Beata Alexandrina Maria da Costa - carloacutis.net · a vita della Beata Anna Katharina Emmerich è...

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a Beata Alexandrina Maria da Costa tra le tante esperienze mistiche racconta che Gesù le mostrò come per mezzo della sofferenza, le anime vengano purificate e rese degne del Paradiso: «Gesù si mise in mezzo alla corona del Rosario, aprendola sempre di più e disse: “Tieni salda nelle tue mani la croce, stringila bene al tuo cuore: l’umanità intera sta dentro alla corona del Rosario. Parla, figlia mia, parla alle anime del Rosario e dell’ Eucaristia. Il Rosario, il Rosario! L’Eucaristia, il mio Corpo e il mio Sangue! L’Eucaristia, l’Eucaristia con le mie vittime: ecco la salvezza del mondo. Avessi io molte vittime come quella di questo Calvario, con tutta la generosità, con tutto l’eroismo, in un abbandono totale! Ma non le ho”. In quel momento, senza sapere come, fui sollevata in alto. La croce che avevo nelle mani rimase dietro di me come se io fossi inchiodata su di essa. Il mio cuore divenne un vaso che custodiva sangue. Dai due lati si innalzarono due scale che andavano a terminare ai due estremi del braccio orizzontale. Quella a destra era la scala del Rosario, quella a sinistra era la scala dell’Eucaristia; quella dell’Eucaristia aveva, più o meno a metà, un mazzo di spighe bionde e due grappoli di sola uva. Le anime salivano, salivano in fretta, riempiendo tutta la larghezza delle scale; passavano dalle estremità del braccio orizzontale della croce dentro al vaso che conteneva il sangue: lì si bagnavano, volavano più in alto ed entra- vano in Cielo. Oh, come mi piacerebbe che tutti vedessero questo! Gesù disse poi: “Figlia mia, la tua vita è una predica continua: quando parli, quando sorridi, quando piangi e gemi di più, sovraccarica del peso della croce. E’ un vero esempio per i grandi, per gli umili, per i saggi e per i dottori della Chiesa. Il tuo dolore porta le anime al Rosario e all’Eucaristia. Con il tuo dolore esse salgono quelle due scale di salvezza: dolore e sangue, dolore e croce, croce di salvez- za. Esse, già in alto, passano poi ancora attraverso il crogiuolo del tuo martirio; dopo essersi purificate, dal braccio della croce volano in Paradiso” (…) Venne di nuovo Gesù: “Io sono con te e con te si trova mia Madre benedetta. Era lei dalla parte opposta a sostenere la corona del Rosario. Andiamo dunque a soccorrere il mondo, a salvare i peccatori!”». Colpita da una paralisi progressiva dal 1925, è costretta tra atroci dolori a rimanere a letto inferma. Decide di essere la lampada davanti al Tabernacolo: ogni giorno visita in spirito Gesù presente nell’eucaristia e si offre per i peccatori. Gesù le affida questo programma di vita: «Amare, soffrire, riparare». Dal 1938 rivive le sofferenze della Passione di Gesù: miracolosamente ogni venerdì scende dal letto e riattualizza i momenti della Via Crucis. Per 14 anni si ciberà solo di Eucaristia dopo che Gesù le aveva prean- nunciato: «Non ti alimenterai mai più sulla terra. Il tuo alimento è la mia carne: il tuo sangue, il mio sangue. Grande è il miracolo della tua vita». Il 6 maggio del 1955 le appare la Madonna promettendole di venire presto a prenderla per il Paradiso. Il 13 ottobre volerà in Cielo. «Mia figlia, Mia cara sposa, fa’ che Io sia amato, consolato e riparato nella Mia Eucaristia. Di’ in Mio nome che a quanti faranno bene la Santa Comunione, con sincera umiltà, fervore ed amore nei primi sei giovedì consecutivi, e passeranno un’ora di adorazione davanti al Mio Tabernacolo in intima unione con Me, prometto il Cielo. È per onorare attraverso l’Eucaristia, le Mie Sante Piaghe, onorando per prima quella della Mia Sacra spalla, così poco ricordata. Coloro che al ricordo delle Mie Piaghe uniranno quello dei dolori della Mia Madre benedetta e per essi ci chiederanno grazie sia spirituali che corporali, hanno la Mia promessa che saranno accordate, a meno che non siano di danno per la loro anima. Nel momento della loro morte condurrò con Me la Mia Santissima Madre per difenderli». Gesù alla B. Alexandrina M. da Costa di Balasar L Beata Alexandrina Maria da Costa 1 9 0 4 - 1 9 5 5

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a Beata Alexandrina Maria da Costa trale tante esperienze mistiche racconta

che Gesù le mostrò come per mezzo dellasofferenza, le anime vengano purificate erese degne del Paradiso: «Gesù si mise in mezzo alla corona del Rosario, aprendola sempre di più e disse: “Tienisalda nelle tue mani la croce, stringilabene al tuo cuore: l’umanità intera stadentro alla corona del Rosario.

Parla, figlia mia, parla alle anime del Rosario e dell’ Eucaristia. Il Rosario,il Rosario! L’Eucaristia, il mio Corpo e ilmio Sangue! L’Eucaristia, l’Eucaristia con le mie vittime: ecco la salvezza delmondo. Avessi io molte vittime comequella di questo Calvario, con tutta lagenerosità, con tutto l’eroismo, in unabbandono totale! Ma non le ho”.

In quel momento, senza saperecome, fui sollevata in alto. La croce cheavevo nelle mani rimase dietro di me comese io fossi inchiodata su di essa. Il miocuore divenne un vaso che custodivasangue. Dai due lati si innalzarono duescale che andavano a terminare ai dueestremi del braccio orizzontale. Quella adestra era la scala del Rosario, quella asinistra era la scala dell’Eucaristia; quelladell’Eucaristia aveva, più o meno a metà,un mazzo di spighe bionde e due grappolidi sola uva. Le anime salivano, salivanoin fretta, riempiendo tutta la larghezzadelle scale; passavano dalle estremità delbraccio orizzontale della croce dentro al vaso che conteneva il sangue: lì sibagnavano, volavano più in alto ed entra-vano in Cielo. Oh, come mi piacerebbeche tutti vedessero questo!

Gesù disse poi: “Figlia mia, la tuavita è una predica continua: quando parli,quando sorridi, quando piangi e gemi dipiù, sovraccarica del peso della croce. E’un vero esempio per i grandi, per gli umili,per i saggi e per i dottori della Chiesa. Il tuo dolore porta le anime al Rosario e all’Eucaristia. Con il tuo dolore esse salgono quelle due scale di salvezza: doloree sangue, dolore e croce, croce di salvez-za. Esse, già in alto, passano poi ancora attraverso il crogiuolo del tuo martirio;dopo essersi purificate, dal braccio dellacroce volano in Paradiso” (…)

Venne di nuovo Gesù: “Io sono conte e con te si trova mia Madre benedetta.Era lei dalla parte opposta a sostenere lacorona del Rosario. Andiamo dunque asoccorrere il mondo, a salvare i peccatori!”».

Colpita da una paralisi progressivadal 1925, è costretta tra atroci dolori arimanere a letto inferma. Decide di esserela lampada davanti al Tabernacolo: ognigiorno visita in spirito Gesù presente nell’eucaristia e si offre per i peccatori.Gesù le affida questo programma di vita:«Amare, soffrire, riparare». Dal 1938 rivivele sofferenze della Passione di Gesù:miracolosamente ogni venerdì scendedal letto e riattualizza i momenti dellaVia Crucis. Per 14 anni si ciberà solo diEucaristia dopo che Gesù le aveva prean-nunciato: «Non ti alimenterai mai piùsulla terra. Il tuo alimento è la mia carne:il tuo sangue, il mio sangue. Grande è ilmiracolo della tua vita». Il 6 maggio del1955 le appare la Madonna promettendoledi venire presto a prenderla per il Paradiso.Il 13 ottobre volerà in Cielo.

«Mia figlia, Mia cara sposa, fa’ che Io sia amato, consolato e riparato nellaMia Eucaristia.

Di’ in Mio nome che a quanti farannobene la Santa Comunione, con sinceraumiltà, fervore ed amore nei primi seigiovedì consecutivi, e passeranno un’oradi adorazione davanti al Mio Tabernacoloin intima unione con Me, prometto il Cielo.

È per onorare attraverso l’Eucaristia,le Mie Sante Piaghe, onorando perprima quella della Mia Sacra spalla,così poco ricordata.

Coloro che al ricordo delle MiePiaghe uniranno quello dei dolori della Mia Madre benedetta e per essi cichiederanno grazie sia spirituali checorporali, hanno la Mia promessa chesaranno accordate, a meno che nonsiano di danno per la loro anima.

Nel momento della loro mortecondurrò con Me la Mia SantissimaMadre per difenderli».

Gesù alla B. Alexandrina M. da Costadi Balasar

LBeata Alexandrina Maria da Costa

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a Beata Anna Schäffer ebbe numeroseesperienze mistiche, alcune delle

quali riguardarono anche il Paradiso, cometestimoniò Wally Knoferl, una povera sartadi Pforring, 1’11 luglio 1951, all’ArcivescovoMons. Michele Buchberger: “Nel 1925ebbi spesso l’opportunità di far visita allacara Anna Schäffer. Una volta mi raccontòun sogno meraviglioso, che ancora oggiricordo con commozione.

In quell’occasione Anna mi attiròmolto vicino a sé per potermi parlare abassa voce. Mi disse: ‘Wally, pensa, sonostata tre giorni in Paradiso!’. Le risposi:‘Bene, Anna, com’è andata?’. E Anna miraccontò: ‘Mentre stavo pregando, fuirapita dal mondo. La mia vita pendevasoltanto da un sottilissimo filo. Le nubi si aprirono e apparve un giardino mera-viglioso pieno di fiori, nel quale poteicamminare a lungo. Ad un certo punto mivennero incontro tante vergini e ciascunadi esse fece un inchino davanti a me.Quando ripresi a camminare vidi arrivaredei giovani, molto alti, e in mezzo a loromi venne incontro una Signora la cui bellezza non è minimamente descrivibile.Mi prese per mano e mi disse: Anna, vieni,ora verranno per te i giorni più difficili.Coraggio! Il mio divin Figlio ti ricompen-serà di tutto!’.

‘Ciò che ebbi la fortuna di vedere,non te lo posso descrivere. La dolce Madredi Dio mi condusse più avanti, su unapiazza e disse: Guarda, qui sarà la tua

abitazione per tutta l’eternità! Io guardaie vidi anche il Santo Padre, in Roma, chemi impartiva la sua benedizione.’

‘Fu tremendo, poi, quando dovettiritornare nel mondo!’

A questo punto Anna cominciò apiangere con tanta amarezza e soggiunse:‘Ed ora, Wally, non vorrei altro che morire…’Allora le chiesi di raccontarmi solo un po’com’era il Paradiso, ed ella mi rispose:‘Non posso descriverti tutte le meraviglieche il Buon Dio dona a coloro che loamano’. Ed io le chiesi ancora: ‘Ma inParadiso troveremo le cose che ci sonoqui in terra?’. Capendo cosa intendevo dire,mi rispose: ‘Sì, lì ci sono anche prati eboschi, torrenti e montagne, abitazioni e palazzi, ma tutto è trasparente e spiri-tualizzato, mentre qui in terra tutto èinquinato dalla maledizione del peccato!”.

Nel Martirologio Romano, la figuradella Beata viene così ricordata: “Nel villaggio di Mindelstetten nel territoriodi Ratisbona in Germania, beata AnnaSchäffer, vergine, che all’età di diciannoveanni, mentre prestava servizio comedomestica, si ustionò con acqua bollentee, nonostante il progressivo peggioramentodelle sue condizioni, visse poi serenamentein povertà e in preghiera, offrendo la crocedel suo dolore per la salvezza delle anime.

LBeata Anna Schäffer

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a vita della Beata Anna KatharinaEmmerich è piena di esperienze

mistiche. Il 1° novembre 1819 ebbe lavisione della Chiesa trionfante in Paradiso:«Ho fatto un grande viaggio con la miaguida: sono andata tranquilla con lei neiluoghi più diversi, ho guardato e sonostata felice, se domandavo ricevevo unarisposta e se non la ricevevo ero lo stessocontenta. Siamo andati sui luoghi deiMartiri (Roma), poi abbiamo attraversatomari e terre deserte, fino alla casa di Annae Maria, qui vidi numerosi cori di Santiche interiormente erano tutti un’animasola. Si muovevano con felicità. Il luogo,si presentava come un arco infinito, pienodi troni, giardini, palazzi, archi, corone,alberi, e tutte le vie erano collegate dabagliori di luci dorate e diamantine. Sopra,al centro in alto, si levava infinitamenteavvolta di splendore la sede della Divinità.I Santi e i sacerdoti erano suddivisi secondola loro collocazione nella vita religiosa. I religiosi erano raggruppati secondo il loro Ordine, ed erano classificati oinnalzati secondo la personale battagliache avevano sostenuto nella vita terrena.I martiri stavano tutti vicini, e di nuovoonorati secondo il grado della loro vittoria ed erano suddivisi secondo laloro aspirazione alla santità. Vivevano inmeravigliosi giardini pieni di luce e di case.Incontrai un prete da me già conosciutoche mi disse: “La tua casa non è ancorafinita!”. Vidi anche grandi schiere di soldati

in vesti romane e molta gente conosciuta.Tutti cantavano insieme un dolce inno ed io mi unii a loro. Nella dimensioneceleste e cosmica il globo terrestre si presenta come una piccola sfera e la terrarappresenta solo un piccolo pezzetto disuperficie tra l’acqua. Compresi così ilsignificato della vita nella sua piccolezzae brevità, dove però si può trarre tantogrande profitto e merito. Voglio prenderecon gioia su di me tutta la sofferenza di Dio!».

Il primo novembre del 1820 Ebbeun’altra visione del Paradiso: «Ricevettiuna visione indescrivibilmente significativa:mi apparve un tavolo enorme, rosso ericoperto da un trasparente bianco, apparecchiato con una quantità di verepietanze. Sopra si vedevano anfore dorate che avevano ai margini lettere blu. Dappertutto c’era della frutta e deifiori in un radioso sviluppo. Intorno aquesta tavola su troni sedevano i Santi,raggruppati tra di loro nei diversi ordinidi appartenenza. Religiosi di tutti i tipi,vescovi che servivano a tavola e si pren-devano cura della stessa. Io ero pressoquesta tavola enorme e potei vedere tuttoil giardino grandioso, che si suddividevaformando tanti altri piccoli giardini contavole secondarie, pieno di Cori, anch’essisuddivisi in singoli giardini. Ma tutta l’armonia scorreva e aveva origine unica-

mente da quel grande tavolo al centro. In tutti questi giardini, campi, aiuole, fiorie frutta si trova tutto ciò che vive in ogniessere umano. Il godimento della fruttanon aveva certo per significato il mangiare,ma la presa di coscienza di sé».

LBeata Anna Katharina Emmerich

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aterina nacque nel 1656 a Fort Orange,negli Stati Uniti, da una famiglia della

tribù di Irochesi. Il giorno di Pasqua del1676 ricevette il battesimo. Il 25 marzo1679 fece voto di perpetua verginità, sottoponendosi a pesanti penitenze. Persfuggire alle ire dello zio pagano dovetteriparare nella Missione di S. FrancescoSaverio a Sault presso Montreal, dove fecela Prima Comunione e iniziò una vita dipreghiera. Senza trascurare le funzionireligiose e gli obblighi verso la famigliache l’ospitava, Caterina si isolava spessonella foresta a pregare, recitava il SantoRosario al mattino, girando intorno allapropria campagna coltivata a mais, e terminava le preghiere nella piccola cappella del villaggio. Distrutta dal vaiolo contratto nel 1660 e dai patimenti,morì il 17 aprile 1680 a soli 24 anni. Il 22 giugno 1980, Giovanni Paolo II laproclamò Beata. E’ la prima pellirosse asalire agli onori degli altari.

Sei giorni dopo la morte di Caterina,il lunedì di Pasqua, apparve a una personadi virtù. Mentre si trovava in preghiera,vide la giovane defunta tutta luminosa di gloria, in un atteggiamento maestoso,col viso splendente, elevata verso il Cielocome in estasi.

Questa visione fu accompagnata da tre elementi che la resero ancor piùammirabile: in primo luogo durò due oreintense, e questa persona ebbe tutto iltempo di contemplarla con grande gioia,avendo Caterina voluto mostrare conquesto favore la sua riconoscenza per i

grandi benefici ricevuti quand’era in vita.Inoltre, l’apparizione fu accompagnata dadiverse profezie e da segni simbolici,profezie che in parte si sono verificate ein parte non ancora…

Otto giorni dopo il decesso diCaterina, ella apparve anche ad Anastasia(la sua buona madre spirituale). Unasera, questa fervente cristiana, dopo chetutti si erano ritirati nelle loro dimore,rimasta sola in preghiera, se ne andò adormire. Appena chiuse gli occhi furisvegliata da una voce che diceva:“Madre mia, alzatevi”.

Ella riconobbe la voce di Caterina, esubito, si alzò a sedere, volgendosi dallato da cui veniva la voce, vide Caterinasplendente di luce… portava in manouna croce ancor più splendente che tuttoil resto.

«Io la vidi, raccontò la veggente, bendistintamente in questa apparizione, edella mi indirizzò queste parole che io udiicosì distintamente:

“Madre mia, mirate questa croce!com’è bella! Essa fu tutta la mia felicitàdurante la mia vita e io vi consiglio difarne pure la vostra”».

Dopo queste parole sparì lasciandola sua madre spirituale colma di gioia.Caterina si fece vedere ancora alla suacompagna un giorno in cui se ne stavasola nella sua capanna. Si sedette vicino a lei sulla stuoia, la riprese per qualchecosa, e dopo averle dato alcuni avvisi perla sua condotta, si ritirò.

CBeata Caterina Tekakwitha

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Beata Elisabetta Canori Mora 1 7 7 4 - 1 8 2 5

a Beata Elisabetta Canori Mora appena morta apparve splendente alla

sorella Maria mentre stava recitando lepreghiere prima di coricarsi, e le raccomandòle sue figlie finché fossero sistemate.Dato che non sapeva niente della mortedella sorella, Maria passò la notte insonneper la forte emozione, e al mattino siaffrettò a recarsi alla casa della sorellaper accertarsi se fosse vero. La Beataapparve anche alla giovane Maria Bianchi,mentre era a letto malata e aspettava la cena.Ella «si vide dinanzi tutta splendente laBeata che le disse: «Io me ne vado alCielo, ricordatevi di confessarvi del talpeccato… che per dimenticanza avetelasciato di accusare». Subito dopo l’animadisparve come un lampo. La giovanemandò un grido e chiamò la mamma. Acostei essa disse: «La signora Elisabetta èandata in Paradiso adesso; guarda beneche ora è». «Figlia mia, tu sogni a occhiaperti, ciò è impossibile». Ma Maria insisteva piangendo, e dichiarando, comeprova, che la Beata le aveva manifestatoun peccato dimenticato in confessione. Il giorno appresso la mamma e le sorelledella malata, informatesi, si convinseroche l’ora e il momento dell’apparizionecorrispondevano al tempo del transitodella Beata. Altre apparizioni avvennero aMarino (Roma); in particolare vienericordata quella a un’amica, alla qualedisse: «Se volete venire dove vado io,bisogna che calchiate questa strada spinosa,

e facciate quello che vi ho raccomandatopiù volte quando ero in vita. Non dubitateche non dimenticherò alcuno della vostrafamiglia, e disparve».

Elisabetta Canori Mora nacque a Romail 21 novembre 1774 da Tommaso e TeresaPrimoli, in una famiglia benestante, profon-damente cristiana e attenta all’educazionedei figli. I coniugi Canori avevano dodicifigli, sei dei quali morirono nei primi annidi vita. Nel giro di pochi anni, i cattiviraccolti, la moria di bestiame e l’insolvenzadei creditori, cambiarono la situazioneeconomica e Tommaso Canori si trovòcostretto a ricorrere all’aiuto di un fratelloche abitava a Spoleto che si fece caricodelle nipoti Elisabetta e Benedetta. Lo ziodecise di affidare le nipoti alle monacheAgostiniane del monastero di S. Rita da Cascia, qui Elisabetta si distinse per intelligenza, profonda vita interiore e spirito di penitenza.

Rientrata a Roma, condusse peralcuni anni una vita mondana, facendosinotare per raffinatezza di tratto e bellezza.Elisabetta giudicherà questo periododella sua vita un «tradimento», anche sela sua coerenza morale non venne meno.

Il 10 gennaio 1796 Elisabetta sposòCristoforo Mora, ottimo giovane, colto,educato, religioso, ben avviato nella carriera di avvocato. Dopo alcuni mesi, la fragilità psicologica di Cristoforo Moracompromise tutto. Costretta a guadagnarsi

da vivere col lavoro delle proprie mani,seguì con la massima attenzione le figliee la cura quotidiana della casa, dedicandonello stesso tempo molto spazio alla preghiera, al servizio dei poveri e all’assistenza degli ammalati. Conobbe e approfondì la spiritualità dei Trinitari ed entrò nel Terz’Ordine. Morì il 5 febbraio 1825.

L

ai processi per la canonizzazionedella Beata Maria Assunta Pallotta

troviamo la testimonianza di una personaguarita per sua intercessione: «Da circa ottomesi me ne stavo a letto per paralisi… Miraccomandavo a tanti Santi dei Paradiso,ma avevo una particolare devozione perla Serva di Dio Maria Assunta Pallotta.

Una sera, non posso precisare, mami pare nel maggio o giugno del 1923,verso le ore otto, standomi io bene sveglio nel mio letto, sentii bussare allaporta della camera. Credendo che fossequalcuno di casa, dissi: Avanti, chi è? —Sentii una voce che mi disse: Sono io, Leoni. — Contemporaneamente vidi spalancarsi la porta e comparirmi dinanzila figura di Suor Maria Assunta Pallottanel suo candido abito monacale, cinta ilcapo di una corona di fiorellini bianchi.La Serva di Dio introdusse il discorso:Come stai, Leoni? — Risposi: Male! Sontanti mesi che sono qui inchiodato inquesto letto. — La Serva di Dio riprese:Procura di alzarti. — Ed io: Non possoalzarmi. — Ma provaci, che Dio ti ha fattola grazia. Tu però hai un brutto vizio:bestemmi un po’ troppo. — E poiché iovolevo scusarmi allegando l’abitudine ele circostanze, lei concluse: Bisogna correggersi! — (E difatti ho cercato dicorreggermi). Ciò detto si ritrasse chiu-dendo la porta e scomparve. Allora ioprovai subito ad alzarmi, e difatti poteiscendere dal letto e affacciarmi alla finestra. Mi pareva di essere rinato.

Il giorno appresso mi alzai, uscii per il paese con meraviglia di tutti.L’indomani potei recarmi in campagna al mio roccolo, alla distanza di due chilometri. Da quel giorno cammino sempre con relativa speditezza e facilità.Il Parroco ne fece un referto. Il medicocurante, Dott. Guerriero Consorti, erapartito da Force poco tempo avanti la miaguarigione per assumere la direzionedell’Ospedale di Ancona».

La Beata Maria Assunta Pallotta nacque a Force (Ascoli Piceno) il 20 agosto1878 da Luigi ed Eufrasia Casali, primo-genita di cinque figli. A causa della povertàdella famiglia non poté seguire un corsodi studi regolare ed andò subito a lavorare.La sua vocazione alla vita religiosa arrivòin tenera età: il 4 maggio 1898 partì peril probandato delle suore FrancescaneMissionarie di Maria.

Quando il 9 luglio 1900 sette missio-narie dell’Istituto delle Suore Francescanedi Maria furono martirizzate in Cina,nello Shansi, dai Boxers, Maria chiese diessere inviata missionaria in Cina, prontaa dare la vita per Cristo e per la fede.

La sua domanda fu accolta e MariaAssunta l’anno successivo raggiunse la Cina.

L’inverno del 1905 fu rigidissimo e nello Shansi scoppiò una tremenda epidemia di tifo che colpì anche MariaAssunta. La sera del 7 aprile ricevette ilviatico e venti minuti prima di morire unprofumo misterioso inondò la stanza.

Questo prodigio si ripeté nelle strade dovefu portato il suo feretro, nelle stanza edove ella aveva abitato. Il 7 novembre1954 Maria Assunta, chiamata dai cinesi«la santa dei profumi», venne beatificatada Pio XII.

DBeata Maria Assunta Pallotta

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el 1857 un terribile terremotodistrusse molti paesi della Campania

e della Basilicata, provocando morti eferiti. Un operaio, per conto dei suoicompagni di lavoro, si mise in viaggioverso Latronico per accertarsi dei dannisubiti. Mentre viaggiava alla volta delpaese, gli venne incontro un sacerdote,con una fascia di cuoio lucido ai fianchie con un Rosario tra le mani. Il sacerdotelo salutò e dopo averlo osservato glidisse: «Mi riconosci?». L’operaio cercò di ricordare se lo aveva già incontrato,ma non lo riconobbe e gli ripose di no.Allora, il presbitero gli disse che eppurelo aveva conosciuto di persona moltotempo fa. Chiese poi all’operaio dove sistava dirigendo e avuta la risposta lo rassicurò dicendogli che a Latronico ilterremoto non aveva prodotto danni. Ilsacerdote continuò a parlare spiegandogliquanto male fanno gli operai a lavorarenei giorni di festa e lo invitò a non seguiregli altri su questa strada. Quindi gli dettealcuni consigli e all’improvviso scomparve.L’operaio rimase stupito e cominciò aripercorrere con la mente quanto eraavvenuto negli ultimi minuti e improvvi-samente si ricordò che effettivamente unatrentina di anni prima aveva incontrato il Beato Domenico Lentini e che comevetturale lo aveva trasportato dopo laQuaresima predicata a Latronico.

Il Beato Domenico Lentini nacquenella città di Lauria, il 20 novembre 1770da Macario e Rosalia Vitarella, di poverecondizioni economiche. A 14 anni scelsedi seguire la vocazione al sacerdozio. L’8giugno 1794 venne ordinato sacerdote.Infiammato dallo Spirito Santo, venivachiamato dai contemporanei «un angeloall’altare», anche a causa delle frequentiestasi. Il Beato si dedicò con tutte le sueforze alla Confessione, evangelizzazione,predicazione e catechesi non solo a Lauria,ma anche nei paesi, del circondario.

Nutriva un tenera devozione a GesùCristo Crocifisso e l’Addolorata. Avevauna profonda cultura, che metteva adisposizione di tutti. Per trenta anniragazzi e giovani affollarono la sua poveracasa in una vera e propria scuola cattolica.Insegnò gratuitamente lettere e scienze,osservando una strettissima povertàvolontaria. Nei bisognosi scorgeva Cristoe per questo donava quanto possedeva:vestiti, pane e il poco denaro. Viveva incontinua penitenza: cibi frugali, mortifi-cazioni corporali, vesti logore, cilizi e flagellazioni, pochissimo sonno e il pavimento per giaciglio. Aveva il donodella profezia, della scrutazione dei cuori,dei miracoli. Morì il 25 febbraio 1828, dopoun’agonia vissuta nel completo abbandonomistico. Il suo corpo, martoriato da flagellie digiuni, per tutto il tempo dei funerali

durati sette giorni rimase flessibile ecaldo, effondendo sangue vivo e soaveodore. Si aprirono i suoi occhi davantiall’Ostia, di fronte ai suoi parenti edamici, e ai miscredenti.

NBeato Domenico Lentini

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uor Caterina Capitani era una suoradella provincia napoletana della

Congregazione delle Figlie della Carità.Nel 1962 svolgeva l’incarico di infermieranegli ospedali riuniti di Napoli. Avevadiciotto anni quando all’improvviso undolore intercostale la colpì. Al momentonon dette molta importanza alla cosa,dopo due mesi però ebbe un’emorragiadalla bocca. Le uscì sangue rosso vivo esiccome le avevano spiegato che quelleemorragie significavano aver contratto la tisi, ebbe molto spavento, perché nonavrebbe più potuto rimanere nellaCongregazione, in quanto si richiedevache le aspiranti fossero in buona salute.Per questo, decise di non dire niente a nessuno, anche se rimase impaurita dall’accaduto. Per sette mesi non avvennenessun altro episodio, fino a quandoimprovvisamente sopraggiunse un’altraemorragia. Fu necessario perciò fareaccertamenti: analisi, radiografie al toracee allo stomaco, ma i medici non trovarononulla. Seguirono ulteriori visite e accertamenti nell’ospedale “Assalesi”,dove un’esofagoscopia rivelò una zonaemorragica nel segmento toracico. SuorCaterina venne portata da un celebreematologo, ma senza risultati. Venne condotta dal professor Tannini, famosomedico e direttore dell’Istituto di semio-tica chirurgica dell’Università di Napoli,

il quale la sottopose a un’operazione. Lostomaco all’interno era completamentericoperto di varici: una forma ulcerosaforse dovuta al malfunzionamento delpancreas e della milza. Il professore fucostretto ad asportarle lo stomaco, lamilza e il pancreas. L’intervento fu moltodelicato e si temeva per la vita della Suora.Le sue consorelle iniziarono a pregarePapa Giovanni XXIII. Seguirono periodidi tregua ad altri di riacutizzazione delmale. Molte volte giunse quasi in fin divita. Il professore pensò di mandarla acasa a Potenza, per vedere se l’aria natial’avrebbe guarita, ma tornò a Napoli dopodue mesi peggio di prima. Il 14 maggio1966, dopo una breve crisi di vomito, lesi aprì una ferita nello stomaco dal qualeuscivano succhi gastrici e sangue. Vennericoverata d’urgenza per perforazionecausata da una fistola esterna. Aveva oltre 40 gradi di febbre a causa di unaperitonite diffusa. Le venne concesso di emettere i voti religiosi prima dellascadenza fissata e le venne amministratoil Sacramento dell’Unzione degli Infermi.Intanto, una consorella le portò una reliquia di Papa Giovanni XXIII e glielamise sulla ferita. Il 25 maggio verso le 14e 30 Suor Caterina si addormentò, quando si sentì premere la ferita sullostomaco e si svegliò dalla voce di unuomo che la chiamava. Credendo che fosse

il professor Tannini, si voltò, ma invece,si trovò davanti Papa Giovanni XXIII chetenendole la mano sulla ferita le disse:«Non temere, non hai più niente. Suonail campanello, chiama le Suore che stannoin cappella, fatti misurare la febbre evedrai che la temperatura non arriveràneppure a 37 gradi. Mangia tutto quelloche vuoi, come prima della malattia. Nonavrai più niente. Vai dal professore, fattivisitare, fa delle radiografie e fai metteretutto per iscritto, perché un giorno questecose serviranno».

SBeato Papa Giovanni XXIII

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a testimonianza di un bambino sisette anni contenuta nei processi

di canonizzazione del Beato Pio IX cidescrive il suo ingresso in Paradiso: «Inuna nobile famiglia cattolica del Belgio…un bambino di circa sette anni era mori-bondo. La madre addoloratissima se nestava presso il letto, aspettando l’ultimorespiro del figlio. Era il 7 febbraio 1878alle 5 e tre quarti pomeridiane, al toccodell’Ave Maria. A un tratto il bambino sianima, si solleva, fissa gli occhi al Cielo estende le braccia esclamando: Mamma,che vedo! — Che cosa vedi, figlio mio? —disse la madre. — Pio IX che va su su! Oh quanto è bello! Tutto luminoso! — Lasignora credendo che il bambino delirasseprocurava di calmarlo, ma un istantedopo il bambino esclamava di nuovo: Oh mamma, che bella cosa! La Madonnaquanto è bella e sorridente! Ha una corona preziosa in mano. Ecco va incontroa Pio IX, gli pone la corona sul capo. —Dopo essere rimasto un istante a contem-plare così giocondo spettacolo, il bambinovolgendosi alla madre, che era rimastasbalordita, le disse: Mamma, sono guarito.La Madonna e Pio IX mi hanno benedettoe guarito.

Il bambino era guarito difatti e pienodi vigore. La pia signora che ignorava lo stato allarmante della salute delPontefice, fuori di sé dallo stupore, mandò

un domestico all’ufficio del telegrafo perchiedere se si avessero notizie da Roma.Purtroppo fu risposto: E’ giunto pocanziun dispaccio il quale dà l’infausta notiziache il Santo Padre è spirato alle 5 e trequarti pomeridiane».

Il Beato Pio IX nacque aSenigallia, il 13 maggio 1792 dalla nobilefamiglia Mastai Ferretti. Dal 1803 al 1808compì gli studi nel Collegio dei Nobili aVolterra diretto dagli Scolopi. Dal 1814fu ospite dello zio Paolino, canonico diSan Pietro, e poté proseguire gli studi diteologia e filosofia nel Collegio Romano.Il 10 aprile 1819 venne ordinato sacerdote.Il giorno successivo celebrò la prima Messanella chiesa di Sant’Anna dell’ospizioTata Giovanni, dove svolgeva apostolatotra i giovani. Il 24 aprile 1827, a soli trentacinque anni, venne nominatoArcivescovo di Spoleto. Il 6 dicembre1832 venne trasferito a Imola e il 14dicembre 1840 venne creato Cardinale.Il 16 giugno 1846 venne eletto Papa. Il16 luglio successivo concesse l’amnistiaper i reati politici. Dall’agosto 1846 almarzo 1848 promosse varie riforme, tra le quali la libertà di stampa. Con l’allocuzione del 29 aprile 1848 contro la guerra all’Austria cominciò un nuovoperiodo. Dal 24 novembre 1848 al 12aprile 1850 fu costretto all’esilio a Gaeta.

L’8 dicembre 1854 definì il dogmadell’Immacolata Concezione. L’8 dicembre1869 venne aperto il I Concilio Vaticano.L’8 dicembre 1870 proclamò San GiuseppePatrono della Chiesa universale e il 16 giugno1875 la consacrò al Sacro Cuore di Gesù.Morì il 7 febbraio 1878.

LBeato Pio IX

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lle volte i beati vengono per invitareal Cielo amici e devoti, per dar loro

l’avviso di prepararsi all’ingresso alla patriaceleste, o per adempiere qualche promessafatta in vita. Nei processi di beatificazionee canonizzazione di San Clemente Hofbauer(morto nel 1820) si legge: «Zaccaria Werner,noto scrittore cattolico, era stato il capodei persecutori che espulsero il VenerabileServo di Dio e i suoi discepoli daVarsavia. Più tardi, a Roma, abbracciò laFede Cattolica, e fu speciale grazia dellaDivina Provvidenza che questo avversariodel Servo di Dio gli sia poi diventatodiscepolo, amico e devoto. Per più anni,fino alla morte del Venerabile Servo diDio, si sottomise alla sua direzione comeun bambino. Era la prima domenicad’Avvento – come credo di sapere concertezza – quando (il Werner) cominciòla predica con queste parole che ancoratengo a memoria: “Non vivrò più a lungo;questo infatti mi disse il Padre Hofbauer.Recitate le preghiere della sera, ero coricato a letto, quando d’improvviso lacamera si illuminò di una luce chiara che superava la luce del sole. E nellosplendore vidi il padre Hofbauer, amicoe maestro mio. Aveva nelle sue mani ungiglio, un ramo di olivo e la palma e miparlò così: “Zaccaria, vieni vieni, frabreve tempo vieni”. Ciò detto sparve.Questa apparizione non è una fantasia.

Non sognavo, ed è così certo che io hoveduto il padre Hofbauer come è certoche io vivo e che sono in chiesa alla presenza del mio Dio Eucaristico. Mi èrimasta ancora adesso una certa debolezza,e so di certo che fra poco morirò”.

E come il Werner disse, così avvenne.Passate poche settimane, per quanto orami ricordo, dopo la festa dell’Epifaniadell’anno 1823 (se non sbaglio) morì».

Fra i miracoli operati dal santo postobitum si narrano altre tre apparizionidel medesimo, una delle quali a un magi-strato, ottima persona, ma per indole alienissimo e incredulo alle visioni.

San Clemente nacque a Tasswitznella Repubblica Ceca, il 26 dicembre1751. A otto anni lavorava già comeapprendista fornaio nella cittadina diZnaim (o Zvojmo) in Moravia: la suanumerosa famiglia rimase orfana dipadre molto presto. Poi andò a lavorarecome servitore in una vicina abbazia,dove frequentò anche il ginnasio fino a16 anni. Decise poco dopo di ritirarsi a vita eremitica e trascorse due anni disolitudine, durante i quali l’ex studenteGiovanni Evangelista assunse il nome diClemente Maria. Sembrava ormai averedimenticato gli studi definitivamentequando nel 1780 ricominciò a studiare aVienna, la capitale imperiale. Con l’aiuto

di una ricca famiglia, studiò filosofia eteologia all’Università e approfondì lacatechesi alla scuola per insegnanti diSant’Anna. Durante un pellegrinaggio aRoma, nel 1784, entrò nella Congregazionedei Redentoristi, fondata da Sant’AlfonsoMaria de’ Liguori, e divenne sacerdotedopo aver pronunciato i voti nel 1785.Per 21 anni fu a Varsavia, istituendovi la prima casa dei Redentoristi. Morì il 15 marzo 1820.

ASan Clemente Maria Hofbauer

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an Domenico Savio, alunno salesianomorto nel 1857 e canonizzato nel 1954,

dopo la sua morte apparve a San GiovanniBosco. Il Santo Fondatore narrava cosìl’apparizione ai suoi giovani e ai superioridella Congregazione:

«Mi trovavo a Lanzo ed ero nellamia stanza. D’un tratto mi vidi sopra una collina. Il mio sguardo si perdevanell’immensità di una pianura. Essa eradivisa da larghi viali in vastissimi giardini.I fiori, gli alberi, i frutti erano bellissimi,e tutto il resto corrispondeva a tantamagnificenza.

Mentre contemplavo tanta bellezza,ecco diffondersi una musica soavissima.Erano centomila strumenti e tutti davanoun suono differente l’uno dall’altro. A questisi univano i cori dei cantori.

Mentre estatico ascoltavo la celestearmonia, ecco apparire una quantitàimmensa di giovani che veniva verso dime. Alla testa di tutti avanzava DomenicoSavio. Tutti si fermarono davanti a mealla distanza di otto-dieci passi… Allorabrillò un lampo di luce, cessò la musica esi fece un grande silenzio. DomenicoSavio si avanzò solo di qualche passoancora e si fermò vicino a me. Come erabellissimo! Le sue vesti erano singolari;la tunica bianchissima, che gli scendevafino ai piedi, era trapuntata di diamantied era intessuta d’oro. Un’ampia fasciarossa cingeva i suoi fianchi, ricamata digemme preziose così che una toccava

quasi l’altra. Dal collo gli scendeva unacollana di fiori mai visti, sembrava chefossero diamanti uniti. Questi fioririsplendevano di luce. Il capo era cinto di una corona di rose. La capigliatura gliscendeva ondeggiante giù per le spalle e gli dava un aspetto così bello, così affettuoso, così attraente che sembrava…,sembrava un Angelo.

Io ero muto e tremante. AlloraDomenico Savio disse:

— Perché te ne stai muto e sgomento?— Non so cosa dire — risposi — Tu dunquesei Domenico Savio?

— Sono io! Non mi riconosci più?— E come va che ti trovi qui?— Sono venuto per parlarti. Fammi

qualche interrogazione.— Sono naturali tutte queste meravi-

glie che vedo?— Sì, abbellite però dalla potenza

di Dio.— A me sembrava che questo fosse

il Paradiso!— No, no! Nessun occhio mortale

può vedere le bellezze eterne.— E voi dunque cosa godete in

Paradiso?— Dirtelo è impossibile. Quello

che si gode in Paradiso non vi è uomomortale che possa saperlo, finché non siauscito di vita e riunito al suo Creatore.

— Orbene, mio caro Savio, dimmiquale cosa ti consolò di più in punto di morte?

— Ciò che mi confortò di più inpunto di morte fu l’assistenza dellapotente e amabile Madre del Salvatore,Maria Santissima. E questo dillo ai tuoigiovani: che non dimentichino di pregarlafinché sono in vita!».

SSan Domenico Savio

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ella biografia di San Francesco di Salessi trova un episodio nel quale un

contadino offrì un esempio di come uncristiano anela al Paradiso. «Il Santo sitrovava in visita pastorale della sua diocesi,quando venne avvertito che un contadino,gravemente ammalato, desiderava vederloper avere la sua benedizione. Vi andò subitoe trovò un vecchio vicino alla morte conuna grande lucidità di mente.

— Monsignore, gli disse quel conta-dino, ringrazio il Signore che prima dimorire mi dà la possibilità di ricevere la sua benedizione.

Poi chiese di confessarsi. I familiarisi ritirarono in un’altra stanza lasciandosoli il Vescovo con il moribondo.

Dopo la confessione gli chiese:— Monsignore, morirò?— Fratello mio, rispose il Santo, il

medico potrebbe dirvelo meglio di me.— Monsignore, io chiedo il suo parere:

morirò?— Tutti dobbiamo morire, ma il

momento è incerto. Quanto a voi, fratellomio, non è assolutamente certo che siaarrivata la vostra ora. Altri, in maggiorepericolo, sono guariti.

— Monsignore, non creda che io glifaccia questa domanda, riprese a dire ilbuon vecchio, perché abbia paura dellamorte, al contrario temo piuttosto di non morire.

Il Santo fu molto sorpreso da taliparole, possibili solo in anime perfette,oppure in anime cadute in profondo scoraggiamento.

— Dunque non vi dispiace di morire?— Assolutamente no, e se non fosse

stata volontà di Dio che io arrivassi aquesta mia età, io su questa non ci sareipiù da molto tempo.

— Ma ditemi, a che cosa è dovutoquesto vostro disgusto della vita? A penesegrete, a perdita di beni, a dispiaceri in famiglia?

— Niente affatto, ho 70 anni e finoad ora ho avuto sempre una buona salute;beni temporali ne ho anche troppi; dellafamiglia non mi posso lamentare affatto.

— Ma allora, fratello mio, perchévolete morire?

— Monsignore, rispose il vecchio,nelle prediche ho sentito parlare dellemeraviglie della vita futura e delle immensegioie del Paradiso, per cui la vita presentemi pare una vera prigione…

E qui il contadino cominciò a parlaresulla nullità dei beni terreni e sullaimmensa felicità del Paradiso con talefervore da far commuovere il SantoVescovo fino alle lacrime. Il Santo poi lo confermò in questi suoi sublimi senti-menti, gli fece ripetere atti di abbandonoalla volontà di Dio e gli amministrò personalmente l’olio degli Infermi. Dopopoco tempo quell’uomo virtuoso spiròdolcemente e il suo volto si atteggiò a unadolce serenità, come se l’anima partendodal corpo, vi avesse lasciato l’improntadella beatitudine celeste».

Il Messale Romano così ricorda ilSanto: «Vescovo di Ginevra, fu uno deigrandi maestri di spiritualità degli ultimi

secoli. Scrisse l’Introduzione alla vita devota(Filotea) e altre opere ascetico-mistiche, dovepropone una via di santità accessibile atutte le condizioni sociali, fondata intera-mente sull’amore di Dio, compendio diogni perfezione (Teotimo). Fondò conSanta Giovanna Fremyot de Chantall’Ordine della Visitazione. Con la suasaggezza pastorale e la sua dolcezzaseppe attirare all’unità della Chiesa molti calvinisti ».

NSan Francesco di Sales

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an Francesco Saverio Maria Bianchi,barnabita, detto l’apostolo di Napoli,

ebbe in vita rapporti di amicizia spiritualecon una suora terziaria francescana,Santa Maria Francesca delle CinquePiaghe. Durante la sua ultima malattia, ilSanto attendeva dal Cielo che si avverasseuna profezia dettale dalla Santa. Il 29 gennaio 1815, al padre Ceraso, suoconfessore, disse: « “La Santa è stata di parola: ha tenuta fedelmente la suapromessa”. E raccontò che Maria Francesca(morta nel 1791) era venuta la sera pre-cedente, gli si era seduta accanto al lettoper fargli pregustare le gioie dell’eternitàfelice. Era questo per lui il segnale delladipartita. Da tempo il padre ne aveva parlato ai discepoli: “Tre giorni primadella mia morte essa verrà a visitarmi esarà qui come vi siamo tu e io”». A suavolta il Santo, l’anno dopo la propriamorte apparve per compiere il primo deidue miracoli proposti e approvati per labeatificazione. Maria Casabona, di ventitréanni, colpita da emiplegia, era ridotta agiacere impotente sopra una sedia, spessoin preda a dolori atroci. Le comparve ilSanto – al quale si era rivolta invocandola grazia – e le disse: «Alzati su, che staibene; più non soffrirai di questo male».La guarigione, che produsse grandeimpressione in tutti, fu istantanea e duratura, e dodici anni dopo la Casabonapoteva renderne testimonianza giuratadavanti ai giudici ecclesiastici.

San Francesco Saverio Maria Bianchinacque ad Arpino, (Frosinone), il 2 dicem-bre 1743. Studiò nel Seminario di Nola eall’università di Napoli. Nel 1762 entrò nellaCongregazione dei Barnabiti e proseguìgli studi a Macerata, Roma e ancora Napolidove fu ordinato sacerdote nel 1767. La sua fama di dotto barnabita gli diedevari incarichi di prestigio che espletò congrande capacità: superiore per 12 annidel Collegio di S. Maria in Cosmedin aPortanova; professore straordinario dal1778 nella Regia Università; socio dellaReale Accademia di Scienze e Lettere edell’Accademia Ecclesiastica.

Ben presto fu conosciuto come unsanto, perché sempre più in lui avvenivala sostituzione degli studi e della fre-quentazione dei circoli degli eruditi, conle opere di carità, la contemplazione el’apostolato specie fra gli umili del suoquartiere. Dedito alla penitenza non virinunciò neanche quando fu colpito dauna misteriosa malattia alle gambe che lo immobilizzò negli ultimi tredici annidella sua vita: anzi, negli ultimi tre anniriuscì prodigiosamente a celebrare Messareggendosi in piedi sulle gambe gonfie e piagate. Morì a Napoli il 31 gennaio 1815.Leone XIII lo beatificò il 22 gennaio 1893e Pio XII lo canonizzò il 21 ottobre 1951.

SSan Francesco Saverio Maria Bianchi

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miracoli attribuiti a San Gaspare delBufalo sono innumerevoli: a Mergo,

una povera «rattrappita» si fa portare alconfessionale di Gaspare, chiedendogli diguarirla. Egli le dice di farsi condurre apregare davanti al quadro di S. FrancescoSaverio. Guarisce prima che vi giunga. A Veroli, Antonia Calvani, che da annisoffre di «flussi di sangue» ed è statadichiarata inguaribile dai suoi medici, riesce,tra la folla, ad avvicinarlo e a toccare illembo della sua veste; guarisce subitocome l’emorroissa del Vangelo. A Privernoguarisce una giovane gravemente malataal petto. Ad Ariccia il Santo procede portando la Croce da «piantare» a ricordodella missione. Una donna si accosta alMerlini con il bambino che non riesce acamminare. Il Merlini le dice di andareda Gaspare. Il fanciullo si aggrappa allaveste del Santo. Il giorno dopo fu vistogiocare e correre con gli altri bambini.Molti anni dopo il Merlini lo rivide guarito. A Cori una madre gli presenta lafiglioletta «cionca»; il Santo la benedice eguarisce. A Mergo un uomo va a trovarloe lo scongiura di guarire il figliolo gravemente malato. Gaspare gli ordina di donare dodici vesti per i confratelli di S. Francesco Saverio e il figlio sarebbeguarito. Non appena li consegnò, il figlio guarì.

Nel settembre del 1824 fu chiamatodal parroco D. Felice De Benedictis alcapezzale di un giovane moribondo.Gaspare asperse con l’acqua benedetta di S. Francesco Saverio il malato e questiguari all’istante. Teresa Cecchini, malatadi mente, fuggiva di casa, si strappava levesti e commetteva stranezze; fu portataal suo cospetto. Egli la benedisse e fuguarita immediatamente. Nel 1829 aMacerata Feltria guarì Federico Corradini,che, per la sua malattia mentale, s’era resotalmente pericoloso, da doverlo chiuderee tenere incatenato in carcere. Il Merliniracconta la guarigione operata da Gasparea un fanciullo, che, feritosi gravemente aun ginocchio con la roncola, non avrebbemai più potuto camminare in vita sua. Il P. Barrera dei Dottrinari scrive che aPontecorvo un suo alunno, che nulla riteneva a memoria, allorquando Gasparegli teneva le ma¬ni sul capo, ricordavatutto. Fermò con mano benedicente uncontadino che dal cavallo imbizzarritostava per precipitare in un burrone. AGiambattista Pedini, che era a letto conalte febbri da vari mesi a Frosinone,comandò di alzarsi e partire immediata-mente per Roma. L’infermo, senza farealcuna rimostranza, ubbidì e guarì subito.Michele De Mattias di Vallecorsa nel1827, non essendo riuscito a ottenere il

permesso di piantare il tabacco in un terreno di sua proprietà, per non perderl’annata, vi piantò granturco. Quando ilgranturco era già cresciuto, il permessoarrivò. Ne parlò a S. Gaspare, il quale gli consigliò di distruggere il granturco e piantarvi il tabacco, perché avrebbeguadagnato di più. Sebbene la piantagionefosse avvenuta in ritardo, il tabacco raccoltoin quel fondo fu il migliore e il piùabbondante di tutti gli altri coltivatoridel luogo.

ISan Gaspare del Bufalo

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an Giovanni Bosco, da giovane studentenel seminario di Chieri, fece questo

patto con il suo amico e condiscepoloComollo: chi dei due fosse morto perprimo sarebbe venuto la notte seguente a informare l’altro della propria sorte, acondizione che Dio l’avesse permesso.«Io ignoravo tutte le conseguenze di unasimile promessa, scriverà più tardi donBosco, e confesso che fu una grande follia;così io consiglio vivamente gli altri diastenersene. Ma noi allora non trovammonulla di riprensibile in questa promessaed eravamo ben decisi a mantenerla. La rinnovammo più volte, in particolaredurante l’ultima malattia di Comollo. Leultime parole di Comollo e il suo sguardomi assicurarono dell’adempimento delnostro patto.

Nel seminario di Chieri, la notte dal3 al 4 aprile 1839, che seguiva il giornodella sepoltura di Luigi Comollo, io –raccontò Giovanni – riposavo con ventialunni del corso teologico… Ero a lettoma non dormivo. Sullo scoccare dellamezzanotte, si ode un cupo rumore infondo al corridoio, rumore che si rendevapiù sensibile, più cupo, più acuto a misurache si avvicinava. Pareva quello di un carrettone tirato da molti cavalli, di un treno di ferrovia, quasi dello sparo di un cannone… I seminaristi di quel dormitorio si svegliano, ma nessuno parla.

Io ero impietrito dal timore. Il rumore siavanza, e sempre più spaventoso; e pressoil dormitorio si apre da sé violentementela porta. Continua più veemente il fragoresenza che si veda cosa alcuna, eccettouna languida luce, ma di colore vario, chepareva regolatrice di quel suono. A uncerto momento si fa improvviso silenzio:splende più viva quella luce; si ode distintamente risuonare la voce del Comollo(ma più esile di quando era vivo) che,per tre volte consecutive, dice: Bosco!Bosco! Bosco! io sono salvo!

In quel momento il dormitoriodivenne ancor più luminoso, il cessatorumore si fece riudire di gran lunga piùviolento, quasi tuono che sprofondasse lacasa, ma tosto cessò, e ogni luce disparve.I compagni, balzati dal letto, fuggironosenza saper dove… Tutti avevano udito il rumore. Parecchi intesero la voce,senza capirne il senso... Io ho soffertoassai e fu tale il mio spavento che in quell’istante avrei preferito morire. Fu laprima volta che, a mio ricordo, abbiaavuto paura. Di qui incominciò unamalattia che mi portò all’orlo della tomba,e mi lasciò così malandato di salute chenon ho potuto più riacquistarla, se nonmolti anni dopo».

SSan Giovanni Bosco

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an Giovanni della Croce nel “Canticospirituale” descrisse con molti parti-

colari gli effetti dell’unione dell’animacon Dio: «E’ del tutto impossibile dire ciò che Dio comunica all’anima in questaintima unione. Non se ne può dire niente,come niente si può dire che corrispondapienamente a ciò che Dio è in sé, poiché èLui stesso che si dà all’anima con ammirabilegloria di trasformazione di lei in Lui. Essisono due persone in un sola, sebbenenon essenzialmente e perfettamente comenell’altra vita, come un’unica cosa sono il cristallo e il raggio di sole, il carbone eil fuoco, la luce delle stelle e quella delsole. E così per far comprendere quantoriceve dal Signore in questa unione, l’animanon fa altro né, a mio parere, potrebbefare altro e con maggiore proprietà cheaffermare nel verso seguente: io bevvidell’Amato. Come la bevanda si spargeper tutte le membra tramite le vene delcorpo, così questa comunicazione di Diosostanzialmente si diffonde in tutta l’animao, per dire meglio, è piuttosto l’anima che si trasforma maggiormente in Dio,trasformazione secondo la quale, inconformità con la propria sostanza e conle proprie potenze spirituali, ella beve delsuo Dio. Infatti secondo l’intelletto bevesapienza e scienza, secondo la volontàbeve amore soavissimo, secondo lamemoria beve gioia e diletto nel ricordoe nel sentimento di gloria».

E ancora nella “Salita del MonteCarmelo”, il Santo affermò: «Le animepossiedono per partecipazione gli stessibeni che Egli [Dio] possiede per natura.In forza di ciò esse sono veramente Dioper partecipazione, uguali a Lui e suecompagne. Perciò San Pietro dice: “Sianocomplete in voi la grazia e la pace nellacognizione di Dio e di Gesù Cristo NostroSignore in quella maniera in cui ci sonodate tutte le cose necessarie alla vita ealla pietà, per mezzo della conoscenza di Colui che ci chiamò con la sua gloria e virtù e per mezzo del quale ci dettepromesse molto grandi e preziose, affinchéper queste diventassimo partecipi delladivina natura”. (2 Pt 1, 2-4). Fin qui sonoparole di San Pietro. In esse si fa intenderechiaramente che l’anima partecipa di Diocompiendo con Lui, in compagnia di Lui,l’opera della Santissima Trinità nel modogià descritto a causa dell’unione sostanzialeesistente tra lei e Dio. Se è vero che ciò siverifica perfettamente solo nell’altra vita,tuttavia anche in questa, allorché si giungaallo stato perfetto, come ha fatto l’animadi cui parliamo, se ne gusta un grande saggio,quantunque non si sappia esprimere».

San Giovanni della Croce nacque aFontiveros in Spagna, nel 1540. Rimaseben presto orfano di padre. Nel 1563 aMedina entrò tra i Carmelitani. Dopo glistudi di filosofia e Teologia a Salamanca,

nel 1567 venne ordinato sacerdote. Lostesso anno incontrò Santa Teresa di Gesùche lo convinse ad aderire alla riforma.Morì a Ubeda, il 14 dicembre 1591.

SSan Giovanni della Croce

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an Giovanni Evangelista nell’Apocalissenarra la visione del Paradiso: «Io,

Giovanni, vostro fratello e compagnonella tribolazione, mi trovai nell’isola di Patmos. Fui rapito in estasi in giornodi domenica ed udìi dietro a me unavoce potente, come di tromba, la qualemi diceva: Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiesedell’Asia… Mi voltai per vedere chi miparlava e vidi sette candelabri d’oro ed in mezzo c’era uno simile al Figlio dell’uomo, vestito in abito talare e cintoil petto d’una fascia d’oro. Aveva il capoed i capelli candidi come neve; i suoiocchi erano come il fuoco fiammante. i suoi piedi simili a rame arroventato; la sua voce era come il rumore di molteacque; la sua faccia era come il sole,quando risplende in tutta la sua forza …Io caddi ai suoi piedi come morto ed egli, posata sopra di me la sua destra, mi disse: Non temere! Io sono il primo el’ultimo; sono il Vivente e fui morto; ed ecco io vivo nei secoli dei secoli ed hole chiavi della morte e dell’inferno …Dopo guardai ed ecco una porta apertanel Cielo e la voce che avevo udito primami parlò di nuovo: Sali qua e ti farò vederele cose che dovranno accadere. – E subitofui rapito in spirito; ed ecco un tronoinnalzato nel Cielo. Colui che vi stava asedere era nell’aspetto simile alla pietra

di diaspro e di sardio ed intorno al tronoera un’iride simile a smeraldo…Ventiquattro vegliardi si prostraronodavanti all’Assiso dinanzi al trono, dicendo:Degno sei, o Signore nostro Dio, di rice-vere la gloria, l’onore e la potenza, perchétu creasti tutte le cose e per volere tuoesse esistono! …

Mirai ed udi intorno al trono la vocedi molti Angeli, numerosi a migliaia dimigliaia, che dicevano: L’Agnello che èstato immolato è degno di ricevere lapotenza, la divinità, la sapienza, la fortezza,l’onore, la gloria e la benedizione! …

E tutte le creature che sono in Cielo,le senti tutte dire: All’Assiso sul trono ed all’Agnello onore, gloria e potenza pertutti i secoli! …

Dopo di questo guardai e vidil’Agnello e con Lui centoquarantaquattromila persone, che avevano scritto in fronte il suo nome e quello del Padresuo. Udìi un suono, che era come un concerto di arpisti che suonano i lorostrumenti, e si cantava un cantico nuovodinanzi al trono, cantico che nessunopoteva imparare, se non quei centoqua-rantaquattro mila riscattati dalla terra,quelli cioè che si sono mantenuti vergini.Essi seguono l’Agnello dovunque vada…Poi vidi un’immensa folla, che nessunopoteva contare, d’ogni nazione e tribù epopolo e linguaggio. Essi stavano davanti

al trono e davanti all’Agnello, in bianchevesti e con palme in mano e dicevano: Lasalute al nostro Dio, che siede sul tronoed all’Agnello! – Un Angelo mi disse:Scrivi: Beati Coloro che sono stati chiamatial banchetto nuziale dell’Agnello!».

SSan Giovanni Evangelista

San Giuseppe da Copertino bastavaripetere “Paradiso, Paradiso” per

rimanere rapito in estasi. Il Santo nacquea Copertino il 17 giugno 1603 in provinciadi Lecce, nell’allora “Regno di Napoli”.Durante l’infanzia, fu gravemente amma-lato per lungo tempo, e fu miracolosamenteguarito nel Santuario della Madonnadelle Grazie di Galatone. All’età di ottoanni, Giuseppe ebbe una visione mentreera a scuola e ciò si ripeté altre volte. Eraanche molto lento e distratto, girovagavasenza meta. Non riusciva raccontare unastoria sino alla fine e spesso s’interrompevanel mezzo di una frase, perchè non trovavale parole giuste. La sua permanenza fra ilibri era inutile, ed egli tentò di imparareil mestiere del calzolaio, ma fallì. Avevadue zii nell’Ordine Francescano: a 17 annivoleva diventare anche lui francescano,ma fu respinto, a causa della sua ignoranza.Nel 1620, fu accettato come novizio pressoi Cappuccini di Martina Franca, vicinoTaranto, ma essi lo mandarono via dopo8 mesi, perchè molto distratto. Suamadre riuscì finalmente a farlo accettarecome servitore presso il Monastero deiFrancescani Conventuali “La Grottella”di Copertino. Mentre si trovava lì, come“oblato” e come “fratello laico”, diedeprova di grandi virtù, umiltà, obbedienzaed amore della penitenza. Fu deciso chepoteva diventare un membro effettivodell’Ordine e studiare per diventare sacerdote.

Il 20 marzo 1627, l’esaminatore glichiese di spiegargli l’unica cosa che erariuscito ad imparare bene, e così Giuseppedivenne diacono! Un anno dopo, il 28 marzo, riuscì a diventare sacerdote: si presentò all’esame insieme a molti altricandidati. Dopo aver interrogato i primi,il Vescovo, essendo più che soddisfattodai risultati, decise di promuovere tutti.Giuseppe si trovava fra i fortunati esami-nandi a cui non era stata posta alcunadomanda, e divenne prete insieme aglialtri: ecco perchè è considerato il Patronodegli studenti !

Il “Santo Volante” Spesso andava in estasi e parlava con Dio. Rimanevaimmobile come una statua, insensibilecome la pietra, e nulla poteva smuoverlo.Qualunque cosa si riferisse al Signore loponeva in uno stato di contemplazione.Ciò succedeva anche quando vedeva undipinto religioso, oppure quando udiva il suono di una campana, musica sacra, il nome di Dio, della Vergine Maria o diun Santo. I suoi confratelli potevanopungerlo con gli spilli o bruciarlo con tizzoni ardenti nel tentativo di risvegliarlo,ma egli non si accorgeva di nulla.Frequentemente si sollevava dal suolo erimaneva sospeso nell’aria: in chiesa, glisuccedeva di volare verso l’altare o al disopra di esso. Fu visto levitare dalla genteoltre settanta volte, mentre diceva laMessa o pregava.

Giuseppe compì molti miracoli, specialmente fra la povera gente. Toccavaocchi ciechi, ed essi vedevano, prendevain braccio un bambino malato e lo guariva,trascrisse la benedizione di S.Francesco e tale foglio, fatto circolare in paese,compì meraviglie. Celebrò la Messa perl’ultima volta il 15 agosto 1663 e morì il 18 settembre.

ASan Giuseppe da Copertino

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eresa Pezzo di Valdiporro (Verona)subì un delicato intervento chirurgico

al fegato. L’operazione venne eseguita il 22 ottobre 1946 e durò oltre tre ore.Dopo vari giorni trascorsi tra la vita e la morte,Teresa si riprese e andò in convalescenzadallo zio arciprete a Bovolone. Il 4 dicembreperò venne colta da acuti dolori e febbrealta. I dolori aumentavano e la donnadivenne sempre più debole. L’8 dicembre,Teresa cominciò una novena a San LeopoldoMandi! e appoggiò una sua reliquia sullaparte malata. Due giorni dopo verso le 23 e 30 si addormentò e a mezzanotte le apparve San Leopoldo. Era identico alritratto dell’immagine, ma senza stola emolto più bello. Nonostante fosse notte,la stanza si illuminò come di giorno. Ilcappuccino si avvicinò fino al letto dellamalata e le rivolse la parola, come confermòTeresa: «Padre Leopoldo mi disse conmolta bontà di non aver paura, che sareiguarita. Mi disse anche di alzarmi al mattino per andare alla Messa e riceverela Comunione. Mi toccò con la mano allaparte malata e scomparve. Nella commo-zione più grande posi istintivamente lamano dove avevo un gonfiore dolente e non sentii più nulla, né gonfiore, nédolore». Il Santo le aveva promesso:«Tornerò lunedì a mezzanotte perché hoaltre cose da dirti. Intanto ti do la bene-dizione». La benedisse e se ne andò

dicendo: «Sia lodato Gesù Cristo».Teresa non credeva ancora a quantoaveva visto, ma i dolori erano scomparsie la febbre svanita. La zia che dormivanella stessa camera aveva sentito parlareTeresa, ma non San Leopoldo. Al mattinoTeresa si alzò, andò alla Messa delle otto in parrocchia e fece la Comunione, rimanendo a lungo in preghiera. Mangiònormalmente e si accorse di essere perfettamente guarita. In paese questaguarigione suscitò molto stupore, perché conoscevano la malattia di Teresa. Molte persone affidarono alla signoradelle richieste per San Leopoldo. Amezzanotte del 16 dicembre, il Santotornò di nuovo a far visita a Teresa. Era tutto circondato di luce, tanto da illuminare la stanza. Teresa attestò: «Midisse parole buone e incoraggianti. Miricordò che a 19 anni avevo incominciatouna via e poi l’avevo abbandonata. La devi riprendere – mi disse- e avrai lafelicità in eterno. Le parole di Padre Leopoldoio le ho capite come un richiamo e uncomando, poiché a 19 anni effettivamenteavevo sentito inclinazione allo stato religioso, ma pi, sia per la salute cagione-vole, sia per poca buona volontà, avevolasciato ogni pensiero». Il Santo la invitòa pregare poi rispose alle richieste dellagente che le dettò. Sul foglietto scrittosotto dettatura si trovarono le risposte

date dal Santo, il quale si lamentavaquasi con tutti che pregavano poco emale e insisteva affinché pregassero di più per ottenere la benedizione di Dio. Teresa entrò l’8 gennaio 1948 tra le Pie Madri della Pigrizia. Il medico attestò che la guarigione era scientifica-mente inspiegabile.

TSan Leopoldo Mandi!

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el Trattato della vera devozione a Maria,San Luigi Grignion de Montfort

indicò la Vergine, quale via privilegiataper giungere in Cielo: «44. E’ solo Mariache ha trovato grazia presso Dio senzal’aiuto di nessun’altra semplice creatura.Dopo di lei, coloro che hanno trovato graziapresso Dio, l’hanno trovata unicamenteper mezzo di lei. E quanti verranno infuturo, la troveranno ancora soltanto permezzo di lei. Maria era piena di graziaquando ricevette il saluto dell’ArcangeloGabriele e ne fu ricolmata con sovrab-bondanza dallo Spirito Santo quando la coprì della sua ombra ineffabile. Poicrebbe talmente di giorno in giorno e dimomento in momento in quella duplicepienezza, da raggiungere un punto digrazia sconfinato e inimmaginabile. E cosìl’Altissimo l’ha costituita unica tesorieradelle sue ricchezze e sola dispensatricedelle sue grazie, in modo da magnificare,elevare e arricchire chi ella vuole, facen-doli entrare nella via stretta del Cielo epassare ad ogni costo per la porta strettadella vita, donando a chi vuole il trono,lo scettro e la corona regale. Gesù èovunque e sempre il frutto e il Figlio diMaria; e Maria è ovunque il vero alberoche porta il frutto di vita e la vera madreche lo produce». E ancora al numero 45,San Luigi continua: «E’ soltanto a Mariache Dio ha dato le chiavi delle stanze del

divino amore; a lei ha dato il potere di entrare nelle vie più sublimi e segretedella perfezione e di farvi entrare altri. E’ Maria la sola che apre l’entrata delparadiso terrestre ai miseri figli di Eva,l’infedele, perché possano passeggiarepiacevolmente con Dio, trovare sicuroriparo dai nemici, nutrirsi di delizie e –senza più temere la morte – del fruttodegli alberi di vita e della scienza delbene e del male, bere a grandi sorsi le acque celesti di questa bella fontana che zampilla con abbondanza. Anzi, è leistessa questo paradiso terrestre, questaterra vergine e benedetta, da cui Adamoed Eva peccatori furono scacciati; ed ellavi lascia entrare solo quelli e quelle chevuole condurre a santità». Al numero 46il Santo scrisse: «Tutti “i più ricchi delpopolo – per servirmi dell’espressionedello Spirito Santo e della spiegazione diSan Bernardo – cercano il tuo volto” disecolo in secolo e specialmente alla finedel mondo; cioè i più grandi santi, le anime più ricche di grazia e di virtù,saranno i più assidui nel pregare laVergine Santa e a tenerla sempre davantiagli occhi come loro modello perfetto daimitare e loro potente aiuto per sostenerli».

Luigi Maria Grignion de Montfortnacque a Rennes in Francia, nel 1673,venne ordinato sacerdote nel 1700. Vorrebbeandare missionario in Canada, ma lomandano a Poitiers. Nel 1712-13 fondòuna comunità maschile di missionari per l’evangelizzazione: la Compagnia diMaria. Morì a St. Laurent-sur-Sèvre il 28 aprile 1716.

NSan Luigi Maria Grignion de Montfort

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ella biografia di San Luigi Orionevi sono due episodi significativi

riguardo all’esperienza dell’al di là:«Mauro Montagna e il Diverso Compagno:Un fiore di santità e un esempio ammonitore.Don Orione chiamava il primo il suoDomenico Savio. Andò a casa ammalato evolò al Cielo. Poco tempo dopo la sua mortedon Orione ebbe una visione straordinaria.È prossima la mezzanotte del sabato 30 gennaio 1897 e nella cucina del collegiodi Santa Chiara il Santo, seduto, la testaappoggiata a un tavolo, riposa. Pocodiscosto da lui è don Sterpi, ancora diacono,che sta terminando la recita dell’ufficiodivino. A un certo punto don Orione si scuote di soprassalto e grida come spaventato:

— Montagna, Montagna!— State buono, state buono – osservò

con l’abituale calma don Sterpi.— Mauro Montagna! – insistette don

Orione. – Ma lasciatemi dire l’ufficio.Avete sognato. – No, no, era lì, Montagna.Gli era apparso vestito di bianco, in unnimbo di luce solare sollevato da terra, emostrava ai suoi piedi una tomba chiusadi fresco, la sua, e altre due aperte. Eadditando una di queste aveva esclamato:martedì, martedì.

Il giorno dopo don Orione parlò ai giovani dell’avvenimento che Dio glimandava a mezzo dal loro angelicocompagno Mauro Montagna, e alla sera liinvitò alla recita di un Pater Ave Gloriaper il primo dei presenti destinato alasciare questa vita.

Tra gli astanti c’era il DiversoCompagno, alunno della terza ginnasiale,molto sviluppa to nella persona, un

fegataccio si direbbe oggi, non troppoproclive alla pietà e che dava del buonfilo da torcere ai superiori.

Il lunedì seguente, durante la scuola,don Sterpi interroga tra gli altri, per purocaso, il Diverso Compagno, il quale nonrisponde a dovere e dichiara: “Mi sentomale”.

Si manda a chiamare il medico chesubito accorre e avverte che il male è grave.

Il malato va peggiorando. Preso daforti smanie dava in convulsioni e quandogiunse la mamma e si chinò su di luipiangendo, per baciarlo e asciugargli ilsudore, ne ebbe un terribile morso allaguancia. Martedì 2 febbraio: verso lamezzanotte cessava di vivere. Il cadavereirrigiditosi prese aspetti terrificanti e ilvolto annerì. Fu sepolto al paese nativo,Mornico Losana, in una giornata di buferae di neve».

Il biografo prosegue: «Capitato peruna missione religiosa in un paese alpestredella diocesi di Tortona dov’era parrocouno zio del “Diverso Compagno”, vivamentelo pregai di mettermi a disposizionequanto possedeva degli scritti di suonipote, dei suoi parenti e di don Orione;e con grande sorpresa mi imbattei in undocumento di capitale importanza. È unalettera straordinaria scritta da don Orionecirca otto mesi dopo la vicenda narrata.

Ecco il testo: «Carissimo don DeFilippi, non sono 10 minuti dal momentoche le scrivo che in questa stessa stanzadove le scrivo mi sono trattenuto per

circa mezz’ora col suo nipote De FilippiFelice il quale, per disposizione del Signore,e per mio avvertimento e consolazione, è venuto a trovarmi. Io sapevo di parlarecon un morto ed ero conscio di me comeora che le scrivo e mi ha parlato di variecose e mi ha avvertito su alcune disposi-zioni da prendersi in Collegio. Caro donDe Filippi, oh sono tanto consolato! Nonsono 15 minuti fa che egli era con me, eio niente agitato, ma così in pace e cosìtranquillo: – egli pregherà per noi, manoi dobbiamo pregare ancora per lui: glivolevo toccare la mano, ed egli da principiosembrava che non volesse, ma poi l’hotoccato e gli sono andato proprio vicinoe ho toccato la sua pelle, e in quelmomento mi ha dato un grave avviso perle confessioni dei giovani. Oh sono tantocontento! Non era niente patito: solo avevagli occhi così belli come gli occhi di unoche è innocente!… Questa lettera è riservataa lei e alla sua famiglia per loro conforto.Felice prega molto per noi: siamo consolati…Tortona, 25 settembre 1897».

NSan Luigi Orione

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entre San Paolo della Crocemoriva (1775), la sua penitente,

Rosa Calabresi pregava a Cerveteri, ritirata nella sua camera. Era tutta assortain preghiera, quando all’improvviso vide la camera rischiarata da una lucestraordinaria in mezzo alla quale stava un uomo sollevato in aria, vestito conabiti sacerdotali e così risplendente chenon si poteva fissare. La chiamò tre volte:Rosa…, ma la giovane, temendo che sitrattasse di qualche illusione diabolica,non rispose. Allora la persona che vedevain mezzo alla luce disse espressamente:«Io sono il padre Paolo; sono venuto aportarti la nuova che sono morto poco fae adesso vado in Cielo a godere Iddio…,a rivederci in Paradiso». Rosa gli disseche pregasse Iddio affinché anch’essafosse fatta degna di andare a goderlo inCielo. E la visione sparì.

La mattina seguente ecco una letteradel padre Ignazio, suo nuovo direttore,che le dava notizia della morte di San Paolodella Croce. Rosa, dato che aveva avutola visione, non provò nessun dispiacere.Inutile ormai pregare per lui; pure, permantenere una promessa che gli avevafatto durante le conferenze spirituali,corse in chiesa e incominciò la Via Crucis.Arrivata alla terza stazione, vede unagrande luce e in mezzo a essa San Paolovestito non da passionista, «ma con un

bel manto bianco e rosso, circondato ecorteggiato da una grande moltitudine diangeli». Si meravigliò di vederlo vestitoin quell’insolita forma, e gli domandò chesignificasse. E il Santo rispose: «Questo è il simbolo della illibata mia purità edell’ardente carità, virtù da me tanto amatee praticate in vita, e perché sono statomartire della penitenza e dei patimenti».San Paolo la invitò a offrire quella ViaCrucis in suffragio delle anime delPurgatorio, e la salutò dicendole: «Addio,figlia, vi aspetto in Cielo a vedere Iddio,a lodare Iddio, a possedere Iddio pertutta l’eternità».

San Paolo nacque a Ovada,(Alessandria), il 3 gennaio 1694 da unanobile famiglia anche se in difficoltà economiche. Suo padre era un commer-ciante e Paolo lo aiutava lavorando conlui; ma il suo desiderio era di fondare un Ordine religioso e combattere iTurchi. A 26 anni il Vescovo gli permettedi vivere come eremita nella chiesa di Castellazzo Bormida. Qui maturòl’idea di un nuovo Ordine e nel 1725Benedetto XIII lo autorizzò a raccoglieredei compagni: il primo è suo fratelloGiovanni Battista. Cominciò a farsi chiamare «Frate Paolo della Croce», poifondò la Congregazione dei «Chiericiscalzi della santa Croce e della Passione

di Nostro Signore Gesù Cristo» (Passionisti).Nel 1727 venne ordinato sacerdote aRoma, poi si ritirò sul monte Argentario.Tornato a Roma, nel 1750 predicò per il Giubileo. Clemente XIV gli chiedevaspesso consigli così come il suo successorePio VI. Morì il 18 ottobre 1775 a Roma ePio IX nel 1867 lo proclamò Santo.

MSan Paolo della Croce

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an Pio da Pietrelcina salvò dal suicidioil generale Luigi Cadorna, comandante

supremo dell’esercito italiano nella prima guerra mondiale, che una notte dinovembre 1917, dopo la disfatta diCaporetto, era in preda alla disperazione(per essere stato sostituito nel comandosupremo dal Generale Armando Diaz eper vedere intaccato il proprio operatomilitare da indecorosi commenti) epensa al suicidio. Una sera, dopo averdisposto le sentinelle attorno alla suatenda con l’ordine perentorio di non fareentrare nessuno, si chiude nella sua tendae prende la rivoltella per suicidarsi…Tutt’a un tratto un frate vestito di saioentra. Aveva le mani sanguinanti e unosguardo dolce. Si ferma un istante edalza un dito con aria di disapprovazione.«Andiamo, generale, voi non farete questasciocchezza, non compirete un gestoinsano da disperato!».

Il generale, che aveva severamentecomandato di non essere disturbato danessuno per qualsiasi motivo, pieno dicollera si precipita fuori, ma non vedenessuno. Il Frate era sparito. Le sentinelle,interrogate giurano sulla loro testa dinon aver visto, né fatto passare nessuno.La collera cede alla meraviglia e di colpol’ossessione del suicidio si dilegua. Ilgenerale si impone un ripensamento: è salvo.

Nondimeno questa storia lo lasciaperplesso e si accanisce per scoprirne lachiave. Chi era quel giovane francescano,abbastanza insolente per violare il suoisolamento e così potente da fargli caderela rivoltella dalla mano? Il generale, che

non aveva mai visto Padre Pio, riferendoi particolari dell’accaduto, si sentì direche quel Frate non poteva essere altro chelo stimmatizzato di S. Giovanni Rotondo:Padre Pio. Gli nacque il desiderio di rivederlo. Per rendersi conto di ciò chegli era accaduto, il generale Cadornaparte per S. Giovanni Rotondo.

Intanto in quell’epoca Padre Pio, perdisposizione del Vaticano, era segregatoe nessuno poteva parlargli. Il generaleinsiste. Lasciatemelo vedere, almeno!

— «Va bene – replica il PadreGuardiano – resterete là nel corridoio,mentre andremo in chiesa per fare il ringraziamento dopo pranzo. Lo vedretepassare».

Messosi in un angolo, il generaleaspetta. I Frati passano ed egli riconosceil suo visitatore notturno: E’ questo ilFrate che è venuto da me! – Padre Pio glisorride e leva il dito con quello stessogesto, fra burlesco e minaccioso, come se volesse dirgli: «L’avete scampata bellaquella brutta notte!». A confermare un’altra bilocazione di Padre Pio sonostati molti piloti dell’aviazione anglo-americana, di varie nazionalità (inglese,americana, polacca, palestinese) e didiverse religioni (cattolica, protestante,musulmana, ebraica). Durante l’ultima guerra,ogni volta che sorvolavano il Garganoper eseguire bombardamenti, vedevanoin aria un Frate che, protendendo le maniferite, proibiva loro di sganciare bombe.

Foggia e quasi tutti i centri dellePuglie subirono ripetuti bombardamenti.Su San Giovanni Rotondo, la cittadella di Padre Pio, non cadde una bomba.

A guerra finita, salendo a SanGiovanni Rotondo, quegli aviatori riconobbero con assoluta certezza inPadre Pio quel Frate che essi avevanoincontrato e veduto nei loro voli.

SSan Pio da Pietrelcina

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an Tommaso d’Aquino nella “SummaTeologica”, alla questione 93 sulla

beatitudine dei santi e le loro mansioni,così scriveva: «Che la beatitudine deisanti dopo la resurrezione aumenti inestensione è evidente: perché allora essanon sarà solo nell’anima, ma anche nelcorpo. Però la stessa beatitudine dell’animaavrà un aumento in estensione: poichél’anima non godrà solo del proprio bene,bensì anche di quello del corpo.

Anzi si può dire che la beatitudinedell’anima stessa aumenterà in intensità.Infatti il corpo dell’uomo può essere considerato sotto due punti di vista:primo, in quanto è perfettibile da partedell’anima; secondo, in quanto si trova in esso qualche cosa che ostacola l’animanelle sue operazioni, non lasciandosi intutto perfezionare dall’anima. Considerandoladal primo punto di vista l’unione delcorpo con l’anima apporta all’anima unaperfezione. Poiché ogni parte è imperfettae viene completata nel suo tutto: cosicchéil tutto sta alla parte come la forma staalla materia. Perciò anche l’anima è piùperfetta nel suo essere naturale quando è nel tutto, cioè nell’uomo compostoattualmente di anima e corpo, di quandone è separata. Ma considerata dal secondopunto di vista, l’unione del corpo impediscela perfezione dell’anima; di qui le paroledella Sapienza: “Il corpo che si corrompe

aggrava l’anima”. Se quindi dal corpo sielimina tutto ciò per cui resiste all’azionedell’anima, l’anima sarà in senso assolutopiù perfetta esistendo in codesto corpo,che separata da esso. Orbene, quanto piùuna cosa è perfetta nell’essere, tanto è ingrado di agire più perfettamente. Perciòl’agire dell’anima unita a un tale corposarà più perfetto di quello dell’animaseparata. Ma tale è appunto il corpo glorioso, che sarà in tutto sottomesso allo spirito. Consistendo dunque la bea-titudine in un’operazione, la beatitudinedell’anima sarà più perfetta dopo la riassunzione del corpo che prima: infatticome l’anima separata dal corpo corruttibilepuò agire con più perfezione di quandoè ad esso congiunta, così dopo il ricon-giungimento col corpo glorioso il suooperare sarà più perfetto di quando neera separata. Ora, ogni essere imperfettodesidera la propria perfezione. Dunquel’anima separata brama naturalmente diricongiungersi al corpo. E per codesta brama,che procede da uno stato d’imperfezione,la sua operazione con la quale tendeverso Dio è meno intensa. Ecco perché S. Agostino afferma, che “dal desideriodel corpo l’anima viene ritardata nel suotendere totalmente verso il sommo bene”.(I tomisti sono unanimi nel ritenere chenella sua maturità S. Tommaso abbiaripudiato questa conclusione. In I-II,

q. 4, a. 5 scrive: “con la riassunzione deicorpi la beatitudine non crescerà inintensità, ma in estensione”)”.

Il Messale Romano così ricorda il Santo: «Sacerdote dell’Ordine deiPredicatori e dottore della Chiesa, che,dotato di grandissimi doni d’intelletto,trasmise agli altri con discorsi e scritti la sua straordinaria sapienza. Invitato dal beato papa Gregorio X a partecipareal secondo Concilio Ecumenico di Lione,morì il 7 marzo lungo il viaggio nelmonastero di Fossanova».

SSan Tommaso d’Aquino

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ant’Agostino nella celebre opera La Cittàdi Dio, tratta della sublime visione

spirituale di Dio di cui godono le animein Paradiso:«Perciò può avvenire ed èassai credibile che noi nell’eternitàvedremo i corpi del mondo di un nuovocielo e di una nuova terra in modo davedere con luminosa chiarezza, per ognidove volgiamo gli occhi, tramite il corpoche avremo e attraverso quelli che osser-veremo, Dio che è presente ovunque eche dirige al fine tutte le cose anche corporee. E questo avverrà non come neltempo, in cui le invisibili perfezioni diDio sono contemplate con l’intelletto nelleopere da lui compiute, come attraversouno specchio, in un oscuro simbolo esolo in parte, perché qui può più la fedecon cui crediamo che la rappresentazionedegli oggetti del mondo corporeo cheformuliamo mediante gli occhi del corpo.Noi nell’atto che vediamo gli uomini, che vivono ed eseguono movimenti vitalie in mezzo ai quali viviamo, non per fedeapprendiamo che vivono, ma li vediamo,sebbene non possiamo senza i corpiosservare la loro vita, ma la rileviamo aldi là di ogni incertezza tramite i corpi.Allo stesso modo, da qualsiasi parte nell’eternità faremo muovere la luminositàspirituale dei nostri corpi, contempleremo,anche mediante i corpi, Dio che è incor-poreo e dirige il tutto al fine. Dunque

o Dio si vedrà mediante quegli occhi nel senso che essi abbiano in così altasublimità una funzione simile al pensieroe con cui si possa conoscere anche lanatura incorporea, ed è difficile, o meglioimpossibile, chiarire tale funzione con esempio con testi della Sacra Scrittura. Ovvero,ed è un’idea più facile a comprendersi,Dio sarà a noi noto con tanta evidenzache sarà veduto con la facoltà spiritualeda ognuno di noi, da uno nell’altro, in sestesso, nel nuovo cielo e nella nuova terrae in ogni creatura che esisterà nell’eternità,sarà veduto anche mediante il corpo inogni corpo, in qualunque direzionesaranno volti gli occhi del corpo spiritualecon un’acutezza che raggiunge l’oggetto.Si sveleranno anche i nostri pensieri dall’uno all’altro. Allora si adempirà ilpensiero dell’Apostolo che, dopo aver detto:Non giudicate nulla prima del tempo,soggiunge: Finché venga il Signore e illuminerà i segreti delle tenebre emanifesterà le intenzioni dei cuori; alloravi sarà lode per ognuno da Dio».

Sant’Agostino nacque in Africa aTagaste, nella Numidia – attualmenteSouk-Ahras in Algeria – il 13 novembre354 da una famiglia di piccoli proprietariterrieri. Dalla madre ricevette un’educa-zione cristiana, ma dopo aver lettol’Ortensio di Cicerone abbracciò la filosofia

aderendo al manicheismo. Nel 387 in unviaggio a Milano conobbe SantAmbrogio.L’incontro si rivelò importante per il cammino di fede di Agostino: è da luiche ricevette il battesimo. Successivamenteritornò in Africa con il desiderio di creareuna comunità di monaci. Dopo la mortedella madre si trasferì a Ippona, dovevenne ordinato sacerdote e Vescovo.Morì il 28 agosto del 430.

SSant’Agostino di Ippona

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ant’Antonio da Padova ebbe unavisione celestiale di Gesù Bambino,

di cui fu testimone un uomo, come narrato nel (Liber miraculorum 22,1-8):«Trovandosi una volta il beato Antonio inuna città a predicare, venne ospitato da unabitatore del luogo. Questo gli assegnòuna camera appartata, affinché potesseattendere indisturbato allo studio e allacontemplazione. Mentre dunque pregava,da solo, nella camera, il padrone moltipli-cava i suoi andirivieni per le sue case.

Mentre osservava con sollecitudinee devozione la stanza in cui pregavaSant’Antonio da solo, occhieggiando dinascosto attraverso una finestra, videcomparire tra le braccia del beato Antonioun bimbo bellissimo e gioioso. Il Santolo abbracciava e baciava, contemplandoneil viso con lena incessante. Quel cittadino,stupefatto ed estasiato per la bellezza di quelbambino, andava pensando fra sé dondefosse venuto un pargolo così leggiadro.

Quel bimbo era il Signore Gesù.Egli rivelò al beato Antonio che l’ospitelo stava osservando. Dopo lunga preghiera,scomparsa la visione, il Santo chiamò il cittadino e gli proibì di manifestare achiunque, ciò che aveva veduto».

Un altro miracolo il Santo lo compìa Lisbona, come narra Bartolomeo daPisa: «Nella città di Lisbona, di cui S. Antonio fu oriundo, – mentre ancoravivevano i parenti del Santo, cioè ilpadre, la madre e i fratelli –, due cittadinierano nemici e si odiavano a morte.Accadde che il figlio d’uno di costoro, unragazzo, ebbe a incontrare il nemico di

famiglia, che abitava vicino ai genitori delbeato Antonio.Colui, spietato, afferrò ilragazzo, lo portò in casa e subito lo uccise.Poi, nel profondo della notte, entrato nelgiardino dei parenti del Santo, scavò unafossa, vi sotterrò il cadavere e fuggì.

Poiché il giovane era figlio di personanotabile, si inquisì sulla scomparsa di lui,e si appurò ch’era transitato per la contradadove abitava il nemico. Furono alloraperquisiti la dimora e l’orto di questo, ma non si scoprì nessun indizio. Facendoun sopralluogo nel giardino dei familiaridel beato Antonio, fu ritrovato il ragazzo,seppellito nell’orto. Per questo, il giustizieredel re fece arrestare, come assassini delgiovane, il padre con tutti quelli di casa.

Il beato Antonio, sebbene fosse aPadova, seppe del fatto, per ispirazionedivina. Di sera, chiesto il permesso alguardiano, uscì dal convento. E mentrecamminava nella notte, fu con divinoprodigio trasportato fino alla città diLisbona. Entrando in città di mattina, si diresse dal giustiziere, e cominciò apregarlo di prosciogliere dall’accusa quegli innocenti e rilasciarli. Ma nonvolendo colui per nessuna ragione farquesto, il beato Antonio ordinò che glivenisse portato davanti il ragazzo assassi-nato. Portato che fu il corpo, gli comandòdi alzarsi e dire se a ucciderlo fosserostati i suoi parenti. Il ragazzo si destò damorte e affermò che i familiari del beatoAntonio erano del tutto estranei al delitto.Di conseguenza, essi furono prosciolti eliberati dal carcere. Il beato Antonio restòin loro compagnia tutta quella giornata».

SSant’Antonio da Padova

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anta Brigida di Svezia ebbe la visionedella Vergine circondata di gloria in

Paradiso: «La Santa sposa Brigida vede laMadre di Dio, Regina del Cielo, che portasul capo una corona inestimabile. I suoicapelli, luminosi e bellissimi, ricadono sullespalle. La Vergine indossa una tunica d’oroscintillante e un mantello blu come il cielo;Brigida cade in un’estasi contemplativa,come se la vita interiore l’alienasse da sestessa. D’un tratto le appare San GiovanniBattista, che le dice: “Ascolta con attenzione:sto per rivelarti il significato di tutto ciò.La corona indica che la Santa Vergine è Regina, Signora, Madre del Re degliangeli. I capelli sparsi significano che è vergine purissima e assolutamente perfetta. Il suo mantello blu come il cielodenota che per lei tutte le cose temporalisono morte. La sua tunica d’oro simbo-leggia che ha provato un amore e unacarità ardenti, sia interiormente cheesteriormente. Suo Figlio ha posto nellasua corona sette gigli, il primo è la suaumiltà; il secondo il timore; il terzo l’obbedienza; il quarto la pazienza; ilquinto la serenità; il sesto la dolcezza,poiché dare a chiunque chieda si addicea coloro che sono dolci; il settimo è lamisericordia nel bisogno: in qualsiasinecessità si trovino gli uomini, essi si salvano se la invocano. Il Figlio di Dio haposto fra questi sette gigli sette pietrepreziose: la prima è la sua eminente virtù,

poiché negli spiriti non c’è virtù tale chequesta Vergine Santa non abbia in sé insommo grado; la seconda è una purezzaperfetta, poiché questa Regina del Cieloè stata così pura che in lei non c’è maistata la minima macchia di peccato, enessun demone è riuscito a trovare in leialcuna impurità. Ella è davvero purissima,perché era opportuno che il Re della gloria riposasse unicamente in un vasopurissimo e di prima scelta, al di sopradegli angeli e degli uomini. La terza pietrapreziosa è la bellezza, tanto che i santilodano Dio per la bellezza di sua Madre,e si compie così la gioia di tutti gli angeli,di tutti i santi e di tutte le sante. La quartapietra preziosa della corona è la saggezzadella Vergine Madre, poiché, essendoadorna di fulgore e di bellezza, ella èstata colmata e dotata di ogni saggezzada Dio. La quinta è la forza, poiché ella è così forte attraverso Dio che puòdistruggere e disperdere tutto ciò che è stato creato. La sesta pietra è il suo sfavillio e la sua luminosità, poiché gli angeli, i cui occhi sono più chiari della luce, ne sono illuminati, e i demoni,abbacinati dalla sua bellezza, non osanoguardare il suo splendore. La settima pietra è la pienezza di ogni dilettazione,di ogni dolcezza spirituale, presente in leicon tale ricchezza che non c’è gioia che nonsia accresciuta dalla sua, né dilettazione chenon si completi con la sua vista beata”».

SSanta Brigida di Svezia

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anta Caterina da Siena, proclamataPatrona d’Italia, è una delle mistiche

più famose. Un giorno Gesù le disse: «Tiamo tanto, che chiunque mi chiederàgrazie in tuo nome, le otterrà!». Fu stim-matizzata, ebbe la scienza infusa, scrutavai cuori, trascorse lunghi periodi nutren-dosi solo dell’Eucaristia ed ebbe la graziadello sposalizio mistico con Gesù.

Appena morta, volò in Paradiso. Videla maestà di Dio, la bellezza della CorteCeleste, l’oceano di felicità riservata aiBeati. Spinta dalla fiamma dell’amor diDio, desiderosa di procurare il Paradiso a molte altre anime, supplicò Gesù che le concedesse di ritornare sulla terra. Lapreghiera fu esaudita.

Il cadavere di Santa Caterina da circasei ore stava adagiato sul letto circondatodai numerosi familiari; all’improvviso simosse e riprese la vita normale. La Santaricominciò a fare apostolato: uomini, donne,ecclesiastici, letterati … tutti ascoltavanola vergine senese e la chiamavanomamma spirituale.

Un giorno un grande peccatore resisteva alla grazia di Dio; assolutamen-te non voleva troncare la vita di peccato.«Figlio mio, le disse la Santa, se sapessiquale sacrificio io abbia fatto per te!Lasciai temporaneamente il Paradiso, oveavrei potuto godere senza misura, e sonoritornata in terra, a patire, per procurare

anche a te l’eterna felicità». Parlò contanto slancio del Paradiso, che il peccatoresi convinse a ritornare a Dio.

Caterina nacque a Siena nel 1347,dal tintore Jacopo Benincasa e da Lapadi Puccio de’ Piacenti. All’età di sei anni(1353) ebbe la prima visione di CristoPontefice, accompagnato dagli apostoliPietro e Paolo e dall’evangelista Giovanni.E’ un’esperienza fondamentale per tutta lasua vita, infatti intuisce che deve rivolgerecuore e mente a Dio facendo sempre lasua volontà. A sette anni emise il voto di verginità perpetua; ma la famigliaostacolava la vocazione e la voleva farsposare. Un giorno il padre la sorprese inpreghiera con una colomba aleggiantesul capo. Decise allora di lasciare libera la giovane di scegliere la propria strada.Dopo anni di preghiere e penitenze, ricevette nel 1363 l’abito del Terz’ordinedi San Domenico. Nella sua cameretta,molto spoglia, condusse per alcuni annivita di penitenza.

A venti anni imparò a leggere, ricevette l’anello delle mistiche nozze conGesù, dettò le prime lettere, ebbe iniziola sua attività caritativa: poveri, malati,carcerati, spesso ripagata da ingratitudinee calunnie. Nel 1370 avvenne lo scambiodei cuori tra Caterina e Gesù. Nell’estate1374 si prodigò a Siena per assistere gli

appestati. Nel 1376, a maggio, partì perAvignone, arrivando il 18 giugno; il 20vide Gregorio XI, che si decise a partireper l’Italia il 13 settembre, passando da Genova, dove Caterina lo convinse dinuovo a proseguire il viaggio per Roma.Nel 1378, su incarico del Papa, andò aFirenze per trattare la pace, poi ottenutail 18 luglio. Morì il 29 aprile 1380.

SSanta Caterina da Siena

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anta Faustina Kowalska , il 27 novembre1936, venne portata in estasi in Paradiso,

come narra nel Diario: «Oggi in ispiritosono stata in Paradiso e ho visto l’incon-cepibile bellezza e felicità che ci attendedopo la morte. Ho visto come tutte lecreature rendono incessantemente onoree gloria a Dio. Ho visto quanto è grandela felicità in Dio, che si riversa su tutte le creature, rendendole felici. Poi ognigloria ed onore che ha reso felici le creature ritorna alla sorgente ed esse entranonella profondità di Dio, contemplano lavita interiore di Dio, Padre, Figlio eSpirito Santo, che non riusciranno mai néa capire né a sviscerare. Questa sorgentedi felicità è immutabile nella sua essenza,ma sempre nuova e scaturisce per la beatitudine di tutte le creature.Comprendo ora San Paolo che ha detto:“Occhio non vide, né orecchio udì, némai entrò nel cuore d’uomo ciò che Dioprepara per coloro che Lo amano”. E Diomi fece conoscere la sola ed unica cosache ai Suoi occhi ha un valore infinito equesta è l’amore di Dio, l’amore, l’amoreed ancora una volta l’amore. E nulla èparagonabile ad un solo atto di puroamor di Dio. Oh, quali ineffabili favoriconcede Iddio ad un’anima che Lo amasinceramente! Oh, felici quelle anime chegià qui su questa terra godono dei Suoiparticolari favori! Ed esse sono le anime

piccole ed umili. Grande è la Maestà diDio, che ho conosciuto più a fondo, chegli spiriti celesti adorano secondo ilgrado della loro grazia e la gerarchia incui si dividono. La mia anima quando havisto la potenza e la grandezza di Dionon è stata colpita dallo spavento né daltimore; no, no, assolutamente no! La miaanima è stata colmata di serenità e d’amoree più conosco la grandezza di Dio e piùgioisco per come Egli è. E gioiscoimmensamente per la sua grandezza esono lieta di essere così piccola, perché,proprio perché sono piccola, mi prendein braccio e mi tiene accanto al Suocuore. O mio Dio, quanta pena mi fannogli uomini che non credono nella vitaeterna! Quanto prego per loro, affinché liinvesta il raggio della Misericordia e Dioli stringa al Suo seno paterno. O Amore,o regina delle virtù! L’amore non conoscetimore; attraversa tutti i cori degli angeliche montano la guardia davanti al Suotrono. Esso non teme nessuno, esso raggiunge Dio e s’immerge in Lui comenel suo unico tesoro. Il Cherubino con la spada di fuoco, che fa la guardia alParadiso, non ha potere su di esso. Opuro amor di Dio, quanto sei grande edimpareggiabile! Oh, se le anime cono-scessero la Tua potenza! Oggi sono moltodebole, non posso nemmeno fare lameditazione in cappella, ma debbo

andare a coricarmi. O mio Gesù, Ti amo e desidero adorarTi con la miadebolezza, sottomettendomi totalmentealla Tua santa volontà».

SSanta Faustina Kowalska

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lla fine dell’anno 1413, mentreFrancesca de’ Ponziani era assorta in

preghiera come era solita fare ogni notte,una luce straordinaria si diffuse nella camerae improvvisamente le apparve il figlio dinove anni Giovanni Evangelista, mortopoco tempo prima.

Si narra nella biografia della Santache questo bambino «“Aveva il medesimoabito, la medesima statura, gli stessiatteggiamenti, la medesima fisionomia dilui vivo, ma era di una bellezza incompa-rabilmente superiore. Evangelista non erasolo. Un altro giovanetto della medesimaetà, benché di un aspetto ancor piùrisplendente, gli stava al fianco…”. Laprima cosa che Santa Francesca fece fu di abbracciare il figlio e dirgli: “Staibene, caro figlio? Qual è il tuo posto inCielo? Che fai? Ti ricordi di tua madre?”.Dopo averla abbracciata, il piccolo disse: “La nostra unica occupazione è dicontemplare l’abisso infinito della bontàdivina, di lodare e benedire sua Maestà(Dio) con un profondo rispetto, una vivagioia e un perfetto amore. Essendo tuttiassorti in Dio […] non possiamo averenessun dolore, godiamo di una pace eterna,non possiamo volere e non vogliamo chequello che sappiamo gradito a Dio, che ètutta la nostra beatitudine”».

Poi le disse di trovarsi nel coro degliArcangeli, e che il compagno comparsocon lui era un Arcangelo, che Dio lo mandava a lei per sua consolazione, perché rimanesse con lei per tutto il restodella sua vita, sempre visibile agli occhi

del corpo. Dopo circa un’ora di colloquio,Evangelista scomparve e l’angelo rimase.

Francesca Romana nasce a Roma nel1384 da una nobile e ricca famiglia. Finda piccola sente la chiamata di Dio allavita religiosa, ma i genitori l’avevano giàdestinata sposa a un giovane nobile,Lorenzo de’ Ponziani. Ha tredici anniquando si trasferisce nel nobile Palazzode’ Ponziani in Trastevere. Purtroppo, acausa della mancata realizzazione dellavocazione religiosa, si ammala e deperisce.Il 16 luglio 1398, le appare in sognoSant’Alessio, il quale le dice: «Tu devivivere… il Signore vuole che tu viva per glorificare il suo nome». Da quelmomento, la Santa recupera la salute ediventa una sposa esemplare. Con lacognata Vannozza si dedica ad opere dicarità e di assistenza ai poveri. Dal matrimonio ha tre figli, ma solo unogiunge in età adulta. Intanto, intorno a leisi raccolgono delle donne che condividonola carità verso i poveri e la preghiera. Il 15 agosto 1425, nella chiesa di SantaMaria Nova, undici donne si costituiscononell’Associazione “Oblate Olivetane diMaria”, legate alla spiritualità deiBenedettini Olivetani. Nel marzo 1433 le oblate si ritirano in una casa a Tor de’ Specchi e il 21 luglio successivo, PapaEugenio IV approva la Congregazioneche verrà chiamata “Oblate di SantaFrancesca Romana”. Il 21 marzo 1436, sitrasferisce a Tor de’ Specchi, dove vieneeletta superiora. Muore il 9 marzo 1440,acclamata dal popolo come una Santa.

ASanta Francesca Romana

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anta Gemma Galgani dopo la suamorte dette prova in più occasioni

di essere in Paradiso. Nel processo per lasua canonizzazione troviamo numerosetestimonianze di guarigioni attribuite allasua intercessione, tra le quali questa diIsolina Serafini, una devota:

«Nel 1906, da circa dieci mesi erosofferente di forte dolore al capo, nelquale sentivo come tanti carboni accesi,in maniera che mi sembrava che mi bollisse il cervello; mi si bruciò anchetutta la bocca, in maniera che non potevomangiare e dovevo contentarmi soltantodi bevande ghiacce, e qualche volta anchedi un po’ di minestra, ma ghiaccia. Il dottorLippi Castruccio mi fece quattordici visite, e dopo aver sperimentato moltimezzi per farmi guarire, alla fine midisse: Carina mia, se fosse una rapa o unamela potrei spaccarla e vedere quello chec’è dentro; ma io non so più cosa farti;rassegnati alla volontà di Dio. — Allora io,alzando gli occhi al Cielo e con le manigiunte, dissi: Gemma, se è vero che tu seiin Paradiso, dammi questo segno, fammila grazia, guariscimi. Detto così, mi sentiiguarita all’istante.

Avevo promesso a Gemma che seavessi ottenuto la grazia della guarigione,l’avrei pubblicata immediatamente in suo onore. Però non la pubblicai subitoperché volevo accertarmi se me l’aveva

fatta completa. Non ho avuto più nulla eho ripreso i miei sonni e le mie abitudinisenza sentire mai più il minimo dolore dicapo, e già sono passati sedici anni dallagrazia ricevuta.

Il medico aveva diagnosticato che la mia malattia fosse una meningite progressiva e tanto grave che ritrovandomiun giorno per la strada, meravigliato nelvedermi, disse: Oh che fai? Ti credevonella tomba. Grazia speciale!

Il Padre Germano, direttore spiritualedi S. Gemma, nei processi per la beatifi-cazione della medesima (nei quali è contenuta la relazione del miracolo), faquesta precisazione: “Dall’inizio dellamalattia, dicembre 1906, ai primi di ottobre dell’anno successivo non potémai dormire più di un’ora circa il giorno.

Questa è la pura verità — attestò lamiracolata nel certificato che rilasciò almedesimo Padre — e la confermo congiuramento, io Isolina Serafini”».

Santa Gemma nacque il 12 marzo1878 a Borgonuovo di Camigliano (Lucca).Rimane orfana di madre nel settembredel 1886. Nel 1895 Gemma ebbe l’ispira-zione di seguire con entusiasmo la viadella Croce. Iniziarono alcune visioni delsuo Angelo custode. L’11 novembre 1897morì anche il padre di Gemma, Enrico.Spesso ammalata, Gemma, ebbe modo

di leggere la biografia del passionista San Gabriele dell’Addolorata, che leapparve e la confortò. Convinta che Diola chiamava a vivere più intimamente con Lui, l’8 dicembre 1897, solennitàdell’Immacolata Concezione, emise ilvoto di verginità. Gemma però soffriva di osteite delle vertebre lombari conascesso agli inguini, e ben presto il malesi aggravò tanto da arrivare alla paralisidelle gambe. I medici non poterono far nulla, ma guarì miracolosamente.Desiderava entrare nel monastero dellepassioniste, ma non venne accolta. Morìl’11 aprile 1903.

SSanta Gemma Galgani

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anta Getrude, mistica eccezionale,ritenendosi indegna di tanti favori

celesti, esclamò un giorno: «“Oh, mio Dio,il più grande dei tuoi miracoli è che laterra sostenga una peccatrice come sonoio!”. Ma Gesù le rispose: “È ben giustoche la terra ti sorregga, poiché persino ilCielo, nella sua magnificenza, aspetta conansia gioiosa l’ora felice, in cui avrà l’onoredi possederti!”». Narrò la Santa: «Nellaseconda domenica di Quaresima l’animamia si trovò investita da uno stupendolampo di luce divina. Vidi, o Gesù, il tuoSacro Volto vicino al mio. In questa bellavisione i tuoi occhi, lucenti come il sole,si fissarono direttamente sui miei. Sentiicompenetrata l’anima e tutte le miepotenze da tale soavità che può esserenota a te solo. Desidero esprimere ciò chela mia piccolezza ha gustato in quelladeliziosa visione, affinché, se qualcunodei lettori ricevesse grazie consimili, siaeccitato a sentimenti di gratitudine ed iostessa, rievocando ore di Paradiso, dissipila nebbia delle mie negligenze ed attestila mia perenne gratitudine a quel Soledivino, specchio di giustizia, che su medardeggia i suoi fulgidissimi raggi!Avendo tu, dunque, accostato a me il tuoSacratissimo Volto, che diffonde l’abbon-danza della beatitudine, che dai tuoiocchi divini irradiava un’incomparabilesoave luce. Essa, passando per i miei occhi

e penetrando l’intimo del mio essere,produceva in tutte le membra un effettooltremodo ammirabile, dapprima, quasivuotando le midolle delle ossa e poiannientando il corpo.

Sentivo tutto il mio essere trasformatoin un divino splendore, che porgevaall’anima mia soavità incomparabile eserena letizia. Tutta l’eloquenza del mondonon sarebbe sufficiente ad esprimerequesto modo sublime di contemplarti chenon avrei mai creduto potesse esistere,neppure nella gloria celeste, se la tuadegnazione, o mio Dio, non mi avesseindotto ad ammetterlo per mia dolcissimaesperienza. Il gaudio di tale visione è cosìgrande, che è necessario un aiuto specialeper sostenere la creatura terrena, giacchésarebbe impossibile ad una anima goderetale favore, anche per un solo istante, erestare ancora viva. Dovessi io viveremille anni, sempre al ricordo di ciò chemi hai fatto provare, o Dio; gusterei gioie inenarrabili».

Un altro giorno Santa Gertrude,rapita in estasi, vide Gesù circondato diluce. Si gettò sul suo petto ma stava permorire sotto l’azione divina. Subito esclamò: «O Dio, la mia debolezza nonpuò sopportare la vista di queste meravi-glie d’amore!». Il Signore attenuò alloralo splendore di quella luce e si fece vederecircondato da una moltitudine grande

di Angeli, i quali lasciavano trasparirel’immensa letizia. Apparve pure il corodegli Apostoli, poi quello dei Martiri edei Confessori ed infine il coro delleVergini. Mentre Santa Gertrude godeva diquella visione, poté contemplare una lucespeciale, che risplendeva fra Gesù ed ilcoro delle Vergini; questa luce sembravaunire le privilegiate creature al loro Sposo.

SSanta Gertrude

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anta Margherita Maria Alacoque, lavisitandina mistica conosciuta per le

visioni del Sacro Cuore di Gesù, ebbeun’esperienza del Paradiso, come raccontalei stessa: «Una volta che mi ero lasciataandare a un moto di vanità parlando di me stessa, mio Dio, quante lacrime equanti gemiti mi causò questa mancanza!Nel momento in cui restammo soli, Luimi rimproverò in questo modo con unviso severo: “Cos’hai tu, polvere e cenere,da poterti glorificare, visto che non hainulla di tuo se non il nulla e la miseria,che mai devi perdere di vista, così comemai devi uscire dall’abisso del tuo nulla?E per fare in modo che la grandezza deimiei doni non ti faccia dimenticare chisei, voglio mettertene davanti agli occhi il quadro”. E subito mi mostrò questoquadro orrendo, dove c’era una sintesi diciò che io sono. Questo mi sorprese tantoe mi suscitò tanto disgusto di me stessa,che, se lui non mi avesse sorretta, sareisvenuta dal dolore. Non riuscivo a capirel’eccesso di una così grande bontà emisericordia, che non mi aveva ancorafatta sprofondare nell’inferno e riusciva a sopportarmi, mentre io non nuscivo asopportare me stessa. Ed era questo ilsupplizio mediante il quale Lui puniva inme i minimi moti di vana compiacenza,così costringendomi talvolta a dirgli: “Omio Dio! Ahimè! Fatemi morire oppure

celatemi questo quadro, perchè nonposso vivere vedendolo”… E’ quanto mifece provare un giorno di Ognissanti, in cui mi fu detto in modo intelligibile:“Nulla di sozzo nell’innocenza, nulla siperde nella Potenza, nulla accade in quel beato soggiorno, Tutto si consumanell’amare”. Le spiegazioni date in meritoa queste parole, per molto tempo mihanno tenuta impegnata. “Nulla di sozzonell’innocenza”, cioè non dovevo averealcuna macchia nella mia anima né nelmio cuore. “Nulla si perde nella Potenza”,cioè dovevo dare tutto e abbandonaretutto a Lui, che era la Potenza stessa; perché a dargli tutto non si perde nulla.Quanto agli altri due versi, si riferivano al Paradiso, lì dove nulla accade, perchétutto è eterno e ci si consuma nell’amore.E poiché in quello stesso istante mi fumostrato un piccolo assaggio di questagloria, Dio mio, in quale trasporto digioia e desiderio tutto ciò mi trascinò!Ero in ritiro e passai tutto il giornoimmersa in questi piaceri inesplicabili, di cui mi pareva che non si potesse farealtro che andare subito a goderne. Ma lealtre parole mi fecero capire che ero benlontana dal vero. Eccole: “Invano il tuocuore sospira, Per entrarvi come credi.Bisogna solo aspirarvi, attraverso il cammino della Croce”. Dopodiché mi fu mostrato tutto quanto dovevo soffrire

nella mia vita e tutto il mio corpo fu scosso da un tremito, sebbene allora nonlo capissi a causa di quel quadro, comel’ho poi capito per gli effetti che me nesono derivati” ».

SSanta Margherita Maria Alacoque

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ra le sue numerose estasi e visioni,raccolti nei “Ratti e intelligenze”,

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, vide lagloria dell’anima di Suor Maria Benedetta,che morì il 29 d’ottobre 1598, alle ore 4di notte.

«Sento dunque presente Suor MariaMaddalena insieme con tutte l’altre madrie sorelle quando il nostro reverendoPadre dava la raccomandazione dell’animaalla sopradetta nostra Sorella, gli si presentò una gran moltitudine di Angeliagli occhi della mente, che stavano quipresenti aspettando con gran giubilo che quella benedetta anima spirasse per presentarla alla Santissima Trinità. E vedeva quell’anima essere come unacolomba col capo dorato, subito che fuspirata, fu dagli Angeli presa e presentataalla Santissima Trinità. Stando poi lanotte a guardare quel corpo, essendo giàmorta da 3 ore, io gli domandai dove credeva che fosse quella benedettaanima. Mi rispose che non credeva chefosse né in Purgatorio né in Paradiso, ma ritenuta, in quel modo che piaceva aDio, priva per ancora della visione sua.Passato poi altre due ore, e salmeggiandoinsieme il Salterio, in luogo di direRequiem Eternam ecc., cominciamo a direGloria Patri, ecc., senza accorgercene.

All’ora Suor Maria Maddalena midisse: “Non è senza mistero che diciamola Gloria in luogo del Requiem, ecc., perché io non penso ci sia più bisogno di domandar Requiem per questa feliceanima, ma ritengo che a pieno essa godae fruisca la beatifìca visione di Dio, ecredo che ci possiamo raccomandare alei” (furno 5 hore).

Il sabato mattina [30 ottobre] mentresi dicevano le Messe per questa nostrasorella, Suor Maria Maddalena rimase incoro rapita in spirito e vide l’anima suanella celeste gloria, superiore a una granmoltitudine di vergine, starsene avanti al trono della Santissima Trinità con unmanto dorato per l’ardente carità cheessa aveva.

E ogni dito delle sua mano avevapiù che il suo anello; e la corona suasopravanzava in preziosità quella di un’ altra delle nostre sorelle già mortaparecchi anni orsono. E fu una religiosadi gran perfezione e vita esemplare, epatì assai e in vari modi per amor di Dionella santa religione. Ma intese SuorMaria Maddalena esser più preziosa lacorona di Suor Maria Benedetta chequella di questa, perché questa sorella se pativa lo conosceva, ma Suor MariaBenedetta pativa e, non di meno, tanto

era il desiderio di patire che non gli pareva di patire. Gioiva Suor MariaMaddalena in vedere i godimenti e idiletti che l’eterno Verbo, per noi fattouomo, comunicava a questa sua nuovasposa. E in particolare vedeva uscire dallabocca di Gesù un soavissimo liquore ilquale entrava nella bocca di Suor MariaBenedetta e riempieva l’anima sua diindicibile dolcezza. E questo intese essergli comunicato dal Verbo perché interra essa aveva, a imitazione di essoVerbo humanato, parlato sempre delprossimo suo e con esso prossimo congran dolcezza, soavità e compassione”».

TSanta Maria Maddalena de’ Pazzi

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anta Rosa da Lima e Luigia deSerrano, sua intima amica, si erano

scambiate la promessa di svelarsi dopo lamorte, se Dio avesse permesso, il luogodove sarebbero finite. Santa Rosa fu laprima a morire. Mentre Luigia riposavain casa dei genitori, fu svegliata da unaluce straordinaria che riempì la stanza.Ebbe la visione di Santa Rosa mentresaliva in Cielo accompagnata da unaschiera di Angeli festanti.

Luigia narrò quanto visto a dei teologi di Lima e questi, dopo averlobene studiato, dichiararono che non sitrattava di un’illusione.

Anche il dottor Giovanni di Castigliadepose con giuramento che Santa Rosagli era apparsa raggiante di bellezza e digloria e rivestita dell’abito domenicano.Sulla sua veste erano sparse rose bianchee rosse, teneva in mano un ramo di giglie raggi luminosi partivano dal suo volto edai fiori che teneva in mano. «Rosa mi parlòcon dolcezza – raccontò il dottore – sitrattenne con me parlandomi della felicitàdi cui gode, ma non trovo espressioni perridire ciò che mi fece intendere».

Santa Rosa nacque a Lima il 20 aprile1586, decima di tredici figli. Il suo nomedi battesimo era Isabella. Era figlia diuna nobile famiglia, di origine spagnola.Quando la sua famiglia subì un tracollofinanziario, Rosa dovette aiutare i genitori

per provvedere alle necessità quotidiane.Si dovette anche prestare a svolgere lavorimateriali. Fin da piccola nutriva il desideriodi consacrarsi a Dio nella vita claustrale,ma non le fu possibile e rimase “verginenel mondo”. Scelse come modello di vitaSanta Caterina da Siena e come lei entrònel Terz’Ordine domenicano. Allestì nellacasa materna una sorta di ricovero per ibisognosi, dove prestava assistenza aibambini ed agli anziani abbandonati,soprattutto a quelli di origine indigena.Dal 1609 scelse di rinchiudersi in unacella di appena due metri quadrati,costruita nel giardino della casa materna,dalla quale usciva solo per parteciparealle celebrazioni religiose. In quella cellatrascorreva gran parte delle sue giornatein preghiera e in colloquio con Dio. Ebbe molti doni soprannaturali e visionimistiche. Nel 1614 fu obbligata a trasfe-rirsi nell’abitazione della nobile Maria de Ezateguì. Debilitata dalle continuepenitenze, morì il 24 agosto 1617, festadi S. Bartolomeo.

SSanta Rosa da Lima

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anta Teresa d’Ávila descrisse nel Librodella sua vita la visione del Paradiso:

«Un giorno, mentre ero in orazione, Gesùsi degnò mostrarmi le sue mani: eranocosì belle che non so come descriverle.Rimasi molto turbata, come mi avvienesempre dal principio quando in questifatti soprannaturali vi sia qualche cosa dinuovo. Di lì a pochi giorni vidi il suoVolto divino e ne rimasi completamenterapita. Non potevo intanto spiegarmi perché il Signore mi si mostrasse a pocoa poco, dato che poi mi doveva dare lagrazia di vederlo interamente. Ma intesiche così faceva per adattarsi alla mia naturaledebolezza. Sia Egli per sempre benedetto!No, una creatura così miserabile e vilecome me, non avrebbe potuto resistere atanta gloria, se quel Dio di bontà che losapeva non mi avesse disposta a poco apoco. Le verrà forse da pensare. Padremio, che non ci voglia poi tanto per contemplare due mani e un bellissimovolto. Ma i corpi glorificati rifulgono ditanta gloria e d’una bellezza così elevata-mente soprannaturale che la loro vistasconvolge la ragione. Io me ne rimanevopiena di paura, tutta inquieta ed alterata,benché poi non tardassi a sentirmi moltosicura, e mi sparisse ogni timore per gli effetti che ne riportavo. L’Umanità sacralissima di Gesù Cristo mi apparvetutta intera nella festa di San Paolo,

mentre assistevo alla Santa Messa. Era inquella forma sotto cui si suole dipingererisuscitato, ma di una bellezza e maestàincomparabili, come le ho già scritto dettagliatamente dopo il formale comandoche me ne ha dato. L’ho fatto con moltapena perché sono cose che a volerle dire,annientano. Tuttavia l’ho fatto nel migliormodo possibile, per cui non v’è motivo diripetermi. Dirò soltanto che se a godimentodella vista non vi fosse in Cielo che l’eccelsa bellezza dei corpi gloriosi, sen’avrebbe sempre una beatitudineimmensa, specialmente nel contemplarel’Umanità di Nostro Signore Gesù Cristo.Se è così sulla erra, dove quando Egli simostra lo fa in proporzione della nostranaturale debolezza, che sarà nel Cielo dovelo si godrà in tutto il suo splendore?… E’ una luce che non abbaglia, un candorepieno di soavità, un infuso splendore cheincanta deliziosamente la vista senzastancarla, come non la stanca la chiarezzacon cui si vede quella sublime realtà. E’una luce così diversa dalla nostra chequella del sole, in confronto, sembramolto appannata, tanto che dopo non sivorrebbe nemmeno aprire gli occhi. E’come se da una parte si vedesse un’acqualimpidissima scorrere sopra un cristalloilluminato dal sole, e dall’altra un’acquamolto torbida volgere fra la polvere sottoun cielo nuvoloso. Non già che si ceda

sole o luce che abbia somiglianza conquella del sole. Anzi, questa luce sembrapiuttosto artificiale e quella soltantonaturale: luce senza tramonto, che nullapuò turbare perché eterna, di tal portatache nessuno potrebbe immaginare, neppure se fosse di grandissimo ingegnoe vi penasse per tutta la vita».

SSanta Teresa d’Ávila

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l canonico di San Lorenzo in FirenzeOnorio Pugi il 16 giugno 1922 riferì

di una guarigione ottenuta grazie all’inter-cessione di Santa Teresa del BambinoGesù. «Nel settembre 1921 una giovanemadre di tre bambini fu colpita da unagrave malattia interna, accompagnata dadolori acuti che la ridussero a completaimmobilità; il minimo movimento provo-cava un raddoppiamento di sofferenze.Gli specialisti consultati proposeroun’operazione che sarebbe stata assaidolorosa e che non avrebbe avuto altrorisultato che conservarla in vita lasciandolanella completa inazione. Fu allora chevisitando la malata le portai un opuscolorelativo a suor Teresa di Gesù Bambino,e una sua reliquia, consigliandola di fareuna novena a quella potente santa. Lamalata cominciò subito le preghiere e,ogni volta che le recitava, le sembrava, aquanto mi confessò, di sentire la presenzainvisibile di un essere che la circondavacon tenera protezione, e perfino si sentivaqualche volta pervasa di un profumo dirose. I dolori diventavano sempre piùacuti; uno dei professori già consultati fu di nuovo chiamato, ma non fece cheripetere la diagnosi antecedente: urgevaun’operazione. Questa sentenza penosanon fece che raddoppiare e rendere piùardente la confidenza della signora verso suor Teresa di Gesù Bambino e la

scongiurò di venire in suo soccorso. Orain quella notte stessa, verso la mattina,ella sentì a un tratto la presenza sopran-naturale della sua celeste protettrice e videapparire una luce sfolgorante. La piccolaSanta aveva con sé delle rose e le disse:“Sono regina in Cielo”. Nel medesimotempo il dolce profumo dei fiori celestiche la santa portava in mano riempì tuttala stanza. Immediatamente le sofferenzesparirono, la malata nelle ore mattutinelasciò il letto, dandosi durante tutto ilgiorno alle faccende domestiche e facendola sera, con i suoi, una lunga passeggiata;e tutto ciò si ripeté nei giorni che seguirono.Da quell’epoca ella non conserva alcunis-sima traccia delle passate sofferenze».

Il Messale Romano ricorda Santa Teresadel Bambino Gesù così: «Sensibilissima e precoce, fin da bambina decise di dedicarsi a Dio. Entrò nel Carmelo diLisieux e nel solco della tradizione carmelitana scoprì la sua piccola via dell’infanzia spirituale, ispirata alla semplicità e all’umile confidenza nell’amore misericordioso del Padre.Posta dalla vocazione contemplativa nelcuore della Chiesa, si aprì all’ideale missionario, offrendo a Dio le sue giornatefatte di fedeltà e di silenziosa e gioiosaofferta per gli apostolo del Vangelo. I suoi pensieri, raccolti sotto il titolo

Storia di un’anima, sono la cronaca quotidiana del suo cammino di identifi-cazione con l’Amore. Con San FrancescoSaverio è patrona delle missioni».

ISanta Teresa del Bambino Gesù

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anta Teresa di Gesù de Los Andes,carmelitana scalza del Cile, visse

un’ intensa unione con Dio. Nel suoDiario, tra l’altro, fonte di ricchezza spirituale, troviamo alcuni accenni alParadiso: «Leggo Elisabetta della Trinità.Mi incanta. La sua anima assomiglia allamia. Poiché essa è stata una Santa, la imiterò e sarò santa. Voglio vivere conGesù nell’ intimo della mia anima. Vogliodifenderlo dai suoi nemici. Voglio vivereuna vita di Cielo – come dicevaElisabetta – essendo una lode di gloria:

1° Vivendo una vita divina. AmandoDio con amore puro. Dandomi a Lui senzariserve. Vivendo in un intima comunionecon lo Sposo della mia anima.

2° Compiendo in tutto la volontà diDio. Come? Compiendo ad ogni istante,con gioia, il mio dovere. Niente mi deveturbare. Tutto deve essere pace come èquella che inonda gli Angeli in Cielo.

3° Vivendo nel silenzio, perché cosìlo Spirito Santo trarrà suoni armoniosi eil Padre con lo Spirito Santo formerà inme l’ immagine del Verbo.

4° Soffrendo, poiché Cristo ha soffertotutta la vita e fu lode di gloria del Padresuo. Soffrirò con gioia per i miei peccatie per i peccatori.

5° Vivendo una vita di fede.Guardando tutto dal punto di vistasoprannaturale. Riflettendo Cristo comein un cristallo nelle nostre azioni.

6° Vivendo in un continuo rendi-mento di grazie: che i nostri pensieri,desideri e atti siano una perpetua azionedi grazie.

7° Vivendo in una continua adorazione,come gli Angeli, ripetendo: Sanctus,Sanctus ecc. E poiché non possiamo starecontinuamente in orazione, almeno primadi ogni esercizio rinnovare l’ intenzione ecosì saremo una lode di gloria e vivremouna vita di cielo. Anzi, dobbiamo infiam-marci maggiormente di zelo per la gloriadivina».

“Andiamo nella solitudine” (Ritirodel 1917) 8 agosto.

Oggi entro in ritiro. Odo la voce diGesù che mi dice: «“Andiamo nella soli-tudine”. “La porterò nella solitudine e làparlerò al suo cuore”. Mi ritiro con Luinell’ intimo della mia anima e lì, come inun’ altra Nazareth, vivrò in sua compagnia,con la mia Madre e San Giuseppe. Gesùmi ha detto che farà un controllo nellasua casetta per vedere ciò che manca per purificarla.

Quanto grande mi considero dopoaver visto la mia origine: Dio stesso! E ilmio fine: un Dio infinito! Ma c’ è unpunto tra l’ origine e la fine ed è la vita.Cosa devo fare dunque mentre vivo?Servire, onorare, amare e glorificare ilmio Creatore. E come? Qui è in gioco lamia volontà. Se sono generosa mi daròtotalmente a Gesù, che ha dato tutto per

me. Le creature, tutto quanto possiedo,me le ha date Dio. Perciò devo usare diesse come se non mi appartenessero. Intutto, dunque, devo compiere la volontàdi Dio, del mio Creatore, del mioSalvatore, del mio Tutto. Gli appartengo».

SSanta Teresa di Gesù de los Andes

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anta Veronica Giuliani nel suo Diarioal 6 marzo 1694 narrò una visione

del Paradiso: «Io vi vorrei descrivere l’armonia che sento al mio cuore; madubito di non poterne dire parola.Contuttociò, per obbedire a V. R. ora viscriverò distintamente il tutto. Questaarmonia la provo in più modi. Delle volte,sentendomi in una gran pace e silenzio,sento intonare accenti di paradiso. Dico:accenti di Paradiso, perchè ben scorgo,che è Gesù mio sposo. Di questi non badoa dire altro, perchè mi pare di averli narrati in questi scritti qui avanti.

Altre volte, in un subito, sento armoniadi canti, e pare a me che siano musicicelesti che facciano festa al mio divinissimoSposo. E, per quanto io sento, anche Esso si unisce con loro, e, come supremocantore, col suo canto divino, va invitandola sua sposa, cioè l’ anima mia, la quale daun po’ di questi inviti se ne va dal suoDiletto, ed ella anche va cantando; manon può dire altro, se non queste preciseparole: O Sposo mio! Amor mio! Tosto sipone in silenzio; e, con stare del tuttocheta, ella gode dell’ armonia amorosache Gesù suo Diletto le va intonando. Sonoperò cose brevi; e, se troppo durassero,non so come non si verrebbe meno per dolcezza.

Pare a me che tutto questo dia tal forzaallo spirito, ma altrettanto indeboliscel’umanità. Non so cosa sia. Se V. R. conosceche sia cosa di qualche inganno, me loavvisi, e mi dica come devo fare per sfuggirle. Perchè io mi sono ingegnata dimolto, per vedere se mi potevo divertire(distrarre) da questa sorta di cose. Non homai potuto. Vengono così all’ improvviso,e con tale impeto, che è cosa impossibileil poterne uscire. Sinchè non passa, nonposso operare cosa alcuna, perchè, dellevolte, mi piglia tutte le potenze, e rimangocome fuori di me. Allora non mi possoaiutare con cosa alcuna. Anzi, standocosì, pare che sia più sonora l’armoniache vado sentendo.

Io, delle volte, non comprendo sesono suoni o canti; so bensì che i suoni e i canti che si sentono qui in terra giornalmente, pare che siano trastulli difanciullini, al confronto di questi che mipar di sentire. E per quanto io conosco,pare che questa armonia tiri l’ anima miaa più stretta unione con Iddio. Passatache è, mi lascia tal brama di patire che ionon posso far di meno di non flagellarmi.

Questa armonia l’ ho sentita cinquevolte particolari. La prima volta fu in unraccoglimento il quale mi lasciò sentimentoparticolare sopra il proprio niente, ed

una generosità nel patire. Questa fu tutta.inviti dello Sposo, mio Bene. In que’ suoiaccenti amorosi mi portava avanti gioiepreziose di virtù; ma tutte incognite,voglio dire cose interne. Pareva che mifacesse comprendere il basso sentimentodi me stessa. Ma io tutto comprendevoda quell’ armonia che dentro il mio,cuore sentivo».

SSanta Veronica Giuliani

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l 25 febbraio del 1930 subirono ilmartirio in Cina i missionari salesiani

monsignor Luigi Versiglia e don CallistoCaravario.

Un fatto prodigioso accadde nellaprimavera del 1932 al successore dimonsignor Versiglia nel vicariato di Shiu-chow, Monsignor Ignazio Canazei,uomo austero, positivo, del tutto alienodalle suggestioni e dalle allucinazioni. Lo narrò lui stesso a un suo missionario,don Pietro Battezzati. E questi lo mise periscritto e lo confermò con giuramentodinanzi ai giudici del processo per labeatificazione dei due martiri.

«Non molto tempo fa – narrò mon-signor Canazei – dopo avere, per unaennesima volta, cercato a lungo, ma sempre invano, nel mio ufficio documentiimportanti per la Missione, data l’oraormai tarda, mi ritirai nella mia attiguacamera da letto per riposarmi. E intantopensavo a monsignor Versiglia, quasi perinvocarlo a farmi trovare quei documentidel suo episcopato. Poco dopo la mezzanottemi svegliai con stupore, vidi filtrare lucedalle fessure della porta del mio ufficio.Pensando di essermi dimenticato di spegnere la lampada a petrolio, mi alzaiper andare a spegnerla. Aperta la porta,vidi l’ufficio tutto illuminato e nel mezzodi esso, in piedi e gioviale, monsignorVersiglia. Provai meraviglia, non spavento;e lo guardavo sorridendo. Anche lui misorrise e poi, parlandomi giovialmente econfidenzialmente come usava fare quandoera vivo, mi indicò il doppio fondo delgrande armadio-archivio, che copriva quasiinteramente una parete dell’ufficio e in

cui erano nascosti i documenti tanto cercati.Non fu un sogno, ma realtà; e così

trovai subito nel luogo indicato i documenti.Lo ringraziai e, dopo avergli chiesto alcunecose, gli rivolsi ancora la seguente domanda:

— Mi dica, monsignore, quando lauccisero andò subito in Paradiso?

Egli, divenuto più luminoso, sorridendo,mi rispose in cinese:

— Cek Kat – che vuol dire: istanta-neamente! Poi disparve e tutto ritornònel buio».

Il vescovo Luigi Versiglia, salesiano, èuno dei 120 martiri della Cina canonizzatida Giovanni Paolo II il 1° ottobre 2000.Nato nel 1873 a Oliva Gessi, in provinciadi Pavia, conobbe personalmente don Bosco.Ordinato sacerdote nel 1895, fu per dieci anni maestro dei novizi nella Casasalesiana di Genzano. Fin da giovanissimoportava nel cuore il desiderio di partiremissionario. Così nel 1906 fu sceltocome capogruppo dei primi missionarisalesiani in partenza per la Cina. Visse ilsuo apostolato prima a Macao e poi nellaregione del Kwangtung, nel Sud dellaCina, dove fondò la missione di ShiuChow di cui nel 1920 divenne vicarioapostolico e primo vescovo. Mentre la Cinasprofondava sempre più nella guerra civile,verso la fine del gennaio 1930 si mise inviaggio assieme al giovane confratellodon Callisto Caravario (anche lui nelgruppo dei 120 martiri) per raggiungerei cristiani della piccola missione di Lin-Chow.Furono uccisi insieme da un gruppo dibanditi il 25 febbraio 1930.

ISanti Luigi Versiglia e Callisto Caravario

1 873 - 1 9 3 0 e 1 9 0 3 - 1 9 3 0

agli “Atti degli Apostoli” ai capitoli6 e 7 troviamo narrato il martirio

di Santo Stefano protomartire e la visioneda lui avuta del Paradiso con Cristo circondato di gloria.

«Stefano intanto, pieno di grazia e difortezza, faceva grandi prodigi e miracolitra il popolo.

Insorsero allora alcuni della sinagogadetta dei “liberti” comprendente anche i Cirenèi, gli Alessandrini e altri dellaCilicia e dell’Asia, a disputare con Stefano,ma non riuscivano a resistere alla sapienzaispirata con cui egli parlava. Perciò sobil-larono alcuni che dissero: “Lo abbiamoudito pronunziare espressioni blasfemecontro Mosè e contro Dio”. E così sollevarono il popolo, gli anziani e gliscribi, gli piombarono addosso, locatturarono e lo trascinarono davanti al sinedrio. Presentarono quindi dei falsitestimoni, che dissero: “Costui non cessadi proferire parole contro questo luogosacro e contro la legge. Lo abbiamo uditodichiarare che Gesù il Nazareno distrug-gerà questo luogo e sovvertirà i costumitramandatici da Mosè”. E tutti quelli chesedevano nel sinedrio, fissando gli occhisu di lui, videro il suo volto come quellodi un angelo. Gli disse allora il sommosacerdote: “Queste cose stanno propriocosì?”. Ed egli rispose: “Fratelli e padri,ascoltate: il Dio della gloria apparve al

nostro padre Abramo quando era ancorain Mesopotamia, prima che egli si stabilisse in Carran, e gli disse: Esci dallatua terra e dalla tua gente e và nella terrache io ti indicherò… Ma l’Altissimo non abita in costruzioni fatte da manod’uomo, come dice il Profeta: Il Cielo è ilmio trono e la terra sgabello per i mieipiedi. Quale casa potrete edificarmi, diceil Signore, o quale sarà il luogo del mioriposo? Non forse la mia mano ha creatotutte queste cose? O gente testarda epagana nel cuore e nelle orecchie, voisempre opponete resistenza allo SpiritoSanto; come i vostri padri, così anche voi.Quale dei profeti i vostri padri nonhanno perseguitato? Essi uccisero quelliche preannunciavano la venuta del Giusto,del quale voi ora siete divenuti traditorie uccisori; voi che avete ricevuto la legge permano degli angeli e non l’avete osservata”.All’udire queste cose, fremevano in cuorloro e digrignavano i denti contro di lui. Ma Stefano, pieno di Spirito Santo,fissando gli occhi al cielo, vide la gloriadi Dio e Gesù che stava alla sua destra e disse: “Ecco, io contemplo i cieli apertie il Figlio dell’uomo che sta alla destra diDio”. Proruppero allora in grida altissimeturandosi gli orecchi; poi si scagliaronotutti insieme contro di lui, lo trascinaronofuori della città e si misero a lapidarlo. E i testimoni deposero il loro mantello

ai piedi di un giovane, chiamato Saulo. E così lapidavano Stefano mentre pregavae diceva: “Signore Gesù, accogli il miospirito”. Poi piegò le ginocchia e gridòforte: “Signore, non imputar loro questopeccato”. Detto questo, morì».

DSanto Stefano Protomartire

achele Ambrosini fu una ragazzadi notevoli doti spirituali e umane.

Morì il 10 marzo 1941 a soli 15 anni e 8 mesi. Dopo la morte apparve a moltepersone, come descritto in alcuni episodi.

Umberto Mirra da Campanarello(Avellino), nel 1941 era arruolato nell’esercito,si ammalò di polmonite e venne condottoall’ospedale di Salerno. Una notte gliapparve Rachele vestita tutta di bianco egli disse: “Non aver paura, stai già bene e fra poco andrai a vedere la tua famiglia”.E così avvenne. Lo stesso anno il Mirravenne trasferito dalla Sicilia all’Italia delNord per prepararsi ad andare in Russia.Una notte gli apparve di nuovo Rachele egli disse: “Non aver paura, per te c’è chici pensa; parti contento; tornerai sano e salvo”. In Russia, nel 1942, stava per iniziare un’operazione bellica e Umbertoera molto preoccupato. Rachele gliapparve la terza volta, dicendo: “Perchései così malinconico e hai tanta paura? I Russi sono già andati via; tu e i tuoicompagni andate senza timore. Già te lodissi che tornerai a casa sano e salvo”. Einfatti dopo poco tempo poté tornare a casa.

Al soldato Domenico Colantuoni, dopouna delle incursioni, si era addormentato,quando apparve Rachele e gli disse: “Staicontento che io ti proteggo”. Arrivò il£sergente e gli ordinò di andare con altria tagliare dei rami per nascondere le tende.

Obbedì e andò con alcuni compagni.Mentre rientrava vide degli aeroplaninemici. I compagni cercarono rifugio sottoun ciglio, Domenico rimase distaccato daloro e si arrangiò come poté. Cadde unabomba: quelli che erano sotto il cigliomorirono, mentre Colantuoni rimasecompletamente illeso.

Antonio Villani narrò, sotto vincolodi giuramento, il seguente episodio: «Nel 1942, trovandomi nello spacciocooperativo del mio reggimento, udii uncollega di armi raccontare quanto appresso.Trovandomi accampato in località espostaalle offese del nemico, una notte, mentreriposava, gli appare una giovinetta e glidice di allontarsi da quel luogo perché visarebbero cadute delle bombe. Il soldatonon dette importanza e continuò a dormire.Una seconda volta comparve la fanciullache gli ripeté con insistenza di allontanarsidi lì e mettersi in salvo se non volevarimanere ucciso. Il soldato, impressionato,avvertì i compagni, ma questi scoppiaronoa ridere e lo motteggiarono, per cuianche egli, sebbene con l’animo turbato,rimase sotto la tenda con loro. Ed eccoche l’apparizione ritorna per la terza voltae gli dice: “Non vuoi proprio salvarti? Io ti confermo, che fra pochi minuti ilcampo sarà bombardato”. Allora il soldato,sgomento, le domandò: “Ma tu chi sei?”.L’apparizione rispose: “Sono Rachelina

Ambrosini, figlia del Dott. Alberto”. Il suoaspetto era di un angelo. Il soldato si alzòdi scatto esclamando: “Chi mi vuol seguire,mi segua, e uscì dalla tenda seguito daaltri due soldati. Gli altri rimasero. Ma nonerano tra scorsi che pochi minuti quandoapparecchi nemici rovesciarono sul campoproiettili d’ogni calibro seminandovi ladistruzione e la morte”».

RRachele Ambrosini

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l 15 dicembre 1935 Gesù faceva scrivere alla cappuccina Serva di Dio

Suor Consolata Betrone per tutte leanime: «Consolata, sovente anime buone,anime pie e molto spesso anime a Meconsacrate, con una frase diffidente feriscono l’intimo del mio Cuore: “Chissàse mi salverò?”. Apri il Vangelo e leggi le mie promesse. Alle mie pecorelle hopromesso: “Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano” (Gv 10,28). Hai capito, Consolata? Nessuno puòstrapparmi un ‘anima. Ma leggi ancora:“Il Padre mio che me le ha date è piùgrande di tutti e nessuno può rapirledalla mano del Padre mio” (Gv 10,29).Consolata, hai capito? Nessuno puòstrapparmi un anima… in eterno nonperiranno… perché Io do ad esse la vitaeterna. Per chi ho pronunciato questeparole? Per tutte le pecore, per tutte leanime… Credimi Consolata, che all’infernova chi vuole, cioè chi vuole veramenteandarvi; perché se nessuno può strapparmiun’anima dalle mani; l’anima, per la libertàconcessale, può fuggire, può tradirmi;rinnegarmi e passare quindi di propriavolontà al demonio. Oh, se invece di ferireil mio Cuore con queste diffidenze, pensaste un pò più al Paradiso che viattende! Perché non vi ho creati per l’inferno ma per il Paradiso, non per

andare a far compagnia al demonio maper godermi nell’amore eternamente.Vedi Consolata, all’inferno ci va chi vuoleandarvi... Pensa come è stolto il vostrotimore di dannarvi: dopo che per salvarela vostra anima ho versato il mio Sangue,dopo che per un ‘intera esistenza l’ho circondata di grazie, di grazie e di grazie…all’ultimo istante della vita, quando stoper raccogliere il frutto della Redenzionee quindi quest’anima sta per amarmi eternamente, Io, proprio Io che nel santoVangelo ho promesso di dare ad essa lavita eterna e che nessuno me le strapperàdi mano. Me la lascerò rubare dal demonio,dal mio peggiore nemico? Ma, Consolata,si può credere a questa mostruosità? Vedi;l’impenitenza finale l’ha quell’anima chevuole andare all’inferno di proposito equindi ostinatamente rifiuta la mia mise-ricordia, perché io non rifiuto mai il perdono a nessuno; a tutti offro e donola mia immensa misericordia; perché pertutti ho versato il mio Sangue, per tutti!No, non è la moltitudine dei peccati chedanna l’anima, perché Io li perdono seessa si pente, ma è l’ostinazione a nonvolere il mio perdono, a volersi dannare.San Disma, in croce, ha un solo atto diconfidenza in Me e tanti e tanti peccati;ma in un istante è perdonato e lui; nelgiorno stesso del suo ravvedimento, entraa possedere il mio Regno ed è un Santo!

Vedi il trionfo della mia misericordia edella confidenza in Me! No, Consolata: il Padre mio che Me le ha date, le anime,è più grande e potente di tutti i demoni;sai! E nessuno può rapirle di mano alPadre mio».

IServa di Dio Consolata Betrone

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a Serva di Dio Edvige Carboni, l’11 agosto 1941 racconta di aver

vissuto l’esperienza del Paradiso: «Ierisera, addolorata per un affare di miasorella, mi addormentai. Gesù, come inuna tela, mi presentò tutta la mia vita passata; pene ed affanni: insomma anchela minima sofferenza io vidi rinnovarsidavanti a me.

Per queste sofferenze, mi disseGesù, è che io ti voglio bene, perché tuttele sopportasti per mio amore.

Mi presentò un posto. Vieni, midisse, qua; vedrai tante belle cose

Camminando, arrivai ad un bel portone ove erano due angeli ai lati, inatto di imponente vigilanza.

Sopra il portone d’oro, era scritto:Qua non entreranno né disonesti, né impudichi.

I due angeli mi fecero segno dientrare; io, contenta, entrai: era un pezzodel Paradiso. Come era bello! Piante efiori mai visti, il pavimento smaltato diperle e fiori preziosi.

Camminai un pezzetto; poi mi fecerosegno di non oltrepassare più oltre.

Mentre, incantata, guardavo bellezzemai viste, vidi avvicinarsi un prete salesiano,con una chiave in mano, diretto ad un giardino che si trovava dentro il S. Paradiso. Nel cancello prezioso c’erascritto a caratteri d’oro: Giardino Salesiano.Dentro si vedevano preti grandi e piccoli,

secolari di tutte le età, un giardino mera-viglioso, piante (e) fiori mai visti; tutta lagente di dentro cantavano allegramente.

Io avvicinai Don Angelini: Ci lascientrare a vedere il vostro giardino! No,rispose: è roba nostra.

Mentre parlavamo con lui, nell’ariavidi scritto il mio nome e quello di miasorella. Guardi, dissi io, il nostro nome èscritto in Cielo!

Lui sorrideva.Così meravigliata, misvegliai».

«Maggio 194, Gesù mi fece vederela gloria di San Francesco d’Assisi; lo vidirisplendente: il più bello del Paradiso».

Ancora nel giugno 1941, la Serva di Dio narra di aver avuto una nuovavisione del Paradiso: «Una sera, mentrefacevo orazione, mi si presentò la VergineAusiliatrice col Bambino nel braccio; misorrise tutta affettuosa.

Una mattina pregavo per un miocugino sofferente di mal di testa; dicevoa Gesù: Guariscilo, è un tuo ministroSalesiano. Se non ha salute non può lavorare nella tua vigna; deve partire missionario, e come fa col mal di testa?Guariscilo, Gesù! Tu sai che non vuolprendere medicine. E Gesù rispose:Figlia, sappi che le piante, ce ne sonotante che (se) non sono innaffiate, si seccano; e così tuo cugino, se non prendele medicine, si può seccare più e più

nella salute.lo posso farlo guarire in unmomento, ma per certe anime sante, miepredilette, permetto che rimanganodeboli, per poi farne dei miei prediletti».«Una volta fui portata in Paradiso, e vididue troni.Chiesi: Chi ci sta in questitroni? Non vedo nessuno. E l’angelo midisse: Uno di questi sarà per te, e l’altroper tua sorella, però se persevereretenella santa purità, di amore di Dio e del prossimo».

LServa di Dio Edvige Carboni

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el Diario della Serva di Dio MadreMaria Costanza Zauli troviamo delle

esperienze spirituali di grandissimo valoree intensità. Ella stessa le racconta con moltagratitudine e riconoscenza nei confrontidi Dio. Leggiamo quando alla Madreapparve suo padre che le annunciava diessere salito al Cielo: «Entrò nelle divinepermissioni il vedermi ridotta – nel gennaio 1940 – ad una quasi assolutaimmobilità, necessaria (come mi fececomprendere il Signore) per la Chiesa eper la povera umanità, ma anche peraccumulare, per le mie figliole presenti efuture, quel deposito di grazia, dal qualepoter attingere quando non avrebberopiù avuto il sostegno che loro lasciava al presente.

Non ero sola a soffrire in queltempo; altre piccole ostie erano giàsegnate dall’impronta del sacrificio e,proprio in quel periodo, una di esse,Suor Maria Chiara della SantissimaEucaristia, superò una crisi pericolosa chefu tuttavia come l’annuncio a dispormi al prossimo dolorosissimo strappo. Giàda diversi anni quella benedetta figliola,minata da una grave infermità che nelfiore degli anni l’andava gradatamenteparalizzando, sosteneva eroicamente eserenamente un vero martirio.

Ed ecco che il 18 febbraio 1940dovetti vederla rendere l’anima a Dio…Mi sentii come strappare qualcosa della miavita, e sperimentai al vivo la sofferenzadell’Addolorata ai piedi della Croce.

Quale forte vincolo è quello dellamaternità spirituale! Più forte, direi, diquello del sangue.

Fui confortata dalle parole di Gesù:“Ho colto il mio giglio nel momento

della sua perfetta fioritura, attratto dalsuo profumo. Non è con la tristezza e colpianto che desidero mi vengano offertele mie candide spose! ”.

Mentre la salma stava per lasciarci, lospirito di Sr. M. Chiara mi consolò facendomiintendere che l’anima sua era nella lucedell’Eucaristia e aveva avuto il compito dirafforzare, col suo, il canto d’amore dellepiccole Ancelle Adoratrici. Queste eranostille di balsamo, ma la mia sofferenzarimaneva quanto mai sentita e profonda.

Dopo un mese appena dalla dipartitadella prima colomba dall’Arca, un altrostrazio: la morte del mio amatissimo babbo.Prova durissima per il mio cuore. La graziami sostenne e riuscii a dominare la miasensibilissima natura, che niente avevamai sperimentato di simile.

Durante la ricreazione, parlai di variricordi edificanti lasciatimi dal mio ottimobabbo. Mi fu allora ancor più difficiletrattenere il pianto, vedendo brillare lelacrime negli occhi di quante seguivanoattente e commosse il mio racconto.

Ebbi però il supremo conforto divedere, in seguito, lo spirito del babbomentre stava per entrare in Paradiso:

“Vengo a ringraziare te e questeanime buone per avermi affrettato il possesso dell’eterna felicità! ”».

NServa di Dio Madre Maria Costanza Zauli

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a visitandina Serva di Dio SuorBenigna Consolata Ferrero fu la

confidente del Sacro Cuore di Gesù, ilquale le rivelò anche della gloria che locircondava in Paradiso. Leggiamo nel Diariodella Serva di Dio quanto Gesù le confi-dava: «“La principal cosa che desidero sisappia è che Io son tutto amore, e che la più gran pena che si potrebbe fare al mio Cuore sarebbe di dubitare della miaBontà…” “Senti, mia gioia, scrivi questo:Se si vuol farmi un piacere grande è credereal mio Amore; se me lo si vuol fare piùgrande è credere di più, e per farmelo poigrandissimo è non metter limiti a questaFede nel mio Amore… La confidenza è la chiave che apre i tesori della miaMisericordia… Le anime confidenti sonole ladre delle mie grazie… E’ certo checento peccati m’offendono più di uno,ma se quest’uno fosse di diffidenza, Miferirebbe il Cuore più che cento altri,perchè la diffidenza ferisce il mio Cuorenel più intimo; amo tanto gli uomini!…Io amo gli uomini, Io amo teneramentegli uomini, li amo tenerissimamentecome miei fratelli; benchè ci sia unadistanza infinita fra Me e loro, Io non la conto…” E siccome l’amore vuole lacorrispondenza: “Mia Benigna, continual’Amante Divino, fatti l’Apostola del mioAmore, grida forte che ti senta tutto ilmondo che Io ho fame, che lo ho sete,che Io muoio dal desiderio di esser ricevuto dalle Mie creature… Sono nel

Sacramento del mio Amore per le miecreature, ed esse ne fanno sì poco caso!…Mia Benigna, ho sete dell’amore delleMie creature! I Serafini mi amano tanto, i Santi mi amano tanto, il loro amore èpiù puro, Io ho tanto amore in Cielo, mavengo a cercarlo in terra, perchè in terral’amore è libero…” Sono pagine e paginemeravigliose di cui ogni linea, ogni parolaè una scintilla caduta dalla fornaceardente del Cuore Sacratissimo di Gesùnel mondo delle anime per accenderviquel fuoco di cui è scritto: “Ignem venimittere in terram, et quid volo visi utaccendatur? E così si compie quanto fudetto alla “piccola segretaria” del DivinCuore: “Voglio un nuovo risorgimentonella società, e voglio che questo sia operato dall’Amore… Mi servirò di tequale mezzo per comunicarmi alle Mie creature…”

Gesù proseguiva: “Mia Benigna,dammi delle anime” “Come devo fare, oGesù, per darti anime?” “ I° Col sacrificio.Si, mia Benigna, che tu sia in un continuostato di sacrificio. Quando tu ti trovi fuoridi questo stato ti devi sentire fuori diposto. Bisogna continuamente accenderlonel cuore questo fuoco… le anime non si salvano col far niente”. E ancora lediceva: “Mia Benigna, la sete che Io ho disalvare anime più che posso Mi spinge acercarmi delle anime che io associo allamia opera d’amore…” ».

LServa di Dio Suor Benigna Consolata Ferrero

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a Serva di Dio Suor Josefa Menendéznacque a Madrid il 4 febbraio 1890.

Nel 1920, entrò come umile sorella coadiutrice nella Società del Sacro

Cuore di Gesù. Muore nel conventodi Les Feuillants, a Poitiers nel 1923,all’età di 33 anni.

La Serva di Dio ebbe numerosivisioni mistiche, tra le quali quella delmartedì Santo, 22 marzo, dopo laComunione, quando Gesù le appare conle braccia aperte. «“Vorrei chiederti tantecose, Signore!” – Gli dice. “— Non saidunque, Josefa, ciò che sta scritto nel miosanto Vangelo? Chiedete e riceverete!”.“Lo scongiurai d’avere compassione ditutto il mondo, e d’incendiarlo col fuocodel Suo Cuore divino...”. “— Ah, se siconoscesse il mio Cuore!… Gli uominiignorano la Sua Misericordia e la SuaBontà: ecco il maggior dolore!”. “AlloraLo supplicai d’infiammare le anime dellozelo per la sua gloria, di moltiplicare i suoisacerdoti, di suscitare molte vocazionireligiose. Poi mi fermai, ma, pur tacendo,Gli parlavo ancora. Quante cose Egli mi diceva con lo sguardo. E soprattuttoquanta fiducia m’infondeva! Infine mimostrò le mani e mi fece baciare le piaghe.Quindi disparve”»… L’alba del SabatoSanto, 26 marzo 1921, segna il compi-mento di questo periodo con uno di queifavori celesti che lasciano in Josefaun’impronta incancellabile. «— “Sai conquale intento ti do le mie grazie con tantaabbondanza?” le domanda Nostro Signore,apparendole nella meditazione con le piagherisplendenti di luce. E ripete quello cheun tempo aveva detto, quasi con le stesse

parole, a Santa Margherita Maria: “— Vogliofare del tuo cuore un altare, sul qualearda continuamente il fuoco del mioAmore. Però voglio che esso sia puro eche niente lo tocchi di ciò che potrebbemacchiarlo”. “Egli mi lasciò – scriveJosefa, – e discesi in Cappella per assisterealla Messa. Dopo la Comunione gustai legioie del Paradiso!… Vidi dentro di me,sopra un trono risplendente, tre personebiancovestite. Tutte e tre simili e bellissime!L’anima mia ardeva di un fuoco che,senza bruciare, mi consumava di felicità.Poi tutto scomparve”». Questa grazia, deltutto interiore, si ripeterà il 5 aprileseguente. Davanti alle tre Persone Josefaè pervasa da una pace indicibile. Tenta di spiegare qualche cosa di ciò che èavvenuto in lei con una semplicità ignaradell’importanza di un così insigne favore.«Di solito – scrive, – la divina Presenzami avvolge tutta, ed anche quando entronel Cuore di Gesù, mi trovo inabissata in Lui. Ma queste due ultime volte, nelmomento della Comunione, è avvenutacome una gran festa che si è celebratanell’anima mia. Gesù entrò in me come nelproprio palazzo. Non so come spiegarmi…e siccome ero fermamente decisa adabbandonarmi interamente a Lui perchéfacesse di me secondo il Suo volere, fudavvero una festa di Cielo».

LServa di Dio Suor Josefa Menedéz

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a Serva di Dio Suor Marta Chambonfu favorita da Dio di numerose visioni

soprannaturali, tra le quali quella delParadiso. Durante il ritiro del 1870, mentre in tempo di ricreazione le sorellerecitavano il Rosario, Maria le disse: «LeSorelle che procurano d’intervenire alRosario mi fanno piacere; quelle che lodicono con fervore saranno un giorno al mio seguito». Un giorno in cui tutta la Comunità era intenta alla pia pratica, le fu concesso di «vedere» le grazie e lebenedizioni numerose che Gesù riversavasulle famiglie, per le preghiere in onoredi sua Madre.

Anche la Madonna talvolta le ricordava«la missione» che le era stata affidata.Confermava: «La salvezza delle animenon si opera che per i meriti dellaPassione di Cristo… Se volete consolarmimettetevi a piè della Croce di mio Figlioe offrite con umiltà i suoi meritiall’Eterno Padre, in soddisfazione deipeccati degli uomini».

A volte fu dato a Suor M. Marta dicontemplare la Sacra Famiglia. Dopo unalunga estasi diceva alla sua Superiora:«Mia Madre, io torno dal Paradiso! Nonposso dire ciò che ho visto! Posso solodire che mi sono prostrata davanti allaSacra Famiglia e ho detto a San Giuseppe:“Mio buon Padre, vi ringrazio che mentreeravate sulla terra mi avete custodito la

mia dolce Madre Maria”». San Giuseppefu «molto contento» e le raccomandò di ripetere spesso la giaculatoria: «Gesù,Giuseppe e Maria vi dono il cuore e l’anima mia».

Previde la morte di Pio IX, la cuianima le apparve qualche tempo dopoper ringraziarla delle sue preghiere chegli avevano aperte le porte del Paradiso.

Riguardo alla vita intima dellaComunità fece sorprendenti predizioni e previsioni che lasciavano addiritturaattonite le Superiore. Una di esse scrissequesta dichiarazione: «Un giorno noi eravamo persuase che una Sorella Noviziadovesse applicarsi particolarmente in trepunti, ma, non osando ancora segnalarleil terzo, le comunicammo gli altri due. Lamattina dopo, la nostra cara privilegiatavenne con molta umiltà a farci notarequesta omissione: «Madre mia, nostroSignore dice che nell’anima della SorellaN. vi sono tre punti nei quali è necessarioche ella si applichi». Ebbe la visione chiaradella morte di sua sorella venticinquenne,monaca nel suo stesso Convento, colnome di Suor M. Claudina.

Una notte del settembre 1870, mentre,come al solito, stava davanti al SS. Sacra -mento, la vide vestita di bianco, immobilesull’altare, raggiante di bellezza, circondatada spiriti beati e Gesù che le diceva: «Oranon morirà più». Poco dopo si ammalò e

il 20 maggio morì. Nel 1878 le fu annun-ziato in modo sorprendente il decesso disuo fratello minore, che le comparve perrassicurarla di essere andato subito inParadiso. L’anno dopo ebbe la visionedella morte di suo padre, per la quale –riferisce la Superiora – provò un doloreindicibile confortato solo dal fatto cheanche l’anima di questo defunto venne adirle: «Io sono felice… Sono carico deimeriti e delle ricchezze delle Sante Piaghedi Gesù».

LServa di Dio Suor Marta Chambon

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el suo Diario al 2 luglio 1955 nellaFesta della Visitazione di Maria,

Teresa Neumann descrisse la visione delParadiso: «Recitavo le ultime preghiere;erano le ore 22, mi umiliavo davanti aDio e baciai la terra. All’improvviso la miacelletta s’illuminò ed in un bagliore diluce vidi una bella Signora. Temendofosse uno scherzo diabolico, dapprimapresi l’acqua benedetta ed aspersi la celletta. La Signora sorrise. Trovandomiancora nel dubbio, seguendo il suo consiglio, la invitai a pregare ed Ellapregò bene, anzi molto bene. Terminatala preghiera, la Signora continuò a sorridermi ed avvicinatasi mi disse: Haifatto bene! Non temere, figlia mia! Sono la tua diletta Mamma Celeste!…Fiorellino, caro al Cuore del mio FiglioGesù, tu spesso piangi. Non affliggertitanto e non preoccuparti del tuo avvenire!Faresti un torto al Signore. Egli ti custo-disce e ti tiene sul Cuore; tutto disponeper il compimento dei suoi disegni divini.Poi continuò: Le sofferenze e le lacrimesono le gemme preziose, che ornerannola corona nel Regno dei Beati, ove tu,figlia mia prediletta, per dono gratuitodella misericordiosa bontà del Signorebrillerai di gran luce. Io, tua dolcissimaMadre, ti aiuterò sino alla fine con maternointeresse e tu stimati fortunata di esserela sposa prediletta dell’Onnipotente mio

Figlio; ma non insuperbirti per sì grandono, anzi voglio che tu, mentre da unlato consideri la tua dignità di sposa prediletta, dall’altro le tue labbra ripetanole parole che io dissi alla mia carissimacugina Elisabetta: “Fecit mihi magna qui potens est! ” – confesso la mia grandezza, ma annunzio che è tuttaopera dell’Onnipotente. Ripeti ancora: Le perle che mi adornano, le ho ricevuteda Colui che senza mio merito mi haamata. Egli mi ha eletta fra mille. A Lui, a Lui solo, ogni onore e gloria! – Questosentimento di umiltà ti è necessario, figliamia, come alla nave sono necessarie levele ed i remi. Guai se ti appropriassi diquello che non è tuo o il vento dellasuperbia cominciasse a commuoverti! Tuttoè frutto dell’amore misericordioso diGesù, mio Figlio, che potendo sceglieretante altre anime, forse migliori di te, cheavrebbero corrisposto con più fedeltà, ha voluto scegliere te, perché sei la piùmiserabile; e se ne avesse un’altra piùindegna di te, l’avrebbe scelta… La tuavita è stata spinosa e ringraziane Gesù;pregalo incessantemente di darti la forzaper continuare il doloroso cammino daLui tracciato, per potere giungere là…guarda in quel luogo! (Padre mio, chebelle cose ho visto!). Mi è sembrato ditrovarmi già in Paradiso: era un’immensadistesa come il mare, di cui non si poteva

vedere il limite. Quanto sfolgorio di luce, che non so descrivere! E poi, cantimelodiosi e moltissime schiere di Angeliattorno a Gesù e numerose anime predi-lette. Una portava il nome scritto su unafascia attaccata al petto “Santa GemmaGalgani”; il mio Angelo Custode tenevapure una fascia con il mio nome».

NServa di Dio Teresa Neumann

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n una visione Suor Maria di Gesùd’Agreda contemplò l’incoronazione

di Maria Regina del Cielo e della terra.Ecco come la religiosa narra l’episodio:«Ho dichiarato che la Vergine fu collocatanel posto più alto, cioè sul trono dellaTrinità, e sovente ho usato questo termineper parlare di misteri tanto sublimi, comefanno pure i Santi e la stessa Scrittura.Benché non siano necessari ulteriorichiarimenti, per chi capisce meno spiegoche l’Onnipotente, essendo purissimospirito senza corpo ed insieme incom-mensurabile, immenso e incomprensibile,non ha bisogno di un seggio materiale,poiché riempie l’universo, è presente in ognicreatura e nessuna di esse lo racchiude,cinge o circonda, ma anzi è Lui che leabbraccia tutte in se stesso. Gli eletti,inoltre, non lo contemplano con gli occhicorporali, bensì con quelli dell’anima;però, siccome lo fissano in qualche puntopreciso – secondo il nostro modo diintendere –, diciamo che sta sul suotrono regale, anche se contiene in sé lapropria gloria e in sé la partecipa loro.Non nego comunque che l’umanità diCristo e sua Madre abbiano una sede piùeminente rispetto agli altri, né che tracoloro che sono lassù in corpo e anima ci sia un ordine di maggiore o minoreprossimità ad essi, ma non è qui opportunoesporre in che maniera questo avvenga…

Posta Maria nel luogo per lei preparato,le tre Persone palesarono alla loro corte i suoi privilegi. Il Padre, come primoprincipio, affermò: “Ella fu presceltacome prima delle nostre delizie tra tutti.Non si è mai resa indegna del nome difiglia, che le demmo nella nostra mentedivina, e quindi ha diritto al nostroregno, del quale deve essere riconosciutalegittima e singolare regina”. Il Verboincarnato continuò: “Alla mia vera Madreappartiene tutto quello che per me fucreato e redento, e deve essere supremaregina di tutto quello su cui io sono re”.Lo Spirito aggiunse: “Per il titolo di miasposa unica e diletta, al quale ha corrispostocon fedeltà, deve essere incoronata regina per sempre”… Dunque, posaronosul suo capo una corona di gloria di così nuovo splendore e valore che non se ne è mai vista né mai se ne vedrà una simile in una semplice creatura.Contemporaneamente, uscì una voce dal trono, che proclamava: “Carissima, ilnostro regno è vostro. Voi siete superiora,Regina e signora dei serafini, degli angelie di tutti gli esseri; procedete e regnateprosperamente su di essi, perché nel nostroconcistoro vi investiamo di completaautorità. Voi, piena di grazia al di sopra diogni altro, vi siete umiliata nella vostraopinione di voi stessa sino al posto piùbasso: ricevete ora quello più alto, che

vi è dovuto, e abbiate parte alla nostrapotestà su quanto ha fabbricato il nostrobraccio onnipotente. Comanderete finoal centro della terra, terrete soggetto l’inferno, e tutti i suoi demoni ed abitantivi temeranno come imperatrice assolutadelle loro caverne”».

ISuor Maria di Gesu’ d’Agreda

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l nipote del Venerabile Antonio Margil,Olivier si ammalò di febbre terzana

nell’agosto del 1740 e implorava con fervore la guarigione dal suo zio mortonel 1726. Una volta, sul mezzogiorno,mentre solo nella sua cella pregava aquesto scopo, il Venerabile gli apparvetutto splendente e gli disse queste parole:«Sono tuo zio, Antonio Margil di Gesù,che, per la grande umiltà che ebbi in vita,godo della beatitudine con una gloriainesplicabile». Poi segnò di croce la frontedel malato, gli promise la salute, disparve.Il nipote si alzò che era guarito.

Antonio Margil nacque in Spagna, aValencia, il 18 agosto 1657 in una famigliadi modeste origini. Frequentò le scuolelocali e si distinse per una grande umiltà.Era ancora adolescente quando sentì il desiderio di seguire l’esempio di SanFrancesco. Entrò nell’Ordine francescanoil 22 aprile 1673, nel convento La Coronade Cristo e prese il nome di AntonioMaria di Gesù. Studiò filosofia e teologiae a 25 anni ricevette l’ordinazione sacer-dotale. Subito accettò di partire per lemissioni indiane d’America, per portarel’annuncio di Cristo tra i cosiddetti “nativi”. Partì il 4 marzo 1683 e arrivò nellaNuova Spagna, a Veracruz, il 6 giugno.

Il giovane frate giunse nel collegiomissionario di Santa Cruz di Querétaro

che per lunghi anni fu la base per l’evan-gelizzazione dello Yucatán, del Costa Ricae Guatemala. Nel 1707 partì per Zacatecasdove fondò il collegio di Nostra Signoradi Guadalupe. Nel 1716 fu la voltadell’East Texas in cui, qualche anno prima,erano state chiuse le uniche missioni. Vi andò con tre padri e due fratelli laici.Un lavoro instancabile portò il numerodelle case a sei, tra le quali Nostra Signorade los Dolores e San Miguel de los Adaes.Quest’ultima era in Louisiana, le sueattenzioni di Padre Margil si concentra-rono infatti anche verso i coloni francesi.Quelle terre erano contese tra Francia e Spagna e i governi, appoggiando i missionari delle rispettive nazionalità,volevano contrastare l’espansione delnemico. La Chiesa voleva invece portareil Vangelo e più volte la sua mediazionefu preziosa per mitigare le lotte per laconquista dei territori. Nel 1719 l’EastTexas dovette essere abbandonato e l’intera popolazione spagnola emigrò aSan Antonio che divenne la più impor-tante missione del Texas. Padre Antoniodi Gesù fu la guida di tali vicende.Appena possibile fece ritorno nelle terreche aveva dovuto abbandonare poi, nel1722, fu richiamato nella capitale delMexico come padre guardiano del collegio di San Francesco da lui fondato.Nei successivi tre anni risistemò le attività

missionarie dell’intero paese. Il suoapostolato ha dello straordinario: compìlunghissime distanze e, alle volte, perpenitenza lo faceva scalzo. Si spostavacon qualsiasi condizione di tempo, nonmangiava né carne né pesce. Dormivapoco trascorrendo in preghiera partedella notte. Morì a Città del Messico il 6 agosto 1726 venerato come un santo.Gregorio XVI nel 1836 lo ha dichiaratovenerabile.

IVenerabile Antonio Margil

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ella vita della Venerabile MadreSperanza di Gesù vi sono degli

episodi che rivelano il suo zelo per la salvezza delle anime e di come riesca aliberarle e farle andare in Paradiso.Madre Sagrario Echevarria racconta unfatto avvenuto nella casa di Colloto chedurante la guerra civile era stata occupatadai miliziani rossi i quali avevano uccisovarie persone: «Alle 23 ci ritirammo nellestanze. La Madre dormì nella stanza accantoalla portineria ed io in un salottino attiguo. Dopo solo mezz’ora la Madre mi chiamò: “Sagrario, stai lì?” Le risposi:“Si, Madre”. Cominciai a chiedermi: “Chesuccederà?”. Poco dopo aggiunse: “Sesenti qualcosa non aver paura”. Tolsedalla sua stanza una stufa elettrica e mela diede, dicendo: “Te la do, perché non succeda niente”. A mezzanotte, nellastanza della Madre si sentirono dellegrida strane e come delle persone cheparlavano. Aspettai un po’, però nonpotetti fare a meno di entrare. Quandoentrai trovai la Madre che stava soffrendoterribilmente, stringeva forte il Crocifissoe, piangendo diceva: “L’Amore Misericordiosoè un Padre, abbiate fiducia!” Di quandoin quando, si udivano delle voci cavernose,come se per loro non ci fosse misericordia.In questa angustia la Madre offriva Messee sacrifici e stette in questo stato per piùdi 2 ore…

Ho visto molte volte la Serva di Diosoffrire, però parlava solo lei. È stato terribile sentire quelle voci lontane e nonvedere nessuno. La Madre poi mi disseche, poiché durante la guerra la casa diColloto era stata destinata per fucilare lagente, quelle voci erano di alcuni complicidegli assassini».

Un altro episodio racconta P. AlfredoDi Penta. Accompagnava la Madre nellacasa di Matrice. Durante il viaggio sierano fermati al cimitero polacco. LaMadre era rimasta molto impressionatanel vedere le tombe di tanti giovanicaduti durante la guerra e chiedeva alSignore di portare in Paradiso almeno leultime due o tre file. Il giorno seguente,durante la Messa, cominciò a supplicare ilSignore: «Non sei morto per scherzo, chivuole più bene a queste anime, Tu o io?Io di messe più di tante non ne posso fardire; non ho soldi, Tu lo sai. Tu sei mortoin croce! Allora porta in Paradiso questipoveri giovani morti lontano dalla famigliae dalla patria; porta in Paradiso lamamma di queste due suore perchédebbo avvertirle che la mamma è mortae non potrei confortarle se non dicendoloro che è già in Paradiso. Porta in Paradisola mamma di questo ragazzo che èun’anima abbandonata. All’elevazione tiaspetto’. All’elevazione la Madre non erapiù in sé e fissava lo sguardo verso un

punto lontano… Alla fine della S. Messaho domandato alla Madre che cosa fosseavvenuto dato che era ancora fredda,gelata. Mi disse che era andata inPurgatorio a vedere il passaggio inParadiso di queste anime».

NVenerabile Madre Speranza di Gesù

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argherita Occhiena, madre diSan Giovani Bosco, apparve al

figlio dopo la morte. Nell’agosto del1860 il Santo la vide poco lontano dalSantuario della Consolata a Torino, comeraccontò: «Ma come! Voi qui? — le disse— non siete morta?». «Sono morta, ma vivo»rispose Margherita. — «E siete felice?» — «Felicissima!». Le chiesi, fra l’altro, sedopo morte fosse entrata subito inParadiso. Margherita rispose di no. Lechiesi anche se Luigi Comollo, DomenicoSavio e altri pii giovanetti godessero già del premio celeste. Lei rispose di sì.Infine la pregai di darmi un saggio dellasua felicità, di farmene assaporare una stilla.Margherita allora apparve tutta risplen-dente, ornata di una veste ricchissima,con un aspetto di maestà meravigliosa e circondata da un coro di Angeli. Ella si mise a cantare. Il suo canto d’amore aDio di una dolcezza inesprimibile andavadiritto al cuore, lo riempiva e lo traspor-tava. Sembrava l’armonia di mille vociche dai bassi più profondi salivano agliacuti più alti, con una varietà di toni edifferenze di modulazioni, a vibrazionipiù o meno forti e talora impercettibili,combinate con tanta arte, con tanta delicatezza e accordo che formavanoun’armonia indicibile.

Il Santo, a quella melodia diParadiso, restò così estatico che gli parveessere fuori dai sensi e non seppe piùcosa dire a sua madre, la quale, prima di scomparire, gli disse: «Ti aspetto inParadiso!».

Margherita Occhiena nacque il 1°aprile 1788 a Capriglio (Asti), e il giornostesso viene battezzata nella chiesa parrocchiale. Rimane al paese fino almatrimonio, celebrato qui con FrancescoBosco; poi passò ai Becchi. Alla prematuramorte del marito, la ventinovenneMargherita si trovò ad affrontare da solala conduzione della famiglia in unmomento di grande carestia, a educare ifigli Giuseppe e Giovanni. Donna forte,dalle idee chiare, determinata nelle scelte, con un regime di vita sobrio, nell’educazione cristiana era severa,dolce e ragionevole. Costretta a fare scelte talvolta drammatiche (come l’al-lontanamento da casa del figlio minoreper non rompere la pace e per farlo studiare), assecondò con fede, saggezza ecoraggio le propensioni dei figli aiutandolia crescere nella generosità e nella intra-prendenza. Accompagnò con particolareamore Giovanni fino al sacerdozio e poi,lasciando la casetta del Colle, lo seguì

nella sua missione tra i giovani poveri eabbandonati di Torino. Qui per diecianni, la sua vita si confuse con quella delfiglio e con gli inizi dell’Opera salesiana:era la prima e principale Cooperatrice didon Bosco; con bontà fattiva divental’elemento materno del sistema preventi-vo; era, senza saperlo, “cofondatrice”della Famiglia salesiana. Illetterata, mapiena di quella sapienza che viene dall’alto, fu l’aiuto per tanti poveri ragazzi della strada, figli di nessuno. MiseDio al primo posto, consumandosi perLui in una vita di povertà, di preghiera e di sacrificio. Morì a 68 anni, a Torino, il 25 novembre.

MVenerabile Margherita Occhiena

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