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BIOL BIOL BIOL BIOL BIOL OGIA OGIA OGIA OGIA OGIA AMBIENT AMBIENT AMBIENT AMBIENT AMBIENTALE ALE ALE ALE ALE Centro Italiano Studi di Biologia Ambientale ISSN 1129-504X Volume 21 Numero 1 Maggio 2007

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CentroItalianoStudi diBiologiaAmbientale

ISSN 1129-504X

Volume 21

Numero 1

Maggio 2007

Tipografia NUOVA FUTURGRAF, Via Soglia 1, REGGIO EMILIA

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PROPRIETÀ: Rossella Azzoni, Presidente del C.I.S.B.A.

DIRETTORE RESPONSABILE: Rossella AzzoniREDAZIONE:Giuseppe Sansoni [email protected] resp. di redazioneRoberto Spaggiari [email protected] resp. di segreteriaGilberto N. Baldaccini [email protected] redattorePietro Genoni [email protected] redattore

Pubblicazione del C.I.S.B.A., vol. 21, n. 1/2007Autorizzazione del Tribunale di Reggio Emilia n. 837 del 14 maggio 1993

Biologia Ambientale, viene inviata ai soci del Centro Italiano Studi di Biologia Ambientale (C.I.S.B.A).Per iscriversi o per informazioni: Centro Italiano Studi di Biologia Ambientale, C.P. 4010 Poste Rivalta, 42100 Reggio EmiliaSegretario: Roberto Spaggiari, tel. 334 9262826; fax 0522 363006; e-mail: [email protected]

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Biologia Ambientale raccoglie e diffonde in-formazioni sulle tematiche ambientali, con parti-colare attenzione ai seguenti campi di interesse:

Bioindicatori e biomonitoraggioEcotossicologiaDepurazione delle acque reflueEcologia delle acque interne e dell’ambientemarinoGestione dell’ambienteIgiene ambientaleEcologia urbanaImpatto ambientaleIngegneria naturalisticaRinaturazione e riqualificazione ambientaleConservazione della naturaEcologia del paesaggio

Biologia Ambientale è articolata in due sezioni:Lavori Originali, in cui vengono pubblicati arti-coli e rassegne bibliografiche originali;Informazione & Documentazione –sezione vol-ta a favorire la circolazione di informazioni e diidee tra i soci– in cui vengono riportate recensio-ni di libri, riviste e altre pubblicazioni nonché no-tizie e lavori già pubblicati ritenuti di particolareinteresse o attualità.

Comitato ScientificoRoberto ANTONIETTI

Dip. Scienze Ambientali, Univ. di ParmaNatale Emilio BALDACCINI

Dip. di Etologia, Ecologia, Evoluzione, Univ. di PisaRoberto BARGAGLI

Dip. Scienze Ambientali, Univ. di SienaAntonio DELL’UOMO

Dip. di Botanica ed Ecologia, Univ. di CamerinoSilvana GALASSI

Dip. di Biologia, Università di MilanoPier Francesco GHETTI

Dip. Scienze Ambientali, Univ. Cà Foscari, VeneziaStefano LOPPI

Dip. Scienze Ambientali, Univ. di SienaSergio MALCEVSCHI

Ist. Ecologia del territorio e degli ambienti terrestri,Univ. di Pavia

Maurizio G. PAOLETTIDip. di Biologia, Univ. di Padova

Luciano SANTINIDip. C.D.S.L. Sez. Entomologia agraria, Univ. di Pisa

Paolo Emilio TOMEIDip. Agronomia e gestione agroecosistema, Univ. di Pisa

Mariagrazia VALCUVIA PASSADOREDip. Ecologia del territorio e degli ambienti terrestri,Univ. di Pavia

Pierluigi VIAROLIDip. Scienze Ambientali, Univ. di Parma

Luigi VIGANÓIRSA - CNR, Brugherio MI

Sergio ZERUNIANParco Nazionale del Circeo, Sabaudia (LT)

Aldo ZULLINIDip. di Biotecnologie e Bioscienze, Univ. Milano Bicocca

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Numero 1Dicembre 2007

SOMMARIO

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LAVORI ORIGINALI

INFORMAZIONE & DOCUMENTAZIONE

CIUFFARDI L., MARIOTTI M.G. - Monitoraggio qualitativo del popolamento di anfibipresente presso lo Stagno di Roccagrande (GE)

PINI PRATO E. - Descrittori per interventi di ripristino della continuità fluviale:Indici di Priorità di Intervento

CARAVELLO G., PIVOTTO B. - Individuazione di confini ecologici per un paesaggiofluviale nel tratto ritrale de “La Brenta”: Bassano del Grappa-Tezze sulBrenta

SAVORELLI F., PALAZZI D., GORBI G., INVIDIA M., SEI S., MAGALETTI E., MANFRA L.,GELLI F. - Messa a punto di una metodologia di saggio a 14 giorni suArtemia franciscana e A. parthenogenetica

BARONE E., DI PARDO L., MELLONI A., CHIARETTI G., BONADONNA L., MANUPPELLA A. -Attendibilità di metodi utilizzati per la determinazione di coliformi edEscherichia coli in acque da destinare al consumo umano

FORNERIS G., MERATI F., PASCALE M., PEROSINO G.C. - Indice Ittico - I.I.

CARRADORI R., POZZI D. - Il Cervo Nobile in Italia (Cervus elaphus, L. 1758).Biologia, gestione e conservazione

CARRADORI R., POZZI D. - La gestione del Cervo Nobile (Cervus elaphus, L. 1758)nelle aree protette. Il caso dell’ANPIL del Monteferrato (Prato)

Recensioni

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Foto di copertinaFoto di copertinaFoto di copertinaFoto di copertinaFoto di copertina Stagno di Roccagrande (GE).

Biologia Ambientale, 21 (1): 3-8, 2007

Monitoraggio qualitativo del popolamento di anfibipresente presso lo Stagno di Roccagrande (GE)Luca Ciuffardi¹*, Mauro Giorgio Mariotti²1 Università degli Studi di Genova Dip.Te.Ris. – Corso Europa, 26 – 16132 Genova

2 Università degli Studi di Genova Dip.Te.Ris. Sede Botanica – Corso Dogali, 1M – 16136 Genova

* Referente per la corrispondenza: [email protected]

Pervenuto il 9.1.2006, accettato il 18.11.2006

RiassuntoNell’ambito del progetto “Roccagrande: la storia dell’uomo e della natura”, cofinanziato con fondi europei per lo sviluppo regionale(FESR), la presente ricerca ha studiato la composizione qualitativa del popolamento di anfibi presente presso lo Stagno di Roccagrande(GE). Le attività di monitoraggio hanno permesso di accertare come Bombina variegata pachypus risulti la specie più minacciata, a causadegli impatti legati soprattutto al calpestìo e all’eutrofizzazione indotti dai numerosi capi di bestiame al pascolo brado. Al fine dicontenere i fattori limitanti la sussistenza della comunità, appare necessaria l’installazione di una recinzione (o in alternativa di un pastoreelettrico) lungo il perimetro della zona umida, nonché la costruzione di appositi abbeveratoi per il bestiame al di fuori della superficiecintata.

PAROLE CHIAVE: anfibi / Stagno di Roccagrande / monitoraggio

Qualitative monitoring of the amphibian populations of Stagno di Roccagrande (Province of Genova)In the context of the project “Roccagrande: the history of the man and the nature”, funded by the European Regional Development Fund(ERDF), a research aimed at studying the qualitative composition of the amphibian populations of Stagno di Roccagrande (Province ofGenova) was carried out. The monitoring allowed to value that Bombina variegata pachypus is the most threatened species owing to theimpacts of the pounding and the eutrophication caused by many individuals of wild grazing livestock. Making a close or an electric closealong the perimeter of the wet area and making troughs outside from the closed zone to restrict the limitant factors are necessary.

KEY WORDS: amphibian / Stagno di Roccagrande / monitoring

INTRODUZIONENegli ultimi decenni le popolazioni di anfibi presenti

in Italia hanno conosciuto una fase di graduale ecostante declino, da imputarsi essenzialmente alla di-struzione e alla frammentazione degli habitat vitali,all’inquinamento, all’introduzione di specie esotiche edal prelievo in natura (SCALERA, 2003; SCOCCIANTI, 2001).

Anche la batracofauna ligure sta attraversando or-mai da alcuni anni una fase di evidente contrazione,legata soprattutto alla graduale scomparsa di ambientiumidi idonei a soddisfarne le necessità biologiche. Ilrapido interramento delle raccolte d’acqua (legato al

generalizzato abbandono delle campagne) nonché laloro eventuale sostituzione con strutture di differentetipologia (come bidoni in plastica, vasche da bagnointerrate, ecc.) hanno comportato infatti un’importan-te riduzione delle popolazioni di anfibi, instaurandocosì seri rischi di estinzione locale tra le specie piùesigenti e minacciate.

In vista di queste problematiche, a partire dalla finedel 2003 la Comunità Montana “Val Petronio” (GE) haintrapreso il progetto Docup Obiettivo 2 2000-2006Misura 2.6 B per la Realizzazione Rete Natura 2000

CIUFFARDI e MARIOTTI - Monitoraggio anfibi dello Stagno di Roccagrande4

“Roccagrande: la storia dell’uomo e della natura” (co-finanziato con fondi europei per lo sviluppo regionale),volto in particolare al mantenimento e al miglioramentodello stato di conservazione della zona umida delloStagno di Roccagrande (detto anche Lago di Bargone)nonché delle popolazioni di anfibi che in esso vivono.

Tra le varie azioni di intervento, nell’ambito delsuddetto progetto è stata realizzata la presente ricerca,finalizzata ad individuare le specie di anfibi tuttorapresenti nel sito ed a formulare le indicazioni gestionaliconseguenti.

MATERIALI E METODI

Area di studioLa presente ricerca ha interessato il Sito di Impor-

tanza Comunitaria IT1342806 “Monte Verruga – MonteZenone – Roccagrande – Monte Pu” localizzato acavallo tra le Province di Genova e La Spezia. Inparticolare le attività di monitoraggio, protrattesi damarzo a ottobre 2005, si sono concentrate sull’analisiqualitativa delle specie di anfibi presenti presso loStagno di Roccagrande (Fig. 1), situato in Comune diCasarza Ligure (GE).

Il piccolo specchio d’acqua è soggetto a forti varia-zioni di portata stagionali, tanto da risultare addiritturacompletamente asciutto durante le estati più siccitose.Le formazioni igrofile prevalenti costituiscono una zo-nazione su depositi fangosi e lembi frammentari ditorbiere basse alcaline con prati semisommersi domi-

nati da giunco di Desfontaine (Juncus fontanesii),carice cespitosa (Carex caespitosa) o molinia (Moliniacoerulea) alle quali si uniscono diverse altre specie diCyperaceae.

In base agli studi sui depositi pollinici, la torbierarisulta quella che conserva testimonianze più anticheper la Liguria orientale (CRUISE e MAGGI, 2000).

La vegetazione delle aree limitrofe si contraddistin-gue per la presenza di formazioni a ginestra di Salz-mann (Genista salzmannii) e a bosso (Buxus semper-virens), aspetti vegetazionali che nella Liguria di Le-vante si presentano esclusivamente su rocce ofioliti-che (MARIOTTI, 1994; MARIOTTI et al., 2002).

Oltre agli anfibi la componente faunistica vede pre-senti diversi taxa di particolare interesse, alcuni ripor-tati da MARIOTTI et al. (2002): sono segnalate infattinumerose specie di invertebrati come Euplagia qua-dripunctaria, Bidessus muelleri, Haliplus fulvus,Porhydrus obliquesignatus, Haliplus mucronatus, Gui-gnotus pusillus, Colymbetes fuscus, Dytiscus margina-lis, Argna bourguignatiana, Avenionia ligustica, Li-max dacampoi, Retinella olivetorum, Zerynthia polyxe-na e di uccelli come Circus cyaneus, Dendrocoposmajor, Lanius senator.

Metodi del monitoraggio e specie considerateTra le tecniche di monitoraggio suggerite da APAT

e approvate dalla Societas Herpetologica Italica, per larealizzazione della presente ricerca sono state impiega-te le seguenti metodiche:

Fig. 1. Lo Stagno di Roccagrande in primavera.

CIUFFARDI e MARIOTTI - Monitoraggio anfibi dello Stagno di Roccagrande 5

– rilevamento mediante osservazione diretta;– rilevamento attraverso i canti;– cattura temporanea mediante l’impiego di trappole a

nassa galleggianti.Il rilevamento mediante osservazione diretta è stato

realizzato percorrendo a piedi con metodica standar-dizzata il perimetro dello Stagno di Roccagrande: du-rante ogni sessione di osservazione venivano effettuatitre giri completi attorno alle sponde della zona umida, eciascuna sessione veniva ripetuta per tre volte, adintervalli regolari di 15 minuti l’una dall’altra.

Il rilevamento attraverso l’ascolto dei canti (dedica-to al monitoraggio dagli anuri) è stato condotto attra-verso il confronto dei vocalizzi uditi sul campo con irichiami di svariate specie di anfibi contenuti in unapposito CD audio (TRILAR, 2003).

Le catture temporanee degli anfibi urodeli in faseacquatica (regolarmente autorizzate dalla Provincia diGenova ai sensi della L.R. 4/92 “Tutela della faunaminore”) sono state condotte attraverso l’impiego didue trappole a nassa galleggianti secondo il modello diCALDONAZZI e ZANGHELLINI (2000), successivamentemodificato da AMBRIOGIO et al. (2003) (Fig. 2). Grazieal pannello galleggiante, l’estremità superiore del tuborimaneva sopra il pelo dell’acqua, in modo da consen-tire agli animali presenti all’interno gli scambi respira-tori di superficie. Le trappole sono state “ancorate” aqualche metro dalla riva mediante un cordino fissatoalla sponda, tramite il quale veniva effettuato il recupe-ro. Al fine di aumentare l’attrattività delle attrezzature

nei confronti degli animali, all’interno di ogni trappolavenivano regolarmente inserite frattaglie di carne, pre-cedentemente sminuzzate in maniera grossolana inmodo da favorire l’emissione in acqua di sostanze edeffluvi adescanti. Tutti gli esemplari catturati sono statiprontamente determinati, sottoposti a misurazione equindi nuovamente liberati nelle acque dello stagno.

Le attività di ricerca sono state indirizzate principal-mente al monitoraggio qualitativo (secondo le tecnicheindicate) delle seguenti specie target, inserite nell’Alle-gato II della Direttiva 92/43/CEE “Habitat”:– Bombina variegata pachypus (ululone dal ventre

giallo): osservazione diretta e, soprattutto, ascolto deicanti;

– Speleomantes strinatii (geotritone di Strinati): osser-vazione diretta;

– Triturus carnifex (tritone crestato italiano): osserva-zione diretta e cattura temporanea con trappole anassa galleggianti.Si è comunque proceduto anche all’accertamento

della presenza e alla valutazione delle popolazioni dialtre specie di anfibi, non inserite nell’Allegato II dellaDirettiva “Habitat” ma potenzialmente presenti nel-l’area in accordo con DORIA e SALVIDIO (1994):– Triturus alpestris (tritone alpestre): osservazione

diretta e cattura temporanea con trappole a nassagalleggianti;

– Rana dalmatina (rana agile): osservazione diretta eascolto dei canti;

– Rana kl. esculenta (rana verde); osservazione diretta

Fig. 2. La trappola a nassa galleggiante impiegata per la cattura degli anfibi urodeli.

CIUFFARDI e MARIOTTI - Monitoraggio anfibi dello Stagno di Roccagrande6

e ascolto dei canti;– Salamandra salamandra (salamandra pezzata): os-

servazione diretta;– Bufo bufo (rospo comune): osservazione diretta e

ascolto dei canti.

RISULTATINell’area di indagine è stata accertata la presenza di

tutte le specie target di anfibi precedentemente elencate.Le misurazioni degli esemplari di ciascuna specie hannofornito risultati che rientrano nella variabilità nota inletteratura per le popolazioni italiane (LANZA, 1983).

Triturus carnifex (tritone crestato italiano)Presso lo Stagno di Roccagrande la popolazione

risulta abbondante e in buono stato di conservazione,al punto da essere nettamente predominante rispettoall’altra specie di tritone rilevata nello stagno (Triturusalpestris). La percentuale di cattura con le trappole anassa di Triturus carnifex rispetto a Triturus alpestrisoscilla infatti tra il 78,57 % ed il 100 % (Fig. 3).

Le ragioni della predominanza di Triturus carnifexrispetto a Triturus alpestris sono da attribuire soprat-tutto alle peculiarità ecologiche del sito: le caratteristi-che prettamente termofile ed eutrofiche dello stagnodurante i mesi primaverili ed estivi (incrementate ulte-riormente in senso peggiorativo dalla presenza nonregolamentata di bestiame allo stato brado) favorisco-no infatti l’innalzamento della temperatura dell’acqua elo sviluppo di una fitta vegetazione spondale e som-mersa, creando così condizioni ambientali “mature”sicuramente più vocate alla presenza del tritone cresta-to italiano.

Bombina variegata pachypus(ululone dal ventre giallo)

Della specie è stato possibile accertare la presenzanel periodo compreso tra la metà di maggio e la fine diluglio: sebbene le modalità di campionamento impiega-te non abbiano permesso di pervenire a una stima degliindividui presenti, in base al numero di “contatti” ac-certati si può presumere che la popolazione sia compo-sta da pochi individui.

Speleomantes strinatii (geotritone di Strinati)A causa delle abitudini prettamente cavernicole e

notturne della specie (legate soprattutto alla particolarebiologia respiratoria), nell’ambito della presente ricer-ca è stato possibile solamente verificare la presenza/assenza di Speleomantes strinatii nell’area limitrofaallo Stagno di Roccagrande, senza poter pervenire allaformulazione di dati semi-quantitativi o quantitativicirca l’abbondanza degli individui.

Il geotritone di Strinati risulta presente nei pressi

dell’area oggetto della ricerca, dove frequenta soprat-tutto le zone rocciose caratterizzate dalla presenza digrotte o antri naturali o legati all’antico sfruttamentominerario. Poiché il Sito di Importanza Comunitaria ècollocato in una zona che funge da naturale confine didistribuzione tra Speleomantes strinatii e Speleoman-tes ambrosii, non si può escludere la presenza simpa-trica di entrambe le specie all’interno dell’area di stu-dio, verificabile però con certezza solo mediante studimirati e più approfonditi, che esulano dall’obiettivo delpresente lavoro.

Triturus alpestris (tritone alpestre)Nello Stagno di Roccagrande la popolazione di Tri-

turus alpestris appare composta da un numero limitatodi individui, essenzialmente a causa della scarsa idonei-tà ecologica dell’habitat: il tritone alpestre prediligeinfatti ambienti meno evoluti, caratterizzati da acquepiù fresche e ossigenate e da un minore sviluppo divegetazione sommersa.

Rana dalmatina (rana agile)All’interno del Sito di Importanza Comunitaria

IT1342806 “Monte Verruga – Monte Zenone – Roc-cagrande – Monte Pu” la specie risulta piuttosto diffu-sa; nell’area dello Stagno di Roccagrande la popolazio-ne di rana agile appare addirittura abbondante, rivelan-do inoltre un buon successo riproduttivo.

Rana kl. esculenta (rana verde)Nell’area dello Stagno di Roccagrande Rana kl.

esculenta (ibrido stabilizzato tra Rana lessonae e Ranaridibunda) è presente; nell’ambito della presente ricer-ca non è stato però possibile determinare con certezzala specie parentale.

Salamandra salamandra (salamandra pezzata)La specie risulta diffusa in tutto il territorio del Sito

Fig. 3. Percentuali di presenza di Triturus carnifex e Triturusalpestris sul totale degli esemplari di tritone in fase acquaticacatturati con le trappole a nassa galleggianti.

CIUFFARDI e MARIOTTI - Monitoraggio anfibi dello Stagno di Roccagrande 7

di Importanza Comunitaria IT1342806 “Monte Verru-ga – Monte Zenone – Roccagrande – Monte Pu”limitrofo allo Stagno di Roccagrande, dove frequentasoprattutto ambienti di tipo boschivo e forestale inprossimità di ruscelli, pozze e abbeveratoi.

Bufo bufo (rospo comune)La specie risulta diffusa nelle aree adiacenti allo

Stagno di Roccagrande, dove occupa una grande va-rietà di ambienti; non è presente però nelle acque dellostagno oggetto di studio.

DISCUSSIONEAd oggi l’intera area dello Stagno di Roccagrande

costituisce un sito di straordinaria valenza naturalisti-co-scientifica, minacciato però da alcuni fattori impat-tanti che potrebbero, nel giro di pochi anni, portare lazona umida verso una condizione di degrado irreversi-bile.

Lo Stagno di Roccagrande costituisce infatti unambiente umido già “maturo” (come testimoniato, peresempio, dalla prevalenza numerica di Triturus carni-fex rispetto a Triturus alpestris), caratterizzato da unavanzato processo di interramento legato essenzial-mente al trasporto di materiale di erosione dai versantirocciosi che ne delimitano il bacino (soprattutto lungola sponda settentrionale). L’esposizione dello stagnoverso sud favorisce inoltre l’innalzamento della tempe-ratura dell’acqua nonché un cospicuo sviluppo dellavegetazione sommersa, in particolar modo per quelche riguarda la componente algale. L’insieme di questifattori naturali contribuisce così a generare condizioniecologiche prettamente eutrofiche, caratterizzate daun ambiente acquatico complessivamente stagnante easfittico: la carenza di ossigeno è rivelata anche dallapresenza di chiazze “oleose” iridescenti sulla superficiedell’acqua, legate al metabolismo di microrganismianaerobi che (attraverso processi fermentativi) produ-cono idrocarburi, anidride carbonica, acido solfidricoe ammoniaca.

In un quadro ambientale complessivo già così “evo-luto”, particolarmente negativo appare quindi l’impattodi numerosi animali (sia equini sia bovini) al pascolobrado nell’area dello stagno. Lo Stagno di Roccagran-de costituisce infatti un sito di frequentazione privile-giato per questi animali, che ne utilizzano le acque perespletare le proprie funzioni vitali (bere, fare bagni difango, ecc.). La concentrazione di un numero elevatodi animali in un’area così ristretta comporta peròl’accumulo, lungo le sponde e in acqua, di elevatiquantitativi di escrementi, tali da causare un ulterioreincremento dei processi eutrofici già naturalmente inatto nel sito. Ad oggi, durante il periodo tardo primave-rile ed estivo, le acque dello Stagno di Roccagrande

evidenziano la presenza di un notevolissimo caricoorganico: questa situazione, se non arginata, potrebbeportare nei prossimi anni ad un rapido declino dellecondizioni chimico-fisiche dello Stagno di Roccagran-de, tale da rendere le acque dello stagno addiritturaincompatibili con le esigenze vitali della fauna oggipresente.

Un altro fattore di impatto legato al pascolo consistenel prolungato calpestìo a cui sono sottoposte le spon-de e le zone sommerse a minore profondità: nel perio-do primaverile ed estivo il passaggio del bestiamearreca notevole disturbo alle specie tipiche di questiambienti (prima fra tutte l’ululone dal ventre giallo) edanneggia irreparabilmente numerose ovature (sia percalpestìo diretto, sia per asfissia indotta dalla movi-mentazione e dalla successiva rideposizione di materia-le inerte molto fine). Analoghi effetti negativi sonoprovocati inoltre dal transito “abusivo” di mezzi fuori-strada (auto- e moto-veicoli), i quali alterano anche idelicati equilibri idro-geologici che regolano l’interaarea.

Le principali conseguenze negative dovute al calpe-stìo e al transito dei mezzi finiscono per incideresoprattutto sulla piccola popolazione di Bombina va-riegata pachypus, taxon stenotopo e stenotermo ende-mico dell’Italia peninsulare (da taluni autori elevato alrango di specie) che sta conoscendo una fase dicontrazione in tutto il suo areale di distribuzione acausa della distruzione o del prosciugamento deglihabitat vitali e riproduttivi (BARBIERI et al., 2004).

A fronte dei numerosi impatti negativi sopra indica-ti, si possono segnalare, tuttavia, effetti positivi sulladiversità degli habitat legati all’attività di alimentazionedelle mandrie presenti nella zona. Queste eliminanogran parte delle specie legnose impedendo o rallentan-do i processi evolutivi che tendono a sostituire lepraterie e altri ambienti aperti con comunità arboreo-arbustive; il pascolo delle mandrie ha contribuito quin-di al mantenimento di ambienti spondali e retro-spon-dali a prato, rallentando così il naturale processo diinterramento legato anche al rapido sviluppo della ve-getazione arbustiva e arborea.

CONCLUSIONIPoiché la presenza di numerosi capi bovini ed equini

nell’area dello Stagno di Roccagrande rappresenta ilprincipale fattore di minaccia per l’esistenza e la qualitàdell’intera zona umida, considerato il valore naturalisti-co dell’area e i risultati ottenuti dallo studio, è opportu-no adottare criteri gestionali e realizzare alcuni inter-venti di conservazione attiva.

Al fine di scongiurare l’accelerazione dei processieutrofici che già interessano il bacino nonché perevitare il disturbo legato al calpestìo appare necessario

CIUFFARDI e MARIOTTI - Monitoraggio anfibi dello Stagno di Roccagrande8

un periodico “allontanamento” del bestiame dall’areadello stagno, ottenibile attraverso la costruzione di unastaccionata in legno di castagno scortecciato che deli-miti tutto il perimetro del sito. Per limitare l’impattovisivo dell’opera, sarà opportuno collocarla ai marginidelle formazioni a bosso che circondano la zona umi-da, in posizione piuttosto arretrata rispetto alle spondedello stagno. Oltre che per il bestiame, la nuova strut-tura permetterà di precludere l’accesso al sito anche aimezzi fuoristrada, il cui impatto è particolarmentedistruttivo sia per le componenti viventi sia per quelleabiotiche.

Sebbene la recinzione in legno rappresenti la solu-zione migliore, un’alternativa alla costruzione della stac-cionata (o una sua integrazione) potrebbe essere costi-tuita dall’installazione di un pastore elettrico: l’impiantodovrebbe essere costituito da almeno due “fili” elettri-ficati e posizionato scegliendo i “corridoi” di terrenopiù liberi dalla vegetazione. L’efficacia del pastoreelettrico dipende infatti dalla mancanza di vegetazionelungo i tratti elettrificati: il contatto tra una pianta(anche erbacea) e i fili elettrificati comporterebbe unarapida inattivazione del sistema. Proprio per questomotivo l’installazione del pastore elettrico necessita dicostanti e costosi interventi di manutenzione, idonei alimitare lo sviluppo delle piante lungo il perimetrodell’impianto.

La gestione dell’area interna alla recinzione dovreb-be essere di tipo “attivo”: qualora non venissero effet-tuati regolari interventi futuri di controllo della vegeta-zione, infatti, la mancanza di grandi erbivori nelle zonedi sponda e retro-sponda porterebbe ad una rapidaespansione delle essenze arbustive o arboree, con una

nuova accelerazione dei naturali processi di interra-mento dello stagno. Come già accade in altre realtàliguri di pregio (es. nella Riserva Naturale Orientatadelle Agoraie di Sopra e Moggetto in Val d’Aveto), sidovrà valutare se intervenire con periodici interventi disfalcio della vegetazione al fine di assicurare la perma-nenza di estese zone a prato, di fondamentale impor-tanza per il mantenimento di un’elevata biodiversità.L’attività di sfalcio potrebbe avvenire mediante l’im-piego di mezzi meccanici a ridotto impatto sulle comu-nità biotiche (es. decespugliatore a spalla) oppure es-sere condotta (sperimentalmente e con verifiche incorso d’opera) attraverso il pascolo controllato.

Sia al fine di consentire l’approvvigionamento idricoal bestiame presente in zona (allontanandolo, nel con-tempo, dall’area limitrofa allo stagno), sia per incre-mentare il numero di ambienti umidi “pionieri” conge-niali alla vita degli anfibi (in particolar modo di Triturusalpestris), nel territorio esterno alla recinzione dovreb-bero essere installati appositi abbeveratoi costruiti inpietra e legname. Sul fondo di tali manufatti andrebbe-ro collocate alcune pietre raccolte in loco, al fine diricreare un microhabitat favorevole alla colonizzazioneda parte dei tritoni. Tali strutture dovrebbero essereposizionate nei pressi delle principali sorgenti d’acqua,fra le numerose della zona.

RingraziamentiSi ringraziano sentitamente il Prof. Attilio Arillo e il Dott.

Sebastiano Salvidio dell’Università degli Studi di Genova, l’Ispet-tore Superiore Italo Franceschini del Corpo Forestale dello Sta-to, il Sig. Remo Bernardello e il Sig. Bruno Ciuffardi per lacollaborazione prestata, a vario titolo, nella realizzazione dellaricerca.

BIBLIOGRAFIA

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Descrittori per interventi di ripristino dellacontinuità fluviale: Indici di Priorità di InterventoEnrico Pini PratoDipartimento di Ingegneria Agraria e Forestale, Università di Firenze, Via S. Bonaventura, 13 - 50145 Firenze. E-mail: [email protected]

Pervenuto il 7.3.2007; accettato il 24.4.2007

RiassuntoLa diffusione delle briglie nei corsi d’acqua italiani è talmente elevata che non è possibile pensare, almeno a breve termine, allarealizzazione di passaggi per pesci per ognuna di esse; è perciò opportuno collocarli primariamente in quelle zone maggiormenteinteressate da migrazioni ittiche o da particolare valenza biologica ed ambientale. Ne deriva la necessità di strumenti che –tramite uncriterio oggettivo, sintetico e di facile applicabilità– consentano di individuare i siti maggiormente vocati. Gli indici di intervento per laprogettazione di passaggi per pesci utilizzati in paesi all’avanguardia nel settore non sono però applicabili alla realtà italiana. Vengonoperciò proposti nuovi Indici di Priorità di Intervento, di facile applicazione, rivolti soprattutto alle Amministrazioni preposte allamanutenzione e tutela dei corsi d’acqua. L’impiego degli indici di priorità fornisce utili indicazioni pratiche da adottare nella pianificazionedi interventi finalizzati al ripristino della libera circolazione dell’ittiofauna, nell’intero bacino idrografico o in parte di esso.

PAROLE CHIAVE: passaggi per pesci / indici di priorità / continuità fluviale / riqualificazione fluviale

Descriptors for rehabilitation interventions of river connectivity: the Priority IndexesThe present research originates and revises some important concepts contained in a previous paper of the Author, titled “Una propostadi valutazione indicizzata delle priorità di intervento nella realizzazione di passaggi per pesci”. As evidenced on the preceding paper, itisn’t actually possible the total restoration of river connectivity in all the Italian rivers, because of the very high number of weirs, damsand other obstacles. Anyway, it is very important the correct collocation of fish passes at environment of high ecological and biologicalvalue, for example for the upstream movements of diadromous migratory fish. It is very clear the necessity of comparison criteria toestablish the correct scenarios for fishpasses planning. In other Countries, priority indexes are used to establish river basin connectivityrehabilitation, but they aren’t usable in Italy. Concluding, the aims of the present work is the realization of instruments of easyapplicability, called Priority Indexes, usable by Administrations involved in river basin management. The use of the Priority Indexespermits the planning of interventions of river restoration for migratory species as fish passes at weirs and dams, for whole river basin orits segments.

KEY WORDS: fishpasses / priority indexes / river connectivity / river restoration

INTRODUZIONELa stragrande maggioranza dei corsi d’acqua italiani

è fortemente frammentata da opere trasversali, realiz-zate per i più disparati motivi, che ne interrompono lacontinuità longitudinale. Generalmente i tratti montanisono frammentati soprattutto da opere di sistemazioneidraulico-forestale (ma anche da ostacoli naturali comecascate e salti) e quelli pedemontani e collinari dasbarramenti per uso idroelettrico, mentre i tratti difondovalle e di pianura sono interessati da sbarramentiper uso irriguo e da opere volte a contrastare l’incisio-

ne dell’alveo (oltre che da opere di difesa dal rischioidraulico).

Questi ostacoli, spesso insormontabili, impedisco-no gli spostamenti di rimonta migratoria della faunaittica, con conseguenze gravissime e spesso irrever-sibili sulla biodiversità (ZERUNIAN, 2002). Consideratoil limitato numero di specie che possono essere con-siderate sedentarie (GANDOLFI, 1984), la realizzazionedi passaggi per pesci è un intervento della massimaimportanza per ristabilire la continuità e consentire lo

PINI PRATO - Passaggi per pesci: indici di priorità d’intervento10

svolgimento dei cicli vitali della fauna ittica (PINIPRATO et al., 2006).

Tuttavia la diffusione delle briglie nei corsi d’acquaitaliani è talmente elevata da rendere impensabile –quanto meno dal punto di vista economico– la costru-zione generalizzata di passaggi per pesci per ognuna diesse. Tutt’oggi, d’altronde, i passaggi per pesci sonospesso realizzati in un contesto avulso da uno studiopreliminare che individui le priorità per la conservazio-ne delle specie e con progetti non calibrati alle singolespecifiche realtà (FERRI, 1999). Da qui la necessità,per massimizzare l’efficacia dell’investimento econo-mico, di individuare quelle zone che –ospitando speciecon spiccato comportamento migratorio o di partico-lare interesse conservazionistico– risultano prioritarieper la costruzione di passaggi per pesci (miglior risul-tato al minor costo).

Indici di priorità d’intervento per la progettazione dipassaggi per pesci sono ampiamente utilizzati in paesiall’avanguardia nel settore (WDFW, 2000), ma nonsono applicabili alla realtà italiana per vari motivi, tra iquali la carenza di dati (es. censimento dei letti di frega,produttività ittica per ogni specie in ogni tratto di corsod’acqua).

Scopo del lavoro è presentare due Indici di Prioritàdi Intervento che –tramite criteri oggettivi, sintetici e difacile applicabilità– consentano di individuare i sitimaggiormente vocati alla realizzazione di passaggi perpesci. Tali indici, rivolti soprattutto alle Amministra-zioni preposte alla manutenzione e tutela dei corsid’acqua, possono risultare strumenti di grande effica-cia pratica per la pianificazione di interventi finalizzatial ripristino della libera circolazione dell’ittiofauna, nel-l’intero bacino idrografico o in parte di esso.

Partendo dall’osservazione che, nella maggior partedei casi, la frammentazione è maggiore nei tratti mon-tani e tende a decrescere nei tratti di pianura e nellezone di estuario, per misurare lo stato di frammenta-zione di un corso d’acqua e compararlo con altri (PINIPRATO 2004), al fine di pianificare gli interventi diripristino della continuità fluviale, viene qui proposto ilRapporto di continuità (RC)

RC = Lt / N (1)dove Lt è la lunghezza di un dato tratto di corsod’acqua (km) ed N è il numero di sbarramenti gravantisu di esso.

Il cuore della proposta metodologica si identifica indue Indici di Priorità di Intervento:1. IPs : indice di priorità di intervento sul singolo

sbarramento. Si utilizza per valutare la priorità diintervento su uno sbarramento rispetto ad un altro(sullo stesso o su differenti corsi d’acqua);

2. IPt : indice di priorità di intervento totale. Si utilizzaper valutare la priorità di intervento su un singolo

bacino (o tratto fluviale) rispetto ad altri bacini (otratti).Entrambi sono indici numerici adimensionali nei

quali un valore più elevato indica una maggiore prioritàdi intervento (su quello sbarramento o su quel tratto obacino). La loro ispirazione di fondo parte dalla consi-derazione che la priorità di realizzazione di passaggi perpesci sia da attribuire a corsi d’acqua:– con scarsa frammentazione longitudinale (poiché è

più agevole il ripristino della continuità fluviale);– frammentati, ma con il tratto a monte dello sbarra-

mento più lungo di quello a valle (poiché, a parità dicosti, si riconnette un tratto più lungo);

– con opere di sbarramento di modesta altezza (poichél’intervento è più semplice e meno costoso rispettoad opere di grande altezza);

– con specie ittiche dotate di spiccate esigenze migra-torie, autoctone e protette (rispetto a specie stanziali,alloctone, indesiderate e non protette).La presente proposta è una rielaborazione, con alcu-

ni approfondimenti, di quella già citata (PINI PRATO,2004). Un aspetto di particolare interesse pratico risie-de nel fatto che, per le loro stesse modalità di costru-zione, gli indici sono adattabili ai differenti distrettiittico/idrografici presenti sul territorio nazionale (mo-dificando semplicemente i valori attribuiti alle singolespecie ittiche o aggiungendo le eventuali specie man-canti). Inoltre, pur essendo di semplice calcolo, è statosviluppato un apposito software (Priority Index 1.1)su piattaforma Windows che lo rende ancora piùspeditivo, oltre a permettere l’esportazione dei para-metri e dei risultati.

MATERIALI E METODI

Dati richiestiPer il calcolo degli indici di priorità di intervento è

necessaria la conoscenza dei seguenti dati:– lunghezze dei tratti continui di corso d’acqua da

raccordare (km);– altezze (m) degli sbarramenti esistenti e loro numero;– specie ittiche presenti e relative caratteristiche biolo-

giche (indicizzate con un coefficiente ki tipico di ognisingola specie).Tali dati sono di raccolta relativamente facile in

quanto sono sufficienti una cartografia dell’area distudio in scala almeno 1:10.000, il rilievo dell’altezzadegli sbarramenti e la carta ittica (se il popolamentoittico non è noto occorre, invece, il campionamento).

Calcolo degli indiciL’Indice di Priorità di Intervento sul singolo sbarra-

mento è calcolato con la formula:IPs = MS · I (2)

PINI PRATO - Passaggi per pesci: indici di priorità d’intervento 11

Ove:MS (fattore morfologico) = (Lv+Lm) · Lm/Lv · 1/HI (fattore ittico) = Skicon:Lv = lunghezza del tratto continuo a valle dello sbar-

ramento;Lm = lunghezza del tratto continuo a monte dello

sbarramento;H = altezza dello sbarramento;Ski = sommatoria dei coefficienti di priorità ki delle

specie presenti.Il fattore morfologico contiene i parametri fisici

caratterizzanti il sito di intervento, ovvero la lunghezzafluviale totale che si raggiunge unendo i due tratti,nonché l’altezza dello sbarramento da superare. Que-sto fattore tiene conto inoltre del rapporto dimensiona-le dei due tratti, ovvero della lunghezza relativa deltratto di monte rispetto a quello di valle che ad essoverrebbe ricollegato grazie al passaggio per pesci.

Il fattore ittico tiene conto invece delle specie pre-senti nel corso d’acqua, dal punto di vista sia della loroattitudine migratoria, sia del loro valore naturalistico(specie protette) nel contesto specifico in cui è localiz-zato l’intervento.

Un esempio elementare del significato dell’indice è

mostrato in figura 1.

L’Indice di Priorità di Intervento totale è calcolatocon la formula:

IPt = Mt · I (3)Ove:Mt (fattore morfologico) = (Lt) · 1/NShiI (fattore ittico) = Skicon:Lt = lunghezza totale dell’asta fluviale raccordata;N = numero degli sbarramenti da superare;Shi = (h1 + h2 + …hn) = sommatoria delle altezze di

tutti gli sbarramenti da superare;Ski = sommatoria dei coefficienti di priorità (ki) delle

specie presenti.Il fattore morfologico contiene i parametri fisici

caratterizzanti il tronco fluviale di intervento, ovvero lalunghezza totale che si raggiunge unendo tutti i tratti,nonché il numero degli sbarramenti da dotare di pas-saggio per pesci e la sommatoria delle loro altezze.Questo fattore esprime il rapporto di continuità della(1) poiché Lt / N = RC. Il fattore ittico ha significatoidentico a quello dell’indice IPs.

Un esempio elementare del suo significato è mostra-to in figura 2.

Fig. 1. A parità di lunghezza totale (Lv + Lm), altezza dello sbarramento (H) e fattore ittico I, è favorito l’intervento sull’affluente A, datoche il tratto raccordabile, a monte dello sbarramento, è significativamente più lungo di quello a valle.

PINI PRATO - Passaggi per pesci: indici di priorità d’intervento12

Fig. 2. A parità di lunghezza totale (Lt), di sommatoria delle altezze degli sbarramenti (Shi) e fattore ittico I, è favorito l’interventosull’affluente B, dato che il numero di sbarramenti su cui intervenire è minore (tratto B N=3, tratto A N=4).

Determinazione del coefficientedi priorità della specie ittica

Il ki esprime l’importanza della singola specie all’in-terno del distretto ittico, o comunque del territorio instudio; pertanto è stato ideato per essere flessibile edadattabile a qualsiasi contesto geografico. Nel presentelavoro sono stati calcolati e proposti i ki per le acquedella Toscana che, pertanto, possono non essere validiper altri bacini (per i quali vanno ricalcolati secondo icriteri di seguito indicati). La valutazione del ki èprincipalmente rivolta alla attitudine migratoria dellespecie e, solo secondariamente, al loro valore conser-vazionistico.

La sua determinazione si basa su due parametri –Mobilità (Mob) e Valore naturalistico (Vn)– ai qualiviene attribuito un punteggio secondo la scala riportatain tabella I. La somma dei due parametri, elevata alquadrato, costituisce il coefficiente di priorità per laspecie ittica. La scelta di una funzione non-lineare nelcalcolo del ki è dovuta alla volontà di dare maggiorpeso ai grandi migratori diadromi e alle specie protette,rispetto a specie con esigenze migratorie limitate e diridotto interesse naturalistico, oppure alloctone.

ki = (Mob + Vn)2 (4)Ove:Mob = mobilità, rappresenta la capacità, se non la neces-

sità, di compiere spostamenti migratori più o menolunghi sull’asta fluviale per motivi trofici o riprodut-tivi. Tale valore è massimo per i grandi migratoridiadromi, ridotto per le specie stanziali e nullo per lespecie alloctone. La scala è ripartita in 6 classi conpunteggio da 0 a 5 (Tab.I). Questo parametro èquello di maggior peso nel calcolo del ki.

Vn = valore naturalistico, tiene conto del pregio natu-ralistico di una specie, a seconda della sua appar-tenenza o meno ad un inquadramento legislativospecifico che ne garantisce la tutela e la conserva-zione. Nel presente lavoro, la scala può assumerevalori compresi tra 0 ed 1. È assegnato Vn= 1,ovvero punteggio pieno, alle specie protette inseri-te in liste di livello sia nazionale che regionale (adesempio a livello nazionale nella Lista Rossa Nazio-nale delle Specie a Rischio ed a livello regionale inapposita legislazione sulla tutela della biodiversità).È assegnato Vn= 0,5 alle specie protette inserite inuna sola delle due liste (o a livello nazionale, o alivello regionale); Vn= 0 alle specie non protette.

Tali valori vengono proposti a scopo dimostrativo,per esemplificare come ad ogni specie ittica possaessere attribuito un “peso” commisurato alla sua im-portanza conservazionistica. Tuttavia il parametro ki èstato appositamente concepito come uno strumento

PINI PRATO - Passaggi per pesci: indici di priorità d’intervento 13

Tab. I. Calcolo del ki con la formula (4) per le principali specie ittiche della Toscana.

categoria specie Mob Vn ki

grandi migratori diadromi anguilla (Anguilla anguilla) 5 1 36cheppia (Alosa fallax) 1 36lampreda di mare (Petromyzon marinus) 1 36

specie con spiccate esigenze barbo canino (Barbus caninus) 4 1 25migratorie (Ciprinidi reofili, barbo comune (Barbus plebejus) 1 25Salmonidi, Ciclostomi non barbo tiberino (Barbus tyberinus) 0,5 20,25diadromi) cavedano etrusco (Leuciscus lucumonis) 1 25

cavedano (Leuciscus cephalus) 0,5 20,25lampreda di fiume (Lampetra fluviatilis) 1 25lampreda di ruscello (Lampetra planeri) 1 25lasca (Chondrostoma genei) 1 25pigo (Rutilus pigus) 0,5 20,25rovella (Rutilus rubilio) 1 25savetta (Chondrostoma soetta) 0,5 20,25trota fario (Salmo trutta trutta) 0,5 20,25vairone (Leuciscus souffia) 1 25

specie senza spiccate carpa (Cyprinus carpio) 3 0 9esigenze migratorie (Ciprinidi luccio (Esox lucius) 1 16fitofili, Esocidi, Percidi, ecc.) persico reale (Perca fluviatilis) 0,5 12,25

persico trota (Micropterus salmoides) 0 9tinca (Tinca tinca) 0,5 12,25

specie con spostamenti alborella (Alburnus albrnus) 2 0,5 6,25migratori ridotti oppure cobite (Cobitis taenia) 0,5 6,25stanziali (piccoli Ciprinidi gobione (Gobio gobio) 1 9fitofili, Gobidi, Cottidi, ecc.) ghiozzo di ruscello (Gobius nigricans) 1 9

ghiozzo padano (Padogobius martensii) 0,5 6,25scardola (Scardinius erythrophtalmus) 0,5 6,25scazzone (Cottus gobio) 1 9triotto (Rutilus erythrophthalmus) 0,5 6,25

specie eurialine facoltative muggini (Chelon, Liza, Mugil) 1 0,5 2,25(Mugillidi, Percidi, ecc.) orata (Sparus auratus) 0,5 2,25

nono (Aphanius fasciatus) 1 4spigola (Dicentrarchus labrax) 0,5 2,25spinarello (Gasterosteus aculeatus) 1 4

specie alloctone per il abramide (Abramis brama) 0 0 0territorio italiano aspio (Aspius aspius) 0 0

barbo europeo (Barbus barbus) 0 0blicca (Blicca bjorkena) 0 0carassio (Carassius carassius) 0 0carpa erbivora (Ctenophargyngodon idellus) 0 0lucioperca (Stizosteidon lucioperca) 0 0ido (Leuciscus idus) 0 0persico sole (Lepomis gibbosus) 0 0pesce gatto (Ictalurus melas) 0 0pesce gatto americano (Ictalurus punctatus) 0 0pesce gatto africano (Clarias gareipinus) 0 0pseudorasbora (Pseudorasbora parva) 0 0rodeo amaro (Rhodeus sericeus) 0 0rutilo (Rutilus rutilus) 0 0siluro (Silurus glanis) 0 0

PINI PRATO - Passaggi per pesci: indici di priorità d’intervento14

flessibile: qualora si intenda attribuire all’importanzaconservazionistica un peso maggiore o un maggiorlivello di dettaglio, è infatti sufficiente assegnare pun-teggi diversi al parametro Vn o ampliarne o modificar-ne la scala tenendo conto di altre liste, come quelledella Direttiva Habitat e della IUCN.

La sommatoria dei ki permette di prendere in consi-derazione, ai fini della priorità di realizzazione di pas-saggi artificiali, tutte le specie presenti nel corso d’ac-qua in esame, escludendo però quelle indesideratecome le alloctone, per favorire le quali non avrebbesenso intervenire; per tali specie, infatti, essendo = 0sia Mob che Vn (e quindi il ki), il contributo allasommatoria è nullo. Si noti che nell’algoritmo di calco-lo degli indici proposti è implicita l’attribuzione di unascarsa priorità dei passaggi per pesci per le specieprotette, ma stanziali, rispetto a quella delle specie coneffettive esigenze migratorie: per esse il valore crescenotevolmente arrivando al massimo punteggio nei grandimigratori diadromi che, generalmente, sono comun-que anche protetti.

La tabella I riporta i valori del ki calcolati per leprincipali specie della Toscana appartenenti alle listedel Piano Regionale per la Pesca nelle Acque interne2007-2015 e relativo allegato A approvato con D.G.R.3792/2006.

Il particolare il parametro Vn è assegnato a secondadell’appartenenza alle liste: a livello nazionale ListaRossa Nazionale delle Specie a Rischio (ZERUNIAN,2004); a livello regionale L.R.T. n°56/2000 Tuteladella Biodiversità e successive Indicazioni Tecnicheapprovate con D.G.R. 1148 del 2002 (REGIONE TOSCA-NA, 2002). Si tenga conto che la lista è ovviamenteaperta, aggiornabile e comunque adattabile al contestoambientale ed al distretto ittico in cui si collocano gliinterventi.

RISULTATISono riportati di seguito alcuni semplici esempi di

calcolo degli indici di priorità di intervento in differenticontesti fluviali.

Esempio di valutazione di priorità diintervento sul singolo sbarramento (IPs)

La tabella II mostra un esempio di calcolo di IPs perdue interventi alternativi, l’uno su singolo sbarramentoin un corso d’acqua planiziale A con popolamentoittico a Ciprinidi reofili e l’altro su un corso d’acquapedecollinare B a popolamento misto di Salmonidi eCiprinidi reofili, partendo dal presupposto di poterintervenire su uno solo dei due, per la mancanza disufficienti risorse economiche. Come indica il maggiorvalore dell’indice, risulta prioritario l’intervento sullosbarramento del corso d’acqua B.

Esempio di valutazione di prioritàdi intervento totale (IPt)

La tabella III mostra un esempio di calcolo di IPt perdue interventi alternativi di ripristino della continuità,l’uno su un tratto terminale di corso d’acqua A conpresenza di grandi migratori diadromi e Ciprinidi fitofilie l’altro su un tratto di corso d’acqua planiziale B conpopolamento misto di Ciprinidi reofili e Salmonidi,partendo dal presupposto di poter intervenire su unosolo dei due, per la mancanza di sufficienti finanzia-menti.

Come rivela il maggior valore dell’indice, risultaprioritario l’intervento sul tratto di corso d’acqua A.

CONCLUSIONIGli Indici di Priorità di Intervento possono rivelarsi

validi strumenti di pianificazione territoriale per Ammi-nistrazioni ed Enti preposti alla gestione dei corsi d’ac-

Tab. II. Esempio di calcolo di IPs.

Sbarra- Lv Lm H specie presenti ki IPsmento (km) (km) (m)

barbo comune 25barbo tiberino 20,25cavedano 20,25

A 3,5 4,5 3,6 vairone 25 373,57lasca 25cobite 6,25ghiozzo di ruscello 9

trota fario 20,25barbo tiberino 20,25

B 2,9 4,9 3,1 vairone 25 423,01rovella 25ghiozzo di ruscello 9

PINI PRATO - Passaggi per pesci: indici di priorità d’intervento 15

qua poiché la limitatezza delle risorse economiche aloro disposizione –mai sufficienti a soddisfare il realefabbisogno– rende pressante l’esigenza di disporre diuno strumento oggettivo di supporto alle decisioni digestione del territorio.

Particolarmente interessante è la flessibilità dellostrumento proposto: per specifiche finalità conserva-zionistiche, infatti, il peso del valore naturalistico puòessere aumentato, attribuendo ad ogni specie un valoredi Vn commisurato alla sua importanza conservazioni-stica.

Oltre alla loro specifica finalità gestionale, gli indiciproposti possono essere utilizzati per la realizzazione dicarte tematiche della frammentazione dei corsi d’ac-

Tab. III. Esempio di calcolo di IPt.

Corso Lt N hi specie presenti ki IPtd’acqua (km) (m)

anguilla 36cheppia 36

1,2 cavedano 20,252,3 cavedano etrusco 25

A 19,7 5 3,0 carpa 9 48,782,5 carassio 01,7 muggine calamita 2,25

pesce gatto 0spinarello 4

trota fario 20,25barbo tiberino 20,25

B 15,5 4 barbo comune 25 41,66cavedano 20,25vairone 25

2,83,42,61,5

qua e delle priorità d’intervento per ristabilirne la conti-nuità, da affiancare alle mappe di altri indici, qualil’IFF, l’IBE, l’Indice Ittico, ecc. al fine di una piùesaustiva indagine ambientale.

Infine la realizzazione del software Priority Index1.1, di agevole installazione ed utilizzo, ne rende imme-diato il calcolo (Fig. 3). Su richiesta, il software èdistribuito gratuitamente dall’Autore.

RINGRAZIAMENTISi ringrazia il dr. Maurizio Barneschi del Dipartimento di

Ingegneria Agraria e Forestale dell’Università di Firenze per averrealizzato il software Priority Index 1.1. Si ringrazia inoltre ladr.ssa Annamaria Nocita per alcuni validi suggerimenti.

Fig. 3. Interfaccia grafica del software Priority Index 1.1.

PINI PRATO - Passaggi per pesci: indici di priorità d’intervento16

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Individuazione di confini ecologici per unpaesaggio fluviale nel tratto ritrale de “La Brenta”:Bassano del Grappa-Tezze sul Brenta

Gianumberto Caravello*, Bianca PivottoUniversità degli Studi di Padova, Dipartimento di Medicina Ambientale e Sanità Pubblica, Sede di Igiene, Via Loredan 18 - 35131 Padova

* Referente per la corrispondenza: [email protected]

Pervenuto il 13.12.2006; accettato il 28.3.2007

RiassuntoIl tratto del fiume Brenta oggetto di questo studio è compreso tra Bassano del Grappa e Tezze sul Brenta (Provincia di Vicenza), ed è partedel Sito di Importanza Comunitaria (SIC) “IT3260018 - Grave e Zone umide della Brenta” proposto come area destinata allaconservazione della biodiversità e, quindi, alla creazione della Rete Natura 2000.Nel passato il Fiume Brenta è stato per l’uomo una via di comunicazione, un contenitore di risorse e un paesaggio ricreativo ed estetico.L’azione di disturbo antropico, dovuta allo sfruttamento delle risorse e all’urbanizzazione, ha determinato la frammentazione delpaesaggio fluviale ed ha instaurato un gradiente di naturalità variabile lungo la direzione che va dal fiume verso il territorio circostante. Sullabase di queste considerazioni, sono state rilevate precise modalità di distribuzione degli elementi tipici del paesaggio fluviale che hannopermesso di tracciare una possibile delimitazione del sito da tutelare, secondo criteri oggettivi, capaci di includere le aree importanti dalpunto di vista naturalistico e di escludere quelle ecologicamente meno significative.Al fine di individuare precisamente tale delimitazione e di verificare l’adeguatezza dei confini proposti dalla Regione Veneto per il sitoSIC, è stata condotta un’analisi della struttura del mosaico ambientale ospitata dal territorio dell’alta pianura veneta in cui scorre “LaBrenta”, attraverso la ricostruzione cartografica dell’uso del suolo, digitalizzata mediante l’utilizzo del G.I.S. L’analisi tramite lametodologia dei transetti fluviali e l’impiego degli indici statistico-matematici proposti dall’Ecologia del Paesaggio hanno permesso,infine, di evidenziare la composizione e la distribuzione spaziale degli elementi presenti e di individuare, secondo criteri ecologici, deipossibili confini del paesaggio fluviale.

PAROLE CHIAVE: Natura 2000 / SIC / Ecologia del Paesaggio / transetti fluviali / indici SED e DDB

Location of ecological borders for a zone of the river landscape between Bassano del Grappa and Tezze sul BrentaThe zone of the Brenta river, between the two towns of Bassano del Grappa and Tezze sul Brenta (Vicenza district, Veneto, Italy), isincluded in the SIC (Sito di Importanza Comunitaria) site “IT3260018 - Grave e Zone umide della Brenta”. This site has been proposedas biodiversity conservation area inside of the ecological network Natura 2000.Often the borders of these areas are traced out on account of economic and urban demands, disregarding the ecological processes.Historically the Brenta river has been a very important trade and transport route, a natural resources supply, a recreational and aestheticallandscape. Human disturbances, such as the urbanization and the agriculture, have caused the fragmentation of the river landscape andhave established a natural gradient varying from the river to the neighbouring rural lands.In the fragmented landscapes the development of a biodiversity conservation planning should pay attention to the composition and to thespatial structure of the territory because these factors can critically affect life, richness and functions of the local flora and fauna, or thesystem of ecosystems that forms the river landscape. By using mathematical-statistic indices proposed by Landscape Ecology ananalysis of landscape mosaic of the mentioned river area has been accomplished. By the application of the SED (Indice di Discontinuitàe Contrasto) index, DDB (Indice di Biopotenzialità territoriale Trasformata) index, and the GBA (gliding box algorithm) along transeptsguidelines taken at regular intervals on the area, gaps between patch types within the landscape has been located. This analytic approachhas permitted to find variation points useful to define new plausible ecological borders.

KEY WORDS: Natura 2000 / SIC / Landscape Ecology / transepts guidelines / SED and DDB index

CARAVELLO e PIVOTTO - Confini ecologici paesaggio fluviale Brenta18

INTRODUZIONEIl 21 maggio 1992 viene emanata la Direttiva Euro-

pea 92/43/CEE relativa alla Conservazione degli habi-tat naturali e seminaturali e della flora e della faunaselvatiche, comunemente denominata Direttiva “Habi-tat”, il cui principale obiettivo consiste nella creazionedi un sistema coordinato e coerente di aree, denomina-to Rete NATURA 2000, destinate alla conservazionedella diversità biologica presente nel territorio del-l’Unione Europea. Tale Direttiva, recepita dalla legisla-zione nazionale con il D.P.R. 357/97, rappresenta unpasso importante nel percorso di tutela e riqualificazio-ne dei territori antropizzati, poiché cerca di integrare laconservazione di habitat e specie animali e vegetali, siacon le attività economiche, sia con le esigenze sociali eculturali delle popolazioni che vivono all’interno dellearee della Rete NATURA 2000, considerando la naturacome elemento diffuso (SANTOLINI, 2002). Attualmen-te la rete è composta da due tipi di aree: le Zone diProtezione Speciale (ZPS) previste dalla Direttiva 79/409/CEE e i Siti di Importanza Comunitaria (pSIC/SIC). L’individuazione dei siti è stata realizzata in Italiadalle singole Regioni e Provincie Autonome in unprocesso coordinato dal Ministero dell’Ambiente edella Tutela del Territorio. La vigente normativa nazio-nale attribuisce a questi Enti le competenze relative allagestione dei siti, attraverso la realizzazione di appro-priati piani di gestione specifici o integrati ad altri pianidi sviluppo.

Il passaggio dal concetto di territorio, inteso princi-palmente come mero supporto geografico-economicoper le attività umane, al concetto di paesaggio, cioè dientità vivente alla quale l’uomo deve adeguarsi, cambiaradicalmente sia i metodi che gli obiettivi della pianifi-cazione (INGEGNOLI e GIGLIO, 2005). La gestione del-l’ambiente non deve continuare a suddividere il territo-rio in aree di dominio naturale ed aree di dominioantropico, ma capire quali attività naturali e quali attivi-tà antropiche siano di reciproco interesse, quali com-patibili o incompatibili con l’esistenza degli habitatpresenti, per poi individuare trasformazioni in sintoniacon le potenzialità del sistema considerato (GIBELLI,2000). Ancora oggi, però, la pianificazione territorialeè caratterizzata da una predominanza pesante dei con-cetti urbanistici e guidata da scelte socio-politico-eco-nomiche che non sempre prendono in seria considera-zione i processi ecologici. Risulta così indispensabileche essa sia preceduta da un’analisi e da una diagnosidell’area di interesse che non ignori la composizione ela disposizione del territorio circostante perché puòavere un forte effetto sulla presenza, sull’abbondanzae sulle attività delle specie floristiche e faunistichepresenti ovvero sul sistema di ecosistemi che crea ilpaesaggio.

AREA DI STUDIONella cultura popolare il fiume è sempre stato nomi-

nato al femminile. La Brenta è il nome che affettuosa-mente indica la sua dolcezza e bellezza, ma è anche unsegno di rispetto e timore poiché un detto popolarericorda: Tempo, done e siori, i fa tuti come i vol lori!(Al tempo, alle donne e ai signori non si comanda!).

Il fiume Brenta nasce nel Trentino orientale a 450 ms.l.m., come emissario del lago di Caldonazzo e sfocia,dopo 174 km, nel Mare Adriatico in località Brondolodi Chioggia (Fig. 1).

Il tratto di Fiume da Bassano del Grappa (Provinciadi Vicenza) alla città di Padova proposto come sito SIC(Fig. 2) percorre una pianura alluvionale caratterizzatadall’elevata permeabilità dei sedimenti grossolani chepermette la connessione tra i corpi idrici superficiali ele falde acquifere sotterranee. Uscito dal bacino mon-tano, il letto fluviale che attraversa l’alta pianura pada-na orientale è solcato da numerosi canali intrecciati,larghi da pochi metri a decine di metri e profondi almassimo uno o due metri, che rimodellano continua-mente i banchi di ghiaia e di ciottoli e le lenti di sabbiadepositati dal corso d’acqua. Qui le acque superficialiricaricano la falda freatica ospitata a qualche decina di

Fig. 1. Il bacino idrografico montano del fiume Brenta e le suepertinenze fluviali in pianura (BONDESAN et al., 2003).

Padova

Bassanodel Grappa

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metri nel sottosuolo tanto che, nel periodo di magraestivo, il letto del fiume può risultare praticamenteasciutto. Entrando nella Provincia di Padova il fiumeattraversa la cosiddetta fascia delle risorgive lungo laquale, sia in destra che in sinistra idrografica, si alli-neano dei sistemi di fontanili che restituiscono al de-flusso superficiale parte delle acque freatiche permet-tendo così al fiume di aumentare la portata e assumeregradualmente un andamento meandriforme.

L’area del Medio Brenta è stata fin da tempi lonta-nissimi sede di popolazioni e civiltà, che hanno trattovantaggio dal fatto di avere a disposizione una fonteidrica e un sicuro mezzo di trasporto per i propritraffici commerciali, oltre a distese di terreno ampie efertili. La navigazione e la fluitazione del legname furo-no praticati sul Brenta fin dall’epoca pre-romana, co-stituendo spesso il fiume l’unico mezzo per superare ifrequenti acquitrini e gli stagionali impaludamenti chesi formavano nella pianura. La natura molto permeabilee drenante del terreno ha reso necessaria la creazionedi un complesso sistema di derivazioni d’acqua ecanali di irrigazione, che ancora oggi portano il nomedelle antiche famiglie patrizie della Repubblica di Vene-zia che li realizzarono: rogge Dolfin, Vica, Cappella,Balbi, Grimana, Contarina, Morosina e altre (BONDESANet al., 2003).

Tra gli anni ’50 e ’70, l’evoluzione della strutturaeconomica, da agricola ad industriale, ha influito pe-

santemente sulla tipologia dell’insediamento poiché hafavorito la crescita dei centri urbani nell’ambito di unterritorio la cui caratterizzazione storica era costituitada dimore rurali strettamente legate al fondo coltivato.Oggi il paesaggio rurale si presenta come un’unicaarea verdeggiante dovuta alla coltura del mais che siconfonde con quella dei prati, permanenti e avvicenda-ti, a sostegno della vocazione zootecnica della zona. Inquegli stessi anni ebbe inoltre luogo un massiccio esregolato sfruttamento dell’alveo ghiaioso del medioBrenta che ha determinato un approfondimento dellostesso di circa 7/8 metri, causando l’abbassamentodella falda freatica e l’alterazione della circolazioneidrica sotterranea. Profondo è stato l’intervento del-l’uomo anche nelle aree golenali di questo tratto difiume, oggi costellate da numerosi laghi di cava affian-cati da cumuli di materiali di scarto della setacciaturadelle ghiaie, perlopiù grossi ciottoli (Mozzi, 2003). Sitratta di zone umide disperse, caratterizzate dalla pre-senza dell’acqua che può scorrere lentamente o rista-gnare e di un suolo torboso e acquitrinoso perchécostantemente imbevuto dall’acqua di risorgiva. Pic-coli bracci del fiume rimasti isolati e depressioni mar-ginali dell’alveo perennemente allagate permettono l’in-sediamento di specie come la mazzasorda (Typha lati-foglia L.) e la cannuccia di palude (Phragmites austra-lis (Cav.) Trin.). Dove si trovano invece piccoli spec-chi d’acqua alimentati dalle risorgive l’acqua si presen-ta limpida, con una temperatura pressoché costantenel corso dell’anno ed una buona ossigenazione, con-dizioni che favoriscono la presenza del crescione (Na-sturtium officinale R. Br.), della sedanina (Berulaerecta (Hudson) Coville) e della veronica d’acqua (Ve-ronica anagallis acquatica L.) (PROVINCIA DI VICENZA,2005). Questi ambienti umidi ospitano diverse speciedi anfibi, come il rospo smeraldino (Bufo viridis Lau-renti) e rettili come la biscia tassellata (Natrix tassella-ta Laurenti) (NISORIA, 2000). Molto ampia è la com-ponente faunistica degli uccelli che trovano rifugio enidificano tra il salice bianco (Salix alba L.), il piopponero (Populus nigra L.) presenti in forma arbustiva nelgreto e in forme arboree nell’ambiente ripario assiemead altre essenze legnose come gli ontani bianchi e neri(Alnus incana e Alnus glutinosa L.) e le robinie (Robi-nia pseudoacacia L.). Da segnalare diverse speciesinantropiche infestanti come l’indaco bastardo (Amor-pha fruticosa L.), la buddleja (Buddleja davidii Fran-chet), il topinambur (Helianthus tuberosus L.) e laverga d’oro maggiore (Solidado gigantea Aiton) svi-luppate soprattutto dove sono presenti fenomeni didegrado.

Questo fiume veneto, quindi, pur attraversando unpaesaggio risultante da una umanizzazione secolaredell’ambiente naturale che l’ha allontanato sempre più

Fig. 2. Il Sito di Importanza Comunitaria SIC IT3260018 “Gravee zone umide della Brenta” (fascia allungata tra le Province diVicenza e Padova).

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da quello originario, è un ambiente di transizione im-portantissimo ai fini della conservazione della biodiver-sità.

MATERIALI E METODIL’Ecologia del Paesaggio (Landscape Ecology) na-

sce nella seconda metà del secolo scorso (1940-1980),quando diverse discipline mostrano, nello studio, nellagestione e nella pianificazione del territorio, la necessi-tà di individuare ed operare su aree spazialmente defi-nite. In questo passaggio da una unità di studio funzio-nale, quale l’ecosistema, all’analisi ecologica di un’areageograficamente perimetrata, cominciano ad esserenecessarie informazioni relative alla scala, alla forma,alla distribuzione delle componenti ambientali e allerelazioni geometrico-spaziali che tra di esse intercorro-no. Il nuovo approccio suggerito da questa disciplina ècaratterizzato da:– transdisciplinarietà, secondo cui tutte le varie scien-

ze coinvolte nello studio del paesaggio cooperano peruna interpretazione complessiva ed integrata;

– logica sistemica, che considera l’insieme degli ele-menti componenti del paesaggio, i loro processi diinterazione, di scambio, di elaborazione e i meccani-smi di autoregolazione;

– visione olistica, che considera il territorio nella suatotalità strutturale, spaziale e temporale.La Landscape Ecology quindi, si propone di studia-

re il paesaggio come “un’area eterogenea composta dasistemi di ecosistemi interagenti e disposti secondopattern spazialmente ripetibili” (FORMAN e GODRON,1986) o ancora, come “un’entità fisica, ecologica egeografica, che integra tutti i processi e tutti i patternnaturali e umani” (NAVEH, 1987). Ecco che il concettodi paesaggio si evolve da una visione puramente esteti-co-percettiva ad una scientifica, che introduce l’uomonon più come osservatore esterno, bensì come parteintegrante del sistema ambientale in grado di interagirecon le componenti naturali. In questo contesto l’Eco-logia del Paesaggio può rappresentare uno strumentoefficace per “individuare, rappresentare, analizzare ecartografare tanto i sistemi naturali che i sistemi antro-pici in forma olistica al fine di favorire la pianificazio-ne, la gestione e la conservazione delle risorse e deiprocessi naturali che determinano gli alti livelli di biodi-versità” (NAVEH e LIEBERMAN, 1984).

Gli strumenti di indagine territoriale messi a disposi-zione dalla tecnologia nell’ultimo secolo, hanno per-messo una lettura del territorio su vasta scala e hannocontribuito a mettere in luce i rapporti gerarchiciintercorrenti tra le diverse scale spazio-temporali (GI-BELLI, 2000). Il presente studio è stato riferito a:– la scala superiore di riferimento 1:60.000, scelta per

inquadrare il territorio che comprende l’area di studio

e rilevare i vincoli che si impongono all’oggetto diosservazione;

– la scala intermedia di interesse 1:10.000, scelta perdefinire il funzionamento dell’oggetto di osservazio-ne e realizzare lo studio;

– la scala inferiore di controllo 1:3.000, scelta perdefinire con maggiore precisione i dettagli strutturalie funzionali degli elementi insiti nell’oggetto di osser-vazione.Per la scala intermedia la cartografia dell’uso del

suolo del 2003 è stata realizzata attraverso l’interpreta-zione delle foto aeree n. 104010, 104050, 104090, ascala 1:10.000, della Provincia di Vicenza, le cui ripre-se sono state realizzate nel periodo maggio-novembre2003 dalla Compagnia Generale Ripreseaeree S.p.A. diParma nell’ambito del programma TerraItalyTM NR2003 - ortofoto digitali a colori del territorio italiano.

La digitalizzazione dei dati cartografici è stata realiz-zata mediante l’utilizzo del G.I.S. (Geographic Infor-mation System o Sistema Informativo Geografico) e,in particolare, del software ArcView 3.1 della ESRIche ha consentito la rappresentazione delle informazio-ni spaziali in una mappa vettoriale in cui sono statiindividuati 19 elementi strutturali del mosaico ambien-tale (Tab. I).

Il successivo impiego dei software Idrisi 32 e Ado-be Photoshop 6.0 ha permesso la trasformazione dellamappa vettoriale nel modello raster, sul quale sonostati applicati, con il software Fragstats 3.3, i seguentiindici statistico-matematici di analisi:– gli indici di Dimensione e Numero: Area totale (TA),

Area delle classi (CA), Percentuale del paesaggiooccupata dalle classi (PLAND), che descrivono lacomposizione del paesaggio; Numero delle macchie(NP), Densità delle macchie (PD) e Area media dellemacchie (AREA_MN) che descrivono la configura-zione del paesaggio;

– l’indice di Diversità di Simpson (SIDI) (SIMPSON,1949), che indica l’incidenza della diversità di ele-menti, intesa come il diverso numero di macchiepresenti e dà una misura indiretta della prevalenza diuna classe, per estensione o numerosità di macchie,rispetto ad un’altra (KREBS, 1972);

– l’indice di Dispersione-Giustapposizione (IJI) (MC-GARIGAL e MARKS, 1994), che viene utilizzato pervalutare il livello di dispersione e di raggruppamentodelle macchie di elementi diversi del mosaico ambien-tale;

– l’indice di Distanza Euclidea media (Euclidean nea-rest neighbor distance) (ENN_MN) (MCGARIGAL eMARKS, 1995), che quantifica l’isolamento delle mac-chie misurando la distanza media tra le macchieappartenenti alla stessa classe;

– l’indice di Biopotenzialità territoriale (Btc), che per-

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mette di valutare il grado di metastabilità del sistemapaesistico (FORMAN e GODRON, 1986; INGEGNOLI,1993).L’evoluzione di un paesaggio fluviale sottoposto ad

un disturbo antropico, soprattutto di tipo agronomico,determina quasi sempre l’instaurarsi di un pattern det-to stream corridor, che presenta un orientamento nelladistribuzione dei vari elementi, nel quale si individuano,in posizione prossimale, le componenti a più elevatanaturalità che, allontanandosi dall’asse fluviale, lascia-

no il posto alle componenti più legate all’azione antro-pica, come coltivazioni, siepi e filari alberati, abitazionisparse e piccoli agglomerati urbani (FORMAN e GO-DRON, 1986). La descrizione di un gradiente ambienta-le, lungo la direzione che dal fiume va verso il territoriocircostante, può essere efficacemente condotta trami-te l’applicazione del metodo dei transetti lineari, definiticome sezioni operate sulle macro aree, finalizzati amettere in luce la variabilità paesistica (GIBELLI, 2003).Sulla base di studi precedentemente effettuati (REVER-

Tab. I. Elementi del mosaico ambientale.

ID Elementi Descrizione

1 corpo idrico principale: Corso del fiume a canali intrecciati; è stato considerato nell’elemento anche il canale Medoaco che prendeFiume Brenta origine dal Brenta 240 m a valle del Ponte Vecchio di Bassano e scorre parallelo al fiume e in sinistra dello

stesso per circa 2 km, andando ad alimentare le centrali idroelettriche di San Lazzaro.2 forme d’acqua Torrente Silan-Longhella, rogge di irrigazione, zone umide (bracci del fiume rimasti isolati, depressioni

marginali all’alveo allagate, sacche d’acqua ferma e risorgive).3 greto Ambiente dinamico del letto fluviale poiché legato alle variazioni di portata del fiume. È costituito da ma-

teriali di vario tipo e dimensione (banchi ghiaiosi, sabbia, fango e limo) in condizioni di aridità nei periodidi magra.

4 greto vegetato Ambiente dinamico del letto fluviale dove la corrente rallenta e si depositano i sedimenti più fini chepermettono alla vegetazione di formare una copertura discontinua costituita da specie in grado di compiereil loro ciclo vegetativo in tempi brevi.

5 aree ripariali: Ambiente di transizione tra il fiume e la pianura circostante, con vegetazione costituita da specie arboree,vegetazione igrofila arbustive ed erbacee.

6 nuclei boscati Macchie costituite da alberi e arbusti, inserite in una matrice prevalentemente agricola; filari alberati cheseparano due campi o affiancano una strada. Le specie che più frequentemente si incontrano sono il platanoibrido, la robinia, l’ontano nero, l’acero campestre, il pioppo bianco, il gelso, il noce e le specie di salice.

7 golene alberate: Area destinata alla coltivazione del pioppo.pioppeto

8 adiacenze rurali: Area destinata alla frutticoltura con produzione prevalente di pere, mele, ciliegie e olive.frutteto

9 adiacenze rurali: Area destinata alla viticoltura; filari di alberi che fungono da sostegno alle viti e separano due campivigneto (elemento residuale della piantata padana).

10 adiacenze rurali: Campi di mais; prati permanenti e avvicendati a sostegno della vocazione zootecnica del territorio.coltivazioni erbacee

11 adiacenze rurali: Aree lottizzate non costruite; terreni non coltivati.incolti

12 interventi produttivi: Aree di estrazione; aree in cui si svolgono attività di macinazione, lavaggio, separazione e deposito deicave materiali inerti.

13 interventi produttivi: Aree destinate alla coltivazione degli ortaggi e in particolare del radicchio e dell’asparago bianco.serre

14 aree seminaturali: Parco faunistico Cappeller nel Comune di Cartigliano.parco faunistico

15 interventi produttivi: Allevamenti di bovini, polli e tacchini.allevamenti

16 interventi produttivi: Allevamento nel Comune di Nove.allevamento ittico

17 infrastrutture civili: Depuratore di Bassano del Grappa; depuratore di Tezze sul Brenta.depuratori

18 aree urbane Abitazioni con giardino e annessi; edifici rurali; edifici multipiano; negozi; aree pubbliche; impianti sportivi;negozi; parcheggi, strade incluse in tali aree.

19 aree industriali Zone industriali; capannoni artigianali; autofficine; centrali idroelettriche; strutture del Consorzio diBonifica Pedemontano Brenta, strade incluse in tali aree.

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SI, 1996; CARAVELLO e GIACOMIN, 2000), per evitareridondanze o semplificazioni di informazioni, si è scel-to così di collocare nell’area di studio 44 transettilineari, paralleli fra di loro ed equidistanti 250 metri(Fig. 3).

È stata inoltre individuata, attraverso la fotointer-pretazione, un’asta fluviale mediana che fungesse dapunto di partenza per ciascun transetto, sviluppato per1.000 m a sinistra e 1.000 m a destra del fiume, al finedi cogliere la zona ecotonale tra le aree fluviali nellaloro totalità di estensione verso le aree agricole (Fig.4). Ogni transetto è stato suddiviso in intervalli regolaridi celle quadrate di 50 x 50 m e per ogni cella è statoindividuato l’elemento paesistico presente per maggio-re estensione e quindi caratterizzante la cella (FORMANe GODRON, 1986; INGEGNOLI, 1993) (Fig. 5).

Le informazioni sono state raccolte in un formatoalfa-numerico corrispondente ai codici attribuiti a cia-scun elemento e quindi riportate su foglio elettronicosotto forma di matrici 44 x 22 funzionali alla applica-zione dei seguenti indici di analisi:– l’indice di Discontinuità e Contrasto (SED), che

individua le discontinuità nella distribuzione deglielementi lungo il transetto e perciò risulta particolar-mente appropriato per dati mono-dimensionali (FARI-NA, 2001). L’indice è calcolato impiegando la tecnicadella finestra mobile, moving split window (MSW),e confrontando i dati raccolti in ciascuna metà (A eB) di questa finestra (FARINA, 1993), (Fig. 6).In questo studio, una finestra di 6 stazioni (6 celle) èstata spostata lungo il transetto, partendo dall’astafluviale, di una stazione alla volta (1 cella) ed è stataapplicata la seguente formula:

( )2

1∑

=

−=a

iiBwiAwnw XXSED

doven = stazione del punto mediano della finestra ww = ampiezza della finestraa = numero delle variabili campionate in ciascuna

stazionei = variabile considerata

Fig. 3. Metodi di posizionamento dei transetti (CARAVELLO eGIACOMIN, 2000).

Fig. 4. Distribuzione dei transetti nell’area di studio.

SIC

Province

Transetti

Asta fluviale

Fig. 5. Suddivisione del transetto in intervalli regolari.

Fig. 6. Rappresentazione della finestra mobile.

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L’indice è stato calcolato sui codici identificativiassegnati agli elementi del paesaggio in base al loromaggiore o minore condizionamento antropico (IDnella tabella I). I valori dell’indice sono stati rappre-sentati in istogrammi ed interpolati con il metodo deiminimi quadrati per mezzo di un polinomio di quartogrado utilizzando il software Microsoft Excel (RE-VERSI, 1996; CARAVELLO e GIACOMIN, 2000). L’analisidell’andamento della curva ottenuta per ogni singolotransetto ha permesso di calcolare i punti di minimo,assoluti e relativi, indicanti le variazioni di paesaggiopresenti lungo il transetto stesso (Fig. 7).

– l’indice di Biopotenzialità trasformata (DDB), cherielabora i valori della Biopotenzialità territoriale (Btc)fornendo informazioni sulla posizione, lungo il tran-setto, delle componenti a più elevata naturalità e dellecomponenti più legate all’azione antropica. Agli ele-menti, caratterizzanti le diverse celle costituenti iltransetto, sono stati assegnati dei valori unitari di Btc,

prendendo come riferimento i valori calcolati per iprincipali tipi di elementi paesistici dell’Europa cen-tro-meridionale e i valori applicati in altri studi (INGE-GNOLI, 1993; GIBELLI, 2003). All’interno di ognisingola finestra mobile, fatta scorrere lungo il tran-setto, è stata calcolata la somma dei valori assoluti diBtc degli elementi del paesaggio presenti moltiplicatiper la frequenza assoluta degli stessi. La formulaapplicata è stata la seguente:

ijDDB = ∑=

⋅N

ambambfreqambval

1)()( [Mcal/m2/anno]

dove:N = numero degli elementii = finestra di indaginej = transetto consideratoval = valore unitario di Btc attribuito all’elementofreq = frequenza dell’elemento nella finestra iamb = elemento del paesaggio nella finestra iAnche i valori di questo indice sono stati rappresen-tati in istogrammi ed interpolati con il metodo deiminimi quadrati. L’analisi dell’andamento della curvaottenuta per ogni singolo transetto ha permesso diindividuare il punto in cui c’è il passaggio da unambiente a più elevata naturalità ad uno più legatoall’azione antropica, ossia la posizione lungo il tran-setto in cui si ha una variazione di naturalità (Fig. 8).

RISULTATI E DISCUSSIONILa ricostruzione cartografica, l’analisi fotointerpre-

tativa e i risultati ottenuti con l’applicazione degli indicidi analisi della struttura e della funzionalità del paesag-gio, condotte nella prima parte di questo studio, hannoindividuato un’area che si sviluppa su una superficiecomplessiva di 2.527,65 ettari in cui sono inclusi i697,49 ettari occupati dal sito SIC “IT3260018 Gravee zone umide della Brenta” nella Provincia di Vicenza. I19 elementi che vanno a costituire il mosaico ambien-tale sono distribuiti in 1.436 macchie aventi una super-ficie media di 1,76 ettari.

Il calcolo dell’indice di Diversità di Simpson harestituito un valore (SIDI = 0,79) che, approssiman-dosi a 1, indica che il paesaggio non presenta elementifortemente dominanti in quantità e/o estensione anchese, allo stesso tempo, è caratterizzato dalla presenza dinumerose e diverse classi. Tale risultato sembra, quin-di, indicare una ricchezza nella composizione del mo-saico ambientale e una tendenza all’equidistribuzionedegli elementi.

In particolare, dall’applicazione degli indici di di-mensione e numero a livello di classe si osserva chel’area è composta dal 36,69% dell’elemento coltivazio-ni erbacee e dal 21,07% delle aree urbane, mentre glielementi strettamente legati all’ambiente fluviale (Fiu-

Fig. 7. Punti di minimo SED nelle celle 3 e 11 corrispondenti allevariazioni di paesaggio.

Fig. 8. Punto di minimo DDB nella cella 8 corrispondente allavariazione di naturalità.

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me Brenta, greto, greto vegetato e vegetazione igrofila)occupano complessivamente il 24% dell’area di stu-dio. La loro distribuzione segue il profilo longitudinaledel fiume andando a costituire una fascia naturale,particolarmente ridotta nel tratto iniziale a Nord acausa dell’espansione dell’area urbana di Bassano delGrappa, ma che si amplia scendendo lungo il corsod’acqua, anche se visibilmente interrotta in diversipunti dalle aree caratterizzate dall’elemento cave.

Il sistema paesistico, secondo il valore della Btc

media, è caratterizzato da campi agricolo-tecnologici,ecotopi naturali e/o degradati, ma capaci di resilienzanaturale, ossia capaci di recupero dopo essere statisoggetti ad un disturbo.

Nella seconda parte di questo studio, l’applicazionedella metodologia dei transetti, della finestra mobile edegli indici SED e DDB, hanno permesso l’analisi dellamodalità di distribuzione degli elementi e l’individua-zione di un possibile confine ecologico del paesaggiofluviale studiato. L’interpolazione dei valori degli indiciSED e DDB ha fornito tre serie di punti lungo i transettiche, una volta rappresentati sulla cartografia, hannopermesso la definizione di due linee:– un confine prossimale al fiume, corrispondente al

tracciato interno proposto dall’indice SED, delimi-tante una fascia che potrebbe essere consideratal’ecocore del paesaggio fluviale analizzato, perchérappresenta l’ambiente più stabilmente legato al cor-so d’acqua. Si tratta di una linea dinamica su scalaspazio-temporale perché, essendo contigua all’al-veo, è soggetta alle variazioni morfologiche e idrolo-giche caratteristiche della Brenta e ciò la rende nonmolto idonea a rappresentare il confine di un’areaprotetta;

– un confine distale al fiume, proposto come linea cheunisce i punti ricavati dalla media dei valori che hannoevidenziato il tracciato esterno dell’indice SED el’unico tracciato dell’indice DDB. Esso delimita quel-la fascia che potrebbe essere considerata l’ecotonedel mosaico ambientale, in quanto assume un’impor-tanza fondamentale sia come zona di transizione, tral’ambiente strettamente fluviale e l’ambiente rurale,sia come filtro e barriera di protezione dell’ecocorefunzionando da “cuscinetto” contro eventuali distur-bi provenienti dalla fascia esterna.Ne consegue che quest’ultimo tracciato risulta es-

sere il confine ecologico proponibile che, oltre a conte-nere quasi completamente il sito SIC in esame, includeuna parte marginale delle aree antropizzate contigueagli argini fluviali, dimostrando come i rigidi vincoliamministrativi non tengano in considerazione le realtàecologiche e sottolineando, invece, l’importanza di unagraduale sfumatura dell’ambiente naturale verso la pia-nura circostante (Fig. 9).

CONCLUSIONIIl paesaggio fluviale è senza dubbio il paesaggio

acquatico più diffuso nell’ambiente planiziale padano,ma anche il più difficile da definire nei suoi limitiecogeografici. Questo paesaggio, infatti, è dominatoda due tipi di processo, uno legato esclusivamente alfluire per gravità delle acque convogliate dai suoli e allaricarica della falda sotterranea, l’altro è connesso alleinfluenze laterali della vegetazione e soprattutto all’uso

Fig. 9. Confronto tra i confini del sito SIC ed i confini ecologiciproposti.

CARAVELLO e PIVOTTO - Confini ecologici paesaggio fluviale Brenta 25

del suolo da parte dell’uomo.Un corso d’acqua può essere considerato come una

successione di ecosistemi che, creando continui cam-biamenti al mosaico ambientale, producono una varietàdi ecotoni ad elevata dinamicità e ricchi in biodiversità.Proprio la tutela di questo aspetto rende fondamentale,nella delimitazione delle aree da proteggere, l’analisidella struttura e della funzionalità del paesaggio e dellamodalità di distribuzione degli elementi che lo compon-gono.

La metodologia impiegata in questo studio vorrebbeproporsi come un modello da includere nei processi

decisionali di protezione ambientale, poiché, mettendoin evidenza il passaggio tra il paesaggio naturale equello antropico, ha individuato nel tracciato distale unpossibile confine ecologico che, pur mostrando alcunearee di contatto e sovrapposizione, nel complessotende ad allargare l’attuale confine amministrativo delsito SIC. Il modello sperimentato andrebbe comunqueaffinato ricercando il polinomio di grado più sensibile,ossia quel polinomio che, per ogni singolo transetto,meglio interpoli i valori ad esso correlati. A completa-mento dello studio, si potrebbero inoltre georeferenzia-re le celle che individuano il confine.

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Biologia Ambientale, 21 (1): 27-36, 2007

Messa a punto di una metodologia di saggio a 14 giornisu Artemia franciscana e A. parthenogeneticaFederica Savorelli1*, Donatella Palazzi2, Gessica Gorbi3, Marion Invidia3,Sandra Sei3, Erika Magaletti4, Loredana Manfra4, Fernando Gelli2

1 Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare (I.C.R.A.M.), Romac/o A.R.P.A. E.R., sez. prov.le di Ferrara, C.so Giovecca, 169 - 44100 Ferrara

2 Laboratorio Ittiologico - A.R.P.A. E.R., sezione prov.le di Ferrara, C.so Giovecca, 169 - 44100 Ferrara

3 Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Parma, Parco Area delle Scienze 11/A - 43100 Parma

4 Istituto Centrale per la Ricerca scientifica e tecnologica Applicata al Mare (I.C.R.A.M.), Via di Casalotti 300 - 00166 Roma

* Referente per la corrispondenza: [email protected]

Pervenuto il 7.2.2007; accettato il 20.3.2007

RIASSUNTOObiettivo di questo lavoro è stata la messa a punto di una metodologia di saggio a 14 gg, di semplice applicazione e da poter effettuare adomanda, su crostacei del genere Artemia. Per i saggi sono stati utilizzati naupli (II-III stadio) di Artemia franciscana, ottenuti da cistireperibili in commercio, e della specie autoctona A. parthenogenetica, allevata in laboratorio. La prima fase della sperimentazione è statafinalizzata all’individuazione di un’acqua artificiale idonea e della minima densità algale in grado di assicurare sopravvivenza e crescitadegli organismi. La metodologia definita in questa fase (acqua artificiale Instant Ocean, salinità 35±1 ‰; densità dell’alga Dunaliellatertiolecta 1x105 cell/mL; rinnovo del mezzo e dell’alimento tre volte a settimana) è stata applicata alla valutazione della tossicità di unasostanza di riferimento, Sodio Dodecil Solfato (SDS), e del prodotto disperdente Safety Sea Cleaner 2, considerando come end-pointmortalità e accrescimento (valutato in termini di lunghezza corporea). È stata valutata, inoltre, la sensibilità relativa delle due specie diArtemia al tossico di riferimento. Sono stati eseguiti test semistatici a 7 e 14 giorni, effettuando per ogni trattamento e per il controlloalmeno 3 repliche (10 naupli per replica). Per entrambe le specie, l’end-point letale è risultato più sensibile dell’end-point subletale(accrescimento) sia dopo 7 che dopo 14 giorni di esposizione. Prolungando il tempo di esposizione a 14 giorni, aumenta la sensibilità deltest con A. franciscana basato sull’end-point letale. I risultati ottenuti con SDS sembrano indicare una maggior sensibilità di A. franciscanarispetto ad A. parthenogenetica.

PAROLE CHIAVE: saggi ecotossicologici / Artemia franciscana / Artemia parthenogenetica / Sodio Dodecil Solfato / Safety Sea Cleaner 2

Set up of a standard methodology for 14-day bioassay on Artemia franciscana and A. parthenogeneticaThe objective of this study was to set up a standard methodology for “on demand” 14-day bioassay on the brine shrimp Artemia. Naupliiof Artemia franciscana and A. parthenogenetica at the 2nd-3rd larval stage were used. A first experimental phase was devoted to identifya suitable artificial sea water and the lowest algal density able to assure survival and development of the organism. The defined procedures(Instant Ocean artificial sea water, 35±1 ‰ salinity; density of the alga Dunaliella tertiolecta 1x105 cells/mL; renewal of water and foodthree times a week) were then applied to evaluate toxicity of a reference toxicant, Sodium Dodecylsulfate (SDS), and of the oil dispersantSafety Sea Cleaner 2. Semi-static bioassays (7 and 14-day exposure) were realized on the two Artemia species, and the relative sensitivitywas evaluated. Mortality and negative effects on somatic growth (i.e. carapace length after 7 and 14-day exposure) were considered asend-points. Three replicate chambers for concentration and control (10 nauplii per test chamber) were run and solutions and food wererenewed three times a week. In both Artemia species, mortality was more sensitive than the sublethal end-point “growth” after 7 and 14days of exposure. The increase of the exposure time to 14 days increased the sensitivity of the test on A. franciscana based on the lethalend-point. The results of the test with SDS suggest that A. franciscana is slightly more sensitive than A. parthenogenetica.

KEY WORDS: ecotoxicological bioassay / Artemia franciscana / Artemia parthenogenetica / Sodium Dodecylsulfate / Safety Sea Cleaner 2

SAVORELLI et al. - Metodologia di saggio a 14 giorni su Artemia28

INTRODUZIONEL’utilizzo di specie del genere Artemia (Crustacea,

Anostraca) in ecotossicologia è ben documentato: ne-gli ultimi 20 anni il genere è stato largamente impiegatoper valutare la tossicità acuta di contaminanti organicied inorganici e dettagliate rassegne sono riportate daPERSOONE e WELLS (1987) e da NUNES et al. (2006).Più limitato è stato invece l’uso di Artemia spp. nellavalutazione della tossicità subletale cronica. Le primericerche risalgono alla metà degli anni ’70 e sono statecondotte su una specie classificata allora come A.salina: GEBHARDT (1976) ha studiato gli effetti di alcu-ni metalli pesanti su riproduzione, crescita e sopravvi-venza e CUNNINGHAM (1976) gli effetti di un insetticidasulla riproduzione. Nuovi studi sono stati realizzatisoltanto in anni recenti: BRIX et al. (2003, 2004) hannoeffettuato test di tossicità cronica su A. franciscanavalutando l’impatto di arsenico e selenio su sopravvi-venza degli adulti, crescita e riproduzione; SARABIA etal. (2003) hanno condotto ricerche sugli effetti delcadmio su schiusa delle uova, riproduzione e tratti delciclo vitale di A. parthenogenetica.

Nella legislazione italiana, l’utilizzo di A. salina per itest di tossicità acuta sugli scarichi di acque salate èstato disposto dal D. Lgs n. 152/99. Inoltre la letteradel Ministero dell’Ambiente N. DPN/3M/2003/8319del 16/12/2003 dispone, in via transitoria, la sostituzio-ne di Mysidopsis bahia (Crustacea, Mysidacea) con A.salina al fine di garantire l’applicabilità del DecretoDirettoriale (D.D. 23/12/2002) recante norme sullaclassificazione tossicologica di prodotti disperdenti perla bonifica da idrocarburi petroliferi. M. bahia è infattiassente dagli ambienti costieri del Mediterraneo, nonfacilmente reperibile e specie potenzialmente invasiva.Il D.D. prevede che la classificazione tossicologica siaeffettuata mediante test di tossicità sia acuta che croni-ca, tuttavia non sono attualmente disponibili procedurestandardizzate per la valutazione della tossicità cronicadi sostanze e campioni ambientali su specie del genereArtemia.

Obiettivo di questo lavoro è stata la messa a punto diuna metodologia di saggio a 14 gg che risulti di sempli-ce applicazione e da poter effettuare a domanda. Sonostate prese in considerazione due specie: A. francisca-na, specie bisessuale originaria del continente america-no e facilmente reperibile in commercio, e A. parthe-nogenetica, specie autoctona. In Mediterraneo sonoinfatti presenti due specie autoctone: la specie bises-suale A. salina e A. parthenogenetica. In Italia A.parthenogenetica è segnalata lungo le coste adriatichedell’Emilia Romagna e della Puglia, in particolare nellesaline di Cervia e Comacchio (STAGNI et al., 1994) e diTorre Colimena e Margherita di Savoia, (BARIGOZZI,1980; MURA, 1999; MOSCATELLO et al., 2002) mentre

A. salina è dominante lungo le coste tirreniche diLazio, Sicilia e Sardegna, con l’unica eccezione dellasalina di Santa Gilla (Cagliari), dove coesiste con A.parthenogenetica (BARIGOZZI, 1974, 1980; MURA, 1987,1999; MOSCATELLO et al., 2002). Un recente studiosulla distribuzione delle specie del genere Artemia nel-l’area mediterranea (AMAT et al., 2005), segnala A.franciscana, come specie invasiva in espansione, do-minante nelle saline di Portogallo e Marocco e lungo lecoste di Francia e Spagna.

Allo scopo di verificare la possibilità di utilizzare laspecie autoctona nei test ecotossicologici, è stata valu-tata la sensibilità relativa di A. parthenogenetica e A.franciscana ad un tossico di riferimento, considerandoun end-point letale e uno subletale.

MATERIALI E METODI

Colture algaliDurante i test entrambe le specie di Artemia sono

state alimentate con la microalga Dunaliella tertio-lecta, specie scelta tra quelle consigliate da D’AGOSTI-NO (1980) per l’alimentazione di Artemia sp., utilizzan-do colture in crescita esponenziale con densità com-prese tra 1,3 e 2,0x106 cellule/mL. La stessa alga èstata utilizzata anche per l’allevamento di A. partheno-genetica.

È stato utilizzato il mezzo colturale f/2 Guillardaddizionato ad acqua marina artificiale Instant Oceanal 30‰ di salinità. Le colture algali sono state mante-nute in beute da 500 mL chiuse con tampone di garzasterile e cotone idrofobo, poste in una camera termo-statata a 20±1°C, illuminate con lampade a fluorescen-za (3000 lux) ad un fotoperiodo di 16h luce:8h buio.

Allevamento di Artemia parthenogeneticaAdulti di Artemia parthenogenetica prelevati dalle

saline di Cervia sono stati utilizzati per allestire l’alleva-mento nel Laboratorio Ittiologico ARPA-FE.

Gli organismi sono stati mantenuti in vaschette dicm 35x30x5, ciascuna contenente 3 litri di acqua dimare artificiale Instant Ocean® (20±1 °C, salinità 35±1‰, 16h luce:8h buio, assenza di aerazione), alla densitàdi circa 30 individui/litro.

Giornalmente si è provveduto alla pulizia delle va-schette e alla somministrazione di una sospensione diDunaliella tertiolecta in quantità tale da assicurare unadensità di 0,6x105 cell/mL.

Messa a punto delle metodologie di saggioLe metodologie per l’esecuzione dei saggi sono

state messe a punto su Artemia franciscana. Gli stessimetodi sono poi stati applicati nei test con A. parthe-nogenetica.

SAVORELLI et al. - Metodologia di saggio a 14 giorni su Artemia 29

Valutazione dell’idoneità di diverse acque artificialiAllo scopo di identificare un’acqua artificiale idonea

alla sopravvivenza e alla crescita di Artemia francisca-na, sono stati testati 5 diversi tipi di acqua marinaartificiale al 35‰ di salinità:– ASPM: acqua preparata secondo la ricetta riportata

da GUZZELLA (1997), (NaCl 26,4 g/L, KCl 0,84 g/L,CaCl2·H2O 1,67 g/L, MgCl2·6H2O 4,6 g/L,MgSO4·7H2O 5,58 g/L, NaHCO3 0,17 g/L, H3BO30,03 g/L in acqua MilliQ).

– ASW: acqua preparata aggiungendo ad acqua MilliQsoluzioni di sali già pronte, fornite con il kit ARTO-XKIT. I sali sono gli stessi indicati nel punto prece-dente per la preparazione della soluzione ASPM, mala concentrazione nelle soluzioni non è riportata dalladitta produttrice.

– Instant Ocean 1: acqua preparata aggiungendo ad 1litro di acqua MilliQ 35 g della miscela di sali InstantOcean® reperibile in commercio, consigliata ancheda VIGANÒ (1996) per l’esecuzione dei test cronicicon Mysidopsis bahia.

– Instant Ocean 2: acqua preparata aggiungendo ad 1litro di acqua MilliQ 35 g della miscela di sali InstantOcean® e condizionata su filtri biologici per almenouna settimana prima del suo impiego.

– Standard Methods (SM): acqua preparata secondoA.P.H.A., A.W.W.A., W.P.C.F. (1989), sciogliendoin acqua MilliQ i sali indicati in tabella I, risultataidonea per l’esecuzione di saggi a lungo termine conil crostaceo Acartia tonsa (INVIDIA et al., 2004; GORBI

et al., 2006; SAVORELLI et al., 2006).

Tutte le acque sono state aerate per 48 ore, filtratesu filtri a porosità di 0,45µm e conservate al buio a 4°C. Prima dell’uso sono state nuovamente aerate per24 ore.

Cisti (100 mg) di A. franciscana sono state

distribuite in 5 capsule Petri (20 mg per capsula) eattivate utilizzando per l’idratazione 12 mL delle diver-se acque artificiali. Le capsule sono state chiuse, man-tenute per circa un’ora a 25±1°C alla intensità lumino-sa di 3000 lux e successivamente incubate al buio allastessa temperatura. Dopo 24 ore, le capsule sono stateposte al binoculare ed è stata posizionata una fonteluminosa in modo da radunare per fototassia le larveschiuse ed eliminare da ciascuna capsula le cisti e lelarve ancora parzialmente o totalmente incluse nellamembrana. Il contenuto di ogni Petri (acqua e naupli) èstato versato in cristallizzatori (∅ 90 mm) contenenti200 mL della stessa acqua utilizzata per la attivazione ei naupli sono stati alimentati ad libitum con una so-spensione della microalga Dunaliella tertiolecta. Per 7giorni le larve sono state mantenute in cella climatizza-ta (temperatura di 25 ± 1 °C, fotoperiodo 14 h luce:10h buio, intensità luminosa di 1000 lux), senza effettua-re alcun cambio del mezzo; ciò ha consentito di evitarela manipolazione degli organismi durante lo svilupponaupliare, fase ritenuta da VANHAECKE et al. (1980) piùsensibile agli stress rispetto allo stadio di metanauplio.

Successivamente gli organismi sono stati distribuitiin beaker da 100 mL contenenti 50 mL di acqua dimare sintetica (densità: 1 ind/5 mL) e alimentati con D.tertiolecta alla densità di 0,6x105 cell/mL. I beakersono stati trasferiti in cella termostatata alla temperatu-ra di 25 ± 1 °C e mantenuti in queste condizionisperimentali per 17 giorni. Ogni 3 giorni è stato effet-tuato il rinnovo del mezzo trasferendo gli organismi inbeaker contenenti acqua artificiale ed alimento freschi.La sopravvivenza è stata controllata ogni 24 ore me-diante osservazione allo stereomicroscopio. Sono stateconsiderate morte le larve che, anche a seguito distimolazione con uno specillo, non presentavano alcunmovimento. Per ognuna delle 5 acque sono state effet-tuate 4 repliche (10 organismi per replica = 40 organi-smi per ciascun tipo di acqua marina sintetica).

Standardizzazione dell’alimentazioneI saggi di standardizzazione dell’alimentazione han-

no avuto lo scopo di identificare la più bassa densità dialghe capace di assicurare sopravvivenza e sviluppo(in termini di incremento della lunghezza) dell’organi-smo.

Cisti di A. franciscana (20 mg) sono state indottealla schiusa come descritto nel paragrafo precedente.Come acqua di idratazione sono state usate, in paralle-lo, le acque artificiali scelte sulla base dei risultatiottenuti dai saggi sopra descritti. Dopo 24 ore, le larveschiuse sono state trasferite in nuove capsule Petririempite con le diverse acque artificiali e mantenute peraltre 24 ore al buio, alla stessa temperatura. I naupli alII-III stadio, così ottenuti, sono stati trasferiti in be-

Tab. I. Composizione dell’acqua marina artificiale StandardMethods (A.P.H.A., A.W.W.A, W.P.C.F., 1989).

Concentrazione finale g/L

NaF 0,003SrCl2 · 6H2O 0,02H3BO3 0,03KBr 0,1KCl 0,7CaCl2 · 6H2O 2,1896Na2SO4 4,0MgCl2 · 6H2O 10,78NaCl 23,5Na2SiO3 · 5H2O 0,0149Na4EDTA 0,001NaHCO3 0,2

SAVORELLI et al. - Metodologia di saggio a 14 giorni su Artemia30

aker (100 mL) contenenti 50 mL della stessa acquaartificiale utilizzata per l’attivazione delle cisti (densità:1 ind/5 mL), alimentati con D. tertiolecta alle densità di0,25 - 0,5 - 0,75 - 1,0 e 1,25x105 cell/mL e mantenutiin cella climatizzata (25 ± 1 °C, 14 h luce:10 h buio,1000 lux) per 9 giorni. Per ogni densità algale e perciascun tipo di acqua sintetica sono state effettuate 4repliche (10 organismi per replica = 40 organismi pertrattamento).

Per valutare l’accrescimento degli organismi, al-l’inizio della prova è stato sacrificato un campione dinaupli, usando formalina tamponata al 40% (conc.finale 4%), e ciascun individuo è stato misurato allostereomicroscopio dalla sommità anteriore del capoalla base della furca caudale (AMAT DOMENECH, 1980;GODÍNEZ et al., 2004). Dopo 2, 5 e 7 giorni dall’iniziodella sperimentazione è stato effettuato il rinnovo delmezzo e dell’alimento. Ad ogni rinnovo, una replica èstata sacrificata per la misurazione degli organismi. Altermine della prova gli organismi sopravvissuti sonostati contati e misurati.

I dati sono stati analizzati mediante ANOVA e il testdi confronto multiplo di Tukey, utilizzando il pacchettostatistico SPSS. La densità di alghe più idonea è statadefinita sulla base della lunghezza media degli organi-smi dopo 7 e 9 giorni di allevamento.

Test di tossicitàPer la messa a punto delle metodologie di saggio su

Artemia sono state testate due sostanze: Sodio DodecilSolfato (SDS) e il prodotto disperdente Safety SeaCleaner (SSC2).

Per entrambe le sostanze sono stati effettuati test a7 giorni su A. franciscana. Per verificare se un aumen-to del tempo di esposizione potesse comportare unaumento della sensibilità del test, è stato effettuato unsaggio con SDS a 14 giorni con A. franciscana. Il testa 14 giorni con SDS è stato successivamente ripetuto,utilizzando in parallelo A. franciscana e A. parthenoge-netica allo scopo di valutare la sensibilità relativa delledue specie.

La scelta delle concentrazioni da saggiare è statafatta sulla base di risultati ottenuti precedentemente datest acuti su A. franciscana, ipotizzando per le NOECvalori di un ordine di grandezza inferiori rispetto alleLC10 a 24 ore (21,3 mg/L per SDS e 40,6 mg/L perSSC2). In funzione delle serie di concentrazioni dasaggiare, per ogni sostanza sono state preparate solu-zioni madre di 1 g/L in acqua bidistillata, dalle quali, perdiluizione in acqua Instant Ocean 1, sono state ottenu-te le soluzioni per i trattamenti (3,125 - 6,25 - 12,5 - 25mg/L SDS; 2,5 - 5 - 10 - 20 mg/L SSC2).

Per l’alimentazione degli organismi sono state utiliz-zate aliquote opportune di una sospensione della mi-

croalga Dunaliella tertiolecta addizionate al momentodella preparazione delle soluzioni. I test a 7 giorni sonostati effettuati in parallelo a due diverse densità algali:0,75 e 1,0x105 cell/mL; i test a 14 giorni sono statirealizzati con la densità algale più elevata (1,0x105 cell/mL), in considerazione della maggiore durata del sag-gio.

I naupli di A. franciscana al II-III stadio necessariper i saggi sono stati ottenuti ponendo ad idratare, 48ore prima dei test, 20 mg di cisti in acqua marinaartificiale Instant Ocean 1. I naupli sono stati distri-buiti, in modo casuale, in capsule Petri contenentiacqua marina artificiale (controllo) o soluzioni di SDSed SSC2 alle concentrazioni di trattamento. Immedia-tamente dopo sono stati trasferiti in beaker (100 mL)contenenti 50 mL di acqua marina artificiale o dellesoluzioni delle sostanze da saggiare (densità: 1 ind/5mL). I beaker sono stati quindi trasferiti in cella clima-tizzata (25 ± 1 °C, 14 h luce:10 h buio, 1000 lux).

I naupli di A. parthenogenetica sono stati ottenuti daadulti allevati in laboratorio: 48 ore prima dell’inizio deltest, 25-30 individui sessualmente maturi con uova inavanzato stadio di maturazione sono stati selezionatidall’allevamento e trasferiti, a gruppi di 2-3, in cristal-lizzatori contenenti 70 mL di acqua di mare in acquamarina artificiale Instant Ocean e D. tertiolecta adensità elevata (4x105 cell/mL) per favorire l’emissio-ne. I naupli nati nelle 24 ore successive all’isolamentodegli adulti, sono stati prelevati singolarmente, posti incapsule Petri del diametro di 5 cm in acqua marinaartificiale (Instant Ocean) e mantenuti in camera ter-mostatata a 25 ±1°C al buio per altre 24 ore. Immedia-tamente prima dell’inizio del test è stato verificato chei naupli fossero al II - III stadio larvale.

Per ogni trattamento e per il controllo sono stateeffettuate 3 repliche (10 naupli per replica) per i test a7 giorni e a 14 giorni con A. franciscana, 5 replicheper il test a 14 giorni in parallelo con le due specie. Iltest a 7 giorni con SDS è stato ripetuto 3 volte.

Controllo della sopravvivenza e rinnovo del mezzo edell’alimento sono stati effettuati, mediante osserva-zione allo stereomicroscopio, a 48 ore e a 5 giornidall’inizio del test per i saggi a 7 giorni, a 48 h, 5, 7, 9e 12 giorni per i saggi a 14 giorni. Sono state conside-rate morte le larve che, anche a seguito di stimolazionecon uno specillo, non presentavano alcun movimento.Sia per l’allestimento del test che per il rinnovo delmezzo, le soluzioni madre e le soluzioni per i tratta-menti sono state preparate lo stesso giorno dell’utiliz-zo. Al termine dei test, le larve sopravvissute sonostate contate, sacrificate usando formalina tamponataal 40% (conc. finale 4%), e misurate allo stereomicro-scopio. Nel saggio a 14 giorni in parallelo con A.franciscana e A. parthenogenetica, due repliche sono

SAVORELLI et al. - Metodologia di saggio a 14 giorni su Artemia 31

state sacrificate dopo 7 giorni di esposizione e le larvemisurate allo stereomicroscopio.

Come end-point sono stati considerati mortalità eaccrescimento, valutato in termini di lunghezza corpo-rea. NOEC e LOEC sono state definite mediante ANO-VA e test di Dunnett (previa trasformazione in arcsindei dati di mortalità/lunghezza e verifica della omoge-neità delle varianze). Le metodologie descritte sonoriassunte sinteticamente in tabella II.

RISULTATI

Valutazione dell’idoneitàdi diverse acque artificiali

Dopo 7 giorni dal trasferimento delle larve nei be-aker, la mortalità degli organismi nelle acque artificialiASW e Instant Ocean 2 è risultata superiore al 62% eal 32% rispettivamente: il saggio con queste acque è

stato quindi interrotto al settimo giorno (Fig. 1). Congli altri tre tipi di acqua (ASPM, Instant Ocean 1 eSM), la mortalità è risultata nulla fino al 14° giorno e, altermine dell’esperimento, non ha superato il 2,5%(Fig. 1).

Per la fase successiva della sperimentazione sonostate utilizzate soltanto le acque artificiali Instant Oce-an 1 e SM, in base ai dati ottenuti risultate idonee ad unimpiego in test a 14 giorni. Non è stata invece prose-guita la sperimentazione con le acque Instant Ocean 2,ASW e ASPM: Instant Ocean 2 per l’elevata mortalitàrilevata, ASPM e ASW per aver mostrato risultatifortemente discordanti pur avendo composizione qua-litativa identica.

Standardizzazione dell’alimentazioneCon entrambe le acque e a tutti i regimi alimentari

testati, la percentuale di mortalità delle larve di A.

Tab. II. Test a 7 giorni con naupli di Artemia franciscana.

Tipo di test statico con rinnovo periodico (a 48h e al 5° giorno di esposizione)Alimentazione Dunaliella tertiolecta (0,75x105 e 1x105 cell/mL)Aerazione assenteTemperatura 25 ± 1 °CFotoperiodo 14 h luce / 10 h buioAcqua di diluizione artificiale (Instant Ocean®)Salinità 35±1 ‰Densità 1 individuo/5 mLNumero organismi per replica 10Numero repliche 3 per concentrazione e per il controlloNumero organismi per trattamento 30Durata saggio 7 giorniEnd-point mortalità e accrescimento corporeoAccettabilità del saggio mortalità nel controllo ≤20%Statistica per definizione NOEC-LOEC ANOVA, Test di Dunnett

Fig. 1. Sopravvivenza (%) di A. franciscana nelle diverse acque marine artificiali.

Sopr

avvi

venz

a (%

)

SAVORELLI et al. - Metodologia di saggio a 14 giorni su Artemia32

franciscana è risultata compresa tra 10 e il 20%. Valori≤20% possono quindi essere considerati casuali eaccettabili per i gruppi controllo nei test tossicologici.

Gli organismi mantenuti in acqua Instant Ocean 1hanno iniziato a mostrare differenze nell’accrescimen-to dopo 7 giorni di allevamento (Fig. 2): le lunghezzemedie delle larve alimentate con 1 e 1,25x105 cell/mLsono risultate significativamente maggiori (p< 0,05)rispetto a quelle alimentate con la più bassa densitàalgale (0,25 x105 cell/mL). Dopo 9 giorni gli organismialimentati con la densità più alta (1,25x105 cell/mL)hanno mostrato un accrescimento medio significativa-mente più elevato rispetto a quanto osservato alledensità algali di 0,25 e 0,5x105 cell/mL (p<0,01), manon significativamente differente dagli organismi ali-

mentati con 0,75 e 1x105 cell/mL. Questi risultatihanno portato quindi a ritenere insufficienti densità diDunaliella tertiolecta ≤0,5x105 cell/mL.

Gli organismi allevati in acqua SM hanno invecemostrato differenze significative soltanto dopo 9 gior-ni: la lunghezza media delle larve alimentate con ladensità algale più alta (1,25x105 cell/mL) è risultatasignificativamente più elevata (p<0,01) di quella degliorganismi alimentati con 0,25x105 cell/mL (Fig. 3).Non sono state osservate differenze significative tra lelunghezze medie delle larve alimentate con 0,5, 0,75, 1e 1,25 x105 cell/mL.

Al termine dell’esperimento, la lunghezza degli or-ganismi allevati in acqua Instant Ocean 1 è risultatasignificativamente maggiore rispetto a quella degli or-

Fig. 2. Accrescimento di Artemia franciscana mantenuta in acqua artificiale “Instant Ocean 1” e alimentata con l’alga Dunaliella tertiolectaa densità (x105 cells/mL) crescenti.

Fig. 3. Accrescimento di Artemia franciscana mantenuta in acqua artificiale “SM” e alimentata con l’alga Dunaliella tertiolecta a densità(x105 cells/mL) crescenti.

mm

mm

SAVORELLI et al. - Metodologia di saggio a 14 giorni su Artemia 33

Tab. III. Valori di NOEC e LOEC calcolati sulla base della mortalità e della lunghezza (accrescimento) di Artemia franciscana dopo 7giorni di esposizione a SDS e SSC2 in presenza di diverse densità di Dunaliella tertiolecta (0,75 e 1,0x105 cell/mL).

end-point “mortalità” end-point “accrescimento”NOEC(mg/L) *LOEC(mg/L) NOEC(mg/L) *LOEC(mg/L)

SDS (D. tertiolecta: 0,75x105 cell/mL) 6,25 12,5 6,25 12,512,5 25 (>12,5)§

12,5 25 (>12,5)§

SDS (D. tertiolecta: 1,0x105 cell/mL) 12,5 25 n.d. n.d.**12,6 17,8 (>17,8)§

3,125 6,25 n.d. n.d.

SSC2 (D. tertiolecta: 0,75x105 cell/mL) 5 10 5 10

SSC2 (D. tertiolecta: 1x105 cell/mL) 5 10 n.d. n.d.5 10 n.d. n.d.

* p< 0,05** Test eseguito alle concentrazioni 8,91 – 12,6 – 17,8 – 25,1 mg/L.§ massima concentrazione alla quale è stato possibile effettuare misurazioni su organismi sopravvissuti.

ganismi in acqua SM (p<0,05) con l’unica eccezionedi quelli alimentati con 1,0x105 cell/mL.

In base ai risultati ottenuti e considerando che uneccesso di alimento può causare interferenze nei testtossicologici, si è deciso di utilizzare per i test l’acquaartificiale Instant Ocean 1 e di proseguire le provesomministrando alle larve 0,75 e 1x105 cell/mL, cioè lepiù basse concentrazioni di alghe capaci di assicurarela sopravvivenza e un maggiore accrescimento degliorganismi.

Test di tossicità

Test a 7 giorni con A. franciscana con sodio dodecilsolfato (SDS) e con il prodotto disperdente SafetySea Cleaner 2 (SSC2) a due diverse densità algali

In tutti i saggi effettuati la mortalità delle larve nelcontrollo è risultata ≤20%: i test sono quindi staticonsiderati accettabili.

In tabella III sono riportati i valori di NOEC e diLOEC ottenuti sulla base degli end-point mortalità eaccrescimento, valutato in termini di lunghezza corpo-rea raggiunta dopo 7 giorni di esposizione, a duediverse densità di D. tertiolecta: 0,75 e 1,0x105 cell/mL.

Mentre nei saggi con SSC2, NOEC e LOEC sonorisultate rispettivamente 5 e 10 mg/L per tutti i testeffettuati, nei saggi con SDS è stata rilevata una mag-giore variabilità.

Considerando l’end-point “accrescimento”, i valoridi NOEC e di LOEC per entrambe le sostanze sonorisultati, quando definibili, uguali o potenzialmente piùelevati di quelli ricavati dai dati di sopravvivenza. L’end-

point “mortalità”, quindi, è risultato più sensibile del-l’end-point “accrescimento”.

Tuttavia, alle concentrazioni più elevate, la lunghez-za media delle larve era inferiore, seppur non significa-tivamente, rispetto al controllo, risultato che può esse-re indicativo di una riduzione della crescita negli orga-nismi esposti alle sostanze tossiche. La possibilità diutilizzare la riduzione dell’accrescimento come end-point subletale è stata quindi ulteriormente indagataprolungando i tempi di esposizione da 7 a 14 giorni.

Test a 14 giorni con SDSAnche in questo caso i test effettuati sono risultati

accettabili: la mortalità delle larve nel controllo, infatti,non ha superato il 20%.

I valori di NOEC e di LOEC ottenuti utilizzando gliend-point “mortalità” e accrescimento sono indicati intabella IV. Anche nei test a 14 giorni di esposizionel’end-point “mortalità” è risultato più sensibile del-l’end-point “accrescimento”.

Test a 14 giorni con SDS conA. franciscana e A. parthenogenetica

Nei controlli la mortalità delle larve di entrambe lespecie non ha superato il 20%: i test sono stati consi-derati accettabili.

I valori di NOEC e di LOEC ottenuti utilizzandol’end-point “mortalità” sono indicati in tabella V e VI.

Per entrambe le specie, l’end-point “mortalità” èrisultato più sensibile dell’end-point “accrescimento”sia dopo 7 che dopo 14 giorni di esposizione.

A 14 giorni il test con A. franciscana sembra piùsensibile del test con A. parthenogenetica (tabella VI).

SAVORELLI et al. - Metodologia di saggio a 14 giorni su Artemia34

DISCUSSIONE E CONCLUSIONILa metodologia di saggio messa a punto con il

presente lavoro permette di unire un buon grado distandardizzazione (acqua marina artificiale, organismidi età nota, eventualmente ottenuti da stock certificati,alimentazione costante sia qualitativamente che quanti-tativamente) ad una relativa semplicità di realizzazione(utilizzo di cisti reperibili in commercio o di naupliottenuti da organismi partenogenetici facilmente alle-vabili in laboratorio, realizzabilità a domanda, facilerilevazione della risposta utilizzando sia l’end-pointletale che l’end-point subletale considerato).

Consente inoltre di utilizzare lo stesso criterio diaccettabilità del test (sopravvivenza nel controllo ≥80%)sia a 7 che a 14 giorni di esposizione. A 14 giornisembra aumentare la sensibilità del test basato sul-l’end-point letale.

L’end-point subletale considerato (alterazione del-l’accrescimento) non ha dato risultati positivi: riduzio-ni significative della crescita sono state infatti rilevate(e solo in alcuni casi) a concentrazioni di sostanza

tossica che hanno causato un incremento significativodella mortalità, risposta valutabile con maggiore facilitàe rapidità.

Questi risultati sembrano in accordo con quantoosservato da BRIX et al. (2003): secondo gli autori,infatti, la sopravvivenza costituisce l’end-point piùsensibile tra quelli da loro considerati (sopravvivenza,crescita intesa come biomassa degli organismi, e ri-produzione). È tuttavia da segnalare che le condizionisperimentali adottate da Brix e collaboratori differisco-no notevolmente da quelle di questo studio: flussocontinuo, condizioni di temperatura e salinità, specie edensità algale, densità degli organismi.

Si potrebbe quindi riconsiderare l’ipotesi di altripossibili end-point subletali, quali ad esempio il temponecessario al raggiungimento della maturità sessuale,la percentuale di organismi che raggiungono lo stadioadulto e/o la fecondità. L’uso di questi end-point ri-chiederebbe tuttavia tempi di esposizione più prolunga-ti (alle condizioni sperimentali adottate nel presentestudio il tempo necessario per lo sviluppo da nauplio ad

Tab. IV. Valori di NOEC e LOEC calcolati sulla base della mortalità e della lunghezza corporea (accrescimento) di Artemia franciscanadopo 14 giorni di esposizione a SDS (densità di Dunaliella tertiolecta 1x105 cell/mL).

end-point “mortalità” end-point “accrescimento”NOEC *LOEC NOEC *LOEC

SDS (mg/L) 3,125 6,25 (>12,5)§

* p< 0,05§ massima concentrazione alla quale è stato possibile effettuare misurazioni su organismi sopravvissuti.

Tab. V. Valori di NOEC e LOEC calcolati sulla base della mortalità e della lunghezza (accrescimento) degli organismi dopo 7 giorni diesposizione a SDS (densità di Dunaliella tertiolecta 1x105 cell/mL).

end-point “mortalità” end-point “accrescimento”NOEC (mg/L) *LOEC (mg/L) NOEC (mg/L) *LOEC (mg/L)

Artemia franciscana 6,25 12,5 (>12,5)§

Artemia parthenogenetica 6,25 12,5 6,25 12,5

* p< 0,05§ massima concentrazione alla quale è stato possibile effettuare misurazioni su organismi sopravvissuti.

Tab. VI. Valori di NOEC e LOEC calcolati sulla base della mortalità e della lunghezza (accrescimento) degli organismi dopo 14 giorni diesposizione a SDS (densità di Dunaliella tertiolecta 1x105 cell/mL).

end-point “mortalità” end-point “accrescimento”NOEC(mg/L) *LOEC(mg/L) NOEC(mg/L) *LOEC(mg/L)

Artemia franciscana 3,125 6,25 (>6,25)§

Artemia parthenogenetica 6,25 12,5 6,25 12,5

* p< 0,05§ massima concentrazione alla quale è stato possibile effettuare misurazioni su organismi sopravvissuti.

SAVORELLI et al. - Metodologia di saggio a 14 giorni su Artemia 35

adulto è di circa 20 giorni). L’utilizzo di organismi allostadio di metanauplio come materiale di partenza per itest renderebbe possibili tempi di esposizione più brevi.È tuttavia da sottolineare che, mentre l’uso dei naupli(ottenibili in 48 h) permette la realizzazione a domanda,l’uso di metanaupli obbliga all’allestimento di coortialmeno 7 giorni prima del saggio: i test non sarebberoquindi realizzabili a domanda e si avrebbe un notevoleaumento del lavoro necessario per ottenere il “materia-

le biologico”.Considerando end-point relativi all’attività riprodut-

tiva, potrebbe risultare vantaggioso l’uso di A. parthe-nogenetica. Le popolazioni di questa specie partenoge-netica sono infatti costituite soltanto da organismi disesso femminile e la schiusa delle uova non è subordi-nata alla fecondazione. D’altra parte, l’utilizzo di que-sta specie presenta lo svantaggio, rispetto ad A. fran-ciscana, del mantenimento di un allevamento.

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Attendibilità di metodi utilizzati per la determinazione di coliformied Escherichia coli in acque da destinare al consumo umanoElvira Barone1, Luciana Di Pardo1, Antonella Melloni1,Gianluca Chiaretti2, Lucia Bonadonna2*, Annamaria Manuppella1

1 ARPA Molise; Dipartimento Provinciale di Isernia – Via Giovanni Berta, Palazzo Provincia - 86170 Isernia

2 Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento Ambiente e Connessa Prevenzione Primaria, Viale Regina Elena, 299 - 00161 Roma

* Referente per la corrispondenza: fax 0649902390; [email protected]

Pervenuto il 25.1.2006; accettato il 21.2.2006

RiassuntoIl metodo UNI EN ISO 9308-1 per la determinazione dei coliformi e di Escherichia coli nelle acque ha limiti legati alla difficoltà diinterpretazione dei risultati ed alle discrepanze osservate in base alla nuova organizzazione tassonomica della famiglia delle Enterobacte-riaceae. Pertanto, è stato condotto uno studio per la ricerca di coliformi ed E. coli analizzando con metodi diversi, in parallelo, campionidi acqua da destinare al consumo umano. Oltre al metodo UNI EN ISO 9308-1 che prevede l’uso del terreno al Lattosio TTC Tergitol agarsono stati utilizzati i metodi selettivi che comportano l’impiego dei terreni mEndo Agar Les (coliformi) e Chromogenic E. coli Agar. Sonostati analizzati 98 campioni di acqua e percentuali elevate degli isolati, variabili tra l’84% e il 98%, sono state sottoposte a provebiochimiche di conferma. I risultati ottenuti hanno evidenziato che la crescita di flora interferente sul terreno Lattosio TTC Tergitol agarè il più grosso limite del metodo, se considerate, soprattutto, sia le alte percentuali di colonie ossidasi positive sia i falsi negativi rilevatidurante l’indagine. Inoltre, le prove di conferma più tradizionali, soprattutto quella relativa alla produzione di indolo, non sembrano esseresufficienti per discriminare la specie. Risultati diversi ed equiparabili sono stati osservati quando erano presi in considerazione i coliformi.Anche se l’esecuzione di test di conferma aggiuntivi potrebbe sopperire ai limiti del metodo, la procedura comporta comunque difficoltàlegate all’esatta interpretazione dei risultati, ai costi addizionali e all’allungamento dei tempi di risposta delle analisi.

PAROLE CHIAVE: Acqua / Lattosio TTC /metodi analitici / microbiologia / coliformi / E. coli

Coliforms and Escherichia coli in water to be treated for human consumption: assessment of confirmation testsThe UNI EN ISO 9308-1 standard for the enumeration of coliforms and Escherichia coli in water has limits due to difficulty in the readingof results and to discrepancies concerning the recent taxonomy of the Enterobacteriaceae family. Two alternative methods, achromogenic media, the Chromogenic E. coli Agar for E. coli and the more traditional mEndo Agar Les for coliforms, were used in parallelwith the reference standard that uses the substrate Lactose TTC Tergitol Agar. 98 water samples were analyzed and high percentages ofisolates, ranging between 84% and 98%, were subjected to biochemical confirmation tests. Results showed that the presence of disturbingbackground growth is a serious drawback of the UNI EN ISO 9308-1 standard with particular concern to high numbers of false negativeisolates and oxidase positive colonies, these former recovered in the coliforms plates. Furthermore, the use of indole production test is notan adequately specific test for confirmation. The substrate gave equivalents results when compared with the mEndo Agar Les. Additionalconfirmation tests of isolates from Lactose TTC Tergitol agar could help to overcome difficulties associated to interpretation of results.Nevertheless the regular use of the UNI EN ISO 9308-1 method remains uncomfortable because human resources, additional costs andtime for analysis results have to be involved.

KEY WORDS: Analytical methods / Lactose TTC / microbiology / water / coliforms / E. coli

INTRODUZIONEIl gruppo dei coliformi, in cui è compresa la specie

E. coli, fa parte della famiglia delle Enterobacteriaceaeche, ad oggi, include approssimativamente 20 generi,tra cui alcuni patogeni enterici, quali Salmonella, Shi-gella e Yersinia. Sulla base degli studi di tassonomiatradizionale, la conoscenza del gruppo dei coliformi

non ha fatto progressi fino al passato recente; perlungo tempo, infatti, è stata basata su criteri definitinella prima metà del ’900 (BREED e NORTON, 1937;PARR, 1939). Solo negli anni più recenti lo sviluppo dipiù moderni metodi di identificazione (genetico-mole-colari, principalmente) ha radicalmente trasformato la

BARONE et al. - Confronto di test per la conferma di coliformi ed E. coli38

loro classificazione, distinguendo e aumentando il nu-mero di specie che, ora circa 60, sono state inquadratein sottoinsiemi sulla base di caratteristiche biochimicheed immunologiche (LECLERC, 1990).

Oggi, in accordo con il nuovo ordinamento tasso-nomico, è riconosciuto che tutte le specie di coliformisono β-galattosidasi positive, ed E. coli, indicatoreprimario di contaminazione fecale, è anche β-glucuro-nidasi positivo. Inoltre, è stato anche accertato cheuna percentuale relativamente elevata di coliformi e diE. coli non è in grado né di fermentare il lattosio né diprodurre gas. Inoltre, E. coli può essere indolo negati-vo e non in grado di crescere alla temperatura di 44°C(GAVINI et al., 1985).

I nuovi criteri tassonomici di classificazione deicoliformi hanno avuto, come conseguenza, importantiripercussioni anche sui metodi messi a punto per laloro ricerca e per la loro conferma ed identificazione.L’evoluzione e l’approfondimento degli studi nel cam-po della microbiologia ambientale hanno inoltre dimo-strato l’inadeguatezza e i limiti delle procedure analiti-che tradizionali anche in relazione al tempo che inter-corre tra l’esecuzione dell’analisi e l’ottenimento delrisultato che, con i metodi classici, può raggiungere,nel complesso, le 72 ore.

Pertanto, a partire da alcuni anni, sulla base delnuovo sistema di classificazione, sono stati messi apunto metodi cosiddetti “rapidi”, che non richiedonoprove di conferma degli isolati, per la determinazionedi coliformi e di E. coli nelle acque e negli alimenti(MANAFI, 1996; BONADONNA, 2003). Utilizzano infattisubstrati modificati con l’aggiunta di composti cromo-fori o fluorogeni che vengono idrolizzati dagli specificienzimi, la β-D–galattosidasi e la β-D–glucuronidasi,rispettivamente. Taluni di questi metodi, alcuni deiquali normati a livello internazionale (ISO) ed altririconosciuti da enti di standardizzazione (AOAC, EPA),stanno trovando ampia applicazione nei laboratori cheeffettuano i controlli di qualità, anche perché sono difacile manualità e meno esposti ad interpretazioni sog-gettive e ad errori dell’operatore.

Uno dei metodi tradizionali per la ricerca di E. coli edei coliformi nelle acque è previsto dalla norma UNIEN ISO 9308-1 (UNI EN ISO 9308-1, 2001) Il meto-do, basato sulla tecnica della filtrazione su membrana,utilizza un terreno colturale elaborato nel 1947 (CHAP-MAN, 1947) che sfrutta l’usuale principio della fermen-tazione del lattosio, reazione prodotta, comunque, nonsolo dai microrganismi appartenenti al gruppo dei coli-formi, ma anche da una molteplicità di altri microrga-nismi rilevabili nelle acque. Il metodo mostra limitiimputabili a scarsa selettività del substrato per crescitadi batteri interferenti e non appartenenti alle speciericercate, impossibilità di distinguere, in base alla mor-

fologia delle colonie e alla temperatura, E. coli daicoliformi, obbligatorietà di procedere a prove di con-ferma tradizionali delle colonie sospette, con conse-guente aumento dei costi e dei tempi di risposta delleanalisi e, non ultimo, difficoltà di interpretazione deirisultati. Dubbi e riserve sull’opportunità di utilizzare ilmetodo UNI EN ISO 9308-1 per la ricerca di coliformied Escherichia coli sono stati avanzati da molti labora-tori che operano nel settore dei controlli della qualitàdelle acque. Per la verifica sia delle eventuali difficoltàlegate all’uso routinario del metodo sia dell’apparte-nenza al gruppo dei coliformi dei singoli microrganismiisolati sulla base delle tipiche caratteristiche morfologi-che/cromatiche, è stata quindi effettuata una valutazio-ne comparativa tra prove analitiche per la conferma deimicrorganismi ricercati. Pertanto, scopo del presentelavoro è stato quello di verificare le risposte degliisolati, cresciuti sui diversi terreni colturali utilizzati, asingole prove di conferma tradizionali e non tradiziona-li, anche in considerazione delle nuove acquisizioniscientifiche che hanno interessato la famiglia delleEnterobacteriaceae a cui coliformi ed Escherichia coliappartengono. Per la ricerca dei coliformi sono statiutilizzati, come metodi di isolamento primario, la pro-cedura descritta in UNI EN ISO 9308-1 che prevedel’uso del terreno Lattosio TTC Tergitol agar e il meto-do che usa il terreno mEndo Agar Les, terreno tradi-zionale, ampiamente sperimentato per la determinazio-ne del parametro. Per il rilevamento di Escherichia coliè stato impiegato, oltre al metodo UNI EN ISO 9308-1, il metodo che prevede l’esecuzione delle analisi conil terreno Chromogenic E. coli Agar, substrato di piùrecente formulazione contenente un cromogeno.

MATERIALI E METODISono stati raccolti ed analizzati campioni di acqua

da destinare al consumo umano che presentavanoconcentrazioni variabili tra 5–20 UFC/100 mL per E.coli e tra 10–30 UFC/100 mL per i coliformi. È statoquindi selezionato un totale di 98 campioni, di cui 51analizzati per la determinazione di E. coli e 47 perquella dei coliformi a 37°C.

Procedura per la determinazione di E. coliL’analisi è stata svolta in parallelo utilizzando il

metodo UNI EN ISO 9308-1 al Lattosio TTC Tergitolagar (Tergitolo TTC) (Oxoid) e il metodo che prevedel’uso del Chromogenic E. coli Agar (EcX Gluc) (Bio-life). Le procedure analitiche sono state applicate se-condo le specifiche tecniche (UNI EN ISO 9308-1,2001; APAT, 2003). Per ogni campione, sono statefiltrate due aliquote di identico volume (100 mL) attra-verso membrane filtranti sterili di acetato di cellulosa(porosità nominale di 0,45 µm); l’incubazione per

BARONE et al. - Confronto di test per la conferma di coliformi ed E. coli 39

entrambi i terreni è stata eseguita per 22±2 ore a36°C±1 nonostante che, sul terreno EcX Gluc, latemperatura di incubazione prevista dal metodo stan-dard sia 44°C. Scopo della modifica era quello diuniformare le temperature dei due metodi messi aconfronto ma, soprattutto, di evitare di sottoporre lecellule del microrganismo ricercato ad ulteriore stress,termico in questo caso, considerando che il terreno èaltamente selettivo, contenente sali biliari e con attivitàdifferenziale esplicata dal cromogeno X-GLUC (5-bromo-4-cloro-3 indolil β-D-glucuronide).

Sul terreno al Tergitolo TTC sono state contate lecolonie di colore giallo e giallo-arancio che presentava-no colorazione gialla sul retro del terreno, mentre sulterreno EcX Gluc sono state contate le colonie dicolore blu-verde.

Tutte le colonie sono state considerate come E.coli-presuntive e sono state saggiate per la loro termo-tolleranza (crescita a 44°C), l’assenza dell’enzima ci-tocromossidasi (OX), la fermentazione del lattosio, laproduzione di indolo, l’idrolisi del cromogeno 4-metil-umbelliferil-β-D-glucuronide (MUG). Pertanto, unapercentuale elevata di colonie cresciute su ciascunodei due terreni è stata sottoposta a prove di confermacome di seguito descritto. In primo luogo si è proce-duto all’isolamento degli isolati su Brain Heart InfusionAgar (Biolife); dopo incubazione per 24 ore a 36°C±1,è stato effettuato il test della citocromossidasi con kitdel commercio (Oxoid); le colonie ossidasi negativesono state seminate su Mac Conkey Agar (Oxoid) edincubate per 24 ore a 44°C±1. Gli stipiti lattosio fer-mentanti (colorazione rosata delle colonie) sono statiseminati su Brodo Lauryl Pepto Bios addizionato conMUG (Biolife) ed incubati per 24 ore a 44°C±1. Sullebrodocolture risultate positive per l’idrolisi del MUG èstata effettuata la prova della produzione di indoloaggiungendo alcune gocce di reattivo di Kovac’s (Mer-ck). In questo caso, sono state considerate positive lebrodocolture che hanno mostrato la produzione di unanello rosso superficiale.

Inoltre, alcuni degli isolati ossidasi negativi sonostati identificati con il Sistema Vitek (Biomerièux).

Procedura per la determinazione dei ColiformiL’analisi è stata svolta in parallelo utilizzando il

metodo UNI EN ISO 9308-1 al Lattosio TTC Tergitolagar (Tergitolo TTC) (Oxoid) e il metodo che prevedel’uso dell’mEndo Agar Les (mEndo Les) (Oxoid). Leprocedure analitiche sono state applicate secondo lespecifiche tecniche (UNI EN ISO 9308-1, 2001; APAT,2003.). Per ogni campione, sono state filtrate duealiquote di identico volume (100 mL) attraverso mem-brane filtranti sterili di acetato di cellulosa (porositànominale di 0,45 µm); l’incubazione per entrambi i

terreni è stata eseguita per 22±2 ore a 36°C±1.Sul terreno al Tergitolo TTC sono state contate le

colonie di colore giallo e giallo-arancio che presentava-no colorazione gialla sul retro del terreno, mentre sulterreno mEndo Les sono state contate le colonie dicolore rosso con sfumature metalliche.

Anche in questo caso tutte le colonie sono stateconsiderate come coliformi presuntivi e la loro confer-ma è stata effettuata sulla base delle loro caratteristi-che: assenza dell’enzima citocromossidasi (OX), ca-pacità di fermentare il lattosio e di idrolizzare l’o-nitrofenil-β-D-galattopiranoside (ONPG). Dopo isola-mento degli stipiti su Brain Heart Infusion Agar (Bioli-fe) e incubazione per 24 ore a 36°C±1, è stato effet-tuato il test della citocromossidasi con kit del commer-cio (Oxoid). Le colonie ossidasi negative sono stateseminate su Mac Conkey Agar (Oxoid) ed incubateper 24 ore a 36°C ±1. Sulle colonie lattosio positive èstata effettuata la prova dell’idrolisi dell’o-nitrofenil-β-D-galattopiranoside (ONPG) (Microsafe). A tal fine,ciascuna colonia da saggiare è stata stemperata insoluzione salina (0,8% NaCl) e alla sospensione è statoaggiunto un dischetto di carta bibula imbibito dellasoluzione di ONPG. La sospensione è stata incubataper 2 ore a 36°C±1. In questo caso, lo sviluppo di unacolorazione gialla confermava la presenza di coliformi.

Analisi statisticaL’elaborazione dei dati è stata eseguita con il pro-

gramma statistico SPSS v 11.0.

RISULTATI

Confronto di metodi per Escherichia coliDall’analisi dei 51 campioni analizzati con il terreno

Tergitolo TTC sono state contate 656 colonie conmorfologia tipica. Di queste, 596 (91%) sono statesottoposte alle prove biochimiche di conferma, mentredai corrispondenti campioni analizzati con il terrenoEcX Gluc sono state contate 400 colonie tipiche, di cuiil 98% (392) è stato sottoposto a conferma.

In tabella I è riportato il numero di E. coli presuntiviisolati con ciascun metodo e sottoposti al test dellacitocromossidasi e della crescita a 44°C. Allo scree-ning iniziale, l’8% (da Tergitolo TTC) e il 3% (da EcXGluc) delle colonie sottoposte a conferma, anche secon caratteristiche morfologiche tipiche su ciascunodei due terreni, sono risultati positivi alla prova dellacitocromossidasi o negativi alla crescita a 44°C.

Le rimanenti colonie, ossidasi negative, hanno for-nito risultati diversi in funzione del terreno di isolamen-to da cui derivavano e delle caratteristiche biochimicheconsiderate. In tabella II sono riportati i risultati otte-nuti dalle conferme delle colonie di E. coli presuntive e

BARONE et al. - Confronto di test per la conferma di coliformi ed E. coli40

ossidasi negative, raggruppando, appaiate, le caratteri-stiche per la fermentazione del lattosio (LAC)/idrolisidel 4-metil-umbelliferil-β-D-glucuronide (MUG) e perla produzione di indolo (IND)/idrolisi del 4-metil-um-belliferil-β-D-glucuronide (MUG). Il calcolo del χ2,elaborato sulla base della differenza tra le percentualimedie dei batteri confermati, ha dimostrato l’esistenzadi una differenza statisticamente significativa dei datiottenuti con i due metodi messi a confronto (p<0,01),quando considerati appaiati il test della produzione diindolo e quello per l’idrolisi del MUG. I dati appaiatirelativi alla fermentazione del lattosio/idrolisi del MUGpresentavano invece percentuali pressoché simili pergli isolati da entrambi i terreni selettivi, se considerati iceppi lattosio-non fermentanti; diverse apparivano lepercentuali di conferma quando erano presi in consi-derazione i ceppi β–glucuronidasi.

In tabella III sono riportati l’elenco delle specieidentificate e le risposte ai singoli test di conferma degliisolati selezionati tra gli isolati E. coli presuntivi e

cresciuti con i metodi al Tergitolo TTC e all’EcXGluc. I risultati ottenuti, nonostante il basso numero diidentificati, evidenziano che su entrambi i terreni pos-sono crescere colonie appartenenti a specie diverse daquella ricercata. Appare soprattutto interessante il datorelativo allo sviluppo di ceppi di E. coli falsi negativi seconsiderati i test della fermentazione del lattosio e dellaproduzione di indolo. Inoltre, risulta possibile la cresci-ta, anche in questo caso su entrambi i terreni, di ceppifalsi positivi, identificati come Klebsiella oxytoca, mi-crorganismo in grado di produrre indolo come E. coli.

Identificando due gruppi di dati sulla base del calco-lo della mediana (CAVALLI SFORZA, 1992), è stata cal-colata la percentuale di conferma degli isolati in funzio-ne dell’effetto dell’affollamento delle colonie cresciutesu ciascun terreno. I due gruppi selezionati dal terrenoTergitolo TTC, il primo considerando un numero dicolonie comprese nella classe 1÷12 UFC (“membranapoco affollata”) e il secondo con un numero di colonieda 13 a >18 UFC (“membrana molto affollata”), hanno

Tab. I. Numero di E. coli presuntivi isolati con ciascun metodo e sottoposti al test della citocromossidasi e della crescita a 44°C.

Metodo N° colonie N° colonie presuntive mancata crescita a 44°C Colonie OX positivepresuntive isolate sottoposte a conferma N° (%) N° (%)

ISO 9308-1 (Tergitolo TTC) 656 596 41 (7) 6 (1)EcX Guc 400 392 4 (1) 6 (2)N° Totale 1056 988 45 (5) 12 (1)

OX= citocromossidasi

Tab. II. Risultati ottenuti dalle conferme delle colonie di E. coli presuntive, ossidasi negative, raggruppando, appaiate, le caratteristicheper la fermentazione del lattosio (LAC)/idrolisi del 4-metil-umbelliferil-β-D-glucuronide (MUG) e per la produzione di indolo (IND)/idrolisi del 4-metil-umbelliferil-β-D-glucuronide (MUG). La percentuale è calcolata sul numero totale di E. coli presuntivi sottoposti aconferma.

Metodo LAC / MUG IND / MUG+/+ (%) +/- (%) -/+ (%) -/- (%) N° +/+ (%) +/- (%) -/+ (%) -/- (%) N°

ISO 9308-1(Tergitolo TTC) 328 (55) 194 (33) 27 (5) 0 549 305 (51) 84 (14) 50 (8) 110 (18) 549EcX Gluc 322 (82) 52 (13) 8 (2) 0 382 322 (82) 25 (6) 31 (8) 4 (1) 382N° Totale 650 (62) 246 (23) 35 (3) 0 931 627 (59) 109 (10) 81 (7) 114 (11) 931

+ = positivo; - = negativo

Tab. III. Numero e specie di microrganismi identificati, selezionati tra gli isolati E. coli presuntivi e cresciuti con i metodi al Tergitolo TTCe all’EcX Gluc con le rispettive risposte ai singoli test di conferma.

Fermentazione Produzione Idrolisi Specie N° isolati con metodo N° isolati con metodoLattosio Indolo MUG identificate Tergitolo TTC EcX Gluc

+ - + Escherichia coli 5 4- + - Escherichia coli 2 1- + + Escherichia fergusonii 2+ + - Klebsiella oxytoca 5- + + Klebsiella oxytoca 1 2

Totale identificati 15 7

+ = positivo; - = negativo

BARONE et al. - Confronto di test per la conferma di coliformi ed E. coli 41

fornito risposte diverse in relazione al numero di colo-nie presenti. Infatti, la percentuale media di isolaticonfermati è risultata pari a 56%, quando consideratele membrane poco affollate, e a 47% per gli isolati damembrane molto affollate; una differenza statistica-mente significativa tra i valori ottenuti è stata calcolatacon il t-Test (p=0,01). Diversamente, per il terrenoEcX Gluc, i due gruppi selezionati, il primo con unnumero di colonie comprese tra 1 e 8 UFC e il secondocon un numero tra 9 e >14 UFC, la differenza calcolatacon il t-Test tra le percentuali medie di isolati confer-mati (77% e 88%, rispettivamente) non ha fornitodifferenze significative tra il numero degli isolati con-fermati cresciuti su membrane “poco affollate” e “moltoaffollate”.

Confronto dei metodi per i coliformiDall’analisi dei 47 campioni analizzati con il terreno

al Tergitolo TTC, un totale di 657 colonie ha mostratomorfologia tipica (colore giallo-arancio con colorazio-ne gialla sul retro). Di queste, 562 (86%) sono statesottoposte alle prove biochimiche di conferma. Daglistessi campioni analizzati con il terreno mEndo Lessono stati contati un totale di 726 isolati, 612 dei quali(84%) sono stati sottoposti alle stesse prove di confer-ma (Tab. IV). Elevato è risultato il numero di colonieossidasi positive rilevate su entrambi i terreni. Infatti, il40% delle colonie isolate sul terreno al Tergitolo TTC eil 31% di quelle isolate sull’mEndo Les erano ossidasipositive, e quindi non appartenevano al gruppo deglimicrorganismi ricercati, nonostante la rispondenza dellaloro morfologia a quella considerata tipica dei coliformi.

Anche in questo caso, identificando due gruppi didati sulla base del calcolo della mediana (CAVALLI SFOR-ZA, 1992), è stata calcolata la percentuale di confermadegli isolati in funzione dell’effetto dell’affollamentodelle colonie cresciute su ciascun terreno. I due gruppiselezionati dal terreno Tergitolo TTC, il primo conside-rando un numero di colonie comprese nell’intervallo1÷13 UFC (“membrana poco affollata”) e il secondocon un numero di colonie da 14 a >30 UFC (“membrana

molto affollata”), hanno fornito risposte diverse in rela-zione al numero di colonie presenti. Infatti, la percentua-le media di isolati confermati è risultata pari a 45%,quando considerate le membrane poco affollate e a 66%per gli isolati da membrane molto affollate; una differen-za statisticamente significativa tra i valori ottenuti è statacalcolata con il t-Test (p=0,01). Analogamente, per ilterreno mEndo Les, i due gruppi selezionati, il primocon un numero di colonie comprese tra 1 e 15 UFC e ilsecondo con un numero tra 16 e >29 UFC, la differenzacalcolata con il t-Test tra le percentuali medie di isolaticonfermati (72% e 52%, rispettivamente) ha fornitodifferenze significative ( p=0,01) tra il numero degliisolati confermati cresciuti su membrane “poco affolla-te” e “molto affollate”.

DISCUSSIONE E CONCLUSIONIL’adeguamento a nuove procedure analitiche com-

porta, di norma, iniziali difficoltà operative. Questopotrebbe essere il caso del metodo UNI EN ISO 9308-1 per la determinazione di coliformi ed E. coli nelleacque. Tuttavia, la complessità del metodo, dovutanon solo alla necessità di procedere allo svolgimento diprove di conferma per tutti gli isolati, ma anche alledifficoltà di lettura dei risultati, da interpretare conattenzione e competenza, a cui si aggiungono i tempilunghi per l’ottenimento degli esiti definitivi dell’analisi,dovrebbe far considerare la necessità di utilizzare me-todi più idonei e rapidi nelle risposte.

Nelle specifiche condizioni di analisi e per i campio-ni di acqua sottoposti ad esame, è emersa la scarsaselettività del metodo di riferimento che ha permesso lacrescita di un’ampia varietà di batteri interferenti ingrado di svilupparsi, presumibilmente, grazie sia allacomposizione del substrato di crescita, sia alla tempe-ratura di incubazione non selettiva (37°C). A dimostra-re questo aspetto è soprattutto l’alta percentuale diisolati ossidasi positivi rilevati nei campioni analizzatiper i coliformi (40% di quelli sottoposti a conferma).Anche sul terreno colturale più tradizionale per il rile-vamento dei coliformi, l’mEndo Les, la percentuale di

Tab. IV. Coliformi presuntivi isolati con il metodo Tergitolo TTC e con il metodo mEndo Les, suddivisi in base alle risposte ottenute dalleprove di conferma.

Terreno N° colonie N° colonie % colonie Test di confermaisolate sottoposte sottoposte Fermentazione Idrolisi Enzima N°

a conferma a conferma Lattosio ONPG OX colonie %

Tergitolo TTC 657 562 86 + + - 338 (60)+ 224 (40)

mEndo Les 726 612 84 + + - 421 (69)+ 191 (31)

Totale 1383 1174 85

Enzima OX = citocromossidasi; + = positivo; - = negativo

BARONE et al. - Confronto di test per la conferma di coliformi ed E. coli42

ossidasi positivi è risultata molto elevata (31%).Dal confronto dei metodi utilizzati per la determina-

zione di E. coli, sembrerebbe possibile ipotizzare che idue terreni colturali siano in grado di sostenere lacrescita di frazioni di popolazioni microbiche, almenoin parte, dissimili. Infatti, considerando che ogni cam-pione è analizzato in parallelo con i due metodi, appareche, tra gli isolati confermati, il metodo UNI EN ISO9308-1 sia stato in grado di rilevare un numero inferio-re di organismi capaci di idrolizzare il MUG (60%),contro il terreno EcX Gluc su cui il 90% dei microrga-nismi cresciuti e confermati si caratterizzava per posi-tività a questa prova. D’altra parte, percentuali diversedi confermati sono state calcolate se si osservano imicrorganismi risultati indolo negativi (falsi negativi sebasati solo sul test di conferma tradizionale): il 27% e il50% di E. coli rilevati sul Tergitolo TTC e sul EcXGluc, rispettivamente, manifestavano questa caratteri-stica. Risultati, invece, abbastanza simili sono staticalcolati quando veniva preso in considerazione il testdella fermentazione del lattosio: all’88% di positiviconfermati per il metodo al Tergitolo TTC corrispon-deva il 95% di confermati sul terreno cromogeno.

I risultati ottenuti dalle identificazioni delle coloniehanno messo in evidenza che la crescita di microrgani-smi falsi positivi e falsi negativi può verificarsi su tuttee due i terreni utilizzati per il rilevamento di E. coli.Sembra, infatti, che i test più tradizionali (fermentazio-ne del lattosio e produzione di indolo) possano fornirerisposte che rendono difficile l’interpretazione finaledei risultati. In questo caso, d’altra parte, è noto cheKlebsiella oxytoca è in grado di produrre indolo comela specie E. coli e alcuni suoi stipiti possono esserepositivi all’idrolisi del MUG (ALONSO et al., 1999).

Altra considerazione che emerge dallo studio riguar-da l’influenza della numerosità delle colonie rilevatesulle membrane poste sui diversi terreni utilizzati, ri-spetto alla percentuale di isolati confermati. Il calcolodel t-Test ha permesso di mettere in evidenza l’esisten-za di una differenza significativa dei dati, quando con-siderati i terreni Tergitolo TTC (per entrambi i parame-tri) ed mEndo Les. In questi casi, maggiore è statol’“affollamento” di colonie presenti sulle membrane,minore è risultato il numero di colonie confermate.Diversamente, per quanto riguarda il terreno EcX Gluc,la numerosità delle colonie, nell’ambito dei valori con-siderati, non sembra influire sul numero di isolati con-fermati.

In conclusione, il metodo UNI EN ISO 9308-1 si èdimostrato poco selettivo, come dimostrato anche daaltri autori (SCHETS et al., 2002); inoltre, le prove diconferma più tradizionali, soprattutto quella relativaalla produzione di indolo, non sembra siano sufficientiper discriminare la specie E. coli. L’esecuzione diprove addizionali, quali quella relativa all’idrolisi delMUG, potrebbe permettere una più facile ed esattainterpretazione degli esiti delle analisi. Tuttavia, in baseai risultati ottenuti, appare evidente che l’impiego delterreno al Tergitolo TTC per la determinazione di E.coli e coliformi nelle acque abbia diversi limiti: il meto-do comporta un maggiore utilizzo di risorse umane eeconomiche per lo svolgimento delle conferme biochi-miche delle colonie isolate e ciò rende il suo utilizzosvantaggioso anche in termini di tempo per l’otteni-mento dei risultati delle analisi.RingraziamentiGli autori ringraziano Claudia Cataldo per l’attività svolta inambito bibliografico.

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Biologia Ambientale, 21 (1): 43-60, 2007

Indice Ittico - I.I.

Gilberto Forneris1, Fabrizio Merati2, Massimo Pascale3, Gian Carlo Perosino3*

1. Dipartimento di Produzioni Animali, Epidemiologia ed Ecologia dell’Università di Torino (Grugliasco - TO).

2. S.I.L. - Studio Idrobiologico Lombardo (Gaggiano - Milano)

3. CREST - Centro Ricerche in Ecologia e Scienze del Territorio (Torino).

* Referente per la corrispondenza: fax 011 3299165; e-mail [email protected]

Pervenuto il 26.9.2006; accettato il 30.12.2006

RiassuntoL’Indice Ittico (I.I.) è una metodologia di valutazione dello stato delle comunità ittiche proposto nel 2003 per la porzione occidentale delbacino del Po (Nord/Ovest Italia). Successivamente, sulla base di ulteriori esperienze, sono state introdotte alcune modifiche che hannoconsentito l’elaborazione di un nuovo e più aggiornato metodo applicabile nei distretti zoo-geografici padano-veneto e tosco-laziale (Italiasettentrionale e centrale), ponendo particolare attenzione alle indicazioni della Direttiva europea 2000/60/CE. Sulla base di criterigeografico-ambientali e degli areali di distribuzione originari delle specie autoctone, sono state individuate e descritte sei porzioni diterritorio omogenee (aree e sub-aree) e quattro tipologie ambientali (zone ittiche). Per ciascuna area e subarea e per ciascuna tipologiaambientale, sono state individuate le comunità ittiche di riferimento. L’I.I. si ottiene con una procedura che tiene conto dell’insieme dellespecie che costituiscono la comunità ittica, dell’abbondanza e della struttura delle loro popolazioni e del loro stato di conservazione. Insintesi l’I.I. fornisce un valore che sintetizza il confronto tra la comunità ittica di riferimento “attesa” in un determinato tratto fluviale equella effettivamente riscontrata mediante apposito campionamento.

PAROLE CHIAVE: valore naturalistico delle specie ittiche / stato della comunità ittica

Ichthyological Index - I.I.The Ichthyological Index (I.I.) is a method, that we suggested in 2003, to evaluate the fish communities condition in the west share of thePo river basin (North-West Italy). On the strength of other experiences, we introduced some changes that allow the elaboration of a new,updated method, applicable to the districts of the North-Middle Italy, especially important for the attention to the clues of the EuropeanUnion Directive 2000/60/CE. We defined and described six omogeneous territories (area and sub-area) and four environmental typologies(ichthyological zones), going by environmental and geographical criterions and by the original distribution of native fish species. Forevery area and sub-area, such as for every environment typologies, one reference fish community has been established. The Ichthyolo-gical Index (I.I.) can be obtained with a procedure that considers all the species of the fish community, the abundance and the structureof their population and their state of preservation. Therefore the I.I. gives a value that summarizes the comparison between the referencefish community, “predicted” in a certain part of the river, and the fish community that really lives there, detected in a specific sampling.

KEY WORDS: naturalistic value of fish species / fish community condition

INTRODUZIONELa Direttiva europea 2000/60/CE, all’art. 1, pone,

come scopo, la protezione ed il miglioramento degliecosistemi acquatici e prevede, nell’allegato V, l’analisidei corsi d’acqua con rilievi dello stato delle cenosiacquatiche ed, in particolare, dei macroinvertebratibentonici, della fauna ittica e della flora. Viene ricono-sciuto che i fiumi vanno studiati in tutte le loro compo-nenti e, come anticipato dal D. Lgs. 130/1992 (e

confermato dai D. Lgs. 152/1999 e D. Lgs. 152/2006), la fauna ittica è una componente fondamentale,condizionata dalla qualità delle acque, dal regime idro-logico, dalle condizioni morfo-idrauliche degli alvei edelle fasce fluviali, ecc. L’analisi delle comunità ittichepuò contribuire alla descrizione dello stato dei fiumi,ma sorgono problemi di varia natura, difficilmenterisolvibili, come provato dal fatto che, nonostante la

FORNERIS et al. - Indice Ittico - I.I.44

particolare attenzione su questo argomento, non esi-stono ancora metodi collaudati ed affermati per lavalutazione dello stato dei corsi d’acqua basati sull’it-tiofauna. In Italia, l’unico esempio di metodologiaarticolata ed interessante da approfondire, è quello(ISECI) proposto da ZERUNIAN (2004a, 2005).

L’Indice Ittico (I.I.) esprime una valutazione dellaqualità naturalistica relativa alla comunità ittica chepopola un corso d’acqua, senza la pretesa di fornireespressamente indicazioni sulla qualità dell’ecosistemafluviale, anche se risultano evidenti le connessioni tralo stato dell’ambiente acquatico e quello delle comunitàittiche.

L’I.I. si applica alle acque correnti naturali perma-nenti, comprese quelle prevalentemente alimentate dasorgenti e risorgive. Sono escluse le acque stagnanti(laghi, stagni e paludi, naturali ed artificiali) e quelle ditransizione (tra bacini marini ed aree emerse, qualiquelle lagunari, palustri, deltizie, di estuario…), confauna ittica costituita anche o solo da specie eurialinemigratrici facoltative, lagunari ed estuariali e/o a diver-sa ecologia intraspecifica. Sono inoltre escluse le por-zioni di territorio italiano esterne ai distretti zoogeogra-fici padano-veneto e tosco-laziale, in quanto caratteriz-zate da comunità ittiche composte da poche specieautoctone e con incerte presenze e distribuzioni (Fig.1).

In sintesi, l’Indice Ittico:1. limita gli obiettivi a quanto concretamente possibile;

la qualificazione naturalistica di una comunità itticarappresenta comunque un obiettivo importante, utilesoprattutto per la tutela e la gestione;

2. accetta il principio per cui la fauna ittica di molti corsid’acqua delle zone alpine superiori e dell’alto Appen-nino non sempre è adatta per fornire indicazioni sullaqualità ambientale in senso lato;

3. accetta il principio per cui i corsi d’acqua di cui alpunto precedente sono, sotto il profilo ittiofaunistico,poco interessanti, in quanto naturalmente popolati danessuna o da poche specie, le quali formano popola-zioni più abbondanti e meglio strutturate verso valle;la presenza di pesci quali le trote esotiche è un fattoreindicativo di scarsa qualità faunistica, in quantodefinibile come una forma di inquinamento;

4. rinuncia ad enfatizzare la correlazione tra stato dellacomunità ittica e qualità ambientale; solo per gliambienti tipici delle porzioni a valle delle zone asalmonidi (o miste) e per le zone a ciprinidi, l’I.I.,oltre a fornire un valore sulla qualità naturalistica dellecomunità ittiche, esprime, seppure con cautela emediante il confronto con i risultati di altre analisi,valutazioni “anche” sulla qualità ambientale.La metodologia descritta nel seguito fa riferimento

alle prime proposte di FORNERIS et al. (2005a-b, 2006a)

che hanno collaudato l’I.I. nell’ambito di diversi studi,tra i quali:– “Studi e ricerche finalizzate alla definizione di linee

di gestione delle risorse idriche dei bacini idrografi-ci... tributari del fiume Po...” della PROVINCIA DI

TORINO (2000).– Riorganizzazione funzionale dell’insieme di dati di-

sponibili per la Provincia di Torino di BADINO et al.(2002).

– Studio sulla “gestione delle risorse idriche dell’altobacino del Po” (C.R.E.S.T., 1999).

– “Carta Ittica della Provincia di Alessandria” (FOR-NERIS e PASCALE, 2003 e 2005).

– Analisi delle “acque correnti superficiali naturali delreticolo idrografico del territorio della ComunitàMontana Valcuvia” (C.R.E.S.T., 2003) nel bacinodel Boesio, tributario del lago Maggiore (Varese).

– “Progetto speciale 2.5. Azioni per la predisposizionedi una normativa riguardante il minimo deflussovitale negli alvei” (Autorità Di Bacino del Fiume Po- HYDRODATA, 1999).

– Progetto Interreg IIIA - Aqua; alti bacini del Pesio edel Gesso (CN), del Chisone (TO) e fiume Po dalMonviso alla confluenza con la Dora Baltea (PASCALE

et al., 2005).– Applicazione dell’I.I. per le stazioni di campiona-

mento considerate nell’ambito della “Carta Itticadella Provincia di Massa Carrara” (1998), “CartaIttica dell’Emilia Romagna” (2002, 2006a-b), inparte anche nell’ambito di quelle delle Province diTreviso (1994) e di Padova (1995). Sperimentazionein fase di attuazione nell’ambito della “Carta Itticadella Provincia di Lucca” (in prep.) e con appositicampionamenti di prova nel Friuli.Soprattutto merita citare l’applicazione del metodo

sulle 201 stazioni della rete di monitoraggio sul reticoloidrografico piemontese nell’ambito del PTA ai sensidel D. Lgs. 152/99 (REGIONE PIEMONTE, 2002, 2006).Per quelle stazioni sono disponibili i risultati ottenutidalle analisi fisico-chimiche (LIM) e biologiche (IBE)relativi al biennio 2001/2002, utilizzati per la classifica-zione di qualità dei corpi idrici (D.G.R. 14-11519 del19/01/2004) e che hanno permesso di effettuare utiliconfronti con i valori ottenuti dall’applicazione dell’I.I.(FORNERIS et al., 2006b).

Allo scopo di facilitare l’illustrazione del metodo, siriporta l’elenco dei simboli utilizzati.AU. Specie autoctona, se presente nel suo areale didistribuzione originario.AUr. Specie AU utile per la determinazione delle co-munità ittiche di riferimento.A0. Specie ai margini del suo areale di distribuzioneoriginario, soprattutto nelle situazioni di incertezza;oppure tipica dell’area e/o subarea, ma in zona adia-

FORNERIS et al. - Indice Ittico - I.I. 45

cente a quelle più specificatamente adatte a quellastessa specie.AL. Specie alloctona, presente fuori dal suo areale didistribuzione originario.AD. Valore assegnato alla specie in funzione del-l’estensione del suo areale di distribuzione originario inEuropa e in Italia (1÷3).ST. Valore assegnato alla specie in base allo stato nelsuo areale di distribuzione originario (1÷3).V. Valore intrinseco della specie: V=AD·ST (1÷9) perle specie AU e V = -1 per le specie AL.Dpv. Distretto padano-veneto.Dtl. Distretto tosco-laziale.Z. Nell’ambito del Distretto padano-veneto (Dpv): area

e/o subarea omogenea, in funzione delle caratteristichefisiogeografiche e della distribuzione delle popolazionidelle diverse specie ittiche. Il distretto tosco-laziale(Dtl) costituisce una sola area.Z1. Area di pertinenza alpina nel distretto padano-veneto (Dpv).Z1.1. Subarea di pertinenza alpina occidentale sul ver-sante padano.Z1.2. Subarea di pertinenza alpina centrale sul versantepadano.Z1.3. Subarea di pertinenza alpina orientale sul versan-te dell’alto Adriatico.Z2. Area di pertinenza appenninica.Z2.1. Subarea di pertinenza appenninica sul versante

Fig. 1. Distretti padano-veneto (Dpv) e tosco-laziale (Dtl) per i quali è valido l’Indice Ittico (I.I.) e loro suddivisione in aree e sub-areeomogenee (Z) in funzione delle caratteristiche ambientali fisiogeografiche dei reticoli idrografici superficiali naturali e delle comunitàittiche di riferimento. Sono esclusi gli ambienti ad acque stagnanti (laghi, stagni, paludi… naturali ed artificiali) e quelli di transizione (ailimiti tra bacini marini ed aree emerse, quali quelli lagunari, palustri, deltizi, di estuario…) la cui fauna ittica è costituita anche o solo daspecie eurialine migratrici facoltative, lagunari ed estuariali e/o a diversa ecologia intraspecifica. Risultano alcuni dubbi (?) circa l’appartenenzadel bacino del Magra al Dtl (BIANCO, 1987).

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padano.Z2.2. Subarea di pertinenza appenninica sul versanteadriatico.Z3. Distretto tosco-laziale (Dtl).Tp. Tipologia ambiente (zona ittica).A. Tipologia ambientale ⇒ zona alpina. Unicamentenell’area Z1.S. Tipologia ambientale ⇒ zona salmonicola.M. Tipologia ambientale ⇒ zona mista.C. Tipologia ambientale ⇒ zona ciprinicola.Ia. Indice di abbondanza relativa alla specie rilevata inoccasione di un campionamento; valore indicativo delnumero di individui catturati (1÷4) e della struttura dipopolazione: “a” (strutturata), “b” (destrutturata conassenza di adulti), “c” (destrutturata con assenza digiovani).Ir. Indice di rappresentatività relativo alla specie rile-vata in occasione di un campionamento; Ir = 1 per Ia =1; Ir = 1,5 per Ia = 2-3 con strutture di popolazione“b” o “c”; Ir = 2 per Ia = 2-3 con strutture dipopolazione “a” e per Ia = 4 (per qualunque struttura dipopolazione).P. Punteggio relativo alla specie rilevata in occasione diun campionamento; esso vale P = V·Ir, positivo (1÷18)per le specie AU, nullo per le specie A0 e negativo (-1/-2) per le specie AL.I.I. Valore dell’Indice Ittico: somma dei punteggi (P)relativi alle specie rinvenute in un campionamento.CQ. Classe di qualità della comunità ittica in funzionedell’I.I. e della composizione della comunità ittica diriferimento caratteristica dell’area e subarea e dellatipologia ambientale.

VALORE NATURALISTICODELLE SPECIE ITTICHE

Ogni specie possiede un intrinseco valore naturali-stico, in quanto rappresenta la storia geo-biologicaevolutiva di una porzione del territorio o area geografi-ca. Esso può essere quantificato (Tab. I), in funzionedei seguenti criteri generali:1. relazione con gli altri elementi ambientali;2. consistenza delle popolazioni nel loro areale di distri-

buzione;3. autoctonia/status endemico (anche valore storico-

culturale);4. distribuzione geografica.

Il valore naturalistico della trota marmorata, peresempio, è elevato: è un pesce adatto ai torrenti alpini,le attuali popolazioni sono meno rappresentate nei fiu-mi rispetto al passato, è un animale autoctono ed è unendemismo del settore padano-veneto. Al contrario, ilvalore del persico sole è nullo (o negativo): non è inequilibrio con l’ambiente, è infestante e tende all’espan-sione ai danni di altre specie, è esotico e distribuito

(artificialmente) su un ampio territorio.I criteri succitati sono sintetizzati dai seguenti fattori

(Tab. II):Fattore AD - areale di distribuzione della specie;

esso è tanto più elevato quanto meno esteso è l’areale;le alterazioni ambientali riducono la consistenza dellepopolazioni in aree ridotte con gravi rischi di estinzio-ne; la loro tutela è strategica ai fini del mantenimentodella biodiversità. I valori “AD” attribuiti alle singolespecie sono espressi sulla base dell’esame dei relativiareali di distribuzione originari secondo quanto illustra-to da diversi Autori (BRUNO, 1987; DELMASTRO, 1982;FORNERIS, 1989; FORNERIS et al., 1990; GANDOLFI etal., 1991; GRIMALDI, 1980; GRIMALDI e MANZONI, 1990;LADIGES e VOGT, 1965; MARIANI, 1988; MARIANI eBIANCHI, 1991; MUUS e DAHLSTRÖM, 1970; TORTONESE,1970, 1975; VOSTRADOVSKY, 1975; ZERUNIAN, 2002,2004b.). Le carte degli areali di distribuzione dellespecie sono scaricabili dal sito www.crestsnc.it.

Fattore ST - stato della specie; considera la consi-stenza delle popolazioni delle specie nei loro areali didistribuzioni originari.

Per ogni specie autoctona (AU) si ottiene quindi unvalore intrinseco (V) dato dal prodotto V = AD·ST.Le tabelle I e III riportano i valori (V) per le singolespecie ittiche. Per quelle alloctone (AL), presenti fuoridei loro areali di distribuzione originari, il valore ènegativo (V = -1). Per le specie rispetto alle quali sinutrono dubbi (A0), in quanto ai margini dei loro arealidi distribuzione originari, soprattutto nelle situazioni diincertezza, oppure caratteristiche dell’ambito geogra-fico in esame, ma in tipologie ambientali (zone ittiche)adiacenti a quelle più specificatamente adatte, vale V =0 (per esempio scardola in zona ittica a salmonidi).

DESCRIZIONE DELLE AREE OMOGENEEIl territorio italiano centro-settentrionale è diviso in

distretti (BIANCO, 1987, 1996), aree e sub-aree omoge-nee sulla base di criteri fisiogeografici e zoogeografici(Fig. 1 e Tab. IV). Di seguito vengono descritte leprincipali caratteristiche ambientali di tali aree e leragioni che hanno portato alla loro identificazione.

Dpv (Distretto padano-veneto). Tributari dell’altoe medio Adriatico; in Italia dal Po fino all’Isonzo(compresi Adige, Brenta, Piave, Tagliamento...), estre-ma porzione occidentale della Slovenia e la penisolaistriana per l’alto Adriatico; in Italia dal Reno al Voma-no (compresi Savio, Marecchia, Metauro, Esino, Mu-sone, Potenza, Tronto...) e in Croazia verso Sud finoal Krka sul medio Adriatico. Comprende l’intero baci-no del Po nella fase di massima regressione marina inperiodo glaciale (COLANTONI et al., 1984), esteso finoal margine della fossa meso-adriatica (con limite meri-dionale costituito dal Vomano sulla sponda italiana e

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Tab. I. Lista delle specie ittiche autoctone (AU) dei distretti padano-veneto (Dpv) e tosco-laziale (Dtl) quando presenti nei loro arealidi distribuzione originari. Le specie stenoaline dulcicole ed eurialine migratrici obbligate non comprese in questa lista sono consideratealloctone (AL). Valore intrinseco delle specie (V = AD·ST). Fattori AD (estensione dell’areale originario di distribuzione) ed ST (statodella specie). Sistematica secondo GANDOLFI et al. (1991) e ZERUNIAN (2002, 2004b).

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Tab. III. Elenco delle 36 specie ittiche autoctone (AU) italianedella tabella II ordinate secondo i loro valori intrinseci V.

Tab. IV. Suddivisione dei distretti Padano-veneto (Dpv) e tosco-laziale (Dtl) in aree e subaree omogenee, individuate in base acriteri fisio-geografici dei reticoli idrografici naturali e dellecomunità ittiche di riferimento.

Z1 (area di pertinenza alpina) - Fiume Po dalleorigini fino alla sezione di confluenza con il Panaro(delta escluso), tributari di sinistra, tributari di destradalle origini alla sezione di confluenza con il Ricchiardo(escluso). Fiume Tanaro a monte della sezione diconfluenza con il Ridone (escluso) presso Alba (CN),suoi tributari di sinistra a monte di detta confluenza esuoi tributari di destra dalle origini al bacino del Rea(compreso). Intero reticolo idrografico del triveneto.La maggior parte dei bacini presenta, sulle testate,fasce altimetriche superiori al limite climatico dellozero termico medio annuo, talora anche superiori allimite climatico delle nevi persistenti, con presenze diisole glaciali. Regimi pluviometrici con massimi nellestagioni intermedie (primavera ed autunno), con mini-mo principale invernale e secondario estivo; afflussimeteorici medi annui generalmente crescenti versoEst. La tipologia di regime idrologico prevalente è ilnivopluviale, ma sono frequenti anche i regimi pluvialiverso la pianura; nelle testate dei bacini più elevatirisultano regimi nivoglaciali, talora verso valle fino allapianura (es. Dora Baltea e Adige). La portata specificadi magra normale è superiore a 2 L/s·km2, anche moltopiù elevata, fino a superare 10 L/s·km2.

Z1.1 (subarea di pertinenza alpina occidentalesul versante padano). Fiume Po dalle origini fino allasezione di confluenza con lo Scrivia, tributari di destra

dal Krka su quella croata) secondo quanto risultatodallo studio di De Marchi (in DAL PIAZ, 1967) delleisobate dell’alto e medio Adriatico.

Tab. II. Fattori AD (Areale di Distribuzione originario della specie)ed ST (Stato della specie nel suo areale di distrbuzione originario).

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dalle origini a monte della sezione di confluenza con ilRicchiardo (escluso). Fiume Tanaro a monte dellasezione di confluenza con il Ridone (escluso) pressoAlba (CN), suoi tributari di sinistra a monte di dettaconfluenza e suoi tributari di destra dalle origini albacino del Rea (compreso). Regimi pluviometrici conmassimi nelle stagioni intermedie, spesso con quelloprimaverile prevalente sull’autunnale o più o menoequivalenti nelle aree montane più elevate nella porzio-ne occidentale, in Valle d’Aosta e nel medio e altobacino del Sesia; minimo invernale decisamente infe-riore a quello secondario estivo.

Z1.2 (subarea di pertinenza alpina centrale sulversante padano). Fiume Po dalla sezione di con-fluenza con lo Scrivia a quella di confluenza con ilPanaro e tutti i bacini tributari di sinistra, prevalente-mente in territorio lombardo. Regimi pluviometrici conmassimi nelle stagioni intermedie, più o meno equiva-lenti o leggermente superiore quello autunnale. Nellearee montane più elevate risulta una certa influenza delregime continentale, tipico dell’Europa centrale e conmassimi di precipitazioni in estate; pertanto i regimiidrometrici, soprattutto quelli alimentati da bacini chesi estendono più a Nord, presentano minimi secondariestivi leggermente più cospicui. Fascia pedemontanamaggiormente estesa rispetto alle sub-aree adiacenti,con passaggi più graduali tra le zone ittiche. Presenzasignificativa, nella transizione tra fascia pedemontana epianura, dei più importanti laghi terminali Sud-alpini(Maggiore, Como, Garda,…), capaci di esercitare unevidente volano idrologico dei principali fiumi dellaLombardia (Ticino, Adda, Oglio, Mincio,…). Impor-tante presenza di risorgive.

Z1.3 (subarea di pertinenza alpina orientale sulversante adriatico). Bacini ad oriente del Mincio(Garda), fino all’Isonzo (compreso), tributari dell’altoAdriatico (a Nord del delta del Po). Regimi pluviome-trici con massimi nelle stagioni intermedie, con quelloautunnale prevalente; minimo principale nell’inverno,ma meno pronunciato rispetto a quanto accade per leporzioni centrale e occidentale della Z1; anche il mini-mo estivo presenta precipitazioni più abbondanti perl’influenza del regime continentale tipico dell’Europacentro-orientale. Gli spartiacque delle testate dei prin-cipali bacini si sviluppano su fasce altimetriche menoelevate, ma i limiti climatici altimetrici sono leggermen-te inferiori per l’influenza, soprattutto nella stagionefredda, delle correnti dall’anticilone euro-siberiano.Presenza rilevante di litotipi calcarei nella cerchia alpi-na e pedemontana; buona parte dei regimi idrologici,seppure classificabili nei tipi caratteristici della Z1,sono influenzati dalla circolazione sotterranea carsica.Di una certa importanza è infine la presenza di risorgi-ve, seppure in misura minore rispetto alla Z1.2.

Z2 (area di pertinenza appennica). Tributari didestra del fiume Po a valle della sezione di confluenzacon il Ricchiardo (incluso) fino alla confluenza con ilbacino del Panaro (incluso). Fiume Tanaro a valle dellasezione di confluenza con il Ridone (incluso) pressoAlba (CN), suoi tributari di sinistra a valle di dettaconfluenza e suoi tributari di destra a valle del bacinodel Rea (escluso). Dal bacino del Reno (tributariodell’Adriatico a Sud del Po) compresi i suoi affluenti didestra (Idice, Sillaro, Santerno, Senio...) verso Sudfino a quello del Vomano (compreso) nella porzionemeridionale della Provincia di Teramo (Marche).

Z2.1 (area di pertinenza appenninica sul ver-sante padano). Tributari di destra del fiume Po a valledella sezione di confluenza con il Ricchiardo (incluso)fino alla confluenza con il bacino del Panaro (incluso).Fiume Tanaro a valle della sezione di confluenza con ilRidone (incluso) presso Alba (CN), suoi tributari disinistra a valle di detta confluenza e suoi tributari didestra a valle del bacino del Rea (escluso). Bacino delReno (tributario dell’alto Adriatico a Sud del Po) com-presi i suoi affluenti di destra (Idice, Sillaro, Santerno,Senio...). Lo spartiacque appenninico tosco-emilianosegna il confine che separa la Z2 a Nord dal distrettotosco-laziale a Sud. Gli apici su tale spartiacque pre-sentano altitudini decrescenti verso Est, da quote su-periori a 2.200 m a valori intorno ai 1.500 m s.l.m.Regimi pluviometrici con massimi nelle stagioni inter-medie, più o meno equivalenti o con leggera prevalenzaprimaverile o autunnale; minimo estivo ridotto rispettoa quello secondario invernale (al contrario di quantoaccade in Z1). I regimi idrologici sono tipicamente ditipo pluviale. La coincidenza tra i minimi pluviometriciprincipali con i massimi dei regimi termici determinaportate di magra estiva piuttosto pronunciate, convalori specifici inferiori a 2 L/s·km2 e, seppure rara-mente, anche inferiori a 1,5 L/s·km2. Nelle testate deibacini principali, presso i culmini dello spartiacqueappenninico, possono risultare regimi idrologici nivo-pluviali (o di transizione con il pluviale), con portate dimagra (quasi sempre estive, raramente anche inverna-li) significativamente superiori, ma con valori specificiinferiori a 5 L/s·km2. I regimi idrologici presentano unavariabilità (rapporto tra i valori medi mensili massimo eminimo) più spiccata rispetto a quella in Z1. Litotipi diorigine sedimentaria ben rappresentati; ciò comporta,in occasione di forti precipitazioni, un più facile intor-bidimento delle acque (trasporto solido pelitico) rispet-to a quanto accade in Z1 (con più estese formazionicristalline e metamorfiche).

Z2.2 (area di pertinenza appenninica sulversante adriatico). Tributari del medio Adriatico, aSud del Reno, dal bacino del Lamone (compreso) aquello del Vomano (compreso) nella porzione meridio-

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nale della Provincia di Teramo (Marche).Dtl/Z3 (Distretto tosco-laziale). Tributari dell’alto

e medio Tirreno, dal bacino del Magra a quello delTevere. Comprende gli importanti bacini dell’Arno edel Tevere; dubbi circa l’appartenenza a questo di-stretto del bacino del Magra nel levante ligure (BIANCO,1987)

La aree Z2.2 e Z3 sono entrambe alimentate dairilievi dell’Appennino e conviene descriverle parallela-mente per meglio mettere in evidenza differenze edanalogie, anche rispetto al Sud Italia.

Mentre il bacino del Magra (Vara) presenta un’alti-tudine massima di oltre 2.000 m e quello del Serchio(Z3) di quasi 2.200 m, il culmine dello spartiacquedella testata Nord del più grande bacino dell’Arnorisulta significativamente inferiore (1.657 m s.l.m.). IlTevere presenta il bacino di più grande estensioneareale in Italia dopo quello del Po (quasi 17.000 km2),ma una bassa altitudine mediana (poco più di 500 ms.l.m.); in effetti solo una porzione modesta di tale areapresenta culmini elevati oltre i 2.000 m, con 2.487 mquello massimo nel bacino del Velino, affluente disinistra del Tevere, nell’area del massiccio del GranSasso (2.920 m s.l.m.). Questi rilievi segnano lo spar-tiacque tra i due versanti dell’Appennino e lo stessoGran Sasso (con le montagne circostanti) alimenta ibacini impostati sull’opposto versante (Vomano, Pe-scara e Sangro), caratterizzati quindi dalle fasce alti-metriche più elevate rispetto ai bacini che si affaccianosull’Adriatico. Verso Sud, su entrambi i versanti, rara-mente le altitudini massime raggiungono i 2.000 ms.l.m.; pochi esempi sono nel massiccio del Pollino,sul versante ionico.

Lo spartiacque appenninico non divide l’Italia cen-tro-meridionale in modo simmetrico, ma è spostato adoriente. Ciò comporta superfici dei bacini del versantetirrenico decisamente superiori a quelli del versanteadriatico che, tra l’altro, presentano un reticolo idro-grafico più ripido verso il mare, con maggiore sovrap-posizione delle tipologie ambientali fluviali. L’entità deideflussi, a parità degli altri fattori edafici, è natural-mente condizionata dalle superfici dei bacini; pertanto ifiumi del versante tirrenico presentano generalmenteregimi idrologici caratterizzati da una minore variabilitàe con portate più abbondanti verso valle. Tipici esempisono il Tevere e l’Arno; in Italia troviamo il bacino delPo con 70.091 km2 (a Pontelagoscuro), seguito dalTevere (16.545 km2 a Ripetta), dall’Adige (11.954 km2

a Boara Pisani) e dall’Arno (8.186 km2 a S. Giovannialla Vena), rispettivamente al secondo ed al quartoposto nella classifica dei più grandi bacini in Italia, mamerita segnalare anche il Volturno (5.558 km2 a Can-cello Arnone; al settimo posto della stessa graduatoriadopo il Tanaro ed Ticino) ed il Sele (3.235 km2 ad

Albanella; all’undicesimo posto dopo l’Adda, Reno eDora Baltea). Sul versante adriatico solo il Pescara(3.125 km2 a S. Teresa) e l’Ofanto (2.716 km2 a Samue-le di Cafiero) sono alimentati da bacini di dimensionisignificative, comunque inferiori a quelle dei bacini suc-citati per il versante tirrenico. Pertanto, sotto questoprofilo, il distretto tosco-laziale è un’area che si distin-gue in modo evidente rispetto al versante Adriatico.

Diversamente dalle aree Z1 e Z2.1, caratterizzate daregimi pluviometrici medi con due massimi nelle sta-gioni intermedie e due minimi interposti, quelli dell’Ita-lia centro-meridionale presentano un solo minimo esti-vo ed un solo massimo. Il primo (generalmente piùbasso rispetto alla padania) si verifica quasi sempre inluglio e tende a valori man mano inferiori verso Sud,mantenendosi comunque superiore a 20 mm alle bassealtitudini fino al Molise, Nord-Campania, Gargano, perdiminuire rapidamente fino a valori decisamente scar-si, anche meno di 10 mm in Calabria e nel leccese. Ilmassimo è tardo-autunnale (ma con piogge che per-mangono relativamente elevate nei mesi successivi) inToscana, Marche, Umbria ma, procedendo verso Sud,si sposta man mano nell’inverno (dicembre e gennaio).Il rapporto tra massimo e minimo tende ad aumentareverso il meridione; mentre a Firenze il rapporto tra ivalori di 114 mm di ottobre e di 23 mm di luglio è paria 4,9 e ad Ancona è 3,6 (101 mm di ottobre e 28 mm diluglio), si passa a 9,6 di Napoli (125 mm di novembree 13 mm di luglio), a 6,1 di Bari (115 mm di novembree 19 mm di luglio) e addirittura a 20 a Reggio Calabria(96 mm di novembre ed appena 5 mm di luglio). Nellearee montane gli afflussi meteorici medi annui sonopoco superiori a quelli delle fasce altimetriche inferiori,con minimi estivi meno pronunciati e valori di luglioraramente inferiori a 30 mm. Non risulta una particola-re distribuzione delle precipitazioni annue che permettadi distinguere i due versanti dell’Appennino o in fun-zione della latitudine; piuttosto risulta un minimo (in-torno a 600 ÷ 800 mm) nella Puglia e nella Basilicataorientale che si distingue abbastanza nettamente rispet-to all’Italia centro-meridionale.

I regimi idrologici dei corsi d’acqua alimentati daiversanti appenninici sono quasi tutti spiccatamentepluviali e con andamento che risente direttamente deiregimi pluviometrici sopra descritti. Risultano portatecospicue tardo-autunnali e invernali e portate medieestive decisamente inferiori. Le scarse piogge dellastagione più calda, unitamente ai cospicui processievapotraspirativi, determinano portate di magra moltoscarse, con valori specifici quasi sempre inferiori a 1 ÷1,5 L/s·km2 ed ancor meno. Questi aspetti, verso Sud,si fanno sempre più pronunciati; nell’inverno i fiumidiventano impetuosi e con forti carichi detritici, men-tre in estate si trasformano in “rigagnoli” d’acqua ed in

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alvei che si asciugano in diversi tratti, situazioni chepossono rendere difficile il mantenimento di comunitàittiche. Sul versante adriatico il Biferno presenta giàcaratteri di fiumara, seppure limitatamente (l’altitudinemassima supera, di poco, i 2.000 m s.l.m.). Verso Sudil fenomeno si accentua, anche per lo scarso effetto divolano idrologico per l’assenza di fasce altimetricheelevate (altitudini massime di 1.150 m s.l.m. per ilFortore e 1.493 m s.l.m. per l’Ofanto) e bacini diestensioni relativamente limitate. Le fiumare più tipichesono sul versante ionico, ma i loro effetti sono parzial-mente limitati dalle fasce altimetriche leggermente piùelevate che caratterizzano i culmini del Pollino. Sulversante tirrenico le fiumare caratterizzano soprattuttola Calabria. Sulle testate dei bacini della porzione occi-dentale dell’Appennino tosco-emiliano (Serchio sul ver-sante tirrenico) e sui rilievi del Gran Sasso (Velino sulversante tirrenico e Vomano, Pescara, Sangro… suquello adriatico) possono risultare regimi di tipo nivo-pluviale (o di transizione con quello pluviale).

DESCRIZIONE DELLETIPOLOGIE AMBIENTALI

La Direttiva 2000/60/CE prevede che gli Stati mem-bri individuino i corpi idrici superficiali e ne effettuinouna caratterizzazione iniziale attraverso un metodo ascelta tra due sistemi (punto 1.2.1. dell’Allegato II), dicui quello indicato con “B” è più complesso ed artico-lato e forse più adatto per il territorio italiano; essoprevede due gruppi di fattori.

Fattori obbligatori - altitudine, latitudine e longitu-dine, litologia e dimensioni.

Fattori opzionali - distanza dalla sorgente del fiu-me, energia di flusso, larghezza, profondità e pendenzamedia del corpo idrico, forma e configurazione dell’al-veo principale, categoria in funzione della portata delfiume, configurazione della valle, trasporto solido, ca-pacità di neutralizzazione degli acidi, composizionemedia del sub-strato, temperatura media dell’aria eprecipitazioni.

Sono espressioni generiche che necessitano di ap-profondimento ai fini dell’individuazione di criteri appli-cativi per la distinzione delle tipologie ambientali (o zoneittiche) che sono le seguenti: Alpina (A), Salmonicola(S), Mista (M) e Ciprinicola (C). I fattori obbligatori edalcuni opzionali, fra quelli meno complessi e più adattiper il territorio italiano, sono stati attentamente esamina-ti; ciò ha permesso individuare criteri di applicazione perl’individuazione delle tipologie ambientali nel seguitodescritte (per un eventuale approfondimento si rimandaal sito www.crestsnc.it). Occorre precisare che la clas-sificazione delle tipologie spesso non permette distinzio-ni nette e precise; si tratta infatti di esaminare insiemicomplessi di fattori fisici e biologici che spesso tendono

a sfuggire rispetto a rigide schematizzazioni. Rimaneperciò sempre fondamentale l’esperienza degli ittiologinell’interpretare le condizioni ambientali generali osser-vabili in fase di campionamento.

A (zona alpina - temperature massime estive <10 °C).Corsi d’acqua dell’area di pertinenza alpina (Z1)

posti sulle testate dei principali bacini, generalmentecon superfici sottese inferiori a 100 km2 o affluenti deicorsi d’acqua delle principali vallate alpine. Regimeidrologico nivoglaciale o nivopluviale (a seconda delleestensioni delle fasce altimetriche prossime o superiorial limite climatico delle nevi persistenti), raramenteanche pluviale. La portata di magra normale è inverna-le, con valori specifici raramente inferiori a 4 L/s·km2.Torrenti di alta montagna e porzioni superiori e media-ne degli affluenti dei corpi idrici principali delle mag-giori vallate alpine, caratterizzati da elevate pendenze(10 ÷ 20 %, ma anche superiori al 30 %), con granulo-metria degli alvei costituita da ghiaia grossolana, massie roccia in posto; netta prevalenza dell’erosione suiprocessi sedimentari. Possono appartenere a questacategoria torrenti della fascia prealpina o di alta collina,con altitudine massima del bacino sotteso compresatra i limiti climatici dello zero termico medio di gennaioe dello zero termico medio del trimestre invernale, suversanti acclivi e con elevata copertura vegetale ingrado di garantire una buona ombreggiatura che limitail riscaldamento estivo delle acque. I valori medi annuiassoluti delle portate idriche sono limitati, per le ridottedimensioni dei bacini sottesi, a 2 ÷ 3 m3/s e con portatedi magra intorno a poche centinaia di L/s, ma anchedecisamente minori. Le portate sono ridotte a qualcheL/s per i più piccoli torrenti, alimentati da versanticollinari e pedemontani con minori potenzialità idricheche, nelle fasi di magra più pronunciata, garantisconoappena la presenza dell’acqua. Ambienti in condizionilimite per la sopravvivenza di fauna acquatica: acquenaturalmente torbide e molto fredde anche in estate peri torrenti alimentati da nevai e ghiacci, pendenze taloramolto elevate costituenti ambiti invalicabili per gli spo-stamenti longitudinali dei pesci, forti variazioni di por-tata. La comunità ittica naturale (attesa) è povera dispecie o costituita da salmonidi accompagnati dalloscazzone; oppure assente, anche in mancanza di alte-razioni, soprattutto nei più piccoli torrenti alle piùelevate altitudini, fortemente limitati dalle condizioniclimatiche o in corsi d’acqua minori caratterizzati danotevoli pendenze e da salti invalicabili per i pesci. Lapresenza di comunità ittiche potrebbe essere conse-guenza di immissioni. In qualche caso potrebberorisultare presenti, con popolazioni esigue, altre speciedi accompagnamento (es. vairone), spesso in ambientidi dubbia classificazione in zona A.

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S (zona salmonicola - temperature massime estive 10÷ 15 °C).

Corsi d’acqua dell’area di pertinenza alpina (Z1)generalmente con superfici dei bacini sottesi superioria 100 km2, costituenti i corpi idrici principali delleporzioni mediana e terminale delle vallate alpine finoanche allo sbocco in pianura e dei tratti terminali deiloro più importanti affluenti. Il regime idrologico ènivoglaciale o nivopluviale o di transizione con quellopluviale, quasi mai francamente pluviale. La portata dimagra normale è invernale, con valori specifici rara-mente inferiori a 4 L/s·km2. Alvei con pendenza nel-l’intervallo 5 ÷ 15 % (anche fino al 25 %), ma difficil-mente sono riscontrabili salti invalicabili per l’ittiofau-na. La granulometria prevalente è grossolana, accom-pagnata da massi, più raramente con roccia in posto,mentre compaiono alcuni banchi di ghiaia fine. I bacinisottesi presentano una buona porzione di fasce altime-triche elevate, con climi rigidi; i processi evapotraspi-rativi sono modesti e ciò, con l’incremento delle preci-pitazioni che solitamente caratterizza le zone montuo-se, comporta maggiori potenzialità idriche. Si hannobuone portate, con valori medi annui che comunquedifficilmente superano i 20 m3/s, mentre le portate dimagra raramente scendono sotto i 300 L/s. Nellamaggior parte dei casi sono i tratti fluviali posti a valledelle zone alpine (A), ma l’individuazione dell’ambitodi passaggio tra le due zone può risultare poco agevole.Solitamente la zona S sottende bacini con fasce altime-triche superiori al limite climatico dello zero termicomedio del trimestre invernale. Se queste sono pocoestese (ma almeno costituenti il 25 % circa del bacino)il limite superiore della S, in assenza di salti naturaliinvalicabili per l’ittiofauna, potrebbe estendersi anchead altitudini significativamente superiori a 1.000 m,relegando decisamente la zona A alle testate dei bacini.Con ampie superfici superiori al limite climatico dellozero termico medio annuo e soprattutto quando l’alti-tudine massima del bacino è superiore al limite climati-co delle nevi persistenti, il limite della zona S potrebbescendere di alcune centinaia di metri. Tale fenomenorisulta evidente nei corsi d’acqua con regime nivogla-ciale (es. Dora Baltea, Alto Sesia, Toce, Adige…).Ambienti generalmente più produttivi e con una faunaittica più diversificata rispetto alla precedente tipologia.

Corsi d’acqua dell’area di pertinenza appenninica(Z2 e Z3) sulle testate dei principali bacini, general-mente con superfici dei bacini sottesi inferiori a 100km2, con regime idrologico di transizione tra il pluvialeed il nivopluviale, assai raramente di tipo francamentenivopluviale quando le altitudini massime sono prossi-me al limite climatico dello zero termico medio deltrimestre invernale. Possono costituire ambienti classi-ficabili in zona S, seppure caratterizzati da regimi

idrologici francamente pluviali, anche i tratti fluvialiimmediatamente a valle di alcuni dei suddetti corpiidrici principali, quindi con superfici dei bacini sottesisuperiori a 100 km2 (compresi i loro affluenti), quandoimpostati su versanti acclivi e ben ombreggiati per labuona copertura forestale, comunque generalmente aquote superiori al limite dello zero termico medio digennaio, raramente fino a 400 ÷ 500 m s.l.m. Nei corsid’acqua principali gli alvei sono interessati prevalente-mente da erosione, con pendenze intorno al 5 ÷ 10 %,con dominanza di ghiaia grossolana e media, accom-pagnata da massi e talora da roccia in posto. Gliaffluenti hanno pendenze più accentuate (fino al 10 ÷20 %), esercitano una forte erosione ed hanno alveicaratterizzati da materiale grossolano, fino a frequentimassi e roccia in posto. Le portate medie annue rara-mente superano i 2 ÷ 3 m3/s, con minime annueinvernali di poche decine di L/s in corrispondenza deitratti spiccatamente montani e minime annue estiveverso valle di poco superiori e caratterizzate da contri-buti di 2 ÷ 3 L/s·km2. Ambienti con forti limiti ambien-tali, quali un’ampia variabilità del regime idrologico escarse potenzialità idriche dei bacini sottesi in fase dimagra. Ciò comporta una scarsa diversificazione bio-logica. La comunità ittica può risultare anche assente,soprattutto nei più piccoli torrenti alle più elevate altitu-dini, caratterizzati da notevoli pendenze e da salti inva-licabili; in tali situazioni la presenza di comunità ittichepotrebbe essere conseguenza di immissioni, soprattut-to con trote fario.

M (zona mista - temperature massime estive 15÷20 °C).Corsi d’acqua dell’area di pertinenza alpina (Z1)

generalmente con superfici dei bacini imbriferi sottesisuperiori a 300 ÷ 400 km2, costituenti i corpi idriciprincipali significativamente a valle dello sbocco dellevallate alpine in pianura. Il regime idrologico è nivoplu-viale, raramente nivoglaciale o di transizione con quellopluviale, quasi mai francamente pluviale. Portata dimagra normale invernale, con valori specifici raramen-te inferiori a 4 L/s·km2. Alvei con pendenze nell’inter-vallo 3 ÷ 6 %, con assenza di salti naturali invalicabiliper l’ittiofauna. Granulometria prevalente costituita daghiaia, soprattutto media ed in minor parte grossolana,da rari massi, e roccia in posto assente, insieme a vastibanchi di ghiaia fine e di sabbia, raramente pelitica. Ibacini sottesi, analogamente alle zone S, presentanouna significativa porzione di fasce altimetriche elevate,caratterizzate da buone potenzialità idriche. Tenutoconto della maggiore estensione dei bacini si hannoportate relativamente elevate, con valori medi annuiche possono superare i 20 m3/s, mentre quelli assolutidi magra raramente scendono sotto i 1.000 L/s. Nellamaggior parte dei casi sono tratti fluviali a valle delle

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zone salmonicole. Nei bacini meno estesi e con altitu-dini massime inferiori al limite climatico dello zerotermico medio annuo ed in assenza di regimi idrologicidi tipo nivoglaciale in testata, la tipologia superiore ègeneralmente una zona S ed il passaggio alla zonamista si colloca, grosso modo, nella fascia pedemonta-na (200 ÷ 500 m s.l.m.), comunque sotto il limiteclimatico delle zero termico medio di gennaio. Neibacini più estesi e con altitudini massime superiori allimite dello zero termico medio annuo ed ancor più inquelli con altitudine massima superiore al limite clima-tico delle nevi persistenti e con regimi idrologici nivo-glaciali almeno in testata, sono superiormente presentientrambe le zone A ed S. Le elevate portate e l’originein quota di buona parte dei deflussi comporta tempera-ture più basse e maggiore turbolenza delle acque ancheverso valle; pertanto il passaggio alla zona mista sisposta verso l’alta pianura, talora anche sotto i 200 ms.l.m. In taluni casi (es. Dora Baltea) le fasce altimetri-che poste sopra il limite di 3.100 m s.l.m. sono moltoestese ed il regime si mantiene con una tipologia nivo-glaciale anche in pianura, tanto che la zona mistarisulta molto “compressa” verso valle, anche fino arisultare assente. Possono costituire ambienti M anchei corsi d’acqua con bacini interamente o in buonaparte, impostati in fasce altimetriche inferiori al limiteclimatico dello zero termico medio mensile di gennaioe con regime idrologico pluviale non classificabili in Cper condizioni evidentemente adatte ai ciprinidi reofili enei quali l’eventuale presenza di salmonidi è sostenutada immissioni.

Corsi d’acqua dell’area di pertinenza appenninica(Z2 e Z3) nelle medie vallate dei principali bacini,generalmente in ambienti posti sotto il limite dello zerotermico medio di gennaio e con regime idrologicofrancamente pluviale, ma con portata specifica di ma-gra normale estiva pari o superiore a 2 L/s·km2 versoNord o anche ad 1,5 L/s·km2 nell’Appennino centrale.Nei bacini con apprezzabili estensioni areali delle fascealtimetriche prossime al limite climatico dello zerotermico medio del trimestre invernale il passaggio dallazona S alla zona M può risultare inferiore al limitesuccitato, fino anche a 300 ÷ 500 m s.l.m. Nelleporzioni superiori dei bacini con fasce altimetricheelevate meno estese, ma con altitudine massima alme-no superiore al limite climatico dello zero termico digennaio, risulta assente la zona S e la classificazione inzona M può interessare tutto il reticolo idrografico.Portate medie annue variabili in funzione dell’estensio-ne dei bacini sottesi, caratterizzate da valori specificirelativamente elevati per l’abbondanza delle precipita-zioni tardo autunnali ed invernali. Il regime pluviome-trico presenta uno spiccato minimo estivo; mancano icontributi dei serbatoi nivali che viceversa caratteriz-

zano i bacini alpini impostati su fasce altimetriche benpiù elevate. Di conseguenza il minimo idrologico èestivo, ma con portate specifiche di magra normaleraramente inferiori a 2 L/s·km2 sul versante padano e a1,5 L/s·km2 verso Sud. Tale situazione idrologica con-sente comunque deflussi estivi sufficienti ed il mante-nimento di condizioni idrauliche idonee ad organismireofili. Le pendenze rimangono relativamente elevate,intorno a 2 ÷ 5 % (talora anche leggermente inferiori) esi hanno alternanze di situazioni di erosione e di deposi-to insieme ad una accentuata diversificazione dei mate-riali litoidi; si possono rinvenire brevi tratti con fondaliprofondi con roccia in posto, zone con ghiaie taloragrossolane e addirittura con massi ed altre zone domi-nate da materiali con granulometrie decisamente piùfini, fino alla sabbia, ma raramente pelitici.

C (zona ciprinicola - temperature massime estive >20 °C).

Corsi d’acqua dell’area di pertinenza alpina (Z1)con superfici dei bacini imbriferi molto variabili, taloracostituenti i tratti terminali e di limitata lunghezza deiprincipali tributari del Po e dell’alto Adriatico ed a valledelle zone S e soprattutto M. Possono costituire trattifluviali più estesi quando alimentati da bacini di grandidimensioni che, pur presentando fasce altimetricheelevate, quindi caratterizzati superiormente da regiminivopluviali o addirittura nivoglaciali in testata, sonoanche costituiti da ampie superfici sotto il limite clima-tico dello zero termico medio di gennaio; sono tipiciesempi i fiumi Po e Sesia. In altri casi costituisco quasil’intero reticolo idrografico dei bacini collinari e/o im-postati su fasce altimetriche tipicamente di pianura. Ilregime idrologico è tipicamente pluviale, in qualcheraro caso di transizione con il nivopluviale. La portatadi magra normale è estiva, con valori specifici comun-que non inferiori a 2 L/s·km2. Alvei caratterizzati dapendenze inferiori al 2 %, con assenza di salti naturaliinvalicabili per l’ittiofauna. La granulometria prevalen-te è costituita da ghiaia (soprattutto fine/media quandopresente) e da vasti banchi di sabbia e/o di peliti. Sonoambienti caratterizzati da una elevata produttività e dauna fauna ittica ben diversificata.

Corsi d’acqua dell’area di pertinenza appenninica(Z2 e Z3) nelle aree di pianura, solitamente a quoteinferiori a 200 m s.l.m., a valle delle zone M quandoalimentati da bacini con estese fasce altimetriche supe-riori al limite climatico dello zero termico medio digennaio o con altitudini massime prossime al limiteclimatico dello zero termico medio del trimestre inver-nale. I reticoli idrografici alimentati da bacini conaltitudini massime inferiori a quello dello zero termicodi gennaio sono interamente classificabili nella zona C.Anche per questi ambienti le portate medie annue sono

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Tab. V. Elenco delle specie ittiche con indicazione dei valori intrinseci (V); valore positivo per quelle entro gli areali didistribuzione originari (AU); V = -1 per quelle estranee (AL); V = 0 per quelle (A0) ai margini (accidentali), o di presenzaincerta. Valori espressi in funzione delle aree e sub-aree (Z) e delle zone (A, S, M e C). Sono evidenziate in grigio le specie(AUr) utili ai fini dell’individuazione delle comunità ittiche di riferimento. Il numero totale di specie AU comprende anchequelle Aur. Le specie non elencate sono considerate AL.

(1) V = 9 solo nei tratti terminali degli immissari e nel tratto iniziale dell’emissario del lago del Garda.(2) V = 9 solo nei tratti terminali degli immissari e nel tratto iniziale dell’emissario del lago di Posta Fibreno.

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assai variabili in funzione delle estensioni dei bacinisottesi, ma ciò che più interessa è il regime medio,caratterizzato da forti magre estive, con valori specifi-ci anche significativamente inferiori a 2 L/s·km2 (fino ameno di 0,5 L/s·km2 verso Sud), spesso su ampi lettifluviali dominati da materiali prevalentemente pelitici,con qualche banco di sabbia e qualche ghiareto, per lamodesta pendenza (< 1 %). I più piccoli corsi d’acquadi origine collinare hanno granulometrie più grossolanee pendenze più accentuate, ma la magra estiva è ilmaggiore fattore limitante, accentuato da minori su-perfici dei bacini sottesi.

COMUNITÀ ITTICHE DI RIFERIMENTOUn qualunque indice di valutazione dello stato di una

data cenosi si basa sul confronto tra quella effettiva-mente rilevata in fase di campionamento con quellaattesa (comunità di riferimento) per una determinatatipologia ambientale nell’ambito dell’area idro-geogra-fica in cui essa è compresa. Ciò vale anche per l’ittio-fauna; pertanto è importante definire le comunità tipi-che potenzialmente riscontrabili nelle diverse zone (ti-pologie A, S, M e C) e nelle diverse aree e sub-aree (Z;Fig. 1 e Tab. IV). Merita precisare comunque chearee, subaree e zone sono individuate non solo median-te criteri geografici, geomorfologici ed idrologici, maanche in funzione degli areali di distribuzione originaridelle diverse specie ittiche (scaricabili dal succitatosito www.crestsnc.it.).

Per ogni tipologia ambientale e per ciascuna area osubarea, la tabella V riporta l’elenco delle specie pre-senti rispetto agli areali di distribuzione originari equindi considerate autoctone (AU), con indicazione delvalore intrinseco positivo “V” (quello riportato in Tab.I) se riscontrabili nelle tipologie ambientali adatte allaloro biologia, evidenziando, inoltre, le specie (AUr)ritenute importanti per la caratterizzazione delle comu-nità di riferimento (Tab. VI). Alle specie (AL) fuori dailoro areali di distribuzione originari e comprese quellealloctone rispetto al territorio italiano, si assegna unvalore intrinseco negativo V = -1.

In linea di massima si osserva un incremento dellespecie Au dalle zone superiori (A ed S) a quelle inferio-ri, netto al passaggio salmonicola-mista. Il maggiornumero di specie si riscontra nell’area di pertinenzaalpina (Z1); un po’ meno “ricco” è il versante padanoappenninico (Z2.1), con una diminuzione più evidentein quelli adriatico e tirrenico.

Alle specie (A0) presenti nell’area o subarea nell’am-bito dei loro areali di distribuzione originari, ma in tipolo-gie ambientali non adatte (solitamente pesci spiccata-mente limnofili in zone superiori; es. scardola o alborellanelle zone A o S), oppure a quelle rispetto alle quali sinutrono dubbi, si assegna un valore intrinseco V = 0.

DETERMINAZIONE DELL’INDICE ITTICOI campionamenti si effettuano con la pesca elettrica,

reti e “visual-census”. I migliori risultati si ottengononelle situazioni di magra; non si escludono altri mo-menti, quando le situazioni idrologiche e termiche lopermettano, in base al giudizio degli ittiologi. I rilievi, aifini dell’Indice Ittico, sono qualitativi e semiquantitita-tivi, con copertura di ampie superfici sottese, con unpassaggio con elettrostorditore. L’azione di pesca deveessere accurata, al fine di garantire la massima proba-bilità di cattura di tutte le specie presenti ed una buonaattendibilità sulla stima dell’entità delle popolazioni edelle loro strutture.

I parametri relativi alle dimensioni dell’ambiente dicampionamento sono la larghezza e la lunghezza del-l’alveo bagnato, secondo una relazione definita daFORNERIS et al. (2005b; download dal succitato sitowww.crestsnc.it).

Per ogni specie si riportano dati indicativi dellaconsistenza e della struttura di popolazione secondo loschema descritto in tabella VII. Si utilizza un indice diabbondanza (Ia) composto da un numero e da unalettera. Per esempio 2a significa “specie presente conpopolazione strutturata”, 3b significa “specie abbon-dante con popolazione non strutturata per assenza oquasi di adulti”, 1c significa “specie sporadica conpopolazione non strutturata per assenza o quasi digiovani”.

Con Ia = 1, può essere difficile descrivere la struttu-ra di popolazione. In molti casi, rimane soltanto l’indi-cazione del numero (1). Per alcune specie (solitamentepredatori ai vertici della catena alimentare) l’indice 1neppure è indicativo dell’abbondanza, in quanto è nor-male la presenza di pochi individui.

Le modalità per la determinazione degli indici diabbondanza (Ia; Tab. VII) sono generiche; non sonoforniti precisamente i criteri che permettono l’attribu-zione dei valori Ia = 1, 2, 3 e 4. È una questione nonancora risolta ma importante, in quanto, per quantoriguarda l’I.I., si vogliono evitare campionamenti ditipo quantitativo, solitamente onerosi e non sempreaffidabili. Si ammette la soggettività dell’ittiologo cheeffettua i campionamenti; si tratta di una impostazionemetodologica che ha caratterizzato molti studi fin quieffettuati.

Non ci si pone l’obiettivo di risolvere questo proble-ma, ma occore stabilire almeno i criteri che individua-no il passaggio dall’indice Ia ad un altro indice Ir(indice di rappresentatività), utile ai fini dell’I.I. Inparticolare vale il seguente schema:

Ir = 1,0 per Ia = 1 (per qualunque struttura dipopolazione);

Ir = 1,5 per Ia = 2-3 (con struttura di popolazione“b” o “c”);

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Tab.

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Ir = 2,0 per Ia = 2-3 (con struttura di popolazione“a”);

Ir = 2,0 per Ia = 4 (per qualunque struttura dipopolazione).

Quando, per una determinata specie, si riscontrauna abbondanza molto elevata, tanto da risultare domi-nante rispetto alla comunità ittica nel suo complesso, sipone Ia = 4 ed Ir = 2,0 indipendentemente dallastruttura di popolazione. Importante è individuare icriteri per il passaggio, su base numerica, dell’indice Irdal valore 1,0 al valore 2,0 per valori Ia ≠ 4; essi sonodescritti in tabella VIII, con l’avvertenza di utilizzare ilvalore intermedio (Ir = 1,5) per le popolazioni relativealle specie che, in fase di campionamento, risultanodestrutturate (“b” e “c”).

In fase di campionamento si compila una schedaove sono indicate le specie AU e A0 delle liste dellatabella V relative all’area o alla subarea di pertinenza edalla tipologia ambientale (A, S, M o C), con i relativi

valori intrinseci (V) e con lo spazio utile per riportare leeventuali specie AL, assegnando a ciascuna gli indiciIa e Ir. Per ogni specie si calcola il punteggio P = V×Ir,dove Ir = 1,0 - 1,5 - 2,0 secondo i criteri descritti intabella VIII. Per ciascuna specie può risultare P = V sesporadica, oppure P = 1,5V - 2,0V se presente oabbondante o molto abbondante.

Dalla somma dei punteggi si ottiene l’I.I. In molticasi le specie AL sono poco importanti nel condiziona-re il risultato finale, abbassandolo un poco. In altri casitale influenza è significativa, quando sono presenti piùspecie alloctone e con buone popolazioni. Per esempioin tratti fluviali con popolazioni numerose di persicosole, persico trota e pesci rossi (situazione non rara),essendo per ciascuna P = V×I = (-1)×2 = -2, risulta unabbassamento dell’I.I. di ben 6 punti. In alcune situa-zioni può risultare una predominanza delle specie AL,con conseguente forte decremento dell’I.I., fino an-che ad assumere valori negativi.

Tab. VIII. Numero minimo di individui (N) affinché unaspecie possa considerarsi almeno presente (Ir ≥ 1,5).

1 Specie alloctona nei distretti padano-veneto (Dpv) e tosco-laziale (Dtl).

2 Specie per la quale si nutrono forti dubbi circa la sua autoctonia(PICCININI et al., 2004; BETTI, 2006). Per essa vale V = 0esclusivamente in Z1.2 e Z1.3.

Tab. VII. Indici di abbondanza e di struttura di popolazio-ne (Ia).

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CONCLUSIONI:STATO DELLE COMUNITÀ ITTICHE

Al punto 1.2.1. dell’Allegato V della Direttiva 2000/60/CE sono descritte le condizioni di qualità dellacomunità ittica in funzione delle definizioni degli statiecologici elevato, buono e sufficiente:

I. Stato elevato. Composizione e abbondanza dellespecie che corrispondono totalmente o quasi alle con-dizioni inalterate. Presenza di tutte le specie sensibilialle alterazioni tipiche specifiche. Strutture di età dellecomunità ittiche che presentano segni minimi di altera-zioni antropiche e non indicano l’incapacità a riprodur-si o a svilupparsi di specie particolari.

II. Stato buono. Lievi variazioni della composizio-ne a abbondanza delle specie rispetto alle comunitàtipiche specifiche, attribuibili agli impatti antropici su-gli elementi di qualità fisico-chimica e idromorfologi-ca. Strutture di età delle comunità ittiche che presenta-no segni di alterazioni attribuibili a impatti antropicisugli elementi di qualità fisico-chimica o idromorfolo-gica e, in taluni casi, indicano l’incapacità a riprodursio a svilupparsi di una specie particolare che può con-durre alla scomparsa di talune classi d’età.

III. Stato sufficiente. Composizione e abbondan-za delle specie che si discostano moderatamente dallecomunità tipiche specifiche a causa di impatti antropicisugli elementi di qualità fisico-chimica o idromorfolo-gica. Struttura di età delle comunità ittiche che presen-ta segni rilevanti di alterazioni antropiche che provoca-no l’assenza o la presenza molto limitata di una percen-tuale moderata delle specie tipiche specifiche.

Alla lettera “A” dell’Allegato 1 del D. Lgs. 152/2006, in coerenza con la succitata Direttiva, tra gli“elementi qualitativi per la classificazione dello statoecologico” riguardanti i fiumi, prevede la “composizio-ne, abbondanza e struttura di età della fauna ittica”,con le stesse indicazioni sopra elencate. L’I.I. riassu-me, in un unico valore di sintesi, i punti succitati.Infatti tiene conto:– del numero di specie che costituiscono la comunità

ittica, con valore dell’I.I. tanto più elevato quanto piùnumerose sono le specie autoctone considerate convalore intrinseco (V) positivo, con una valutazioneanaloga a quella proposta da Bianco (1990) sull’im-piego di “…indici e di coefficienti per la valutazionedello stato di degrado dell’ittiofauna autoctonadelle acque dolci”;

– dell’abbondanza di ciascuna specie attraverso l’indi-ce di rappresentatività (Ir); con Ir = 1 risultano seriedifficoltà per l’automantenimento; con Ir = 1,5risultano problemi circa lo stato della popolazione;con Ir = 2 risulta una popolazione strutturata edanche abbondante;

– della presenza di specie alloctone che contribuiscono

ad abbassare l’I.I. (V negativo), in quanto la loropresenza è considerata un grave impatto negativo,quasi sempre irreversibile.L’I.I. porta a valori bassi per i torrenti nelle testate

dei bacini (es. zone A in Z1), popolati da trote fario diimmissione, talora insieme a una o poche specie diaccompagnamento. Dal punto di vista naturalistico, infunzione della ricchezza biologica (diversità ≡ numerodi specie) e della presenza di specie rare e/o endemichee/o che destano preoccupazione per il loro stato diconservazione, tali ambienti presentano comunità itti-che poco interessanti, quasi esclusivamente sostenuteda immissioni ai fini alieutici. L’interesse naturalisticoaumenta verso valle, dove le condizioni ambientalipermettono la presenza di un numero crescente dispecie. Le acque montane hanno generalmente unamigliore qualità chimica e biologica, in ambienti dielevata qualità paesaggistica. Questi aspetti si riferi-scono a valori antropici che, seppure importanti emeritevoli di attenzione per la gestione del territorio,non sono coerenti con una oggettiva qualificazione delvalore naturalistico basato soprattutto sulla ricchezzabiologica. Verso valle, soprattutto nelle zone M e C, gliindici sono più elevati. In tali situazioni il riscontro diindici bassi è probabile conseguenza di alterazioni epertanto, seppure con cautela, l’I.I. si può utilizzareanche come indicatore di qualità ambientale, in diversicasi anche nelle zone S.

La tabella VI esprime i possibili valori dell’I.I. incondizioni ideali, in funzione delle aree e sub-aree (Z),delle tipologie ambientali (A, S, M e C), delle possibilicomunità ittiche di riferimento ed ipotizzando l’assen-za di specie esotiche. Gli indici più elevati sono quellidelle zone miste e ciprinicole, ma relativamente buonorisulta l’indice della zona salmonicola in Z1. Comeatteso, risulta un indice basso per la zona alpina (A) erelativamente modesto per quella salmonicola (S) nellearee di pertinenza appenninica (Z2 e Z3), dove sonoprobabili poche specie. Nell’area di pertinenza alpina(Z1), la comunità di riferimento della zona A è costitu-ita soltanto da trota e scazzone; in S si aggiungonotemolo, vairone e barbo canino, ma il numero di speciediventa significativo (12-13) nella zona mista (M), inquanto ai pesci precedenti si aggiungono ciprinidi tipi-camente reofili; analoga diversificazione risulta per lazona ciprinicola (C). Nell’area di pertinenza appennini-ca si passa da due specie (vairone e barbo canino,talora anguilla) nella zona salmonicola a 5 ÷ 9 specienella zona mista e a 7 ÷ 12 specie in quella ciprinicola.Le due aree Z2 e Z3 si distinguono bene rispetto alla Z1soprattutto per l’assenza di trota marmorata e temolo,mentre del tutto occasionale risulta lo scazzone nelreticolo idrografico di pertinenza appenninica.

Sulla base delle precedenti osservazioni si può affer-

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mare che l’I.I. esprime un valore assoluto di qualitànaturalistica e permette confronti tra le comunità itti-che dei diversi ecosistemi fluviali qualunque essi siano,anche ai fini applicativi di tutela e gestione del patrimo-nio ittico. Tale valore può anche essere interpretatosulla base di quello atteso rispetto alle comunità diriferimento, arrivando quindi ad esprimere una classe

di qualità (CQ) in funzione dello stato di conservazio-ne/alterazione della comunità ittica in esame. Conside-rando i valori dell’I.I. indicati in tabella VI, rappresen-tativi delle comunità ittiche di riferimento per le diversezone nelle diverse aree e sub-aree, si propone la divi-sione in classi di qualità (CQ) secondo quanto propo-sto in tabella IX.

Tab. IX. Classi di qualità (CQ = I ÷ V) in funzione dell’Indice Ittico I.I. nelle aree e sub-aree (Z) in funzione delle tipologie ambientali(Tp: zone Alpina “A”, Salmonicola “S”, Mista “M” e Ciprinicola “C”).

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Biologia Ambientale, 21 (n. 1, 2007) 61

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Il Cervo Nobile in Italia (Cervus elaphus, L. 1758).Biologia, gestione e conservazione

Riccardo Carradori1*, David Pozzi2

1 Biologo Faunista, Pistoia

2 Dottore Forestale, Prato

* Referente per la corrispondenza: fax 0573359276; [email protected]

Il cervo è diffuso in tutta l’Eu-ropa continentale, in maniera di-scontinua nella parte occidentaleed in modo più diffuso ed estesonella parte orientale e nei Balcani,nelle Isole Britanniche e nella par-te centrale e meridionale della Scan-dinavia. L’areale comprende unavasta porzione dell’Asia, dagli Ura-li sino alla Siberia meridionale ealla Manciuria, dall’Iran alla Mon-golia. In Africa è presente solo inAlgeria e Tunisia e in Nordamericaè diffuso dal Canada sud-occiden-tale allo stato del Colorado lungola catena delle Montagne Rocciose.La specie è stata introdotta nel se-colo scorso in Australia, Nuova Ze-landa, Cile e Argentina.

In Italia il cervo (Tab. I) èpresente con due sottospecie: Cer-vus elaphus hippelaphus, Erxleben,1777 presente sull’Arco Alpino, nel-l’Appennino Settentrionale e inAbruzzo; e Cervus elaphus corsica-nus Erxleben, 1777 limitato alla

Sardegna.In Italia è individuabile un

grande areale alpino che si estendeda Cuneo a Udine, praticamentesenza soluzione di continuità; nel-l’Appennino il cervo occupa quat-tro aree distinte: la prima corri-sponde a gran parte del territoriomontano delle province di Pistoia,Prato, Firenze e Bologna, la secon-da all’Appennino tosco-romagnolodal Mugello orientale alla Val Tibe-rina, la terza è rappresentata dalParco Nazionale d’Abruzzo e terri-tori limitrofi e la quarta dal massic-cio montuoso della Maiella; mancainvece totalmente dall’Appenninomeridionale (Fig. 1). Tutte le popo-lazioni appenniniche si sono origi-nate da reintroduzioni effettuatenegli ultimi decenni.

Alcuni nuclei di modeste di-mensioni sono mantenuti in gran-di aree recintate come il Bosco del-la Mesola (Ferrara), La Mandria(Torino) e Castelporziano (Roma).In Sardegna il cervo è presente nel-la parte meridionale dell’Isola conalcune popolazioni tra loro ancorasostanzialmente disgiunte.

ORIGINE DELLE POPOLAZIONIITALIANE E CONSERVAZIONE

Le prime forme di Cervidi do-tate di appendici frontali (palchi)comparvero in Eurasia nel Mioce-

ne superiore e nel Pliocene (Procer-vulus, Dicrocerus); i primi resti fossi-li attribuibili al Genere Cervus ri-salgono al Pliocene Superiore inEuropa ed al Pleistocene in Ameri-ca. In Italia i resti più antichi di C.elaphus sono stati rinvenuti nel ba-cino lignitifero di Leffe (Bergamo) erisalgono all’inizio del Pleistocene.

L’areale storico del cervo oc-cupava probabilmente gran partedell’Italia peninsulare e la Sarde-gna. A partire dal XVII secolo letrasformazioni ambientali, la cre-scita della popolazione umana el’intensificarsi della persecuzionediretta hanno causato la progressi-va scomparsa della specie da settori

Tab. I. Inquadramento sistematico delcervo.

Classe: MammiferiInfraclasse: EuteriSuperordine: UngulatiOrdine: ArtiodattiliSottordine: RuminantiFamiglia: CervidiSottofamiglia: Cervini

Fig. 1. Distribuzione del cervo in Italianel 1988.

CARRADORI e POZZI - Il cervo nobile in Italia Biol. Amb., 21 (n. 1, 2007)62

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sempre più vasti del territorio na-zionale; alla fine del XIX secolorimanevano solo la piccola popola-zione relitta del Bosco della Mesolapresso il delta del Po e quella sar-da.

Questa situazione si è protrat-ta sostanzialmente sino al secondodopoguerra, se si eccettuano pre-senze più o meno sporadiche nelleAlpi centro-orientali ed in Valtelli-na, dovute ad immigrazione di in-dividui provenienti dalla Svizzera.Il fenomeno di espansione sul ver-sante meridionale delle Alpi dellepopolazioni svizzere, austriache eslovene è divenuto più costante econsistente a partire dagli anni ’50ed è stato responsabile della ricolo-nizzazione delle Alpi italiane nelsettore centrale ed orientale. L’at-tuale presenza del cervo nelle Alpioccidentali è dovuta a ripetute ope-razioni di reintroduzione iniziatealla fine degli anni ’60 da parte delCorpo Forestale dello Stato.

Nell’Italia alpina il cervo mo-stra uno stato di conservazione fa-vorevole ed ha rioccupato buonaparte dell’areale potenziale, tantoche in determinati settori geografi-ci i piani di prelievo tendono acontenere la dinamica delle popo-lazioni allo scopo di evitare eccessi-vi danni al patrimonio forestale.Anche le popolazioni dell’Appenni-no settentrionale risultano in cre-scita ed è ipotizzabile in breve tem-po la saldatura degli areali tosco-emiliano e tosco-romagnolo. Le pro-spettive di espansione naturale deinuclei presenti nell’Appennino cen-trale appaiono discrete.

Il cervo scomparve dalla Sar-degna settentrionale e centrale ne-gli anni ’40 e solo dalla metà deglianni ’80 è stato oggetto di unagestione attiva, che ha consentitodi incrementarne le popolazioni el’areale. Attualmente la consisten-za della specie sull’intero territorioitaliano è stimabile in circa 32.000

esemplari. Il cervo è regolarmentecacciato nella maggior parte delleprovince alpine sulla base di pianidi abbattimento selettivo con unprelievo che nel 1997 ha di pocosuperato i 4.000 capi.

È grazie alla buona capacitàdi adattamento del cervo, che gliha permesso di sfruttare le risorsealimentari presenti in ambienti su-bottimali, che la popolazione risul-ta in espansione sul territorio na-zionale.

Caratteri distintiviIl cervo è un animale grande,

con forme slanciate e zampe allun-gate. Il cranio è allungato e la ma-scella superiore presenta canini ru-dimentali. Il cervo nobile si diffe-renzia per la presenza di una ghian-dola subcaudale e dell’ago nei ma-schi (Fig. 2). Lo specchio anale, dicolore chiaro, con parti giallastre–

bruno rossastre è delimitato da co-lorazione scure sfumate ai lati.

Un cervo adulto è alto circa1,20 m al garrese e pesa dai 150 ai300 kg. Le femmine sono più picco-le e snelle dei maschi e non porta-no le corna (palchi).

I maschi tendono ad avere unaccrescimento corporeo prolunga-to nel tempo, raggiungendo il 90%del peso corporeo finale intorno ai7-8 anni. Le femmine raggiungonole dimensioni definitive precoce-mente (intorno ai tre anni). Unmaschio adulto supera il peso diuna femmina adulta di 1,7-2 volte.Il rapido e limitato accrescimentodelle femmine è dovuto alla neces-sità di dedicarsi precocemente allacura e all’allevamento dei piccoli.Il maschio deve accrescere la pro-pria massa corporea e sviluppa icaratteri sessuali secondari per laforte competizione che incontrerà,

Fig. 2. Il palco del cervo (da MATTIOLI, 1999, modificato).

corona

mediano

oculare

ago

rosa

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una volta adulto, per accedere allefemmine e, quindi, all’accoppia-mento. Il massimo del peso si rag-giunge a luglio-settembre; il mini-mo a fine inverno. La senescenza ela conseguente riduzione pondera-le avvengono intorno ai 15 anni.

Il giovane, fino a tre mesi divita, è rossastro con punteggiaturebianche. Il pelame estivo è brunorossastro, l’invernale bruno grigia-stro; petto, ventre e interno dellezampe sono biancastri.

Durante la stagione degli amo-ri l’ossidazione di alcune sostanzecontenute nell’urina del maschiocolora di scuro l’inguine e il ventredegli animali maschi. La muta pri-maverile avviene fra la seconda metàdi aprile e maggio, quella autunna-le tra settembre e novembre. Neimaschi si evidenzia, inoltre, unafolta criniera golare.

Nella zone preorbitali e an-torbitali, nelle metatarsali, nelleinterdigitali posteriori e nelle sub-caudali si concentrano le ghiando-le esocrine odorifere. Altre aree diemissione odorosa sono l’area delmento, il prepuzio, la regione vul-vare. La maggior parte di questearee mostra il massimo dell’attivitàdurante la stagione degli amori.

Il palco è costituito da duestanghe caduche poggianti su duepeduncoli che sorgono dall’ossofrontale (steli). L’ago è la puntaesclusiva caratteristica del cervonobile anche se può mancare inalcun casi. La frequenza con laquale compare in una popolazio-ne, insieme alla presenza della co-rona é un buon indice dello statodi salute complessivo della popola-zione.

Il palco non è usato comearma ma riveste una fondamentaleimportanza nel corso delle lotte ri-tualizzate. Le femmine, prediligen-do i maschi dotati di grandi palchi,hanno spinto verso la selezione dicomplesse ramificazioni che, pur

rendendo il palco più imponente,ne limitano la pericolosità nel cor-so degli scontri a causa degli inca-stri che si verificano.

I palchi, possono raggiungerei 14-15 kg di peso e sono a crescitaannuale; cominciano a formarsi neltardo inverno o agli inizi della pri-mavera, e cadono spontaneamentein inverno. Durante l’accrescimen-to i palchi sono ricoperti da unostrato di pelle finemente pelosa, det-to “velluto” ricco di nervi e vasisanguigni, che si distacca a svilup-po concluso.

Il ciclo annuale del palco com-prende una fase iniziale di crescitadurante la quale dagli steli si for-ma osso vivo ricoperto da epidermi-de (velluto). La fase seguente tra-sforma l’osso vivo in morto in se-guito a una mineralizzazione. Laterza fase prevede solo il manteni-mento della struttura, costituita or-mai da osso non irrorato e quindimorto, e una fase finale durante laquale il palco cade.

Tutto il ciclo è regolato dallapercentuale di ormoni, soprattuttotestosterone, presenti nel flusso ema-tico. La sincronizzazione del cicloè data dal fotoperiodo. Lo sviluppodel primo palco inizia intorno aiprimi 12 mesi dell’animale. Il ciclodura circa 130 giorni con la fase dipulitura che avviene, negli adulti aluglio (agosto subadulti) e la cadu-ta in marzo (aprile subadulti).

Segni di presenzaLe orme sono grandi, ovaloi-

di, di circa 10-11 cm nei maschi e 9nelle femmine. La larghezza è di 6cm nei primi e di 5,5 cm nelleseconde.

Gli escrementi sono di colorenero a forma di ghianda (20-30x13-18mm); nel periodo estivo perdonodi consistenza formando blocchiinformi. Altri segni indicatori dellapresenza sono le cimature sul fo-gliame poste fino a 1,9 m di altez-

za. e i fregoni originati dall’azionedi sfregamento dei palchi sulla ve-getazione per ripulire, nel periodoestivo, il palco dal velluto. Danneg-giamenti alla vegetazione possonoavvenire in autunno durante la sta-gione degli amori. Lo scorteccia-mento a fini alimentari avviene pre-valentemente alla fine dell’inver-no. Durante l’autunno e l’estatenon è infrequente rinvenire depres-sioni fangose (insogli) utilizzate pereseguire i bagni di terra e fango.

Valutazione dell’etàAll’età di un anno il palco è

costituito da due aste senza ramifi-cazioni. Il corpo è snello con trattiancora femminei, il peso è equa-mente distribuito tra quarti ante-riori e posteriori.

A due anni il palco raggiungela lunghezza di circa 45-50 cm;alla base della stanga è osservabilela rosa. Può essere forcuto ma spes-so è palcuto a sei punte.

A tre-quattro anni è palcuto a8 punte con forcella terminale, tal-volta a 10, con ago. La corona nonsempre è visibile. Il corpo non haancora acquisito la robustezza tipi-ca dell’età adulta e inizia a prende-re forma la giogaia.

A cinque-nove anni diventapiù massiccio e il peso si distribui-sce in maniera più accentuata neiquarti anteriori. Il collo acquistarobustezza, la giogaia e la crinieragolare appaiono più sviluppate.

A dieci-quindici anni i pesisono tutti spostati anteriormente,la testa assume tratti bovini, il col-lo è grosso. Il palco è al massimodello sviluppo: adesso è un corona-to a 12 punte, le stanghe sono lun-ghe, robuste e con corone a coppaben sviluppate. È questo il periododurante il quale i maschi hanno imigliori successi riproduttivi.

Dai 16 anni in poi il maschioentra nella fase di senescenza. Ilpalco tende a regredire, la figura

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appare smagrita.La distinzione in classi di età

delle femmine permette di indivi-duare le sottili: femmine di un annocon dimensioni leggermente infe-riori alle adulte. Una femmina adul-ta presenta una figura rozza e testaasinina.

Habitat e comportamentoIl cervo predilige i boschi aper-

ti a struttura disetanea dove le areecon soprassuolo maturo si alterna-no a zone più luminose in rinnova-zione. Necessita di complessi fore-stali ampi confinanti con aree aper-te, provvisti di buone zone di rifu-gio interne a ricco sottobosco o bo-scate giovani che utilizza come areealimentari. Foreste di latifoglie emiste sono preferite a conifere.. Ten-de a evitare boschi eccessivamenteframmentati e degradati.

È una specie gregaria. L’uni-tà fondamentale è il gruppo fami-liare composto dalla femmina edalla prole; di solito madre, cerbiat-to e la figlia dell’anno precedente.Un branco matrilineare è tipica-mente costituito da più femmineimparentate insieme guidate daun’anziana.

I maschi formano bande uni-sessuali temporanee. Aggregazionimiste con maschi adulti, femminee piccoli possono essere osservatein settembre-ottobre durante la sta-gione degli accoppiamenti. La ten-denza al vivere in gruppi varia sta-gionalmente e in dipendenza deltipo di habitat frequentato: è massi-ma alla ripresa vegetativa primave-rile e minima durante il periododel parto.

In ambienti forestali chiusi ledimensioni medie dei branchi sonopiccole ed è frequente avvistare capisolitari. Durante i periodi non ri-produttivi i cervi costituiscono pic-coli gruppi monosessuali. Si distri-buiscono un po’ ovunque sullemontagne, arrivando anche a fre-

quentare il fondovalle.Il cervo è un pascolatore di

tipo intermedio. Preferisce le pian-te erbacee ma è in grado di modifi-care la dieta in base alle disponibi-lità alimentari. In foreste rade conradure e prati, circa due terzi delcibo è costituito da specie erbacee.In boschi fitti boscaglie e arbustetivira le sue preferenze alimentariverso foglie, rametti, frutti di alberie cespugli. Quando possibile evitagetti e rametti di conifere.

Un esemplare adulto di me-die dimensioni consuma mediamen-te 14,5 kg di vegetali il giorno (9 kgse di sesso femminile). Naturalmen-te il fabbisogno giornaliero può su-bire drastiche variazioni in relazio-ne alla stagionalità fino a raddop-piare nei momenti che precedonoil parto e durante l’allattamento.La femmine sono normalmente piùselettive nella scelta del pabulum.

Il più noto verso del cervo è ilbramito, emesso dai maschi duran-te il periodo degli amori anche seudibile da metà agosto fino a feb-braio. L’intensità e la frequenzadei bramiti è associata alla taglia,all’abilità nella lotta e al successoriproduttivo. Le femmine tendonoa preferire i maschi che esibisconoil maggior numero di bramiti. Ilmaschio può emettere anche unverso di minaccia esplosivo (tosse)per scacciare giovani e subadultiinfiltratisi nell’harem o per riporta-re una femmina nei pressi dell’areacontrollata dal maschio.

La femmina può emettere ver-si nasali di contatto per comunica-re con il piccolo e un verso di allar-me simile a un abbaio.

A parte i giovani, che sonocaratterizzati da spostamenti esplo-ratori erratici, i cervi hanno spazivitali stagionali parzialmente so-vrapposti e fondamentalmente mo-bili. In Casentino (Arezzo) e in Ac-querino (Bologna, Pistoia, Prato) siparla di areale pulsante poiché si

contrae durante la stagione degliamori e si espande da novembre aagosto. Le dimensioni degli spazivitali annuali sono variabili, in ge-nere comprese tra i 2 e i 20 km2.

Il cervo è attivo sia di giornoche di notte ma la sua attività siconcentra all’alba e al tramonto.La suddivisione delle ore di attivitàsi sbilancia a favore delle ore not-turne durante il periodo estivo.

A partire dal mese di agosto icervi maschi adulti (7-10 anni) sidimostrano sempre più intollerantil’uno verso l’altro, abbandonano iquartieri di estivazione e si avvianoverso le aree degli amori, dove siconcentrano le femmine (con grup-pi da 6 a 12 soggetti). I maschicominciano a corteggiare le femmi-ne e contemporaneamente si sfor-zano di tenere lontani dal proprioharem tutti gli altri concorrenti.Un cupo bramito, emesso in fase diespirazione, è il grido di minacciache i maschi si lanciano l’un l’al-tro. Il bramito, indice delle dimen-sioni corporee, è normalmente suf-ficiente per definire le rispettive ge-rarchie, altrimenti lo sfidante inva-de l’harem del proprietario e i dueingaggiano una lotta a colpi di pal-chi. Il picco degli accoppiamenti siha nelle prime settimane di otto-bre. Le nascite si hanno tra gli inizidi maggio e la fine di giugno.

La femmina partorisce per laprima volta a 2 anni. Il maschio èfertile a 16-18 mesi ma di solitoaccede alle femmine non prima deicinque anni di età. Il periodo degliamori va dalla seconda metà disettembre alla prima metà di otto-bre. La gestazione dura circa 235giorni; in maggio-giugno si hanno iparti. Lo svezzamento avviene ai 6mesi. La femmina resta in contattocon il nucleo familiare per tutta lavita, ma il maschio se ne allontanaa uno due anni. Il limite naturaledella vita allo stato libero si aggiraintorno ai 17-18 anni.

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Il tasso di natalità è di circa65-70 piccoli ogni 100 femmine. Ilreclutamento post invernale è dicirca 50-60 piccoli ogni 100 femmi-ne. Il rapporto fra i sessi è sbilan-ciato a favore delle femmine (1 /1,2-1,5).

Il cervo può entrare in com-petizione con il Capriolo. Può esse-re predato da lupo, lince, cane in-selvatichito, volpe e aquila. Nel Par-co Nazionale delle Foreste Casenti-nesi è stato dimostrato che la dietadel lupo era costituita per l’11% dacervo con una predazione più in-tensa a carico del cerbiatto.

DanniAlte densità di cervi possono

produrre danni importanti al bo-sco e alle colture agrarie. Il dannosi manifesta sia con brucature deigermogli che con scortecciature (ro-sicature della corteccia o sfregamen-to dei palchi).

Nel caso delle colture agrariei danni più rilevanti riguardano labrucatura dei giovani getti sia dellespecie erbacee che di quelle legno-se. Particolarmente esposte alla bru-catura risultano le colture erbacee,specialmente cereali e foraggere. Learboree, olivo e fruttiferi in genere,sono brucate nelle parti più bassedella chioma più facilmente rag-giungibili dall’animale. Della vitesono particolarmente apprezzati igermogli primaverili; la brucaturapuò vanificare l’intera annata agra-ria.

I danneggiamenti al boscosono generalmente presi in minorconsiderazione, poiché risultanopiù tollerabili rispetto a quelli alcomparto agricolo puro. Il ciclo col-turale poliennale e la bassa inten-sità di manodopera che caratteriz-za la coltura forestale ne fannoapprezzare meno la incidenza intermini economico-finanziari (nona caso le normative in tema di ri-sarcimento danni da animali selva-

tici, come quella regionale toscana,non annoverano fra le colture ri-sarcibili quelle forestali). Non dimeno, i danneggiamenti possonoessere tanto intensi da rallentarepesantemente i ritmi di crescita ecompromettere le produzioni fore-stali di maggior pregio. Le giovaniconifere possono, ad esempio, esse-re cimate causando un rallenta-mento della crescita ipsometrica el’insorgenza di difetti strutturali,compromettendo, soprattutto nelcaso di brucature ripetute nel tem-po, il buon esito della rinnovazio-ne. Nel caso delle latifoglie, invece,il danno da brucatura risulta gene-ralmente meno importante, sia perla capacità di emettere nuovi gettiin sostituzione di quelli cimati siaperché la crescita in altezza non ècosì dipendente dalla permanenzadella gemma apicale. Talvolta, però,le brucature sono talmente intenseda produrre fenomeni di nanismovegetale o indebolire la pianta a talpunto da farla morire. Le giovanipiante possono essere cimate fin-ché non raggiungono un’altezzatale da sfuggire al morso degli ani-mali, spesso oltre i 2 m. Particolar-mente apprezzati risultano i giova-ni getti del castagno, dell’orniello(Fraxinus ornus), delle rosacee (Pyrussp., Malus sp.), del carpino (Carpi-nus betulus). Cerro e roverella (Quer-cus cerris e Q. pubescens) risultanomeno esposti, forse in ragione delmaggior contenuto in tannini. Nelcaso di boschi ceduati i danneggia-menti ai ricacci delle ceppaie pos-sono essere talmente intensi da va-nificare il futuro ciclo colturale.Gli scortecciamenti sia di latifoglieche di conifere possono interessarele piante giovani ma anche alberiadulti. La scortecciatura del faggio(Fagus sylvatica), se eseguita duran-te il mese estivo, può essere dovutaalla ricerca di sali minerali neces-sari per terminare l’ossificazionedel palco. La scortecciatura inver-

nale su castagno (Castanea sativa) èeseguita anche dalle femmine manon risulta mai molto dannosa,mentre quella primaverile, quandole piante sono in succhio, produceferite molto estese in altezza, perl’estrema facilità con la quale lacorteccia si stacca dal legno.

Gran parte dell’alimentazio-ne estiva dell’ungulato risulta co-stituita da erbe, sia graminacee cheleguminose, ma può consumareabbondantemente anche i fruttidelle piante forestali e di quelleagrarie.

La gestione dellepopolazioni animali selvatiche

La bibliografia indica unadensità di cervo pari a 3-5 capi perkm2 per aree a elevata vocazionali-tà. Per aree a vocazionalità mediaindica 1,5-2 capi; per aree a bassavocazionalità 1 capo per km2 ; talivalori sono calcolati in manieratale da mantenere densità di specieselvatiche che non causino dannirilevanti alle colture agrarie e fore-stali.

L’unità gestionale del cervodovrebbe estendersi per un’area dicirca 20.000 ha.

La gestione delle popolazionianimali selvatiche comporta il do-ver affrontare una serie di proble-mi di una certa complessità. Il pri-mo problema da affrontare è lastima delle risorse alimentari checonsente di definire le disponibilitàtrofiche. L’offerta del pascolo di-sponibile per i cervi viene valutatain base al metodo del raccolto checonsente di rilevare, pur se in ma-niera approssimata, la produzioneprimaria netta utilizzabile daglianimali. Il metodo consiste nel-l’asportare e quantificare tutto ilpossibile nutrimento per i pascola-tori presenti che viene espresso inquantità di sostanza organica ver-de per unità di superficie. Gli erbi-vori possono consumare, senza cau-

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sare depauperamento, circa il 10%della produzione annua di germo-gli delle specie arboree tipiche del-la foresta decidua mesofila e il 50%se si considera il pascolo o unamacchia a prevalente carattere ar-bustivo con prevalenza di speciesempreverdi. Il carico ottimale siottiene dividendo la disponibilitàpascolabile invernale per i consu-mi giornalieri e per il numero digiorni di stasi vegetativa.

Naturalmente occorre consi-derare tutte le popolazioni che han-no lo stesso regime alimentare eche possono entrare in competizio-ne tra loro.

Individuato il numero di capiche possono insistere in un datoambiente, occorre determinare ilnumero di quelli presenti. Le tecni-che utilizzabili possono appartene-re a due categorie: stime e censi-menti.

La stima consiste nel rilevareil numero di capi di una popolazio-ne presenti su aree campione eestendere il valore a tutta la super-ficie mediante una elaborazione sta-tistica.

L’area in studio viene suddi-visa in maglie quadrate di circa 10ha di lato. Ogni quadrato è identifi-cato con un numero. Si estrae asorte un numero di quadrati rap-presentativi dell’area in studio. Nel-le aree individuate si esegue unaserie di battute durante le quali ibattitori spingono gli animali versole poste, dove gli osservatori regi-strano i capi.

In alternativa possono essereeseguiti dei transetti dove un osser-vatore compie un percorso anno-tando gli animali contattati. Ai datidi consistenza numerica ottenutioccorre affiancare quelli riguardan-ti la modalità di distribuzione dellapopolazione in modo da conoscerese gli individui sono presenti inmaniera uniforme, casuale o agruppi.

Anche il metodo della cattu-ra e ricattura viene usato per sti-mare le popolazioni: gli animalicatturati vengono marcati con tar-ghette di riconoscimento e libera-ti; successivamente si eseguononuovamente le catture. Assumen-do che la probabilità di cattura siala stessa per gli animali catturati emarcati e quelli mai catturati sipuò arrivare alla consistenza dellapopolazione applicando la propor-zione:

totale della popolazione/totale indivi-dui marcati e liberati = totale indivi-dui catturati la II volta/ totale indivi-dui marcati e ricatturati

Il censimento consiste nel rile-vamento diretto dei capi, che sonocensiti uno ad uno.

Il censimento è eseguito nellenotti di settembre-ottobre: numero-si “ascoltatori” registrano ora e pro-venienza dei richiami notturni che,grazie a triangolazioni incrociate,permettono di individuare la loroposizioni e, quindi, il numero. Lastruttura della popolazione (suddi-visione in classi di età e sesso) av-viene tramite osservazioni condottedurante l’arco dell’anno con osser-vazioni lungo transetti o da postifissi.

Una volta stabilita l’entitàdella popolazione, questa deve es-sere confrontata con la capacitàportante dell’ambiente. Il piano diassestamento stabilisce, oltre al nu-mero degli individui presenti sulterritorio, anche la struttura che lapopolazione dovrà assumere ovve-ro il rapporto fra i sessi e la distri-buzione degli individui nelle singo-le classi di età.

Di solito si preferisce mante-nere un rapporto 1:1 fra maschi efemmine. Le classi di età nelle qua-li è suddivisa la popolazione sonoquattro:I. cuccioli, animali di età minore

di un anno;II. subadulti, animali non sessual-

mente maturi;III. adulti, animali in riproduzio-

ne;IV. anziani, animali con capacità

riproduttiva ridotta.

La quota per ciascuna classeviene assegnata in maniera tale chegli individui della classe inferioresostituiscano ogni anno quelli del-la classe superiore (rimonta).

Inoltre bisogna tenere in con-siderazione altri fattori quali le di-sponibilità alimentari, la competi-zione, la predazione e la cacciaillegale che possono alterare l’equi-librio stabilito. Per assestare unapopolazione occorre, allora, defini-re i fattori di densità, struttura e iparametri demografici.

Lo strumento operativo delpiano di assestamento è il piano diabbattimento, che indica i capi daabbattere divisi per classi di età esesso.

Il piano viene redatto ognianno e, una volta che la popolazio-ne è assestata, il prelievo è indiriz-zato verso gli anziani e i giovani insoprannumero rispetto alla quotadi rimonta, mantenendo costantela classe dei riproduttori. I soggettipiù deboli e malati vengono abbat-tuti. Gli interventi sugli adulti sonodi solito limitati per non ridurre ilpotenziale riproduttivo della popo-lazione. I piani di assestamento edi abbattimento sono solo modellidi previsione della consistenza nu-merica e della struttura di una po-polazione e devono essere validatidai censimenti eseguiti dopo la sta-gione riproduttiva. Inoltre occorrestudiare con attenzione i capi ab-battuti e monitorare il grado dimaturità della foresta. Per tale mo-tivo su ogni individuo abbattuto èindispensabile eseguire tutta unaserie di misure biometriche che van-no dal peso dell’animale alla lun-

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ghezza della mandibola, al trofeo,al numero di feti o embrioni even-tualmente presenti. Se si riscontra-no individui di dimensioni inferio-ri alla media si può ritenere ditrovarsi di fronte a un caso di com-petizione inter o intraspecifica. Unaumento dei danni alla rinnova-zione del bosco o alle colture agri-cole indica un aumento della po-

polazione.La gestione delle popolazioni

selvatiche deve essere mirata allaconservazione dell’equilibrio am-bientale. Quando l’ambiente si di-scosta da tale equilibrio è necessa-rio intervenire. Il fine ultimo è quel-lo di raggiungere un punto nel qua-le l’ecosistema raggiunga uno statoil più possibile costante nel tempo

che richieda un numero sempreminore di interventi da parte del-l’uomo. Una politica ambientaleseria richiede l’intervento di piùattori che collaborino attivamentel’uno con l’altro: associazioni ve-natorie, associazioni ambientaliste,associazioni di agricoltori, insiemea botanici, zoologi e amministrato-ri pubblici.

Bibliografia consultata

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MAZZARONE V., MATTIOLI S., 1996.Indagine sulla popolazione di cervodell’Acquerino: relazione finale 1993-1995. Regione Toscana, 133 pp.

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Biologia Ambientale, 21 (n. 1, 2007)68

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La gestione del Cervo Nobile(Cervus elaphus, L. 1758) nelle aree protette.Il caso dell’ANPIL del Monteferrato (Prato)

Riccardo Carradori1*, David Pozzi2

1 Biologo Faunista, Pistoia

2 Dottore Forestale, Prato

* Referente per la corrispondenza: fax 0573 359276; [email protected]

INTRODUZIONEL’area naturale protetta di

interesse locale del Monteferrato(ANPIL Monteferrato) si estende su4.486 ettari all’interno della Pro-vincia di Prato. Planimetricamenteappare come un trapezoide, il cuilato maggiore si sviluppa lungo lalinea del pedecolle della piana, quel-lo minore ne segna il limite setten-trionale appoggiandosi al confinecomunale con Cantagallo ed i duelati obliqui corrono sui fondovalledel torrente Agna ad ovest, e deltorrente Bisenzio ad est. Orografi-camente il territorio è caratterizza-to dal massiccio del Monte Javello,che si eleva nella porzione più set-tentrionale dell’area e culmina nei981 metri del Monte Cavallaie, do-minante la valle dell’Agna ed ilpianoro di Javello.

I territori settentrionali confi-nano con la foresta dell’Acquerino,zona protetta posta a cavallo fra leprovince di Bologna, Pistoia, Pratoe Firenze. La popolazione di cervodi questa area gode dell’areale piùvasto e della consistenza più eleva-ta di tutta la catena appenninica.Le condizioni del territorio sonotali da permettere non solo la so-pravvivenza, ma da conferire al cer-vo anche caratteri fisici di non faci-le rinvenimento in altri territori,come l’imponente sviluppo dei pal-

chi. L’alternanza di zone boschivecon zone agricole costituisce, infat-ti, un habitat ideale e particolar-mente attrattivo. Le aree agricoleoffrono una grande disponibilitàalimentare, gli anfratti boscati otti-me possibilità di rifugio. La presen-za del bosco, inoltre, fornisce ali-menti preziosi in quei periodi del-l’anno durante i quali nelle zonecoltivate le produzioni sono scarseo assenti. Così, queste aree invo-gliano il selvatico alla permanenzae ne agevolano la riproduzione; conl’aumento demografico aumentanoinesorabilmente i danni arrecatialle produzioni agricole. Le moti-vazioni dell’incremento demografi-co sono svariate: fra le principalipossiamo ricordare la scomparsa ola rarefazione dei predatori natura-li, la conformazione del territorio(che influisce sul dinamismo dellepopolazioni selvatiche e sui danniche questi possono provocare), lapolitica di protezione assoluta.

Il problema dei danni alle col-ture provocati dalla fauna selvati-ca sta assumendo proporzioni sem-pre più consistenti e, specialmentenelle aree protette, il rapporto conl’agricoltura si fa ogni giorno piùdifficile.

Quello dell’ANPIL del Monte-ferrato è uno dei tanti casi in cuinell’ambito di un’area protetta non

sempre risulta agevole conciliare leesigenze di conservazione e valoriz-zazione delle risorse naturali delterritorio con le attività antropiche.Qui tutto è reso più difficile dallecaratteristiche degli elementi cheentrano in conflitto: da un lato,un’estesa agricoltura pedecollinareincentrata su olivicoltura e viticol-tura di grande pregio e, dall’altro,una popolazione di grossi erbivoriselvatici fra le più significative alivello nazionale. La particolarestruttura del territorio, fatta di su-perfici agricole spessissimo interca-late da lembi boscati in continuitàcon le superfici forestali montane,favorisce il continuo errare dellafauna dal bosco alle zone coltivateproducendo estesi e, talvolta. gravidanneggiamenti alle colture. Pro-prio in risposta al verificarsi di que-sti danni molti agricoltori stannorecintando i loro coltivi quandonon li abbandonano del tutto; co-sicché la presenza degli ungulatiinnesca un insieme di azioni dirisposta che, di fatto, inducono unasvalutazione paesaggistica ed in-terferiscono con la tradizionale li-bera percorrenza del territorio ru-rale, provocando quindi un com-plessivo impoverimento dell’area.Ogni incontro con le pubbliche am-ministrazioni, poi, è colto dai colti-vatori per sollevare il problema, in-

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nescando accese discussioni chesfiorano talvolta i limiti della rissacollettiva.

Il nostro lavoro, partendo dal-la valutazione delle attività di dan-neggiamento alle colture agrarie,ha cercato di elaborare un piano diinterventi di gestione faunisticamirato ad evitare o, perlomeno, con-tenere i danni concentrandosi sudue filoni operativi: difesa direttadelle colture e realizzazione di mi-glioramenti ambientali per cercaredi far stazionare gli ungulati il piùlontano possibile dalle aree agrico-le.

È importante ricordare che lafinalità principale della gestionedegli ambienti naturali deve esserequella di conservare il più possibileintegro il territorio e mantenere oripristinare gli equilibri ecologici,specie quando si tratta di aree pro-tette, caratterizzate cioè da peculia-ri valori naturalistici che impongo-no un particolare regime di gestio-ne volto, appunto, alla loro conser-vazione e salvaguardia; fra questivalori sono senz’altro da annovera-re tanto l’attività agricola quantola fauna selvatica.

La struttura del paesaggioe la vegetazione

Gli oliveti del pedecolle e iboschi sono i due elementi chemaggiormente caratterizzano insenso paesaggistico questa area(Tab. I). L’agricoltura collinare, in-fatti, dopo il declino del sistemamezzadrile del secondo dopoguerrae l’abbandono dei poderi delle gran-di fattorie rinascimentali, è in fasedi forte rilancio soprattutto grazieall’olivicoltura e alla viticoltura.Queste stanno riconquistando alcomparto agricolo le terre abban-donate nei decenni precedenti; nel-la valle del Bagnolo si va afferman-do un prodotto enologico di altissi-ma qualità. Estesi oliveti caratteriz-zano le aree di più bassa quota, in

parte ancora terrazzate e coltivatesecondo gli schemi tradizionali, inparte con specializzazione coltura-le, specie nel caso di colture di neo-impianto.

L’agricoltura si spinge media-mente fin verso i 250-300 metri diquota, anche leggermente più inalto sui versanti solatii rivolti versola piana; oltre, le aree agricole di-vengono frammentate, e prendonoimportanza le superfici prative. Inqueste aree aperte il bosco si insi-nua, seguendo il corso dei torrentio i versanti più ripidi, o le contornainteramente, come nel caso di quel-le di più alta quota. Si tratta perlo-più di boschi cedui, a prevalenza diquerce caducifoglie (cerro e rove-rella) o carpino nero, e fustaie irre-golari di pino marittimo posti incontinuità con le vaste superficiforestali del Monte Javello.

Significativa eccezione a quan-to finora detto è rappresentata dalcomplesso del Monteferrato, i cuiterreni sterilissimi non sono in gra-do di sostenere adeguatamente le

colture agrarie; solo il pino maritti-mo è in grado di crescervi forman-do una rada e stentata fustaia, frut-to di un rimboschimento ottocente-sco, arricchita, da qualche cipres-so.

I versanti del monte Javellosono caratterizzati dal bosco. An-che in questo caso siamo in presen-za di cedui a quercia che si interca-lano alle pinete e al castagno e soloverso l’alto lasciano gradualmentespazio alla faggeta; le querce, spe-cie il cerro, sono più frequenti sulversante montemurlese-pratese dovegiungono, in alcuni, casi, fin sullasommità del rilievo; il castagno, in-vece, prevale sul versante bisenti-no, governato sia a ceduo per pale-ria che a fustaia da frutto; il faggio,infine, prevale sulle coste più altedove forma, specie sul versante bi-sentino, splendide faggete in partegià sottoposte al taglio di avvia-mento all’alto fusto.

Importanti superfici arbusti-ve si rinvengono a cavallo delladorsale Pian dai Massi-Pratotondo-

Tab. I. Distribuzione delle superfici e uso del suolo dell’Anpil Monteferrato(2003). È evidente l’importanza delle superfici a vocazione forestale (boschi edarbusteti) che da soli occupano oltre i 2/3 dell’intero territorio.

Tipo Tipo sup. Impor- sub Impor-strutturale colturale ha tanza totali tanzaaree agricole seminativo 173 3,76%

seminativo vitato 5 0,11%seminativo olivato 72 1,57%oliveto 481 10,46%olive specializzato 226 4,91%vigneto 5 0,11%vigneto specializzato 29 0,63%frutteto 1 0,02%vivaio per piante ornam. 3 0,07%incolti 17 0,37%impianti perarboricoltura da legno 6 0,13% 1.018 22,13%

aree pascolive aree prative 154 3,35% 154 3,35%aree forestali boschi ed arbusteti 3.130 68,06% 3.130 68,06%altro corpi idrici 11 0,24%

discarica 6 0,13%ex aree di cava 30 0,65%urbanizzato 250 5,44% 297 6,46%

sup. totale ANPIL 4.599 100,00% 4.599 100,00%

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Poggio La Collina, il tratto media-no della linea di crinale che fa daspartiacque fra l’Ombrone ed il Bi-senzio, e sulle coste più ripide delversante meridionale del monte Ja-vello; si tratta perlopiù di eliceti edericeti di rilevante importanza fito-geografica e faunistica e per la con-servazione dei quali è stato attivatoil Progetto LIFE Natura denomina-to “HABIO”.

METODOLOGIANel periodo aprile-agosto 2003

è stata effettuata una serie di uscitesul campo, allo scopo di:1. acquisire i dati per predisporre

una cartografia dell’uso del suo-lo all’interno dell’ANPIL delMonteferrato;

2. individuare le aree maggior-mente frequentate dal cervo;

3. identificare le colture maggior-mente danneggiate o potenzial-mente esposte al danneggiamen-to;

4. individuare la presenza e il li-vello di efficacia di opere didifesa dei coltivi;

5. individuare le possibilità di in-tervenire con opere di migliora-mento ambientale.

Nell’ambito del rilievo dei dan-neggiamenti e delle infrastrutturedi difesa si è descritto il fenomenoin termini quali-quantitativi secon-do un punteggio da 0 (assenza delfenomeno) a 3 (massima inciden-za).

Tutte le informazioni raccol-te durante i rilievi di campagnasono state digitalizzate ed elabora-te utilizzando il programma Ar-cview Gis 3.2. È stata così creatauna banca dati georiferita ed èstata elaborata una serie di cartetematiche esplicative dei fenomenirilevati. Le carte prodotte sono re-lative alla suscettibilità delle col-ture ad essere danneggiate, all’en-tità dei danni riscontrati e allapresenza di recinzioni, l’unico si-

stema di difesa al momento adot-tato dagli agricoltori. Incrociandoopportunamente fra loro questidati, con una metodologia di cui sidirà in seguito, è stato prodotto unquarto elaborato cartografico –de-finito Carta della vulnerabilità del-le colture– che sintetizza in fun-zione dei parametri rilevati il di-verso grado di esposizione al dan-neggiamento delle colture pratica-te in zona.

Suscettibilità al dannoSi è inteso indicare come su-

scettibilità di una coltura al dan-neggiamento quella condizione in-trinseca della coltivazione che deri-va dalle caratteristiche morfo-bio-logiche della specie coltivata e dal-le modalità di coltivazione e che larende, quindi, naturalmente più o

meno appetibile/danneggiabile dalselvatico, indipendentemente dallapresenza o meno di difese efficaci.È quindi un carattere proprio dellacoltura, che la predispone o menoad essere danneggiata dall’attivitàtrofica o comportamentale della sel-vaggina. Sono state individuate quat-tro classi di suscettibilità al dan-neggiamento, con un gradiente cheva da 0 a 3, attribuendo lo 0 agliusi del suolo di fatto non danneg-giabili o alle colture per le quali ildanneggiamento può essere consi-derato di gravità trascurabile ed il3 alle colture fortemente sensibili(Tab. II).

DanneggiamentoIl fenomeno è stato descritto

mediante quattro classi di entità didanneggiamento (Tab. III).

Tab. II. Distribuzione quantitativa della suscettibilità al danno nel territoriodell’ANPIL Montefferato: sono indicati gli ettari interessati dal fenomeno.

Suscettibilità

Tipo colturale 0 1 2 3 Totali

Seminativo / / / 250 250Oliveto / 481 226 707Vigneto / / / 33 33Frutteto / / 1 / 1Praterie / 154 / 154Vivaio per piante ornamentali / / / 4 4Arboricoltura da legno / 1 5 / 6Incolti 17 / / / 17Totali 17 155 500 499 1.172

Tab. III. Andamento quantitativo del danneggiamento: sono indicati gli ettariinteressati dal fenomeno.

Entità del danneggiamento

Tipo colturale 0 1 2 3 Totali

Seminativo 3 241 6 / 250Oliveto 76 241 384 6 707Vigneto 24 5 4 / 33Frutteto / 1 / / 1Praterie 1 153 / / 154Vivaio per piante ornamentali 4 / / / 4Arboricoltura da legno / 1 5 / 6Incolti 17 / / / 17Totali 125 642 399 6 1.172

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Carta delle infrastrutturedi difesa delle colture:presenza ed efficacia

La presenza o meno di difeseper le colture e il loro livello diefficacia è stato descritto per mezzodi quattro classi che vanno dall’as-senza di recinzione a vari gradi diefficacia delle strutture di difesa,fino alla esclusione completa deglianimali (Tab. IV).

In primo luogo è da eviden-ziare il fatto che la presenza delcervo è stata registrata ovunque,sia con osservazioni dirette che at-traverso i segni lasciati sul territo-rio. Particolarmente evidenti sono idanni alla vegetazione che varianoin funzione della densità relativadella popolazione di cervo, al tipodi coltivazione e alla sua localizza-zione.

La maggior parte delle coltu-re risulta mediamente o molto su-scettibile al danneggiamento, conpunte del 100% di elevata suscetti-bilità per i seminativi ed i vigneti.

La maggior parte delle areeagricole è risultata sprovvista diopere di difesa; molte recinzionisono scarsamente efficaci ed estre-mamente bassa è la quantità dicolture recintate idoneamente perescludere la presenza di ungulati.Nonostante gli sforzi compiuti daiprivati per la realizzazione di taliopere, raramente queste risultanoefficaci nel prevenire il danno. Piùche strutture di difesa contro l’in-gresso degli ungulati, spesso siamodi fronte ad elementi di delimita-zione della proprietà rustica realiz-zati con i materiali di recupero piùvari. Le recinzioni più efficaci sonorisultate quelle poste a protezionedi parchi di ville o a delimitazionedi fondi chiusi. Altro elemento do-lente dell’attività di recinzione spon-tanea è rappresentato dal coordi-namento operativo fra i vari sogget-ti, per cui a tratti di recinzioneefficace si appoggiano altri tratti di

rete inefficace o addirittura tratticompletamente sprovvisti di qualsi-asi difesa, il che porta i proprietaripiù sensibili (o con maggiori dispo-nibilità) a recintare interamente iloro appezzamenti, mentre con unmigliore raccordo operativo si po-trebbero coordinare gli sforzi perdifendere solo le interfacce bosco-agricolo.

Per quasi il 40% del territorioesaminato il livello di danneggia-mento delle colture può definirsi dientità medio-grave; rari sono co-munque i casi di intensità talmen-te elevata da compromettere in chia-ve colturale le coltivazioni attacca-te. Questi dati appaiono leggermen-te in contrasto con quanto eviden-ziato a proposito della suscettibili-tà al danno delle colture praticatee dell’efficacia delle difese attuate,che dovrebbero, invece, predisporrele attività agricole a danneggiamen-ti molto elevati. Ciò trova spiega-zione nel fatto che i rilievi sonostati condotti nel periodo tardo pri-maverile, quando le disponibilitàalimentari sono elevate e quindi ildanneggiamento delle colture risul-ta ovviamente più modesto; se talirilievi fossero stati condotti piùavanti nella stagione, probabilmen-te l’entità dei danni sarebbe risul-tata decisamente superiore.

Danneggiamenti seri si rinven-gono su tutte le colture legnose di

giovane impianto, in particolaresugli oliveti specializzati, le cui chio-me mantengono testimonianza del-le brucature pregresse, mentre suivigneti, regolarmente potati “a le-gno” ogni fine inverno, non sonostati evidenziati danneggiamenti diparticolare gravità. In questo sensosi può interpretare anche il bassogrado di danneggiamento riscon-trato nei seminativi, certamente di-pendente anche dallo stadio feno-logico della coltura attuata: i cerea-li autunno-vernini (frumento, orzo,ecc.) in maggio sono ancora assimi-labili a grandi erbai, mentre peraltre colture come il mais o il gira-sole, si è appena verificata la germi-nazione.

In tutti i fondi contigui allearee urbane o molto distanti dalbosco si evidenziano danneggiamen-ti trascurabili. In tali aree neppuregli orti presentano recinzioni per lafauna selvatica, mentre dove è altal’attività trofica degli ungulati, sonostate osservate recinzioni e shelterartigianali a difesa di qualsiasi po-tenziale pabulum, compresi addi-rittura i salici da vimini, le cuicapitozze vengono raggiunte e ci-mate dal cervo.

LA CRITICITÀ DELLE COLTUREIncrociando opportunamente

fra loro i dati raccolti è stato possi-bile elaborare una carta di sintesi

Tab. IV. Distribuzione quantitativa delle difese attuate e della loro efficacia infunzione delle diverse colture praticate.

Difesa delle colture

Tipo colturale 0 1 2 3 Totali

Seminativo 142 98 8 2 250Oliveto 446 100 113 48 707Vigneto 25 / 4 4 33Frutteto / / / 1 1Praterie 123 20 10 1 154Vivaio per piante ornamentali / / / 4 4Arboricoltura da legno 6 / / / 6Incolto 17 / / 17Totali 759 218 135 60 1.172

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che evidenzia la vulnerabilità dellediverse colture in funzione dellaloro suscettibilità, dell’efficacia delleprotezioni attuate e dell’estensionedei danni prodotti. Questo elabora-to è di notevole importanza proget-tuale poiché consente di individua-re immediatamente le aree più sen-sibili.

La carta della criticità dellecolture è stata elaborata mediantedue matrici combinatorie di dati,mettendo in relazione, per ogni areaomogenea indagata, la suscettibili-tà con la presenza/efficacia di re-cinzioni e, successivamente, con igradienti numerici del fenomenodel danno. Nella prima riga e nellaprima colonna della “Matrice su-scettibilità/protezione [SxP]”, sonostati inseriti i gradienti della suscet-tibilità (da 0=assente a 3=massima)e quelli della protezione (Tab. V).Questi valori sono stati introdottiin ordine decrescente e con un ran-ge da 4 a 1. In tale modo si èriusciti a rendere la matrice real-mente efficace e a descrivere l’an-damento del fenomeno indagato(cioè alla assenza di protezione 0 siè attribuito valore 4, mentre allapresenza di recinzione efficace si èattribuito valore 1); i valori matri-ciali sono scaturiti per prodotto com-binatorio.

Questo primo gruppo di datisulla criticità, variabile da 0=criti-cità assente a 12=criticità massima,è stato successivamente incrociatocon il dato del danno effettivamen-te rilevato sulle colture. Si è stabili-to di attribuire un valore decisivoall’entità del danno rilevato. Pertale motivo è stato introdotto unfattore correttivo pari a tre ottenen-do così una griglia di valori chevanno da 0 a 21ottenuti dalla som-ma degli incroci (Tab. VI).

I valori scaturiti da questo se-condo incrocio sono stati suddivisiin quattro classi di criticità (Tab.VII).

In questo modo si sono evi-denziate aree che, per coltivazionipraticate, per presenza/assenza dimisure di difesa, per effettivo livellodi danneggiamento (diretta conse-guenza, fra l’altro, della densitàdegli ungulati), presentano una di-versa probabilità di essere oggettodi danneggiamento. Le aree con ivalori più alti risultano distribuitein maniera apparentemente casua-le su tutta l’area in studio. Questodato conferma la presenza unifor-me degli ungulati su tutto il territo-rio. Le coltivazioni maggiormenteappetite dalla popolazione selvati-ca (quali le cerealicole e le viti nelmomento del riscoppio vegetativo)risultano quelle che si trovano aivalori massimi di criticità perchégli animali frequentano in manie-ra preferenziale le aree dove trova-no buona disponibilità di fonti ali-mentari.

LE IPOTESI DI INTERVENTOIl quadro generale ha eviden-

ziato una situazione di massicciapresenza di Cervo Nobile in tuttal’area, con un’attività dannosa perle colture agrarie distribuita su tut-ta la superficie in studio.

Va osservato che il lavoro haavuto come scopo fondamentalela riduzione (non l’azzeramento)della frequentazione delle areeagricole da parte del cervo. Vistoil rilevante pregio faunistico diquesta popolazione, infatti, è im-portante valorizzarne le presenzesebbene queste debbano essere di-versamente distribuite sul territo-rio. L’obiettivo è quello di trovareun punto di equilibrio fra la po-polazione di cervo e le attivitàagricole tale da non compromet-tere né la redditività del compartoagricolo né la permanenza degliungulati.

Tab. VII. Classi di criticità

Classe di range di commento colorecriticità variazione cartografico

0 valore 0 non critico grigio1 valori da 1 a 7 scarsamente critico celeste2 valori da 8 a 14 critico rosa3 valori da 15 a 21 fortemente critico rosso

Tab. V. Matrice suscettibilità/protezione [SxP]

Suscettibilità→ 0=nulla 1=bassa 2=media 3=alta↓Protezione

1=efficace 0 1 2 32=media 0 2 4 63=bassa 0 3 6 94=inefficace 0 4 8 12

Tab. VI. Matrice della criticità [(SxP)+3D]

Suscettibilità→ 0 1 2 3 4 6 8 9 12↓Protez. Danno

0=assente 0 1 2 3 4 6 8 9 123=basso 3 4 5 6 7 9 11 12 156=medio 6 7 8 9 10 12 14 15 189=elevato 9 10 11 12 13 15 17 18 21

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SUDDIVISIONE DEL TERRITO-RIO IN AREE VOCATE E NONVOCATE ALLA PRESENZA DELCERVO

Le caratteristiche del territo-rio in esame sono tali da renderlovariamente idoneo alla presenza delcervo e suscettibile ai danni deri-vanti da questa presenza. Infatti,tutta la fascia basale e di mediacosta, caratterizzata da notevolevariabilità vegetazionale e d’uso,risulta straordinariamente adatta asupportare il pabulum della popo-lazione di ungulati, ma i danni chesono arrecati alle colture risultanonotevolmente elevati. Di contro, learee di media ed alta costa, occupa-te in prevalenza dal bosco, nonsono particolarmente suscettibili aldanneggiamento, ma le disponibili-tà alimentari non sono tali da con-sentire una significativa presenzadi ungulati. La popolazione di cer-vo, quindi, tende a concentrarsidove la sua presenza è più indesi-derata, mentre si rarefà notevolmen-te dove, invece, potrebbe stazionaresenza eccessive interferenze con leattività umane.

Una ripartizione del territo-rio ANPIL in funzione della deside-rabilità o meno della presenza delcervo può essere quella che cercadi differenziarne la presenza fraaree vocate e aree non vocate, inten-dendo per vocazione non tanto ilverificarsi in quel luogo di condi-zioni ambientali ottimali per la spe-cie, quanto l’attitudine di un terri-torio a sostenere una popolazionevitale senza che si registrino dannirilevanti alle colture agrarie e fore-stali. Naturalmente si tratta di unconcetto che può variare, a paritàdi risorse ambientali, dalla disposi-zione d’animo dell’uomo. Occorre,quindi, valutare una densità di ri-ferimento tale che garantisca unaconvivenza fra attività umane e cer-vo.

Le aree non vocate alla pre-

senza del cervo sono identificabilicon le zone agricole di fondovalle edi media costa, destinate, general-mente, a seminativi o colture le-gnose di pregio (oliveti e vigneti, incui l’attività pabulare dei grossi er-bivori risulta ovviamente semprepiù o meno dannosa in chiave siaeconomica che colturale) e le su-perfici boscate ad esse vicine (sfrut-tabili dagli animali come corridoiecologici e luoghi di rifugio), dovela presenza degli ungulati risultaun elemento di disturbo e di con-flittualità sociale.

Invece, le aree prative –sianoesse o no a destinazione zootecni-ca– e le superfici boscate continuedelle zone più elevate sono consi-derate aree vocate, poiché da unlato il danno arrecatovi dai selvati-ci risulta sicuramente di minoregravità che nelle aree agricole edall’altro il loro utilizzo antropicoraramente è correlato a pratichecolturali finalizzate a stimolarnela produttività; qui la presenza delcervo è sicuramente un fattore diarricchimento ambientale e di po-tenziale attrattiva turistica da nonsottovalutare.

Su questa base, il fine ultimodel piano di lavoro è stato quello diridurre o eliminare le attrattive del-le aree non vocate per traslocarespontaneamente la popolazione diungulati nelle aree vocate, dove lasua presenza non produca signifi-cativi effetti negativi ma, addirittu-ra, possa anche essere accresciutaper altri fini.

LE AZIONI ATTUABILI NELLEAREE VOCATE ED IN QUELLENON VOCATE

Nelle aree non vocate è impor-tante programmare interventi perampie zone omogenee, in modo taleda creare notevoli estensioni di ter-ritorio in cui sia difficile per l’ani-male alimentarsi e rifugiarsi e, quin-di, ridurne al minimo l’interesse

per la frequentazione e lo staziona-mento.

I principali filoni operativi chepossono essere individuati sono iseguenti:– realizzare barriere poste a pro-

tezione delle coltivazioni suscet-tibili;

– scoraggiare le opere di prote-zione dei singoli fondi a favoredi opere che tendano ad esclu-dere aree vaste;

– ridurre le possibilità di accesso(corridoi ecologici) e di rifugio(anfratti arbustati-boscati);

– sconsigliare l’attuazione di col-ture erbacee a vantaggio dellecolture legnose;

– favorire la rimessa a colturadei fondi agricoli abbandonatiper limitare l’espansione dieventuale vegetazione arbusti-va spontanea che possa funge-re da sito di alimentazione oda rifugio temporaneo;

– favorire interventi di avviamen-to all’alto fusto delle aree bo-scate di maggior estensione ri-spetto alle ceduazioni.

In parallelo è necessario lavo-rare sulle aree vocate; in queste sa-ranno assolutamente da privilegia-re gli interventi puntuali che rea-lizzino una rete di miglioramentiambientali, mirati in particolare adoffrire il maggior numero possibiledi occasioni alimentari.

Saranno, quindi, privilegiatitutti i lavori volti a recuperare an-che il più piccolo dei terreni inqualche modo idoneo ad accoglie-re coltivazioni appetite alla faunaselvatica. Le specie da utilizzaredovranno essere scelte in manieratale non solo da permettere l’ali-mentazione degli ungulati durantetutto l’anno, ma anche da far coin-cidere la massima disponibilità pa-bulare alla maggior richiesta ali-mentare degli stessi. Fra le azionida eseguire ci sono:– ripulitura e coltivazione con

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colture a perdere delle aree agri-cole abbandonate e recuperodei vecchi pascoli;

– inerbimento di qualsiasi radu-ra in mezzo alla vegetazionearborea;

– inerbimento delle banchine chefiancheggiano le strade foresta-li, previo opportuno dirado del-la vegetazione arborea vicinaper costituire idonee condizio-ni di illuminazione. Questo in-tervento, a prima vista banale,permette, invece, di avere risor-se alimentari erbacee di unacerta estensione in aree doveprevale la vegetazione legnosa.La distribuzione spaziale degliinerbimenti, cioè in fasce stret-te e lunghe, ha anche il pregiodi evitare il concentramento dianimali in aree ristrette, stimo-landone la distribuzione suaree vaste);

– avviamento all’alto fusto deiboschi cedui (il riscoppio vege-tazionale che segue gli inter-venti funziona da potente at-trattore nei confronti degli un-gulati);

– realizzazione di punti di abbe-verata e insogli.

È necessaria, inoltre, una at-tenta valutazione circa la possibili-tà di concordare con gli enti prepo-sti un piano di contenimento dellepresenze mediante operazioni diabbattimento selettivo. Occorre ave-re ben presenti gli obiettivi di ge-stione faunistica che gli abbatti-menti devono prefiggersi di raggiun-gere. Nelle aree non vocate il finedeve essere quello, infatti, non tan-to di mantenere stabile la popola-zione ma di ridurre le presenze de-gli animali. Il piano di gestionedovrà essere, quindi, specificatamen-te calibrato per soddisfare tale esi-genza. Nelle aree vocate –nelle qua-li si intende far rimanere la popola-zione– la strategia degli abbattimen-ti, allora, deve essere pianificata

avendo bene in mente tale finalità.Per questo in tali zone l’attività dicontrollo e selezione sarà ridotta,se non esclusa.

È da aspettarsi che, in seguitoall’effettuazione degli interventi,nell’area ANPIL varierà non tantoil numero complessivo e la densitàassoluta della popolazione, quantola sua densità relativa, con la dimi-nuzione delle presenze nelle areenon vocate ed un incremento inquelle vocate.

Nel caso specifico dell’ANPILla presenza di ungulati sul territo-rio è di entità tale che qualunqueazione gestionale volta al conteni-mento del danno alle colture nonpuò prescindere dalla difesa attivadelle stesse per mezzo di barriere,almeno fino a quando le densitàfaunistiche saranno ridotte ad unlivello adeguato. Affidarsi, infatti,per la difesa delle colture solo aiprogrammi di riduzione numericadelle presenze, fra l’altro di difficileattuazione e fruttuosi solitamentenel medio-lungo periodo, esporreb-be queste a subire per molto tempoancora il danneggiamento, esaspe-rando ancor più gli animi ed acuen-do le conflittualità in atto.

Due sono state le metodologiedi lavoro suggerite all’amministra-zione:– la prima affida la immediata

difesa delle aree coltivate allacreazione di una barriera con-tinua lungo l’ideale intefracciafra aree vocate ed aree non vo-cate, in modo tale da isolare ilterritorio più sensibile da quel-lo dove gli ungulati possonostazionare senza creare eccessi-ve turbative;

– la seconda, invece, prevede lapreventiva sperimentazione del-le metodiche di contenimentodei danni su microaree oppor-tunamente individuate (focalsites) prima di passare ad unaoperatività su larga scala.

In entrambi i casi, le azionivolte a stimolare la permanenzadella popolazione di ungulati devo-no essere attuate su tutto il territo-rio vocato.

Sono i miglioramenti ambien-tali che devono avere la preceden-za sugli altri interventi poiché han-no bisogno di maggior tempo permanifestare al meglio la loro fun-zione.

Di fondamentale importanzasarà la realizzazione di colture aperdere per supportare adeguata-mente in chiave pabulare la popo-lazione che rimane confinata nellearee vocate e non indurla, quindi,a tentare di valicare la recinzioneper raggiungere le riserve alimenta-ri delle aree coltivate. Simile impor-tanza riveste la ricerca di un accor-do con i proprietari delle praterieper lasciare queste aree al liberopascolo degli ungulati.

Preventivamente alla realizza-zione delle opere difensive è stataprevista un’attività volta a ridurredrasticamente la popolazione diungulati nelle aree non vocate,mediante scacce o abbattimenti.

Con l’Ambito Territoriale diCaccia competente sarà necessarioconcordare una strategia di ridu-zione e contenimento dei capi even-tualmente stazionanti nell’area avalle della recinzione, oltre a preve-dere la realizzazione di colture aperdere e altri interventi di miglio-ramento ambientale per limitare lapressione pabulare sulle coltivazio-ni. Successivamente, sarà necessa-rio attivare un servizio estremamen-te attento per il monitoraggio dellarecinzione al fine di individuareeventuali rotture o malfunziona-menti.

Si distinguono due gruppi diattività che dovranno essere attuatinelle due diverse aree.

Le zone immediatamente su-periori alla recinzione dovrannoessere gestite in maniera tale che

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non si abbiano punti di attrazioneper la fauna selvatica. Occorre ese-guire un’oculata politica di gestio-ne forestale che favorisca interven-ti di avviamento all’alto fusto sulleceduazioni e ciò sia in chiave dimaggiore idoneità ambientale chedi riduzione dei punti di sosta erifugio. Per non ottenere l’effettoopposto sarebbe opportuno, inizial-mente, recintare tali aree, per impe-dire l’accesso alla fauna selvatica.Sempre in prossimità della recinzio-ne si dovrà evitare di realizzare col-tivazioni erbacee appetite dal cervo.

All’allontanarsi dalla recinzio-ne, all’interno dell’area vocata sa-ranno avviate le opere attrattivequali la conversione all’alto fusto,la creazione di chiarìe, il ripristinodi fondi coltivati. A tal fine, ognichiaria della copertura boschivadovrà essere ripulita dall’arbusta-me invadente e coltivata con specieidonee per attirare i grossi ungulatierbivori. Nella logica di sfruttareogni spazio disponibile, appare op-portuno rivolgersi anche alle ban-chine stradali e alle piste forestaliad uso temporaneo, che potrebberoessere opportunamente sistemateper renderle idonee ad accoglierel’inerbimento. Nei luoghi opportu-ni saranno migliorati o realizzatiex novo punti di abbeverata o diinsoglio.

Nella zona sottesa dalla re-cinzione, ovvero all’interno del-l’area non vocata, saranno esegui-te opere tendenti a ridurre l’idonei-tà ambientale per il cervo. In pros-simità delle coltivazioni le aree bo-scate dovranno essere gestite inmaniera tale da limitare le disponi-bilità alimentari. Ancora una voltasi ricorrerà, ove possibile, alla con-versione all’alto fusto, alla ripuli-tura dal sottobosco, alla riduzionedi tutte quelle condizioni che pos-sano renderle idonee come aree dirifugio, sosta, alimentazione o tran-sito da parte del grosso ungulato.

All’allontanarsi dagli insedia-menti umani le opere si diraderan-no gradualmente per lasciare il pas-so a quelle “debolmente attrattive”(occorre non dimenticarsi che an-che per tale area non è previstal’opzione zero). La residua popola-zione di cervo, all’interno delle areenon vocate, dovrebbe infatti con-centrarsi in aree poco esposte aldanneggiamento. Tuttavia tale ipo-tesi richiede una popolazione ca-pace di “distinguere” fra le zonedove è tollerata da quelle dove nondeve essere presente. Non potendopretendere tanto, occorrerà preve-dere la rimozione artificiale di al-cuni esemplari. Nella gestione del-le aree è prevista, quindi, anche lacreazione, in luoghi idonei, di areeprivilegiate di avvistamento e tiro.

Per le coltivazioni a perderesarà necessario verificare le realipreferenze alimentari della popola-zione ed individuare i periodi dimassima richiesta. A questo riguar-do molti dati possono essere desun-ti anche dalla bibliografia, ma èopportuno non trascurare gli effettidi abitudini e usi locali della popo-lazione; al fine di incrementare ledisponibilità alimentari possonoessere attuati anche impianti di frut-ti selvatici o coltivazioni di specieparticolari.

Per la gestione del bosco sidovrà verificare l’effettiva appetibi-lità dei ricacci delle diverse specie esarà necessario anche valutare l’in-cidenza sulla densità relativa dellapopolazione indotta sia dalle ce-duazioni che dagli avviamenti al-l’alto fusto.

La gestione del bosco va diffe-renziata da zona a zona in relazio-ne alla funzione che deve assolve-re. Dove occorre ridurre la presen-za stabile della popolazione, si pri-vilegiano gli interventi di avviamen-to all’alto fusto e i lavori volti allaripulitura del sottobosco. Dove sivogliano interrompere i corridoi di

spostamento si favorisce l’avviamen-to all’alto fusto. Dove si voglia man-tenere la popolazione, devono esse-re privilegiati interventi volti ad ac-crescere le possibilità di alimenta-zione e rifugio, quindi prevalente-mente ceduazioni e creazioni dichiarìe.

Occorre, comunque, evidenzia-re come la ceduazione del bosco inaree ad alta densità di grossi erbi-vori espone le ceppaie a subire pe-santi danni ai ricacci, tanto che incasi estremi i brucamenti ripetutiinducono al portamento nanizzatodei polloni, riducendo il ricaccioad un ammasso di innumerevolipolloncini che ricopre l’intera cep-paia tipo cuscino; in questi casi,quand’anche il brucamento cessas-se, lo sviluppo dei polloni sarebbemorfologicamente compromesso nelfuturo ciclo produttivo ed i conti-nui brucamenti avrebbero minatola vitalità della ceppaia, riducendo-ne le aspettative di vita. Proprio perevitare danneggiamenti al sopras-suolo arboreo, che potrebbero inseguito innescare problematicheben più gravi di quelle che si vor-rebbe risolvere, riteniamo indispen-sabile valutare caso per caso le ce-duazioni boschive per accrescere ledisponibilità alimentari delle aree.

Per le protezioni alle colturesarà opportuno valutare l’efficaciadi varie tipologie di difese, dalleindividuali, come shelter plastifica-ti o cilindri di rete metallica, allerecinzioni temporanee o permanentidi vasti territori, come recinti elet-trificati realizzati con vari materia-li (fettuccia elettrica, filo di ferroacciaiato), reti metalliche di variogenere, ecc.

Per i miglioramenti ambien-tali si dovrà verificare l’effettiva fre-quentazione (gradimento) dei pun-ti di insoglio o abbeverata realizza-ti e l’opportunità di modificarne ladislocazione e le caratteristichemorfo-dimensionali.

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Le offerte trofiche dovrannoessere calibrate in maniera tale damantenere una popolazione stabi-le e in buona salute ma, al contem-po, senza offrire un surplus tale daattirare nuove presenze.

L’intero onere economico diquesta fase dovrà necessariamenteessere a carico degli enti pubbliciche verranno coinvolti nel proget-to, in modo tale che l’operativitàsia la più libera possibile da condi-zionamenti dei privati interessati avario titolo dagli interventi; d’altrocanto, la disponibilità dei privatidovrà essere massima per garantirelo svolgimento di attività sperimen-tali realmente significative.

Anche in questa fase si rivele-rà fondamentale ottenere il coin-volgimento e la disponibilità deiproprietari dei terreni. Alla valuta-zione di personale particolarmenteesperto in gestione faunistica dovràessere affidato il compito di indivi-duare le zone più idonee alle diver-se attività, stabilendo le prioritàd’intervento ed adeguando il proto-collo delle operazioni alle esigenzeparticolari dei luoghi. Successiva-mente alla loro realizzazione, leopere dovranno essere monitoratecon estrema regolarità, annotandogli sviluppi e provvedendo a mette-re in atto eventuali correttivi. Sipropone una gestione adattativa delprocesso procedendo secondo unametodica per “trials and errors”. Laverifica dell’efficacia delle opera-zioni dovrà necessariamente esten-dersi anche a questa seconda faseper mezzo di sopralluoghi e valuta-zione di eventuali danni. In talemodo, e comparando lo sforzo diprevenzione con l’incidenza dellepresenze di cervo, sarà possibile ag-giustare il sistema in corso direalizzazione e renderlo realmenteefficace al raggiungimento dello sco-po prefissato.

È intuitivo il fatto che la stra-tegia operativa potrà raggiungere

gli obiettivi prefissati solo se le azio-ni saranno condotte in modo ap-propriato e coinvolgendo la mag-gior parte possibile del territorio. Secosì non fosse, infatti, è da atten-dersi un accrescimento localizzatodei danni nelle aree non efficace-mente protette, o la migrazione dimassa della popolazione verso al-tre zone.

Si prevede che la durata diquesta fase sperimentale debba pro-trarsi per almeno cinque anni, cioèil tempo strettamente necessario adimpiantare le sperimentazioni econdurre le verifiche.

CONCLUSIONII primi esemplari di Cervo

Nobile hanno fatto la loro compar-sa nel territorio dell’Anpil circa ven-ti anni fa. Si irradiarono sponta-neamente dalla vicina riserva na-turale di Acquerino suscitando, ini-zialmente, un generale sentimentodi soddisfazione. La presenza diquesti ungulati venne interpretatada tutti come un momento di arric-chimento naturalistico dell’area.

Ben presto, però, cominciaro-no i problemi. Con il progressivoaumento numerico della popola-zione i danni alle colture divenne-ro sempre più intensi e diffusi ed ilfronte dei “soddisfatti” cominciò adincrinarsi, lasciando spazio alle cri-tiche e alle polemiche che, in talu-ni frangenti, raggiunsero toni daconflitto sociale. Il maggior puntodi attrito fra agricoltori ed ammini-stratori verteva non tanto sulla pre-senza del cervo, quanto sull’inca-pacità di attuare una politica ge-stionale efficace della popolazioneo, perlomeno, approntare una stra-tegia operativa per prevenire il veri-ficarsi dei danneggiamenti. Proprioin risposta all’inerzia pubblica, nac-que il fenomeno della recinzionespontanea dei coltivi, attuata ovun-que e con qualsiasi materiale, adispetto delle rigide regole del Pia-

no Territoriale di Coordinamentodell’ANPIL che vieta interventi diquesto tipo.

La sola risposta concreta datain tutti questi anni agli agricoltoriesasperati dai continui danneggia-menti delle colture è stata, quandoè arrivata, quella dell’ATC. I risar-cimenti, però, non sono stati quasimai in grado di coprire l’effettivaentità del danno. Più di recente si èprovveduto anche alla fornitura gra-tuita delle recinzioni elettriche. Suquesta popolazione di cervo sonostati condotti numerosi studi, a va-rio livello, incentrati però più sutematiche demografiche ed etologi-che che con finalità propriamentegestionali. Nel Demanio Regionaledi Acquerino Cantagallo, poi, sonostati eseguiti negli anni passati dal-la Comunità Montana Val di Bi-senzio in collaborazione con l’AR-SIA alcuni interventi di recuperodei pascoli, proprio finalizzati adaccrescere le disponibilità pabulariper gli erbivori selvatici e limitarne,quindi, l’erratismo a fini alimenta-ri; ma i risultati conseguiti sonostati molto deludenti. Sempre nellastessa area, ma sotto l’egida dellaProvincia di Prato sono in corsoaltre sperimentazioni, i cui risulta-ti, però, non sono stati ancora resipubblici.

Le soluzioni prospettate pos-sono apparire, a prima vista, bruta-li e onerose, ma riflettendo con at-tenzione sulla natura del fenome-no, l’entità e l’estensione del dan-no e il malcontento fra la popola-zione, non si può che conveniresulla inderogabile necessità di at-tuare interventi su vasta scala e dipronta efficacia. D’altronde, le al-ternative operative teoricamentepossibili, cioè la rapida riduzionenumerica della popolazione di cer-vo attraverso abbattimenti di mas-sa, appaiono ben più brutali e conun grado di difficoltà d’attuazioneparagonabile alla posa della rete.

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Inoltre, da un punto di vista natu-ralistico, la presenza equilibrata delcervo garantisce un punto nodaleimportante nella rete alimentarecontribuendo a mantenere in buo-ne condizioni la vegetazione e assi-curando disponibilità alimentarialle specie predatrici.

Per riportare tranquillità nelmondo agricolo e al contempo nonimpoverire il territorio di una pre-senza faunistica straordinariamen-

te significativa occorre trovare unpunto di compromesso fra le varieesigenze.

La permanenza di una popo-lazione di cervo vitale ed equilibra-ta può contribuire a fornire nuoveopportunità di sviluppo delle areerurali.

Il presente studio rappresentail primo tentativo di attuare unprogramma d’intervento organicovolto espressamente a ridurre la

pressione pabulare di questi ani-mali sulle colture agrarie e, quindi,cercare di attenuare il fenomenodei danneggiamenti. Questa è lasola finalità che lo studio si pone,offrendo agli amministratori unastrategia operativa che non deveessere intesa come una strategia dicontenimento della popolazione,ma di riduzione dell’interesse e del-l’effetto degli ungulati sulle coltiva-zioni.

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RECENSIONIGordon N., McMahon T.A.,Finlayson B.L., Gippel C.J.,Nathan R.J.

STREAM HYDROLOGY. Anintroduction for ecologists

John Wiley & Sons, 2004.

giano ben presto il biologo o l’eco-logo che voglia approfondire le pro-prie conoscenze in questo partico-lare settore. Chi è avvezzo ad osser-vare unghie tarsali oppure a ra-schiare diatomee difficilmente sidestreggia tra integrali, curve di fre-quenza, formule di profili di veloci-tà ed altre simili diavolerie… Comesottolineato sin dal titolo, questotesto si propone proprio di renderemaggiormente comprensibili agliecologi i concetti essenziali dell’idro-logia. I diversi capitoli fornisconoinformazioni sulle tecniche di rac-

Gli ambienti lotici sono siste-mi estremamente complessi, dotatidi una enorme variabilità ambien-tale. Proprio per questa grande va-rietà di situazioni, i fiumi, dallasorgente alla foce, possono essereconsiderati una successione di eco-sistemi differenti oppure un unico‘ecosistema aperto’. Mentre varia-no granulometria del substrato, ca-ratteristiche chimiche dell’acqua,ampiezza e pendenza dell’alveo,importanza degli input energeticialloctoni ed autoctoni, un unicoelemento accomuna ed unifica ilfiume durante tutto il suo sviluppo:l’acqua in movimento.

Le caratteristiche idrologichedei corpi lotici sono tradizional-mente un terreno di indagine diingegneri, geologi e geomorfologi:di norma, i testi più diffusi scorag-

colta dati, sull’analisi in situ dellecaratteristiche idrologiche, sull’idro-dinamica delle acque correnti, sul-le forze che regolano e plasmano lamorfologia degli alvei, sui cicli dierosione, trasporto e sedimentazio-ne ed altro ancora.

Particolare cura viene data,nei primi capitoli, ad una correttaacquisizione e lettura delle osserva-zioni e misurazioni di campo, men-tre i successivi sono dedicati al-l’analisi statistica ed integrata deidati.

La lettura di questo libro pre-senta una duplice utilità per il bio-logo ambientale: da un lato, per-mette di approfondire temi ed ac-quisire informazioni che possonomigliorare decisamente la capacitàdi osservare e di comprendere lecaratteristiche e le problematichedi un tratto fluviale; dall’altro, for-nendo in maniera chiara terminie concetti di idrologia applicata,permette di interagire meglio conle altre figure professionali che sioccupano della pianificazione ter-ritoriale, in quanto la gestione ed–ancor più– il recupero dei nostrifiumi non può prescindere da unapproccio realmente integrato.

Stefano Fenoglio

Renzo Moschini(Presentazione di Matteo Fusilli)

PARCHI, A CHE PUNTOSIAMO? Un’analisi senzaomissis della crescita del si-stema italiano delle areeprotette.

Edizioni ETS, Pisa, 2006. 138 pp.12 Euro.

Un sottile filo rosso collegal’ecologia, l’ecologia applicata, laconservazione, la pianificazione ela gestione delle aree protette. Ascala nazionale, la conservazionedella natura, oltre che attraversospecifiche strategie, si attua anchee soprattutto attraverso la struttu-razione di un’adeguata pianifica-zione territoriale e di una ordina-ria ed efficace gestione del sistemadelle aree protette. Tale sistema, pro-

prio per ottenere la massima effica-cia nel raggiungimento degli obiet-tivi di conservazione di specie, co-munità, ecosistemi, paesaggi, do-vrebbe essere all’altezza dei compi-ti assegnati. Il libro di Renzo Mo-schini, che fa parte di una collanasull’argomento edita dalla ETS diPisa, fa il punto sullo stato delsistema parchi in Italia, analizzan-done a fondo lo stato attuale e ipunti di debolezza. Il lavoro è di

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notevole interesse per coloro che sioccupano di gestione di parchi eriserve naturali: vengono infattichiarite molte dinamiche “dietro lequinte” che non tutti gli addetti ailavori conoscono e che spieganol’arretratezza di alcuni enti, i gio-chi politici e la miopia delle ammi-nistrazioni centrali e periferiche nelperseguire quella sfida alla struttu-razione di un sistema complesso,articolato e funzionale, come quel-lo delle aree protette, oramai dive-nuto biglietto da visita e indicatoredei paesi più evoluti culturalmen-te.

Nel libro si sottolineano alcu-ne delle incongruenze tipiche delsistema nazionale delle aree protet-te ove ad un crescente numero diqueste ultime non segue una quali-tà altrettanto elevata in termini diconservazione della biodiversità,gestione, servizi resi al pubblico frui-tore ed alle comunità locali. Unaltro punto affrontato dall’analisidi Moschini è il gap tra enfasi asse-gnata dalle strutture centrali (Mini-stero dell’Ambiente) ai parchi na-zionali e superficialità o indifferen-za verso il forse più articolato siste-ma delle aree protette regionali.Molti esempi aiutano a costruire

un quadro per molti versi sconfor-tante e, al tempo stesso, pieno diopportunità per un governo chevolesse investire su questi temi. Traquesti, da leggere (sottolineando conmatita) il caso (drammatico) delGennargentu e di gran parte deiparchi sardi; il ruolo assegnato alleCapitanerie di Porto rispetto allearee protette marine, con una sem-bra ben precisa scelta di perseguireuna filosofia burocratico-autorizza-tiva per la gestione di queste aree; eancora, i deludenti lavori di unacommissione (detta “dei 24”) sullalegge delega ambientale; il commis-sariamento di molti Enti parco ealtro ancora.

Nel testo si accenna anche altema delle reti ecologiche e allainflazione di questo termine (contutte le sue varianti), posto comeslogan e non come concetto forteportatore di significato, che puònuocere al sistema dei parchi e allaconservazione della natura in toto,spostando l’attenzione su altre en-tità territoriali (corridoi, reti, ecc.)ancora non definite fisicamente. Ilpericolo è che esse stesse possanofungere da alibi per la dismissionedi parchi e riserve perché “non fun-zionali ecologicamente al sistema

di rete”. Su questo argomento si stamolto discutendo negli specificicampi disciplinari e si sottolineada più parti il pericolo di uno svuo-tamento di significato di concetti eprocessi (reti ecologiche e frammen-tazione ambientale) che invece ap-paiono, globalmente, come argo-menti prioritari di interesse. È inol-tre forte il pericolo che argomenticosì delicati possano essere impu-gnati da forze politiche contrariealla nuova istituzione o al mante-nimento di determinate aree protet-te.

La riflessione si conclude conalcune idee inserite in una prospet-tiva più ampia di quella nazionale,verso un quadro europeo, cui quasifisiologicamente dovremmo conver-gere. In tal senso, si propongonosinteticamente dei collegamenti adesperienze europee di un certo inte-resse.

Il testo è ricco di informazio-ni ed è permeato dall’entusiasmo edalla esperienza dell’autore che aquesto lavoro ha dedicato e dedicatuttora il suo tempo nell’ambito diFederparchi, ove dirige l’Osservato-rio dei Parchi Europei.

Corrado Battisti

Giuseppe Gisotti

AMBIENTE URBANOIntroduzione all’ecologiaurbana

Dario Flaccovio Editore, Palermo,2007. Collana SIGEA di geologiaambientale. Pagine 515, euro 40,00.www.darioflaccovio.it

La grande città è il luogo piùimportante di scambio di idee e diprogetti, e anche di flussi di energiae di materia. Tali flussi, che costi-tuiscono sia i fabbisogni che gli

scarti, coinvolgono e impattano ter-ritori sempre più grandi e lontanidalla città. Un altro aspetto pecu-liare della metropoli consiste nellaenorme concentrazione di indivi-dui: infatti è il luogo dove conflui-sce l’energia intellettuale, dove mas-sime sono le opportunità di svilup-po culturale, ma è anche il luogopiù soggetto a rischi, sia naturaliche di origine antropica.

Le grandi città presentano unampio spettro di problemi ambien-tali che possono essere oggetto diprevisione e prevenzione con l’ap-plicazione di principi climatici, bio-geografici, geologici, ecologici.

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Informazione&Documentazione

L’Autore mette in evidenzacome la pianificazione urbanisti-ca, sia per le città in declino cheper quelle in rapida espansione,richieda con urgenza un significa-tivo contributo delle scienze am-bientali. Questo sia per assicurareuna migliore qualità della vita cheper contrastare la minaccia di eventicatastrofici quali inondazioni, fra-ne, terremoti, tsunami, epidemie,blackout, crolli di edifici per defi-cienze strutturali, incendi ecc. Vada sé che queste considerazioni nonpossono essere disgiunte da valuta-zioni socio-economiche, storiche epolitiche.

Il testo inizia con un breveesame di come siano state e venga-no studiate le città, per poi trattaredello stretto legame fra le funzionisocio-economiche delle città e illoro ambiente bio-fisico. Prende inesame i flussi di energia e di mate-ria –il cosiddetto metabolismo ur-bano– per poi passare all’analisidella geologia e della biogeografiadelle città.

Il volume si pone come obiet-tivo l’approccio ecologico alla cittàpoiché affronta il sistema urbanosotto l’ottica dei suoi cicli bio-geo-chimici, con l’intento di mostrarenon solo la struttura e le funzionidi un ecosistema sui generis qualeè quello urbano, ma anche i pro-cessi antropici che portano all’in-quinamento urbano e i modi perridurre, attraverso una politica de-gli spazi verdi, della tutela deglihabitat, del risparmio energetico,

della accorta gestione della mobili-tà urbana, il pesante impatto suicittadini del loro stesso stile di vita.

Esiste un parallelismo rilevan-te tra la crisi della scienza moder-na, incapace a rappresentare i fe-nomeni naturali, e la crisi dellapianificazione urbanistica, ineffica-ce nell’affrontare la cosiddetta “que-stione ambientale”, ovvero l’elimi-nazione di ogni forma di antagoni-smo tra la rapidissima crescita deltessuto urbano e la lentezza deiprocessi umani e/o naturali.

Quando si sarà presa coscien-za dell’interrelazione che esiste frala città e la regione circostante, delconcetto che la città è un sistemacomplesso che immagazzina mate-ria ed energia ed elimina scarti dimateria ed energia, allora forse sisarà sulla buona strada per miglio-rare il luogo dove la maggior partedella gente vive e lavora. Infatti, lacittà è assimilabile a un ecosiste-ma, seppure poco naturale e moltoartificiale, al quale possono essereapplicate le leggi dell’ecologia peruna migliore comprensione dellesue funzioni e della sua strutturatrofica.

Perché il libro vuole esseresolo una introduzione all’ecologiaurbana? Per le strette analogie maanche per le marcate differenze cheesistono fra la città e un ecosistemanaturale: un ecosistema naturale èequilibrato, di esso riusciamo a com-prendere la struttura e il funziona-mento mentre, per la città, un ana-logo approccio non funziona o fun-

ziona male; in un ecosistema natu-rale esiste un limite alla crescita,mentre la crescita delle metropolisembra essere illimitata.

Il tentativo di applicare le leg-gi dell’ecologia al sistema urbanonon deve essere una pura esercita-zione accademica, come spesso è,ma un modo per cercare di indivi-duare la struttura e il funziona-mento di un sistema complesso alloscopo di gestirlo e migliorarlo, per-ché in questo sistema si vive, congrandi problemi e pericoli: in altreparole un “approccio integrato tragli aspetti socio-economici e quelliambientali” deve trasformarsi in“azione di governo” senza restaresolo “azione speculativa”.

Purtroppo non si riescono an-cora a dominare i gravi e crescentiproblemi della città e pertanto lastrada da percorrere rimane lungaprima di poter affermare che lacittà è un ecosistema su cui è possi-bile incidere per renderlo più vivi-bile.

Il volume unisce al rigorescientifico dell’approccio teorico lacapacità di affrontare in modo pra-tico le diverse aree problematichecon esempi concreti di applicazio-ne delle metodologie di volta involta proposte (casi di studio). Latrattazione viene affrontata in un-dici capitoli, per consentire unaanalisi equilibrata e sistematica deisingoli aspetti; nell’ultimo capitolovengono illustrate le proposte peruna città sostenibile.

Corrado Battisti

BIOLBIOLBIOLBIOLBIOLOGIAOGIAOGIAOGIAOGIAAMBIENTAMBIENTAMBIENTAMBIENTAMBIENTALEALEALEALEALE NORME PER GLI AUTORINORME PER GLI AUTORINORME PER GLI AUTORINORME PER GLI AUTORINORME PER GLI AUTORIManoscritti. I lavori proposti per la pubblicazione, compatibilmentecon il loro contenuto, devono essere suddivisi in: introduzione,materiali e metodi, risultati, discussione, eventuali ringraziamenti,bibliografia, tabelle, figure. Qualora il lavoro sia già stato pubblicatoo sottoposto all’attenzione di altri editori, la circostanza deve esserechiaramente segnalata: in tal caso il lavoro potrà essere preso inconsiderazione solo per la recensione nella sezione Informazione &Documentazione.

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Bibliografia. Al termine del testo deve essere riportata la bibliografiain ordine alfabetico. Ad ogni voce riportata nella bibliografia devenecessariamente corrispondere il riferimento nel testo e viceversa.Per il formato tipografico e la punteggiatura, attenersi strettamenteai seguenti esempi:DUTTON I.M., SAENGER P., PERRY T., LUKER G., WORBOYS G.L., 1994. An

integrated approach to management of coastal aquatic resources.A case study from Jervis Bay, Australia. Aquatic Conservation: marineand freshwater ecosystems, 4: 57-73.

HELLAWELL J.M., 1986. Biological indicators of freshwater pollutionand environmental management. Elsevier Applied SciencePublishers, London and New York, 546 pp.

PULLIAM H.R., 1996. Sources and sinks: empirical evidence andpopulation consequences. In: Rhodes O.E., Chesser R.K., Smith

M.H. (eds.), Population dynamics in ecological space and time. TheUniversity of Chicago Press, Chicago: 45-69.

CORBETTA F., PIRONE G., (1986-1987) 1988. I fiumi d’Abruzzo: aspettidella vegetazione. In: Atti Conv. Scient. “I corsi d’acqua minoridell’Italia appenninica. Aspetti ecologici e gestionali”, Aulla (MS),22-24 giugno 1987. Boll. Mus. St. Nat. Lunigiana 6-7: 95-98.

Proposte di pubblicazione. Il manoscritto cartaceo va inviate a:Redazione di Biologia Ambientale,

c/o Giuseppe Sansoni, Viale XX Settembre 148 – 54033Carrara (MS)

Il manoscritto deve essere accompagnato da una copia su supportomagnetico; in alternativa, quest’ultima può essere inviata all’indirizzodi posta elettronica [email protected] manoscritti saranno sottoposti alla lettura di revisori scientifici;entro due mesi l’autore indicato come referente per la corrispondenzaverrà informato delle decisioni della redazione. Per evitare ritardinella pubblicazione e ripetute revisioni del testo, si raccomandavivamente agli autori di prestare la massima cura anche alla formaespositiva che deve essere concisa, chiara, scorrevole e in buonitaliano, evitando neologismi superflui. Tutte le abbreviazioni e gliacronimi devono essere definiti per esteso alla loro prima occorrenzanel testo. I nomi scientifici delle specie devono essere sottolineati(saranno convertiti in corsivo prima della stampa). I dattiloscritti,compreso il materiale illustrativo, non saranno restituiti, salvoesplicita richiesta dell’autore all’atto dell’invio del materiale. Laredazione si riserva il diritto di apportare ritocchi linguistici e graficie di respingere i manoscritti che non rispettano i requisiti dellepresenti norme per gli autori. Le opinioni espresse dagli autorinegli articoli firmati non rispecchiano necessariamente le posizionidel C.I.S.B.A.

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Volume 21Numero 1Maggio 2007

Info

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SOMMARIO

Lavo

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3 CIUFFARDI L., MARIOTTI M.G. - Monitoraggioqualitativo del popolamento di anfibi presentepresso lo Stagno di Roccagrande (GE)

9 PINI PRATO E. - Descrittori per interventi di ripri-stino della continuità fluviale: Indici di Priorità diIntervento

17 CARAVELLO G., PIVOTTO B. - Individuazione diconfini ecologici per un paesaggio fluviale nel trat-to ritrale de “La Brenta”: Bassano del Grappa-Tezze sul Brenta

27 SAVORELLI F., PALAZZI D., GORBI G., INVIDIA M.,SEI S., MAGALETTI E., MANFRA L., GELLI F. -Messa a punto di una metodologia di saggio a 14giorni su Artemia franciscana e A. parthe-nogenetica

37 BARONE E., DI PARDO L., MELLONI A., CHIA-RETTI G., BONADONNA L., MANUPPELLA A. -Attendibilità di metodi utilizzati per la determina-zione di coliformi ed Escherichia coli in acque dadestinare al consumo umano

43 FORNERIS G., MERATI F., PASCALE M., PEROSINOG.C. - Indice Ittico - I.I.

61 CARRADORI R., POZZI D. - Il Cervo Nobile in Italia(Cervus elaphus, L. 1758). Biologia, gestione econservazione

68 CARRADORI R., POZZI D. - La gestione del CervoNobile (Cervus elaphus, L. 1758) nelle areeprotette. Il caso dell’ANPIL del Monteferrato(Prato)

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