entrato in vigore non prima del 1289, nel suo capitolo XV fissa certamente l’esperienza ma-turata anteriormente nell’Ordine. Ne riportiamo i passi sa-lienti. “Il priore affidi i novizi per la loro istruzione a un maestro diligente, che li istruisca su tutto ciò che riguarda l’Ordine. Insegni loro ad avere l’umiltà del cuore e del corpo secondo il detto: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore».

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La vita degli eremiti del Senario era molto povera: conti-nuando ad indossare le vesti di ruvida lana, riposavano solo sopra pagliericci o materassi di fogliame (ma potevano usa-re guanciali e lenzuola di lana o di canapa e brache di lino). Ogni frate aveva diritto a ricevere annualmente 2 fiorini d’o-ro per procurarsi gli indumenti personali; gli anacoreti ne dovevano avere particolare bisogno, perché gli inverni sono lunghi e gelidi sulla cima ventosa e nebbiosa e gli edifici of-frivano loro scarso riparo. Fioretti servitani Frate Ubaldo si guadagnò tra i suoi confratelli la fama di anima candida ed umile e sul suo conto fiorirono graziosi racconti, che riportiamo nella aulica prosa ottocentesca del III capitolo della Vita. Animato dal santo timore di Dio, era angosciato circa il pro-prio destino eterno; implorava quindi un qualche segno, che l'assicurasse del perdono dei peccati e il Signore gli inviò il seguente: “mentre attendeva a coltivare l'orticello del Con-vento, gli augelletti della foresta cominciarono ad avvicinar-si a lui, a circondarlo, a volargli sulle spalle, a posarsi sulle sue mani, a scherzare con lui, a farsi toccare ed accarezzare a suo piacimento. E non era questo un segnale molto espres-sivo del perdono, che il celeste Padre aveva accordato al suo ravveduto figliuolo Ubaldo, e servo fedele della sua benedet-ta Madre?”. Un giorno, all’ora del pasto comune, si recò ad attingere all’unica sorgente; “avvenne però che gli si rompesse casual-mente il vaso dell'acqua. Che farà intanto Ubaldo, il quale sa bene che i confratelli hanno bisogno dell'acqua e la stanno aspettando? Non si smarrisce Ubaldo, si rivolge fiducioso alla Vergine beatissima, invoca il suo aiuto, e quindi, preso per i lembi il suo abito, in esso raccoglie l'acqua, e così l'ac-qua, senza versarne una stilla, porta e presenta ai Religiosi, che a tal vista rimangono stupefatti”.

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nel servizio a Nostra Signora che hanno scelto come dimen-sione che dà significato, orienta e armonizza il loro stile di vita . . . [una] continua “conversione” nella fraternità finaliz-zata al mantenimento di uno sguardo contemplativo costan-te (perdono, correzione fraterna, corresponsabilità nel man-tenere alto il livello spirituale della comunità, impegno asce-tico, sobrietà ecc.)”, (Fonti storico—spirituali, cit., pp. 104 – 105). I giorni e le notti di frate Ubaldo trascorrevano innanzitutto sotto lo sguardo di Santa Maria, di cui si considerava devoto servo: pregava nell’oratorio comune a lei dedicato, ove parti-colari invocazioni mariane precedevano l’inizio di ogni ora canonica, come ogni uscita e ritorno in convento; l’abito di colore nero richiamava la compartecipazione ai dolori della Madre privata del Figlio. Ogni sera, il suono della campana annunciava la celebrazione corale della Vigilia in suo onore, conclusa dal canto della Salve Regina. Nelle solennità, quando l’ufficiatura mariana era omessa nella liturgia co-mune, le Ore corrispondenti erano però lo stesso recitate devotamente dai frati a piccoli gruppi. Le feste della Madon-na erano tutte celebrate con splendore, specialmente la Na-tività e l’Ottava seguente. Essendo sacerdote, frate Ubaldo fungeva da cappellano dell’Eremo: ogni mercoledì e sabato cantava la Santa Messa conventuale in onore della beata Vergine (anzi, dall’agosto 1305 entrò in vigore la norma capitolare che prescriveva di celebrare ogni sabato l’intero Ufficio “de Beata”). Almeno 2 volte a settimana confessava i confratelli; all’annunzio della morte di un qualsiasi religioso dell’Ordine, oltre ai suffragi comuni era tenuto a celebrare tre Sante Messe e ben 4 volte nel corso dell’anno presiedeva gli anniversari liturgici per i religiosi defunti e 1 volta all’anno rispettivamente quelli per i genitori e i benefattori dei frati. Sul sacro monte regnava il silenzio regolare e venivano os-servate 2 quaresime (in preparazione al Natale e alla Pa-squa), il digiuno ogni venerdì e in 17 vigilie di Santi (altri di-giuni erano però proibiti).

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Insegni loro a confessarsi frequentemente, con semplicità e discrezione; a vivere senza niente di proprio, ad abbandona-re la propria volontà per quella del loro responsabile; ad os-servare l’ubbidienza sempre. Li istruisca su come comportarsi dovunque e in ogni circo-stanza; come tenere sempre il posto loro assegnato; come inchinarsi a chiunque offra o tolga loro qualcosa, dica loro del male o del bene; come comportarsi nelle camere; come non avere occhi alteri; come pregare o per che cosa; come debbano farlo silenziosamente, in modo da non arrecare di-sturbo; come chiedere perdono in capitolo o dovunque siano ripresi dal responsabile. Se qualcuno avrà poi in qualsiasi modo scandalizzato un fratello, resti prostrato ai suoi piedi, fino a che questo, con pace, non lo faccia rialzare. Devono anche essere formati a non osare di entrare in lite con nessuno. Non giudichino nel loro intimo qualcuno; ma se vedono fare qualcosa che a loro sembra sbagliato, cerchi-no di pensare che si tratta di cosa buona o comunque com-piuta con retta intenzione: spesso la natura umana sbaglia nel giudizio. Non parlino di chi è assente, se non dicendo di lui cose buone. Inoltre durante il tempo della loro prova essi studino dili-gentemente la salmodia e l’ufficio divino”. Dopo avere così trascorso l’anno di prova, il novizio frate Ubaldo si preparò alla professione religiosa con una confes-sione generale dei propri peccati, saldò eventuali debiti con-tratti e consegnò quanto rimanente della sua proprietà al priore, per essere totalmente libero da ogni legame monda-no. Fu quindi inviato al Priore generale, munito di una lettera riportante il voto di tutti i frati professi del suo convento. Finalmente emise la sua professione, pronunciando la se-guente formula: “Io, frate Ubaldo dal Borgo, faccio profes-sione, e prometto a Dio onnipotente, alla beata vergine Ma-ria e a tutta la corte celeste, e a te frate Filippo da Firenze, Priore generale dei frati Servi di Santa Maria, dell’Ordine di sant’Agostino, e a tutti i tuoi successori, obbedienza, di vive-

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re senza proprietà, e castità, e di vivere secondo la regola del beato Agostino, per tutto il tempo della mia vita, in questo Ordine”.

Frate Ubaldo, era stato accolto nell’Ordine in vista del sacer-dozio, segno che possedeva i 2 requisiti a tal fine richiesti: essere capace di cantare e avere ricevuto una sufficiente for-mazione scolastica (cf Costituzioni antiche, XV). Dopo la professione solenne, fu quindi avviato allo studio della teo-logia e poi ordinato sacerdote in luogo e data a noi scono-sciuti. In breve tempo si rese famoso per la sua santa vita, caratte-rizzata sia da grande austerità che da spirito di iniziativa e operosità. Non sappiamo dove egli abbia trascorso i primi anni da reli-gioso; alcuni autori dicono a Montesenario, ma non vi sono documenti in proposito.

Fedele amico spirituale

E’ invece certo che almeno dal 1282 fu scelto come compa-gno, assistente e confessore da san Filippo Benizi, benché più giovane di lui e questo fatto vale come conferma delle sue grandi virtù. Per quello che vale, riportiamo in proposito il panegirico del Raffaelli: “Ubaldo godeva tanto di stare ai fianchi del Generale Filippo, che sempre più dava esempi luminosi di amore ardentissimo verso Gesù Crocifisso e l'Addolorata sua Madre, e verso le anime riscattate dal san-gue prezioso del Redentore. Andava lieto di poter cooperare alla salvezza delle anime . . . effetto di una vera, sincera ed intera conversione, la quale l'eccitava ad odiare ed aborrire il peccato in sé medesimo, ed a mettere tutto in opera per farlo odiare ed aborrire dai prossimi suoi fratelli” (Vita, cit., IV). Fra il marzo 1282 e il settembre 1283 san Filippo si recò a Forlì su incarico di Martino IV, per ridurre all’obbedienza papale i cittadini incorsi nell’interdetto; ma venne espulso dalla città tra insulti e percosse. Ottenne però la conversione di uno dei suoi assalitori, da lui accolto nell’Ordine e poi di-

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miei compagni dovesse germogliare una così grande folla di frati. I miei compagni ed io pensavamo soltanto che fosse stato Dio a ispirarci a vivere insieme per poter fare più facil-mente e degnamente la sua volontà, dopo aver abbandonato materialmente il mondo. Tutto questo è da attribuirsi perciò solo alla Nostra Signora” (Ibidem, XXIV). Frate Ubaldo fu certo presente anche al trapasso del patriar-ca: “Prima di morire, come segno dimostrativo della con-templazione e della purezza sua e dei sui compagni, ebbe una visione di angeli che gli venivano incontro sotto forma di uccelli bianchi e bellissimi oltre ogni dire; in mezzo era Cristo, nelle sembianze di uno splendido bimbo, con una co-rona d’oro sul capo. Gridando a gran voce, indicò ai frati che gli stavano attorno quello che vedeva” (Legenda, XXVIII; testimonianza oculare di fra Lapo da Firenze, nipote di san Sostegno, un altro dei Sette Fondatori). Eremita esemplare Il Raffaelli così sunteggia l’ultimo trentennio di vita di frate Ubaldo: “Seppellito in quel sacro Eremo, ivi esercitò il salu-tare apostolato del buon esempio e dell'assidua preghiera; ivi, rifuggendo da ogni prelatura, passò gli anni della sua vi-ta negli uffici più umili e più abietti; ivi, morto a tutte le cose della terra, menò una vita ascosa con Cristo in Dio; ivi andò di virtù in virtù ed in ogni virtù progredì continuamente fino a raggiungere la più alta santità, che l'onnipotente Iddio vol-le autenticare con molti miracoli (Vita, V). Le Costituzioni antiche (entrate in vigore proprio durante la dimora di frate Ubaldo a Montesenario), ci permettono di gettare uno sguardo meno generico sullo scorrere dei giorni del Nostro. E’ stato giustamente osservato che le prescrizio-ni minuziose del testo rispondono ad una “intenzionalità precisa: quella di dare un significato forte alla quotidianità, evitando di viverla in modo banale. La spiritualità della pri-ma generazione dei Servi . . . celebra l’impegno penitenziale

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Tra questi anche frate Ubaldo, nato all’incirca nello stesso anno della fondazione dell’eremo. Discepolo di un santo patriarca I Sette Fondatori avevano trasformato la cima del Senario in un nuovo Tabor, edificandovi “tre tende”: quella materiale dell’eremo, quella morale della presenza continua di Cristo nelle loro menti, quella mistica della loro concordia, povertà e purezza (cf Legenda, XLIV); in tali tabernacoli dimorò per ben 3 decenni frate Ubaldo. Sul santo monte, egli beneficò innanzitutto degli esempi di sant’Alessio Falconieri (il più noto dei Sette Santi Fondatori e zio paterno di santa Giuliana Falconieri), il quale morì il 17 febbraio 1310 all’età di 110 anni, di cui ben 77 trascorsi in religione. Umile e desideroso di penitenza, anche in vec-chiaia mantenne il rigore anacoretico: si uniformò in tutto al tenore e al peso della vita comune, continuando a dedicarsi con impegno ai lavori materiali e alla questua, nonostante gli incomodi dell'età e della stagione: “In questo modo ma-nifestava l’amore verso i fratelli e l’umiltà del cuore e a tutti i frati, desiderosi di servire fedelmente la Nostra Signora, la-sciava un esempio che li animasse a fare le stesse co-se” (Legenda, XXVII). Fu anche protettore dei giovani frati, fino a trasformare la dotazione annua per il guardaroba per-sonale in sovvenzione per i loro studi universitari; dovette dunque guardare con benevolenza pure frate Ubaldo, ben più giovane di lui. Quest’ultimo fu certamente nel novero di quei frati che insistentemente facevano resistenza a sant’A-lessio perché lavorasse di meno e non uscisse a cercare ele-mosine (cf Ibidem). La devozione mariana che Ubaldo aveva coltivato fin dalla sua giovane età, crebbe ancora di più in lui, grazie agli esem-pi e alle parole di sant’Alessio, che tutto attribuiva alla Ver-gine: “Mai fu intenzione mia e dei miei compagni fondare un nuovo Ordine e che dalla comunione reciproca tra me e i

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venuto san Pellegrino Laziosi (cf DAL PINO FRANCO ANDREA, Filippo Benizi, santo, in: Dizionario Biografico degli Italia-ni, vol. 47, 1997). Frate Ubaldo fu partecipe di tali avveni-menti, tristi e lieti assieme. Il 2 aprile 1285 fu eletto Onorio IV e il Priore generale si re-cò a Roma nel luglio seguente per continuare a perorare la causa della approvazione definitiva del suo Ordine. Prima della partenza “disse in segreto a fra Ubaldo dal Borgo che presto egli avrebbe deposto il suo corpo e si sarebbe separa-to da loro. E ottenne da lui che fosse presente al momento del suo transito e di questo lo ringraziò” (Legenda “vulgata”, cit., n. 22). Infatti, a Roma san Filippo si ammalò e si fece quindi trasportare nel convento di San Marco in To-di, ove giunse il 9 agosto. Il 22 seguente, “mentre era in cella con il suo servitore, mes-sosi a sedere sul letto disse: «Portami il Salterio, figlio mio, per cantare le litanie». E quello di corsa gli portò il Salterio; e il padre insieme al ragazzo cominciò devotamente a pro-clamare i sette salmi con le litanie. Arrivati a “Noi peccatori ti chiediamo, ascoltaci”, il beato Filippo venne subito rapito in spirito e posto fuori di sé: divenne nero e deforme come un morto. Il ragazzo, atterrito, scappò via di là e andò a rife-rirlo ai frati che in quel momento stavano pranzando. Alzati-si rapidamente da mensa e correndo con pianto e grande lamento lo trovarono sul letto come morto, brutto, nero e deforme. I frati lo assistevano in pianto da quasi tre ore, quando giunse fra Ubaldo dal Borgo che, pur lontano, era venuto a conoscere la morte del santo uomo tramite la rive-lazione di un angelo di Dio che gli era apparso. Mentre tutti erano in preghiera davanti all’uomo di Dio, il suo spirito ri-prese vita. Aprendo nello stesso tempo gli occhi e la bocca, con le mani alzate al cielo, egli benedisse Dio e, alzatosi a sedere tra le braccia di fra Ubaldo, ottenuto il silenzio, disse ai frati con viso gioioso: «Fratelli miei carissimi, sono stato poco fa in grande lotta con il nemico antico del genere uma-no che mi accusava di molte cose per potermi condannare

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con lui nella geenna del fuoco eterno. Ma da lui mi ha strap-pato il nostro Signore Gesù Cristo e la beatissima Vergine Maria. E mi hanno mostrato in cielo l’incorruttibile e ineffa-bile corona della mia gloria». Dopo aver ricevuto tutti i Sa-cramenti, parlò loro facendo un bel discorso, esortandoli all’umiltà, alla pazienza e alla carità. Terminate queste cose, disse ad alta voce «Sia lodato Dio». Poi sottovoce aggiunse: «Nelle tue mani, ecc.». E così dicendo il suo volto divenne luminoso come il sole e quell’anima santa, pervasa da un profumo dolcissimo, tra le braccia dei frati, sciolta dal cor-po, riposò nella pace ” (Ibidem, n. 24). Una tradizione posteriore riferisce che sul letto di morte il Santo domandò insistentemente il suo “libro”; solo frate Ubaldo comprese che la richiesta riguardava una immagine del Crocifisso cara al morente e gliela porse (cf ADIMARI TADDEO, De origine et laudibus Ordinis Servorum, in: Mo-numenta O. S. M., vol. XIV, p. 40).

La alata prosa del Raffaelli adombra il clima spirituale se-guito alla morte di san Filippo: “Ubaldo e gli altri religiosi, che avevano assistito ad una morte sì preziosa, sì invidiabile, e che avevano udito le soavissime melodie angeliche, rima-sero inondati di gioia ineffabile, la quale mitigò molto il do-lore che provarono cocentissimo nella perdita di sì gran Pa-dre. S'accrebbe la loro gioia quando videro che gli uomini gareggiavano cogli angeli nell’onorare Filippo: conciossiaché i funerali di Filippo non ebbero la forma di lutto e di pianto, ma sì l'aspetto di festa e di trionfo. E la loro gioia toccò il colmo quando l’onnipotente Iddio cominciò ad operare mi-racoli ed a risuscitare anche morti per appalesare ed esaltare la santità, i meriti e la gloria del suo servo Filippo” (Vita, cit., IV).

A Montesenario Dopo aver vissuto con san Filippo per circa 3 anni, frate Ubaldo ottenne dal nuovo Priore generale di fissare la pro-

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pria dimora nell’eremo di Montesenario, ove rimase fino al-la morte. Traspare da tale scelta una determinazione preci-sa: coltivare la spiritualità originaria dei Sette Fondatori, segnatamente l’ispirazione pauperistico-contemplativa, pro-prio quando la congregazione si avviava invece a far divenire prevalenti al suo interno i tratti tipici degli Ordini mendi-canti, inseriti nella vita cittadina. Del resto anche il conven-to del suo natio Borgo si distingueva all’epoca per la cura e l’incremento della vita eremitica nei monti soprastanti; il suo compatriota e confratello, il beato Andrea dal Borgo, morì nello stesso anno del beato Ubaldo nell’eremo della Vallucola, fra la valle Tiberina e la Valle del Marecchia. Come abbiamo già ricordato, dopo i primi 12 anni di vita co-mune in Firenze, desiderosi di maggiore solitudine nel 1245 i Sette Santi Fondatori erano saliti sul Montesenario (a 18 chilometri dalla Città e 800 metri di altitudine), fondandovi un eremo in una proprietà del vescovado fiorentino. “Sulla cima trovarono una radura bellissima, anche se piccola: da una parte una fonte di ottima acqua, tutt’intorno un bosco ordinatissimo, come se fosse stato piantato da mano umana. Questo era davvero il monte preparato loro da Dio. Appariva infatti quanto mai adatto all’ideale che volevano attuare, so-prattutto perché lontano dalle abitazioni e la sua cima pie-namente conforme a chi volesse farvi penitenza (Legenda de origine, in: Fonti storico—spirituali dei Servi di Santa Ma-ria, cit., XLVIII). Con pietre e legname del luogo costruiro-no un piccolo oratorio e una povera abitazione (inglobate nelle costruzioni posteriori, della primitiva chiesetta riman-gono ancora oggi la semplice facciata in pietra e la cosiddet-ta “cappella dell’apparizione”). Anche piccole grotte dei din-torni furono adattate a celle anacoretiche. L’eremitismo montano dei Sette Fondatori fu breve, perché l’accorrere dei discepoli obbligò alcuni di loro a scendere di nuovo nelle città per fondarvi conventi; tutti però vi ebbero poi l’estrema dimora in questo mondo. Per circa 100 anni i Servi di Maria più desiderosi di ascesi solitaria continuarono comunque a vivere sulla cima del Senario.