Avanzi. Un glossario per il futuro.

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In questi mesi registriamo un grande interesse in relazione ad alcuni temi di ricerca cui ci occupiamo da anni: innovazione sociale, social business, impact investing, shared value. Non sempre però questi termini vengono utilizzati correttamente. Abbiamo provato a sistematizzare qualche definizione. Per contribuire a costruire qualche terreno comune. E mettere qualche punto fermo.

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social innovation

social business

start up innovative

impact investing

social impact bond

shared value

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social innovation

Concetti e definizioni

(definizione) “Definiamo innovazioni sociali le nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa” (G. Mulgan)

(origini) L’innovazione sociale è altro dall’innovazione tout court che nasce dalla competizione di mercato e dalla ricerca di un maggiore profitto. All’origine di questi processi di innovazione esistono pressioni sociali esercitate dall’esistenza di bisogni insoddisfatti (es. servizi sanitari di prossimità), di risorse sprecate (es. il consumo di suolo), di emergenze ambientali (es. qualità dell’aria nei centri abitati) o sociali (es. crescenti aree di disagio e marginalità). La fornitura diretta di prodotti e servizi in grado di soddisfare tali bisogni non è più garantita né dal mercato né dalle amministrazioni pubbliche. Questo vuoto politico e fallimento di mercato apre il campo alle risorse e forze del privato sociale, all’imprenditorialità dal basso, alle comunità di cittadini che si organizzano per soddisfare nuovi e vecchi bisogni, per ottimizzare l’utilizzo delle risorse (umane e naturali) per garantire un miglioramento sociale (vedi oltre), per realizzare soluzioni più soddisfacenti i propri valori e le proprie aspirazioni.

(contenuto) L’innovazione sociale non è solo un’idea più o meno radicale, ma una pratica innovativa, ovvero l’applicazione efficace e sostenibile di una nuova idea di prodotto, servizio, modello. La capacità di essere efficace si riferisce all’uso ottimale di risorse per il conseguimento di un risultato sociale (outcome), in pratica la dimostrazione che l’idea funziona meglio delle soluzioni esistenti e genera valore per la società; la sostenibilità riguarda una componente essenziale e tipica dell’innovazione sociale che la distingue dalle pratiche tradizionali di assistenza e promozione sociale, ovvero la capacità di “stare sul mercato” e di finanziarsi grazie a dei ricavi generati dall’attività stessa o alla capacità di chi la promuove di dedicarvi impegno e lavoro. Questo elemento rimanda alla dimensione imprenditoriale dell’innovazione quale possibile (non necessario) esito per l’implementazione e attuazione di una nuova idea. Non ha nulla a che vedere con la dimensione profit o non profit di impresa, quanto al senso stesso dell’innovazione che ha come finalità la creazione di un impatto positivo per la società che sia il più ampio possibile.

(processo) Le pratiche di innovazione sociale non solo rispondono in modo innovativo ad alcuni bisogni, ma propongono anche nuove modalità di decisione e di azione. In particolare propongono di affrontare complessi problemi di natura orizzontale attraverso meccanismi di intervento di tipo reticolare, adottando l’intera gamma degli strumenti a disposizione; utilizzano forme di coordinamento e collaborazione piuttosto che forme verticali di controllo. Richiedono inoltre l’utilizzo di strumenti e processi di supporto al design thinking, inteso come capacità di formulare e

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implementare soluzioni. Questo aumenta le capacità di azione della collettività che si mobilita, crea nuovi ruoli e relazioni tra gli attori coinvolti, coinvolge nella produzione di risorse e capitale umano sotto utilizzato. Il processo che porta alla produzione di un certo output (prodotto, servizio, modello di comportamento, etc..) è dunque fondamentale nel conseguimento di quello che definiamo il risultato sociale. Il potenziale impatto di una pratica innovativa sul contesto sociale è tanto più elevato quanto più inclusivo è il processo di coinvolgimento della comunità, secondo modelli in continua evoluzione. Questa mobilitazione di risorse umane porta ad un attivismo diffuso in grado di moltiplicare energie e iniziative al servizio del miglioramento sociale.

(attori) Non ci sono attori e settori più idonei di altri nello sviluppare pratiche di innovazione sociale. Anzi possiamo dire che le esperienze più interessanti e radicali sono il frutto della collaborazione tra diversi attori appartenenti a mondi diversi. Le pratiche di innovazione sociale tendono a collocarsi al confine tra non-profit, pubblico, privato, società civile (volontariato, movimenti, azione collettiva, etc..), sono trasversali e frutto di interessanti contaminazioni di valori e prospettive. Nascono da nuove forme di collaborazione e di cooperazione tra soggetti di diversa natura che trovano un allineamento di interessi per il raggiungimento di un obiettivo comune. Dunque l’innovazione sociale ha una spiccata dimensione collettiva, non appartiene solo all’immaginazione e alla creatività di un attore singolo, quanto alla capacità collettiva di partire da un’intuizione e di svilupparla sino a trasformarla in pratica diffusa.

(outcome/risultato) Uno degli elementi più importanti e controversi dell’innovazione sociale riguarda l’impatto che può esercitare in termini sociali. L’attenzione alla valutazione di questo impatto è così alta che si è innescata una corsa all’elaborazione di metriche e strumenti capaci di offrire un’indicazione quantitativa del valore sociale creato . Riteniamo che questo approccio, in una fase ancora di definizione e studio delle dinamiche e caratteristiche dell’innovazione sociale, rischi di spostare l’attenzione solo sui risultati misurabili piuttosto che sulla complessità delle relazioni implicite nelle pratiche. L’innovazione sociale è incorporata nel tessuto sociale delle comunità in cui si pratica, nel valore qualitativo di queste relazioni, nella complessità dei modelli spontanei di governance. Questi elementi come abbiamo già detto sono essenziali per valutare l’impatto sulla collettività. Per questo, preferiamo non ricondurre l’impatto dell’innovazione solo al valore sociale creato, ma piuttosto al miglioramento sociale che è in grado di generare.

Cosa intendiamo per miglioramento sociale?

L’innovazione può raggiungere dei risultati di natura sociale strettamente legati alla produzione dell’output (es. offerta di servizi sanitari di prossimità), che nel soddisfare dei bisogni genera un aumento del benessere della collettività – creazione diretta di valore sociale - ma anche risultati impliciti nel processo, nelle nuove relazioni, nei nuovi assetti di governance, nel capitale sociale attivato – creazione indiretta di valore sociale. La creazione indiretta di valore sociale consiste anche nell’aumento delle capacità di azione della società stessa (empowerment), grazie ad un processo collettivo di apprendimento, mutuo insegnamento e attivazione. Da qui anche, l’utilità della messa in rete dei soggetti che fanno innovazione sociale e delle loro pratiche. Le due dimensione di valore creato contribuiscono a determinare l’outcome dell’innovazione, ovvero quello che noi definiamo miglioramento sociale.

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Sitografia e bibliografia

Robin Murray, Julie Caulier Grice e Geoff Mulgan. “Libro bianco sull’innovazione sociale” (2011).Versione in italiano scaricabile su:

http://www.societing.org/2011/06/il-libro-bianco-dellinnovazione-sociale-feel-the-innovation/

European Commission, DG Regional and Urban Policy, “Guide to Social Innovation” February 2013

http://ec.europa.eu/regional_policy/information/brochures/index_en.cfm#1

Bepa European Commission, “Empowering people, driving change. Social Innovation in the European Union” (2011).

http://ec.europa.eu/bepa/pdf/publications_pdf/social_innovation.pdf

Tepsie FP7 Project:

http://www.tepsie.eu/

Social Innovation Europe Initiative:

https://webgate.ec.europa.eu/socialinnovationeurope//

Social Innovation Exchange:

http://www.socialinnovationexchange.org/

European Commission, DG Enterprise and Industry, “Strengthening social innovation in Europe. Journey to effective assessment and metrics”, November 2012

http://ec.europa.eu/enterprise/policies/innovation/files/social-innovation/strengthening-social-innovation_en.pdf

Standford Social Innovation Review

http://www.ssireview.org/

The Young Foundation: http://youngfoundation.org/

NESTA:

Riferimenti normativi (eventuali)

Social Innovation Agenda Italiana

http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs210313

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social business

Concetti e definizioni

(definizione per la Commissione Europea)

L’impresa sociale (social business):

• ha come principale obiettivo non quello di generare utili per i suoi proprietari o azionisti, ma di avere un impatto sociale;

• destina i propri utili principalmente alla realizzazione di obiettivi sociali;

• è gestita da imprenditori sociali in modo responsabile, trasparente e innovativo, coinvolgendo i dipendenti, i clienti, e gli attori interessati alle sue attività economiche.

L’obiettivo principale delle imprese sociali è di generare un significativo impatto sulla società, l’ambiente e le comunità locali. Le imprese sociali contribuiscono ad una forma di crescita intelligente rispondendo con l’innovazione sociale a bisogni non ancora soddisfatti. Inoltre contribuiscono a una crescita sostenibile grazie al fatto di tener conto del proprio impatto ambientale e di avere una visione di lungo termine. Inoltre ponendo l’accento sull’aspetto umano e sulla coesione sociale, le imprese sociali sono al centro di una crescita inclusiva: creano occupazione sostenibile per le donne, i giovani e le persone svantaggiate o anziane.

In altri termini, la loro ragione d’essere è di realizzare trasformazioni sociali ed economiche che sono funzionali agli obiettivi della strategia Europea 2020.

L’impresa sociale deve offrire una risposta plurima all’innovazione sociale, che rifletta la complessità e la ricchezza delle pratiche, senza appiattirle su modelli consolidati e ricondurle a logiche tradizionali. Se l’innovazione nasce dalla domanda di nuovi bisogni e servizi, l’impresa sociale deve offrire nuovi modelli per fare impresa coerenti con la natura atipica del prodotto e del processo a cui danno forma. L’impresa sociale, in senso teorico, è dunque definita come:

• strumento funzionale al processo di innovazione che si manifesta in forma di offerta alla collettività di un nuovo bene, servizio, modello di produzione e consumo.

• presidio di beni relazionali e alcuni servizi essenziali per la collettività, unico modello di impresa che può garantire l’universalità dei servizi

• innovazione sociale dei modelli di gestione, produzione e consumo (crowdsourcing, prosumers, co-produzione) che garantiscono un forte allineamento degli interessi tra diversi stakeholders dell’impresa

(L’impresa sociale in Italia)

Più sfidante è invece definire cosa sia, per forma giuridica, l'impresa sociale in Italia. Il riferimento normativo principale è l’Impresa Sociale ex d.lgs.155, che non rappresenta una categoria di persone giuridiche, ma propone una qualifica aggiuntiva, applicabile a tutte le organizzazioni che esercitano attività economica per la produzione di beni e servizi di utilità sociale. Tra

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queste organizzazioni, le tre forme giuridiche che danno espressione concreta oggi all’impresa sociale sono:

• le cooperative sociali • le imprese (srl, spa) profit attive nei settori normati dal d.lgs.155 • le non profit commerciali attive sul mercato dei servizi sociali.

La ratio del decreto era quella di offrire all’imprenditore sociale una pluralità di forme possibili per l’esercizio della sua attività, ivi inclusa quella della società commerciale. Nonostante fondasse su presupposti condivisibili, tuttavia l’esito dell’applicazione del decreto 155 si può considerare a tutti gli effetti fallimentare.

Dal Rapporto sull’Impresa Sociale (Aiccon) emerge che le Imprese Sociali ex lege sono solo 400 a fronte di 13mila imprese sociali di fatto (di cui 11 mila le cooperative sociali). Il decreto 155 sembra dunque respingere le diverse organizzazioni che danno espressione all’imprenditoria sociale in senso lato. Vediamo perché:

- il divieto assoluto alla distribuzione di utili e dunque alla remunerazione del capitale raccolto è in contraddizione con l’obiettivo di attirare investimenti verso l’impresa sociale. Nessun investitore è interessato ad allocare le proprie risorse (grandi o piccole che siano) in un veicolo da cui non trarrà mai alcun ritorno economico. Anche per questo, nessuna società di capitale (srl e spa) si è trasformata in impresa sociale. Invece, si sono registrate sperimentazioni interessanti che hanno portato ad ulteriori ibridazioni (srl “low profit”), a conferma che è diffuso il bisogno di trovare formule alternative a quelle esistenti;

- la mancanza di un regime fiscale di favore (come per le ONLUS e gli enti non commerciali) non attira le organizzazioni non profit che svolgono attività commerciali e non incentiva le coop sociali ad ottenere la qualifica di Impresa Sociale.

La riforma dell’Impresa Sociale ex d.lgs. 155 è solo una delle possibili strade da percorrere per dare un impulso significativo al business sociale.

Alcuni infatti propendono per la creazione di una nuova forma giuridica, una nuova assett class, magari ispirata ai modelli inglesi di CIC-community interest company e di CBS -community benefit society, oppure a quello americano di B-corp esempio di autodeterminazione di autodefinizione della finalità sociale. Altri ritengono che l’impresa sociale in Italia non abbia bisogno di una nuova forma giuridica, ma che rappresenti l’evoluzione culturale di organizzazioni e cooperative che già svolgono attività per una finalità sociale, se pur con un modello di business ancora non sostenibile o su scala troppo ridotta, e di imprese commerciali esistente che si vincolano per statuto a stabilire:

• una finalità sociale e ambientale che implica una funzione obiettivo rovesciata, persegue l’utile sociale anziché l’utile economico; l’economicità è un vincolo alla funzione obiettivo

• un limite alla distribuzione dell’utile per garantire la continuità dell’attività di impresa

• un modello di governance multi-stakeholder col coinvolgimento degli stakeholder interni (soci, collaboratori, volontari) ed esterni (utenti finali, committenti, finanziatori o donatori)

Sitografia e bibliografia

European Commission Social business:

http://ec.europa.eu/internal_market/social_business/index_en.htm

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EMES Position Paper on The Social Business Initiative Communication

http://euricse.eu/it/node/1892

Rapporto Iris Network “Impresa sociale in Italia” (2012). AltraEconomia Edizioni

Borzaga, C. e Galera, G. (2010) “Social enterprise. An international overview of its conceptual evolution and legal implementation”, Social Enterprise Journal Vol. 5, Issue 3, pp.210 - 228.

Rivista Impresa Sociale:

http://www.rivistaimpresasociale.it/

EC DG Enterprise:

http://ec.europa.eu/enterprise/policies/innovation/policy/social-innovation/index_en.htm

Euclid Network: www.euclidnetwork.eu

Ashoka: https://www.ashoka.org/social_entrepreneur

Schwab foundation for Social Entrepreneurship:

http://www.schwabfound.org/content/what-social-entrepreneur

Riferimenti normativi

“Social Business Initiative” SEC(2011) 1278 final

D.Lgs. 155/2006 “Disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118”

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start up innovative

Concetti e definizioni

L’impresa start-up innovativa (anche a vocazione sociale) è definita dall’art. 25 della legge 221/2012:

c.2 “ … l'impresa start-up innovativa, di seguito «start-up innovativa», è la società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione,…”

c.4. “Ai fini del presente decreto, sono startup a vocazione sociale le startup innovative di cui al comma 2 e 3 che operano in via esclusiva nei settori indicati all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155”.

I settori definiti dal D.Lgs. 155/2006 (art. 2, co. 1) sull’Impresa Sociale sono i seguenti:

a) assistenza sociale;

b) assistenza sanitaria;

c) assistenza socio-sanitaria;

d) educazione, istruzione e formazione;

e) tutela dell'ambiente e dell'ecosistema;

f) valorizzazione del patrimonio culturale;

g) turismo sociale;

h) formazione universitaria e post-universitaria;

i) ricerca ed erogazione di servizi culturali;

l) formazione extra-scolastica, finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo;

m) servizi strumentali alle imprese sociali, resi da enti composti in misura superiore al settanta per cento da organizzazioni che esercitano un'impresa sociale.

La legge prevede una serie di requisiti particolari perché una società con questa forma giuridica possa qualificarsi come start-up innovativa. L’elenco dei requisiti è contenuto nello stesso art. 25 che prevede:

a) i soci, persone fisiche, detengono al momento della costituzione e per i successivi 24 mesi, la maggioranza delle quote o azioni rappresentative del capitale sociale e dei diritti di voto nell’assemblea ordinaria dei soci;

b) è costituita e svolge attività d'impresa da non più di quarantotto mesi;

c) ha la sede principale dei propri affari e interessi in Italia;

d) a partire dal secondo anno di attività della start-up innovativa, il totale del valore della produzione annua, così come risultante dall'ultimo bilancio approvato entro sei mesi dalla chiusura dell'esercizio, non è superiore a 5 milioni di euro;

e) non distribuisce, e non ha distribuito, utili per 24 mesi (questo vale anche per la start-up a vocazione sociale);

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Sitografia e bibliografia

f) ha, quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico (condizione da verificare con presenza di brevetto o personale con phd (1/3 del personale) o spese di R&D almeno del 20% sui costi);

g) non è stata costituita da una fusione, scissione societaria o a seguito di cessione di azienda o di ramo di azienda.

Tra le numerose agevolazioni, deroghe ed esenzioni previste per queste nuove imprese preme sottolinearne due.

1. Facilitazioni fiscali per gli investitori

Al fine di poter attirare capitali in tali società, sono previste delle agevolazioni fiscali (art.29) che consistono per il privato che compra quote o azioni di una start up innovativa a vocazione sociale (investimento massimo di 500 mila Euro per periodo di imposta) in una detrazione Irpef del 25% per tre anni sulla somma investita.

Se ad investire invece è una società (per un investimento massimo di 1,8mln di Euro), questa potrà portare in deduzione dal reddito imponibile il 27% dell’investimento, sempre che questo venga mantenuto per almeno due anni.

2. Facilitazioni fiscali e deroghe connesse a stock option e work for equity

In deroga al codice civile, le quote delle start up innovative in forma di Srl possono essere oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari. Sono previste una serie di possibilità remunerative con strumenti finanziari (art. 27), anche agevolate fiscalmente. Viene introdotto, con l'articolo 27, un regime fiscale e contributivo di favore per i piani di incentivazione basati sull’assegnazione di azioni, quote o titoli similari ad amministratori, dipendenti, collaboratori e fornitori delle imprese start up innovative e degli incubatori certificati (possibilità di remunerare i collaboratori con stock option, e i fornitori di servizi esterni, come ad esempio gli avvocati e i commercialisti, attraverso il work for equity).

Il reddito derivante dall’attribuzione di questi strumenti finanziari o diritti non concorrerà alla formazione della base imponibile, sia a fini fiscali che contributivi.

Le imprese registrate come Start-up in tutta Italia sono ad oggi circa 600. La Consob sta lavorando ad un regolamento delle piattaforme di Equity crowdfunding che ha lo scopo di dare attuazione alla legge ex-Decreto Sviluppo, avviando una prima fase, in Italia, di “sperimentazione” della raccolta di capitali tramite portali online. Questa raccolta sarà rivolta esclusivamente alle Start-up innovative registrate.

Registro imprese Start-up: http://startup.registroimprese.it/

Camera di Commercio di Milano: http://www.mi.camcom.it/web/guest/start-up-innovative

Consob – Regolamento in materia di “raccolta di capitali di rischio da parte di start-up innovative tramite portali on-line”

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http://www.consob.it/main/aree/novita/consultazione_

crowdfunding_20130329.htm

Che futuro – Lunario dell’innovazione

http://www.chefuturo.it/

Riferimenti normativi

Decreto Sviluppo Bis DL 179/2012 convertito in Legge 221/2012

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impact investing

Concetti e definizioni

Gli spunti più interessanti nella definizione di nuove soluzioni per apportare maggiori risorse private a supporto di iniziative a finalità sociale sono legati all’emergere della pratica di investimento denominata Impact Investing.

Secondo la definizione del Global Impact Investing Network (GIIN), si tratta di “investimenti volti a creare un impatto positivo oltre al rendimento finanziario”.

L’interesse verso questo nuovo modo di intendere l’investimento finanziario è cresciuto allorquando si è consolidata la consapevolezza sulla possibilità di finanziare modelli di social business che, oltre a creare valore sociale e ambientale, fossero scalabili e sostenibili dal punto di vista economico-finanziario. Nello specifico, soprattutto nei paesi in via di sviluppo, imprenditori sociali hanno dimostrato come, a fronte di margini unitari contenuti - in virtù dei prezzi volutamente bassi per ragioni di equità nell’accesso - è possibile servire i mercati BoP (Base of the Pyramid), realizzando un interessante livello di profitti grazie ai volumi di vendita molto elevati. Proprio in questa tendenza verso il soddisfacimento di bisogni primari di fasce della popolazione più fragili, gli osservatori del settore vedono una delle sue linee di evoluzione.

A oggi non esistono ancora dati certi sulle dimensioni del fenomeno: le principali analisi condotte in merito stimano il potenziale di crescita del mercato nei prossimi 5 anni tra i 500 e i 1000 miliardi di dollari. Il settore è ancora lontano dall’aver costruito meccanismi di intermediazione e architetture standard efficienti e mostra ancora altissimi tassi di sperimentazione. Ne consegue che quasi ogni operazione risulta sostanzialmente unica o presenta numerose specificità, la gestione delle quali fa notevolmente lievitare i costi di progettazione e, di conseguenza, di transazione.

In tale mercato operano soggetti abbastanza diversi, sia sul lato dell’offerta sia della domanda di capitali, accomunati tuttavia dalla visione dell’attività di investimento come strumentale al conseguimento di un impatto sociale.

Si possono infatti individuare investitori financial first, i quali, pur desiderosi di conseguire un impatto sociale, subordinano questo fine al conseguimento di rendimenti finanziari che siano almeno competitivi rispetto a quelli garantiti sui mercati tradizionali. Tra questa tipologia di investitori, protagonisti principali sono alcuni grandi gruppi bancari commerciali, istituzioni finanziare internazionali per lo sviluppo (ad esempio l’IFC) e alcuni investitori istituzionali, in particolare fondi sovrani, fondi pensione e i fondi di investimento di social venture capital.

Gli investitori impact first, attribuiscono invece priorità all’impatto sociale conseguito, essendo a tal fine disposti anche a sacrificare parte dei rendimenti finanziari conseguibili mediante impieghi alternativi. In questo gruppo di investitori hanno un ruolo predominante fondazioni di erogazione, family trust/office, HNWI e venture philantropist.

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(Contesto Italiano)

Rapportato allo specifico contesto italiano, questo approccio, applicato al settore del sociale, presenta notevoli ostacoli formali e culturali. Da un punto di vista meramente formale, il fatto che l’investimento si traduca nell’ingresso del capitale sociale e richieda una remunerazione, si scontra con il vincolo di non distribuzione degli utili, che sancisce l’impossibilità per le Imprese sociali e le organizzazioni del Terzo settore di distribuire una qualunque forma di rendimento ai propri soci/associati.

Anche quando una certa remunerazione è ammessa ex lege, come nella fattispecie della forma cooperativa e dell’impresa sociale, altri meccanismi peculiari della fattispecie giuridica, come il voto capitario, la clausola di mero gradimento e in generale tutte le procedure che rendono difficile sia l’entrata che l’uscita dalla compagine sociale, rendono l’investimento non praticabile.

Questo ostacolo formale diventa sostanziale se si considera che per storia, tradizioni e cultura, il Terzo settore italiano è certamente il primo protagonista non pubblico nel dare risposta ai bisogni sociali emergenti. Diversamente da altri contesti, caratterizzati dalla presenza di imprenditori sociali for profit o low profit, in Italia le organizzazioni che presidiano queste aree di fallimento del mercato sono essenzialmente tutte realtà giuridicamente nonprofit. Questo significa che escludendo questo settore dal lato della domanda di capitali, l’Impact Investing fallirebbe nell’allocare capitali proprio alle organizzazioni più bisognose e più orientate alla generazione di un impatto sociale.

Sitografia e bibliografia

Global Impact Investing Network (GIIN): http://www.thegiin.org

Monitor Institute, 2009, “Investing for Social and Environmental Impact”

JP Morgan Global Research, the Rockefeller Foundation and the Global Impact Investing Network, 2010, “Impact Investments: An Emerging Asset Class”.

JP Morgan, GIIN, 2013 “Perspectives on Progress. The Impact Investor Survey”.

NESTA: http://www.nesta.org.uk/

http://www.nesta.org.uk/home1/assets/features/impact_investment

_what_is_it_why_nesta

Nesta Impact Investment Fund

http://www.nesta.org.uk/home1/assets/features/nesta_impact_investments

The Rockefeller Foundation: http://www.rockefellerfoundation.org/

Mulgan, G. (2011) New ways of financing social value

Social Innovation Europe (SIE) “Financing Social Impact. Funding social innovation in Europe – mapping the way forward”, 2012.

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Oltre Venture: http://www.oltreventure.com/

ImpactBase, progetto di GIIN, è un database online di fondi impact investment. http://www.impactbase.org/

ImpactAssets 50 offre una lista annuale di fondi operativi nell’impact investment

http://www.impactassets.org/impactassets-50

Riferimenti normativi

Social Investment package – SIP “Towards Social Investment for Growth and Cohesion

http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=1044&langId=en

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social impact bond

Concetti e definizioni

Il SIB - Social Impact Bond - è una partnership tra diversi attori, sancita da contratti bilaterali e finalizzata a raccogliere capitali privati per promuovere politiche pubbliche innovative. Gli elementi essenziali del modello sono:

• un programma di interventi in campo sociale in grado di generare un impatto sociale (outcome) e un risparmio di spesa pubblica;

• un prestito/finanziamento con restituzione del capitale e remunerazione solo in caso di successo del programma.

Il SIB, al pari di altre forme contrattuali del tipo “pagamento a fronte di risultati” (in inglese, Pay for Results (da cui l’acronimo PfR) o Pay for Success (PfS) negli Stati Uniti), è un meccanismo di finanziamento in cui il rendimento per l’investitore è determinato dagli impatti positivi generati da una certa attività sociale.

I due casi di SIB che sono stati implementati (Peterborough in UK e NY in USA) non prevedono l’emissione di titoli obbligazionari (bond) da parte di società intermediarie, ma contemplano prestiti o conferimenti di capitale regolati da contratti tra le parti. In particolare, in un caso si tratta di un prestito (loan) a scadenza 4 anni concesso a un intermediario con restituzione del valore nominale solo in caso di successo del programma e di una remunerazione variabile; nell’altro caso, è stato creato un veicolo societario, una Limited Partnership, per natura giuridica assimilabile a una società in accomandita semplice, partecipata da tutti gli investitori coinvolti.

La struttura standard di un SIB è composta da cinque portatori di interesse legati tra loro da contratti bilaterali di durata pluriennale:

• una Pubblica Amministrazione (comunale, regionale, nazionale);

• dei fornitori del servizio (tipicamente, organizzazioni nonprofit);

• degli investitori sociali;

• un intermediario specializzato;

• un valutatore indipendente (Independent assessor) che misura il risultato finale (performance) e certifica il raggiungimento dell’obiettivo.

Alla base di un’operazione di questo tipo vi è la necessità di affrontare un problema sociale con azioni preventive, difficili da realizzare per una PA a causa della scarsità di risorse e dell’avversione al rischio.

Per soddisfare la domanda più o meno latente di questi servizi preventivi e innovativi, si possono mobilitare alcuni operatori specializzati del Terzo settore. Si tratta di imprese sociali e organizzazioni nonprofit in grado di dimostrare una comprovata esperienza nel settore; più precisamente, devono essere nelle condizioni di provare con dati e rilevazioni statistiche affidabili l’efficacia dell’intervento proposto su un determinato gruppo di beneficiari.

La PA interessata a migliorare il proprio servizio e a ridurne i costi, può verificare le potenzialità di questi interventi preventivi come modalità alternative di welfare e stimare il risparmio che ne conseguirebbe se implementati a una certa scala. L’idea è che servizi preventivi possano essere più efficaci e più efficienti rispetto a programmi di cura tradizionali,

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fondati solitamente su interventi realizzati solo ex-post in risposta a un’emergenza o disagio sociale, e che il conseguente risparmio di risorse possa essere la leva per allineare gli interessi di investitori, amministrazione, intermediario e fornitore del servizio.

L’intermediario svolge il ruolo di promotore del SIB presso la PA e gli altri attori, cercando di facilitare un processo delicato di creazione di relazioni e fiducia. Se esistono le condizioni economiche e di fattibilità, l’amministrazione sigla un contratto con l’intermediario per lo sviluppo del SIB, la ricerca degli investitori, la selezione dei fornitori, la gestione e il monitoraggio continuo dell’attività.

Il contratto tra PA e intermediario prevede un pagamento condizionato al raggiungimento di obiettivi ben precisi, stabiliti in fase di definizione del progetto. Se il programma finanziato non raggiunge l’obiettivo - espresso in termini di beneficio sociale, monetizzabile grazie alla minore domanda di servizi sociali ex-post che ne consegue - l’amministrazione non è tenuta a sostenere alcun costo. In caso contrario, cede all’intermediario una percentuale dei costi evitati grazie alla riduzione della spesa pubblica determinata dal programma.

Data l’importanza della valutazione dell’efficacia del servizio preventivo per il funzionamento del meccanismo nel suo complesso, tale attività di verifica viene affidata a una parte terza. Questa, coordinandosi con l’intermediario, ma facendo affidamento sulla propria professionalità e indipendenza, definisce il sistema di monitoraggio e di misurazione della performance finale. La PA trattiene una parte dei risparmi e, oltre al pagamento pattuito nel contratto, versa un premio (success fee) all’intermediario e al fornitore del servizio, entrambi proporzionali al risultato (e quindi al risparmio) conseguito.

L’intermediario ha l’obiettivo di raccogliere presso gli investitori i finanziamenti necessari ad avviare il programma di attività previste dal SIB. Non trattandosi di una vera e propria emissione di un titolo obbligazionario da parte della società stessa, l’intermediario può ricorrere alla negoziazione diretta del prestito o creare un veicolo societario costituito ad hoc e sottoscritto da investitori sociali e investitori d’impatto (impact investor) .

Se il programma ha successo, ovvero viene certificato il raggiungimento dell’obiettivo minimo sancito contrattualmente, il capitale prestato viene restituito e, in base ai risultati, il valore del rendimento sul capitale può variare fino al tetto massimo prefissato. Il rischio di perdere il capitale versato è dunque determinato dalla performance del servizio, il rendimento dell’investimento è legato al valore creato per i beneficiari del programma e alla società nel suo complesso.

Il capitale raccolto presso gli investitori viene impiegato dai fornitori di servizi sociali per implementare il programma e, in parte, viene utilizzato per le spese di gestione e di valutazione a carico dell’intermediario. Il fornitore di servizi che implementa il servizio non è tenuto a sostenere alcun costo aggiuntivo nel caso in cui l’intervento preventivo non raggiunga i risultati attesi. In pratica, assume un’obbligazione di mezzi e non di risultato.

Dato che il finanziamento è concesso in anticipo, l’organizzazione che presta il servizio non deve anticipare capitale proprio. Vedremo meglio come questo sia uno dei punti di forza del meccanismo SIB, in quanto consente di scegliere gli operatori non in base alla capacità di raccogliere fondi, ma in funzione dell’efficacia operativa. Inoltre, per contenere il rischio di finanziare programmi inefficaci, o peggio organizzazioni orientate da scopi opportunistici, il finanziamento viene erogato in diverse rate, man mano che si rende necessario prestare fondi per coprire i costi di

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implementazione. Un ulteriore meccanismo disciplinante per le non profit che erogano il servizio è il monitoraggio continuo da parte dell’intermediario che ha il potere contrattuale per richiedere aggiustamenti nel programma se le misurazioni, effettuate in itinere con il supporto del valutatore, mostrassero il fallimento nel conseguire gli obiettivi intermedi e, al limite, di sollevare il fornitore del servizio dall’incarico.

(Social Bond in Italia)

Ad aprile 2012, nell’ambito del programma UBI Comunità, è stato avviato il collocamento del nuovo strumento finanziario “Social bond UBI Comunità” (SB), ovvero titoli obbligazionari che, oltre a garantire un ritorno sugli investimenti effettuati, offrono ai sottoscrittori la possibilità di sostenere iniziative di grande valore sociale. Il Gruppo UBI, infatti, devolve parte dell’importo complessivamente raccolto per finanziare progetti socialmente meritori sia a carattere locale sia di respiro nazionale.

Nel giro di un anno la Capogruppo UBI Banca e le Banche Rete del Gruppo hanno emesso 25 social bond per un valore totale di 270 milioni di euro, che hanno permesso la devoluzione di contributi a titolo di liberalità per € 1.375.000. I SB hanno dunque assicurato il sostegno economico necessario per avviare o consolidare progetti in ambito sanitario, educativo, culturale e sociale (guarda l’elenco completo dei beneficiari) che possono concorrere allo sviluppo economico e sociale del Paese.

Esistono due tipologie di social bond. La prima prevede la devoluzione ad associazioni, fondazioni o enti di una parte dell’importo collocato attraverso i prestiti obbligazionari, normalmente equivalente allo 0.5%. Il secondo modello, invece, prevede che tutto l’importo raccolto attraverso il prestito obbligazionario, e non solo quindi una percentuale dello stesso, sia utilizzato per finanziare iniziative di imprenditoria sociale, eventualmente anche collegate a determinate realtà “aggreganti” o operanti in specifici settori o aree geografiche.

A questo proposito si veda il SB emesso in favore del Consorzio cooperativo CGM, che ha reso possibile la costituzione di un plafond con dotazione di oltre 17 milioni di euro destinato all'erogazione di finanziamenti a medio-lungo termine a condizioni competitive per consorzi, imprese e cooperative sociali del sistema CGM.

L’introduzione nel nostro Paese di questo secondo tipo di social bond è più significativa, poiché concorre ad avvicinare l'Italia ai Paesi europei più evoluti sotto il profilo della finanza per il non profit. Per alcuni aspetti questo modello di obbligazione può essere accostato al Social Impact Bond di esperienza anglosassone, senza però trascurare la fondamentale differenza data dal ruolo primario esercitato dal settore pubblico nel caso dei Social Impact Bond.

Sitografia e bibliografia

Quaderno Osservatorio della Fondazione Cariplo – a cura di Avanzi

“Social Impact Bond. La finanza al servizio dell’innovazione sociale?”, 2013

Second Welfare:

http://www.secondowelfare.it/privati/finanza-sociale/risultati-e-prospettive-dei-social-bond-di-ubi-banca.html

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Avanzi. Sostenibilità Per Azioni 17

Social Finance (2009) Social Impact Bonds: Rethinking finance for social outcomes. London: Social Finance.

http://www.socialfinance.org.uk/sites/default/files/SIB_report_web.pdf

Cabinet Office (Gov. UK), Growing the Social Investment Market: Progress update, July 2012

http://www.cabinetoffice.gov.uk/sites/default/files/resources/Growing_ the_social_investment_market_progress_update_2.pdf

Loder, J., Mulgan, G., Reeder, N. and Shelupanov, A. (2010) Financing Social Value: Implementing Social Impact Bonds. London: The Young Foundation.

http://www.youngfoundation.org/files/images/01_10_Social_

Impact_Bonds_FINAL.pdf

McKinsey: http://mckinseyonsociety.com/social-impact-bonds-qa/

Social Finance (2010c) Towards a new social economy. Blended value creation through social impact bonds. London: Social Finance.

http://www.socialfinance.org.uk/sites/default/files/ Towards_A_New_Social_Economy_web.pdf

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shared value

Concetti e definizioni

L’approccio Shared Value, elaborato da Michael Porter professore alla Harvard Business School dove dirige l'Institute for Strategy and Competitiveness, in collaborazione con Mark Kramer, senior fellow

della CSR Initiative presso la Harvard’s John F. Kennedy School of Government di Cambridge, nel Massachusetts, esplora il legame tra sistema economico e società. Il concetto, pubblicato per la prima volta dall’Harvard Business review nel gennaio 2011, si fonda sul presupposto che, alla luce delle crisi economico finanziarie dell’ultimo periodo storico, il capitalismo sia sotto assedio e che pertanto sia necessario identificare un nuovo modello in grado di reinventarlo.

Il punto di partenza è che nessun’azienda è un'entità a sé stante. Il successo di tutte le imprese è influenzato dai servizi di supporto e dalle infrastrutture che le circondano; la produttività e l’innovazione vengono fortemente influenzate dall’infrastruttura logistica di un determinato territorio. Lo sviluppo di un’impresa dipende dunque dalla (qualità e quantità della) domanda domestica.

Gli attori che operano sul territorio possono creare condizioni di contesto favorevoli allo sviluppo del business. Di contro, un contesto sociale e territoriale in salute dipende dalla presenza di imprese che sono in grado di dare lavoro, offrire salari e stipendi adeguati, acquistare beni e servizi di qualità, pagare le tasse, proteggere l’ambiente, utilizzare le risorse in modo efficiente, etc.

Le aziende, afferma Porter, devono attivarsi per riconciliare business e società e la strada da percorrere è quella di “creare Valore Condiviso”, ovvero creare valore economico in modalità tali da generare contemporaneamente valore per l’azienda ma anche per la società, rispondendo a un tempo alle necessità dell’azienda e alle esigenze di tipo sociale: un nuovo punto di vista che concerne la valorizzazione del know how dell’impresa e la riconfigurazione delle relazioni lungo la catena del valore.

Le aziende possono creare valore condiviso in tre modi distinti, scrive Mark Kramer:

• concependo in modo nuovo prodotti e mercati • ridefinendo la produttività nella catena del valore • creando distretti industriali di supporto alla competitività della

società.

Il concetto di valore condiviso integra, in un certo senso, l’idea di responsabilità sociale applicata sino ad oggi: serve un approccio innovativo alla sostenibilità che veda la crescita sociale come un obiettivo centrale e non ancillare.

“I programmi di CSR si focalizzano principalmente sulla reputazione e hanno solo un collegamento limitato con il business, il che rende difficile giustificarli e mantenerli nel lungo termine. Per contro, la Creazione di Valore Condiviso (CSV) è funzionale alla profittabilità e alla posizione competitiva dell'azienda. Sfrutta le risorse specifiche e l'expertise specifico dell'azienda per creare valore economico attraverso la creazione di valore

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sociale.

Sitografia e bibliografia

FSG

http://www.fsg.org/OurApproach/SharedValue.aspx