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Avvocato Giuseppe Lanunziata Oplologo

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Avvocato G iuseppe Lanunz iata Oplologo

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Compendio breve di

BALISTICA IDENTIFICATIVA FORENSE su

munizioni, polveri da lancio ed esplosivi

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Alla mia amata consorte che mi permette di coltivare

questa stupenda passione dedico

Al Prof. Saverio Buffa, Chimico insigne,

Gran Maestro :. la sua lezione di vita rimarrà scolpita nel mio cuore.

dedico

a tutti gli appassionati dedico

…raunai le fronde sparte Inf. XIV, 2

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Nota introduttiva

Per i meno esperti, la balistica s’identifica come una materia piena d’incomprensibili formule matematiche ed un linguaggio tecnico che a volte appare ermeneutico ai molti. Il lessico qui adoperato può apparire ostico a chi legge, anche se, per la verità, ho tentato in ogni modo di mitigare quelle che sono le ineluttabilità connesse al tecnicismo. Del resto, la qualità di questo compendio di valore strettamente scientifico è legata ad un gergo che, se non curiale, deve essere improntato all’adeguata ed idonea precisione e puntualità nei riferimenti.

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prefazione

La scarsa conoscenza della balistica, delle sue semplici regole e delle leggi fondamentali chimico fisiche poste alla base del fenomeno combustivo, da parte di chi è chiamato a giudicare una condotta umana penalmente rilevante, o più semplicemente a studiare il fenomeno balistico, mi hanno spinto ad ordinare in un modo semplice ed elementare, almeno spero, una gran parte di tutti quegli elementi identificativi.

La passione che nutro verso la scienza della balistica, mi ha portato ad attingere notizie, formule e suggerimenti pratici su riviste, testi scientifici e vecchi libri di scuola, in ogni modo, non tralasciando le udienze nelle Aule di Giustizia, sforzandomi di dare una risposta a tutti gli interrogativi rimasti insoluti.

L’impegno e la perseveranza profusi durante i lavori di ricerca, siano, mi auguro, di stimolo a nuovi scritti, affinché la balistica non sia più considerata un’alchimia od una scienza inesatta e sia giustamente e serenamente considerata come una disciplina organica in cui confluiscono, così come confluiscono gli affluenti in un fiume, leggi matematiche, fisiche e chimiche.

L’autore

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Presentazione dell’autore

L’Avvocato Giuseppe LANUNZIATA, autore di questo breve compendio è un appassionato oplologo che vive e lavora in Foggia, con Studio alla via Trieste civ.15. (recapiti tel. 0881.725.949 – 349.10.70.150)

Nel 1984, dopo il conseguimento del diploma di

Laurea in Giurisprudenza presso l’università degli Studi di Chieti, ha frequentato con diligenza e profitto le Aule di Giustizia per la pratica forense, prediligendo quelle penali.

Conseguiva l’abilitazione tecnica rilasciata ai

sensi dell’art.31 della Legge nr.110/1975 dalla Commissione Provinciale per le armi e materie esplodenti riunita presso la Prefettura di Foggia per l’attività di Direttore Istruttore di tiro con armi da fuoco, nonché l’abilitazione alla riparazione d’armi da fuoco rilasciata, ai sensi dell’art.8 della Legge nr.110/1975, dalla stessa Autorità Prefettizia.

Il radicato senso dell’Onore, insieme alla

ricchezza dell’Amore per la Bandiera lo hanno spinto ad interessarsi dei problemi del mondo delle Forze dell’Ordine.

Per anni ha svolto, con soddisfazione l’incarico di

Consulente per la maggior Organizzazione sindacale di Polizia Penitenziaria, collaborando in modo autonomo e senza soluzione di continuità, quale articolista, con il periodico “Polizia Penitenziaria Domani”.

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Ha eseguito, in via stragiudiziale ed in

procedimenti penali pendenti dinanzi all’Autorità Giudiziaria, anche su delega del Gabinetto di Polizia Scientifica della Questura di Foggia, perizie e consulenze tecniche su armi da fuoco comuni, guerra e tipo guerra, armi bianche ed ex ordinanze.

Esercita, in Foggia, la gratificante professione di

Avvocato. Tutor incaricato presso la Scuola forense di

Capitanata per l’insegnamento delle materie di diritto e procedura penale.

Collabora, quale articolista, con la redazione de

“La virgola” Rassegna dell’Ordine Forense di Foggia. Con Delibera nr.21 del 23 dic.’04 il Consiglio

dell’Ordine degli Avvocati ha espresso il “nulla osta” all’esercizio dell’attività di consulente del Giudice.

Iscritto al nr.01 della categoria “Balistica”

nell’Albo degli Esperti penali d’Ufficio presso il Tribunale di Foggia.

Foggia lì, gennaio ‘07

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I N D I C E

Capitolo 1 Balistica identificativa forense 1.1 Esempio di una metodologia d’indagine 1.2 Impronte d’interesse balistico 1.3 Impronte sul bossolo 1.4 Impronte sul proiettile 1.5 Impronte presenti sul bossolo relative al conio 1.6 L’esame al microscopio comparatore ottico 1.7 Il Microscopio a scansione (SEM) 1.8 La Microsonda a raggi X (EDX) 1.9 Le moderne metodologie d’indagine

ricerche eseguite con SEM - EDX Capitolo 2 Nozioni di fisica applicata 2.1 Il Minuto d’angolo 2.2 Il moto del proiettile nel vuoto 2.3 Nozioni di fisica applicata alle macchine balistiche 2.4 Il terzo principio della dinamica newtoniana applicato alla Fisica della chiusura labile od inerziale “blowback” 2.5 L’energia del rinculo 2.6 Un esempio concreto di calcolo Capitolo 3 La cartuccia e suoi componenti 3.1 I proiettili 3.2 Tipologia delle ogive 3.3 Le ogive del tipo “cast”

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3.4 La velocità delle ogive 3.5 Variazioni di rendimento balistico 3.6 Le “Express” 3.7 L’innesco 3.8 Il bossolo 3.9 Le cartucce ecologiche Capitolo 4 Storia dell’evoluzione dei sistemi d'accensione dei sistemi d’arma 4.1 I primi meccanismi d’accensione; 4.2 Il meccanismo della ruota; 4.3 L’acciarino ed il focile; 4.4 La percussione; 4.5 La retrocarica; 4.6 La cartuccia a spillo Capitolo 5 Le polveri da lancio 5.1 Le famiglie 5.2 Le caratteristiche fisico - chimiche delle polveri 5.3 La gelatinizzazione 5.4 Il fenomeno combustivi 5.5 La camera a polvere 5.6 Identificazione dei processi fisico chimici Capitolo 6 Altri tipi di esplosivi 6.1 Cenni storici 6.2 Le polveri senza fumo 6.3 La chimica delle polveri infumi 6.4 Caratteristiche chimiche del cotone collodio, fulmicotone, nitroglicerina

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6.5 La dirompenza esplosiva 6.6 Classificazione commerciale delle polveri 6.7 Monobasiche e Bibasiche pregi e difetti 6.8 Classificazione dei fuochi artificiali 6.9 Le miscele pirotecniche Capitolo 7 Micce, Detonatori, Ordigni Esplosivi 7.1 Tipi di micce 7.2 Detonatori comuni ed elettrici 7.3 L’innescamento 7.4 Principali prove di riscontro da eseguirsi sui detonatori 7.5 Ordigni esplosivi, caratteristiche e procedure di primo intervento 7.6 L’impiego d’esplosivi da mine 7.7 Esplosivi militari da scoppio 7.8 Le cariche cave 7.9 Esplosioni mancate ed incidenti Capitolo 8 Nozioni di chimica organica 8.1 L’isomeria 8.2 Formule e nomenclatura 8.3 I gruppi funzionali 8.4 Idrocarburi saturi ed insaturi 8.5 Idrocarburi acetilenici ed aromatici 8.6 Le reazioni d’addizione 8.7 Fenoli, aldeidi e chetoni 8.8 Esteri, eteri ed ammine 8.9 I polimeri

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Capitolo 9 I Composti esplosivi 9.1 Idrazina e suoi derivati 9.2 Il metano e suoi derivati 9.3 Gli esteri nitrici 9.4 Le dinamiti 9.5 Le gelatine gomme 9.6 Le nitrocellulose 9.7 Le polveri infumi. 9.8 Altri esplosivi facilmente reperibili 9.9 Il Tritolo e suoi derivati Capitolo 10 La brunitura delle armi 10.1 Il processo di brunitura – cenni storici 10.2 La Parkerizzazione 10.3 Principali prodotti chimici utilizzati per la brunitura; procedure d’ossidazione Capitolo 11 L’indagine peritale tipo 11.1 Protocollo operativo 11.2 Falso positivo e falso negativo 11.3 La memoria tecnica 11.4 L’utilizzo dei risultati peritali 11.5 La perizia nell’incidente probatorio 11.6 Accertamenti tecnici dibattimentali 11.7 L’escussione dibattimentale 11.8 La valutazione dei risultati 11.9 Conclusioni

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Appendice

- Disposizioni di legge vigenti in materia per il versamento a titolo definitivo di armi e munizioni.

- Tabelle caratteristiche chimico fisico balistiche di alcune

polveri. - Tabelle composizione chimica degli inneschi usati nella

produzione industriale di cartucce per pistola di facile reperibilità.

- Tabelle codici del Banco Prova Armi - Facsimile di una relazione tecnica

Indice analitico per argomenti

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Capitolo 1 La balistica identificativa forense

Ogni arma a canna rigata presenta al suo interno

una serie di nervature elicoidali che imprimono all’ogiva della cartuccia un movimento rotatorio stabilizzatore attorno al suo asse (il c.d. avvitamento); secondo precisi studi progettuali ad ogni singolo modello d’arma è determinato il numero di queste nervature, la loro larghezza, il verso ed il passo, ossia la distanza che determina la loro periodicità, in altre parole, in termini meno ostici, la distanza che idealmente l’ogiva percorrerebbe per compiere un giro d’avvitamento completo sul suo stesso asse.

Queste nervature o righe primarie, al momento dello sparo, si trasferiscono in modo speculare sulla superficie dell’ogiva sotto forma d’impronte di rigatura perfettamente identiche per passo, numero, larghezza e verso. Ad ogni determinato modello e tipo di arma da fuoco a canna rigata corrispondono determinati valori di rigatura (c.d. classe dell’arma) che individuano, pertanto, un rapporto di compatibilità tra l’arma ed il proiettile esploso oggetto dell’indagine balistica. Seguendo questo principio, nel lontano 1920, lo statunitense professor Charles Waite iniziò a classificare le armi in base alla larghezza della rigatura, ricavandone un’opera che è, ancora oggi, la valida chiave di volta interpretativa per la balistica forense. Oggi esistono archivi, gestiti ed aggiornati secondo il criterio del “tempo reale” con i dati forniti direttamente dalle case costruttrici, sufficientemente esaustivi come quello del Centro di Balistica dell’Istituto di Medicina legale dell’Università di

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Genova o del G.R.C dell’F.B.I., capaci di individuare, mediante il “criterio per eliminazione”, un’arma partendo dalla larghezza della rigatura elemento indispensabile per ogni seria e credibile indagine balistica. 1.1 Esempio di una metodologia d’indagine

Supponiamo di possedere un’ogiva esplosa da

un’arma da fuoco a canna rigata, priva di deformazioni rilevanti, sulla cui superficie sono impresse le impronte speculari della rigatura della canna. Per identificare l’arma usata occorre accertare il numero delle rigature presenti per restringere di un primo giro di vite il campo d’indagini; successivamente, per compiere un secondo giro di vite, occorre pesare l’ogiva e valutare il diametro della stessa per accertare un calibro nominale compatibile. Ad esempio, tutti i calibri 9 mm nominali (9x21 mm IMI, 9 mm Parabellum, .380 acp, 9 corto, 9x17 mm, 9 mm kurt, 9x18 mm, 9 Police, 9x22 mm, .357Sig, .38SA) adottano ogive con un diametro nominale di .355 centesimi di pollice, mentre un .38 special od un .357 magnum, pur essendo sostanzialmente dei 9 mm, adottano palle trafilate a .357 centesimi di pollice. Questo, ovviamente, si riferisce a munizionamento di fabbricazione industriale, poiché nulla vieta al privato di ricaricare munizioni in proprio

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usando ogive compatibili, con forma, grammatura e diametro diverse da quelle con parametri standard. Successivamente si passa ad esaminare l’ogiva al microscopio misuratore per stabilire il passo e la larghezza della rigatura per ogni singola impronta, rilevando su tutti i valori balistici, per poi ottenere una misura di larghezza media ed il passo di rigatura della canna. Il valore di larghezza ed il passo così individuati, inseriti nella banca dati del computer sarà dichiarato “pienamente compatibile” con un arma di una determinata marca e determinato modello. Ulteriori indagini balistiche potranno essere, contestualmente eseguite sul bossolo, se questo, espulso dall’arma, sia stato rinvenuto. Su di esso potrà effettuarsi, a maggior conforto dell’indagine, almeno una triplice tipologia di ricerca comparativa, alcune delle quali qui appresso specificate. A) Durante l’esplosione, il bossolo, per effetto del “fire forming”, s’incolla sulle pareti della camera, assumendone le dimensioni; un’esatta misurazione micrometrica del bossolo renderebbe note le misure interne, le caratteristiche ed eventuali anomalie della camera della canna che ha esploso la cartuccia. B) L’innesco del bossolo esploso potrebbe denunciare eventuali pressioni anomale sviluppate all’interno del bossolo al momento dello sparo, aprendo la porta all’ipotesi di un caricamento artigianale, oltre a conservare indelebilmente l’impronta del percussore dell’arma utilizzata; ancora, il tipo d’innesco usato denuncerebbe la provenienza

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del lotto di fabbricazione od almeno la marca e qualità della munizione. C) Sulle pareti esterne del bossolo potrebbero essere presenti alcuni segni caratteristici impressi durante la fase di sparo, dovuti a difetti del meccanismo d’espulsione; ovvero a singolarità dell’arma da fuoco e che, di fatto, ristringerebbero il campo delle indagini. Ad esempio, uno o due anelli d’abrasione si potrebbero osservare alla base del bossolo per tutta la circonferenza del bossolo stesso. Questi sono la testimonianza di un’esitazione in apertura del “sistema a contrasto di gas” usato in alcuni rari modelli d’arma con chiusura a gas assistita, tra i quali l’italiana Tanfoglio modello “P 25” e la sud africana LIW di Pretoria modello “CP-1 Vektor”.

In entrambi i modelli citati, il bossolo incomincia ad uscire non appena l’ogiva si mette in moto per poi essere ricacciato indietro di circa 1 mm, quando la camera di contrasto entra in pressione.

In quel momento anche il bossolo entra in pressione dilatandosi ed incollando le pareti alla camera, producendo così le caratteristiche abrasioni.

D) Il colletto del bossolo, porta il segno dell’unghia estrattrice, impresso al momento dell’espulsione, utile a risalire al tipo d’arma da fuoco utilizzata, od almeno a conoscere la misura dell’angolo vivo dell’unghia. Tutti questi elementi identificativi raccolti e sommati tra loro, porterebbero ad individuare, con una credibile e certa verosimiglianza, l’arma da fuoco, le sue caratteristiche tecniche identificative e, con un pizzico di fortuna, eventuali difetti od anomalie dell’arma stessa che la renderebbero univoca all’identificazione.

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1.2 Impronte d’interesse balistico Il funzionamento di un’arma, intesa come

macchina termobalistica, distribuisce l’energia prodotta dallo sparo nelle seguenti proporzioni: - per il moto del proiettile il 32-33% - per moto dei gas e degli attriti 5-6% - per il calore ceduto all’arma 20% - per il calore dei gas 40-41% Il funzionamento di un’arma differisce a seconda il modo con il quale l’otturatore si apre per l’espulsione del bossolo e si richiude dopo aver camerato una nuova cartuccia. Le armi da fuoco semiautomatiche, a secondo del loro funzionamento, si possono suddividere in tre diverse categorie: - armi con chiusura a massa, dove la canna è fissa e la chiusura si realizza con l’inerzia dell’otturatore; - armi con chiusura a ritardo d’apertura, denominata anche chiusura meta stabile, dove, come per la precedente la canna non rincula e l’apertura dell’otturatore è ritardata permettendo una diminuzione della pressione all’interno dell’arma; - armi a chiusura stabile, che rappresentano la categoria più consistente, dette anche a “chiusura geometrica”. 1.3 Impronte sul bossolo

Partendo dalla prima fase dell’utilizzo di un’arma

da fuoco, quella del riempimento del caricatore,

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sinteticamente, si elencano, in ordine temporale, le tipologie d’impronte balistiche che si generano sul bossolo, avendo cura di distinguere in due fasi gli eventi tipici.

Una prima fase che inizia con il riempimento del caricatore e termina con la messa in camera della cartuccia; una seconda che inizia con la pressione del grilletto e termina con l’espulsione del bossolo spento.

Nella prima fase, in un primo tempo, quando si riempie il caricatore, inserendo le cartucce, si generano le prime impronte sul bossolo: le inconfondibili striature parallele generate dalle labbra del caricatore, oltre all’impronta di strisciata lasciata dalla parte inferiore del carrello otturatore.

In un secondo tempo, della prima fase, lasciato andare il carrello, la parte inferiore del piano di culatta urta la parte superiore del fondello della cartuccia, quando questa è ancora trattenuta nel serbatoio, generando la c.d. impronta di spallamento.

Sempre nella prima fase, in un tempo successivo, quando in carrello ha disimpegnato totalmente la cartuccia dal caricatore, costringendo la cartuccia a compiere uno scatto verso l’alto strisciando contro la rampa d’alimentazione della canna, generando la c.d. impronta di rampa.

Ancora, quando la cartuccia ha quasi completato la cameratura, inizia la monta del collarino da parte dell’unghia estrattrice che andrà ad afferrare il collarino della cartuccia, lasciando l’impronta di monta dell’estrattore, come innanzi detto nel precedente paragrafo.

In ultimo, dopo lo sparo sarà intelligibile l’impronta d’estrazione.

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Tutto questo può essere facilmente “letto” sul bossolo a condizione che questo sia vergine, ovvero non presenti sopra impressi impronte di precedenti camerature, ovvero in presenza di cartucce ricaricate con bossoli utilizzati precedentemente anche in altre armi.

Nella seconda fase, premendo il grilletto, si ha l’abbattimento del cane od il lancio del percussore, e con la pedissequa battuta dell’innesco si genera la c.d. impronta di percussione.

Al momento dello sparo all’interno della cartuccia si sviluppa un’enorme pressione che incolla le pareti del bossolo a quelle della camera, andando a “ricopiare” sulle pareti del bossolo eventuali imperfezioni, difetti e/o segni caratteristici presenti all’interno della camera.

In questa fase, durante l’estrazione, possono verificarsi strisciature o striature generate da imperfezioni della camera di cartuccia o da un particolare meccanismo, quale un’esitazione in apertura del “sistema a contrasto di gas” usato in alcuni rari modelli d’arma con chiusura a gas assistita.

Sempre in questa fase possono riprodursi per effetto della pressione lo “stampaggio meccanico in negativo” sull’innesco d’ulteriori elementi identificativi utili per una corretta analisi balistica identificativa forense, quali tracce di lavorazione d’utensili sul piano dell’otturatore, ovvero segni d’usura dell’arma od abrasioni quasi sempre presenti sull’otturatore.

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1.4 Impronte sul proiettile Il proietto espulso da una canna rigata, se

recuperato integro, presenta le impronte in negativo dei solchi di rigatura degli stessi, rivelatori di molti particolari utili alla nostra indagine identificativa balistica.

Bisogna distinguere se si tratta di proiettile espulso da un’arma avente canna rigata ovvero da arma avente canna poligonale. Innanzi tutto occorre affermare che la rigatura dell’anima della canna consiste nella creazione di vuoti, i cd solchi di rigatura, (generalmente quattro ad andamento elicoidale) che interessano tutta la canna da poco dopo la camera fino al vivo di volata della canna stessa. In antitesi ai solchi di rigatura, i cd. vuoti, vi sono le nervature, cd risalti o pieni di rigatura, sui quali s’intagliano le ogive nel loro passaggio all’interno della canna, assumendo, oltre alla forza di spinta imposta dalla pressione dei gas, anche un movimento rotatorio imposto dalla rigatura di canna, con l’acquisizione di una stabilità giroscopica. All’interno dei solchi lasciati sull’ogiva si possono osservare micro striature lasciate da eventuali imperfezioni presenti sul pieno di rigatura. Riassumendo, quindi, su un’ogiva oggetto di un corretto esame balistico, dovranno essere ricercate: a- impronte dipendenti dalle caratteristiche

progettuali dell’arma; b- impronte individuali della canna; c- impronte accidentali permanenti; d- impronte accidentali temporanee.

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Le caratteristiche progettuali della canna sono sei e precisamente: numero, verso, ampiezza altezza, profilo e passo delle rigature.

Le impronte individuali d’ogni singola canna sono

dovute a tracce di lavorazione della rigatura, ad usura della canna, ovvero ad una corretta manutenzione della stessa.

Le impronte accidentali permanenti sono

riscontrabili in presenza di deformazioni della camera o della volata.

Le impronte accidentali temporanee sono dovute,

in gran parte alla presenza di elementi d’inquinamento all’interno della canna, quali possono essere tracce d’impiombatura, grasso, residui dello sparo precedente ecc. Non sono attendibili perché possono essere presenti su un’ogiva per poi scomparire in quello successivo o viceversa. 1.5 Impronte presenti sul bossolo relative al conio

Da un perito poco attento e poco scrupoloso,

alcune tracce, impronte presenti sul fondello del bossolo, riconducibili unicamente al processo di lavorazione del bossolo stesso, potrebbero essere confuse con impronte riconducibili all’arma.

Si tratta di un esame comparativo difficile, la cui difficoltà è imputabile unicamente all’usura che subisce la matrice durante tutto il processo di conio

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dei bossoli, che modifica progressivamente quelle micro imperfezioni grazie alle quali si rende possibile l’indagine.

1.6 L’esame al microscopio comparatore ottico

L’esame comparativo è effettuato su tutte le

rigature presenti per acclarare scientificamente che il proiettile oggetto della perizia risulta esploso dalla stessa arma che si sospetta come usata per compiere il delitto. Lo strumento che serve per misurare la larghezza delle rigature presenti sull’ogiva esplosa è sostanzialmente un normale microscopio dotato di un banco di lavoro in grado di compiere operazioni di traslazione sotto la misurazione di un micrometro digitale od analogico. Mediante la rotazione impressa micrometricamente si ottiene uno spostamento lineare uguale e contrapposto a quello indicato sullo strumento di misura. Per eseguire correttamente la misurazione occorre che l’oculare del microscopio sia dotato di una retinatura che consente di azzerare lo strumento su un bordo dell’oggetto dell’esame, in modo che, ruotando la manopola fino a far coincidere la retinatura con l’altro bordo dell’oggetto, si ottiene l’esatta micrometrica del valore della lunghezza della traccia. Ovviamente, il microscopio deve possedere un rapporto d’ingrandimento sufficiente a poter

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permettere in modo preciso l’allineamento tra la retinatura ed i bordi dell’ogiva esaminata. 1.7 Il Microscopio a scansione (SEM)

Il SEM- (Scanning Electron Microscope), è dotato

di una microsonda analitica di dispersione d’energia, la cd EDX (Energy Dispersive X Ray Spectrometer), che permette di analizzare campioni di dimensioni micrometriche con una risoluzione d’immagine assolutamente impossibile da ottenere con i microscopi tradizionali.

Concettualmente il funzionamento si basa sull’accelerazione degli elettroni emessi da un filamento di tungsteno alla presenza di una tensione elettrica compresa tra 0,1 e 50 KV.

Il flusso elettronico è convogliato tra due lenti magnetiche.

Queste lenti producono una sottile sonda di elettroni focalizzata sulla superficie del campione.

Due coppie di bobine di deflessione provocano la scansione della sonda sulla superficie del campione in forma di trama quadrata.

Le correnti che attraversano le bobine di deflessione, sono fatte passare attraverso altre bobine di deflessione di un tubo a raggi catodici, in modo da far apparire sullo schermo una trama di dimensioni maggiori.

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Si ottiene così una corrispondenza punto per punto tra lo schermo fluorescente ed una determinata area del campione.

Il segnale prodotto dall’interazione tra la sonda ed il campione genera un’immagine sul tubo catodico, fornendo così informazioni circa le proprietà fisico-chimiche della particella esaminata.

1.8 La Microsonda a raggi X (EDX)

Si tratta di un’apparecchiatura applicabile al

microscopio elettronico e che permette di effettuare l’analisi chimica elementare e quantitativa del campione oggetto dell’esame. Sono commercializzati due tipi diversi; uno più rapido, funzionante a dispersione d’energia, il cui acronimo è appunto EDX, ed un secondo tipo più complesso strutturalmente e funzionante a dispersione di lunghezza d’onda, il cui acronimo è WDX. Nell’EDX, i raggi X emessi dal campione in esame, s’individuano mediante la loro energia, mentre nel WDX si individuano secondo la lunghezza d’onda dell’emissione. Le radiazioni emesse dell’oggetto d’esame investono il rilevatore che altro non è che un mono cristallo di silicio purissimo, raramente di berillio a forma cilindrica e con un diametro compreso tra 2 e 5 mm.

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Il cristallo è racchiuso tra due elettrodi metallici ai cui capi è erogata una tensione elettrica di tipo a “polarizzazione inversa” di 300-900 Volts. A queste condizioni, non passando corrente all’interno del rilevatore, si causa l’assenza di fotoni. Quando un fotone riesce a penetrare crea un numero di coppie di elettrone-lacuna direttamente proporzionale alla sua energia, immediatamente individuata dal rivelatore.

La perdita è infinitesimale, anche perché il rivelatore lavora a circa –200° C immerso in azoto liquido. L’energia, passando attraverso un circuito FET, genera un segnale d’uscita formato da una serie di gradini proporzionali al fotone che lo ha generato. L’analisi, invece, mediante il sistema EDX è molto più semplice e rapida basandosi su una preventiva analisi di tutti gli elementi presenti, escludendo quelli con un numero atomico minore di 4. 1.9 Le moderne metodologie d’indagine. Ricerche

eseguite con SEM/EDX Il microscopio elettronico a scansione,

individuato con la sigla internazionale SEM, insieme alla microsonda a raggi X, individuata con la sigla internazionale EDX, hanno permesso di capire che la maggior parte degli atomi di metalli pesanti presenti negli inneschi (Sb, Sn e Pb), subito dopo lo sparo,

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s’inglobano in micro particelle sferiche, con un diametro compreso tra 0,1 e 50 micro.

Sotto l’effetto dell’azione dei gas della deflagrazione si spargono in circolo all’arma e, quindi depositandosi sulle mani, sul volto e sugli indumenti di chi impugnava l’arma al momento dello sparo. Opportunamente raccolte queste particelle sono ricercate con il SEM e contestualmente analizzate con l’EDX ad opera d’esperti tecnici delle Forze dell’Ordine muniti di Kit per il prelievo.

Le superfici di prelievo, rappresentate da nastro biadesivo sono rese conduttrici mediante la deposizione in un recipiente in atmosfera rarefatta di gas “Argon" di uno strato di carbone sintetico.

Dopo questo trattamento gli stubs sono introdotti nel microscopio a scansione.

E’ importante sapere che le particelle residue dello sparo a forma sferica, restano sulla cute del corpo per pochissimo tempo +/- 60 minuti.

Dopo tale periodo si troveranno esclusivamente particelle tridimensionali a forma indefinita od irregolare soggette a staccarsi dalla cute, proprio per la loro forma, più lentamente.

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Capitolo 2 Nozioni elementari di fisica applicata Fenomeni fisici influenzano in modo più o meno

determinante sul rendimento delle polveri da lancio e, conseguentemente sulle cartucce, siano essi manifestazioni di condizioni climatiche, che in senso etimologico del termine greco di “fenomeno”.

E’ chiamata variabilità delle cartucce le mutazioni dovute ad una differenza d’umidità atmosferica, ad esempio un’umidità del 10% comporta una variazione di V0 di circa 5 m/s per polveri monobasiche, e di 3 m/s per polveri bibasiche, ecco spiegato come una differenza di un solo grado centigrado dell’atmosfera provoca una differenza di +/-3 Kg/cmq nella pressione della cartuccia.

Indiscutibilmente la densità dell’aria comporta un effetto ritardante direttamente proporzionale alla velocità del proiettile, al suo coefficiente di resistenza aerodinamica, alla densità dell’aria.

Ogni aumento di 10° centigradi di temperatura, compreso tra –20° e +40°, a parità di pressione atmosferica, provoca un calo percentuale di densità di circa il 3,5%.

A parità di temperatura, ogni aumento di pressione barometrica di 20 mm, compreso tra 600 e 780 mm/Hg, provoca un aumento percentuale di densità di circa il 2,9%.

Supponendo di sparare due identiche cartucce, spinte ad una velocità di 400 m/s, una al livello del mare con una pressione di 760 mm/Hg, una temperatura di 15° centigradi ed una densità dell’aria pari a 1,224, la Vr dell’ogiva risulterà di 185 m/s; l’altra sparata ad una pressione di 755 mm/Hg, una temperatura di –5° C ed una densità dell’aria pari a

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1,342, la Vr (velocità residua a metri “n” dalla volata) in questo caso sarà minore, pari a 170 m/s, con una riduzione di circa il 9% dell’energia d’impatto sul bersaglio.

E’ così spiegato in modo esemplificato l’influenza delle condizioni atmosferiche sul coefficiente balistico delle munizioni.

2.1 Il Minuto d’Angolo (M.O.A.) Oltre all’influenza delle condizioni atmosferiche,

sulla maggior precisione delle munizioni influenzano altri fattori fisici più propriamente detti; ad esempio il minuto d’angolo.

Il minuto d’angolo corrisponde alla divisione dell’orizzonte polare (a chi osserva o rileva) in 360 gradi, ognuno dei quali a sua volta suddiviso in 60 minuti, a loro volta suddivisi in 60 secondi. Tutte le misure angolari, e quindi geografiche ricadono entro questa scala di valori. Balisticamente l’uso è molto semplice. A 100 metri di distanza da un osservatore, che per esemplificazione chiameremo “X” (tiratore) sulla circonferenza polare che ha come centro “X”, un grado misura esattamente cm 174,53, che a loro volta devono essere divisi in 60 minuti, ognuno dei quali è pari a mm 29,088. Moltiplicando i 100 metri anche tale misura deve essere moltiplicata per lo stesso coefficiente.

La precisione di una munizione e dell’arma usata è misurata con riferimento al M.O.A.

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Ad una distanza di 100 metri i 5 colpi di prova sparati devono restare, scartando quello peggiore, in un cerchio il cui diametro non sia maggiore di mm 29,088; nel qual caso si può affermare che la precisione dell’arma o della munizione “sta nel minuto d’angolo standard”

2.2 Il moto del proiettile nel vuoto

La traiettoria presunta del proiettile nell’aria in condizioni normali può essere facilmente calcolata prendendo in considerazione tre variabili in gioco: 1^ la velocità iniziale (V°); 2^ l’accelerazione di gravità (g = 9,8 m/s elevato al quadrato); 3^ lo spazio tempo. Consideriamo come origine “0” della traiettoria del proiettile esploso il centro della canna dell’arma da fuoco alla partenza del colpo. Nel momento in cui il proiettile esce dalla canna, possiede una certa velocità ed è soggetta a due forze, quella di gravità che tende a spingere il proiettile verso la terra e quello della resistenza dell’aria che, invece, si oppone al movimento. Per il momento trascuriamo la resistenza dell’aria, supponendo che il moto del proiettile è avvenuto in sua assenza. Avremo un grafico composto dall’asse X parallelo alla terra, la Vi (velocità iniziale) è diretta nel senso di quest’asse, e da un asse Y, dove G (forza di gravità) è diretta nel senso di quest’asse.

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Poiché Y = ½ g t 2 X = Vi t Si ottiene che Y = ½ g t 2 (X al quadrato / Y al quadrato) Ad esempio vogliamo calcolare la caduta a 100 metri di un proiettile che ha una V° pari a 500 m/s.

Y = ½ g (X al quadrato diviso Vi al quadrato) = ½ moltiplicato il coefficiente di 9,8 m/sec2 = 0,196 m = 19,6 cm

Da un attento esame della suesposta equazione osserviamo che a maggior velocità iniziale minore è lo spostamento dalla traiettoria voluta. Resta in ogni modo una formula matematica astratta, nella realtà entrano in campo altre varianti quale in M.O.A. la temperatura atmosferica, l’umidità dell’aria e la massa del proiettile. 2.3 Nozioni di fisica applicata alle macchine termo balistiche.

Supponiamo di avere a disposizione la canna di

pistola serrata in una morsa, di introdurre in camera una cartuccia e di percuotere l’innesco con una forza sufficiente a far detonare l’innesco.

La pressione sviluppata dal gas generato dalla combustione della polvere si propagherebbe in tutte le direzioni, ma troverebbe disponibili solo due direzioni, quelle lungo l’asse della canna,

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quell’anteriore e quella posteriore, quindi, agirebbe contemporaneamente sia sull’ogiva che sul bossolo. Per il noto principio che un gas compresso in fase d’espansione sceglie la via di fuga che meno oppone resistenza, Il proiettile si fermerebbe contro l’inizio della rigatura, mentre il bossolo sarebbe sparato all’indietro con vigore. Supponiamo, ora, di fissare al percussore un peso da bilancia e di ripetere l’esperimento di cui innanzi; si ripeterebbe lo stesso fenomeno, con la sola differenza che il peso della bilancia riporterebbe un trascurabile rinculo, mentre il proiettile sarebbe espulso con decisione dalla canna. Si è così dimostrato il principio fisico secondo il quale “il gas si espande lungo la linea di minor resistenza”, posto alla base del funzionamento delle macchine termo balistiche a “chiusura inerziale” o “blowback”. 2.4 Il terzo principio della dinamica newtoniana

applicato alla fisica della chiusura labile od inerziale “blowback”.

La prima arma da fuoco a funzionare con questo

tipo di sistema fu la pistola “Maxim Silvermann”, brevettata in Gran Bretagna il 28 dicembre 1896, camerata nei calibri 7,65 Borchardt, 8 mm Schomberger e .455 Webley.

In quest’ultimo vigoroso calibro, ai lati della camera di scoppio, furono praticati due fori da cui fuoriusciva parte del gas, riducendo, di fatto, la

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pressione all’interno della camera, ma riducendo anche la potenza al proiettile. Nelle moderne armi a chiusura labile il bossolo inizia a rinculare, spingendo l’otturatore, durante il barrel time; quindi la tenuta dei gas non è ermetica, poiché una parte dei gas sfugge dalla parte posteriore della canna, con il caratteristico “soffio della culatta”. Questo sistema si basa sul terzo principio della dinamica nella meccanica newtoniana, ossia del principio dell’azione e della reazione. Due oggetti assimilabili a corpi puntiformi, il proiettile e l’otturatore sottoposti all’azione della stessa forza, si muoveranno contemporaneamente con una velocità inversamente proporzionata alle rispettive masse.

La risultante equazione di conservazione della quantità di moto è:

Mv = mV. La velocità media del proiettile nella canna sarà pari alla somma della velocità minima e massima divisa per due. Inoltre, possiamo valutare la velocità acquisita dal carrello applicando la stessa equazione di moto qui descritta. Avremo, quindi, che

mp. Vp = Mc. vc, dove mp è la massa del proiettile, Vp è la sua velocità, Mc è la massa del carrello. 2.5 L’energia del rinculo

Per calcolare l’energia del rinculo si procede

esattamente nello stesso modo in cui si calcola l’energia di un proiettile solo che, invece di prendere

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come valore la massa del proiettile si utilizza la massa dell’arma da fuoco. La formula è

½ (M V2) dove M è la massa dell’arma da fuoco e V2 è la velocità al quadrato del proiettile al vivo di volata. 2.6 Un esempio concreto di calcolo.

Supponiamo di esaminare una pistola a chiusura

blowbach in calibro 7,65 mm (.32 acp), con le seguenti caratteristiche tecniche: - lunghezza della canna mm 91; - peso del carrello 250 gr; - velocità del proiettile alla bocca 280 m/s; - peso del proiettile grammi 4,989

Per esemplificare il calcolo del proiettile

supponiamo che le forze delle molle siano del tutto assenti.

La velocità media del proiettile in canna sarà pari alla somma della velocità minima e massima divisa per due, quindi a (0+ 280) 1/2=140 m/s.

La canna di 91 mm sarà percorsa dal proiettile in 1/1538 millesimo di secondo, ottenuto dalla velocità di 140 diviso 0,091 della lunghezza di canna. Il calcolo della velocità del carrello, sempre supponendo che le forze delle molle siano del tutto assenti, si ottiene applicando l’equazione di moto mp.

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Vp = Mc. vc, meglio descritta nel paragrafo precedente

Nel caso concreto però, non bisogna dimenticare di aggiungere alla massa del carrello la forza inerziale della molla di recupero ed il momento d’inerzia del cane con tutti gli attriti che influenzano sul calcolo.

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Capitolo 3 La cartuccia ed i suoi componenti

La cartuccia è l’elemento esplosivo che serve a

caricare in modo rapido un’arma da fuoco portatile. Essa è formata da un involucro esterno, detto

bossolo, di materiale diverso (cartone, plastica od ottone) che consente il perfetto trasporto e conservazione della carica.

Il bossolo contiene la polvere, l’innesco ed il proiettile.

Il nome cartuccia deriva dal sostantivo francese cartouche, con cui s’indicavano quei pezzi di carta, avvolti a cilindro, e contenenti la carica di polvere in precedenza dosata, che nella prima metà del ‘500 servivano a rendere più rapido il caricamento d’armi ad avancarica; era sufficiente rompere il cartoccio, versare la polvere nella canna, usare lo stesso cartoccio come borraggio, poi introdurre la palla pressandola con la bacchetta.

La cartuccia è formata da quattro elementi fondamentali: l’innesco, il bossolo, il propellente e l’ogiva o proiettile che dir si voglia.

L’innesco consiste in una coppetta contenente la miscela detonante destinata ad accendere il propellente. Il bossolo che può essere in ottone, alluminio, o cartone, oltre a svolgere la funzione di contenitore della polvere, al momento dello sparo si dilata contro le pareti della camera di scoppio della canna, chiudendo ermeticamente la camera di scoppio ed impedendo così la fuoriuscita posteriore dei gas.

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Il propellente bruciando sviluppa gas ad alta pressione che spinge l’ogiva verso il vivo di volata della canna. Il proiettile è uno degli elementi che influenza maggiormente la precisione finale della munizione. 3. 1 I proiettili

Possono essere di svariate forme secondo

l’impiego al quale sono destinati ma tutte le traiettorie dipendono dalle leggi della fisica, pertanto risentono della forza e della direzione del vento, della gravità terrestre, della pressione atmosferica e dell’umidità.

Più si è vicini al livello del mare più l’aria è densa. Se l’umidità è elevata, inoltre, le molecole dell’aria risultano più stipate tra loro e la pallottola deve dissipare una maggior quantità d’energia, che è sottratta sotto forma d’attrito per attraversarla.

Per valutare un proiettile ed il relativo comportamento durante la fase di volo e al suo impatto con il bersaglio, si utilizzano due unità di misura: la densità sezionale ed il coefficiente balistico.

La densità sezionale è il rapporto tra il peso del proiettile rispetto al quadrato del proprio diametro (peso palla / diametro al quadrato); pertanto, palle di peso uguale, diametro uguale, ma di forma diverso hanno identica densità sezionale.

Il coefficiente balistico indica, a parità di diametro e del peso della palla, la capacità del proiettile di vincere le forze ritardatrici; maggiore sarà

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il “C.B.”, maggiore sarà la possibilità di avere una gittata più lunga ed una traiettoria più tesa. La differenza di forma, od aerodinamicità, influenzano il coefficiente balistico, ricavato dalla densità sezionale modificata da un altro coefficiente che sta a significare il profilo dell’ogiva.

Il coefficiente balistico è estremamente laborioso da calcolare; per semplicità diamo per buono quello indicato dalle aziende produttrici. Per valutare semplicemente le capacità aerodinamiche di un proiettile è sufficiente considerare il coefficiente balistico; più questo è alto, maggiore è l’aerodinamicità. Ricapitolando, il CB di un proiettile può essere definito come la capacità di penetrare un dato fluido. Esso dipende dalla formula matematica

CB = 1/Cx P/S dove C è il coefficiente di resistenza aerodinamica del solido in oggetto e il rapporto P/S è la densità sezionale dello stesso, in altre parole il rapporto tra peso e la sezione frontale.

E’ chiaro che il CB è influenzato da un basso coefficiente di resistenza aerodinamica e da un’alta densità sezionale e, quindi, chiaro è il motivo che porta le case costruttrici di ogive ad adottare forme allungate rispetto al calibro ed al peso. Il vero problema di una corretta indagine è individuare il coefficiente di resistenza.

Vengono qui in aiuto i concetti di fisica della meccanica dei fluidi, la quale c’insegna che la variabile C è direttamente influenzata dalla forma del proiettile, dal numero di Mach e dal numero di Reynolds. Il numero di Mach è, a sua volta, influenzato dal rapporto tra la velocità del proiettile e la velocità di

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propagazione del suono nel fluido preso in considerazione. Il numero di Reynolds si ottiene dal rapporto tra il diametro dell’ogiva per la sua velocità, per il peso specifico del fluido attraversato e l’accelerazione di gravità per la viscosità del fluido stesso. 3.2 Tipologia delle Ogive

Bisogna fare un distinguo tra le ogive per pistola e quelle da fucile; generalmente la pistola sia da difesa che da tiro è usata ad una distanza non superiore ai 25 metri; a questa distanza poco influisce il coefficiente balistico, mentre risulta essere più importante la densità sezionale considerata da sempre la chiave di lettura dell’energia di penetrazione nei corpi e dell’energia ceduta all’impatto.

Per le ogive delle cartucce da fucile il discorso cambia in generale notevolmente, ed in particolare a secondo del tipo d’uso che si fa del fucile

Un fucile da caccia grossa, destinato ad abbattere animali maggiori di 200/300 kg ad una distanza non superiore ai 50 metri necessita di una cartuccia in grado di cedere all’impatto una grossa quantità d’energia, per l’appunto cartucce round nose blindate; mentre per tiri superiori ai 100 metri occorrono cartucce dall’ogiva con il profilo affusolato e con una leggera blindatura, poiché, in questo caso il coefficiente balistico assume una maggior rilevanza del potere d’arresto cd “stop man”.

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Si è capito, quando sia importante la scelta di un’ogiva a secondo del tipo di bersaglio, della distanza e della sua struttura.

Quando un corpo si trova in movimento nell’aria o nell’acqua ne urta, inevitabilmente le molecole, le quali assumono un moto perpendicolare alla posizione di superficie urtata.

Le molecole investite dal corpo assumono, a loro volta, una loro forza sottraendola al corpo in movimento che subisce la c.d. forza ritardatrice, la stessa forza che porta il proiettile ad arrestarsi una volta esaurita la spinta iniziale. 3.3 Le Ogive del tipo “Cast”

Per ogive cast s’intendono tutte quelle prodotte

sia industrialmente sia artigianalmente mediante fusione di leghe binarie o ternarie senza l’incapsulamento di blindatura delle stesse in un rivestimento di rame, ottone o acciaio che sia. Per avere una fusione stabile è indispensabile trovare il punto in cui gli elementi Pb, Sb, e Sn si fondono inscindibilmente. Pb e Sb hanno il punto di massima stabilità in una combinazione binaria del 38,1% per il Pb e del 61,9% per lo Sb. In un rapporto ternario, aggiungendo la presenza del Sn, varia il rapporto ottimale tra gli elementi, stabilendosi in 84% di Pb, 12% di Sn e del 4% si Sb.

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Questa lega perfettamente stabile inizia a solidificare intorno a 240°, conosciuta come lega di “linotype”, utilizzata in passato per la preparazione dei caratteri tipografici. Ad un attento esame della fusione con microscopio comparatore è possibile identificare le particelle isolate di piombo, ma non particelle di stagno o d’antimonio che sono combinate indissolubilmente tra loro. L’antimonio che affiora in superficie a contatto dell’aria si combina con l’ossigeno dando origine a SnO2, un ossido che forma la pellicola della fusione. Le fusioni sono effettuate generalmente a 350°, aumentando la temperatura si favorisce la formazione di scorie di SnO2 che rendono frangibile la palla, quindi difficilmente sottoponibile ad un esame balistico comparativo. Per dovere di chiarezza scientifica occorre precisare che detto “inconveniente” potrebbe essere risolvibile aggiungendo dell’acido borico in polvere nella lega al momento della fusione, poiché si otterrebbe che questo, decomponendosi in H2O ed in ossido di Boro (2H3BO3 3H2O + B2O3) produrrebbe dell’acqua che evaporerebbe, mentre l’ossido borico formerebbe una superficie vetrata che impedirebbe l’ossidazione. Abbiamo così focalizzato altre valide caratteristiche balisticamente identificative delle palle cd “cast”. Le ogive cast ottenute artigianalmente con l’uso della lega ternaria dovranno avere una durezza di almeno 20° Brinnel per sopportare velocità di +/- 1200-1400 ft/sec, pari a +/- 380-420 m/s, contrariamente presenterebbero sulla superficie

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esterna ulteriori segni e/o caratteristiche balisticamente identificative, mentre sul passo della rigatura della canna si depositeranno tracce di piombo fuso durante l’esplosione della cartuccia, producendo la caratteristica “impiombatura di canna”. 3.4 la Velocità delle ogive.

Le cartucce, genericamente e per comodità, sono

suddivise in due categorie cartucce sub soniche e cartucce ultra soniche a secondo che la velocità a cui viaggia l’ogiva sia minore o maggiore di quella del suono.

Sia le cartucce che esplodono ogive ad una velocità subsonica, sia quelle esplose a velocità supersoniche sottostanno a quattro leggi fisiche:

a) la resistenza dell’aria risulta essere proporzionale alla sua densità;

b) la resistenza è direttamente proporzionale al quadrato della sezione retta del proiettile, per cui maggiore sarà il diametro della palla, maggiore sarà la resistenza incontrata;

c) la resistenza è proporzionata al coefficiente di forma;

d) la resistenza è proporzionale alla funzione resistente della velocità del proiettile, cioè a dire, più il proiettile è veloce più aumenta la sua resistenza al moto.

Da tanto se ne deduce l’estrema difficoltà fisica che s’incontrerebbe nel lanciare ad oltre 1000m/s ogive dal diametro elevato, con il pedissequo sviluppo di pressioni all’interno del bossolo e rilevamento dell’arma a causa del rinculo.

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Inoltre, il cono acustico sviluppato da un proiettile sub sonico potrebbe essere quasi totalmente assorbito dall’uso di silenziatori (vietati dalla vigente normativa italiana), mentre quelli prodotti da munizionamento ultrasonico sarebbero solamente attenuati di qualche decina di dB. Una facile tabella da tenere sempre a portata di mano, utile per convertire nel sistema metrico decimale la velocità di un proiettile espressa in piedi/sec, ovvero convertire in Joules l’energia espressa in piedi/libra o la caduta espressa in pollici, è qui riportata:

moltiplica per risultato

piedi/al secondo 0,3048 m/s piedi/libra 1,3558 Joules pollici 25,4 mm 3. 5 - Le variazioni di rendimento balistico

Variazioni di rendimento possono essere

provocate, oltre che da caratteristiche intrinseche della cartuccia anche dalle caratteristiche dimensionali delle canne. Per semplicità d’argomentazione tratteremo esclusivamente d’armi a canna liscia, in modo da escludere ulteriori influenze dovute a fattori correlati al passo della rigatura della canna; prendiamo, ad esempio, il calibro più diffuso per fucili ad anima liscia.

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La scala internazionale C.I.P. dei calibri ammette delle tolleranze dimensionali, che nel calibro 12 sono di 0,1 mm per il diametro di camera (da mm 20,3 a 20,4) di mm 0,4 per il diametro della dell’anima di canna (da mm 18,2 a mm 18,6). Un aumento di diametro di 0,1 mm nella camera di cartuccia di un fucile del cal 12 riduce la pressione interna di circa 30 Kg/cmq. Lo stesso incremento nel diametro di anima riduce la pressione di circa 7 kg/cmq. Altra riduzione delle pressioni all’interno si verifica sparando cartucce con bossolo minore della lunghezza della camera. Una diminuzione di lunghezza del cono di raccordo anima canna, dai tradizionali 25 mm ai 9 mm, provoca un aumento di pressione di circa 20 Kg/cmq. Prendendo come punto di valutazione la V° noteremo che una variazione di 0,1 mm del diametro della camera di cartuccia provoca uno scarto di V° pari a 8 m/s, produrrà, invece, una riduzione di V° paria 10 m/s un aumento pari a 20 mm della lunghezza del cono; una diminuzione di 0,2 mm del diametro di anima, sviluppa un aumento di V° di circa 4 m/s. Un discorso a parte merita la lunghezza della canna e la presenza o meno di strozzatura. Per canne con una lunghezza compresa tra 65 e 76 cm una variazione di cm 1, provoca una V° di 0,7 m/s sparando polveri vivaci, fino a 2 m/s, per ogni centimetro, con polveri progressive. Per canne corte da 45 a 55 cm vi possono essere variazioni dal 8% al 6% del V° rispetto alla canna 76. Superando la lunghezza di 92 cm della canna non si riscontrerà più alcun aumento di V°, anzi si manifesteranno dei decrementi poiché le resistenze

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passive della canna equivalgono o superano la maggior spinta dei gas. La presenza di strozzatori non provoca una sensibile variazione del V°, ma solo un forte incremento delle velocità residue, perché i pallini incolonnati in uno sciame compatto all’uscita della canna, risentono in misura minore della resistenza dell’aria. 3. 6 Le cartucce Express Un fucile tipo Express, destinato a fermare anche la carica di un rinoceronte, deve sparare una cartuccia adeguata, quasi sempre con tiro istintivo, quindi, i calibri tesi e veloci vanno sicuramente scartati. L’obiezione che la palla lenta e pesante tenda a cadere sulle medie e lunghe distanze non trova accoglimento, trattandosi nella caccia grossa, quasi sempre, di tiri a media breve distanza. Quindi i calibri corretti vanno dal .416 in su; calibri come il .577 od addirittura il .600 Nitro Express sono un pezzo di bravura, ma il rinculo è davvero punitivo. Per usarli occorre un fisico eccezionalmente allenato unito ad una massa corporea non indifferente. Scelto il calibro, la cartuccia deve essere quella caricata con la palla più pesante per poter contare sul massimo potere d’arresto, facendo, però, una

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distinzione tra “killing amno” (cartuccia che uccide) e “stopping amno” (cartuccia che arresta). Se si tratta di fermare un elefante che carica a venti metri ben venga il calibro 8 Bore o meglio il 10 Bore; si tratta d’autentici cannoncini portatili che, all’occorrenza fermerebbero anche un tir. Se, invece, si tratta di uccidere pulitamente un animale non occorre strafare. Cartucce come il .450 o il .400 Nitro Express con bossolo da 3-1/2”, che montano una palla di 400 grani lanciata a 2100 piedi/sec. dietro una carica di 60 grani di cordite, sono ottimali per bersagli con una mole di 500/600 kg. Cartucce come il .500 Nitro Express, il .577 Nitro Express, od il .600 Nitro Express, con ogive con un peso variabile da 600 a 900 grani, con una carica di cordite da 80 a 110 grani di cordite, sono ottimali per i più grossi mammiferi della terra. 3.7 L’innesco L’innesco, detto impropriamente anche “tubetto”, è il detonatore della cartuccia. Esso è formato da tre parti: l’involucro esterno, la capsula o coppetta e l’incudine interna. L’involucro è costituito da materiale metallico, generalmente ottone nichelato o d’acciaio ottonato che svolge una funzione portante e protettiva degli elementi interni dell’innesco.

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La coppetta al suo interno contiene una miscela innescante che urtata dal percussore sulla superficie esterna provoca la detonazione della miscela. L’incudine è una cuspide metallica ricavata da una lamina d’ottone o d’acciaio nichelato la cui sezione a V presenta una punta rivolta verso il corpo dell’innesco, vale a dire in direzione della miscela innescante. Alcuni tipi d’inneschi, principalmente quelli da fucile, presentato all’interno un’incudinetta con la funzione di creare un contrasto meccanico con la capsula facendo in modo che la miscela innescante venga rapidamente ed omogeneamente compressa tra due opposte superfici. Nei moderni inneschi, di tipo mono focali o Boxer, il dardo entra nel bossolo attraverso un solo foro; si suddividono in freddi o comuni ed in caldi od a doppia forza (magnum), a differenza di quelli obsoleti, tipo bifocali o Berdan, dove il dardo incentivo entrava da due fori contrapposti, e che non conoscevano questa specifica distinzione. A secondo che lascino scoperta o meno la superficie si suddividono in coperti (DFC) o scoperti (DFS); generalmente questi ultimi solo per cariche non magnum. Fino al decennio scorso erano prodotti inneschi del tipo DS contenenti fulminato di mercurio, scoperto poi come elemento corrosivo ed erosivo degli acciai con cui erano fabbricate le parti d’arma da fuoco; oggi del tutto scomparsi e sostituiti con lo stifnato di piombo, azotati di piombo, azotati d’argento ed il tetrazene, queste ultime due troppo instabili ed auto innescanti, quindi di scarso utilizzo.

Il fulminato di mercurio si presenta in piccoli cristalli di colore bianco o giallo, aghiformi con una

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temperatura d’accensione intorno a 136 gradi C, con un poter calorico di 403 calorie per gr.

Una temperatura d’esplosione intorno a 3560 gradi C ed una velocità di detonazione intorno ai 5400 m/sec. Causa primaria del suo abbandono fu la breve vita in ambienti umidi ed il deterioramento delle canne da fuoco. La tedesca RWS realizzò per prima la miscela Sinoxyd a base di stifnato di piombo, da cui furono derivati il SUR della Fiocchi, il Vis Nox della Remington ed il Gas Tight della Federal. Tutte più o meno contenenti stifnato di piombo dal 25 al 55%, nitrato di Bario dal 25 al 45%, biossido di piombo dal 5 al 10%, solfuro d’antimonio dal 2 al 10% e siliciuro di calcio dal 3 al 15%. Il nitrato di Bario è utilizzato per il suo alto contenuto d’ossigeno, quindi per aumentare il volume del dardo di fiamma; il solfuro d’antimonio per incrementare il volume dei gas emessi, mentre il siliciuro di calcio funge da combustibile. 3. 8 Il Bossolo

Il bossolo, come abbiano innanzi detto, serve a

contenere la giusta dose di polvere, assicurandone l’impermeabilità; a secondo che si tratti di bossoli per arma lunga a canna liscia che armi a canna rigata, lunghe o corte che siano, cambia il materiale di costruzione del bossolo.

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Le cartucce da fucile a canna liscia, generalmente hanno il bossolo con un fondello in ottone e le pareti di plastica, raramente in cartone a causa dell’eccessivo costo di produzione e lavorazione.

Fino a qualche decennio fa era possibile trovare ancora bossoli con buscione (dal francese bouchon = tappo), oggi sostituiti da cartucce in plastica con fondello in ottone e borra interna.

L’altezza di questi bossoli può variare nominalmente a secondo del tipo e del calibro, da un minimo di 65 mm ad un max di 89 mm, mentre l’altezza del fondello in ottone del bossolo varia da 8mm per il tipo T1 per cartucce normali, fino a 27 mm per il tipo T5 cartucce super corazzate magnum. Il T2 si riferisce alle semi corazzate con fondello da 12mm; mentre il T3 ed il T4 si riferiscono rispettivamente a cartucce corazzate e super corazzate.

Il bossolo per armi rigate corte o lunghe che siano, invece, è strutturato interamente in metallo.

Realizzati per la prima volta con l’avvento del fucile a retrocarica, sono costruiti nei materiali più diversi: ottone, ottone nichelato, ed alluminio; quest’ultimo, durante l’ultimo conflitto considerato “importante materiale strategico”, fu sostituito da acciaio nichelato.

I bossoli per arma automatica o semiautomatica, del tipo Rimless, o Rebatedrim, si distinguono, “prima faciae” da quelli per arma a rotazione, del tipo Rimmed, per il profilo del fondello del bossolo; infatti, nelle prime la cui estrazione dalla camera dopo lo sparo è affidata all’unghia estrattrice, presentano un solco nel quale si va ad incastrare il dente dell’unghia.

L’estrazione dei bossoli nelle armi a rotazione del tipo Rimmed è affidata ad un meccanismo entro

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contenuto nel tamburo composto da un alberino, una molla di spinta ed una di contro spinta, con una stella che estrae contemporaneamente tutti i bossoli contenuti nelle camere del tamburo.

Per dovere di completezza occorre precisare che esistono anche bossoli del tipo cinturato denominato Belted, simili al Rimless, ma con un colletto di rinforzo alla base, usati nelle carabine tipo express da caccia grossa, dove sono maggiore lo sviluppo di pressioni, ed un tipo ribassato, detto Ridated, in prevalenza usato per le munizioni di grosse armi semiautomatiche (es Breda 8 mm e Winchester 284) L’ogiva è trattenuta dalle pareti del bossolo mediante una crimpatura che, generalmente nelle cartucce per revolver è del tipo Roller Crimper, mentre per le cartucce per armi automatiche o semiautomatiche è del tipo Taiper Crimper.

La maggiore o minore forza della crimpatura porta ad un aumento ovvero una diminuzione delle pressioni. L’affondamento dell’ogiva nel bossolo porta ad un maggiore o minore spazio libero tra la polvere ed il fondo dell’ogiva all’interno del bossolo, costituendo, anch’esso una variante sul valore delle pressioni al momento dell’esplosione. 3.9 Le cartucce ecologiche

In seguito allo studio dell’utilizzo di cartucce per

arma da fuoco in ambienti chiusi, sono apparse sul mercato delle cartucce c.d. “ecologiche”.

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In queste cartucce l’innesco è diventato monobasico ed assolutamente privo di stifinato di piombo, mentre l’ogiva di piombo è completamente rivestita di rame.

Evitando l’esposizione della superficie di piombo alla vampa prodotta dalla combustione della polvere, permette di annullare le emissioni di particelle derivanti dalla fusione del metallo.

Come è noto il Pb ha una temperatura di fusione intorno ai 320°C, mentre quella del Cu supera i 900°C, pertanto all’esposizione della fiammata gli effetti sono enormemente diversi.

Un vantaggio intrinseco e certamente non cercato dai ricercatori è quello che una palla interamente rivestita di rame tende a mantenersi compatta anche quando colpisce elementi d’elevata consistenza.

L’ogiva di una cartuccia ecologica, conservando meglio la sua integrità fisica, permetterebbe, quindi, una migliore indagine balistica, mentre l’assenza di stifinato di Pb all’esame del “guanto di paraffina” o del moderno “stub”, delimiterebbe, di fatto, il campo delle indagini

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Capitolo 4 - Storia ed evoluzione dei sistemi d’accensione dei sistemi d’arma

La polvere da sparo, come diremo meglio

innanzi, forse, nacque per caso. L’uomo da prima impressionato dalle sue manifestazioni diaboliche ben presto si rese conto delle possibilità che essa gli offriva e, molto verosimilmente, nei primi decenni del XIII secolo la impiegò in campo bellico, inventando delle armi certamente più pericolose per chi le maneggiava che per i nemici.

Le prime armi furono dei semplici tubi di ferro chiusi ad un’estremità, presso la quale era praticato un foro, denominato in seguito “focone”, che permetteva di incendiare la polvere contenuta all’interno del tubo.

Primi disegni di queste armi appaiono del trattato “rudimentum moviciarum – Lubecca – 1475.

In quest’opera, magistralmente spiegata dal Giorgietti nel suo volume sugli inventari dei musei Sammarinesi, si descrivono le sarabatana, una specie di cerbottana con cui è lanciato la “falarica” (dardo incendiario), munita di “saracina”(razzo di lancio).

Le canne vennero da prima fissate a manici di legno con delle gorbie, successivamente con fasce metalliche. L’arma era brandeggiata dal tiratore tenendola sotto l’ascella e sostenendola con una mano, mentre con l’altra dava fuoco alla carica. La

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vampata del focone, proprio davanti al volto del tiratore aveva l’effetto diretto di accecare temporaneamente lo stesso ed uno scarsissimo risultato offensivo per il nemico. 4.1 I primi meccanismi d’accensione.

La necessità di poter gestire l’arma con entrambe

le mani fece nascere i primi meccanismi d’accensione; il primo in assoluto fu lo “scodellino”, destinato ad esistere per oltre cinque secoli.

Lo scodellino all’inizio non fu altro che un incavo circolare a forma di cratere, nel cui fondo si apriva il foro del focone. Per l’accensione della carica, in successione, furono impiegati il carbone rovente, pressapoco tra la metà del 1300 ed i primi del 1400; il ferro rovente, tra la fine del 1300 e la metà del 1400; ed in ultimo le micce di tipo rigido o semirigido, fino alla metà del 1600; dopo di tale periodo si utilizzarono i primi meccanismi a serpentino.

E’ facile immaginare che i primi meccanismi a serpentino furono semplici braccetti ad “S” con la parte inferiore più ampia, mentre quella inferiore terminava con uno spacco in cui s’inseriva il carbone acceso, con un funzionamento “a gravità”. Il serpe cadeva, quindi a gravità sullo scodellino portando a contatto la brace del carbone acceso con la polvere contenuta nello scodellino.

Così si presenta il più antico archibugio, datato inizio del XVI secolo conservato presso il Museo di Basilea. Nella seconda metà del XVI lo scodellino ed il serpe sono spostati di lato al mero fine di liberare la linea di mira, segno questo che alle armi si

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incominciava a chiedere una maggior precisione di tiro, con la contestuale comparsa di altro meccanismo detto “copri scodellino” usato per evitare che la polvere si versasse fuori dello scodellino durante il trasporto, gli urti o soffiata via dal vento. Nel XVIII i copri scodellini furono resi impermeabili e la serpe, ormai chiamata “draghetto”, con l’aggiunta della cartella laterale alla quale lo scodellino diventa solidale, si perviene al “cane”. Ad onor del vero bisogna dare atto che disegni del grande Leonardo Da Vinci, datati 1490, dimostrano che il grande Italiano ha progettato ed elaborato, quasi due secoli prima, un congegno di serpente a scatto. In occidente il sistema a miccia tramontò alla fine del 1700, mentre in oriente più tardi. Durante la rivolta dei Boxer del 1900 le truppe occidentali si scontrarono con cinesi armati d’archibugi a miccia. 4.2 Il meccanismo della ruota. Dopo decenni di scontri verbali tra gli oplologi in merito alla paternità del meccanismo a ruota, è’ stato da molti accettata la tesi che l’invenzione deve attribuirsi a Leonardo Da Vinci, almeno la sua realizzazione ed applicazione pratica.

E’ certa una datazione: un Editto del 1518 dell’Imperatore Massimiliano vieta l’uso, in tutto il suo impero, di “armi che si accendono da sole”. Per capire il semplice l’innovativo meccanismo basta fare riferimento ai moderni accendisigari a

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benzina (tipo Zippo); quest’aveva il vantaggio di far fuoco in brevissimo tempo e la possibilità d’uso notturno senza il pericolo di svelarsi con un bagliore prima dello sparo, oltre a quello di essere montato su armi corte. La complessità del meccanismo e la difficoltà alla riparazione sui campi di battaglia, dovuta principalmente ad una molteplicità d’ingranaggi nel sistema, resero le armi che adottavano questo sistema, armi di reparti d’elitè o di facoltosi benestanti. Il meccanismo era costituito da una ruota imperniata lateralmente alla cartella, sotto lo scodellino; questo ha sul fondo una fessura nella quale appare la superficie dalla ruota, profondamente rigata, profondamente rigata. La ruota, collegata mediante una breve catena a snodi ad un mollone, ha un perno con la porzione sporgente a sezione quadra, in modo da contenere un’apposita chiave con la quale, girando la ruota, si mette in tensione il mollone. Tirando il grilletto la ruota si sblocca aprendo, con una sua camma, lo scodellino scorrevole. Il è cane costituito da un lungo braccio angolato terminante con un morsetto a vite a due ganasce che trattengono un pezzo di pirite.

Innescato lo scodellino vi si abbassa sopra il braccio e allorché quello si apre, la molla spinge il braccio costringendo il morsetto ad entrare nello scodellino premendo la pirite contro la faccia affiorante della ruota: l’attrito tra la pirite e la ruota girante genera scintille che incendiano l’innesco e provocavo lo sparo. A questo meccanismo, in uso per circa mezzo secolo, furono apportate diverse modifiche che, però,

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lo lasciarono sostanzialmente invariato sino alla sua prematura scomparsa, accelerata dall’invenzione dei meccanismi a pietra. 4.3 L’acciarino ed il focile

Questo meccanismo ripete un gesto vecchio di

secoli, quello dell’uomo che brandendo una pietra di selce batte un pezzo d’acciaio, ricavandone scintille per accendere il fuoco.

Questo meccanismo, altro non è che un semplice acciarino, si chiama focile, da cui il nome del nostro fucile. Dante in Inf. XIV vv 38-39 paragona, con una stupenda metafora, il carattere sanguigno di Alessandro Magno “iram non coercebat”, facile ad accendersi come l’acciarino di un fucile. Questa è la riprova che ai tempi del sommo Poeta lo strumento era già diffuso. Un successivo bando fiorentino, datato 1547 vieta l’uso, il porto e la detenzione d’armi da acciaiolo di dimensioni occultabili. Meccanicamente un acciarino a focile è composto di una cartella sulla qual è imperniato un cane a morsetto recante, tra le ganasce, serrate da una vite, un pezzo di pietra focaia. Il cane si abbatte con movimento da dietro in avanti, contrariamente alle armi a ruota. Lo scodellino è coperto da un coperchio scorrevole collegato tramite un’asta allo scatto del cane; quest’ultimo urta violentemente la martellina rovesciandola, l’asta spinge il copriscodellino che scopre l’innesco su cui cadono le scintille.

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A questo semplice meccanismo sono riconducibili tutti i modelli d’armi apparsi fino ai primi decenni del 1800.

A secondo del luogo d’origine e d’alcune modifiche strutturali apportate al progetto base si distinguono:

L’acciarino di tipo baltico, in cui la martellina ed il copriscodellino erano un unico pezzo a forma di “L”;

L’acciarino di tipo olandese denominato “Snaphaunce”, che come il modello scozzese presenta un caratteristico disco parafuoco all’estremità esterna dello scodellino.

L’acciarino di tipo “giacomino”, in onore di Re Giacomo I d’Inghilterra, si presenta sgraziato e pesante, ma senz’altro funzionale, con una meccanica di base del tipo Snaphaunce, presenta un gancio di sicura dietro il cane.

Del tutto simile, ma più elegante, aggraziato da decorazioni ed impreziosito con riporti, è il modello “fiorentino”, utilizzato esclusivamente su armi di pregio ad uso civile. Il cane presenta una linea a “collo di cigno” impreziosita da riccioli.

Nell’aria mediterranea erano diffusi i meccanismi spagnoli ed italiani, fusi insieme dall’evoluzione strutturale, comunemente noti con il nome di “micheletto”, “alla catalana” od “alla biscaglina” caratterizzati da molla della martellina, mollone principali posti all’esterno della cartella con una maggior facilità di riparazione ed un’incassatura limitata, con minor indebolimento della cassa Il nome Miquelet deriva da un corpo di truppe mercenarie spagnole. Esistono diverse versioni denominate “acciarino sardo”, “alla romana”, che si diversificano dal progenitore spagnolo i primi per avere le due molle

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una di seguito all’altra e non l’una sull’altra, i secondi per avere il braccio corto del mollone disposto in alto, mentre l’inferiore, più lungo preme dall’alto verso il basso sullo sperone del cane. 4 .4 La percussione

Intorno al 1806 l’abate scozzese Forsyth, appassionato cacciatore ed alchimista, inventò una sostanza altamente esplosiva: il fulminato di mercurio. Resosi conto dell’importanza della sua scoperta, nel 1808 in Londra aprì una piccola officina con annessa rivendita d’armi. I primi modelli d’acciarino di Forsyth furono ricavati da quelli a pietra, dove, sparita la martellina, il cane si allungava fino ad arrivare a colpire una piccola quantità di fulminato posto in un adeguato scodellino.

Una versione più aggiornata fu quello denominata a bottiglia di profumo, nel quale un marchingegno permetteva di versare una piccolissima dose di fulminato da un serbatoio nel foro del cilindro.

Successivamente il fulminato fu manipolato in diversi modi, in dischetti, in tubetti, in pastiglie e in nastri (in uso fino a qualche decennio fa in armi giocattolo di tipo detonante).

I bersaglieri che entrarono in Roma agli ordini del Generale La Marmora, dalla storica breccia, usarono, per la prima volta nei loro fucili un nastro di rame contenente piccole dosi predosate di fulminato di mercurio. 4.5 La retrocarica

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La retrocarica appare qualche decennio dopo

l’invenzione dell’abate scozzese, quasi contestualmente alla ripetizione, mandando definitivamente in pensione l’acciarino convenzionale, sostituito da sistemi che ereditavano concettualmente il sistema, ad esempio il “Rolling Block” della Remington, od altri diametralmente opposti come il sistema Winchester, dove la percussione è eseguita da un’asta azionata da un cane esterno posteriore, od anche da un percussore aghiforme azionato da una molla a spirale che colpisce un innesco posto sotto la palla, come nei fucili ad ago tipo Chassepot, Dreyse, e Carcano. 4.6 La cartuccia a spillo

Nel periodo di transizione tra la nascita delle

prime cartucce a percussione centrale e l’adattamento delle armi atte ad impiegarle, ebbe notevole successo, fino agli inizi del ‘900 il sistema d’accensione c.d. a spillo, legate indissolubilmente al nome del suo genitore Casimire Lefaucheux, che depositò il brevetto nel 1835.

La cartuccia a spillo si presenta come una tradizionale, con un innesco disposto all’interno del fondello, anziché al centro di esso: una barretta metallica, il cd spillo, attraversa diametralmente il fondello poggiando sull’innesco con un’estremità, mentre l’altra fuoriusciva dal bordo del fondello.

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Il cane di un comune meccanismo a molla indietro, dotato di faccia di battuta (bocca) piana, colpiva verticalmente lo spillo che, schiacciando l’innesco, provocava lo sparo. La cartuccia a spillo, fu inventata, per amor del vero dal francese Houiller, che secondo altri fonti, invece, si limitò ad apportare migliorie al meccanismo di Casimire Lefaucheux. Oggi il nome Lefaucheux è sinonimo d’arma a spillo. L’arma moderna nasce, dunque, con la messa a punto di un bossolo che conteneva polvere, innesco e ogiva e che permetteva, quindi, rapidità, precisione e costanza di tiro. Le prime cartucce a spillo furono realizzate con il fondello in ottone ed il corpo di cartone, e così rimasero fino all’utilizzo del bossolo interamente in ottone ( brevetto Flobert del 1845 ). La sua naturale evoluzione fu la cartuccia a percussione anulare, utilizzato per la prima volta dalla Smith & Wesson nel 1857 per camerare il modello “First Model” in 22 short.

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Capitolo 5 Le polveri da lancio

Il desiderio di disporre di munizioni perfettamente calibrate rispetto alla propria arma, oltre a quello di far pesare sul bilancio familiare il meno possibile il proprio hobby, ha spinto centinaia d'appassionati alla ricarica in proprio delle munizioni utilizzate. Anche per le ragioni suesposte nasce il desiderio di conoscere, di studiare, di approfondire ogni parametro balistico in grado di determinare la differenza del punto d’impatto.

Le polveri da lancio, o propellenti, contengono due elementi necessari per la regolare combustione: il combustibile ed il comburente (ossigeno), fornito nelle polveri alla nitrocellulosa dai gruppi nitrici (NO3) presenti. La quantità d’ossigeno presente nella miscela può essere sia in eccesso sia in difetto.

Nelle polveri dotate di un eccesso d’ossigeno, è il caso delle doppie basi, contenenti nitrocellulosa e nitroglicerina, si ha una combustione completa che porta alla liberazione di gas come ossido d’azoto, vapore acqueo e biossido di carbonio.

Nelle polveri dotate, invece, di una minore quantità d’ossigeno si ha una combustione incompleta ricca di monossido di carbonio e meno biossido di carbonio.

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In entrambe la velocità di combustione è notevole, così come la temperatura che ne deriva.

Una polvere medio progressiva e calda genera, rispetto alle altre, una temperatura molto elevata dell’ordine dei 3.400 gradi centigradi, sviluppando una quantità di gas superiore a 300 volte il volume iniziale.

Da questo si capisce quanta energia si sviluppi e si sprigioni dalla combustione di pochi grani di polvere, un’energia che è capace di alimentare la propulsione del proiettile. 5.1 Le famiglie Le polveri possono essere suddivise in due grandi gruppi o famiglie: polveri calde e polveri fredde, a secondo della temperatura di combustione o del potere calorifico.

Il potere calorifico rappresenta l’energia chimica potenziale che, sprigionata sotto forma di gas dalla combustione, permette la propulsione dei proiettili.

In media una singola base possiede un potere calorifico di 960 Calorie/grammo (es la GM3), mentre una doppia base raggiunge le 1280 calorie/grammo (es Nobel SIPE). Le polveri fredde che possiamo, quindi, anche chiamare a combustione incompleta, sono polveri nitrocellulose a base singola che non contengono una quantità d’ossigeno sufficiente ad una completa combustione, sviluppando meno calore di quanto potrebbero rispetto alla massa.

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Le polveri calde o doppia base sono sempre additiva te con nitroglicerina, un composto che apporta una notevole quantità d’ossigeno e, quindi, sviluppano una combustione completa con una temperatura elevata. 5.2 Le caratteristiche fisico - chimiche delle polveri

Le maggior prestazioni offerte dalle polveri

bibasiche rispetto a quelle monobasiche comportano degli inconvenienti a scotto dell’arma. I loro residui di combustione sono notevolmente acidi e igroscopici, che attaccano maggiormente il metallo della canna, del carrello e del fusto dell’arma. La canna, inoltre, è attaccata maggiormente termicamente dalle polveri bibasiche. Partendo dal dato di fatto che il punto di fusione dell’acciaio è intorno ai 1500/1600 gradi Centigradi, mentre le moderne polveri bibasiche sviluppano intorno ai 3000 gradi, la parte interna della canna è esposta per il tempo di 3-5 millisecondi ad un tormento termico.

La combustione delle polveri può avvenire in tre

distinti modi: a- deflagrazione; b- esplosione; c- detonazione. La deflagrazione è caratteristica per quelle

polveri dotate di velocità iniziale limitata che bruciano senza intasamento, in altre parole senza costrizione di un corpo, quali le pareti di un bossolo che impone dei limiti all’espansione dei gas, quindi un aumento della

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velocità di combustione. La deflagrazione, quindi, in buona sostanza produce unicamente una quantità di calore senza alcun'azione meccanica.

L’esplosione può essere determinata dalle

particolarità intrinseche dell’esplosivo (una gran velocità iniziale di combustione) oppure per la presenza d’intasamento, in altre parole di una costrizione che impone ai gas di svilupparsi in un ambiente controllato, ad esempio un bossolo.

La polvere nera, ad esempio, esplode molto facilmente all’aria aperta, ma per farlo ha bisogno di un forte intasamento, per questo si afferma che la polvere nera sia dotata di un'elevata velocità iniziale ma di poca accelerazione.

Gelatine, balistiti e dinamiti bruciano all’aria, quando non sono ammassate in quantità rilevanti, esplodono se fortemente innescate, sono in altre parole dotate di bassa velocità iniziale, ma di un'elevata accelerazione.

La detonazione, invece, è tipica di tutti gli

esplosivi in cui la velocità iniziale d’accensione è molto elevata (la pentrite o tretranitrato ad esempio ha una velocità iniziale di circa 8200 m/s ed una temperatura di circa 3600 gradi, la nitroglicerina ha una velocità iniziale di 6500 m/s ed una temperatura 2800 gradi) ovvero che l’accensione sia molto energica.

Proprio per questi motivi i composti di per se detonanti sono usati in piccole dosi nelle capsule detonanti (inneschi).

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5.3 La Gelatinizzazione

Le armi da fuoco possono definirsi con una

moderna nomenclatura “macchine termo balistiche”, dove la polvere è il carburante.

Questo carburante allo stato solido per essere contenuto in un serbatoio (bossolo) per un più o meno lungo periodo di tempo deve possedere dei requisiti che non fanno venire meno le caratteristiche chimico fisiche del composto.

Nel corso degli anni tale risultato si è raggiunto con la gelatinizzazione che è un processo chimico che conferisce alle polveri infumi una struttura molecolare caratteristica, definita colloidale che garantisce un'enorme compattezza ed una perfetta omogeneità, rendendo uniforme il processo di combustione in ogni cartuccia.

La gelatinizzazione può essere sia parziale sia totale, ovvero limitarsi ad un mero indurimento superficiale ed avvenire mediante il lavaggio con particolari solventi sia essi esplosivi (es. nitroglicerina) e sia inerti (acetone alcool od etere).

Questi solventi hanno il compito di omogeneizzare la nitrocellulosa, normalmente fibrosa, conferendole la tipica struttura colloidale.

I solventi inerti volatili evaporano, mentre la nitroglicerina addizionata alla nitrocellulosa migliora sensibilmente le prestazioni.

Il merito della gelatinizzazione è quello di rendere la nitrocellulosa ancora più duttile e malleabile, consentendo così di ottenere, attraverso particolari lavorazioni meccaniche, quali la trafilatura o laminatura le forme più disparate.

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Non soltanto la gelatinizzazione fa assumere alle polveri infumi una struttura isotona ed isotropa, acquistando il propellente omogeneità in tutti i punti del suo volume, con un pedissequo valore di costanza della densità e della velocità di combustione, oltre ad una coesione molecolare che comporta, di fatto, un’insensibilità all’umidità.

Lo stato fisico delle polveri gelatinizzate consente loro di acquistare due proprietà basilari per i moderni propellenti, in altre parole la combustione avviene sempre e soltanto per strati paralleli e la velocità di combustione aumenta con l’aumentare della pressione all’interno della camera a polvere (bossolo).

A secondo della forma geometrica che s’imprime ai grani dalla polvere si producono diverse emissioni gassose.

I grani sferici, cubici e cilindrici sviluppano un enorme quantitativo iniziale di gas che tende poi a diminuire bruscamente (vivacità, mentre i grani a forma d’anelli cilindri forati, lamelle, rombi e dischi hanno un andamento costante.

Quelli più grossi hanno un andamento progressivo.

Da questa caratteristica si può accertare prima faciae se siamo davanti ad una polvere destinata alla ricarica di munizioni di tipo comune o tipo magnum. 5. 4 Il fenomeno combustivo

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Prima di addentrarci nella spiegazione del fenomeno combustivo, occorre focalizzare due concetti fondamentali, quello del covolume e quello della pressione sviluppata dall’unità di peso dell’esplosivo in un volume libero fissato (c.d. forza specifica).

Il fenomeno combustivo inizia con l’infiammazione della polvere. Per semplicità dottrinale ed evitare laboriosi calcoli logaritmici, supponiamo che la prima scintilla (cd dardo di ignizione) colpisca simultaneamente ed in modo uniforme tutti i grani di polvere.

All’accensione segue la combustione vera e propria, fenomeno chimico della trasformazione della polvere dallo stato solido a quello gassoso; anche qui, per comodità, crediamo che tutta la polvere contenuta nella camera bruci, senza lasciare polvere incombusta.

Durante questa trasformazione chimica dallo stato solido a quello gassoso le pressioni aumentano raggiungendo il picco pressorio massimo che definiamo inversamente proporzionale alla velocità del gas. 5. 5 La Camera a polvere

Nel nostro caso s’identifica come il bossolo; esso

gioca un ruolo decisivo nel processo della combustione.

Il volume della polvere delimitato dalle pareti del bossolo entro contenuto nella camera di cartuccia della canna dovrebbe essere costante per ogni calibro; ma così non è, infatti, il maggior o minor

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affondamento dell’ogiva e/o un differente profilo del piatto dell’ogiva (flat base o boat tail) comportano un maggior o minor picco pressorio, conseguentemente diverso rilevamento dell’arma da fuoco.

La polvere non riempie mai il bossolo in modo assoluto, vuoi per la maggior capienza di questo, vuoi poiché tra un grano e l’altro permane uno spazio vuoto. Il rapporto che esiste tra il peso della polvere ed il volume della camera a polvere è definito densità di caricamento, parametro che influenza non poco la combustione. Infatti, una delle leggi della balistica interna afferma che la velocità di combustione cresce con l’aumentare della pressione ambiente, influenzata a sua volta dalla densità del caricamento.

Così, maggiore sarà la densità di caricamento maggiore sarà la pressione ambiente, quindi maggiore la velocità di combustione. 5.6 identificazione dei processi fisico chimici

Più rapida è la combustione più aumenta la pressione ambiente, quindi la velocità di combustione aumenta a dismisura con progressione algebrica con lo sviluppo di temperature dell’ordine di 2500/3500 gradi.

E’ possibile calcolare la pressione che si genera all’interno della camera se si osserva che ogni 273 gradi il volume gassoso raddoppia.

Per una corretta analisi balistica quantitativa occorre conoscere il covolume e la forza specifica.

Dall’equazione di stato sappiamo che

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pv = R T In cui p è la pressione v è il volume R è la

costante universale dei gas ideali e T è la temperatura assoluta (273° + la temperatura misurata.

R = (p° v°) diviso 273, dove p° è la pressione atmosferica a livello del mare (760 millibar) e v° è il volume specifico di un gas a pressione p° e temperatura normale di 15° centigradi, espressi rispetto allo zero assoluto.

Nelle esplosioni di modestissime quantità d’esplosivo si adopera l’equazione ridotta di Sarrau: p = RT/v-a, dove a è il covolume, una costante rappresentata dal valore del volume minimo cui si ridurrebbe l’unità di peso del gas se la pressione tendesse all’infinito.

Di forza specifica dell’esplosivo si parla nell’equazione di Nobel – Abel:

p = f D / I, dove p è la pressione f è la forza specifica D è la densità del caricamento I è il volume in cui avviene l’esplosione.

Il prof. Abel fornisce un’ulteriore equazione per il calcolo della pressione sviluppata da una certa quantità di polvere combusta in una camera a polvere. La pressione è il prodotto della differenza tra un termine direttamente proporzionale alla forza specifica dell’esplosivo ed alla densità di caricamento, ma inversamente proporzionale al volume in cui avviene l’esplosione, ed ad un termine proporzionale alla densità ed al volume rappresentato dai residui e dal covolume.

Detto questo possiamo serenamente concludere che ogni esplosivo possiede una specie di codice identificativo anagrafico i cui elementi sono la struttura chimica, il covolume e la forza specifica, che

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permettono una quasi matematica certezza d’individuazione del tipo d’esplosivo oggetto della perizia balistica.

Capitolo 6 Altri tipi d’esplosivi

I Cinesi conoscevano il salnitro fino dall’anno

mille; Marco Polo nel Milione parla di “….luci fantasmagoriche, scoppi e bagliori generati da quella lontana gente in occasione di feste….”; avevano, inoltre miniere di zolfo, quindi produssero per primi la polvere da sparo. Un testo cinese d’armi militari del 1040 DC parla di polveri incendiarie e deflagranti.

La polvere nera è scoperta in Europa intorno al XII secolo, precisamente nel 1250, da Roger Bacon, insieme ad un monaco di Friburgo, tale Bernard Schwartz, purificando il salnitro mediante il processo detto di ricristallizzazione.

In verità sembra che la polvere nera non sia stata una vera e propria invenzione, ma una serie d’esperienze tendenti a modificare le caratteristiche del c.d. “fuoco greco”, una miscela incendiaria formata da nitrato e resina adoperata sin dal VII secolo dai Bizantini.

Se ne trova traccia in un trattato “de mirabili mundi” di Alberto Magno nell’opera “Liber ignium” di Marco Greco e, infine, in una pubblicazione di un ingegnere militare italiano Giovanni da Fontana vissuto nel 1400.

Dall’altra parte del mondo, l’arabo Hassan El Rammhnel nel 1280 spiegava dettagliatamente in un suo trattato la produzione e l’utilizzo della polvere

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nera, così come rimase in uso fino alla fine del XIX secolo.

L’uso della polvere nera si estese soltanto dopo il 1831, anno in cui Bickford inventò la miccia a lenta combustione per mine, che sostituiva le cannucce di paglia riempite di polvere nera, fino ad allora usate. 6. 1 La polvere nera

La polvere nera è una miscela meccanica di

nitrato di potassio, zolfo e carbone. In essa il nitrato rappresenta il comburente, lo zolfo ed il carbone, i combustibili.

La composizione della polvere nera può variare a secondo d’uso, ma la più usata è 75% di nitrati, il 10% di zolfo ed il 15% di carbone.

Una riduzione della percentuale di carbone, compensata da un aumento di nitrati riduce la velocità di combustione, tal effetto può essere ottenuto, mantenendo invariate le quote, con l’aumento dell’umidità dello zolfo del 0,2%.

La polvere nera si accende facilmente, poco costosa ed altamente igroscopica, sviluppando nella combustione una grande quantità di fumo e residui, con un basso potenziale, ma una fiamma caldissima.

Dimostra una forte sensibilità allo sfregamento, al calore ed alla scintilla; il colore può variare dal grigio marrone al grigio molto scuro con grani uniformi piuttosto duri e compatti, con una densità di 870 gr/litro.

Le polveri nere facilmente reperibili sul mercato italiano sono prodotte dalla BDP, denominata Black Silver 1 adatta per armi a canna corta e Black Silver 2 a granitura più grossa per armi lunghe ad avancarica.

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Alla combustione si producono fecce e fumo tenue dovuta alla buona qualità delle componenti.

6. 2 Le polveri senza fumo

Contrapposte alla polvere nera, sono dette

polveri senza fumo quelle che sviluppano nella combustione solo prodotti gassosi, con un minimo residuo solido e con assenza quasi totale di fumo.

L’inventore fu il berlinese Schultze che nel 1865 ne brevettò la formula, con l’utilizzo massiccio per usi militari a partire dal 1881.

Nel 1882 fu realizzata la polvere “EC” a base di nitrocellulosa, nitrato di potassio e di Bario, con impasto parzialmente gelatinizzato tramite un miscuglio d’alcool e d’etere, solventi volatili.

Nel 1883 Max Von Duttenhofer ottenne il Rottweil, una polvere senza fumo d’uso militare, nitrando la cellulosa del legno e gelatinizzandola tramite etere acetico.

Tuttavia la realizzazione delle moderne polveri infumi fu possibile solo dopo il 1884 quando il prof. Vielle mise a punto un metodo per trasformare la potenza dilaniante del fulmicotone in energia propulsiva tramite la gelatinizzazione delle nitrocellulose ad elevato titolo azotometrico, perciò di difficile solubilità.

La balistite ottenuta gelatinizzando con la nitroglicerina il cotone collodio (nitrocotone a basso contenuto d’azoto) fu ottenuto da Nobel nel 1888.

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Le moderni polveri rispetto alle antenate presentano una maggiore stabilità fisico chimica dovuta all’uso di plasticanti speciali e sostanze che impediscono o ritardano i naturali processi di decomposizione o invecchiamento dei propellenti. 6. 3 La chimica delle polveri infumi

Tutte le polveri infumi hanno in comune, quale

componente indispensabile, la nitrocellulosa, un composto organico ottenuto per azione di una miscela solfonitrica (acido solforico e acido nitrico a concentrazione elevata) su cotone purificato o su cellulosa di legno. La denominazione nitrocellulosa è impropria perché non si tratta di nitroderivati bensì di esteri nitrici (eteri sali). La cellulosa, infatti, contiene tre gruppi ossidrilici che possono essere totalmente o parzialmente esterificati, cioè sostituiti con residui acidi. Secondo il grado di nitrazione si ottengono “mono”, “bi” e “tri” nitroesteri ogni sei atomi di Carbonio. Le nitrocellulose, altamente nitrate sono insolubili in alcool ed etere, ma sono solubili in acetone ed etere acetico. I mononitroesteri non trovano uso nei propellenti a causa del loro potenziale esplosivo. I dinitroesteri della cellulosa, detti anche dinitrocellulose, od anche cotone collodio sono largamente usati nei propellenti poiché solubili in una

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miscela d’alcol etere, nella nitroglicerina, nel nitroglicol e nel dinitrotoluene. Le trinitrocellulose chiamate anche cotone fulminante, pirossilina, ma molto spesso più semplicemente “fulmicotone” hanno un aspetto fisico simile al cotone, ma più ruvide al tatto e di colore bianco avorio. Possiamo, quindi, dire che la nitrazione più o meno completa della cellulosa porta alla formazione di prodotti diversi, con maggiore o minore contenuto di N. Abbiamo perciò due prodotti principali finali: il cotone collodio con un titolo di N intorno al 12% ed il fulmicotone con un titolo di N pari al 13,5% 6.4 Caratteristiche chimiche del cotone collodio, fulmicotone e nitroglicerina.

Tutte le nitrocellulose hanno un bilancio di

ossigeno negativo, tanto più basso quanto minore è la percentuale di N contenuta, perciò il cotone collodio, pur essendo un potente esplosivo è molto più debole del fulmicotone; quest’ultimo, infatti, contiene una maggiore quantità di NO2.

Per una deflagrazione delle polveri occorre una notevole quantità di O per ossidare gli elementi combustivi della molecola rappresentati da H e C, onde poter realizzare il maggior volume possibile di CO2 e di CO.

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La nitroglicerina, nome improprio, poiché l’esatta denominazione è trinitroglicerina, è un composto organico che si ottiene trattando la glicerina con miscela solfonitrica a temperatura non superiore a 10 gradi centigradi. Si presenta sotto forma di un liquido denso ed oleoso, incolore ed inodore, con vapori velenosi se inalati. Solidifica alla temperatura di 13,5 gradi C°, ed è poco volatile, con un costo di produzione basso.

Sensibile all’urto ed al calore è usata unicamente in composti.

Allo stato puro appartiene alla categoria degli esplosivi dirompenti. Per poter paragonare la diversa potenza dei tre esplosivi si riassumono in tabelle le specifiche caratteristiche:

1) FULMICOTONE

- calore d’esplosione 1.020 cal/gr; - volume d’espansione 910 litri/kg; - temperatura d’accensione 180 gradi C; - energia specifica 10.300 Kg/cmq - velocità di detonazione 6.000 m/s

2) COTONE COLLODIO

- calore d’esplosione 700 cal/gr; - volume d’esplosione 850 litri/Kg - temperatura d’accensione 160; - velocità di detonazione 4000 m/s.

3) NITROGLICERINA - calore d’esplosione 1510 cal/gr; - volume d’esplosione 715 litri/Kg; - energia specifica 12.900 Kg/cmq; - temperatura d’accensione 220 C°;

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- velocità di detonazione 7600 m/s 6.5 La dirompenza secondo Kast o forza dell’esplosivo.

E’ il prodotto della pressione specifica per la

densità e per la velocità di detonazione, essa può variare da 650 a 1600 dinamodi.

Si può esprimere con la seguente formula d = e x D x Vd dove:

d = dirompenza secondo Kast; e = pressione specifica; D = densità dell’esplosivo; Vd = velocità di detonazione dell’esplosivo.

La dirompenza si può calcolare con il dispositivo

di Kast, misurando, dopo l’esplosione, lo schiacciamento del cilindretto di rame, rapportandolo nelle apposite tabelle.

Allo scopo di facilitare ed abbreviare i calcoli le tabelle sono calcolate a temperatura ambiente ed a 760 mm di pressione, prese dal Beyling-Drekopf.

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6.6 Classificazione commerciale delle polveri

Una prima suddivisione che si opera nella

classificazione delle polveri da lancio è quella tra polveri monobasiche e polveri bibasiche.

Appartengono alla famiglia delle monobasiche tutte le polveri che non contengono nitroglicerina, poiché hanno un solo componente attivo ai fini esplosivi: la cellulosa nitrata, detta anche impropriamente, con una nomenclatura ante Jupac, nitrocotone.

In rapporto alla caratteristiche sono suddivise

nelle categorie: a) per densità in: dense, semi dense; voluminose; b) per composizione in: non gelatinizzate; parzialmente gel; c) per forma in: granulari; lamellari; discoidali; a tubetti . d) per struttura d’impasto in: fibrose;

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porose; dense.

e) per andamento di sviluppo dei gas in: degressive o vivaci; costanti;

progressive.

f) per composizione chimica in: normali modificate Una monobasica è definita normale quando

risulta composta per oltre il 95% da nitrocellulosa pura unita a piccole quantità di additivi stabilizzanti; è detta modificata quando contiene un solvente residuo di tipo attivo cioè un nitroestere, che oltre a ritardare l’auto decomposizione, aumenta la stabilità del colloide.

Appartengono alla categoria delle doppie basi, ovvero a solvente fisso le polveri formate da due componenti attivi: la nitrocellulosa e la nitroglicerina.

La nitroglicerina ha la proprietà di gelatinizzare completamente le nitrocellulose a bassa nitrazione, per questo costituisce un solvente fisso (non volatile).

Appartengono alle doppie basi le balistiti normali e quelle attenuate, le corditi, le soleniti.

Le balistiti formano la più importante ed antica

categoria di polveri laminate bibasiche, essendo composte di una miscela in parti uguali di cotone collodio, con circa il 12% di titolo e nitroglicerina; hanno una densità di circa 1,64, un potere calorifico di +/- 1300/1500° cal/gr, ed una temperatura d’esplosione pari a 3500° C.

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Si presenta di colore ambrato con un’ottima resistenza all’umidità dovuta alla bassa porosità.

(N.d.A.) Questa sostanza esposta a basse temperature cristallizza, divenendo altamente pericolosa.

Le corditi si distinguono per la loro grossa

pezzatura, con un contenuto di nitroglicerina maggiore delle balistiti, prendono il loro nome dalla particolare forma a spaghetto e sono generalmente usate per munizioni destinate a grosse bocche da fuoco, ovvero grosse armi portatili (fucili da caccia grossa).

Le corditi si suddividono in due categorie; alla prima appartengono quelle preparate con solvente volatile, impiegando nitrocellulosa ad altissimo titolo (cd fulmicotone), alla seconda quelle preparate senza solvente e con l’impegno di un titolo d’azoto minore (cd pirocollodio).

(N.d.A.) Nelle moderni corditi ricorre sempre la presenza di centralite in percentuale elevata, poiché questo composto ha funzioni gelatinizzante, con una simile composizione: fulmicotone al 29%, nitroglicerina al 65%, centralite al 6%.

La solenite è una polvere doppia base di scarsa

importanza, usata fino al 1948 dall’Esercito italiano per il caricamento di munizioni per armi portatili, oggi del tutto scomparsa a causa del suo alto potere corrosivo.

La sua composizione chimica è un 61% di nitrocellulosa, 36% di nitroglicerina ed il 3% d’olio minerale, con un potere calorico variabile tra 1050 e 1150 cal/gr.

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6. 7 Polveri monobasiche e bibasiche. Pregi e difetti Le polveri monobasiche sono ottenute dal descritto processo di peptizzazione di una misura di nitrocellulosa a diverso titolo d’azoto tramite un solvente volatile; la perdita nel tempo di questo solvente volatile innesca nelle monobasiche il processo chimico inverso cd destabilizzante; proprio a causa di questa scarsa stabilità si ricorre a quel processo di plastificazione dei grani ovvero ad usare sempre più solventi meno volatili. Le principali caratteristiche negative sono quindi una maggiore sensibilità all’umidità ed alla minore stabilità fisico chimica rispetto alle doppie basi.

D’altro canto le monobasiche hanno il pregio di essere meno costose, avere una bassa temperatura di esplosione, con scarsa sensibilità alle basse temperature atmosferiche, grande penetrazione dell’ogiva ed una ridotta fiamma di bocca, quindi, una maggiore versatilità Le polveri bibasiche possiedono diversi pregi tra i quali la regolarità della combustione, la stabilità chimica ed un’assenza quasi totale di igroscopicità, dovuta anche all’omogeneità dell’impasto, con scarsissima liberazione di vapori nitrici, limitando, quindi, i processi di decomposizione; tutti elementi che permettono un uso in condizioni difficili; at contra, accelerano notevolmente il processo di erosione e corrosione delle armi da fuoco, poiché i residui igroscopici (sali) assorbono vapore acqueo generando nocivi cloruri.

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L’utilizzo di polveri monobasiche o bibasiche è riconoscibile anche dalla fiamma di bocca prodotta al momento dello sparo.

E’ noto, infatti, che mutamenti di pressione, temperatura o densità di carica possono spostare gli equilibri dei processi d’esplosione aventi bilancio positivo d’ossigeno.

La stessa aria che i gas incontrano all’uscita determina una seconda reazione ossidativa dell’ossido di carbonio e dell’idrogeno, con la pedissequa riaccensione dell’ossido di carbonio alla bocca dell’arma, dovuta all’eccesso di temperatura del gas d’esplosione.

Un’ultima differenza che appare degna di nota è l’entità del rinculo dell’arma da fuoco; infatti, a parità di tipo e peso dell’arma e della velocità iniziale dell’ogiva, la maggior vivacità di una polvere provoca un maggior rinculo. 6. 8 Classificazione dei fuochi artificiali Nel ‘500 i tecnologi usarono il termine “pirotecnia”, derivante dal greco “piros” = fuoco e “tecnos” = arte, per indicare in genere le arti in cui era utilizzato il fuoco, dalla gastronomia alla fusione dei metalli. Nell’uso odierno, però, con questo termine s’intende solo la tecnica delle composizioni luminose, incendiarie, detonanti e fumogene impiegate in

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guerra, in comunicazioni marittime e terrestri e in spettacoli. Esempi del passato furono il “fuoco greco”, il “fuoco feniano o fuoco lorenese”, ed “i razzi alla Congreve”, che la flotta inglese comandata da Lord Congreve, lanciò su navi francesi alla fonda nel porto di Boulogne, rendendole inutilizzabili per la battaglia.

Le miscele di fuochi artificiali o artifizi, oggi, sono in genere formati dai composti della polvere pirica o polvere nera: nitrato di potassio, di sodio o di zolfo, polvere di carbone, con aggiunta di clorati, di nitrati quali sostanze atte a produrre fiamme intensamente e diversamente colorate. Per ottenere effetti pirotecnici si utilizzerà generalmente una reazione di ossido riduzione entro un elemento ossidante che sarà il comburente ed un elemento riduttore che sarà il combustibile. In pirotecnica hanno molta importanza le polveri metalliche, specialmente Al e Mg, le quali ossidate, emettono abbagliante luce, secondo le seguenti equazioni:

10 Al + 6KNO 5 Al 2 + K20 + 3 N 2

5 Mg + 2KN03 5 MgO + K20 + N2

I fuochi artificiali sono costruiti con un recipiente o “cartoccio”, entro il quale si mette la composizione da bruciare, formato da polverino nero o grigio, cioè polvere nera corretta con clorato di potassio, zolfo e carbone, oltre a sostanze varie per la colorazione, ed in particolare per: -luce rossa: nitrato di calcio, nitrato di litio; -luce bianca: alluminio in polvere e magnesio; -luce verde: clorato o nitrato di bario; -luce azzurra: ossicloruro o solfato di rame;

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I fuochi si distinguono in:

fuochi fissi; fuochi aerei; fuochi di guarnizione.

I fuochi aerei comprendono i razzi, i carciofi, le

granate; I fuochi fissi sono quelli destinati a bruciare a

terra e comprendono le castagnole, le fontane, i bengala, gli sbuffi ed i mortaretti;

i fuochi di guarnizione sono quelli incorporati in altri fuochi, quali le colombe, le girandole, le cascate, le stelle ed i lumi a botta. 6.9 Miscele Pirotecniche

La moderna pirotecnica ha cercato di sostituire in

parte prodotti pericolosi, come clorati, zolfo, limatura di zinco, vetro triturato, ambra, canfora, rame, con prodotti meno pericolosi od inerti.

La buona combustione di un fuoco d’artificio si deve anche alla combustione degli stoppini o micce. Ecco qui una composizione ottimale di una miccia:

Salnitro gr. 3600 Zolfo gr. 650 Carbone di vite gr. 1150 Destrina gr. 108

Per preparare la miccia basta battere nella “pila”

(mortaio di legno) la composizione per un paio d’ore, poi, quando è leggermente inumidita con acqua o gomma arabica, fino a farla diventare una pasta piuttosto liquida, s’immerge del filo di cotone

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intrecciato; dopo averlo lasciato per qualche ora, si asciuga all’aria disteso su telai. All’interno dei fuochi o dei giochi pirotecnici, vi è, quindi, una prima miscela iniziatrice, poi delle altre miscele compresse che possono essere sia illuminanti che fumogene. La miscela iniziatrice deve essere usata nella proporzione dell’1% rispetto alla miscela illuminante e/o fumogena. La miscela deve essere pressata a 150 Atm in tubi di cartone, con una densità costante per ottenere una luminosità e durata omogenea. Le miscele illuminanti sono composte, generalmente da: Magnesio 43% Nitrato di sodio 47% Legante (lamilac) 10% e, compresse a 150 atm, generano una luce pari a +/- 600.000 Watt’s.

Le miscele iniziatrici, ugualmente compresse, sono composte da: miscela illuminante al 75% polvere nera al 25%

Le miscele fumogene sono state usate molto in guerra e producono fumi anche colorati, più o meno densi, in base a determinate reazioni chimiche.

Uno dei più energici fumogeni, anche molto pericolosi, poiché all’aria s’incendia con estrema facilità, è il fosforo bianco che si combina facilmente con l’ossigeno dell’aria, trasformandosi in anidride fosforica, con formazione di una nebbia persistente e molto densa, secondo la reazione:

4 Ph + 5 O2 2 Ph2 O5

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L’anidride fosforica a sua volta reagisce con l’umidità dell’aria, formando acido fosforico, secondo la reazione:

Ph2O5 + 3 H2O 2H3PhO4

Il fosforo bianco, vista la sua pericolosità, non è più usato, ed è sostituito con l’esacloretano, il quale si miscela con lo zinco.

Altri fumogeni usati in pirotecnia, sono il tricloruro d’arsenico, il pentacloruro d’antimonio ed il tetracloruro di silicio.

Durante la prima guerra mondiale fu usata, per

usi bellici, la miscela Berger formata da: Zinco 25% Tetracloruro di carbonio 50% Ossido di Zinco 20% Farina fossile 5%

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Capitolo 7 Micce, detonatori ed ordigni esplosivi Per esplosione di una sostanza o di un composto esplosivo, si intende una trasformazione chimico fisica, estremamente rapida, fortemente esotermica ed auto sostenuta, con effetti luminosi e/o meccanici. Si denomina esplosivo un composto od un’unione meccanica (miscela) chimicamente poco stabili che, sottoposto ad appropriate sollecitazioni esterne, è capace di trasformarsi in altra sostanza, mediante lo sviluppo d’energia termica e meccanica. Gli effetti tipici dell’esplosione (effetto dirompente o effetto propellente) scaturiscono dall’energia interna cd entalpia del sistema. 7.1 Le Micce

Sono degli artifizi che, generalmente, si

presentano come un cordoncino di diverso colore, all’interno del quale vi è un’anima contenente esplosivo.

Esternamente la miccia si presenta rivestita di materiale di diversa natura, a secondo dell’impiego e del tipo della miccia stessa.

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La miccia è utilizzata per innescare, mediante un detonatore, la carica esplosiva, in modo che l’artificiere abbia un ragionevole lasso di tempo per porsi ad una distanza di sicurezza prima che si verifichi l’esplosione.

L’innescamento può avvenire mediante la trasmissione di una fiamma o di un’onda esplosiva od elettrica.

Attualmente si distinguono in: a- micce a combustione lenta; b- micce a combustione rapida; c- micce detonanti. Le micce a combustione lenta sono costituite,

generalmente, da un’anima a polvere nera, a base di nitrato di potassio e carbone vegetale, racchiuso in un intreccio di fili di juta a loro volta ricoperti da una guaina impermeabilizzante. La qualità del rivestimento della guaina esterna varia a seconda del tipo di lavoro e del calore al quale la stessa sarà esposta. La velocità di combustione delle micce lente si attesta intorno al centimetro al m/s, salvo la presenza nell’anima di miscele con materiali ritardanti Le micce a combustione rapida bruciano a velocità più elevate, da 50 a 150 cm/s; possiedono la caratteristica di poter bruciare anche immerse in liquidi e si differenziano da quelle a combustione lenta per la vivacità della colorazione esterna dell’involucro.

Rosso- arancione per quelle d’uso tattico notturno, verdi per quelle ad uso subacqueo e viola per quelle di tipo anti vento. Le micce detonanti sono costituite da un’anima d’esplosivo detonante, quale acido picrico o pentrite,

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con una velocità di 8000 m/s; fulminato di mercurio, con una velocità di 6000 m/s o tritolo, con una velocità intorno a 4000 m/s, racchiuse in un involucro generalmente di piombo o stagno. Le micce detonanti sono, generalmente, usate per collegare diverse cariche esplosive da far esplodere contemporaneamente. 7.2 I detonatori

I detonatori sono utilizzati per generare un’onda

esplosiva iniziale, quindi, per generare l’esplosione delle cariche con le quali sono a contatto.

I detonatori possono distinguersi in detonatori comuni e in detonatori elettrici.

a- I detonatori comuni sono costituiti, generalmente da un contenitore metallico di rame od alluminio (c.d. bossoletto) contenente due distinti tipi d’esplosivo uno con tipico effetto innescante quali il fulminato di mercurio o lo stifnato di piombo, l’altro di tipo dirompente come ad esempio il T4 (esplosivo al plastico). La carica esplosiva è separata da quella innescante da un elemento metallico forato allo scopo di evitare la mescola dei due esplosivi o sollecitazioni di altro genere. b- I detonatori elettrici sono costituiti da un bossoletto d’alluminio, ottone o rame sul cui fondo sono compresse cariche esplosive, terminanti con una testina accensiva formata da sostanze infiammabili a

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contatto con i due elettrodi di un filo che viaggia all’esterno. Collegando i due capi ad una fonte d’energia elettrica, la testina collegata ai due capi si surriscalda fino ad accendersi. L’esplosione del detonatore può essere simultanea a quella della testina, ovvero, ritardata mediante l’uso di speciali elementi tra l’esplosivo e la miscela innescante. 7.3 L’innescamento.

Gli inneschi, e in altre parole sia i detonatori sia

le capsule, sono appositamente fabbricati per provocare l’esplosione delle sostanze esplosive.

Per la polvere nera basta una scintilla provocata da una miccia accesa, ma per tutti gli altri occorre un’onda d’urto molto energica per cui si è dovuti arrivare all’utilizzo di composti chimici che esplodono con violenza e rapidità.

La detonazione si verifica soltanto con un'elevazione rapida della compressione, infatti, è difficile provocare un’esplosione alzando molto lentamente la pressione, ed è per questa per questa ragione tutte le presse per compressione d’esplosivi hanno una velocità di compressione molto lenta.

Se consideriamo la densità dell’esplosivo pressato, dobbiamo tenere presente che in un mezzo più denso lo smorzamento delle oscillazioni è più lento, mentre in uno poco denso le oscillazioni saranno smorzate su un percorso più corto; e cioè

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l’inizio di un’esplosione è tanto più difficile quanto più è compresso un esplosivo, limitando in questo modo il movimento delle molecole.

7.4 Principali prove di riscontro da eseguirsi sui detonatori

Una serie di prove si possono tecnicamente

effettuare sui detonatori per verificarne la potenzialità e l’efficienza.

La prova di volata consiste nell’introdurre nel

detonatore un pezzo di miccia a lenta combustione e collegarla, dopo aver tagliato un pezzetto, longitudinalmente ad un filo che si rende incandescente elettricamente, e che quindi accende le micce, che a loro volta, fanno esplodere i detonatori.

Le micce, tagliate in diverse misure, fanno esplodere i detonatori uno alla volta progressivamente.

La prova della piastrina di piombo consiste nel

far esplodere il detonatore appoggiato verticalmente ad una piastrina di piombo puro dello spessore di circa 5 mm, di forma quadrata ed avente il lato di 50 mm, e, nell’osservare sia la perforazione e sia la finezza delle irradiazioni prodotte sulla sua superficie, dipendenti queste dal grado di finezza della scheggiatura del detonatore stesso, che è in rapporto con il potere frantumante e della velocità di detonazione, si determina il tipo d’esplosivo e la pressione cui sono stati caricati i detonatori.

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La prova della sabbia, eseguita principalmente

negli States, consiste nel rilevare la quantità di polvere ottenuta da una sabbia dura, quando in essa sia fatta esplodere una capsula.

Per eseguirla si utilizza un apposito recipiente metallico a pareti robuste, nel qual è posta una certa quantità di sabbia di una determinata granitura.

Il detonatore si pone al centro e si fa esplodere elettricamente dall’esterno.

Termine del confronto della potenza del detonatore in esame è il peso della sabbia che passa dopo l’esplosione, attraverso un setaccio avente un determinato numero di maglie per cm2.

7.5 Gli ordigni esplosivi La criminalità organizzata fa sempre più spesso

uso d’ordigni esplosivi per perseguire i propri scopi delittuosi.

Generalmente sono usati degli esplosivi commerciali sottratti ai magazzini delle fabbriche, armerie o cave.

E’ bene non dimenticare mai che la presenza di una bomba richiede la presenza di personale altamente specializzato ed è assolutamente “sconsigliato” provare ad entrare in contatto con l’ordigno.

La varietà degli esplosivi che possono essere reperiti sul mercato, quindi utilizzati dai criminali,

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porta ad una sommaria enunciazione delle procedure d’individuazione.

Tra le tante, più diffuse nell’utilizzo pratico, sono le lettere esplosive e le bombe carta.

Le lettere esplosive sono usate per sfregiare o

ferire una sola persona. Queste sono confezionate con una modesta carica esplosiva interposta tra due cartoncini inseriti in una seconda busta più grande.

La bomba carta, invece, si presenta come una

grossa salsiccia di carta spessa o cartone, legata con spago o corda e ricoperta di collante, spesso rinforzata con bulloni, schegge di vetro e chiodi, quasi mai munita di detonatore elettrico od a tempo, ma di miccia a lenta combustione. 7.6 L’impiego d’esplosivi da mina.

L’utilizzo di “moda” d’esplosivi da mina per

azioni delittuose, specialmente da parte alcune frange ben determinate di criminalità organizzata, mi spinge a dedicare un intero paragrafo all’argomento, facendo delle debite premesse.

Innanzi tutto cos’è una mina? Generalmente s’intende una determinata quantità di materiale esplosivo, munito di mezzi propri d’accensione, disposta all’interno, ovvero a contatto, di un corpo, allo scopo di produrre, mediante esplosione, la demolizione, la rottura, ovvero il danneggiamento.

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Gli esplosivi usati per la fabbricazione delle mine sono:

a) gli esplosivi alla nitroglicerina gelatinosi o polverulenti e contenenti nitrato ammonico o sodico;

b) gli esplosivi al clorato o al perclorato; c) il tritolo; d) miscugli di tritolo e nitrato ammonico, detti

amatoli; e) miscugli di tritolo T4 o pentrite; f) balistiti o nitrocellulose g) polvere nera La procedura generalmente seguita per il

posizionamento della mina, al fine di ottenere il massimo effetto, è il c.d. “caricamento a petardo”.

Fatto il foro dove collocare la mina, s’introduce l’esplosivo, generalmente confezionato in cartucce avvolte in carta paraffinata, di cui una contenente, l’innesco, dopo aver eseguito lo stoppaggio, consistente anche in un piccolo malloppo di carta o stracci, si procede con il borraggio, operazione che consiste nell’isolare dall’aria le cariche.

Senza un buon borraggio i gas prodotti dall’esplosione sarebbero liberi di espandersi, perdendo la loro potenza d’urto e producendo un’esplosione di scarso rendimento.

Tanto più è debole l’esplosivo, tanto meglio deve essere il borraggio.

Tra una carica e l’altra può esserci borraggio o meno, nel qual caso avremo mine a carica interrotta od a carica continua.

L’accensione della mina può avvenire anche elettricamente, ma con operazioni più delicate e

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complesse, che suppongono una media alta professionalità dell’operatore.

Preventivamente deve essere misurata la resistenza degli inneschi con un tester posizionato con la scala hometrica, che deve essere uguale tra loro.

Tutti i detonatori devono essere isolati tra loro e collegati tra loro con cavetto a doppio conduttore isolato in parallelo (generalmente usato dai militari), in serie (uso più comune e frequente) o in modo misto (raro e poco conosciuto) a secondo l’effetto che si vuol ottenere. 7.7 Esplosivi militari da scoppio.

Negli ultimi tempi, dalla lettura dei rapporti di

PG, capita sempre più spesso di leggere d’azioni eversive compiute mediante l’impiego d’esplosivi militari da scoppio, ovvero di ritrovamenti, o della confisca, di “considerevoli quantità d’esplosivo”, provenienti dai paesi dell’ex “Patto di Varsavia”.

Gli eventi sociali che hanno sconvolto l’equilibrio dei paesi dell’Est Europa, hanno reso di facile reperibilità per la malavita organizzata, oltre che d’armi leggere, anche di esplosivi per uso bellico.

Gli esplosivi militari di notevole interesse attualmente non sono molti.

Oltre alla Gomma A, quasi dimenticata, sono adoperati il Tritolo, il T4, la Pentrite, il Tetritol, il Picrato d’ammonio e le loro miscele, quali l’Amatolo, la “Composition B”, le Pentriniti, la Tritolite, il Tritolital ed il Tritonal; questi ultimi tre contenenti polvere

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d’alluminio ed usati prevalentemente per armi subacquee.

Il munizionamento bellico, per semplicità di studio, e per grandi linee, può essere suddiviso nel seguente modo:

1- Proiettili d’artiglieria ordinari di piccolo calibro,

caricati generalmente per compressione di T4 o pentrite, quasi tutti muniti di tracciatori e spoletta sensibile;

2- Proiettili perforanti aventi una carica di scoppio

che arriva al 1-2% del peso del proiettile. Caricati con T4, Compoud B, o Tritolite, sono supersonici e muniti di punta appuntita che permette di perforare le corazze dei blindati.

3- Proiettili anticarro e razzi anticarro riconoscibili

dall’ogiva unita di una campanella, generalmente di rame a carica cava, che sfrutta l’effetto Munroe-Neomann, che possono perforare, con cariche anche inferiori al kg delle corazze dello spessore di 10-20 cm.

4- Armi subacquee sono contenute in involucri di

lamiera molto sottile e con esplosivo del tipo T4, torpex o tritolital addizionati con polvere d’alluminio

5- Bombe d’aeroplano, con involucri molto sottili e

cariche, generalmente tritolo, che possono raggiungere il peso di 1000 chilogrammi.

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7.8 Esplosioni mancate ed incidenti Molto realisticamente, potrebbe capitare di

intervenire sul luogo di un attentato dinamitardo e trovarsi alla presenza di un ordigno al quale si sia verificata una mancata esplosione.

Non sarà mai superfluo ricordare che ogni verifica deve essere affidata unicamente a personale altamente qualificato e specializzato; ma qui, brevemente, si elencano le principali cause di una mancata esplosione.

1) Difetto dovuto all’innesco cagionato da una

miccia di cattiva qualità od inumidita o semplicemente contaminata la polvere al suo interno da grasso, o danneggiata durante il borraggio.

2) Difetto dovuto all’esplosivo troppo poco

sensibile per detonare con il tipo di detonatori adoperati, o troppo compresso od inumidito.

3) Difetto dovuto al caricamento a causa di un

borraggio mal fatto od insufficiente, in questo caso la mina fa da “cannone”, cioè, lancia il borraggio, ovvero, le cartucce sono separate da materiale estraneo (es pietrisco) senza collegamento tra loro con la miccia detonante.

4) Difetto dovuto alla miccia detonante che

durante la sua sistemazione potrebbe essere stata urtata, schiacciata, spezzata o bagnata.

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7.9 Le cariche cave

In questi ultimi tempi, sia nel campo civile sia in

quello militare, hanno preso una buon’importanza le cd “cariche cave” o “ad effetti concentrati”.

Furono studiate per la prima volta del 1888 dal Munroe, poi riprese dal fisico tedesco Neumann.

E’ risaputo che per avere un buon effetto una carica esplosiva deve avere un buon intasamento, altrimenti i gas si disperdono in tutte le direzioni, con lievi effetti.

Però, se l’esplosivo presenta una cavità nel piano d’appoggio sulla parete resistente, questa è frantumata, fusa o forata a seconda del materiale di cui è fatta la parete l’appoggio.

Il Neumann costatò che una carica cilindrica contenente in una delle basi una cavità conica ed innescata all’altra base, in direzione dell’asse ed alla base del cono, produce un effetto locale 4-5 volte superiore a quel prodotto da un’uguale carica senza cavità.

Tale fenomeno fu spiegato considerando che, dato che la carica è innescata in alto, la detonazione procede dall’alto verso il basso, per cui l’onda esplosiva si converte in onda d’urto alla superficie di contatto tra l’esplosivo e l’ambiente esterno.

Così abbiamo che da un’unica superficie piana, si diparte un’unica onda che diminuisce d’intensità con l’allontanarsi dall’origine, mentre da una superficie conica cava, partono tante onde d’urto che incontrandosi danno origine a risultati paralleli all’asse del cono e d’intensità proporzionale alla somma delle intensità delle singole onde d’urto componenti, da cui si deduce che le onde di

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propagazione di ciascuno dei suoi punti, raggiungono il fuoco nello stesso istante, provocando un fortissimo urto.

Nel campo militare, una prima applicazione pratica del principio ad un’arma da fuoco, fu il “Panzerfust”, cannone senza rinculo portatile, una specie di bazooka, usato alle ultime battute del II^ conflitto mondiale dai giovani soldati del III Reich, quasi tutti provenienti dalla gioventù Hitleriana e senza uno specifico addestramento per questo tipo d’arma sperimentale, contro i carri armati alleati.

Nel campo civile, tali cariche sono già entrate in uso per rompere grossi massi che si staccano dalle montagne o in cave.

Per tali cariche occorre un esplosivo con una forte velocità di detonazione, unitamente ad una grossa dirompenza, quindi, sono da utilizzare, quali esplosivi, la Gomma A, il T4 o la Pentrite.

Per calcolare il peso dell’esplosivo capace di operare la perforazione si adopera la seguente formula:

P = K S n In cui P è il peso capace di compiere la

perforazione; S è lo spessore della corazza espressa in cm, mentre K è un coefficiente che dipende dalla natura del materiale da sfondare

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Capitolo 8 Nozioni di chimica organica

La chimica organica è la chimica dei composti del carbonio. Essa deve il suo nome al fatto che all’inizio dello studio della chimica essa s’interessava delle proprietà e della costituzione di composti contenuti negli organismi viventi e in altre parole nelle piante e negli animali. Le sostanze più semplici contenenti carbonio: carbonati, cianuri, cianati, carburi ed altri, sono generalmente considerati sotto la voce “carbonio”. Il gran numero di prodotti organici conosciuti trae la sua origine, soprattutto dalla possibilità del carbonio di formare lunghe catene d’atomi (c.d. catenazione), dando origine a composti che possono raggiungere complessità molecolari molto elevate. Qui, per una migliore comprensibilità di quanto si andrà a dire nel prossimo capitolo, e per meglio comprendere la composizione molecolare dei più diffusi composti esplosivi, si enunceranno formule e nomenclatura, spiegando l’isomeria ed i gruppi funzionali.

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8.1 L’isomeria La possibilità di aumentare ulteriormente il

numero dei composti del carbonio si ha considerando il fenomeno dell’isomeria, che com’è stato detto, è l’esistenza di due o più sostanze aventi la stessa composizione, ma differente costituzione. Ad esempio, nella classe degli idrocarburi, sostanze che sono formate solamente da carbonio e da idrogeno, vi sono tre sostanze aventi differenti proprietà fisiche e chimiche che rispondono tutte alla formula C5H12.

Tali sono il pentano, l’isopentano ed il neo-pentano. Questi idrocarburi si dicono isomeri di costituzione e la loro stabilità diminuisce nell’ordine. 8.2 Formule e nomenclatura

Da quanto innanzi detto, si comprende quando la

formula bruta od analitica non è assolutamente sufficiente a definire un composto organico, poiché ce ne fornisce solo la composizione, cioè i rapporti di combinazione degli atomi, mentre non ci dice nulla per quanto riguarda la costituzione, cioè il modo di legarsi degli atomi tra loro.

Per definire la costituzione risulta conveniente usare le cd formule razionali, che indicano le sequenze degli atomi di carbonio e mettono in evidenza i gruppi funzionali, sottintendendo che gli atomi di H sono legati a quelli di C.

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Il nome dei composti organici è assegnato seguendo determinate convenzioni.

Al lettore di questo breve compendio sarà sufficiente conoscere solo una parte del complicato sistema dei nomi della chimica organica.

I più semplici idrocarburi saturi, cioè quelli contenenti legami singoli C-C, hanno nomi speciali, ad esempio metano CH4, etano CH3CH3, propano CH3CH2CH3, butano CH3(CH2)2CH3 Dal butano in avanti i singoli idrocarburi a catena non ramificata sono designati con il numero greco corrispondente al numero degli atomi di carbonio seguiti dalla desinenza –ano, per esempio: n-pentano, n-esano, n-eptano, n-decano ecc. Il gruppo ottenuto, rimovendo un atomo di H da un idrocarburo ha il nome dell’idrocarburo stesso con la desinenza –ile, invece che –ano-

Gli idrocarburi ramificati sono denominati basandosi sulla catena più lunga d’atomi di C in essi contenuti. Gli atomi di tale catena sono numerati dall’estremità più vicina al primo sostituente alchilico. Gli idrocarburi saturi costituiscono una serie omologa, in altre parole i vari termini differiscono dagli immediati vicini per un gruppo CH2- 8.3 I gruppi funzionali Uno o più atomi di H di un idrocarburo possono essere sostituiti da gruppi funzionali o combinazioni

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d’atomi che conferiscono peculiari proprietà alla molecola.

Le proprietà di queste sostanze, infatti, dipendono dalla natura del gruppo introdotto e dalla natura del residuo idrocarburico. Il gruppo funzionale, o più semplicemente detto “funzione”, mostrerà le sue caratteristiche principali lungo tutta una serie omologa, per cui lo studio d’ogni singolo composto chimico può essere facilitato conoscendo le reazioni generali di una determinata funzione. 8.4 Gli idrocarburi saturi ed insaturi

Le sostanze formate solamente da C e H

corrispondenti alla serie omologa della formula CnH2n+2 sono chiamati idrocarburi alifatici a catena aperta, o idrocarburi saturi, o paraffine della serie grassa. Queste sostanze hanno una scarsa tendenza a reagire, da cui il nome derivato dal latino parum affinis = poco affine, formano, però, miscele esplosive con l’aria. Il punto di fusione degli idrocarburi saturi si aggira intorno al valore di 136° Gli idrocarburi insaturi, invece, sono quelli in cui è presente un doppio legame fra atomi di C, detti anche alcheni od olefine, e costituiscono la serie omologa, dalla formula generale CnH2n Il più semplice è l’etilene, sostanza gassosa che ha due atomi di H in meno dell’etano.

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Il nome alcheni deriva da quello delle corrispondenti paraffine sostituendo la desinenza –ano alla desinenza –ene. Le olefine che contengono due doppi legami per molecola si chiamano alcadieni. 8.5 Idrocarburi acetilenici ed aromatici

Gli idrocarburi in cui è presente un triplo legame

tra due atomi di C si chiamano acetilenici od alchini. Costituiscono una serie omologa della formula

CnH2n-2; il triplo legale C-C, può essere rappresentato da due tetraedri uniti per una faccia.

Il loro nome deriva da quello delle corrispondenti paraffine con la desinenza –ino.

L’acetilene è il più semplice della serie omologa; è un gas incolore ed inodore, che esplode molto facilmente se compresso.

Viene facilmente commercializzato in bombole per raggiungere alte temperature nelle saldature a cannello.

Gli idrocarburi aromatici, così detti per il loro odore non sgradevole.

La struttura più semplice è un ciclo (anello) formato da sei atomi di C disposti secondo vertici di un esagono regolare piano.

Due o più anelli possono fondersi tra loro mettendo in comune uno o più lati formando composti chiamati idrocarburi aromatici.

Per sostituzione degli atomi di H del benzene con altri gruppi, si ottengono gli omologhi superiori.

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8.6 Le reazioni di addizione

Le lunghezze di legame C-C (distanza tra i due

nuclei di C adiacenti) diminuiscono progressivamente passando dal legame singolo al triplo legame e, conseguentemente, aumenta l’energia di legame.

Conseguentemente, mentre gli idrocarburi saturi sono sostanze largamente inerti, gli idrocarburi insaturi (alcheni ed alchini) sono molto reattivi.

La reattività è dovuta al doppio ed al triplo legame che si trasformano in legami singoli addizionando altri atomi o gruppi atomici.

In queste reazioni vi è un guadagno netto di energia, dovuto al fatto che la somma di tutte le energie di legame del composto che si è formato, è superiore alla somma di tutte le energie dei legami delle sostanze reagenti.

Le olofine e gli idrocarburi acetilenici sommano facilmente H in presenza di catalizzatori, quali Ni Pt Pd, trasformandosi in paraffine; sommano acidi alogenidrici ed alogeni, trasformandosi in alogeno-derivati. 8.7 Fenoli, aldeidi e chetoni

I composti, in cui il gruppo ossidrilico è legato

direttamente ad un atomo di carbonio, si chiamano fenoli.

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Questi composti trovano largo uso come antisettici, come solventi nella preparazione delle materie plastiche e sono dotati di una debole acidità.

Le aldeidi derivano dall’ossidazione di un alcool primario; mentre i chetoni derivano dall’ossidazione di un alcool secondario.

Pertanto, nelle aldeidi il gruppo carbonilico è attaccato ad uno o a due atomi d'idrogeno, mentre nei chetoni esso è legato a due radicali alchilici.

Il nome degli aldeidi derivano da quelli

dell’idrocarburo corrispondente con la desinenza –ale, comunemente però, secondo una vecchia scuola sono chiamati dal nome dell’acido che si ottiene per ossidazione.

I chetoni sono chiamati con il nome dell’idrocarburo a uguale numero di atomi di C, seguito dalla desinenza –one. 8.8 Esteri, eteri ed ammine

Gli acidi carbossilici reagendo con gli alcoli o i

fenoli formano gli esteri. La reazione procedendo da sinistra verso destra

si chiama di esterificazione, mentre da destra verso sinistra si chiama saponificazione.

Gli esteri sono liquidi, incolori, volatili e poco solubili in acqua, dotati di odori caratteristici: essi sono, infatti, i principali costituenti odorosi della frutta e dei fiori.

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I loro nomi derivano dall’acido costituente con la desinenza –ato, seguito dal nome del radicale alchilico proveniente dall’alcool. Sono insolubili in acqua.

Gli eteri sono generati da un atomo di O che si lega a due radicali organici, e, a secondo che i radicali siano o meno uguali, gli eteri si dicono semplici o misti.

Sono facilmente infiammabili e trovano un buon utilizzo in campo farmaceutico ed uno modestissimo in quello bellico.

Molti composti organici contengono anche azoto. L’atomo d’azoto impartisce, generalmente, a causa delle coppie d’elettroni non condivisi, proprietà basiche alle molecole che lo contengono.

La classe più semplice dei composti organici azotati è quella derivata dall’ammoniaca, questi composti si chiamano ammine.

Poiché vi sono tre possibilità di sostituzione degli atomi di H dell’ammoniaca, si possono ottenere ammine primarie, quando un solo atomo è sostituito, ammine secondarie, quando ne sono sostituiti due ed ammine terziarie, quando la sostituzione riguarda tutti e tre gli atomi.

Le ammine reagiscono con gli acidi, analogamente a quanto fa l’ammoniaca, per formare sali d’ammonio quaternari.

RNH2 + HCl RNH3 + Cl –

8.9 I polimeri

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Con il termine polimero s’intende una sostanza di alto peso molecolare ottenuta a partire da piccole molecole, per mezzo di reazioni di polimerizzazione. I polimeri, quindi sono costituiti da macro molecole. Oggi, nel campo armiero, i polimeri sono utilizzati per costruire parti per armi da fuoco leggere, caratterizzate da un minor peso rispetto all’acciaio e di una maggiore capacità di attenuare le vibrazioni provocate dallo sparo.

Le catene di polimero devono essere regolari, in modo da potersi impacchettare allo stato solido dando origine ad una struttura ordinata, tale da essere considerata cristallina, con buone caratteristiche per poter essere fuse, estruse o semplicemente lavorate.

Le sostanze da cui derivano i polimeri si chiamano monomeri.

I polimeri formati dalla ripetizione di un’unica unità monomerica si dicono omopolimeri, mentre quelli formati da due o più unità si dicono copolimeri. I polimeri si dividono in polimeri ottenuti con reazioni d’addizione ed in polimeri ottenuti con reazione di condensazione. I polimeri d’addizione hanno la stessa composizione chimica di quella dei monomeri, sotto l’influenza di catalizzatori, o semplicemente della temperatura, il doppio legame olefinico può aprirsi e formare nuovi legami covalenti con altre molecole. Ne sono un esempio il politilene, il polivinilcloruro, il leacril ed il polistirene. I polimeri di condensazione a differenza di quelli d’addizione, non hanno la stessa composizione delle sostanze da cui derivano, in seguito all’eliminazione di molecole generalmente semplici come l’acqua.

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Ne sono un esempio i poliammidi, i poliesteri il najlon e le resine fenoliche. Padre dei polimeri è, senza dubbio alcuno, Giulio Natta, Premio Nobel per la Chimica; mentre il primo massiccio utilizzo dei polimeri nel campo dell’industria armiera leggera si deve all’austriaca “Glock Ges.m.b.H.” che, agli inizi degli anni ’90, produsse un primo modello di pistola semiautomatica in “safe action” il cui fusto era completamente in materiale polimero. Una rivoluzione tecnologica che, dopo un decennio di successi sui campi di tiro e l’adozione dell’arma con il fusto in polimeri da parte di alcune Forze di Polizia, era seguita da colossi dell’industria come la tedesca H&K, le italiane “Tanfoglio srl, e “P.Beretta SpA”, l’austriaca Steyer e la sud africana LIW di Pretoria.

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Capitolo 9 I composti esplosivi

A mero scopo di curiosità, qui appresso citerò,

brevemente, alcuni composti chimici venuti alla ribalta durante l’ultimo conflitto mondiale, prodotti sinteticamente, ed altri già in uso per diversi utilizzi industriali, suddividendoli e distinguendoli secondo la loro conformazione chimica.

9.1 L’Idrazina e suoi derivati.

Durante la seconda guerra mondiale, gli

scienziati del Terzo Reich si accorsero quasi per caso delle qualità di propellente dell’idrazina, del solfato d’idrazina e del nitrato d’idrazina.

L’idrazina o diammide (H2N-NH2) fu usata dai tedeschi come carburante nei razzi con sistemi bipropellenti con acido nitrico, ossigeno liquido ed acqua ossigenata; come monopropellente in virtù della sua reazione alla decomposizione.

La fabbricazione può avvenire attraverso due sistemi: il processo Raschig ed il processo Sanftner.

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Il primo consiste nel riscaldare una soluzione di ipoclorito di sodio con un eccesso di ammoniaca, in modo da formare la cloroammina, che reagisce con l’eccesso di ammoniaca producendo l’idrazina.

Il secondo, non dissimile, aggiungendo idrossido di magnesio o gomma arabica o gelatina o caseina, per limitare la reazione.

La preparazione dell’idrazina è piuttosto semplice; si tratta un litro d’acqua con ammoniaca al 20%, addizionata con gomma arabica all’1%, con 500 cc di una soluzione all’8% di ipoclorito di sodio, esente da cloro.

Si concentra nel vuoto al 50% e si raffredda a 0°, aggiungendo 10 gr di acido solforico concentrato, in tal modo si forma il solfato di idrazina.

Caratteristiche principali del composto sono: liquido incolore che fuma all’aria, bolle a 56°, densità 1,003, solidifica a -40° ed è altamente corrosiva e tossica. Misura di sicurezza per la conservazione è di tenere sempre la temperatura a -0°. 9.2 Il Metano ed i suoi derivati.

Il metano “CH” può dare vita a diversi composti

nitrici ottenibili per via indiretta, poiché il metano ha scarsa attitudine a reagire con ossidanti energici, quali l’acido nitrico.

I principali derivati del metano sono: Mononitrometano CH3NO2

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Binitrometano Tetranitrometano C(NO2)4 Esanitroetano. Tutti hanno scarso utilizzo a causa dell'estrema

sensibilità all’urto. Sporadiche applicazioni trovano: Il mononitrometano fu usato dai tedeschi come

propellente per le famose bombe V1 e V2; è ottenibile in laboratorio per azione del nitrato sodico sul monocloroacetato di sodio, addizionando 100 gr di monocloroacetato a 100 gr di acqua distillata, aggiungendo al miscuglio 90 gr di nitrato sodico solido.

La reazione si scatena per riscaldamento, producendo il nitrometano.

E’ un liquido volatile, mobile con un odore molto simile a quello delle mandorle amare, trasparente ed infiammabile, altamente tossico se inalato a percentuali superiore all’1%, mortale se ingerito.

Se mescolato ad etilato sodico esplode con rapido riscaldamento e, condensandosi con le aldeidi forma nitroalcoli capaci di dare esteri nitrici da utilizzare come esplosivi.

N.B. per diminuire la sensibilità alla detonazione può essere addizionato fino al 10% con gasolina.

Il tetranitrometano C(NO2)4, mescolato con un

qualsiasi combustibile organico può essere usato al posto del perossido di azoto e dell’acido nitrico, prendendo il nome di Panclastite.

Si ottiene trattando l’anidride acetica con acido nitrico.

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Caratteristiche sono l'insolubilità in acqua, ma solubile in alcool, scarsa attitudine all’esplosione, che cresce a dismisura se mescolato a soluzioni acquose.

L’Esanitroetano, fu preparato per la prima volta

nel 1914 dal prof Will, ottenuto per idrolisi del trinitroacetonitrile.

N.B. mescolato con sostanza organica nitrato forma esplosivi molto potenti.

Si ottiene trattando, a temperatura di 3°C, del sale potassico di tetranitroetano puro con acido solforico concentrato, poi, con un miscuglio nitro-solforico.

Dopo il riscaldamento per 10’ a 60/70° e successivo raffreddamento in acqua, mediante disacidificazione, è trattato con solventi (etere) precipitando sotto forma di cristalli bianchi con leggero odore di canfora.

Tali cristalli fondono a 142° e sciogliendosi in benzene o toluene, hanno una colorazione gialla; addizionati con soda alcolica danno tetranitroetano.

9.3 Gli Eteri nitrici

Dagli idrocarburi della serie grassa, rispondenti

alla formula generale di CnH2+2 per sostituzione di tanti atomi di H quanti sono gli atomi di C della molecola, con altrettanti gruppi OH, si hanno gli alcoli, dai quali, per nitrazione, ossia sostituzione

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degli atomi di H con gruppi nitrici NO2, si ottengono gli eteri nitrici.

Quello che ha trovato maggior applicazione nel campo degli esplosivi è la trinitroglicerina, meglio conosciuta come nitroglicerina.

La glicerina, essendo un alcool trivalente può dare origine a tre classi di derivati nitrici, a secondo della sostituzione di uno, due o tre atomi di H degli ossidrili alcolici, con uno due o tre gruppi nitrici.

La nitroglicerina fu scoperta da Ascanio Sobrero nel 1846 a Torino, ottenendola seguendo il metodo generale di nitrazione della glicerina con il miscuglio nitrico solforico.

L’H2SO4 esercita unicamente un’azione disidratante, mentre l’H2NO3 prende parte attivamente alla reazione.

Il processo di nitrazione della glicerina, per quanto semplice è assai pericoloso.

Consiste nel far gocciolare lentamente la glicerina nel miscuglio nitrico-solforico, in rapporto di 1 a 5. La reazione sviluppa calore, ed è quindi necessario che durante la nitrazione la temperatura non salga oltre i 25°, raffreddando l’apparecchio di Nathan con una serpentina refrigerante.

La nitroglicerina si presenta come un liquido oleoso di colore giallo tenue, con forte odore caratteristico. E’ dolciastra e velenosa.

Basta toccare con le mani nude o essere presenti in locali non aerati in cui vi è presenza di nitroglicerina per accusare forti mal di testa e vomito.

Miglior antidoto per l’intossicazione da nitroglicerina è il caffè caldo con riposo assoluto in luogo buio e fresco.

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Tutti gli esplosivi a base di nitroglicerina hanno l’inconveniente, secondo le impurità entro contenute di decomporsi con il tempo.

La nitroglicerina pura no. Esplode a 217°, a 8° congela e a 11° disgela, con un contenuto di azoto che varia dal 18,3 al 18,7%.

La Nitroglicerina gelata è sensibilissima agli urti a causa della formazione di cristalli a forma di piccoli aghi prismatici.

Esposta a lungo a luce di forte intensità si altera mutando la sua colorazione in verde pallido per formazione di acido nitroso.

Meglio potrebbe interessare ai lettori la tecnica di distruzione della nitroglicerina, facilmente eseguibile mediante la distesa delle cartucce accese con polvere alla nitrocellulosa, senza ammassarle, altrimenti si provocherebbe un’esplosione, ovvero esporre la nitroglicerina ai raggi ultravioletti che in breve tempo la decompone. 9.4 Le dinamiti

Il primo tipo di dinamite fu scoperto nel 1867 da

Alfred Nobel, che utilizzò come sostanza esplosiva la nitroglicerina mescolata a farina fossile in rapporto di 3 a 1; in seguito lo stesso Nobel scoprì che la dinamite poteva essere migliorata sostituendo la farina fossile con una sostanza assorbente, detta base, che possedesse proprietà esplosive, quali il cotone collodio.

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Quando la base non partecipa alla reazione esplosiva, la dinamite si classifica “dinamite a base inerte”, mentre quando la base partecipa si dice “dinamite a base attiva” (es gelatina esplosiva, GD1, GD2); altre volte possiamo assistere a basi che partecipano parzialmente, nel qual caso parleremo di dinamite a base mista.

Si usa, comunemente, classificare le dinamiti basandosi sulla natura chimica della base.

Nell’unione della nitroglicerina al cotone collodio si ha il fenomeno della gelatinizzazione, per cui il cotone collodio, sciogliendosi nella nitroglicerina, si trasforma in una sostanza plastica gelatinosa.

Le nitrogelatine così ottenute, possono contenere altre sostanze che danno consistenza alla miscela, così si suddividono in gelatine gomme, se contengono solo nitroglicerina a cotone collodio, ed in gelatine dinamiti.

9.5 Le gelatine gomma

Sono un esplosivo più potente della nitroglicerina

e di tutte le altre dinamiti fino ad oggi conosciute. In Italia è chiamata “Gomma A”, in Germania “Spreng gelatine” in Inghilterra “Blasting gelatine”, in Austria “Alpinit 1000”.

Esso è composto di 92 parti di nitroglicerina e 8 parti di cotone collodio.

Detta miscela è ad ossidazione completa, essendo state calcolate le due percentuali dei

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componenti in modo da sfruttare l’eccesso d’ossigeno disponibile nella decomposizione della nitroglicerina.

Appena fabbricata la gomma è bianca, poi diventa di colore giallo ambra, con il tempo assume un colore più oscuro.

Alla temperatura di 15° è plastica, scendendo a + 7° congela, divenendo pericoloso il maneggio, s’indurisce ed assume una colorazione più chiara.

Immersa sott’acqua conserva la sua efficienza per +/- 24-48 ore, ma perde parte del colore a causa della perdita di nitroglicerina.

La Gomma esplode, quando riceve un forte urto tra tue corpi metallici o due pietre, ovvero se brucia in grandi masse in recipienti chiusi e resistenti, (es pentole a pressione), ovvero se chiusa in recipienti esposti lungamente all’azione del calore solare.

Potrebbe darsi che la gomma avesse un difetto di fabbricazione come gelarsi e disgelarsi, difetto manifestato dalla presenza di goccioline oleose sulla superficie interna della carta paraffinata in cui è avvolte le cartucce.

Questo “trasudamento” se è eccessivo occorre, prima di cambiare la carta, spolverare le cartucce con segatura al fine di assorbire la nitroglicerina in eccesso.

La carta paraffinata bagnata deve essere bruciata all’aperto a causa dei vapori altamente tossici che si sprigionano durante la combustione.

9.6 Le nitrocellulose

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Si ottengono con la nitrazione di un dato miscuglio nitrante sulla cellulosa che è una sostanza organica, che forma le pareti delle giovani cellule vegetali.

E’ quasi insolubile nei comuni solventi, morbida, piuttosto leggera fibrosa e commercialmente di colore biancastro.

Si ottiene principalmente dal cotone che ha una fibra consistente, sottile e lunga, facilmente sfioccabile.

La cellulosa ha funzione di alcool. se ad essa si attribuisce la formula semplice (C6H10O5) si può riconoscere la presenza di più gruppi alcolici, infatti, trattata con anidride acetica genera triacetato.

Un criterio pratico per distinguere facilmente il cotone collodio dal fulmicotone, di cui ci siamo occupati sommariamente in un capitolo precedente, è il seguente:

Le Nitrocellulose contenenti dall’11,50% al 12,50% di azoto sono completamente solubili nella miscela alcool etere e sono gelatinizzate molto bene dalla nitroglicerina, per cui sono indicate con il nome di cotone collodio.

Nella preparazione delle gelatine dinamiti e delle gelatine polverulente, sempre a base di nitroglicerina, si adopera il cotone collodio con un titolo d’azoto compreso tra l’11,2 e 11,3%, mentre nelle polveri alla nitrocellulosa è necessario il contenuto d’azoto del cotone sia dal 12,5 al 12,7%, nel qual caso prende il nome di pirocollodio.

Le nitrocellulose che contengono più del 12,7% di azoto, sono insolubili nella miscela alcool etere, non sono gelatinizzate dalla nitroglicerina e prendono il nome di cotone fulminante o fulmicotone.

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Il massimo titolo raggiungibile dalla nitrocellulosa è del 13,8% con miscela solfonitrica, mentre con miscela nitricofosforica troppo costosa, quindi poco usata e di scarsa reperibilità anche sul mercato “nero”, si può raggiungere il 14,9%. Discutendo delle nitrocellulose, si deve argomentare, più dettagliatamente di quanto già fatto innanzi, anche di cotone collodio, di fulmicotone, di solventi, oltre del processo di essiccamento. Il cotone collodio non ha una composizione chimica ben definita, ma la più probabile è C24H31OH(ONO2)9 , in quanto è un miscuglio di esteri nitrici in quantità variabile. Il cotone collodio per dinamiti subisce, dopo la nitrazione, il polpaggio e la stabilizzazione. Il cotone collodio non polpato si presenta con aspetto simile al cotone, mentre quello ricavato dalla carta si presenta come pasta; s’infiamma facilmente a 180/200° e bruciando genera una fiamma gialla.

Si decompone al calore a 160° e ruvido e friabile al tatto, con un peso specifico di 1,6.

Non ha sapore, ed è insolubile in acqua calda e fredda, si scioglie facilmente dando, però, una soluzione colloidale, in acetone, etere acetico ed acetato di butile che sono i suoi gelatinizzanti volatili. Si conserva in casse di legno rivestiti di lamierino, ovvero in buste di politene con un'umidità del 20/30%. Se acceso in recipienti chiusi esplode.

(N.d.A.) la sensibilità diminuisce con l’aumentare dell’umidità.

Il Fulmicotone o cotone fulminante è un esplosivo caduto in disuso da qualche tempo.

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Scoperto nel 1846 trovò un primo utilizzo nelle artiglierie campali pesanti. Ben due gravi incidenti militari nel 1862 e nel 1865 ne sconsigliarono definitivamente l’uso da parte delle FF.AA. La fabbricazione, come le proprietà fisico chimiche, è identica al cotone collodio, ma con un titolo d’azoto maggiore, che raggiunge il 13,5%. Ultimo utilizzo militare fu durante il conflitto bellico1940-‘43 nelle testate dei nostri siluri per sommergibili, ma con un titolo ridotto al 12,8%. 9.7 Le Polveri infumi

Così impropriamente denominate perché fanno

poco fumo, hanno acquistato, a scapito della polvere nera, tutto lo spettro d’utilizzo come polveri da lancio. Sono chiamate, indifferentemente, anche polveri da lancio o polveri colloidali. Hanno il pregio d’essere insensibili agli urti ed agli sfregamenti e si accendono a 180/190°. Sviluppano vapori gassosi e lasciano un residuo solido trascurabile. L’origine delle polveri risale al 1884 quando Vielle costatò la possibilità, gelatinizzando la cellulosa con opportuni solventi, di trasformare la potenza frantumante in potenza propulsiva. Contemporaneamente alla Francia, Von Duttenhofer preparò una polvere senza fumo gelatinizzando etere acetico con nitrocellulosa. Pochi anni dopo, nel 1888 Nobel scopriva la balistite gelatinizzando la nitroglicerina con cotone collodio. Le nitrocellulose, come tutti gli esplosivi aventi natura di esteri nitrici, hanno la tendenza, con il

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tempo, a decomporsi a causa dei vapori nitrosi messi in libertà nella decomposizione iniziale che hanno azione ossidante, ma che allo stesso tempo promuovono la scomposizione degli esteri. Per eliminare tale inconveniente si pensò di aggiungere delle sostanze capaci di reagire con i vapori nitrosi dando luogo a composti che non catalizzano la decomposizione, i c.d. stabilizzanti.

In passato furono usate sostanze come la difenilammina o la centralite, oggi la migliore in assoluto e la arcardite, ma sono utilizzati come stabilizzanti anche la vaselina, il bicarbonato di sodio.

Altri problemi sorti con l’utilizzo della polvere infume, furono quelli di abbassare la temperatura d’esplosione delle polveri, onde non corrodere le canne delle armi a fuoco, e quello di limitare al massimo la fiammata che esce dal vivo di volata dell’arma, causa d’identificazione da parte del nemico in operazioni di guerra.

Il primo problema fu risolto mediante l’utilizzo di refrigeranti nelle quali il carbonio in essa contenuto reagisce con il CO2 e con l’acqua presenti nel gas d’esplosione, generando reazioni endotermiche che abbassano la temperatura.

Il secondo problema fu risolto addizionando degli antifiamma, quali nitronaftalina, il dinitrotoluolo e derivati dall’urea, o sali inorganici quali solfato d’ammonio, ossalato di sodio, d’ammonio o di potassio, ovvero tartrato di potassio. I sali inorganici, però nelle esplosioni in ore diurne danno luogo a forti emissioni di fumo.

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9.8 Altri esplosivi facilmente reperibili.

Con una relativa facilità sono reperibili altri

esplosivi, che potrebbero essere utilizzati per compiere azioni delittuose.

Nell’ordine sono: La Pentrite (CH2OH) scoperta nel 1891 da

Tollens e Wigand. E’ un omologo dell’entrite che da luogo ad un esplosivo interessante usato principalmente per detonatori primari e secondari a compresse o micce detonanti. In minima parte, vista la difficile reperibilità ed il costo elevato, è usato per gli esplosivi da mina. Si ottiene sinteticamente per condensazione della formaldeide e dell’acetaldeide in presenza di una base in soluzione acquosa, che nitrata la pentrite.

La pentrite presenta l’inconveniente di non essere fusibile senza decomposizione e in caso di caricamento per compressione presenta il pericolo di scoppio a causa del riscaldamento dell’aria contenuta nei cristalli. Non è igroscopica e non è sensibile al calore, insolubile in acqua ed alcool, ma solubile in acetone.

Poco usata sia perché deve essere flemmatizzata con l’1% di paraffina e sia per l’alto costo.

L’esanitropentaeritride Si presenta sotto forma di cristalli bianchi con pf

71° e peso spec 1,63 con una velocità di detonazione di 7400 m/s ed esplode a circa 220°, insieme all’esanitromannite fu studiata da Ascanio Sobrero e poi dal Menard

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Sono esplosivi potenti e frantumanti, più sensibili agli urti della nitroglicerina.

Quest’ultima poco stabile e soggetta ad autodecomporsi con la seguente equazione:

C6H8O18N6 6CO2 + 4H2+ 3N2 +O2 Altissimo costo di produzione, quindi quasi sconosciuta sul mercato. 9.9 Il Tritolo e suoi derivati.

Un discorso a sé, per la sua importanza e

diffusione commerciale, merita il trinitrotoluene, detto comunemente tritolo. Esso è un nitro derivato aromatico, derivato dal toluene detto toluolo o anche metilbenzene (p.m. 92,114), che si trova nel carbon fossile e nel catrame di lignite. Il toluene si ottiene anche sinteticamente facendo reagire un alogeno derivato dal benzolo con joduro di radicale alcolico alla presenza di sodio. Il Tritolo o T.N.T. è il principe degli esplosivi sia in guerra che in pace, scelto per la sua stabilità, per la facile manipolazione e conservazione, oltre alla facilità di recupero. Fu scoperto nel 1863 da Wildebrand nitrando toluene con un miscuglio d’acido nitrico e solforico concentrato. In seguito è stato ottenuto per nitrazione del binitrotoluene. In Italia il tritolo si distingue in due classi: Tritolo ad alto punto (AP), se solidifica sopra gli 80°

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tritolo a basso punto (BP), se solidifica tra i 77° e 78°;

Il primo è adoperato per i detonatori e per il caricamento d’alcuni proiettili; il secondo, quello a basso punto, unicamente per il caricamento di amatolo. La purezza del prodotto è data dal punto di solidificazione. Questo è abbassato dalla presenza d’impurità o d’umidità. Il tritolo si presenta sotto forma di cristalli romboedrici con densità reale di 1,65. Non ha alcun’azione sui metalli, con un punto di fusione di 80/81°. Non è igroscopico, molto solubile in benzene, toluene ed acetone. Il TNT s’innesca meglio con l’azonitrato di piombo e col fulminato di mercurio. Il tritolo, come tutti i polinitrocomposti aromatici, è molto resistente agli acidi e molto stabile, ma anche molto sensibile all’azione degli alcali e delle basi organiche, formando prodotti d’addizione intensamente colorati in rosso. Dal tritolo sono stati ricavati diversi esplosivi ad uso di guerra, ma utilizzati anche per scopi eversivi vista la facile reperibilità e fabbricazione per sintesi. Tra i più comuni ricordiamo: 1- Amatolo: formato dall’80% di nitrato ammonico e

dal 20% di tritolo ad uso di ricarica di proiettili per artiglieria od esplosivo da mina;

2- Tritonal formato dall’80% di tritolo e 20%

d’alluminio usato principalmente per bombe subacquee e bombe ad involucro leggero;

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3- Tetritol formato dal 75% di tetrile e 25% di TNT, di colore giallo usato per usi industriali (demolizione di costruzioni);

4- Pitratol, formato dal 52% di picrato d’ammonio e 48% di TNT, utilizzato per la fabbricazione di proiettili di artiglieria per uso perforante.

Principe dei derivati del tritolo è il

Trimetilentrinitroammina, detto in Italia più semplicemente “T4”, in Francia “Hexogene”, in Inghilterra “Ciclonite”, negli States “RDX”, con un p.m. di 222,1, fu preparato per la prima volta nel 1899 da Henning.

Si prepara per nitrazione della esametilentetrammina o urotropina, che a sua volta si prepara per azione dell’ammoniaca sulla formaldeide in soluzione satura.

Trattando la soluzione di urotropina con HNO3 si fa precipitare il nitrato di urotropina sotto forma di polvere cristallina, che è raccolta su filtro, lavata ed essiccata.

Quindi, il nitrato di urotropina viene passato per la nitrazione con sei parti di acido nitrico ad alta concentrazione (98/99%), fortemente raffreddata.

Si forma così il T4 che si separa dal liquido, una parte alla fine della nitrazione, altra parte resta in sospensione sotto forma di polvere finissima che si raccoglie in un filtro.

Il T4 deve essere, a questo punto, disacidificato

con ripetuti lavaggi in tini d’alluminio. Il T4 si presenta sotto forma di una polvere cristallina bianca, che fonde a 202°, insolubile in acqua, neutro verso le basi.

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Acceso brucia con fiamma brillante rossiccia, mentre riscaldato lentamente comincia decomporsi senza esplodere, mentre, portato bruscamente a 215° esplode bruscamente e con violenza.

Si decompone in acido solforico concentrato, mentre si scioglie senza decomporsi in acido nitrico, che si può far riprecipitare per semplice diluizione in acqua.

E’ piuttosto sensibile all’urto e poco agli sfregamenti, non è igroscopico e la manipolazione non è nociva alla salute, salvo il possibile verificarsi di eruzioni cutanee alla mucosa buccale.

Il T4 è molto stabile al calore, superiore alla pentrite, poichè il nitrogruppo è legato ad un atomo d’azoto.

Per azione di un innesco il T4 detona violentemente secondo l’equazione:

C3H6N6O6 3CO + 3 H2O + 3 N2

Così produce, per ogni Kg, 1390 Kal e 908 litri di gas, con una velocità intorno ai 8400 m/s

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Capitolo 10 La brunitura delle armi; cenni storici del processo

Sin dalla scoperta dei metalli l’uomo tentò di

mantenere pulita la superficie dei suoi utensili, degli strumenti di lavoro.

I romani proteggevano le loro armi più preziose mediante un sottile strato di doratura; quelle d’uso giornaliero, invece, mediante un processo di tempera in grasso animale, ovvero in polvere di corna e zoccoli di animale.

Bisognerà attendere il secolo XV per parlare di una prima vera brunitura, la così detta “bronzatura”, ottenuta con la brunitura a fuoco alle patine di ossidi.

Molte tele e stampe dell’epoca raffigurano armature perfettamente conservate e rifinite. Per giungere ad un vero processo complesso di brunitura delle armi da fuoco occorrerà attendere il secolo XVII. In un documento inglese di quel periodo, precisamente del 1732, è trattato dettagliatamente il processo di brunitura; nel continente, invece, il primo documento comparve sulla rivista tedesca Hannover Magazin del 1781.

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Questo metodo prevede l’utilizzo di una pasta ricavata dall’olio d’oliva, miscelato con SbCl3 (Tricloruro di antimonio) detto, con la terminologia dell’epoca “burro di antimonio”, da sfregare a caldo sulla superficie del metallo da proteggere. In Inghilterra si produsse industrialmente il primo fucile brunito da destinare alle truppe di Sua Maestà: il “Pattern mod. 1776” detto comunemente “Brown Bess” proprio a causa della colorazione bruno rossiccio dovuta alla brunitura ottenuta con il sistema dei sali fusi. I Coloni americani, dall’altra parte del mondo svilupparono la tipica brunitura azzurrina, in uso sulle armi nord americane fino alla seconda metà del XX secolo. Il processo di brunitura usato nel Regno di Sardegna, nel primi decenni del secolo XIX, fu la “verniciatura” dei particolari di ferro delle armi più fini, come la carabina da Bersagliere; sistema usato fino all’adozione del fucile Vetterli, considerato da tutti il primo fucile da guerra italiano brunito.

10.1 Vari processi chimici di brunitura

Ai nostri giorni le tecniche di brunitura possono

suddividersi in due grandi famiglie: i trattamenti a freddo, più moderni ed i trattamenti a caldo, tradizionali.

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Diviene importante saper distinguere il tipo di brunitura dell’arma oggetto dell’indagine balistica, per poterla meglio collocare in uno spazio temporale.

Le bruniture a caldo si possono suddividere in tre categorie di bruniture: quelle con trattamento d’ossidazione all’aria, quelle con trattamento all’umido ed infine, bruniture con trattamento a totale immersione nel bagno di sali ossidanti.

Le patine colorate degli ossidi sono ottenute, quindi, con l’ossidazione dei pezzi.

Nel processo di brunitura con trattamento all’umido, dette anche “bruniture a ruggine”, il processo prevede l’utilizzo di una soluzione ossidante con la quale il pezzo è bagnato ed un successivo periodo d’ossidazione spontanea all’aria od alla presenza di vapor acqueo.

La patina formata principalmente da idrossido di ferro Fe(OH)2, diventa rapidamente ossido di ferro di colore rosso bruno; a seguito dell’azione del vapore o dell’acqua bollente, l’ossido di ferro si converte in ossido ferroso-ferrico, detto volgarmente “ossido magnetico”, di colore scuro, quindi, la colorazione della patina tende al nero o al blu in relazione agli elementi aggiuntivi d’ossidazione presenti nella soluzione ossidativa.

10.2 La Parkerizzazione. La parkerizzazione, nome registrato dalla Parker

rust proof Company, che ne ha rivendicato il processo

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nel 1930, detta anche fosfatizzazione, differisce dalle normali operazioni di brunitura per il più elevato grado di protezione del metallo dall’ossidazione, anche se dal punto di vista estetico non si può affermare che abbia le stesse qualità di una buona brunitura.

La fosfatizzazione è un rivestimento protettivo formato dalla deposizione di fosfati di ferro ed altri metalli e può essere applicato su qualsiasi superficie ferrosa.

Generalmente fornisce una finitura assai porosa, anche a seguito della circostanza che per far aderire meglio il rivestimento le parti metalliche sono preventivamente sabbiate o pallinate.

Le formule utilizzabili possono essere molte, ma la più facile da applicare è la seguente:

In una beuta aggiungere in sequenza 25 grammi d’acido ortofosforico concentrato con titolo 80%, 25 cc di acqua tri distillata, uno cc di acqua ossigenata a 100 volumi, 10 gr di carbonato di manganese, 03 grammi di carbonato di zinco.

Il composto così ottenuto è sufficiente per preparare un bagno di circa un litro.

I pezzi da parkerizzare, prima sgrassati e sabbiati vanno immersi nella soluzione, quando la temperatura è intorno a 95 gradi C per un tempo di circa un’ora, in un recipiente d’acciaio inox. 10.3 Principali prodotti chimici utilizzati per la brunitura. Procedure d’ossidazione

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Saper identificare quale tipo di prodotto chimico è stato usato per la procedura d’ossidazione, la c.d. brunitura, di un’arma repertata, serve per meglio intuire la provenienza della stessa, il grado di rifinitura e, conseguentemente, il periodo di produzione, ovvero, le successive manipolazioni subite dell’arma stessa.

L’acido nitrico HNO3, di difficile reperimento sul mercato, è usato in soluzione al 5% per un trattamento superficiale di preparazione dei pezzi.

L’acido borico è utilizzato per eliminate le tracce di ruggine dal pezzo che si deve ribrunire.

La soda caustica NAOH o KOH serve per eliminare le piccole tracce di grasso. Nel metodo a ruggine veloce, l’ossidazione è quasi immediata ed il pezzo diviene bruno rossiccio e, dopo ripetuti bagni in acqua bollente, diviene oscuro di un colore intenso.

Una brunitura artigianale, fatta, semmai dopo aver abraso la matricola dell’arma, è riconoscibile dalle striature poco profonde di un rosso viola visibili ad un esame con un contafili.

Nel metodo a sali si usano diverse formule per preparare il bagno; la più comune è quella “a soda”. Questa funzionando solo a 150 gradi centigradi, comporta una maggior attrezzatura e una migliore preparazione tecnica dell’operatore. Il diverso tempo d’immersione del pezzo nel bagno conferisce una diversa colorazione della brunitura.

Le formule ossidanti per bruniture a ruggine veloci più usate sono le seguenti: -colore blu gr. 8 di Hg(Cl)2, gr.4 di KclO3 gr. 8 alcool, gr. 100 di acqua bidistillata.

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-colore blu scuro gr. 5 di Hg(Cl)2, gr. 6 di KclO3, gr.10 di alcool, gr. 100 di acqua bidistillata. -colore nero gr. 3,5 di Hg(Cl)2, gr. 3,5 di KclO, gr. 5,5 di KNO3, gr. 4.5 di NaNO3, gr. 6 di alcool, gr.100 di acqua dibistilillata. Le formule ossidanti per bruniture a ruggine industriali più usate sono le seguenti: -colore bruno per damasco gr. 12 di HNO3, gr. 7 di CuSO4, gr. 15 di alcool, gr. 100 di acqua distillata -colore azzurro svizzero gr. 2 di CuSO4, gr. 3,5 di Fe(Cl)2, gr. 8 di HNO3, gr. 9 di alcool, gr. 100 acqua distillata.

I colori, ad una temperatura costante di +/- 60 80 gradi centigradi, si formano rapidamente, passando dal blu al viola fino al nero avorio, con questi tempi: dopo tre minuti azzurro, chiaro, dopo 5 blu scuro, dopo 10 blu prugna, dopo 25 nero avorio

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Capitolo 11 L’indagine peritale tipo

Il processo penale, così come voluto dal legislatore dell’89 ha l’essenza di cognizione delle condotte umane valutabile dal libero convincimento del Giudice.

Le prove sono vincolate in ordine alle modalità d’acquisizione ed ai tempi d’acquisizione.

Si possono, quindi, stabilire dei gradi, meglio, dei livelli di processualizzazione delle fonti di prova.

Il primo livello riguarda la fase dell’avvio delle indagini immediatamente dopo l’acquisizione della notizia di reato, ed avente quali soggetti legittimati gli Ufficiali e gli agenti di P.G, il PM e gli esperti o consulenti nominati.

In questa fase la direzione ed il coordinamento delle indagini spetta in esclusiva al PM che si serve principalmente della pg, ma nulla vieta che sia il PM che la PG possono farsi affiancare, ove il campo delle indagini lo richieda, da uno specialista, il c.d “consulente” titolare di specifiche competenze tecniche (art. 348 e 359 cpp)

Il consulente del P.M. diventa soggetto processuale autonomo ed interlocutore diretto del Giudice, con facoltà di memoria tecnica (art.121 e 233

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cpp) e di essere ascoltato al dibattimento, mentre per i consulenti della PG, le cd “persone idonee”, non possono essere ascoltate in dibattimento salvo che non si tratti d’agenti od Ufficiali di P.G.

Le operazioni rientranti nel primo livello di processualizzazione delle fonti di prova di natura squisitamente tecnica, trovano posto nel disposto normativo di cui agli art.i 348 e 354 del cpp. Nel disposto di cui all’art.348, dettagliatamente sub 2^co. alla lettera “a”, si parla di “ricerca delle cose e delle tracce pertinenti al reato, nonché la conservazione di esse e dello stato dei luoghi”. Il contenuto, invece, dell’art.354 cpp è mirato ad individuare le operazioni necessarie a garantire la conservazione delle tracce e delle cose pertinenti al reato ed ad impedire la mutazione delle cose e dei luoghi prima dell’intervento del P.M.

Nella maggioranza dei casi, l’esperto peritale sia di parte sia d’Ufficio, incaricato di espletare perizie o consulenze tecniche, è chiamato a compiere precise indagini tecniche.

Queste possono sintetizzarsi nella risposta sul tipo, marca, modello e data di fabbricazione dell’arma da fuoco, e sul calibro, sullo stato di conservazione, manutenzione ed usura dell’arma stessa, in altre parole del tipo d’esplosivo usato, e dell’uso comune dello stesso.

Andando più nel sottile, potrà essere chiamato ad accertare se l’arma da fuoco è stata alterata, ovvero obliterata, al fine di tentare di sviare le indagini balistiche e se parti di essa siano state sostituite, in altre parole se l’esplosivo è stato adoperato correttamente o se si appalesa l’uso dello stesso da parte di un operatore inesperto.

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Nel caso di rinvenimento di proiettili o bossoli, l’esame potrà riguardare il lotto e la tipologia di fabbricazione degli stessi, e se questi sono residuali d’altre precedenti azioni delittuose.

Dal punto di vista della dinamica della consumazione del reato, potrà essere chiamato ad identificare i vari epicentri di fuoco, se questi sono stati realizzati in modo statico o dinamico e la distanza di sparo.

11.1 Protocollo operativo. Gli accertamenti più comuni che l’esperto incaricato deve eseguire sono, nell’ordine, i seguenti: - L’esame dei bossoli e dei proiettili, con l’indicazione del peso dell’ogiva, del calibro nominale e di quello effettivo, al mero fine di acclarare la tipologia delle armi impiegate. Quest’esame permetterà di verificare il numero, il senso, la larghezza ed il profilo delle impronte lasciate dalla rigatura della canna sull’ogiva. - L’esame al microscopio comparatore, come descritto nel paragrafo 1.6 si dimostra essenziale per accertare se, oltre ad uguaglianze macroscopiche presenti sulle ogive, sono presenti anche quelle riscontrabili microscopicamente, nel qual caso significherà che sono state sparate dalla stessa arma; contrariamente si propenderà per la tesi che sono state impiegate diverse armi dello stesso tipo e calibro. - L’esame dell’arma dovrà avvenire mediante la documentazione fotografica per attestare lo stato d'uso e d’usura, quindi procedere con prelievi di calco

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della camera, della superficie dell’otturatore e dell’estrattore. In seguito si esploderanno alcuni colpi idonei per la comparazione mediante l’uso del “cassone” o di un tubo pieno d’acqua. Tra i due è preferibile l’uso del cassone pieno di cotone idrofilo, poiché l’acqua deforma il profilo di ogive WC, SWC, o HP.

Una volta in possesso delle ogive e dei bossoli “test” recuperati si potrà procedere agevolmente ad un confronto con il microscopio comparatore. Un accertamento comparativo è positivo se si può dimostrare che le impronte rilevate ed esaminate in comparazione sono state prodotte dagli organi di una stessa arma, con un’identica disposizione topografica, non tralasciando di relazionare se vi è stata o meno l’alterazione di determinati organi (piano di culatta, percussore, espulsore), ovvero la sostituzione degli stessi con altri provenienti da altre armi uguali, operazioni queste entrambe finalizzate a rendere impossibile ogni indagine identificativa. 11.2 Falso positivo e falso negativo

Per falso s’intende un responso errato in cui il

perito può cadere a causa di un’indagine particolarmente gravosa, ovvero a causa di un responso affrettato.

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Falso positivo è l’erroneo responso, ad esempio di due bossoli appartenenti alla stessa arma ovvero di due ordigni esplosivi confezionati dalla stessa mano. Falso negativo è l’errato responso che attesta che una differente arma da fuoco ha esploso due cartucce, mentre, nella realtà sono state sparate dalla medesima arma. I falsi, negativi o positivi possono essere evitati grazie alla professionalità, alla serenità dell’esame, ma principalmente da un buon riscontro fotografico, giusta quanto affermava Sir Gerard Burrard, padre indiscusso della balistica identificativa forense. La memoria tecnica

Il diritto alla difesa, inteso come facoltà di provare, giusta disposto ex art. 190 cpp, si rende concreto con la facoltà riconosciuta alla parte di un effettivo confronto dialettico con il PM ed il Giudice, sin dalle prime fasi delle indagini.

Sopra ogni cosa acquista valore e rilievo la memoria tecnica, vera e propria consulenza tecnica di parte, prevista dal combinato disposto ex art. 233 e 121 cpp.

La memoria tecnica può essere presentata in ogni tempo; è diretta al Giudice, nella quale i consulenti tecnici (max due) esprimono il proprio motivato e documentato parere, ma rappresenta anche un momento di dialogo con il PM sui profili tecnici delle fonti di prova.

Incide sulle determinazioni del G.I.P. o G.U.P, si processualizza fino al terzo livello ed è utilizzabile dal Giudice del dibattimento attraverso il meccanismo dell’indicazione delle liste ex art.468 cpp e dell’escussione dibattimentale dei consulenti di parte.

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Quest’ultimi, nel nuovo rito assumono una veste importante, vista l’assoluta peculiarità del ruolo e delle funzioni, eliminando il tramite del difensore, sono interlocutori diretti del Giudice anche fuori dell’esame dibattimentale.

11.3 L’utilizzo dei risultati peritali.

La funzione propria degli accertamenti tecnici del secondo livello di processualizzazione è quella che caratterizza la fase delle indagini preliminari nella quale essi intervengono: incidere casualmente sulle determinazioni inerenti l’esercizio dell’azione penale ed in quelle del procedimento incidentale relativo all’irrogazione di misure cautelari.

Nel primo e nel secondo caso i consulenti tecnici di parte, del PM e della persona indagata devono dare il loro apporto tecnico in tutte le forme possibili per aiutare il PM chiamato a formulare le proprie richieste di misura cautelare o di rinvio a giudizio; per consentire al Giudice, quindi, di decidere re cognita in ordine alle richieste del PM.

L’utilizzabilità delle risultanze tecniche del primo e del secondo livello di processualizzazione è piena e non incontra limiti di sorta. Nel caso di riti alternativi negoziali, invece, l’utilizzazione è del tutto diversa e si differenzia ulteriormente a seconda che si tratti di rito abbreviato o d’applicazione della pena a richiesta delle parti. Nel primo caso il Giudice cerca le prove, sia pure allo stato degli atti, e quindi, nessuno scontro probatorio è possibile: le risultanze tecniche vanno valutate nella loro integrale valenza probatoria; e

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l’approdo decisorio riflette le conclusioni raggiunte in ordine alla prova, così come nel giudizio dibattimentale. Il rito congela solo la situazione probatoria sull’accordo negoziale delle parti. Congela, altresì, l’iter di processualizzazione nella sua progressione verso il dibattimento, rendendo utilizzabili, in assenza di perizia, le consulenze tecniche di parte espletate attraverso la memoria tecnica o l’escussione diretta dei consulenti fatta mediante la loro audizione. Nel secondo caso le risultanze tecniche e le fonti di prova in generale funzionano da limite negativo all’accoglimento da parte del Giudice della richiesta congiunta delle parti: esse non devono dimostrare che sussiste una delle cause di non punibilità di cui all’art.129 cpp. 11.4 la perizia nell’incidente probatorio.

Subito dopo la cd “urgenza legittimante” della P.G. si colloca la competenza del PM ex art. 360 cpp.

Per il PM l’urgenza trova un legittimo ostacolo nel consenso della persona indagata; infatti, il veto opposto dall’indagato paralizza l’azione del PM, trasferendo la competenza al GIP per l’incidente probatorio.

Se sono rispettate le garanzie difensive dell’indagato ed i parametri di legittimità ex art. 360 cpp gli accertamenti tecnici disposti dal PM possono confluire nel fascicolo del dibattimento ai sensi dell’art. 431 – lettera C del cpp.

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La Suprema Corte con Sent. Sez.I nr. 10893/94, ha stabilito il principio, oggi largamente impiegato: “la sanzione dell’inutilizzabilità è dalla norma collegata esclusivamente al veto della parte interessata”, giusta art.360 u.c. cpp,

Il disposto di cui all’art. 392 CPP lettera “f”, rappresenta l’ultimo stadio dell’urgenza, disciplinante le ipotesi d’incidente probatorio.

A seguito di Sentenza della Corte Costituzionale nr. 77/94, l’operatività della norma che disciplina l’incidente probatorio è estesa anche alla fase dell’udienza preliminare.

L’incidente probatorio può essere richiesto sia dal PM sia dalla persona indagata, con atto che deve contenere, a pena d’inammissibilità, le indicazioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art.393 cpp, dettagliatamente la “non rinviabilità dell’assunzione della prova al dibattimento”

La persona offesa può chiedere l’incidente probatorio solo attraverso il PM; quest’ultimo se non accoglie la richiesta deve pronunciarsi con decreto motivato da notificare alla persona offesa. 11.5 Accertamenti tecnici dibattimentali

Accertamenti tecnici probatori, ad eccezione di

quanto innanzi detto, trovano la loro naturale collocazione nel dibattimento, attraverso due ipotesi dettagliatamente disciplinate:

a- l’escussione dibattimentale dei CTP preventivamente indicati nella lista

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depositata nella cancelleria del Giudice ai sensi dell’art. 468 cpp;

b- la perizia disposta in dibattimento ai sensi dell’art. 508 e 220 cpp.

Sulle ipotesi derogatorie innanzi dette, sia quelle in fase d’indagini preliminari e sia quelli degli accertamenti urgenti di PG è, comunque, consentito un controllo dibattimentale delle risultanze peritali.

a- L’escussione dibattimentale dei consulenti di parte avviene mediante un deposito della lista dei propri consulenti tecnici e delle questioni tecniche trattate, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, pena di decadenza. Tanto per un proficuo contraddittorio (art. 468 cpp); poiché l’esatta indicazione delle questioni tecniche, rilevanti quali prove, permette utilizzare validamente in dibattimento lo strumento della memoria tecnica, ovvero l’escussione diretta del CTP.

Caso contrario, nel non rispetto del dispositivo e dei termini di cui all’art. 468 cpp, la memoria tecnica ha il mero effetto di sollecitare il Giudice affinché disponga perizia dibattimentale.

Resta preclusa ogni possibilità di utilizzare direttamente l’elaborato tecnico di parte. Il consulente di parte, così come quelle dei periti, avviene nelle forme di cui all’art. 501 cpp che, sostanzialmente seguono la linea tracciata per l’escussione dei testimoni, esame incrociato e divieto espresso di domande “suggestive” ad opera della parte nel cui interesse il consulente di parte è escusso. Periti e consulenti hanno facoltà di consultare documenti ed il materiale di consultazione è acquisito, quindi processualizzato e, poiché è passato sotto il vaglio dibattimentale, è acquisito come materiale

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probatorio, utilizzabile dal Giudice per la decisione esattamente nei termini di cui all’art. 220 co.1^ cpp. b- La perizia nel dibattimento, ai sensi dell’art.220 cpp, è ammessa quando occorre svolgere indagini od acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche od artistiche. Nel caso della balistica identificativa forense, la perizia, è un metodo, uno strumento di lettura e di interpretazione, operando su reperti ben individualizzati, svela le potenzialità, senza nulla aggiungere ad esse. Titolare della facoltà di disporre perizia è il Giudice del dibattimento e sede propria di essa è appunto il dibattimento. Soggetto necessario è il perito alla cui nomina provvede il Giudice che non incontra limiti vincolanti nella scelta, a parte quello, meramente indicativo, d’iscrizione in appositi albi e quello, affidato alla discrezionalità dello stesso Giudice, del possesso di particolare competenza specifica nella disciplina Il perito non deve versare nelle situazioni di incapacità od incompatibilità indicate sub art. 222 cpp, ha l’obbligo di dichiarare i motivi di astensione esistenti e può essere ricusato dalle parti nei casi previsti dall’art.36 cpp, eccezion fatto per quel sub lettera h. sulla dichiarazione di astensione o di ricusazione decide il Giudice che ha disposto la perizia. Le parti possono scegliere liberamente i loro consulenti, salvo il limite imposto per i PM che devono scegliere tra persone iscritte negli appositi albi professionali (art. 73 disp. att.), ovvero motivare le deroghe. Non sono previste forme vincolanti per la nomina.

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11.6 Escussione dibattimentale

Come si è detto il Giudice del dibattimento può

disporre la perizia a richiesta di parte ed anche d’ufficio, provvedendo con Ordinanza motivata ai sensi dell’art. 224 cpp.

All’udienza di comparizione fissata il perito previa generalizzazione dello stesso ed invito a dichiarare la sua condizione ai sensi dell’art. 222 e 223 cpp, presta giuramento secondo la formula di rito.

Quindi allo stesso sono posti i quesiti cui dare risposta; formulati i quesiti al perito si offrono tre possibilità.

a- rispondere subito con parere raccolto a verbale;

b- chiedere termine e rispondere con parere a verbale;

c- chiedere termine ed autorizzazione a presentare relazione scritta.

Il perito nell’ipotesi di termine chiesto ed accordato ha l’obbligo di indicare il giorno ed il luogo dell’inizio delle operazioni ed il giudice né da atto nel verbale.

Il perito può chiedere al Giudice di essere autorizzato a prendere visione degli atti, dei documenti e delle cose contenute nel fascicolo, ad assistere all’esame delle parti ed all’assunzione delle prove, chiedendo, sempre per il corretto svolgimento dell’incarico peritale, notizie all’imputato od alla persona offesa (Cass.sez I nr. 1064/95).

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I consulenti di parte hanno diritto di assistere al conferimento dell’incarico al perito ed ha presentare in tale sede al Giudice osservazioni e riserve da far menzione a verbale.

Essi hanno facoltà di assistervi alle operazioni peritali e devono essere posti in condizione di farlo attraverso gli avvisi che il perito è tenuto a fare (art. 229 cpp)

Durante le operazioni possono proporre al perito specifiche indagini e formulare riserve ed osservazioni che andranno trascritte nella relazione. 11.7 La valutazione dei risultati

Il perito, sia che risponda ai quesiti del Giudice a verbale, sia che provveda con relazione scritta, è obbligato a seguire un percorso ben determinato, distinto da tre cantoni fondamentali.

A- La messa a fuoco delle fonti di prova; infatti, l’esatta individuazione del reperto, tenuto conto della loro autenticità ed integrità, costituisce l’esatto fondamento d’ogni successivo accertamento peritale.

B- La metodologia d’indagine deve essere chiara e compendiosa, da permettere al Giudice ed alle parti di poter agevolmente verificare il procedimento logico scientifico seguito dal perito per giungere alle conclusioni.

C- Le conclusioni sulla valutazione tecniche delle fonti di prova, oggetto della perizia, devono essere esaurienti e rispondere correttamente ai quesiti posti dal Giudice nel conferimento dell’incarico.

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Se le parti direttamente o per tramite del loro consulente formulino conclusioni diverse, ed il perito ne ha cognizione all’atto della stesura della relazione, è necessario che le valuti, facendone riferimento della perizia.

Appare, quindi, chiaro che il perito deve sempre tener conto delle osservazioni e delle riserve formulate dalle parti, e, ove sia possibile riferire il grado di certezza delle conclusioni da lui formulate. Il Giudice è chiamato ad un controllo solo sull’iter seguito dal perito per giungere alle sue conclusioni, ed in particolare sono sottoposte a scrupolosa verifica: l’integrità e la genuinità delle fonti di prova, l’affidabilità della metodologia scelta, la connessione logica tra premessa e conclusioni, ed infine, il grado di certezza delle conclusioni. 11.9 Conclusioni

In qualsiasi ricerca si produce conoscenza e

sapere quando si rendono manifesti i principi, le cause o gli elementi del contenuto della ricerca.

Non sarà sfuggito all’attento lettore che i fattori determinati per una giusta indagine identificativa balistica sono molteplici, e questi possono essere a loro volta influenzati da una serie di variabili.

Identificare il calibro od il tipo d’arma, od anche il tipo d’esplosivo usato per compiere azioni delittuose, molto spesso si rivela assai più difficile del previsto, poiché l’esplosivo può essere stato

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“maneggiato”, in altre parole la pallottola, elemento iniziale di una corretta metodologia d’indagine, può essere stata ricaricata artigianalmente, con ogive del peso diverso da quello determinato, in altre parole con l’utilizzo bossoli riciclati su cui è stata in precedenza impressa volutamente l’impronta dell’unghia estrattrice di un’altra arma, od anche sostituendo nell’arma parti essenziali quali il percussore, l’espulsore, ovvero l’unghia che imprimono un segno indelebile, un legame inconfondibile che vincola inconfutabilmente il bossolo, ovvero l’ogiva all’arma che ha esploso, sviando così le indagini di Polizia Giudiziaria.

Altra possibile alterazione creata ad hoc per ostacolare le indagini e rendere quasi impossibile ogni analisi balistica sull’ogiva, potrebbe essere, come innanzi detto, posta in essere mediante l’uso d’ogive “cast” ottenute dalla fusione di una lega composta da piombo al 80%, antimonio al 15% e stagno al 5%, ad una temperatura maggiore di 400°, ottenendo così la cristallizzazione del metallo.

Le fusioni ottimali, infatti, sono effettuate generalmente a 350°; aumentando la temperatura si favorisce la formazione di scorie di SnO2 che rendono frangibile la palla, quindi difficilmente sottoponibile ad esame balistico comparativo

A momento dell’impatto un’ogiva realizzata di un metallo cristallizzato si frangerebbe in diversi piccoli frammenti, provocando un duplice effetto: rendere impossibile ogni perizia sulla stessa e procurare alla vittima delle lesioni maggiormente invalidanti.

Nel campo degli esplosivi, l’impiego di uno specifico prodotto, il suo posizionamento, ovvero, la conoscenza delle tecniche operative per il corretto

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utilizzo, possono indirizzare, sin dalle prime battute, le indagini di PG nel giusto verso.

Mediante l’utilizzo di piccoli espedienti e l’uso d’accorgimenti tecnici da parte dei malavitosi, uniti ad una carente conoscenza della balistica che hanno Magistrati ed Avvocati, questi potrebbero essere facilmente indotti in erronee determinazioni nella costante ricerca della verità.

“Non semper ea sunt, quae videntur decipit frons prima multos: rara mens intelligit quod interiore condidit cura angulo. (Fedro IV, 1)

Questo lavoro è dedicato a tutti gli Operatori di Giustizia

che oggi giorno si trovano a combattere una criminalità sempre più evoluta ed organizzata.

Lector i benevo lo Sit tibi decurrant felicia tempora, lector,

ut solum aeternus sit tua vita Deus.

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A P P E N D I C E

Disposizioni di legge vigenti in materia per il versamento d’armi e munizioni alla

Direzione d’Artiglieria.

Prima di iniziare a descrivere le procedure da seguire per la ricezione, custodia ed alienazione d’armi confiscate, fino a giungere al versamento definitivo all’Esercito, occorre, a giudizio dello scrivente, soffermarsi sul concetto d’arma, al mero fine di meglio individuare gli oggetti passibili di confisca. La destinazione all’Artiglieria può riguardare non soltanto armi proprie, ma anche quelle improprie e gli altri oggetti atti ad offendere ogni qual volta il relativo provvedimento sia adottato de plano dal Giudice. Al fine di poter escludere la matura d’arma è necessario che questo sia totalmente ed assolutamente inefficiente all’uso che gli è proprio, ad

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esempio per la mancanza di parti essenziali non sostituibili o per guasti non riparabili, giacchè solo in questo caso viene meno la situazione di pericolo per l’Ordine pubblico e la pubblica incolumità (idem Cass. Penale Sez.ne 1^ nr.4777 del 18 apr.’00) Le armi, munizioni ed esplosivi sono definiti in riferimento a quanto riportato dalla Legge 18.04.1975 nr. 110 e nel DM 14.04.1982. Una prima distinzione è operata tra armi proprie ed armi improprie, ai sensi dell’art.30 del R.D. 18.06.1931 nr.773 e dell’art.45 del RD 06.05.1940 nr.695. Nel caso di commissione di un reato e di condanna, anche le armi improprie, semprechè non appartengano a soggetti diversi, sono sottoposte a confisca e sono, parimenti, da versare all’artiglieria, ai sensi dell’art.6, co.3 Legge del 22.05.1975 nr.152. Una seconda distinzione, secondo l’impiego, è tra armi da guerra, tipo guerra e comuni, oltre alla distinzione in armi antiche, artistiche e rare, in altre parole d’importanza storica. Le munizioni, sempre secondo il dettato della Legge nr.110/75, possono essere da guerra ed a palla, mentre gli esplosivi, sotto la cui dizione possono essere compresi tutti i “manufatti esplosivi”, “artifici esplosivi” e “materiali esplodenti”, secondo la distinzione operata ex art.83 del Regolamento d’attuazione del TULPS.

Con la dizione “confisca in via amministrativa” si vuole intendere il provvedimento messo in atto dalle Autorità di pubblica Sicurezza ai sensi dell’art.39 del TULPS. In riferimento alla confisca in via giudiziaria si vuole intendere il provvedimento conseguente ad una pronuncia dell’Autorità Giudiziaria ai sensi dell’art.240

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C.P, integrato dall’art.6 della Legge 152/75, relativa a corpi di reato di procedimenti in corso o ex corpi di reato relativi a procedimenti conclusi. Questi ultimi, semprechè siano armi o munizioni, vanno consegnati al 1^Reparto Rifornimenti, che ha ereditato le competenze della disciolta 1^Direzione d’Artiglieria, del Comando della regione Militare d’appartenenza. Questo reparto, dunque, riceve e custodisce, in attesa della definitiva destinazione: 1- armi e munizioni confiscate in via amministrativa; 2- armi e munizioni confiscate in via giudiziaria

quando il procedimento penale si è concluso; 3- esplosivi sia confiscati in via amministrativa che

in via giudiziaria, indipendentemente se il processo si è concluso o meno, fatto salvo alcune norme di sicurezza. Solo eccezionalmente, in caso di gran

quantitativo d’armi e munizioni, il 1^ reparto potrà essere autorizzato a prendere in carico dei corpi di reato in attesa della conclusione del processo. (Circ. Min Difesa nr. 13/86-II del 1968 e Circ. SME nr.1400/223.589 del 1988.

Modalità pratiche del Versamento Qualunque richiesta di versamento deve essere

indirizzata al Comando dei servizi trasporti, organo del 1^ Reparto rifornimenti della regione militare competente per territorio.

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Ricevuta la richiesta il Comando autorizzerà il versamento, con l’indicazione per i richiedenti dei tempi e delle modalità di esecuzione dello stesso.

La richiesta deve contenere in modo chiaro se il materiale è affidato in via temporanea al solo fine di custodia; la richiesta di custodia temporanea dovrà essere rinnovata annualmente, ovvero definitiva per la distruzione.

La richiesta deve, altresì, contenere la specifica delle armi, classificate per marca, calibro, modello, mentre per gli esplosivi deve essere precisato il tipo e la quantità.

Tutto il materiale affidato deve essere visibile e in sicurezza (armi scariche ed esplosivi disinnescati) e le munizioni con separato plico.

Il regime delle armi antiche, artistiche e rare,

in altre parole d’importanza storica. Giusta quanto prevista nel DM del 14 Aprile

1982, sono armi da sparo antiche quelle fabbricate anteriormente al 1890 e quelle ad avancarica; sono armi da sparo artistiche quelle che presentano delle caratteristiche decorative di notevole pregio o realizzate da armaioli particolarmente noti; sono armi di rara importanza storica quelle che sono collegate alla storia di personaggi od eventi di rilevanza storico culturale.

In assenza di una normativa ad hoc, questa deve ritenersi applicabile anche al regime delle armi bianche.

Il materiale così classificato sarà visionato da esperti della sovrintendenza dei beni culturali entro 60 gg dalla ricezione della comunicazione ed il materiale

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giudicato interessante, sarà scaricato contabilmente dal registro di carico del Reparto ed affidato alla Sovrintendenza.

Tabelle caratteristiche chimico fisico balistiche

delle polveri da lancio più comuni

_____________________________denominazione: SP3 Nitrocellulosa (NC %) 83 Titolo azotometrico (N%) 12,7 Nitroglicerina (NGL %) 12,5 Stabilizzanti 3,5 Grafite 0,3 Umidità residua +/- 0,7 Caratteristiche fisiche nominali: due basi Metodo di produzione: granulata Granitura: sfere Dimensione grani 0,4 mm Spessore grani Colore standard nero Densità gravimetric(gr/litro) 950 Caratteristiche della combustione molto lenta Potenziale (cal/gr.) 940 Potenza innesco richiesta medio forte

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Osservazioni personali

_______________________________denominazione: LP4 nitrocellulosa (NC %) 96 titolo azotometrico (N%) 13,15 Nitroglicerina (NGL %) ------ Stabilizzanti 1,02 Grafite 0,20 Umidità residua +/- 1,18 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: estrusa Granitura dischi, spesso forati al centro Dimensione grani 2 mm Spessore grani 0,45 mm Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 455 Caratteristiche della combustione: semi vivace Potenziale (cal/gr.) 1000 Potenza innesco richiesta medio forte Osservazioni personali

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_________________________________denominazione: GP nitrocellulosa (NC %) 85 titolo azotometrico (N%) 13,10 Nitroglicerina (NGL %) 10 Stabilizzanti 3,7 Grafite 0,15 Umidità residua +/- 1,15 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: laminata Dimensione grani 1,4 x1,4 Granitura: lamelle Spessore grani 0,10 mm Colore standard giallo Densità gravimetrica (gr/litro) 490 Caratteristiche della combustione: vivace Potenziale (cal/gr.) 1060 Potenza innesco richiesta medio leggero Osservazioni personali

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______________________________denominazione: NIKE nitrocellulosa (NC %) 63 titolo azotometrico (N%) 12,9 Nitroglicerina (NGL %) 32 Stabilizzanti 4,3 Grafite 0,15 Umidità residua +/- 0,55 Caratteristiche fisiche nominali: doppia base Metodo di produzione: laminata Granitura: lamelle Dimensione grani 1,2 x 1,2 Spessore grani 0,08 mm Colore standard viola Densità gravimetrica (gr/litro) 430 Caratteristiche della combustione vivace Potenziale (cal/gr.) 1140 Potenza innesco richiesta medio leggero Osservazioni personali

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________________________denominazione: MB X 36 nitrocellulosa (NC %) 85 titolo azotometrico (N%) 13,10 Nitroglicerina (NGL %) 10 Stabilizzanti 3,7 Grafite 0,15 Umidità residua +/- 1,15 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: laminata Granitura: lamelle Dimensione grani 1,4 x 1,4 Spessore grani 0,11 mm Colore standard bruno verde Densità gravimetrica (gr/litro) 470 Caratteristiche della combustione lenta Potenziale (cal/gr.) 1030 Potenza innesco richiesta forte Osservazioni personali

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_______________________denominazione: MB x 32 nitrocellulosa (NC %) 85 titolo azotometrico (N%) 13,10 Nitroglicerina (NGL %) 10 Stabilizzanti 3,7 Grafite 0,15 Umidità residua +/- 1,15 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: Granitura: lamelle Dimensione grani 1,4 x 1,4 Spessore grani 0,11 Colore standard bruno Densità gravimetrica (gr/litro) 470 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 1050 Potenza innesco richiesta media forte Osservazioni personali

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________________________denominazione: F2 X 36 nitrocellulosa (NC %) 85 titolo azotometrico (N%) 13,2 Nitroglicerina (NGL %) 10 Stabilizzanti 3,7 Grafite 0,15 Umidità residua +/- 1,15 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: laminata Granitura lamelle Dimensione grani 1,4 x 1,4 Spessore grani 0,11 Colore standard verde Densità gravimetrica (gr/litro) 470 Caratteristiche della combustione lenta Potenziale (cal/gr.) 1035 Potenza innesco richiesta medio forte Osservazioni personali

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_________________________denominazione: F2 x 32 nitrocellulosa (NC %) 85 titolo azotometrico(N%) 13,2 Nitroglicerina (NGL %) 10 Stabilizzanti 3,7 Grafite 0,15 Umidità residua +/- 1,15 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: laminata Granitura lamelle Dimensione grani 1,4 x1,4 Spessore grani 0,11 Colore standard verde giallo Densità gravimetrica (gr/litro) 470 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 1045 Potenza innesco richiesta medio forte Osservazioni personali

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___________________________denominazione: M 92 S nitrocellulosa (NC %) 83 titolo azotometrico (N%) 13 Nitroglicerina (NGL %) 12 Stabilizzanti 3,8 Grafite 0,15 Umidità residua +/- 1,05 Caratteristiche fisiche nominali: due basi Metodo di produzione: laminata Granitura lamelle Dimensione grani 0,9 x 0,9 Spessore grani 0,08 Colore standard verde Densità gravimetrica (gr/litro) 510 Caratteristiche della combustione molto lenta Potenziale (cal/gr.) 1000 Potenza innesco richiesta media forte Osservazioni personali

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____________________________denominazione: SIDNA nitrocellulosa (NC %) 94,5 titolo azotometrico (N%) 13,3 Nitroglicerina (NGL %) ---- Stabilizzanti 3,7 Grafite 0,5 Umidità residua +/- 1,3 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: laminata Granitura lamelle Dimensione grani 1,4 x 1,4 Spessore grani 0,15 Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 540 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 970 Potenza innesco richiesta leggera Osservazioni personali

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__________________________denominazione: TECNA nitrocellulosa (NC %) 53,0 titolo azotometrico (N%) 12,2 Nitroglicerina (NGL %) 41,6 Stabilizzanti 4 Grafite 1 Umidità residua +/- 0,4 Caratteristiche fisiche nominali: due basi Metodo di produzione: laminata Granitura: lamelle Dimensione grani 1,2 x 1,2 Spessore grani 0,12 Colore standard grigio ardesia Densità gravimetrica (gr/litro) 590 Caratteristiche della combustione molto lenta Potenziale (cal/gr.) 1080 Potenza innesco richiesta media leggera Osservazioni personali

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___________________________denominazione: SIPE nitrocellulosa (NC %) 50 titolo azotometrico (N%) 12,2 Nitroglicerina (NGL %) 48 Stabilizzanti 0,7 Grafite 1 Umidità residua +/- 0,3 Caratteristiche fisiche nominali: due basi Metodo di produzione: laminata Granitura lamelle Dimensione grani 0,85 x 0,85 Spessore grani 0,15 Colore standard grigio ardesia Densità gravimetrica (gr/litro) 690 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 1280 Potenza innesco richiesta media leggera Osservazioni personali

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______________________________denominazione: S 4 nitrocellulosa (NC %) 50 titolo azotometrico (N%) 12,2 Nitroglicerina (NGL %) 48 Stabilizzanti 0,7 Grafite 1 Umidità residua +/- 0,3 Caratteristiche fisiche nominali: due basi Metodo di produzione: laminata Granitura: lamelle Dimensione grani 1 x 1 Spessore grani 0,12 Colore standard grigio ardesia Densità gravimetrica (gr/litro) 620 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 1280 Potenza innesco richiesta medio leggera Osservazioni personali

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_____________________________denominazione: JK 4 nitrocellulosa (NC %) 95 titolo azotometrico (N%) 13,3 Nitroglicerina (NGL %) ----- Stabilizzanti 3,5 Grafite 0,4 Umidità residua +/- 1,1 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: laminata Granitura: lamelle Dimensione grani 1,5 x 1,5 Spessore grani 0,2 Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 680 Caratteristiche della combustione molto lenta Potenziale (cal/gr.) 1000 Potenza innesco richiesta forte Osservazioni personali

Page 168: Avvocato Giuseppe Lanunziata Oplologo · statunitense professor Charles Waite iniziò a ... mm IMI, 9 mm Parabellum, .380 acp, 9 corto, 9x17 mm, 9 mm kurt, 9x18 mm, 9 Police, 9x22

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______________________________denominazione: JK 3 nitrocellulosa (NC %) 96 titolo azotometrico (N%) 13,3 Nitroglicerina (NGL %) ----- Stabilizzanti 2,6 Grafite 0,3 Umidità residua +/- 1,1 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: laminata Granitura: lamelle Dimensione grani 0,8 x 0,8 mm Spessore grani 0,1 mm Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 736 Caratteristiche della combustione molto lenta Potenziale (cal/gr.) 960 Potenza innesco richiesta media forte Osservazioni personali

Page 169: Avvocato Giuseppe Lanunziata Oplologo · statunitense professor Charles Waite iniziò a ... mm IMI, 9 mm Parabellum, .380 acp, 9 corto, 9x17 mm, 9 mm kurt, 9x18 mm, 9 Police, 9x22

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_________________________denominazione: JK6 / B nitrocellulosa (NC %) 96,8 titolo azotometrico (N%) 13,3 Nitroglicerina (NGL %) ----- Stabilizzanti 1,8 Grafite 0,3 Umidità residua +/- 1,1 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: laminata Granitura: lamelle Dimensione grani 1,5 x 1,5 Spessore grani 0,2 Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 561 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 975 Potenza innesco richiesta forte Osservazioni personali

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____________________________denominazione: JK8 nitrocellulosa (NC %) 84 titolo azotometrico (N%) 12,6 Nitroglicerina (NGL %) 12 Stabilizzanti 2,7 Grafite 0,7 Umidità residua +/- 0,6 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: laminata Granitura: lamelle Dimensione grani 1,5 x1,5 Spessore grani 0,2 mm Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 550 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 1040 Potenza innesco richiesta forte Osservazioni personali

Page 171: Avvocato Giuseppe Lanunziata Oplologo · statunitense professor Charles Waite iniziò a ... mm IMI, 9 mm Parabellum, .380 acp, 9 corto, 9x17 mm, 9 mm kurt, 9x18 mm, 9 Police, 9x22

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_____________ _______denominazione: LOV S035 nitrocellulosa (NC %) 94 titolo azotometrico (N%) 13,05 Nitroglicerina (NGL %) ----- Stabilizzanti 4,12 Grafite 0,18 Umidità residua +/- 1,3 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: estrusa Granitura: lamelle Dimensione grani 1,42 x 1,42 Spessore grani 0,24 Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 584 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 930 Potenza innesco richiesta medio forte Osservazioni personali

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_________________________denominazione: REX 36 nitrocellulosa (NC %) 97,67 titolo azotometrico (N%) 13,15 Nitroglicerina (NGL %) ----- Stabilizzanti 1,17 Grafite 0,1 Umidità residua +/ 1,06 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: estrusa Granitura: dischi Dimensione grani 1,6 mm Spessore grani 0,20 Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 464 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 969 Potenza innesco richiesta forte Osservazioni personali

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________________________denominazione: REX 32 nitrocellulosa (NC %) 97,12 titolo azotometrico (N%) 13,15 Nitroglicerina (NGL %) ----- Stabilizzanti 1,69 Grafite 0,16 Umidità residua +/- 1,03 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: estrusa Granitura dischi Dimensione grani 1,6 Spessore grani 0,20 Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 464 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 953 Potenza innesco richiesta forte Osservazioni personali

Page 174: Avvocato Giuseppe Lanunziata Oplologo · statunitense professor Charles Waite iniziò a ... mm IMI, 9 mm Parabellum, .380 acp, 9 corto, 9x17 mm, 9 mm kurt, 9x18 mm, 9 Police, 9x22

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__________________________denominazione: REX 28 nitrocellulosa (NC %) 97,71 titolo azotometrico (N%) 13,15 Nitroglicerina (NGL %) ----- Stabilizzanti 1,17 Grafite 0,15 Umidità residua +/- 0,97 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: estrusa Granitura: dischi Dimensione grani 1,16 Spessore grani 0,24 Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 463 Caratteristiche della combustione molto vivace Potenziale (cal/gr.) 968 Potenza innesco richiesta forte Osservazioni personali

Page 175: Avvocato Giuseppe Lanunziata Oplologo · statunitense professor Charles Waite iniziò a ... mm IMI, 9 mm Parabellum, .380 acp, 9 corto, 9x17 mm, 9 mm kurt, 9x18 mm, 9 Police, 9x22

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_____________________________denominazione: GM 3 nitrocellulosa (NC %) 95 titolo azotometrico (N%) 12,7 Nitroglicerina (NGL %) ----- Stabilizzanti 3,8 Grafite 0,2 Umidità residua +/- 1 Caratteristiche fisiche nominali: mono gel Metodo di produzione: granulata Granitura granuli Dimensione grani 1,60x 1,18 Spessore grani Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 540 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 960 Potenza innesco richiesta medio leggera Osservazioni personali

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________________________denominazione: WIN 296 nitrocellulosa (NC %) 86 titolo azotometrico (N%) 13,15 Nitroglicerina (NGL %) 10 Stabilizzanti 3 Grafite 0,5 Umidità residua +/- 0,5 Caratteristiche fisiche nominali: due basi Metodo di produzione: granulata Granitura: lenti Dimensione grani 0,36 Spessore grani 0,22 Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 955 Caratteristiche della combustione molto lenta Potenziale (cal/gr.) 937 Potenza innesco richiesta media Osservazioni personali

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_______________________denominazione: WIN 571 nitrocellulosa (NC %) 79,9 titolo azotometrico (N%) 13,15 Nitroglicerina (NGL %) 18 Stabilizzanti 2,1 Grafite 0,5 Umidità residua +/- 0,5 Caratteristiche fisiche nominali: due basi Metodo di produzione: granulata Granitura: lenti Dimensione grani 0,64 Spessore grani 0,25 Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 940 Caratteristiche della combustione molto lenta Potenziale (cal/gr.) 1040 Potenza innesco richiesta media leggera Osservazioni personali

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________________________denominazione: WIN 540 nitrocellulosa (NC %) 79,25 titolo azotometrico (N%) 13,15 Nitroglicerina (NGL %) 18 Stabilizzanti 1,75 Grafite 0,50 Umidità residua +/- 0,50 Caratteristiche fisiche nominali: due basi Metodo di produzione: granulata Granitura: lenti Dimensione grani 0,64 Spessore grani 0,24 Colore standard grigio Densità gravimetrica (gr/litro) 925 Caratteristiche della combustione molto lenta Potenziale (cal/gr.) 1050 Potenza innesco richiesta media leggera Osservazioni personali

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________________________denominazione: G 2000 nitrocellulosa (NC %) 80 titolo azotometrico (N%) 13,1 Nitroglicerina (NGL %) 16 Stabilizzanti 3,25 Grafite 0,15 Umidità residua +/- 0,6 Caratteristiche fisiche nominali: due basi Metodo di produzione: laminata Granitura: lamelle Dimensione grani 1,25 x 1,25 Spessore grani 0,10 Colore standard grigio scuro Densità gravimetrica (gr/litro) 430 Caratteristiche della combustione molto vivace Potenziale (cal/gr.) 1080 Potenza innesco richiesta forte Osservazioni personali

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_________________________denominazione: G 3000 nitrocellulosa (NC %) 84 titolo azotometrico (N%) 13,1 Nitroglicerina (NGL %) 9,5 Stabilizzanti 5,35 Grafite 0,15 Umidità residua + /- 1,00 Caratteristiche fisiche nominali: due basi Metodo di produzione: laminata Granitura: lamelle Dimensione grani 1,40 x 1,45 Spessore grani 0,11 Colore standard nocciola chiaro Densità gravimetrica (gr/litro) 450 Caratteristiche della combustione semi vivace Potenziale (cal/gr.) 960 Potenza innesco richiesta forte Osservazioni personali

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Tabelle composizione chimica degli inneschi

usati nella produzione industriale di cartucce per pistola ____________________________________________________ marca calibro composizione ____________________________________________________ RWS .22 Pb - Ba - Ca - Si Remington .22 Pb - Si - Ca CCI .22 Pb - Ba - Si - Fe Lapua .22 Pb - Sb - Ba Winchester .22 Pb - Ba - Si Federal .22 Pb - Ba - Sb - Si Eley .22 Pb - Ba - Si - P - Fe Hirtenberg .25 Pb - Si - Ca - Ba GFL .25 Pb - Ba - Sb Hirtenberg .32 Pb - Si - Ca - Ba GFL .32 Pb - Ba - Sb IMI 9 para Cl - K- Sn- Sb - Hg Winchester 9 para Pb - Ba - Sb Geco 9 para Pb - Ba - Sb GFL 9 para Si - Cl - K - Sb

N.B. La composizione chimica innanzi citata, si riferisce a determinati lotti analizzati, non vincolanti per qualità il produttore, poiché nulla vieta che cartucce con le identiche caratteristiche balistiche, prodotte dallo stesso fabbricante, ma in lotti e tempi diversi, abbiano un innesco qualitativamente diverso.

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PUNZONI IDENTIFICATIVI del

BANCO PROVA ARMI di Gardone Val Trompia

Punzone X anno 1954 Punzone XI anno 1955 Punzone XII anno 1956 Punzone XIII anno 1957 Punzone XIV anno 1958 Punzone XV anno 1959 Punzone XVI anno 1960 Punzone XVII anno 1961 Punzone XVIII anno 1962 Punzone XIX anno 1963 Punzone XX anno 1964 Punzone XXI anno 1965 Punzone XXII anno 1966 Punzone XXIII anno 1967 Punzone XXIV anno 1968 Punzone XXV anno 1969 Punzone XVI anno 1970 Punzone XX7 anno 1971 Punzone XX8 anno 1972 Punzone XX9 anno 1973 Punzone XXX anno 1974 Punzone AA anno 1975 Punzone AB anno 1976 Punzone AC anno 1977 Punzone AD anno 1978 Punzone AE anno 1979 Punzone AF anno 1980 Punzone AH anno 1981 Punzone AI anno 1982 Punzone AL anno 1983

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Punzone AM anno 1984 Punzone AN anno 1985 Punzone AP anno 1986 Punzone AS anno 1987 Punzone AT anno 1988 Punzone AU anno 1989 Punzone AZ anno 1990 Punzone BA anno 1991 Punzone BB anno 1992 Punzone BC anno 1993 Punzone BD anno 1994 Punzone BF anno 1995 Punzone BH anno 1996 Punzone BI anno1997 Punzone BL anno 1998 Punzone BM anno 1999 Punzone BN anno2000 Punzone BP anno2001 Punzone BS anno 2002 Punzone BT anno 2003

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FAC SIMILE di una

R E L A Z I O N E di

consulenza tecnica balistica su arma da sparo Avanti: TRIBUNALE PENALE di xxxx Sezione Distaccata di xxx

Proc. nr. xxx/xx RGNR PM Ch.mo dott. xxx

Proc. nr. xxx/’xx R.G Ch.mo Giudice dott.xxx

Il sottoscritto xxx , nato a xxx il xxx, con

Studio professionale in xxx alla via xxx, con recapito telefonico xxx xxx codice fiscale xxx P IVA xxx, in possesso di:

(specificare titoli accademici e/o professionali)

Previo impegno formalmente assunto ex art. 226 cpp per incarico peritale conferito all’Udienza del giorno xxx

dal Tribunale di xxx , nel procedimento penale nr. xxx/’xx RG, a carico di xxx; dopo preso in consegna il reperto dall’Ufficio Corpi di Reato in xxx in data xxx

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, lo ha esaminato e fotografato, e, qui appresso relaziona. 1. Cenni storici sul sistema d’arma

XXX

2. Opinioni, Giurisprudenza e Dottrina nel merito della normativa vigente

XXX 3. Calcolo dell’energia e della traiettoria del

proiettile Xxx

4. Esame obiettivo dell’arma

Misure fisiche Calibro xxx mm (. xxx centesimi di pollice) Lunghezza totale dell’arma cm xxx Lunghezza totale della camma cm xxx

Stato di conservazione ed usura

xxx 5. Caratteristiche Tecniche

xxx 6. Calcolo e misurazione concreta dell’energia del proietto.

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Il reperto contenuto nel plico nr. xxx – Prot. Nr xxx del xxx, preso in consegna in data xx dall’Ufficio Corpi di Reato del Tribunale di xxx,

è stato sottoposto ad un primo esame, previo invito a mezzo racc AR alle parti interessate, in data xx xx xx, con le seguenti condizioni atmosferiche: - inizio operazioni: ore xxx - temperatura di xxx centigradi - vento a regime di brezza - cielo nuvoloso (nembi e nembo-cumuli) - umidità del xx %.

Termine operazioni ore xxx è stato sottoposto ad un secondo esame in data

xxx, con le seguenti diverse condizioni atmosferiche: - inizio operazioni ore xxx - temperatura xx gradi centigradi - vento: totale assenza - cielo: soleggiato - velato; - umidità del xx % Termine operazioni ore xxx

Per entrambi gli esperimenti sono stati utilizzate

munizioni marca xxx di fabbricazione xxx , in calibro xxx mm (.xx) del tipo xxx , generalmente impiegati per usi non agonistici, e per i quali questo modello d’arma è stato concepito.

Per un corretto esame sono state seguite le seguenti procedure.

Vista le difficoltà pratiche d’utilizzo di un

cronografo e dei molteplici fattori fisici che possono sensibilmente influenzare i risultati balistici, abbiamo ritenuto di procedere, nel nostro esame balistico peritale, ripetendolo, come innanzi precisato, due

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volte, in giornate con diverse condizioni atmosferiche, tanto anche per una maggiore serenità di quest’Ottimo Giudice.

Per entrambe le prove e stato utilizzato un

cronografo del Tipo portatile prodotto della “ xxx ” , il quale, dopo alcuni colpi di prova si dimostrato IDONEO alla misurazione

Per la prova del xxx, sono stati presi a caso nr.

cinque cartucce dello stesso tipo e forma, da due diverse confezioni della stessa marca, tutti del calibro xxx si è proceduto alla singola pesata d’ogni proietto (ogiva), ricavando i seguenti valori espressi in grammi: xxx xxx xxx xxx xxx , con un valore medio di xxx che prenderemo come valore standard di misurazione per il nostro esame

Dopo aver azionato lo strumento, resettandolo prima della misurazione, mediante una pressione sul pulsante rst, ed inserito nella CPU del circuito i dati relativi al peso del proietto, sono stati sparati i cinque colpi con la rilevazione dei valori xxx xxx xxx xxx xxx -, tutti espressi in m/s.

Dei cinque colpi sparati in successione, a distanza di tre minuti l’uno dall’altro, tempo sufficiente per scartare ogni valore errato dovuto al surriscaldamento della canna, è stata ricavata una media matematica, pari a xxx m/s.

Per la prova del xxx, dopo aver preso a caso nr. cinque cartucce, dello stesso tipo e forma, da due diverse confezioni della stessa marca, tutti dello stesso calibro si è proceduto alla singola pesata d’ogni proietto (ogiva), ricavando i seguenti valori espressi in

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grammi: xxx xxx xxx xxx xxx , con un valore medio di grammi xxx che prenderemo come valore standard di misurazione per l’esame.

Dopo aver azionato lo strumento, resettandolo

prima della misurazione, mediante una pressione sul pulsante rst, ed inserito nella CPU del circuito i dati relativi al peso del proietto, sono stati sparati i cinque colpi con la rilevazione dei valori xxx xxx xxx xxx -, tutti espressi in m/s.

Dei cinque colpi sparati in successione, a distanza di tre minuti l’uno dall’altro, tempo sufficiente per scartare ogni valore errato dovuto al surriscaldamento della canna, è stata ricavata una media matematica, pari a xxx m/s.

Durante entrambe le prove, lo strumento è stato posto in un modo che lo spostamento d’aria, anche se lieve, provocato dallo sparo non abbia avuto, in alcun modo influenza sulla misurazione.

Posto il cronografo dinanzi alla linea di tiro si è

mirato verso un punto di riferimento da collimare, in modo di far passare il proietto parallelamente alla linea immaginaria che congiunge i due sensori.

La tensione di alimentazione dello strumento di

misura, fornito delle batterie interne allo strumento, al momento della prova era costante e sufficiente.

Entrambe le prove balistiche sono state condotte

in luogo aperto, in un agro di xxx , con un'altezza pari a xxx metri s.l.m. Per formula matematica:

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L’energia espressa in Kg/m è uguale alla velocità del pallino, espressa in metri/s - misurata all’uscita dal vivo di volata, (V°) elevata al quadrato, moltiplicato la massa del proietto, espressa in grammi, ed il tutto diviso per una costante “Y”, pari al numero fisso “ 19620 ”

Nel caso de quo, il valore medio dei cinque

proietti esplosi dal reperto, pari alla velocità di xxx m/s, con un peso medio pari a gr. Xxx ha erogato un’energia Kg/m xxx

Per convertire i valori espressi in “Kg/m” in Joule,

si moltiplicano i “Kg/m” per una costante pari a 9,820;

pertanto, Kg. Xxx moltiplicato 9,820 = xxx Joule

CONCLUSIONI

L’arma, si presenta integra del suo meccanismo di caricamento e di sparo, e delle parti meccaniche essenziali al suo funzionamento; possiede le sue originali potenzialità cinetiche di sparo.

In ogni modo, in base ai calcoli sviluppati, così come dettagliatamente innanzi indicato, si CONCLUDE, perché il reperto oggetto dell’odierna perizia balistica POSSIEDE/ NON POSSIEDE una potenza di xxx Joule.

In fede Data e firma

A L L E G A T I e

B I B L I O G R A F I A

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-INDICE degli ARGOMENTI

trattati nel compendio (Il primo numero riferisce il capitolo, il secondo il paragrafo)

* * *

A Abel (equazione), 5.6 Accelerazione di gravità, 2.2 Acetilenici (idrocarburi), 8.5 Acidi alogenidrici, 8.6 Addizione (reazione di), 8.6 Alcheni, 8.4 - 8.6 Alchini, 8.5 Alessandro (Magno) 4.3 “Alpinit 1000”, 8.5 Amatolo, 7.6 - 7.7 - 9.9 Ammine, 8.8 Antifiamma, 9.7 Armi subacquee, 7.7 Avvitamento, 1.0

B Bacon Roger, 6.0 Balistiti, 6.6 Barrel time, 2.4 Belted (bossolo), 3.8 Berdan (innesco), 3.7 Berger (miscela), 6.9 Black silver (polvere nera), 6.1 – 6.2 Blasting gelatine, 9.5 Blowback, 2.4

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Boat tail (ogiva), 6.5 Bomba carta, 7.5 Borraggio, 7.6 Bossolo, 3.8 Boxer (innesco), 3.7 Brickford, 6.0 Bronzatura 10.0 Brown Bess 10.0 Burrard (sir) Gerard 11.2 Burro di antimonio 10.0 Butano, 8.2

C Calibri express, 3.6 Calibro nominale, 1.1 Carcano 4.5 Cariche cave, 7.9 Cartouche, 3.0 Cartucce ecologiche, 3.9 Cartucce subsoniche, 3.4 Cartucce supersoniche, 3.4 Cast (palle), 3.3 Catenazione, 8.0 Chassepot 4.5 Chetoni, 8.8 Chiusura inerziale, 2.3 Ciclonite, 9.9 CIP scala internazionale, 3.5 Classe dell’arma, 1.0 Coefficiente balistico, 3.1 Composition B, 7.7 Congreve (Lord), 6.8 Copriscodellino 4.1

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Corditi, 6.6 Cotone collodio, 9.6 Cotone fulminante, 9.6 Criterio per eliminazione, 1.0

D Da Vinci (Leonardo) 4.1 Dante (Alighieri) 4.3 Deflagrazione, 7.2 Densità sezionale, 3.1 Detonatori, 7.0 – 7.2 – 7.3 – 7.4 – 7.5 Detonazione, 6.2, 7.4 Diammide, 9.1 Dinamiti, 9.4 Dirompenza (forza di), 6.5 Draghetto 4.1 Dreyse 4.5 Duttenhofer (Von), 6.2

E E.D.X. 1.7 El Rammhnel, (ad), 6.0 Energia di rinculo, 2.5 Energie di legame, 8.5 – 8.6 Esanitrometano, 9.2 Esanonitromannite, 9.8 Esanonitropentaeritride, 9.8 Esplosione, 5.2 Esteri, 8.8 Esterificazione, 8.8 Eteri nitrici, 8.3

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Eteri, 8.8 – 8.3

F Falarica 4.0 Fedro, 11.0 Fenoliche (resine), 8.9 Fire forming, 1.1 Flat Base (ogiva), 5.5 Flobert 4.6 Forsyth (abate) 4.4 Fulmicotone, 9.6 Fumogene (miscele), 6.9 Fuochi pirotecnici, 6.8 Fuoco greco, 6.0

G G.R.C. (dell’F.B.I.), 1.0 Gas Tight, 3.7 GD 1 e GD2, 9.4 Gelatina esplosiva, 9.4 Gelatine gomma, 9.5 Gelatine, 9.4 Gelatinizzazione, 5.3 Giacomo (Re) 4.3 “Gomma A”, 7.9 Greco (Marco), 6.0 Gruppi funzionali, 8.3 Gruppi nitrici, 5.0 Guanto di paraffina, 3.9

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H Hannover Magazin 10.0 Hexogene, 9.9 Houiller 4.6

I Idrazina, 9.1 Idrocarburi acetilenici, 8.5 Idrocarburi alifatici, 8.4 Idrocarburi aromatici, 8.5 Idrocarburi insaturi, 8.4 Idrocarburi saturi, 8.4 Illuminanti (miscele), 6.9 Impronta di conio 1.5 Impronta di estrazione 1.3 Impronta di monta 1.3 Impronta di percussione 1.3 Impronta di rampa 1.3 Impronta di spallamento 1.3 Impronta di strisciata 1.3 Impronta individuale di canna 1.4 Impronte accidentali 1.4 Iniziatrici (miscele), 6.9 Innesco 1.1 - 3.7 - 7.3 Iso pentano, 8.2 Isomeria, 8.1

L La Marmora 4.4

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Lefaucheux 4.6 Lettere esplosive, 7.5 Linotype, 3.3

M Mach (numero di) 3.1 Magno (Alberto), 6.0 Massimiliano (editto) 4.2 Meccanismo (della ruota) 4.2 Metano, 9.2 Micce, 6.9 - 7.1 Miscele fumogene, 6.9 Miscele illuminanti, 6.9 Miscele iniziatrici, 6.9 Miscele Pirotecniche, 6.9 Mononitrometano, 9.2 Munroe, 7.9

N Natta (Giulio) 8.9 Neo pentano, 8.2 Neumann, 7.9 Nitrocellulosa, 6.6 - 9.6 Nitroglicerina, 6.6 – 9.3 – 9.4 Nobel (equazione), 5.6

O Olefine, 8.5

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Ordigni, 7.0 – 7.5

P Paraffine, 8.4 Parckerizzazione 10.1 Patten “mod 1776” 10.0 Pentano, 8.2 Pentrite, 7.7 – 7.9 – 9.8 Peptizzazione, 6.7 Pictrato di ammonio, 7.7 Pirossilina, 6.3 Pirotecnia, 6.8 Pitratol, 9.9 Polimeri di addizione, 8.9 Polimeri di codensazione, 8.9 Polimeri, 8.9 Polo (Marco), 6.0 Polveri calde, 5.2 Polveri fredde, 5.2 Polveri infumi, 9.7 Proiettili anticarro, 7.7 Proiettili artiglieria, 7.7 Proiettili perforanti, 7.7 Prova della piastrina di piombo, 8.9 Prova della sabbia, 7.4 Prova di volata, 7.4

R Rasching (processo), 9.1 RDX, 9.9 Reazione di addizione, 8.6 Refrigeranti, 9.7

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Reynolds (numero di) 3.1 Ribatedrim (bossolo), 3.9 Rimless (bossolo), 3.8 Rimmed (bossolo), 3.8 Roller Crimper, 3.8 – 3.9

S S.E.M. 1.7 Sanftner (processo), 9.1 Saponificazione, 8.6 – 8.8 Saracina 5.0 Schawartz, 6.0 Schultze, 6.2 Scodellino 4.1 Sinoxyd, 3.8 Sistema a contrasto di gas, 1.1 Snaphaunce 4.3 Sobrero (Asacnio), 9.8 Solchi di rigatura 1.4 Solenite, 6.6 Soleniti, 6.6 Spreng gelatine, 9.5 Stabilizzanti, 9.7 Stampaggio 1.3 Stifnato di piombo, 3.7 Striature parallele 1.3 Stub, 3.9 Sur Fioccchi, 3.8

T T4 (esplosivo), 7.9 – 9.9

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Taper crimper, 3.9 Tetranitrometano, 9.3 Tetritol, 9.9 Torpex, 7.7 Trasudamento, 9.6 Tricloruro di antimonio 10.0 Tritolital, 7.7 Tritolite, 7.7 Tritolo, 6.6 - 9.9 Tritonal, 7.7 - 9.9

V Velocità iniziale, 2.2 Vetterli 10.0 Vielle, 9.7 Vuoti di rigatura 1.4

W W.D.X. 1.7 Waite, 1.0