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1. LA GEOMETRIA “Archaeoastronomy – The Journal of Astronomy in Culture” è la più importante rivista al mondo nel set- tore degli studi sulla “proto-astro- nomia”, chiamando così la lunga, e a volte lunghissima, vicenda cultu- rale che ha preceduto, nelle diver- se parti del mondo, le più antiche testimonianze scritte. Sull’ultimo numero della rivista, Marcello Ranieri, un astrofisico del C.N.R. che da diversi anni si dedi- ca a ricerche di “proto-geometria”, ha pubblicato un bellissimo studio sulla più nota e imponente struttu- ra preistorica delle Isole Britanni- che, dal titolo Geometry at Stone- henge 1 . Con due risultati. Il primo, se si vuole, di puro prestigio: un ita- liano spiega al pubblico inglese de- gli aspetti geometrici di un monu- mento inglese che sono sfuggiti a tutti, esperti inglesi compresi. Il se- condo, indubbiamente, di dura so- stanza: nell’Inghilterra preistorica – ma non solo lì 2 - qualcuno associa aspetti geometrici e allineamenti astrali (fig. 1) e, in certo modo, an- ticipa di 1.500-2.000 anni le “sco- L’origine degli Etruschi e le recenti acquisizioni della scienza di Leonardo Magini Le nostre teorie possono essere cambiate, o persino distrutte, nel giro di dieci anni o meno. Noi stessi perseguiamo questo fine, continuando le nostre ricerche. Luigi Luca Cavalli-Sforza Fig. 1 – La struttura di Stonehenge associa aspetti geometrici e allineamenti astrali: una coppia di triangoli “pitagorici”, con altezza in comune, base sull’allineamento Station hole 92-Station hole 93 e vertice su Heelstone, individuano il punto a; l’allineamento punto a-Station hole 94 indivi- dua il Nord con l’approssimazione di 0°23’ (da Ranieri 2003). ABSTRACT Recent research has cast light on the fact that the Etruscans possessed a significant level of scientific knowledge. They had a good understanding of geometry, Phythagorean triples and harmonic relations; they provided Ancient Rome with a cal- endar based on knowledge of astronomy, rites and myths of an undoubtedly Mesopotamian origin; and in their onoma- tology of myth, they retained a remarkable concordance with Indo-Iranian lexical heritage. The new framework for understanding Etruscan culture that has emerged from these discoveries clashes with the au- tochthonist approach of Italian Etruscology as much as it accords with the immigration-based approach favoured by Etr- uscologists outside Italy. Genetic research and DNA is likely to settle the debate once and for all. Genetic research has already identified the “origi- nal” hearthland of the present-day descendants of ancient Etruscans in Northern Lazio and Southern Tuscany. All that re- mains is to locate their closest living relatives in areas of the Middle East that were inhabited in ancient times by speakers of Indo-Iranian dialects.

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1. LA GEOMETRIA

“Archaeoastronomy – The Journalof Astronomy in Culture” è la piùimportante rivista al mondo nel set-tore degli studi sulla “proto-astro-nomia”, chiamando così la lunga, ea volte lunghissima, vicenda cultu-rale che ha preceduto, nelle diver-se parti del mondo, le più antichetestimonianze scritte.Sull’ultimo numero della rivista,Marcello Ranieri, un astrofisico delC.N.R. che da diversi anni si dedi-ca a ricerche di “proto-geometria”,ha pubblicato un bellissimo studiosulla più nota e imponente struttu-ra preistorica delle Isole Britanni-che, dal titolo Geometry at Stone-henge 1. Con due risultati. Il primo,se si vuole, di puro prestigio: un ita-liano spiega al pubblico inglese de-gli aspetti geometrici di un monu-mento inglese che sono sfuggiti atutti, esperti inglesi compresi. Il se-condo, indubbiamente, di dura so-stanza: nell’Inghilterra preistorica –ma non solo lì 2 - qualcuno associaaspetti geometrici e allineamentiastrali (fig. 1) e, in certo modo, an-ticipa di 1.500-2.000 anni le “sco-

L’origine degli Etruschi e le recenti acquisizioni della scienza

diLeonardo Magini

Le nostre teorie possono essere cambiate,o persino distrutte, nel giro di dieci anni o meno.

Noi stessi perseguiamo questo fine,continuando le nostre ricerche.

Luigi Luca Cavalli-Sforza

Fig. 1 – La struttura di Stonehenge associa aspetti geometrici e allineamenti astrali: una coppia ditriangoli “pitagorici”, con altezza in comune, base sull’allineamento Station hole 92-Station hole93 e vertice su Heelstone, individuano il punto a; l’allineamento punto a-Station hole 94 indivi-dua il Nord con l’approssimazione di 0°23’ (da Ranieri 2003).

ABSTRACT

Recent research has cast light on the fact that the Etruscans possessed a significant level of scientific knowledge. They hada good understanding of geometry, Phythagorean triples and harmonic relations; they provided Ancient Rome with a cal-endar based on knowledge of astronomy, rites and myths of an undoubtedly Mesopotamian origin; and in their onoma-tology of myth, they retained a remarkable concordance with Indo-Iranian lexical heritage.The new framework for understanding Etruscan culture that has emerged from these discoveries clashes with the au-tochthonist approach of Italian Etruscology as much as it accords with the immigration-based approach favoured by Etr-uscologists outside Italy.Genetic research and DNA is likely to settle the debate once and for all. Genetic research has already identified the “origi-nal” hearthland of the present-day descendants of ancient Etruscans in Northern Lazio and Southern Tuscany. All that re-mains is to locate their closest living relatives in areas of the Middle East that were inhabited in ancient times by speakersof Indo-Iranian dialects.

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perte” geometriche e astronomicheche la tradizione occidentale attri-buisce a Pitagora. Questa facile (?!)scoperta mostra, ancora una volta,come le vicende della storia del pen-siero scientifico siano meno sem-plici di come le si dipinge: troppofacile limitarsi a ritenere che le co-siddette “terne pitagoriche” 3 sianostate individuate in Mesopotamia ein Egitto attorno al 1.800 a.C., peressere studiate sul posto e impor-tate in Occidente, mille e trecentoanni più tardi, da uno dei primi pen-satori greci a noi noti.Tutto ciò entra solo marginalmen-te nell’oggetto del nostro articolo;ma serve a segnalare quanto è im-portante ristudiare il passato con oc-chi nuovi e quanto inaspettate pos-sono essere le conseguenze di unatale operazione di “ristudio”.Più direttamente legato al nostro og-getto è un nuovo studio dello stes-so Ranieri, La geometria della pian-ta del Tempio urbano di Marzabot-to 4. Senza entrare nel dettaglio, esenza anticipare i risultati dello stu-dio che andrà letto nella sede na-turale, ecco che il tempio dell’Etru-ria interna di VI secolo, dedicato auna divinità di cui s’ignora ancorail nome – ma che quasi certamenteè Giove - mostra anch’esso un li-vello di conoscenze geometriche earmoniche perfino superiori a quel-le legate al nome del contempora-neo Pitagora (fig. 2). Come scrivelo stesso Ranieri: «È degno di notail fatto che tutte le proporzioni prin-cipali corrispondano a quelle di ter-ne precise e che le partizioni corri-spondano a criteri armonici rigoro-si. Gli architetti etruschi di Marza-botto dimostrano quindi una raffi-nata conoscenza delle combina-zioni numeriche in grado di pro-durre squadri perfetti e combina-zioni di figure geometriche rettan-golari».E ora, avendo nominato tanto Pita-gora quanto l’Etruria, sarà bene an-dare a rileggere le parole di un mo-derno storico della matematica: «Unoscolio del libro XIII degli Elementidi Euclide riferisce che i pitagoriciconoscevano soltanto tre dei polie-dri regolari: il tetraedro, il cubo, e ildodecaedro. Che avessero familia-rità con l’ultima figura appare plau-

sibile dopo la scoperta presso Pa-dova di un dodecaedro etrusco ri-salente a prima del 500 a.C.5».Il lettore, anche esperto, non sob-balzi per la meraviglia, perché nonha mai sentito parlare di un “dode-caedro etrusco” (fig. 3). Non è il so-lo; tanto per dire, anche l’autore delpresente articolo, che si occupa dietruschi da trenta anni, non ne hamai trovato traccia in nessuno deitanti libri sugli etruschi e/o sui loro

“misteri”, reali o presunti, naturalio artificiali, veri o inventati. Soloquando l’anno scorso ha iniziato astudiare un po’ di proto-storia del-la matematica vi si è imbattuto 6.

2. LA SOMMA DI QUADRATI E LETERNE PITAGORICHE 7

La tradizione attribuisce al sesto redi Roma, Servio Tullio (578-535a.C.), una riforma della costituzio-

Fig. 2 – Il tempio di Giove (?) a Marzabotto (VI secolo a.C.). Tutte le principali proporzioni corri-spondono a quelle di precise terne pitagoriche e tutte le partizioni sono conformi a criteri armo-nici rigorosi (da Ranieri 2005).

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L’ORIGINE DEGLI ETRUSCHI E LE RECENTI ACQUISIZIONI DELLA SCIENZA 11

ne talmente ben studiata da restarein vigore per più di 500 anni, finoall’età imperiale. Questa tradizioneè riferita, più o meno negli stessitermini, da due importanti storicidell’antichità: Tito Livio e Dionisiodi Alicarnasso 8.Nella versione di Dionisio, l’interapopolazione romana è divisa dal reetrusco in sei classi, sulla base del-le proprietà del pater familias. Co-sì, nella Roma di Servio chi possie-de più di 100 mine fa parte della pri-ma classe, chi possiede meno di 100mine ma più di 75 fa parte della se-conda, e via seguitando: chi pos-siede più di 50 mine fa parte dellaterza classe, chi ne ha più di 25 del-la quarta, chi ne ha più di 12,5 del-la quinta, mentre quanti possiedo-no meno di 12,5 mine compongo-no la sesta e ultima classe, quelladei proletari.A sua volta, ogni classe è divisa in“centurie”, e ogni centuria, anchese costituita da un numero di citta-dini diverso per le diverse classi, for-nisce all’esercito un contingente di100 uomini. La prima classe conta80 centurie di fanti, alle quali si ag-giungono 18 centurie di cavalieri;la seconda, la terza e la quarta clas-se contano ciascuna 20 centurie, al-le quali si aggiungono 2 centurie difabbri e carpentieri unite alla se-conda classe e 2 di trombettieri esuonatori unite alla quarta; la quin-ta classe conta 30 centurie; la sestaclasse, composta dai restanti citta-dini, conta una sola centuria. (cfr.Tabella 1). In totale – riepiloga Dio-nisio – vi sono 6 divisioni che i ro-mani chiamano ‘classi’... e le cen-turie incluse in queste classi am-montano a 193 9.La costituzione ideata da Servio –spiega ancora il nostro referente -ha una duplice finalità: da un lato,essa fissa la composizione dell’e-sercito schierato in armi; dall’altro,regola la partecipazione dei citta-dini alle votazioni. Dato che: a) ognicenturia vale un voto, indipenden-temente dal numero dei compo-nenti; b) al voto sono chiamate, divolta in volta, le classi a partire dal-la prima e dai cavalieri; e c) la pri-ma classe e i cavalieri già contano80 + 18 = 98 centurie - e quindi di-

spongono di 98 voti su 193 - eccoche, se questi votano concorde-mente, la maggioranza è bella e rag-giunta. Nel caso contrario, se la pri-ma classe e i cavalieri non votanodi comune accordo e i loro 98 votisi dividono tra favorevoli e contra-ri, allora è chiamata a votare la se-conda classe, e poi la terza e la quar-ta e la quinta, e infine l’ultima; maquesto caso estremo si può verifi-care soltanto se e quando le 192 cen-turie delle prime cinque classi si sia-no divise esattamente a metà, 96 afavore di un provvedimento e 96contro. Così, solo in questo parti-colarissimo caso il voto dell’unicacenturia della sesta e ultima classepuò diventare decisivo; ma, com’èfacile intuire e come precisa lo stes-

so Dionisio, “ciò accadeva di radoe era quasi impossibile.”La bibliografia sulla costituzione ser-viana è sterminata; il dibattito, ini-ziato già nell’Ottocento, prosegue;gli studi si sommano agli studi 10; ep-pure… Eppure – per quanto mi ri-sulta - non uno dei tanti studiosi si èmai chiesto il senso del numero 193.Non saprei dire, ora, se questa era laprima cosa da chiedersi; certo sa-rebbe stato meglio che non fosse l’ul-tima.Perché il fatto è che 193 è un nu-mero “pitagorico”, che ha la pro-prietà di essere la somma di due qua-drati: 193 è la somma del quadratodi 12 più il quadrato di 7. Nella sim-bologia matematica: 193 = 122 + 72.La proprietà del numero 193 ri-manda di nuovo direttamente al teo-rema di geometria che, nella nostracultura, continua a prendere il no-me da Pitagora: “In un triangolo ret-tangolo, l’area del quadrato co-struito sull’ipotenusa è pari allasomma delle aree dei quadrati co-struiti sui cateti”. Da qui nasce - benprima di Pitagora! - la ricerca di quel-le “terne pitagoriche” cui si è già fat-to cenno, la più piccola delle qualiè formata da 3, 4 e 5 11.Attenzione, però, perché la radicequadrata di 193 è un numero non in-tero, compreso tra 13 e 14; più pre-cisamente, è un numero che non sipuò esprimere con un rapporto tranumeri interi, ossia con un numero

classicapitale = c.

centurie(in mine)

I + cavalieri c. > 100 80 + 18

II 100 > c. > 75 20 + 2

III 75 > c. > 50 20

IV 50 > c. > 25 20 + 2

V 25 > c. > 12,5 30

VI 12,5 > c. 1

totale delle centurie 193

Fig. 3 – Il dodecaedro etrusco del 500 a.C tro-vato a Padova e oggi al British Museum.

Tab. 1 – La costituzione serviana secondo Dionisio.

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razionale. Dunque, è un numero ir-razionale: √193 = 13,8924439... Neconsegue che il triangolo con catetomaggiore pari a 12, cateto minore pa-ri a 7 e ipotenusa pari a 13,8924439...è un triangolo rettangolo, ma la ter-na costituita da 12, 7 e 13,8924439...non è una terna pitagorica, perchénon è composta da tre numeri interi.Fortunatamente, se si dispone di unvalore – come 193 – che sia la som-ma dei quadrati di due numeri in-teri, c’è un metodo per generare ter-ne pitagoriche con relativi triango-li rettangoli 12. Applicandolo, si ot-tiene la “terna pitagorica” 168, 95 e193, che forma il triangolo rettan-golo con cateto A pari a 168, cate-to B pari a 95 e ipotenusa C pari a193; un triangolo che sembra manon è simile a quello dato dalla ter-na non pitagorica 12, 7 e √193 (fig.4). In questo triangolo, l’ipotenusasarà misurata dal numero – 193 - ditutte le centurie previste dalla rifor-ma serviana e il cateto minore dalnumero – 95 - della minoranza, per-dente, delle centurie delle cinqueultime classi.Naturalmente, anche la scelta dei nu-meri - 12 e 7 - che, elevati al qua-drato e sommati tra loro, danno 193,sarà tutt’altro che casuale, soprattut-to se si considera che 12 è il nume-ro dei segni zodiacali e 7 è il nume-ro dei corpi celesti “erranti” tra le al-tre mille e mille stelle, tutte fisse 13.

3. I RAPPORTI ARMONICI

Se adesso torniamo a considerarela costituzione serviana, ci accor-giamo di un altro dato sfuggito si-nora all’osservazione degli studio-si: che i suoi numeri - tutti quei nu-meri che delimitano i livelli inferio-re e superiore del censo, e queglialtri numeri che contano le diversecenturie delle diverse classi - ri-spondono ai requisiti richiesti dal-la teoria, attribuita anch’essa a Pita-gora, dei “rapporti armonici” 14.La tradizione antica riferisce a que-sto proposito un aneddoto istrutti-vo, un aneddoto che ricorda quellidella lampada di Galileo e della me-la di Newton: «(Pitagora) passò da-vanti all’officina di un fabbro e, persorte in certo senso divina, ebbe audire dei martelli che battevano il

ferro sull’incudine e davano suonitutti in perfetto accordo armonicoreciproco… In quei suoni egli rico-nobbe gli accordi di ottava, di quin-ta e di quarta… entrò nell’officinae, grazie a svariate prove, capìche…15».Aneddoto istruttivo, perché Pitago-ra vi rappresenta il prototipo del-l’uomo di scienza “moderno” (fig.5), capace di cogliere da un’espe-rienza del tutto banale e consuetalo spunto per elevarsi alle vette del-la teoria scientifica e delle sue leg-gi. In effetti, Pitagora, coi suoi “espe-rimenti”, prima individua i rappor-ti armonici come rapporti di due nu-meri interi, e precisamente:- l’epitrito pari a 4/3, che genera l’ac-cordo di quarta;- l’emiolopari a 3/2, che genera l’ac-cordo di quinta;- il doppio pari a 4/2, che general’accordo di ottava;- il triplo pari a 3/1, che genera l’ac-cordo di ottava più quinta;- il quadruplo pari a 4/1, che gene-ra l’accordo di doppia ottava;

- l’epogdopari a 9/8, che genera l’ac-cordo di tono;poi ne ricava una “teo-ria”: «Pitagora rivelò che tutto que-sto universo è organizzato in basea rapporti musicali e che le settestelle erranti tra cielo e terra, cheregolano le nascite dei mortali,hanno un moto armonico e delledistanze corrispondenti agli inter-valli musicali; in rapporto alla pro-pria distanza, ognuna di loro emet-te suoni diversi, così armonici dacreare una melodia soavissima, cheperò noi non udiamo per l’inten-sità del suono che la limitatezzadelle nostre orecchie non riesce acontenere 16».Ma l’aneddoto è notevole ancheperché permette di osservare in nu-ce uno di quei casi in cui una vi-sione del mondo “primitiva” antici-pa e quasi preconizza con luciditàvisionaria le più avanzate teorie del-la scienza. Per averne conferma, ba-sta confrontare i risultati delle “ri-cerche” di Pitagora con titolo e sot-totitolo di un articolo apparso di re-cente su Le scienze, Sinfonia co-smica – Le nuove scoperte sulla ra-diazione di fondo a microonde di-mostrano che l’universo primor-diale risuonava di armoniose oscil-lazioni 17.E ora, se confrontiamo i limiti infe-riori di censo delle classi serviane(cfr. Tabella 1) con i rapporti ar-monici pitagorici, notiamo che:- è di epitrito il rapporto tra i limitiinferiori di censo della I e della IIclasse, rispettivamente 100 e 75;- è di emiolo quello tra II e III clas-se, rispettivamente 75 e 50;- sono di doppio quelli tra I e III clas-se, rispettivamente 100 e 50; tra IIIe IV classe, rispettivamente 50 e 25;e tra IV e V classe, rispettivamente25 e 12,5;- è di triplo quello tra II e IV classe,rispettivamente 75 e 25; - sono di quadruplo quelli tra I e IVclasse, rispettivamente 100 e 25, etra III e V classe, rispettivamente 50e 12,5;e solo l’epogdo, tra i sei rapporti ar-monici individuati da Pitagora, nonsembra presente tra i numeri dellacostituzione serviana.Non basta, perché i rapporti ar-

Fig. 4 - I tre triangoli rettangoli: il più esternonasce dalla terna pitagorica 168 (cateto A), 95(cateto B) e 193 (ipotenusa C); il medianodalla terna non pitagorica 12, 7 e √193; il piùinterno dalla terna pitagorica più semplice 4,3 e 5. I primi due non sono simili: nel primo168 ÷ 95 = 1,768421, nel secondo 12 ÷ 7 =1,7142857.

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L’ORIGINE DEGLI ETRUSCHI E LE RECENTI ACQUISIZIONI DELLA SCIENZA 13

monici pitagorici sono presenti an-che tra i numeri delle centurie cheformano le diverse classi (cfr. an-cora Tabella 1); così – un solo esem-pio per tutti – è di epitrito il rap-porto tra il numero delle centuriedella I classe e quello della sommadelle centurie della II, III e IV clas-se, rispettivamente 80 e 60 = 20 +20 + 20.Ne risulta, con tutta evidenza, chel’intera struttura della costituzioneserviana è basata sui rapporti ar-monici cosiddetti “pitagorici”; delresto, lo stesso numero delle classi– 6 – è “il numero della creazione”,e la creazione – sempre secondo Pi-tagora – è un insieme di armoniosirapporti fondato sull’armonia deinumeri. Così che si può conclude-re affermando che la costituzioneserviana realizza l’armonia dellesfere sociali in terra sul modello diquelle celesti.In definitiva, il Pitagora, che gli stu-diosi moderni datano tra il 580-570e il 500 a.C. e che la tradizione an-tica, pur tra contraddizioni e auto-smentite 18, vorrebbe collegare conil secondo re di Roma, Numa Pom-pilio (anni di regno 715-673 a.C.),vissuto però “almeno cinque gene-razioni” prima di lui, sembra averispirato piuttosto l’opera del re diRoma che… lo ha preceduto di unasola generazione, Servio Tullio (an-ni di regno 578-535 a.C.).Certo, la realtà è più complessa. Lefonti antiche sostengono che «(Pi-tagora) avrebbe appreso le scienzecosiddette matematiche dagli egizi,dai caldei e dai fenici - perché gliegizi sin dall’antichità si erano oc-cupati della geometria, i fenici del-la scienza dei numeri e del calcolo,i caldei dell’osservazione della vol-ta celeste. Le cerimonie del culto di-vino e ogni altra abitudine di vita –a quanto dicono - le apprese dai ma-gi e da essi le mutuò 19», e va bene.Ma Servio Tullio - lui, re etrusco, oetrusco-latino, allevato da etruschi- da chi apprese, come venne a sa-pere, perché realizzò i principi pi-tagorici nella sua nuova costituzio-ne di Roma? Andò anche lui inOriente? Non risulta. Ebbe un mae-stro di provenienza orientale? Nep-

pure. Conobbe, sia pure per inter-posta persona, Pitagora? Non vi so-no elementi per dirlo.Di fronte a una serie di interroga-tivi senza risposta, o con una ri-sposta presumibilmente negativa,l’unica posizione ragionevole èquella di pensare che le teoriescientifiche di Pitagora e la loro at-tuazione pratica da parte di Servioabbiano una comune origine –orientale, certo – in quella visioneglobale del cosmo 20 e dell’uomonel cosmo che, alla loro epoca, ini-ziava a circolare in lungo e in lar-go per il Mediterraneo. La vicendapersonale di Pitagora, che nasce aSamo da un Tirreno di Lemno, vaa studiare in Fenicia e in Egitto, aBabilonia e in Caldea, e poi tornain patria e ne fugge in odio al ti-ranno Policrate, e va errando a Del-fi e a Creta e infine a Crotone, do-ve fonda una scuola alla quale ac-corrono Lucani, Messapi, Peucezi,Romani, Tirreni, e istruisce legi-slatori come Caronda di Catania eZaleuco di Locri, riassume nella so-la persona del Maestro l’atmosferaculturale dell’epoca.E il dodecaedro etrusco coevo diServio Tullio e di Pitagora - che èproprio il solido regolare la cui sco-perta è attribuita al Maestro e chefu da questi, o dal suo successorePlatone, associato all’universo - of-

fre un esempio concreto della pos-sibilità che le idee e gli oggetti chele rappresentano, viaggiando, giun-gano in regioni anche molto, mol-to distanti dai luoghi di origine.

4. ASTRONOMIA E CALENDARIO21

Un fatto che non viene sottolinea-to abbastanza è che, tra tutte le cittàdel mondo classico, Roma è di granlunga la più occidentale di cui si tra-mandi la data di nascita: 21 aprile753 a.C.22. E un altro fatto che purenon viene sottolineato come do-vrebbe è che Roma è di gran lungala città più occidentale di cui si tra-mandi il possesso di un calendariogià all’epoca del fondatore e primore, Romolo.A sua volta, il calendario romuleoè sempre stato trascurato, perchétutto quel che se ne tramanda ap-pare come un non senso dal puntodi vista astronomico: un anno di 304giorni, suddivisi in 10 mesi di 31 odi 30 giorni, non è solare, non è lu-nare, e non conta nemmeno un nu-mero intero di mesi lunari, sinodi-ci o siderali che siano. Ciò nono-stante, è un calendario basato sulcorso del sole, come assicura unatestimonianza fondamentale - matrascurata anche lei - dalla quale ri-sulta che nell’anno romuleo a ognimese è associato il “clima adatto,caeli habitus” 23.Numericamente, i 61 giorni chemancano per completare l’anno so-lare corrispondono a quelli che pas-sano tra il solstizio d’inverno, chenel calendario arcaico di Roma ca-de il 21 dicembre, e la levata ve-spertina di Arturo, che cade il 23febbraio 24. Perciò, una volta conta-ti i giorni che precedono il solstiziod’inverno con i 304 dell’anno ro-muleo, per i 61 giorni mancanti erapossibile regolarsi in maniera ana-loga a quella descritta da Esiodo:«Quando, dopo che il sole si è vol-to, sessanta / giorni invernali Zeusabbia compiuto, allora l’astro / di Ar-turo, lasciata la sacra corrente diOceano, / tutto splendente si innal-za al sorgere della sera 25».Quanto all’anno numano – cheprende il nome dal successore diRomolo, Numa Pompilio – troppe

Fig. 5 – Gli esperimenti di Pitagora sui rappor-ti armonici (da F. Gafurio, Theorica Musicae,1492).

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sarebbero le cose da dire. Prima fratutte, l’insospettata qualità e quan-tità di conoscenze astronomiche sucui si fonda: moti di Venere, perio-dicità delle eclissi di sole e di luna,rivoluzione della linea dei nodi lu-nari, passaggi dei nodi dai Punti d’A-riete e della Bilancia e loro effettisui moti della luna, rivoluzione del-la linea degli apsidi, relazioni tra pe-riodi sinodici e siderali dei pianetisuperiori, ecc. ecc.26.Qui, ci si dovrà limitare a ricordarela straordinaria corrispondenza traun rituale babilonese e un raccon-to romano. Il rituale è quello del “redi sostituzione”, inteso a scongiu-rare le nefaste conseguenze dell’e-clissi; il racconto – mitico, ma data-to tradizionalmente al 509 a.C. – èquello della cacciata dell’ultimo re,Tarquinio il Superbo, che dà origi-ne alla festa romana del Regifu-gium 27. Una corrispondenza chemostra la provenienza orientale del-le conoscenze astronomiche allabase del calendario numano e del-le sue feste.

5. I NOMI DEI MESI E QUELLI DELMITO 28

Il calendario c’invita a abbandonarel’ambito delle conoscenze scientifi-che per passare alla questione dellalingua attraverso i nomi dei mesi.Prima, però, occorre ricordare un da-to essenziale: il nome di “mese” faparte della comune eredità indoeu-ropea, ma i nomi dei mesi no. In al-tre parole, le genti parlanti l’in-doeuropeo comune conoscono ilconcetto di mese inteso come luna-zione, ma non hanno ancora svi-luppato il concetto di mese come pe-riodo di tempo che cade in una sta-gione fissa dell’anno solare. In altreparole ancora, la conoscenza e l’a-dozione dell’anno solare con i nomidei dodici mesi corrispondenti a pe-riodi fissi nell’arco dell’anno segue,e non precede, la diaspora del po-polo comune indoeuropeo.Ora, si dà il caso che noi possedia-mo, o per testimonianza diretta ograzie alla ricostruzione, i nomi deidodici mesi dell’anno solare chel’impero achemenide ha mutuatoda Babilonia; così come conoscia-

mo, attraverso le raccolte di glossealtomedievali, otto nomi di mesietruschi che, in due casi, sono atte-stati nelle iscrizioni 29.E si dà anche il caso che, oltre a unaserie di corrispondenze minori e in-dirette, quattro dei nomi etruschi pre-sentino singolari corrispondenze fo-netiche con altrettanti nomi iranici.Così accade per il marzo etrusco, chesuona in latino velcitanuse la cui for-ma originale è ricostruita in *vel-cit(a)na, per il giugno, aclus/acale,per il luglio, traneus/*turane e perl’agosto, hermius/*hermi, da con-frontare rispettivamente con le for-me iraniche di ottobre, varkaza-na 30,di aprile, vahara, di luglio, thu-rana-, e di agosto, *garma-.Dunque, se fino a questo punto leconoscenze astronomiche su cui sifonda il calendario numano, e lecorrispondenze tra rituali babilo-nesi e racconti romani, indicavanouna provenienza genericamentemesopotamica – ovvero semitica -del calendario stesso, adesso i no-mi dei mesi individuano un arealepiù specificamente iranico – ovve-ro indoeuropeo; senza dimentica-re quanto lontano nello spazio, equanto all’interno del mondo in-doeuropeo - Iran e India a est e asudest, Anatolia e Caucaso a ovest,a nordovest e a nord - si sia spintatra II e I millennio l’influenza dellaciviltà “dei due fiumi”. E i nomi deimesi, che rappresentano un’inno-vazione recente, datano il contattoa un’epoca tarda.Del resto, ancora all’areale iranicorinvia la stessa onomastica del mitoetrusco-romano. In questa sede è im-possibile affrontare il tema in tutta lasua estensione, e mi dovrò limitarea proporre un paio di esempi.Il primo viene dalla tradizione ro-mana. In uno dei miti fondanti del-la città eterna - il ratto delle Sabine- sono documentati tre nomi pro-pri: 1) il nome del luogo da cui pro-vengono le vergini rapite, Caenina;2) quello del re di questo luogo,Acron; e 3) quello dell’unica don-na sposata tra loro, Hersilia. I trenomi non trovano un’etimologiain latino, ma si confrontano benecon voci del lessico indoiranico; in

particolare: 1) Caenina, con l’ira-nico kainya-, kaini-, kainin-, “ra-gazza non sposata”, e con il san-scrito kanya-, “ragazza, vergine”; 2)Acron, con l’iranico a-grav-, “nubi-le, non sposata” e con il sanscritoa-gruh, “non gravida, nubile, celi-be” - e qui la sostituzione della gut-turale sonora con la sorda di Acronsegnala il passaggio del nome at-traverso una lingua che, al pari del-l’etrusco, ignora le sorde; 3) Hersi-lia, con la forma esclusivamenteiranica hairisi-, “femmina, moglie”.In altre parole, il confronto direttotra nomi propri del mito romano enomi comuni del lessico indo-ira-nico fa sì che i primi diventino “par-lanti”, assumendo proprio il valoredel ruolo giocato nel mito da chi liporta: Caenina, luogo d’originedelle ragazze rapite, è davvero, co-me vuole il mito, “(il paese) dellevergini”; Acron, il re del paese del-le vergini, non può essere altro che“il celibe”; Hersilia, l’unica donnasposata, è “la moglie” per antono-masia. Il secondo esempio è offerto dallatradizione etrusca. Filtrata attraver-so l’Alessandradi Licofrone e il com-mento di Tzetzes, essa ci dice che“Ulisse presso i Tirseni si chiamòNanos, col nome che indica l’‘er-rante’”, e che Nanos “con le sue pe-regrinazioni esplorò ogni angolodel mare e della terra” 31. L’accosta-mento del nome dell’eroe greco aquello dei corpi celesti che, soli inmezzo alle tante fiammelle fisse, “er-rano” guadagnandosi il nome di“pianeti”, meriterebbe un discorsoche porterebbe a identificare la fi-gura di Ulisse come quella del “viag-giatore delle stelle”. Qui osservo so-lo che le uniche corrispondenze in-doeuropee del nome etrusco di Ulis-se 32 si trovano in due forme inde-clinabili isolate dell’iranico e delsanscrito: in iranico – per l’esattez-za nell’avestico recenziore e gathi-co – nana vale “in molti luoghi di-versi”, in sanscrito nana vuol dire“in diverse maniere”; e il nana san-scrito costituisce il primo elementodi una serie numerosa di composti,nei quali il suo significato è inva-riabilmente quello di “vario, diver-

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L’ORIGINE DEGLI ETRUSCHI E LE RECENTI ACQUISIZIONI DELLA SCIENZA 15

so, differente, manifold”, che ri-sponde all’appellativo omerico del-l’eroe dal “multiforme ingegno”.In definitiva, in tutte e due gli esem-pi si nota un fenomeno che richiedeuna spiegazione da parte degli spe-cialisti: i nomi propri del mito pre-senti ma fossilizzati in una data cul-tura – l’etrusco-romana - trovanouna spiegazione con nomi comu-ni ancora vivi nel lessico di una lin-gua espressione di una diversa cul-tura – l’indo-iranica. Non c’è bisogno di sottolineare,prima di chiudere, che il fenome-no segnalato contrasta con la po-sizione d’isolamento nella quale èconfinata la lingua etrusca; un iso-lamento che porta a classificare co-me “possibile comunanza di sub-strato” la vicinanza di forma e di si-gnificato tra etrusco e greco di untermine di famiglia come puia,“moglie” e ojpui‰w, “prendo in mo-glie” 33 senza neanche prendere at-to che il confronto andrebbe este-so almeno alle forme sanscrite, lanominale puja, “onore, adorazio-ne, venerazione, ecc.” e la verba-le pujayati, “(egli) onora, adora,ecc.”

6. IL PROBLEMA DELL’ORIGINEDEGLI ETRUSCHI

Etruschi oggi, ovvero: qual è il qua-dro che l’etruscologia – ma forse sidovrebbe parlare più ampiamentedi antichistica - dà degli Etruschi,oggi? Per cominciare a risponderealla domanda si deve distinguere traetruscologi stranieri e etruscologiaitaliana. Gli stranieri, tendenzial-mente, propendono per dare cre-dito al racconto del “vecchio” Ero-doto (ca. 485-dopo il 430 a.C.) e del-la massima parte degli autori anti-chi, e quindi giurano sulla prove-nienza degli Etruschi dall’Anatolia,o meglio dalla Lidia; dunque - co-me direbbero i genetisti – quellaetrusca è una migrazione “demica”.Mentre l’etruscologia italiana, daPallottino in avanti 34, fa sue le indi-cazioni del “giovane” Dionisio diAlicarnasso (ca. 60-dopo il 7 a.C.)insistendo concorde per la loro au-toctonia, e la migrazione rimane so-lo “culturale”.

Così – per fare solo due esempiche chiariscano le opposte posi-zioni – può capitare di leggere, dauna parte, «La conoscenza della la-vorazione del ferro fu introdotta inToscana dal Mediterraneo orienta-le dagli immigrati etruschi, proba-bilmente fin dall’800 a.C.35»; e dal-l’altra, «Per chi diffida, a ragione,delle teorie di profondi mutamentietnico-linguistici per l’età del bron-zo e l’età del ferro in questi territo-ri – quali potrebbero immaginarsisupponendo ad esempio invasionidi nuove genti in corrispondenzadell’affermarsi dei crematori ‘pro-to-laziali’ a sinistra del Tevere o del-l’esplosione villanoviana in Etruria– l’opinione più accettabile è chegià nella medio-tarda età del bron-zo fossero presenti nelle rispettivearee elementi destinati a costituirele future nazionalità dei Latini e de-gli Etruschi 36».Naturalmente, essendo l’etruscauna civiltà italiana per territorio,sono gli antichisti italiani a averel’ultima parola; e gli stranieri fini-scono per mantenere un atteggia-mento un po’ stupito, assai per-plesso, benevolmente critico.Non è qui il caso di indagare da co-sa fosse spinto Pallottino nella suascelta per l’autoctonia degli Etru-schi: se da motivazioni ideologi-che legate al regime fascista du-rante il quale la sua carriera preseavvio - come pure è stato sostenu-to 37 - o da meglio fondate e pon-derate ragioni scientifiche. Certo èche più avanti nel tempo, e cioènell’immediato dopoguerra – co-me lui stesso scrive – «si è fatto stra-da anche un altro punto di vista che,tenendo conto della complessità deifatti archeologici e linguistici e sen-za negare il valore degli argomentia favore di ciascuna delle tesi enun-ciate, esclude che l’origine della na-zione etrusca storica possa imma-ginarsi nella forma ingenua di ununico avvenimento, quale potreb-be essere l’avvento di un popolo daun paese straniero; e sulla base del-l’analogia con altri processi consi-mili suppone piuttosto una lunga evaria evoluzione formativa, dallaquale vennero progressivamentedeterminandosi i caratteri etnici eculturali degli Etruschi 38».

Adesso confrontiamo le parole del-l’archeologo italiano sull’originedegli Etruschi con quelle di un ge-netista inglese sull’origine degli In-glesi: «Gli inglesi sono una combi-nazione del ‘popolo del bicchierecampaniforme’, diffuso nell’Età delBronzo europea, dei celti indoeu-ropei, giunti in Britannia nell’Età delFerro, di angli, sassoni e iuti, inva-sori del primo millennio, dei vi-chinghi e dei normanni, invasorigiunti circa 1000 anni fa, e di mol-te genti immigrate in Inghilterra infasi più recenti 39».Cogliamo subito la differenza: quel-la dell’archeologo è un’affermazio-ne lunga, contorta, nebulosa; quel-la del genetista è breve, secca, as-severativa. Il genetista ci “dice”qualcosa di molto importante sugliInglesi, perché ce ne descrive, pas-so passo, la preistoria e la storia percirca 4.000 anni fino a oggi; l’ar-cheologo non ci dà una sola infor-mazione sugli Etruschi e sul loropassato. Ma va bene lo stesso, per-ché ci permette di toccare con ma-no come l’etruscologia italiana ab-bia smarrito, da un pezzo, il sensodella realtà del problema.Ancora, confrontiamo le parole diPallottino con le altre, giustamentefamose, con le quali lo storico fran-cese Marc Bloch apre il suo Les ca-ractéres originaux de l’histoire ru-rale française: «Allorché si iniziò ilperiodo che siamo soliti chiamare‘Medioevo’… l’agricoltura esistevasul nostro suolo già da millenni. Idocumenti archeologici lo attesta-no chiaramente… Questa preisto-ria rurale è estranea, di per sé, al-l’argomento qui trattato; ma lo do-mina 40» e un senso di scoramentoci assale. Ma come, gli storici delMedioevo francese avvertono lapresenza dominante della preisto-ria, e gli etruscologi sostengonoche non è necessario, che è tem-po perso, che “è molto più pro-duttivo occuparsi della storia degliEtruschi che delle loro discusse eindimostrabili origini” 41?Tant’è, questa è la situazione del-l’etruscologia italiana per quantoriguarda il problema dell’originedegli Etruschi: imboccata una cer-ta strada 60 anni fa, l’ha prosegui-ta – come ormai si usa dire - sen-

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za se e senza ma, tanto che la ter-za o quarta generazione di etru-scologi la vede sempre come la ve-deva il “padre fondatore”. Ricon-siderandola adesso, retrospettiva-mente, si direbbe proprio che nes-suno di loro abbia tenuto conto che“la scienza è una ricerca della ve-rità che commette continuamenteerrori ma li corregge” 42, e qui i ca-si sono due: o fin dall’inizio l’etru-scologia italiana è stata tanto for-tunata da non commettere errori,o non è stata una scienza alla ri-cerca della verità.

7. ETRUSCHI, VILLANOVIANI O UM-BRI?

Pure, nel quadro che la scuola ita-liana è venuta costruendo col tem-po, restano a dir poco due o tre pun-ti che avrebbero bisogno di esserespiegati meglio. Perché, dopo averaffermato l’inutilità di occuparsi del-le “indimostrabili” origini, e nonesattamente in linea con quest’af-fermazione di principio, essa so-stiene che la civiltà etrusca, così co-me la si conosce attraverso le suetestimonianze dalla metà dell’VIIIsecolo in avanti 43, nasce in Italia ediscende in linea retta dai “Villano-viani”, ossia da quel popolo che –riprendendo le parole di Pallottino– “nella medio-tarda età del bron-zo era presente nell’area destinataa ospitare la futura nazionalità de-gli Etruschi”. E a conferma di que-sta scuola di pensiero, tutte le piùrecenti grandi mostre sugli Etruschiaprono con un’ampia sala dedica-ta ai “Villanoviani” 44.In un caso come questo, però, l’u-so di un nome moderno per iden-tificare un popolo antico è inap-propriato, e non serve a chiarire leidee, ma a confonderle. Per fare unparagone, noi possiamo pure chia-mare genericamente “Precolom-biani” l’insieme dei popoli che abi-tavano l’America prima della sco-perta ma, se vogliamo studiarnespecificamente uno, dobbiamo in-dicarlo col nome giusto, Maya, Az-techi, Incas. Nel caso dell’insieme dei popoli cheabitavano la penisola all’inizio delprimo millennio, sappiamo benis-simo come gli antichi chiamavano

quello che “nella medio-tarda etàdel bronzo era presente nell’areadestinata a...”. Tanto Erodoto - an-che se non si vuole credere al rac-conto dell’immigrazione degli Etru-schi dalla Lidia – quanto il presun-to oppositore, l’“autoctonista” Dio-nisio, assicurano che il loro nomeera “Umbri” 45; e non vi è ragione didubitarne 46.Ecco allora che i moderni “Villano-viani” non possono che coinciderecon il popolo che gli antichi cono-scevano col nome di Umbri. Soloche – questo ne verrebbe di conse-guenza - a un certo momento, sem-pre attorno alla fatale metà dell’VIIIsecolo, questi “Umbri dell’ovest” sisarebbero distinti dai confratelli“Umbri dell’est” – che continuaro-no a parlare umbro e in seguito scris-sero le Tavole Eugubine – e avreb-bero cambiato nome e cominciatoa parlare, e subito dopo a scrivere,una nuova lingua non indoeuropea.D’altra parte, sappiamo anche – celo dice l’archeologia – che il popo-lo che noi moderni chiamiamo “Vil-lanoviani” era, tra X e VIII secolo,allo stesso livello culturale e eco-nomico di tutti gli altri popoli del-l’Italia antica, dai Liguri ai Camuni eai Veneti a nord, dai Piceni agli Oscie ai Sabini a est, dai Latini ai Volscie ai Sanniti, ecc. ecc. a sud. E con-statiamo come coloro che, fino a 50o 100 anni prima, erano dei miseriindigeni abbiano iniziato a arric-chirsi mostruosamente, nel giro diuna o due generazioni al massimo.Ma perché proprio loro, gli Umbridell’ovest, e non i loro fratelli del-l’est, e non anche gli altri popoli del-l’Italia antica? Si dice “per i giaci-menti minerari della Toscana”. Certo, i giacimenti sono importanti,ma la tecnologia lo è di più. E la tec-nologia del ferro - in particolare lalavorazione, da eseguire dopo l’e-strazione e la fusione del minerale,per arrivare all’acciaio attraverso lesuccessive fasi della cementazione,della tempra e del rinvenimento 47 -è nata dopo il XV secolo in Anato-lia. È nata e è rimasta un segreto; co-me spiega l’archeologo della prei-storia ascoltato prima: «Il segreto,che era dopotutto di grande im-

portanza militare, venne gelosa-mente conservato in qualche par-te della patria tradizionale della la-vorazione del ferro, nelle terre checonfinano con le coste meridiona-li del Mar Nero, fino alla caduta del-l’impero degli Ittiti circa due seco-li più tardi 48».E questo segreto, forse in forma at-tenuata, fu mantenuto a lungo, seancora attorno al 500 a.C. “nel trat-tato che Porsenna, dopo la caccia-ta dei re, dette al popolo romano,troviamo la clausola esplicita dinon usare il ferro se non in agri-coltura” 49; con le quali parole Pli-nio lascia intendere chi all’epocaaveva l’esclusiva, di sicuro dei gia-cimenti e forse della tecnologia, delferro.

8. PERCHÉ ROMA COPIÒ I VILLANO-VIANI?Ma ammettiamo pure che l’etrusco-logia italiana abbia ragione, che gliEtruschi siano i diretti discendentidei Villanoviani, e non stiamo lì apreoccuparci di quale fosse il nomeantico di questo popolo. Sorge lostesso un nuovo problema, perchéè certo che questi “Villanoviani”, ol-tre a essere di pari livello culturalee economico, avevano anche vis-suto gli ultimi due o trecento anni –e, secondo Pallottino, anche più -fianco a fianco coi Latini, e addirit-tura a Roma stessa, o meglio nel si-to dove poi sorgerà Roma.Allora, perché mai, quando qualcu-no – Romolo o chi per lui – decise difondarla, questa città eterna, sareb-be dovuto andare a apprendere pro-prio da dei vicini così ben conosciu-ti e familiari, e in tutto simili, l’“usoetrusco” di fondazione di una città?Che bisogno ce n’era? Forse che i Vil-lanoviani sapevano a questo riguar-do qualcosa in più di quello che sa-pevano i loro confinanti, i futuri abi-tanti di Roma? E perché?Ecco che, se si comincia a non cre-dere a Erodoto, non si può crederenemmeno alla fondazione dellacittà; e la leggenda diventa solo un’i-mitazione, una trasposizione susuolo italico delle “vere” fondazio-ni, di Cartagine e delle colonie pu-niche da una parte e di Cuma e di

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quelle greche dall’altra. L’effetto do-mino è avviato: caduta la prima tes-sera, cade anche la seconda, e viavia tutte le altre.

9. L’“ORIENTALIZZANTE”

La terza tessera a cadere si deveall’“Orientalizzante”. Con questonome i sostenitori dell’autoctoniadegli Etruschi indicano il periodostorico e la produzione artistica chesi sviluppa tra i Villanoviani – ormaidiventati Etruschi a tutti gli effetti –dalla metà dell’VIII secolo in avan-ti, fin verso la fine del VI, parallela-mente al loro improvviso e prodi-gioso arricchimento. Poiché gli Etruschi sono Villano-viani e i Villanoviani sono autocto-ni, l’intera produzione artistica etru-sca – salvo un’infima minoranza dicapolavori indiscutibilmente im-portati – dev’essere anch’essa au-toctona; dunque, non Orientale ma,appunto, “Orientalizzante”. Noncreata da artigiani e artisti che si tra-mandano la sapienza tecnica e laperizia artigianale da generazioni eche, a un certo momento, migranoin Etruria dall’Oriente – Anatolia, Si-ria settentrionale, Urartu, area po-st-ittita in generale, sempre espostaa influenze mesopotamiche – por-tando con loro sapienza e periziaacquisite in un lungo corso di tem-po e in una vasta serie di contatti edi rapporti eterogenei; ma prodot-ta da un personale che, quasi sen-za retroterra culturale o artistico al-le spalle – se non la modestissimacapacità mostrata dagli stessi og-getti in bronzo, in ferro e in cera-mica del primo Villanoviano – nelgiro di pochi anni e in meno di unagenerazione acquisisce tutte le co-noscenze necessarie per progetta-re e costruire templi o abitazioni,per fondere statue, per lavorare me-talli, pietre anche preziose, terre-cotte, per realizzare gioielli di raffi-nata esecuzione, per incidere pie-tre dure, ecc. ecc.Se solo si pensa a quanti archi-tetti, scultori, pittori, orafi, inci-sori, ebanisti, la scuola italiana hamandato in giro per il mondo apartire – diciamo – dal Rinasci-mento in avanti, e a quanti di que-sti, nonostante il trasferimento di

persona, sono riusciti a creare nel-le nuove sedi di lavoro delle scuo-le in grado di produrre prodotti“Italianizzanti” anche dopo la lo-ro scomparsa, si ha la misura diquanto poco realistica sia la rico-struzione che viene fatta del pe-riodo “Orientalizzante”. Ci vuoleben altro che l’importazione diqualche esemplare, più o menoisolato, di altissima qualità per in-nescare una tendenza, o addirit-tura una scuola, in grado di imi-tarlo.Insomma, anche in questo caso è lascelta dell’autoctonia a imporre unasostanziale distanza dal problemareale: come avrebbero fatto questi“Villanoviani arricchiti” a impararein pochi anni e così agevolmente letecniche che gli “Orientali” aveva-no appreso con tanta fatica e in tan-to tempo?

10. UN QUADRO PIÙ COERENTE

Per avere un quadro più coeren-te dell’origine degli Etruschi,dobbiamo partire da lontano -nello spazio, non nel tempo - ecioè dall’Africa centromeridio-nale. «Uno dei movimenti più im-ponenti (in verità una delle piùdrammatiche migrazioni di tutti itempi) ha avuto inizio circa 2500 an-ni fa. Da qualche parte, lungo il con-fine che attualmente separa Nige-ria e Camerun, proprio dove la co-sta occidentale dell’Africa piega ver-so sud, un gruppo di centroafrica-ni ha incominciato a diffondersi e aspostarsi in aree già occupate da al-tre popolazioni. I nuovi arrivati par-lavano lingue della famiglia Bantu,nelle quali la parola bantu, appun-to, significa ‘popolo’… Le cause ori-ginarie dell’espansione bantu ri-mangono sconosciute; sappiamotuttavia che questo evento è statopotenziato da due importanti inno-vazioni. La prima è la domestica-zione delle piante...; la seconda èl’introduzione, o forse lo sviluppoindipendente, della lavorazione delferro nell’Africa centrale. Questedue novità si sono rafforzate reci-procamente: i fabbri dell’Africa cen-trale producevano zappe, picconie asce che la gente di lingua bantuusava per deforestare e lavorare i

campi; in cambio gli alberi abbattu-ti servivano per alimentare i fuochidelle fucine e delle fonderie. Gra-zie alle due innovazioni, la gente dilingua bantu ha dato origine a unasorta di distruttivo mostro tecnolo-gico. E ha avuto la meglio sui pig-mei e sui boscimani spingendo que-ste popolazioni, che vivevano dicaccia e di raccolta, a ritirarsi nelleforeste pluviali e nei deserti, am-bienti inadatti all’agricoltura. All’i-nizio le genti bantu si sono spintea est attraverso la parte settentrio-nale del bacino del Congo fino al-le sorgenti del Nilo in prossimità delLago Vittoria e si sono, in seguito,spostate a sud diffondendosi lungola costa orientale del continente. Va-ri gruppi attraversarono il conti-nente da est a ovest o da ovest a estgenerando complesse ondate mi-gratorie. In generale però, le genti dilingua bantu non si sono stabilite nel-le regioni interne più aride o lungole coste dell’Africa meridionale, do-ve le loro culture favorite dall’umi-dità non potevano prosperare. Que-ste aree sono quelle in cui oggi siconcentrano i boscimani e i discen-denti degli immigrati europei 50».Così, in un saggio recentissimo, Ol-son descrive una delle tante vicen-de dell’umanità che la moderna ri-cerca genetica ha potuto ricostruirenei particolari (fig. 6). Tanto che l’au-tore può concludere con un’affer-mazione breve e perentoria: «Il DNAdegli attuali africani rispecchia chia-ramente la diffusione dei bantu».A parere di chi scrive, un quadrodel tutto analogo illustrerebbe al-trettanto bene la vicenda degli Etru-schi. E non vi è bisogno di imma-ginare, per questo quadro, una mi-grazione di grandi masse di uomi-ni: ammettiamo pure che i conti fat-ti nell’800 da K.J. Beloch siano giu-sti e che gli Etruschi attorno alla metàdel V secolo contassero da 300 a400.000 individui 51; ricordiamo chesu questa cifra incidono, probabil-mente in maniera rilevante, i di-scendenti degli Umbri ridotti a clien-ti e i frutti dei matrimoni misti 52; econsideriamo che l’ipotetica mi-grazione è avvenuta almeno tre se-coli prima 53, ossia circa 15 genera-zioni prima. Tenuto conto di tuttoquesto, è probabile che un nu-

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ta a quella che conosciamo come“Civiltà degli Etruschi” 55. Ma que-sto è e resta un parere personale,né più né meno valido delle opi-nioni reiteratamente riaffermatedella scuola etruscologica italiana.La vera novità, una novità dirom-pente, inquietante per gli uni, ras-sicurante per gli altri, sta nelle ulti-me parole riportate sopra, che è be-ne rileggere: “Il DNA degli attualiafricani rispecchia chiaramente ladiffusione dei bantu.”

11. DNA E RICERCA GENETICA: ILLONTANO PASSATO SVELATO NELPROSSIMO FUTURO

Sono passati appena 50 anni dallascoperta della struttura a doppia eli-ca della molecola del DNA da par-te di F. Crick e J.D. Watson. Ne so-no passati 40 dalla proposta di Ca-valli-Sforza e Edwards di un siste-ma di elaborazione matematica deidati di sistemi genetici diversi concui costruire un albero filogeneticodelle evoluzioni e delle separazio-ni – della deriva genetica - delle di-verse popolazioni della specieumana. Ne sono passati meno di 20da quando si è iniziato a studiare ilDNA mitocondriale e, su iniziativadi A. Wilson, R. Cann e M. Sto-neking, a disegnare un albero ge-netico mitocondriale. E appena 10da quando sono stati individuati iprimi esempi di variazione geneti-ca nel cromosoma Y, che hannopermesso di controllare i dati for-niti dal DNA mitocondriale e di per-fezionarli. Anche un non esperto – come l’au-tore di quest’articolo – percepisceche siamo davanti a una scopertarivoluzionaria, che abbiamo final-mente in mano l’“arma-fine-di-mondo” destinata a spazzare ilcampo da tutte le chiacchiere, idubbi, le opinioni, gli errori: lo stru-mento che consente di ricostruirela storia genetica di un gruppoumano.Basta disporre di un sufficientequantitativo di dati genetici e ave-re un’idea di quali siano i gruppiumani su cui eseguire i confronti.Per quanto riguarda i gruppi uma-ni, tutto quel che si è detto in pre-cedenza serve a indicare e a deli-

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Fig. 6 – Circa 2500 anni fa, un gruppo di centroafricani di lingua bantu ha incominciato a spo-starsi lentamente verso Sud, occupando aree già abitate da pigmei e boscimani che venivano spin-ti verso aree meno produttive. L’espansione bantu è stata potenziata dalla domesticazione di unanuova pianta alimentare e dall’introduzione della lavorazione del ferro (da Olson 2003).

Fig. 7 – L’area individuata col nome di Asia occidentale propriamente detta, che include l’alto-piano anatolico in Asia minore e le regioni montuose dell’Armenia e dell’Iran. In scuro, le zoneabitate, oggi o nel passato, da popolazioni di lingua indoeuropea. Nel Mitanni del 1400 a.C. èattestata la presenza di una cultura indoiranica (rielaborata da Cavalli-Sforza 2000).

mero di individui considerevol-mente inferiore al precedente -dai 15 ai 25.000 nuovi arrivati -forte di un livello culturale e eco-

nomico superiore, e della tecno-logia del ferro che assicura armie aratri incomparabilmente mi-gliori 54, sarebbe bastato a dar vi-

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mitare le aree interessate: da unaparte, la terra che un tempo era abi-tata dagli Etruschi in Italia; dall’al-tra, l’area conosciuta col nome diAsia occidentale propriamentedetta, che include l’altopiano ana-tolico in Asia minore e le regionimontuose dell’Armenia e dell’I-ran 56, con particolare attenzioneper le zone abitate, oggi o nel pas-sato, da popolazioni di lingua in-doiranica (fig. 7).Per quanto riguarda i dati genetici,quelli italiani hanno già consentitoa Cavalli-Sforza di evidenziare lapresenza di «alcune aree geografi-che, chiare e scure, di particolare in-teresse. L’area con colorazione piùscura, situata nella regione a norddi Roma (Toscana meridionale e La-zio settentrionale), corrispondequasi esattamente all’antica area nel-la quale sorgevano le città etrusche,a partire dall’800 a.C. (fig. 8) ...Se lapopolazione locale della Toscanameridionale fosse stata protagoni-sta, in un periodo lontano nel tem-po (nel caso degli Etruschi, all’ini-zio dell’Età del Ferro, circa 3000 an-ni fa) di una crescita demograficamolto elevata, e se nei periodi suc-cessivi le migrazioni dall’esternofossero state limitate, il patrimoniogenetico locale si sarebbe potutomantenere ragionevolmente inva-riato. Pertanto, se all’inizio fosserostate presenti differenze genetichetra questa popolazione e quelle vi-cine, queste ultime avrebbero me-glio potuto contrastare il pericolodella cancellazione e persistere perun lungo periodo: quanto maggio-re è la differenza genetica iniziale,tanto più alto risulta il suo grado dipersistenza. Si potrebbe supporreche gli Etruschi fossero coloni di ori-gine esterna; ma è difficile esclude-re che essi abbiano avuto origine dauna popolazione autoctona, gene-

ticamente diversa da quelle vicineper l’isolamento iniziale e per un ef-fetto molto forte della deriva gene-tica 57».

Per i dati genetici dell’Asia occi-dentale, invece, vi è da supporreche essi, al momento attuale, sianolimitati. Lo stesso Cavalli-Sforza scri-ve: “Al di là delle classificazioni ba-sate sui confini politici della regio-ne, i Turchi sono piuttosto etero-genei, e meriterebbero un’analisigenetica più minuziosa, se i dati fos-sero disponibili.”, e ancora: “Se di-

sponessimo di un numero maggio-re di informazioni genetiche…” 58.

Ma lo studio di Cavalli-Sforza ri-sale a 10 anni fa, e 10 anni – comesi è visto – sono un tempo assai lun-go per le ricerche genetiche sullastoria e la geografia dei geni uma-ni. Perciò il momento è vicino, quelmagico momento in cui si potrà sa-pere la verità sull’ormai troppo vec-chia “questione etrusca”. Sarà la ge-netica a dirla, però; l’etruscologiaitaliana può solo sperare in un ver-detto favorevole.

L’ORIGINE DEGLI ETRUSCHI E LE RECENTI ACQUISIZIONI DELLA SCIENZA 19

Fig. 8 – La mappa sintetica dell’Italia relativa alla “seconda componente principale”. L’area concolorazione più scura, situata nella regione a nord di Roma, corrisponde quasi esattamenteall’antica area nella quale sorgevano le città etrusche, a partire dall’800 a.C. (da Cavalli-Sforza2000).

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20 LEONARDO MAGINI

NOTE

1 RANIERI 2002-03.2 Per altri casi, in luoghi e tempi diversi, ve-

di RANIERI 1997.3 Terne di numeri interi che rispettano il “teo-

rema di Pitagora”, con il quadrato del numeromaggiore, che misura l’ipotenusa, pari alla som-ma dei quadrati dei due numeri minori, che mi-surano i cateti. L’importanza pratica di queste ter-ne deriva dalla facilità con la quale permettonodi costruire un angolo retto.

4 RANIERI 2005. Ringrazio l’Autore per avermidato modo di leggere e citare lo studio in ante-prima.

5 BOYER 1990, p. 59.6 Così come si è imbattuto nei cinque polie-

dri regolari – tetraedro, cubo, ottaedro, dode-caedro, icosaedro – ritrovati in un deposito neo-litico in Scozia, a conferma di quanto la proto-storia sia lunga, tortuosa e complicata.

7 L’argomento di questo paragrafo e del suc-cessivo è esposto in maniera più completa e ap-profondita in MAGINI 2005.

8 LIVIO, Ab urbe condita, I, 43; DIONISIO DI ALI-CARNASSO, Antiquitates Romanae, IV, 16-8.

9 193 = (80 + 18) + (20 + 2) + 20 + (20 + 2) +30 + 1.

10 THOMSEN 1980, conta 20 pagine di biblio-grafia, VERNOLE 2002 ne conta 14; i testi citati daidue autori coincidono solo in parte.

11 Il triangolo con lato lungo 5 e lati corti4 e 3 è un triangolo rettangolo perché 52 = 42 +32.

12 Si supponga di avere un triangolo rettan-golo con altezza A, base B e ipotenusa C; se sidispone di un valore C che sia la somma di duequadrati di numeri interi, x e y, con x maggioredi y, il valore di A è dato dal doppio del prodot-to di x per y, e il valore di B dalla differenza deiquadrati di x e di y; ovvero, se C2 = x2 + y2, A =2xy e B = x2 – y2. Nel nostro caso, con C = 193 =122 + 72 , si ha A = 2 . 12 . 7 = 168, e B = 122 – 72

= 144 – 49 = 95. In accordo col teorema di Pita-gora, 1932 = 1682 + 952, ovvero 37.249 = 28.224+ 9.025.

13 Si potrebbe obiettare che la data ufficialedella nascita dello zodiaco, V o IV secolo a.C., èancora lontana, ma – come si diceva – anche lozodiaco avrà avuto una proto-storia lunga, tor-tuosa e complicata.

14 I rapporti armonici sono i rapporti tra lelunghezze delle corde di uno strumento a cor-da, o tra le distanze dei fori di uno strumento afiato, che determinano la nascita di suoni legatitra di loro da un rapporto di armonia.

15 IAMBLICO, De vita Pythagorica, XXVI, 115-116; MACROBIO, Commentarii in Ciceronis Som-

nium Scipionis, II, 1, 9.16 CENSORINO, De die natali, XIII, 3-5.17 Si veda HU – WHITE 2004, pp. 46-54.18 Come, ad esempio, PLUTARCO, Numa, I.19 PORFIRIO, Vita Pythagorae, VI; IAMBLICO, Vi-

ta Pythagorica, IV, 19.20L’invenzione del termine “cosmo”, cioè “or-

dinato”, è attribuita a Pitagora; DIOGENE LAERZIO,Vitae philosophorum, VIII, 48.

21 L’argomento iniziale di questo paragrafo è

esposto in maniera più completa e approfondi-

ta in MAGINI 2002b, e in IDEM. 2003b, pp. 139-143.22 La tradizione è concorde solo su giorno e

mese; l’anno è quello accettato da Varrone, che

ha finito per imporsi già in antico.23 MACROBIO, Saturnalia, I, 12, 39.24 Il Programma Cosmos dà la levata vesper-

tina di Arturo nel 753 a.C. al nostro 23 febbraio.25 ESIODO, Opera et dies, 564-9.26 Vedi, in particolare, per i moti di Venere,

MAGINI 1996; per la periodicità delle eclissi di so-

le e di luna e la rivoluzione della linea dei nodi

lunari, IDEM 2001. Per un quadro generale del ca-

lendario numano e delle conoscenze astrono-

miche implicite, IDEM 2003b.27 Vedi MAGINI 2003b, pp. 91-95; cfr. anche

IDEM 2003a in corso di stampa.28 Per un esame più completo dei nomi dei

mesi, vedi MAGINI 1987, pp. 126-141. Cfr. anche

IDEM. 2002a, pp. 230-232. Per un primo esame

dell’onomastica del mito, vedi MAGINI 1987. In

un ciclo di relazioni al Sodalizio Glottologico Mi-

lanese, tenute tra il 1999 e il 2004, l’autore ha pre-

sentato una serie di casi di nomi del mito etru-

sco-romano; cfr. MAGINI 2002a, e i successivi At-

ti del S.G.M., in corso di stampa.29 I nomi dei mesi anticopersiani sono stu-

diati da BRANDENSTEIN-MAYRHOFER 1964, p. 9. I no-

mi dei mesi etruschi dalle glosse vengono da

MOUNTDORF 1923, p. 108; i nomi dei mesi etru-

schi ricostruiti o attestati da CAFFARELLO 1975, p.

111.30 La forma iranica deriva da modelli meso-

potamici; cfr. KENT 1953, p. 206.31 TZETZES, Ad Lycophronem, 1244, cfr. TLE

1968, p. 847; LYCOPHRONE, Alexandra, 1244-5.32 Il nome non è attestato in originale, ma lo

possiamo ricostruire nella forma *Nanu.33 PALLOTTINO 1978; cfr., in particolare, p. 439.34 La prima edizione dell’Etruscologia è del

1942.35 CLARK 1969, p. 250.36 PALLOTTINO 2001, p. 104.37 Vedi S. FRAU, Etruschi – così il fascismo ne

cancellò le origini, in la Repubblica, 19.3.2001;

con la replica di M. TORELLI, Poveri Etruschi ma-

le interpretati, e la controreplica di Frau, Ma cer-

ti raffronti sulle origini vanno fatti, in la Repub-

blica, 3.5.2001. L’influenza della politica sull’at-

teggiamento degli studiosi di antichità non è pre-

sente solo nel caso Fascismo-etruscologia; scri-

ve Olson (2003, p. 186): “Le migrazioni di mas-

sa rappresentavano un vero schiaffo per certe

aberranti ideologie politiche, come il concetto

secondo cui i tedeschi discendevano in qualche

modo da una tribù di superuomini ariani che

trionfalmente entrarono in Europa dalle steppe

dell’Asia.”38 PALLOTTINO 1974, p. 45.39 OLSON 2003, p. 40. L’autore trae l’esempio

degli inglesi dal settimo capitolo di LEWONTIN

1987.40 BLOCH è citato nell’originale da CLARK 1969,

p. 7; la traduzione è di C. GINZBURG dall’edizio-

ne italiana, Einaudi Torino 1977.

41 TORELLI, Poveri Etruschi male interpretati,

in la Repubblica, 3.5.2001.42 L.L. CAVALLI-SFORZA, Ma la scienza c’inse-

gna a dire ‘non so’. A ogni età, in Il sole-24 ore,

24.10.2004, p. 35.43 Il primo fiorire di questa civiltà coincide con

la data tradizionale della fondazione di Roma.44 Vedi, ad esempio, Civiltà degli etruschi, a

cura di M. CRISTOFANI, Firenze maggio-ottobre

1985, e Gli Etruschi, a cura di M. Torelli, Vene-

zia novembre 2000-aprile 2001.45 La presenza del fiume Ombrone sulla co-

sta tirrenica e del toponimo Sarsina – “Sarsinati”

è il nome di una tribù degli Umbri - allo spar-

tiacque tra Toscana e Marche è una prova della

validità del resoconto di Erodoto relativamente

al punto in questione. Per DIONISIO DI ALICARNAS-

SO, Antiquitates Romanae, I, 19-20, “Umbri” so-

no gli abitanti di Cortona, di Cere, di Pisa, di Sa-

turnia e di Alsio che “vennero nel corso del tem-

po scacciati dai Tirreni”; analogo racconto in PLI-

NIO, Naturalis historia, III, 50.46 Resta il fatto che, se si ritiene che i Villa-

noviani non coincidano con gli Umbri, si do-

vrebbe almeno cercare di indicare il nome col

quale erano conosciuti in antico.47 Vedi GIARDINO 1999, pp. 193-209.48 CLARK 1969, p. 250.49 PLINIO, Naturalis historia, XXXIV, 139.50 OLSON 2003, pp. 50-22.51 Riprendo la cifra da PIAZZA 1991, che cita

BELOCH 1886.52 Di clienti degli Etruschi parla DIONISIO DI

ALICARNASSO, Antiquitates Romanae, IX, 4; di di-

scendenti di matrimoni misti, SILIO ITALICO, Pu-

nica, IV, 719.53 L’interpretazione secondo la quale Erodo-

to rinvia al XIII secolo la migrazione dalla Lidia

è falsa. Il racconto di ERODOTO, I, 94, è un mito

d’origine; il parallelo e più ricco racconto di DIO-

NISIO DIALICARNASSO, Antiquitates Romanae, I, 27,

lo denuncia dando i nomi degli ascendenti di Tir-

reno, “il quinto da Giove…”.54 Nasce da qui l’importanza del motivo

dell’“aratore” nella cultura figurativa degli Etru-

schi?55 CAVALLI-SFORZA 1996, p. 167, spiega che “i

neolitici potevano, grazie all’agricoltura, rag-

giungere densità di popolazione molto più alte

che i paleolitici”; qualcosa di simile, 7 o 8.000 an-

ni più tardi, deve aver comportato l’introduzio-

ne dell’acciaio negli strumenti agricoli. Lo stes-

so autore, pp. 159-160, spiega che la velocità di

riproduzione è molto alta “quando una popola-

zione di coltivatori occupa una terra quasi disa-

bitata”, e fa i casi della “provincia del Quebec, in

Canada (che) è stata portata alla densità attuale

da una popolazione che era originarimente di

circa mille donne francesi, poco più di tre seco-

li fa”, e del popolamento dell’Africa meridiona-

le da parte dei contadini olandesi.56 Così CAVALLI-SFORZA 2000, p. 370.57 CAVALLI-SFORZA-MENOZZI-PIAZZA 2000, pp.

523-4.58 CAVALLI-SFORZA-MENOZZI-PIAZZA 2000, pp.

456 e 458.

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L’ORIGINE DEGLI ETRUSCHI E LE RECENTI ACQUISIZIONI DELLA SCIENZA 21

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