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DOSSIER Le diseguaglianze non sono inevitabili FOCUS Olimpiadi invernali in Corea del Sud ATTUALITÀ I vacillanti equilibri di Gerusalemme In caso di mancato recapito, restituire all’ufficio di P.T. ROMA ROMANINA previo addebito Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50 L’azzardo dei Bitcoin L’azzardo dei Bitcoin 2 MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIA ANNO XXXII FEBBRAIO 2018

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Rivista della Fondazione Missio • Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1 Aut. GIPA/ C / RM • Euro 2,50

L’azzardo dei BitcoinL’azzardodei Bitcoin

2M E N S I L E D I I N F O R M A Z I O N E E A Z I O N E M I S S I O N A R I A

ANNO XXXII

FEBBRAIO2018

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MENSILE DI INFORMAZIONE E AZIONE MISSIONARIATrib. Roma n. 302 del 17-6-86. Con approvazione ecclesiastica.

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CON I MISSIONARI A SERVIZIO DEI PIÙ POVERI:

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P er gli amanti della Storia, ilrischio sempre in agguato è quel-lo di farne un uso improprio,

strumentalizzandola per fini ideologicio politici. Eppure sarebbe peccaminosose si perdesse quel pudore culturaleche certa ignoranza vorrebbe assecon-dare. L’impegno poi sarà sempre quellodi ricavarne una lezione di vita chepossa illuminare il nostro presente. Aquesto proposito, vale la pena rileggerela lettera di papa Gregorio VII (1020-1085) indirizzata nel 1076 ad al-Nasir,principe di Bugie in Algeria, che gliaveva inviato il prete Servandus perchél’ordinasse vescovo. Indipendentementedal contesto politico, questa missivaresta di grandissima attualità: «Questacarità, noi e voi, ce la dobbiamo reci-procamente più ancora che non la dob-biamo agli altri popoli, poiché noi ri-conosciamo e confessiamo - in mododiverso, è vero - il Dio Unico, che noilodiamo e veneriamo ogni giorno comecreatore dei secoli e maestro di questomondo, secondo la parola dell’Apostolo:“Lui è la nostra pace, lui che ha fattodei due un popolo solo” (Ef 2,14)».Nel 1219, nel pieno della quinta crociata,Francesco d’Assisi (1182-1226) riuscì aincontrare il sultano d’Egitto, assediatoa Damietta. Il frate rimase ammiratoper la sua fede che egli espose senzapolemica, scoprendo in questi nemici,uomini oranti. Al suo ritorno, il Poverellod’Assisi spinse i suoi seguaci a partire

per andare a stare pacificamente tra imusulmani, testimoniando, con la vita,la loro fede in Gesù Cristo fino al giornoin cui Dio, se lo vorrà, farà nascere unaChiesa.Più tardi Niccolò Cusano, testimonedella presa di Costantinopoli da partedei turchi, prima di diventare cardinaleformulò il sogno di una grande assem-blea che avrebbe riunito a Gerusalemmei tre monoteismi ebraico, cristiano emusulmano. Autore di un’analisi criticadel Corano, non smise di ricercare unamigliore intesa con i musulmani facendoappello alla pace della fede.E cosa dire, sul versante politico, di unpersonaggio come Federico II di Svevia,soprannominato dai contemporaneiStupor mundi. Egli si trovò a governareuna Sicilia dove nel XIII secolo eraancora forte la presenza araba, ema-nando leggi in difesa dei suoi sudditimusulmani ed ebrei, proibendo di di-scriminarli rispetto ai cristiani. Ma quan-do i ribelli islamici delle montagne cat-turarono il vescovo di Agrigento e lotennero prigioniero per un anno, Fede-rico perse la pazienza. A questo riguardo,è illuminante la riflessione di un me-dievalista di grande spessore, il professorAlessandro Barbero, il quale rileva comesia forte la tentazione di definire puliziaetnica le ripetute campagne che i soldatidi Federico condussero in Sicilia, al ter-mine delle quali non c’erano più musul-mani nell’isola. Anzitutto varrebbe

EDITORIALE

di GIULIO [email protected]

(Segue a pag. 2)

»

Storie dicondivisione

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Indice

EDITORIALE

1 _ Storie di condivisione di Giulio Albanese

PRIMO PIANO

4 _ L’inviato speciale della fede Piero Gheddo: una

vita per la missione di Ilaria De Bonis

ATTUALITÀ

8 _ Grandi speculazioni su mercati finanziari Bitcoin delle meraviglie: bolla o rivoluzione? di Ilaria De Bonis

11 _ Conflitto israelo-palestinese I vacillanti equilibri di Gerusalemme di Chiara Pellicci

FOCUS14 _ Giochi invernali in Corea del Sud

Momenti di gloria aPyeongchang

di Miela Fagiolo D’Attilia

L’INCHIESTA18 _ Dengue: si può combattere Vaccini, multinazionali e

salute dei poveri di Paolo Manzo

SCATTI DAL MONDO

22 _ Rispetto del Creato Lezioni di ecologia dai

saggi del passato A cura di Emanuela Picchierini Testo di Giulio Albanese

PANORAMA

26 _ Il papa indica strade dicoraggio e giustizia

La pace e la paura di Pierluigi Natalia

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la pena ricordare, fonti alla mano, che Federico,per ripopolare le campagne devastate, organizzòil trasferimento in Sicilia di grossi contingentidi emigranti reclutati in Piemonte, da cuiperaltro discendono, per ironia della sorte, gliabitanti di Corleone. Ma il punto cruciale è che«i saraceni catturati, se rifiutavano di convertirsial cristianesimo, non vennero messi a mortecom’era abituale in clima di crociata, ma risi-stemati in Puglia, la provincia più amata da Fe-derico, dove l’imperatore donò loro una città. ALucera, dove la cattedrale era opportunamentecrollata e il vescovo s’era dovuto trasferirealtrove, vennero risistemati 15mila musulmani,e fra di loro Federico reclutò una guardia di fe-delissimi». Da rilevare poi che durante la crociataa cui egli partecipò, si mise d’accordo col sultanodel tempo per spartirsi Gerusalemme, con grandescandalo degli integralisti da entrambe le parti.Ammettiamolo: per nessuno sarebbe stato facileimporre la condivisione in un mondo dominatodall’odio, ma non si può certo dire che Federiconon ci abbia provato.Una cosa è certa: nel dialogo con il mondoislamico non è possibile perdonare se non si hail coraggio di prendere coscienza delle feritestoriche provocate reciprocamente da entrambele comunità. Davanti al fossato delle divisioni,occorre riconoscere che Dio solo può operare laguarigione delle nostre memorie, senza pre-giudizi.

(Segue da pag.1)

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DOSSIER

29 _ Squilibri tra ricchezza e povertà Le diseguaglianze non sono inevitabili di Roberto Barbera

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

37 _ Repubblica Democratica del Congo

Kabila fa orecchie da mercante di Giulio Albanese

40 _ La missione del Sermig

L’Arsenale che fabbrica pace di Ernesto Olivero

44 _ Don Giuseppe Ghirelli da Anagni all’Etiopia

Imparare la lingua della missione di Miela Fagiolo D’Attilia

45 _ Diritti Umani Nel 70esimo anniversario della Dichiarazione Universale

Crimini e criminali della ex Jugoslavia di Stefano Femminis46 _ L’altra edicola Inquinamento dell’aria e

boom economico I veleni della Mongolia, i cieli di Pechino di Ilaria De Bonis

49 _ Posta dei missionari I Comboniani e gli

“amici del Cristo” a cura di Chiara Pellicci

RUBRICHE52 _ Ciak dal mondo LUCI SULLA FRONTIERA Napoli, terra

di missione di Miela Fagiolo D’Attilia

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OSSERVATORI

DONNE IN FRONTIERA PAG. 6

Le spose bambine di Kritidi Miela Fagiolo D’Attilia

ASIA PAG. 7

Profughi dello smogdi Francesca Lancini

AFRICA PAG. 16

L’app trova-elefantidi Enzo Nucci

MEDIO ORIENTE PAG. 17

La rabbia di Aheddi Ilaria De Bonis

GOOD NEWS PAG. 21

Quando la comunità fa la forzadi Chiara Pellicci

54 _ Libri Dal Burundi, Deddy ragazzo missionario di Chiara Anguissola

Missioni italiane nel Corno d’Africa di Chiara Anguissola

55 _ Musica LE TRIO JOUBRAN

Una meraviglia chiamata oud

di Franz Coriasco

VITA DI MISSIO

56 _ Il nuovo CUM Sotto l’egida di Missio di Felice Tenero58 _ Pontificia Unione Missionaria Missiologia all’università

on line

di Chiara Pellicci59 _ Monsignor Dal Toso, neo

presidente delle POM “La missione mi sta a cuore” di M.F.D’A.60 _ Missio Giovani Secondo Incontro di

formazione missionaria La fede? È fidarsi di Dio di Marzia Cofano

MISSIONARIAMENTE

62 _ Intenzione di preghiera La corruzione spuzza di Mario Bandera

63 _ Inserto PUM In compagnia di uomini

e profeti di Gaetano Borgo

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PRIMO PIANO

visitato più di 80 missioni e moltissimiPaesi extraeuropei, ho visto come neiPaesi di missione in genere c’è moltapiù ignoranza ma molto più entusiasmoper la fede».Ma chi era quest’uomo così determinato,

«D all’alto dei miei 87 anni iovi dico: voi che siete giovani,rimanete attaccati a Gesù e

Maria e abbiate fede nella vostra voca-zione perché quando sarete vecchi rice-verete il premio di capire. Io adesso loso: il senso profondo di tutta la miavita, di uomo e di missionario, è statoed è questo: parlare di Gesù. Io devoparlare di lui». È una delle ultime interviste,risalenti al 2016, rilasciate da padre

Piero Gheddo, missionario giornalista,scrittore, osservatore del mondo, salitoal cielo il 20 dicembre 2017. A raccogliereil prezioso dono in questo caso è Gero-lamo Fazzini.Poi c’è l’intervista ancora più recente algiornalista Paolo Annechini, nella qualeGheddo rivela: «La storia dipende dalloSpirito Santo: è lui che guida la missione.Io sono ottimista al massimo sulla Chiesae su di me, sulle nostre storie personali:tutto quello che ci capita è conseguenzadell’assistenza dello Spirito Santo. Questolo abbiamo scordato. Ma io che ho

di ILARIA DE [email protected]

Piero Gheddo:una vita perla missione

Piero Gheddo:

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L’inviato speciale della fede

ricco di fede, di entusiasmo per la vita,di spirito missionario, fino alla fine deisuoi giorni? Il 10 marzo 1929 a TronzanoVarcellese, da Giovanni Gheddo e RosettaFranzi, primo di tre fratelli, nasce Piero.Il ragazzo frequenta il Seminario dioce-

severo. Ero vicino a lui, soffriva di asmae mi diceva: “Ho un solo dubbio e il miodubbio è: perché Dio ci fa vivere cosìpoco?”. Poco? Risposi io. Lui aveva 84anni! Eppure pensava: “Proprio adessoche incominciavo a capire il valore dellavita, della missione, della vocazione edella fede”».È da anziani, ripeteva spesso Gheddo,che si tirano le fila: la vecchiaia non èuna cosa brutta, tutt’altro. È la cartinadi tornasole di un’intera vita. È proprioin età matura che la missione cominciaad acquisire un senso. Che il tutto prendeforma. E così è stato per lui, che il sensoglielo aveva dato per quasi 90 anni:viaggiando come giornalista e riportandonei libri tutto ciò che aveva visto, pensatoe ricevuto.I libri scritti da Piero Gheddo sono oltreun centinaio, la maggior parte dei qualipubblicati con la EMI e la San Paolo. Trai titoli ricordiamo: “Il sogno di Padre Al-fredo”, (coautore Giuseppe Pagliari) del2008; “Missione Bengala. I 155 anni delPime in India e Bangladesh”, EMI, 2010e “Meno male che Cristo c’è. Vangelo,sviluppo e felicità dell’uomo”, (co-

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Il 20 dicembre scorso ilmissionario giornalistaper eccellenza, padrePiero Gheddo, è salito al Padre. La sua è stata una delle vitemissionarie più dense e ricche di fede. E anche una delleesistenze piùdocumentate, grazie ai tanti libri scritti, alle interviste e agliinnumerevoli articoli. Il suo blog,Armagheddo, è unapietra rara.

sano di Moncrivello, in provincia di Ver-celli, nel 1945 entra nel Pontificio IstitutoMissioni Estere (PIME) e viene ordinatosacerdote nel 1953. La sua vita saràtutta orientata alla scoperta del mondo,alla missione in terre lontane dall’Africaalla Birmania e all’India, da Cuba allaCina, e alla testimonianza che lo Spiritoarriva davvero ovunque.«Qualche anno fa sono stato in Borneo– raccontava a 80 anni suonati - lì c’èuna Chiesa che sta crescendo con po-chissimi preti e moltissimi laici e, anchese si tratta di povera gente, quando en-trano nell’annuncio di Cristo, capisconola differenza enorme che c’è nel viverecon Cristo o con le loro religioni natu-rali».“Inviato speciale ai confini della fede” èuno dei suoi libri più recenti e di maggiorsuccesso: ripercorre la lunga vicendamissionaria di Gheddo e ricorda i tantiviaggi fatti. «Posso parlare di un piccoloaneddoto? – dice in un’altra delle storicheinterviste video a Fazzini - Nel 1968moriva a Roma padre Tragella, discepolodi padre Manna che mi aveva educatoal giornalismo missionario in modo molto »

Padre Gheddo con Madre Teresa di Calcutta,canonizzata da papa Francesco nel settembre 2016.

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PRIMO PIANO

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A fianco:

Padre Piero e dom Hélder Camara.

Il suo sogno era quello di portare il Vangelo in India ma il Pime lo impegna suun’altra frontiera, quella della carta stampata. Nel 1967 il “reporter della missio-ne” inizia ad inviare le sue corrispondenze dal fronte di guerra in Vietnam, unPaese spaccato tra Nord e Sud dopo la fine della Seconda Guerra mondiale elacerato da una guerra ideologica iniziata nel 1955. Lo stesso Gheddo ricordamolto tempo dopo che, negli anni Sessanta il quotidiano cattolico Avvenire percui pubblicava, non seguiva «la moda ideologica allora corrente: ha spessodocumentato, con corrispondenze dal Vietnam, che i supposti “liberatori” eranonuovi e peggiori oppressori. E questo si poteva già conoscere nelle regioni “lib-erate” da vietcong e forze armate nord-vietnamite, da cui il popolo fuggiva inmassa a rischio della vita (dopo il 1975 un milione e più di boat people). Ma lagrande maggioranza dei giornalisti non si sognava nemmeno di sobbarcarsiviaggi pericolosi per andare in quei luoghi». In mezzo agli orrori della guerra fra-tricida alimentata da potenze straniere, comprende la superficialità del giudizioche vedeva - sono ancora le sue parole - «tutto il male da una parte (il Vietnamdel Sud), tutto il bene dall’altra (quello del Nord e i vietcong)».Gheddo scrive il corposo volume “Cattolici e buddhisti in Vietnam” (Vallecchi1968) in cui spiega l’origine di quell’odioso conflitto. L’ampia documentazionedai luoghi più dimenticati e pericolosi del Paese ha permesso di riesaminare neltempo con maggiore serenità e ampiezza di vedute, il senso di tanti disastri etanti profughi. Scrive padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews, l’agenziadi notizie fondata da Gheddo, ricordando il suo maestro: «In un periodo di grandiconflitti ideologici egli ha coniugato una netta identità ecclesiale insiemeall’apertura e all’impegno nelle piaghe sociali del mondo, convinto del contribu-to insostituibile del Vangelo per la piena dignità dell’uomo. Su questa linea, cheè quella del Concilio Vaticano II, è stato il primo a denunciare – dopo aver vistocoi suoi occhi in Vietnam – l’ideologia violenta dei vietcong, osannati da tutto ilmondo, testimoniando la loro oppressione verso il popolo vietnamita».

M.F.D’A.

GHEDDO, CRONISTA DI GUERRA IN VIETNAM

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I n India il 73% delle donne è sposato conun matrimonio combinato dalla famiglia,

spesso in età precoce e a volte con uominimolto più grandi di loro. Nel Rajasthan delNord la percentuale di spose bambine è tra lepiù alte al mondo (riguarda infatti il 65%delle ragazzine al di sotto dei 18 anni), malgradola Corte suprema indiana abbia approvatol’11 ottobre 2017 una legge mirata a limitare imatrimoni precoci. Una donna di appena 30anni, Kriti Bharti, psicologa attivista dei dirittiumani, ha sentito la necessità di battersi contropregiudizi e tradizioni diffuse e di aiutare leragazze che si trovano da sole ad affrontaregrandi difficoltà, senza aiuto da parte della fa-miglia. Fondatrice dell’associazione SaarathiTrust, Kriti si dedica dal 2011 alla prevenzionedelle nozze con adolescenti attraverso l’edu-cazione ai diritti della donna nelle famiglie econ le ragazze delle scuole. Ha aiutato circa900 bambine ad evitare unioni ingiuste e pe-ricolose per la salute fisica e psicologica dellegiovanissime promesse spose. Per altre, comeSushila Bishnoi, è stata l’agguerrita paladinache ha portato alla scioglimento di situazioniai limiti della schiavitù forzata.Kriti Bharti definisce la piaga dei matrimoniprecoci come una “camera scura” in cui lebambine non hanno la percezione del futuro;per molte, anche dopo l’annullamento dellenozze è necessario un periodo di riabilitazionecon équipe specializzate in comunità, doveviene offerto loro la possibilità di studiare o diapprendere un mestiere. Dice Kriti: «Grazie aimiei sforzi, 30 matrimoni precoci sono statiannullati e le ragazzine inserite in programmiformativi. Un modo concreto di cambiare lavita di queste giovani donne e la mentalitàdella gente». Conosciuta come una donna co-raggiosa, determinata e capace di offrire nuoveprospettive di vita a chi la incontra, la Bhartiha dedicato la sua resilienza di bambina ab-bandonata dal padre ad altre bambine in dif-ficoltà. «Fino a quando ce la farò, lotterò perimpedire una tradizione che deve fermarsi,soprattutto nelle campagne dove è ancoralegge».

di Miela Fagiolo D’Attilia

LE SPOSE BAMBINE DI KRITI

OSSERVATORIO

DONNE INFRONTIERA L’Osservatore Romano, Il Giornale, Gente,

Epoca, Famiglia Cristiana e Messaggerodi Sant’Antonio.«Normalmente quelli che scrivono sul-l’Africa vedono l’Africa dall’esterno –aveva spiegato nel corso di una confe-renza - Parlano dello sviluppo africanovisto da fuori. Problemi di economia,politica, ecc. Ma sono le Chiese localiche parlano dei problemi concreti dellagente. L’Occidente vede soprattutto lecause esterne mentre la gente del postovede quelle interne». E tra queste, lui ci-tava l’istruzione, ovvero la mancanza diistruzione. Però, amava ripetere che seb-

autore Gerolamo Fazzini) del 2011. D’altraparte la sua attività intellettuale è tra lepiù fertili: fu fra i fondatori dell’EditriceMissionaria Italiana nel 1955. Ha direttola rivista Mondo e Missione dal 1959 al1994 ed è stato fondatore e direttoredell’Agenzia AsiaNews nel 1987. PadreGheddo ha collaborato con numerosigiornali italiani, tra i quali Avvenire,

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B eijing, Shanghai, Chengdu, Guangzhou,Tianjin. Da queste megalopoli estrema-

mente inquinate, fuggono in modo definitivoo periodico centinaia di migliaia di cinesi. Imedia locali li chiamano “smog refugees” efanno parte di una borghesia stanca di aspet-tare che i cieli ritornino blu, come promessodal presidente Xi Jinping. Per alcuni il bigliettoaereo è di sola andata. Ji Feng e sua moglieLiu Bing, dopo 20 anni di vita a Pechino, sisono trasferiti nella città tropicale di Jinghong,al confine con il Myanmar e il Laos. Al gior-nalista Tom Phillips del Guardian raccontanodi non avere rimpianti. Hanno comprato per52mila dollari un bilocale all’interno di uncondominio circondato da palmeti, nei pressidel fiume Mekong.Le migrazioni hanno registrato un boom,soprattutto dopo l’allarme rosso per inqui-namento atmosferico del dicembre 2016.Per diversi giorni il livello di PM2.5 avevasuperato in 23 città del Nord e del centro imille microgrammi per metro cubo, quandol’Organizzazione Mondiale della Sanità rac-comanda una percentuale annua di nonoltre 10 microgrammi. La cosiddetta “aira-pocalypse” del 2016. Il sito di viaggiQunar.com vendette in quel periodo il triplodi biglietti aerei per le campagne nell’Oveste le coste orientali, ma anche per resort delSud. Emma Zhang, una mamma intervistatadal South China Morning Post, raccontavadi aver portato suo figlio di tre anni aTengchong, nello Yunnan, per “respirare”almeno nel fine settimana. «La tosse persi-stente che io e il mio bambino avevamo aChengdu, si è fermata». Al quotidiano diHong Kong un’impiegata di Pechino, ValenLin, ha aggiunto: «Dopo essere stata perdue giorni in una zona sciistica, è stato ter-ribile tornare all’aria di Pechino e sentirenuovamente la mia gola bruciare». Di frontea nuovi bisogni, in un anno è esploso ancheil “clean lung market”, ovvero il turismoossigena-polmoni. Peccato che, per acco-gliere i nuovi viaggiatori, in zone primaincontaminate stiano emergendo grattacieliin serie, villaggi artificiali e centri commer-ciali.

di Francesca Lancini

PROFUGHIDELLO SMOG

OSSERVATORIO

ASIA

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Qui in missione sono isolato, ma quandovedo sorgere il sole capisco che Dio èsempre con me”. Il suo metodo pastoraleera andare nei villaggi per conoscere,incontrare, promettere scuole, ospedalie ha fondato la Chiesa».Indimenticabile è il suo blog: Arma-gheddo, che ci rimane comunque comedocumento, pozzo di informazioni, aned-doti, storie. E ricostruzioni storiche pre-ziosissime. «Con questo blog inizio unaserie di articoli sul Pime (intervallati conaltri di diversi contenuti): dalla nascitaall’attualità - scriveva a novembre 2017,un mese prima di morire - dalla prima

missione in Oceania, allapresenza dell’Istituto neiquattro continenti “missio-nari”, Oceania, Asia, Africae America Latina; dai primisacerdoti e fratelli dipendentidai vescovi lombardi al Pimeinternazionale con membridi una ventina di nazioni;dalla scelta di territori “ver-gini” dove fondare le primecomunità cristiane, al serviziodelle giovani Chiese locali;la preziosa eredità della no-stra storia, il martirio e lasantità; l’identità attuale delPIME».

bene povere e meno istruite, quelle po-polazioni del Sud del mondo «continuanoad avere la fede che a noi manca».Gheddo si ispirava molto a padre Cle-mente Vismara, morto nel 1988 in Bir-mania, del quale era stato postulatoredella causa di beatificazione: «Padre Vi-smara non aveva nessuna ombra nellasua vita - diceva Gheddo - aveva fattotanto, suscitato tanta devozione e graziericevute. Ha convinto anche l’avvocatodel diavolo! Era un uomo che condiva lacordialità e l’accoglienza con la genialitàe l’ironia. Mi raccontava: “Voglio saliresulla collina per vedere sorgere il sole.

L’inviato speciale della fede

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ATTUALITÀ

nager cinesi che hanno deciso di investirenella moderna ricerca dell’oro. Ad ottobre2014 le sei miniere generavano 4.050Bitcoin al mese, ma consumavano ancheun livello tale di energia elettrica dacostare 80mila dollari in bollette mensili.Il che significa un uso del carbone allestelle ed un accentuato inquinamentodell’atmosfera.La prima delle sei miniere sorge a Dalian,nella zona di Changcheng: è qui che ilgruppo di amici ha messo su il progetto,diventando azionista di una fabbrica

di ILARIA DE [email protected]

di Bitcoin. Il giornale on-line Mother-board ha realizzato un documentariosu questa realtà in espansione: al se-condo piano di un edificio qualsiasi,un migliaio di computer producono al-goritmi e rispondono a quesiti on line.Entrare nella fabbrica è come metterepiede in un mega-ufficio fantasma.Deserto, ma in piena attività.«Noi corriamo tutto il giorno in unacorsa contro il tempo per risponderead una domanda, prima che ci arrivinogli altri», spiega in modo criptico uno

Isolate nel Nord-est rurale della Cinapiù desolata, ci sono sei “miniere”assolutamente fuori dal comune. Al-

l’interno di queste factory degli anniDuemila – in gergo dette Mining pools- non si estraggono oro o minerali pre-ziosi. Si producono, o meglio si otten-gono, Bitcoin, monete elettroniche.La proprietà delle fabbriche è di ungruppo segreto di quattro persone, ma-

Bitcoin dellemeraviglie: bollao rivoluzione?

Bitcoin dellemeraviglie: bollao rivoluzione?

Grandi speculazioni sui mercati finanziari

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dei manager. Che vuol dire questo?«Chiunque faccia il calcolo giusto vienericompensato e guadagna – dice lui -Al nostro massimo riusciamo a fare100 bitcoin al giorno nelle sei fabbriche.Ma siccome le difficoltà e la potenzadi calcolo aumentano, è sempre piùdifficile ed anche i costi dell’elettricitàsono un fattore collegato».

CINA SUPERSTAR: PIÙ CARBONE E INQUINAMENTOIl Bitcoin è in effetti un sistema di pa-

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Sono cioè in linea orizzontale e comu-nicano tra di loro da una posizione diparità.

DEMOCRAZIA O BUFALA?Gli utenti tengono continuamente ag-giornato un unico file che ha la funzionedi “registro contabile” accessibile a tutti,sul quale sono costantemente riportatetutte le transazioni di denaro dall’iniziofino ad oggi. Il registro è chiamatoblockchain.Non c’è un sistema piramidale dietro,ma una comunità che garantisce la si-curezza e la correttezza delle operazioni.La vera novità dunque sta nel fattoche si conia moneta e si accede ad unmercato svincolato da qualsiasi inter-mediazione finanziaria. Siamo in un si-stema parallelo a quello bancario.Il quale però tenta di replicarlo. Ilsistema di “estrazione” dei Bitcoin hadinamiche simili a quelle dei primi cer-catori d’oro: la materia preziosa si cercarispondendo a domande informaticheformulate da un algoritmo, le quali di-ventano sempre più complesse manmano che il sistema si perfeziona. Lenuove monete hanno però un tettomassimo di produzione, sono quindiun bene finito. Dopo aver elencatoalcuni “vantaggi”, passiamo ad analiz-zarne i difetti. Per restare competitivo,un miner è costretto a dotarsi di har-dware sempre più potenti, impiegandorisorse, energia e tempo. Diventa quindiun vero e proprio lavoro. Dove non c’èspazio per dilettanti. Spesso il minerunisce le proprie forze ad altri “cer- »

I Bitcoin, o monete elettroniche, nascono nel 2008per rilanciare la creazione di denaro svincolato dal debito al di fuori del sistema finanziarioclassico. Con gli anni questa è diventata una vera epropria industria. Peccato che dietro ci sia il nulla. Ossia: difficilissimi calcoli e algoritmi.

»

gamento elettronico gestito esclusiva-mente on line, senza corrispettivo car-taceo, progettato per funzionare al difuori del controllo delle banche. Tantoche il sistema bancario tradizionalenon lo ama affatto. La Cina, che ricavail 60% dell’elettricità dal carbone, è ilmaggior operatore di miniere di questanatura, e probabilmente conta un quartodi tutto il potenziale mondiale usatoper produrre cripto-monete, secondouno studio divulgato da Garryck Hilemane Michel Rauchs della Cambridge Uni-versity. Circa il 58% di questo tipo dimining pools ha sede in Cina, seguitasubito dopo dagli Usa che ne possiedeil 16%. Le server fabbriche sono collocateper lo più nelle province di Xinjiang,Inner Mongolia e Heilongjiang. Il mezzodi produzione non è una carta di creditoelettronica bensì una app. Nello stessoanno in cui Lehman Brothers negli Usadichiarava bancarotta (2008), un mi-sterioso programmatore con lo pseu-donimo di Satoshi Nakamoto annunciavaal mondo intero, tramite un forum dicrittografia, la nascita dei Bitcoin. Ve-diamo meglio come funzionano.Apparentemente molto democratico esoprattutto svincolato dalla produzionedi debito (è un po’ come tornare al si-stema aureo, con parità fissa, solo chedietro non c’è oro e nulla luccica), il si-stema appartiene alla comunità. È peer-to-peer, ossia di rete paritaria. Ricalcaun modello informatico di architetturalogica in cui i nodi non sono gerar-chizzati sotto forma di server fissi, mafungono sia da client che da server.

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“bolle” finanziarie, ha spiegato che lamoneta ha un valore «anti-governativoe un sentore decisamente anti-regola-torio». È come se prosperasse al di fuoridelle regole classiche: «Sarebbe una ma-gnifica storia se fosse vera», ha detto aBloomberg. Goldman Sachs afferma chesi tratta di un «veicolo per perpetuareuna frode». Il miliardario Carl Icahn af-ferma che «sembrerebbe proprio unabolla». In grado di far crollare un interosistema finanziario. Dietro, insommanon c’è ciccia. Peggio. Dietro c’è specu-lazione. Sarebbe un sistema finanziarioancora più potente perché due voltevirtuale. A differenza dell’euro, del dollaroe di tutte le monete correnti, i Bitcoinsono agganciati ad un valore determinatoe finito.«Si tratta di un’attività speculativa in-stabile», ha dichiarato William Dudley,presidente della Federal Reserve di NewYork, che poi però svela di aver pensatoad una cosa simile: «La Banca centraleUsa sta pensando a una propria valutadigitale». Insomma, banche e banchieriodiano i Bitcoin perché li temono. Main realtà li vorrebbero.

ATTUALITÀ Grandi speculazioni sui mercati finanziari

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gran parte fuori legge, dove si acquistanoarmi e droghe di ogni tipo. Questo èl’aspetto più inquietante e meno tra-sparente di tutta la faccenda. L’altroeffetto perverso è quello della bubble:la bolla finanziaria.In effetti a non amare la moneta elet-tronica non sono solo le banche, maanche i più grandi economisti che met-tono in guardia. Primo fra tutti, JosephStiglitz che ha dichiarato: «I Bitcoinhanno successo solamente perché inpossesso di un alto potenziale per aggirarele leggi fiscali, ma non hanno alcunafunzione sociale. Se i governi mettesserofuorilegge la cripto-valuta, il suo valoredi mercato crollerebbe immediatamente».Dello stesso avviso è Paul Krugman cherisponde a Business Insider: «È tuttoimmerso in quest’alone di mistero, perchéè la tipica cosa tecnologica sofisticatache nessuno capisce davvero. Non c’èstata finora alcuna dimostrazione delfatto che sia davvero utile ai fini dellaconduzione di transazioni economiche».Una bolla più aleatoria di quella deimutui subprime, parrebbe. Robert Shiller,che ha vinto il Nobel per un lavoro sulle

catori”, nei cosiddetti mining pool. Èquello che hanno fatto i quattro amiciin Cina: hanno creato una squadra. Lorosono la testa, gli operai i tecnici. La pre-senza tecnica deve essere garantita 24ore al giorno in “miniera”, ma non servemolto personale: bastano poche personeper un sito, e non devono essere attivetutto il tempo.«La maggior parte dell’attività consistenel monitorare le macchine, ma poi glioperai possono dormire, leggere, farealtro», spiega il manager. Rimanendonei paraggi nel caso in cui il sistemaandasse in tilt, o l’elettricità saltasse ecosì via. «È un lavoro molto noioso –dice il cinese - ma non è faticoso». So-stanzialmente tutto il grosso del lavorodi calcolo lo fanno le macchine che“scavano” nella speranza di trovare unapepita inesistente. Ossia una monetavirtuale.

CRIMINALI INFORMATICI E BOLLEChi entra nel gioco accetta dei pagamentiin Bitcoin e ne fa a sua volta; la novitàè che può anche fare shopping nel deepweb, quella zona del web segreta e in

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Conflitto israelo-palestinese

L ungo la ripida discesa dalla collinadi Betfage alla valle del Cedron,c’è un pianoro sulla destra dal

quale la vista di Gerusalemme è moz-zafiato. Da qui si apre ad “altezzaocchio” il panorama sulla Città Vecchia,che si mostra a portata di mano, ma altempo stesso irraggiungibile per la pro-fondità dell’avvallamento sottostante.Proprio da qui anche lo sguardo diGesù si lasciò incantare, tanto che nelVangelo di Luca (capitolo 19, versetti41-42) si legge: «Alla vista della città,pianse su di essa, dicendo: “Se avessicompreso anche tu, in questo giorno,la via della pace. Ma ormai è stata na-scosta ai tuoi occhi”». Nessuna parola

I vacillantiequilibri diGerusalemme

di conflitto israelo-palestinese. Fino al-l’attualità.Eppure la diplomazia internazionale haspeso fiumi di inchiostro per rincorrerela pace di Gerusalemme, miriadi di oredi vertici, incontri, assemblee per pro-durre equilibrismi: improbabili per »

di CHIARA [email protected]

fu più profetica, nessuna lacrima versatapiù premonitrice: non solo nell’arco deisuccessivi 40 anni, Gerusalemme fu as-sediata dalle legioni romane e rasa alsuolo, ma anche nei due millenni distoria la Città Santa non ha mai vissutonella concordia. Fino agli ultimi decenni

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Perché l’annuncio del trasferimento di un’ambasciatada Tel Aviv a Gerusalemme può mandare in fiammela Terra Santa, in tilt l’Onu, a “carte quarantotto” leproposte di pace israelo-palestinesi, in soffitta lasoluzione “due Stati per due popoli”? A prima vista, glieffetti potrebbero sembrare sproporzionati rispettoalla causa che li ha generati. Ma per capire cosa c’è ingioco, occorre immergersi nella Gerusalemme di oggi,senza dimenticarne la storia.

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ATTUALITÀ

zionale lo status di Gerusalemme, defacto la situazione venutasi a creare sulterreno in questi ultimi decenni rendeconcretamente inattuabile l’applicazionedi una tale condizione per la Città Santa.E tutto ciò, non a causa del trasferimentodi un’ambasciata (sia pure statunitense)da Tel Aviv a Gerusalemme, quantoperché concretamente la soluzione dipace basata su “due Stati per due popoli”,alla base di tutte le proposte di accordiisraelo-palestinesi, è ormai inapplicabile.Le cause sono molteplici e riscontrabilida chiunque visiti Gerusalemme con oc-chio attento:- l’espansione delle colonie ebraiche nellaperiferia meridionale e orientale dellacittà, in particolar modo verso la de-pressione di Gerico, in modo da chiudereil cerchio di insediamenti sorti intorno aGerusalemme, interrompendo così lacontinuità dell’area che in un futuro do-vrebbe essere assegnata allo Stato pale-stinese;- la costruzione del muro di separazionetra Israele e i Territori occupati, il cuitracciato non corre sulla Linea Verde(ovvero lungo i confini antecedenti allaGuerra dei Sei Giorni), ma si insinua al-

Famiglia palestinese in unrifugio improvvisato neldistretto Khan Younis a Gaza.

ogni altra parte del mondo, gli unicipossibili per la Città Santa.Non è questa la sede per ripercorrere letappe delle varie risoluzioni delle NazioniUnite e dell’avvicendarsi degli eventistorici che hanno portato all’attualestatus (provvisorio) di Gerusalemme.Basti, però, ricordare che ad oggi – no-nostante l’Onu preveda per la Città Santaun regime internazionale – Israele ne ri-vendica il totale controllo, sia sulla parteoccidentale, sia su quella orientale (com-prendente anche la Città Vecchia), cheinvece dovrebbe essere sotto controllodel Regno di Giordania (stando agliaccordi firmati a seguito della guerraarabo-israeliana scoppiata dopo la pro-clamazione dello Stato d’Israele e con-clusasi nel 1949). Dal 1967, infatti, dopola Guerra dei Sei Giorni, Israele occupadi fatto anche la parte orientale di Ge-rusalemme e considera la città come suacapitale, “riunificata e indivisibile”. Perl’Autorità nazionale palestinese (Anp)tutto ciò è inaccettabile: Gerusalemme(in arabo, al-Quds) dovrà essere la capitaledello Stato di Palestina, quando nascerà.Anche la comunità internazionale nonriconosce l’annessione di GerusalemmeEst ad Israele, né la scelta dello Statoebraico di considerarla come propria ca-pitale: è per questo che fino ad oggi leambasciate straniere in Israele hannobasato la propria sede a Tel Aviv, anziché

nella Città Santa. In un tale contesto, larecente decisione del presidente Usa,Donald Trump, di spostare la propriaambasciata a Gerusalemme non è unparticolare appannaggio delle diplomazie,ma una scintilla che incendia un paglia-io.Molte voci sono unanimi nell’affermareche nel conflitto israelo-palestinese, Ge-rusalemme è l’ago della bilancia. MaiAlkaila, ambasciatrice palestinese in Italia,intervenuta durante la Giornata inter-nazionale di solidarietà per il popolo pa-lestinese, svoltasi nel Salone dei Cinque-cento a Firenze il 9 dicembre scorso, hadichiarato: «La pace comincia a Gerusa-lemme e finisce a Gerusalemme: il presi-dente degli Stati Uniti, Donald Trump,ha riconosciuto Gerusalemme come ca-pitale d’Israele; ciò rappresenta un attodi ostilità verso il popolo palestinese everso il diritto internazionale». Lo stessocardinale Carlo Maria Martini, che diGerusalemme ha fatto la sua secondacasa fin tanto che le condizioni di saluteglielo hanno permesso, negli incontripersonali confessava spesso: «Quando cisarà pace a Gerusalemme, ci sarà pacein tutto il mondo, perché come è difficileottenerla qui, non è altrove».

DE FACTO E DE IURE

Se de iure (cioè, per diritto) la quasitotalità del mondo considera interna-

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discapito dei gerosolimitani palestinesiche, per lo status giuridico, sono definiti“residenti permanenti” ma di fatto ri-schiano di perdere il loro diritto di per-manenza se, per i più disparati motivi,vivono per un periodo fuori Gerusa-lemme. Per esempio: non aver pagatoqualche bolletta o le tasse comunalipuò diventare motivo di espulsione perperdita di residenza e annullamentodella carta d’identità. Spiega Neve Gor-don, saggista israeliano e docente distoria all’Università di Be’er Sheva: «Ge-rusalemme è una città in cui si compionodiscriminazioni gravi a danno della po-polazione non ebraica». Israele – prosegue– «ha trasformato la zona Est, dove hainsediato centinaia di migliaia di suoiabitanti, in colonie costruite dopo il1967 e i palestinesi di fatto vivono inun sistema di apartheid».A chi perde il diritto alla residenza, ven-gono confiscati anche i possedimentisecondo la Legge della proprietà degliassenti. Si tratta di un provvedimentoche risale al 1950, emanato con l’obiet-tivo di espropriare le abitazioni dei pa-lestinesi che, con la nascita dello Statod’Israele, erano fuggiti dalle loro terre

Conflitto israelo-palestinese

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l’interno delle aree palestinesi, sottra-endole al futuro Stato;- il cosiddetto “fenomeno dell’ebraizza-zione” della Città Vecchia e di altri quar-tieri di Gerusalemme Est a maggioranzaaraba: con atti formali di compravendita,molto spesso ebrei facoltosi od organiz-zazioni sioniste acquistano da famigliepalestinesi abitazioni, edifici, appezza-menti di terra, facendo leva sulle condi-zioni di miseria in cui versa gran partedei gerosolimitani arabi (l’82% dei bam-bini palestinesi vive in stato di povertà,secondo l’Agenzia dell’Onu per il Com-mercio e lo sviluppo); camminando neivicoli della Città Vecchia, capita spessodi imbattersi in un edificio sul quale, amo' di conquista, è stata appesa la ban-diera con la Stella di Davide;- le demolizioni delle case, ordinate dalComune di Gerusalemme per quelle de-finite “illegali”: un recente rapporto del-l’OCHA, l’Ufficio delle Nazioni Unite pergli affari umanitari, denuncia che nelsolo 2017 sono state abbattute 420strutture palestinesi, di cui 142 a Geru-salemme Est.La politica dei “fatti sul terreno” vieneattuata anche con leggi che vanno a

(diventando quei milioni di profughiche ancora oggi rivendicano il diritto alritorno). Dal 2015 la Corte Supremaisraeliana applica questa legge ancheai palestinesi di Gerusalemme Est chesono stati costretti a lasciare la propriaabitazione nella Città Santa (per motivieconomici o di altro tipo) e si sono tra-sferiti anche solo temporaneamente inCisgiordania.

UN SOLO STATO POSSIBILECon questa “situazione sul terreno”, ilfuturo Stato palestinese non avrà mododi nascere, se non sui resti che Israelepotrebbe (ammesso che lo voglia) lasciareagli arabi. Ma questi ultimi non accet-teranno mai di rinunciare a Gerusalemmecome loro capitale, né ad aree limitrofeoggi sotto occupazione israeliana. D’al-tronde i negoziati tra Israele a Anp, chefinora non hanno portato ad alcun ri-sultato, hanno sempre seguito il principioper cui non si arriva a “nessun accordofinché non c’è un accordo su tutto”. Ein questo “tutto”, Gerusalemme è sicu-ramente il nodo cruciale.Con la decisione statunitense di spostarela propria ambasciata nella Città Santa,riconoscendola quindi ufficialmente ca-pitale di Israele, la soluzione dei “dueStati” è svanita definitivamente. Lospiega bene Gideon Levy, giornalistaisraeliano, sul quotidiano Haaretz: «Nelsuo annuncio orribilmente unilaterale,Trump ha dichiarato che non ci sonodue nazioni con uguali diritti in questaterra di due nazioni. C’è una nazionecon una capitale e tutti i diritti, eun’altra nazione inferiore senza diritti.Quell’altra nazione deve ora riconoscerela sua situazione ed adeguare i suoiobiettivi alla realtà dichiarata da Trump».In altre parole oggi l’unica praticabilesoluzione del conflitto israelo-palestineseè “uno Stato”. Secondo il giornalistaisraeliano, l’Anp «deve iniziare a lottareper l’ovvio: uguali diritti per tutti. Unapersona, un voto. Uno Stato democraticoper due popoli. Questa è l’unica opzionerimasta, oltre all’apartheid».

Donne palestinesi protestano per le strade di Gaza contro la decisione delpresidente Donald Trump di spostarel’ambasciata statunitense a Gerusalemme.

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FOCUS Giochi invernali in Corea del Sud

L e Olimpiadi invernali di Pyeon-gchang si celebrano dal 9 al 25febbraio all’insegna del disgelo

tra le due Coree. Un evento storico chelascia il mondo col fiato sospeso per lasvolta che può segnare nei rapporti traNord e Sud Corea e negli equilibri in-ternazionali che gravitano sull’areaorientale dell’Asia. Dopo l’avvio del pro-gramma missilistico nucleare nel 2006da parte del leader nordcoreano KimJong-il, padre di Kim Jong-un, i lancidi testate sempre più potenti e a lunga

gittata sono diventati così frequentied enfatizzati dal regime da terrorizzarenon solo il Giappone, ma gli Stati Unitie il mondo intero. Negli ultimi mesi del2017 la minaccia di una guerra nuclearedevastante è andata crescendo tra icontinui e sempre più diretti botta erisposta tra il presidente americano Do-nald Trump e il dittatore nordcoreanoda lui definito “rocket man”. Icona diuna delle ultime dittature comunistesul pianeta, circondato dai suoi generalie sempre con un sorriso beffardo stam-pato sul viso, Kim Jong-un si è rivelatol’abile regista di una situazione inter-nazionale che pareva già definita tral’appoggio cinese, gli interessi russi e

la presenza americana al di qua del fa-moso 38esimo Parallelo. Tra i sali escendi delle borse e il lavorio delle can-cellerie diplomatiche, in molti si sonochiesti quale ruolo avesse nella vicendala Corea del Sud, con il neo presidenteMon Jae-in, democratico e grande fau-tore della pacificazione della penisoladivisa in due tronconi dopo la finedella Seconda guerra mondiale. Daallora il confine più militarizzato delmondo – lungo 240 chilometri e largoquattro - ha spaccato famiglie e storiacomune in nome della spartizione inosservanza alle ideologie politiche: co-munista al Nord e filo americana alSud. Diverse generazioni di nordcoreani

Momentidi gloria aPyeongchang

Momentidi gloria aPyeongchang

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

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visita di Nixon a Mao in Cina.Con l’inizio di quest’anno, per la primavolta dopo il 2015, il dialogo inter-co-reano è già andato molto più in là diquanto sperato. Oltre a inviare una de-legazione nordcoreana ai Giochi olimpiciinvernali è stata confermata la ripresadelle comunicazioni militari «per al-lentare le tensioni al confine». Forte-mente voluto dal Ministero dell’Unitàsudcoreano, l’incontro si è svolto aPanmunjom, un villaggio alla frontieratra i due Stati, dove fu stabilito il“cessate il fuoco” della guerra di Corea(1950-1953). L’annuncio è stato datoqualche ora dopo che la Corea del Sude gli Stati Uniti hanno accettato di ri-mandare le manovre militari previstedurante lo svolgimento dei Giochi olim-pici, esercitazioni che negli ultimi dueanni hanno contribuito ad aumentarela tensione nella penisola coreana. Dopogli ultimi, potenti tre test nucleari e ledichiarazioni del dittatore nordcoreanodi «essere in grado di raggiungerel’intero territorio degli Stati Uniti conarmi nucleari», con uno dei colpi discena in cui è maestro, nel discorsod’inizio anno alla nazione, Kim Jong-un ha teso la mano alla Corea del Sud,adombrando la partecipazione di atletinordcoreani ai giochi. «Le consultazionisono una cosa positiva» ha twittatosubito Donald Trump, rimangiandosil’ultima dichiarazione: «Sono potentee pronto ad usare tutta la nostra potenzacontro la Corea del Nord». Poi il »

Comunque vadano, queste Olimpiadi in cui la squadradi atleti della Corea del Nord sfila sotto la stessabandiera di quelli della Corea del Sud, sono già storia.Sport e politica internazionale si danno la mano aPyeongchang, dove grazie alla cosiddetta “diplomaziadel ping pong”, i capi di Stato di Paesi finora contendentisi trovano faccia a faccia per mettere fine, si spera, allaescalation di minacce degli ultimi mesi.

hanno cercato di attraversare la barriera,e le storie delle persone disperse ouccise ricordano agli europei quelle deitedeschi della Germania dell’Est checercavano di oltrepassare la vergognadel Muro di Berlino (caduto nel 1989),odiato monumento alla logica dellespartizioni dei territori a spese dellepersone.

SEUL CHIAMA PYONGYANGOggi sport e diplomazia si danno ap-puntamento a Pyeongchang, nella spe-ranza che si ripeta il destino degli in-contri delle squadre di ping pong (daallora si parla addirittura di “diplomaziadel ping pong”) cinese e americana del1971 che aprì la strada alla storica

Kim Jong-un, leader nordcoreano.

La coppia di atleti nordcoreaniRyom Tae-Ok e Kim Ju-Sik.

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FOCUSFOCUS

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N airobi è all’avanguardia nella ricerca infor-matica e nella nascita di imprese innovative,

comunemente chiamate start-up. Ci sono centridi eccellenza che attirano ricercatori e capitalistranieri. Ilab Africa è uno di questi. Occupa unospazio di 2.500 metri quadrati all’interno del-l’Università di Strathmore. Nacque nel 2011 periniziativa di tre studenti senza un soldo in tascama con tante idee che in pochissimo calamitaronointeressi accademici ed investitori pubblici eprivati. Oggi vi lavorano 80 dipendenti fissi chesi avvalgono di centinaia di collaboratori. Hannotutti meno di 40 anni. Da questa “officina di cer-velli” sono state elaborate applications chehanno rivoluzionato il lavoro delle guardieforestali del Kenya. Collegati tra loro con glismartphone, i forestali sono informati in temporeale sulla presenza di cacciatori di frodo e traf-ficanti di avorio sul territorio. Ma riescono anchea localizzare gli elefanti che attaccano una fattoriao persone ed intervenire in tempo.Emmanuel Kweyu, ingegnere, è uno di quei trevisionari che diedero vita al progetto iniziale. Èparticolarmente orgoglioso di un’app in gradodi velocizzare le analisi di laboratorio di sangue,saliva, urina dei pazienti che vivono in postilontani dai centri di cura e che troppo spesso siaggravano o addirittura muoiono per la lentezzanell’ottenere i risultati di questi esami clinici. Unaltro orgoglio è un corso on line che nel campoprofughi di Kakuma (dove vivono 176mila pro-fughi) sta formando esperti di amministrazionee bilanci, un modo per offrire una possibilità dicambiamento concreto a chi soffre. Nelle co-struzioni di nuove case e di fabbricati pubblici,stanno riscuotendo un grandissimo successo lestima tiles, letteralmente mattonelle elettriche,una espressione in lingua swahili ed inglese perindicare delle particolari tegole che ricoprono itetti degli edifici in grado di produrre ancheenergia solare. Joshua Owino, progettista dellasocietà, spiega che basta ricoprire solo il 30%della superficie dei tetti per avere energia.Rispetto ai pannelli solari hanno una resa migliore,occupano meno spazio e migliorano l’esteticadel fabbricato. È l’Africa che vuole cambiarecoinvolgendo tutti nelle trasformazioni.

L’APPTROVA-ELEFANTI

AFRICAOSSERVATORIO

di Enzo Nuccipresidente americano è stato riassorbitoda scandali e contestazioni in casa sua,troppo occupato per continuare il duelloa distanza sulla grandezza dei bottonida spingere per far partire i razzi.

IL PREZZO DEL DIALOGOAll’inizio di gennaio scorso Moon Jae-in aveva accettato la proposta nor-dcoreana di apertura del dialogo tra idue territori, anche se la speranza diun miglioramento dei rapporti è con-dizionata dalla risoluzione della que-stione nucleare di Pyongyang, dei ri-congiungimenti familiari dei parentidivisi dopo la guerra tra le due Coree(1953), dalla riduzione di alcune san-zioni per il Nord. Ora le due Coree sistanno preparando a intraprendere unnuovo cammino: quello della comu-nicazione restaurata. Le Olimpiadi diPyeongchang sono dunque «un’op-portunità rivoluzionaria per la pace»,che scivola sui pattini dei due atletinordcoreani, Ryom Tae-Ok e Kim Ju-Sik, qualificatidall’InternationalSkating Union. Pe-chino, l’alleatoprincipale di Pyon-gyang, ha elogiatoquesti sviluppi. LaCina spera, ha det-to il portavoce del-la diplomazia ci-nese Geng Shuang,che «entrambe leparti coglierannol’occasione percompiere sforziconcreti per mi-gliorare le loro re-lazioni (...) e perraggiungere la denuclearizzazione dellapenisola». «Il miglioramento delle re-lazioni tra Corea del Nord e Corea delSud non può essere separato da unasoluzione al programma nordcoreano»

Il Ministro sudcoreano perl’Unificazione, Cho Myung-Gyunstringe la mano a Ri Son-Gwon,capo della delegazione dellaCorea del Nord durante il loroincontro a Panmunjom, villaggioalla frontiera tra i due Stati.

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ha detto Moon Jae-in, rilanciando leansie di Washin-gton e del Giappo-ne che si è già vistopassare sulla testaun paio di testatenucleari nordcorea-ne e teme che laripresa dei colloquinon abbia niente ache vedere conl’abbandono daparte di Pyongyangdei suoi programminucleari e balistici.«La Corea del Nord

sta alternando fasi di un apparentedialogo alle provocazioni, ma intantocontinua a sviluppare armi nucleari emissili» ha dichiarato il ministro dellaDifesa giapponese Itsunori Onoreda,

Moon-Jae-in,Presidentedella Coreadel Sud.

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di sicurezza, anche se Sarah Sanders,portavoce della Casa Bianca, aveva di-chiarato che «l’America non vede l’oradi partecipare ai Giochi olimpici. La si-curezza degli americani è la nostramassima priorità e siamo impegnaticon i sudcoreani e con gli altri Paesialleati per mettere in sicurezza i luoghidelle Olimpiadi».Certo intorno al “medagliere” olim-pionico guardano in molti con cupidigia.A partire dalla Cina che è il principalepartner economico della Corea delNord (compra l’83% dei beni esportatie la rifornisce per l’85%, aiutandola asopravvivere alle sanzioni internazionali)e che è in pole position per il businessanche con gli Usa. C’è poi la Russia diPutin che importa abbigliamento etessile da Pyongyang e vende petrolioe grano; senza dimenticare giganticome l’India con un import-export cheoscilla intorno al 3,5%; Paesi europeicome Francia, Germania, Portogalloche con Kim Jong-un stanno facendoaffari d’oro; il Messico e il Perù perl’America Latina, ecc. Niente male perun Paese in cui 24 milioni di nordcoreanivivono in condizioni di estrema povertàe mancanza di diritti civili. Le condizionidi salute del soldato nordcoreano, chelo scorso novembre è riuscito ad at-traversare il confine minato e ad arrivaresano e salvo all’avamposto di Panmun-jom, erano allarmanti: benché si trat-tasse di un ufficiale, il suo intestinoera pieno di vermi, ad indicare condi-zioni di vita con poca igiene e qualitàdi cibo a dir poco scadente. E mentreKim Jong-un organizza parate e lanciamissili a gittata sempre più lunga,quanto gioisce di questo un popolocostretto ai lavori forzati e alla fame?Insomma, se fino ad ora abbiamo vistoi fuochi d’artificio preliminari e i leaderin lizza gonfiare i muscoli, ora la pallapassa agli atleti. E le medaglie di questegare hanno in palio la pace.

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Giochi invernali in Corea del Sud

concludendo che «non abbiamo in-tenzione di diminuire la nostra atten-zione e le attività di sorveglianza».

TIMORI E SPERANZEPer capire se queste Olimpiadi d’invernoapriranno davvero le porte ad unanuova “primavera coreana” bisognafare i conti con i “convitati di pietra”seduti intorno all’agone di Pyeongchang,che si svolge nel periodo del Capodannolunare, la più lunga e popolare festad’Oriente. Nel momento in cui questonumero va in stampa, intorno ai «Giochipiù nuclearizzati della storia» si giocanomolte carte, non ultima quella del ri-schio terrorismo. Nel panico di sponsore organizzatori (il costo stimato del-l’evento è di 11 miliardi di dollari), neimesi scorsi Francia e Stati Uniti hannominacciato di non inviare le delegazioniatletiche se fossero mancate garanzie

«N ulla di tutto ciò che Ahed Tamimipuò aver fatto giustifica la de-

tenzione di una sedicenne. Va scarceratasubito». La linea difensiva di AmnestyInternational per la ragazza palestinesein carcere dal 19 dicembre scorso, nonammette repliche. I minori non possonoessere prigionieri ‘politici’. Punto. Eppurela Corte militare israeliana di Ofer haprolungato per quattro volte di seguitola detenzione di Ahed, attivista adole-scente, che mangia pane e resistenza daquando è nata. Non è corretto dire cheAhed è una ribelle: piuttosto lei e la suafamiglia sono dei ‘resilienti’ in Cisgior-dania. C’è una bella differenza. Lei, lamamma e la cugina sono state arrestatedurante una delle manifestazioni di stradaper aver resistito a dei militari. L’effettoche tutto ciò produce a livello interna-zionale è ovviamente un boomerang perIsraele: Ahed piace. È donna, è giovanis-sima, non è sola: fa parte di una famigliache ha una lunga storia di resistenzaalle spalle. E presto sarà un’icona dellalotta di liberazione. Soprattutto se conti-nueranno a tenerla dietro le sbarre. Dilei suo padre ha scritto: «Il carcere nonè sconosciuto a Ahed. Lo ha sperimentatodurante i lunghi periodi di detenzionemia, di mia moglie, dei miei figli maschi.Il suo arresto era solo questione di tempo,una tragedia solo rinviata». È sostenuta,anzi incoraggiata a disobbedire: eccoperché la sua azione non si può reprimere.Incoraggerà altri ragazzi alla disobbe-dienza. Il villaggio di Nabi Saleh è conlei e la gente scende in strada. Non moltigiornali hanno scritto che durante quel-l’ennesimo raid dell’esercito nella Ci-sgiordania occupata, il cugino di Ahed èstato colpito da un proiettile e ferito.Dopo anni ed anni di attacchi, vessazioni,controlli, limitazioni, la gente palestineseè molto stanca e arrabbiata. Ahed incarnatutta la rabbia e il senso di frustrazionedi un popolo intero.

di Ilaria De Bonis

LA RABBIA DI AHED

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MEDIO ORIENTE

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L’INCHIESTA Dengue: si può combattere

Vaccini,multinazionalie salutedei poveri

Una strage silenziosa che ognianno colpisce 390 milioni dipersone in tutto il mondo. È la

dengue, una delle malattie tropicali piùinsidiose che esistano sul pianeta. Vienetrasmessa dalla stessa zanzara che veicolaanche la febbre gialla, lo zika virus e lachikungunya ed i suoi sintomi vannoda febbre alta a dolori alle ossa, al-l’estrema spossatezza. A seconda deltipo si può morire - 20mila i decessi re-gistrati ogni anno - e contratta la ma-lattia una prima volta, la seconda sirivela ancora più pericolosa. Teorica-mente la dengue può colpire chiunqueviva in climi tropicali nelle stagioni

di PAOLO [email protected]

La recente morte di tre bambini nell’isola di Luzonnelle Filippine, dopo la vaccinazione contro la dengue,riapre molti dubbi sulle terapie preventive contro lamalattia che colpisce 390 milioni di persone nelmondo, dal Brasile all’India. Sotto accusa, casefarmaceutiche e multinazionali che puntano albusiness di vendite internazionali di grossi stock.

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vaccino della multinazionale francese acui chiede un indennizzo di 58 milioni dieuro per quanto speso per acquistare glistock. A questo si aggiunge la denunciadella ong locale Volunteers against Crimeand Corruption che è stata informata delfatto che tre bambini filippini vaccinatisono morti, mentre secondo il senatoredel battagliero Paese asiatico, RichardGordon, sarebbero due i casi e ha dichiaratoalla stampa che l’approvazione della cam-pagna di vaccinazione con il relativo ac-quisto è stata fatta con «eccessiva fretta».Già, la fretta. La stessa che avrebbespinto anche l’Anvisa brasiliana da unlato ad approvare con celerità il marchioSanofi, dall’altra a rallentare con continuerichieste burocratiche i trials dell’Istitutobrasiliano.«La burocrazia ci sta uccidendo – aveva,infatti, denunciato nel 2015 Jorge Kalil,direttore dell’Istituto Butantan - Avremmopotuto essere già un anno avanti». Unamancata corsa contro il tempo che avreb-be cambiato il destino di milioni di pa-zienti, non solo in Brasile. Con un impattoanche su altre malattie come lo zikavirus, la cui epidemia è stata decretatadal Ministero della Salute verde-oro l’11novembre 2015, dopo quasi 10mila casidi bambini nati con microcefalia. Secondoil professo Kalil «lo stesso know-howacquisito dal suo Centro per il vaccinodella dengue può essere usato contro lozika virus». E invece l’Istituto Butantan

cisivo per il mercato (non solo interno,ma mondiale) del vaccino Sanofi, perchécome conseguenza leva inevitabilmentedi mezzo il concorrente brasiliano chegià all’epoca aveva denunciato i ritardidovuti alla burocrazia dell’istituzione sa-nitaria nazionale nei confronti dell’ap-provazione del suo studio.

VACCINO A RISCHIO MALATTIAE passiamo adesso al secondo finale: ar-riviamo al luglio 2016. L’Organizzazionemondiale della Sanità (OMS) mette inguardia sui rischi del vaccino Sanofi. Lacasa farmaceutica, però, non rimuove ilfarmaco dal mercato. E arriviamo al-l’epilogo drammatico. Il 30 novembre2017 l’OMS raccomanda fortemente cheil vaccino venga somministrato solo achi ha già contratto la dengue, perchésono stati registrati vari casi di personeche vaccinandosi si sono ammalate didengue in modo grave. Qualche giornoprima la Sanofi aveva divulgato essastessa un comunicato in cui chiaramentediceva: «Non usate il nostro vaccino senon avete avuto la dengue» perché «seianni di analisi su persone vaccinatehanno visto lo svilupparsi di formecritiche di dengue».Il governo delle Filippine, però, raccontaqualcosa in più. Sospende nel dicembredello scorso anno la vendita del vaccino eapre un’inchiesta sull’immunizzazionefatta a 730mila bambini proprio con il »

calde, quando la zanzara si riproducecon maggiore facilità.

MALATTIA DEI POVERIDi fatto, però, è statisticamente unamalattia dei poveri. Perché esistono ledisinfestazioni per questo tipo di insettoma nei Paesi a grandi divisioni sociali,come quelli sudamericani o orientali,esse sono privilegio solo dei quartieriricchi. E così i poveri che vivono in con-dizioni igieniche spesso precarie senzauna informazione adeguata sul tema -che li porta a far ristagnare l’acqua neicortili e nelle baracche, condizione numerouno per la proliferazione della zanzara –i poveri, dicevamo, sono i primi a farnele spese. È per questo che quando nel2014 in Brasile viene data notizia cheun prestigioso Centro di ricerca di SanPaolo, l’Istituto Butantan, stava alacre-mente lavorando per realizzare il primovaccino al mondo contro la dengue, lacomunità scientifica internazionale ma-nifestò il suo entusiasmo per un passoimportante della scienza volto a migliorarela vita di milioni di poveri. Immaginiamo,però, di trovarci in un film e avanziamoveloci verso il primo finale: vediamoun’altra storia. Perché esattamente il 29dicembre 2015, mentre il mondo è di-stratto dall’imminente Capodanno, vieneapprovato in Brasile un vaccino controla dengue, ma prodotto non dal Centrodi ricerca verde-oro bensì da una multi-nazionale francese, la Sanofi. È un vaccinotri-dose, a differenza di quello monodosestudiato dai brasiliani, il che vuol direche in contesti remoti e poveri sommi-nistrare tre dosi è più difficile di una (inmolti casi il paziente deve mettersi inviaggio, può non avere gli strumenticulturali per ricordarlo, ecc.). Ma so-prattutto, secondo gli scienziati, noncopre le categorie di età che sono più arischio, ovvero i bambini e gli anziani.L’ok della Food and Drug administrationbrasiliana, l’Anvisa, di fatto però inquesto caso arriva rapido e si rivela de-

Formazione per operatorisanitari impiegati nellacura dei malati di dengue.

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L’INCHIESTA

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ha dovuto lottare contro i mulini avento (chissà quanto disinteressati) dellaburocrazia verde-oro. «Abbiamo comin-ciato a lavorare al vaccino per la denguenel 2008 in collaborazione con il NationalHealth Institute statunitense (istituzionegovernativa statunitense). Siamo uncentro pubblico, il nostro scopo non è illucro: non dobbiamo dividere soldi congli azionisti. Il nostro vaccino, in base aidati accumulati nella fase uno e due, haun’efficacia intorno al 90% e, inoltre,copre bambini e anziani».

EMERGENZA DENGUEIn Brasile la dengue è un’emergenza. Nel2015 si è registrata una delle peggioriepidemie mai verificatesi, con oltre 1,6milioni di casi. Lo sanno bene nelleperiferie. «La dengue l’ho presa qua»,spiega Divino Costa, un piccolo com-merciante della favela di Vila Penteado,a San Paolo, mostrando i cumuli di im-mondizia lasciati marcire al caldo nellastrada non asfaltata di fronte al suo ne-gozio. «Il servizio dei rifiuti del comunepassa raramente e manca qualsiasi tipodi assistenza medica» dico. E preoccupatisono tutti gli abitanti. «Se la prendoposso già prenotare la cassa da morto,ho 86 anni». Gli fa eco Daniel Bolis, unragazzo di 28 anni che ha contratto ladengue: «Sapere che c’è la possibilità dievitare tutto questo e che non vienefatto nulla, fa male». Nessuna delle personecolpite, del resto, dimentica la malattia.«Ho avuto un mal di testa terribile –ricorda Luiz Paulo Vieira - febbre alta edolori fortissimi in tutto il corpo. Unaspossatezza tale da non riuscire ad alzarmidal letto neanche per andare in bagno».Un vaccino contro questa malattia sembraessere davvero l’unica soluzione importanteper risolvere il problema. Quanto aipresunti ritardi nell’approvazione da partedell’Anvisa delle fasi test del vaccino delButantan, la sezione dedicata alla salutedel Tribunal das Contas (TCU), una sortadi Corte dei Conti brasiliana, aveva apertouna audizione. Ma i tempi della scienza

sono stati più rapidi di quelli, in tal casopachidermici, del sovente celere TCU ver-de-oro. L’intervento dell’OMS ha di fattorichiesto il non uso del vaccino nel mondointero per chi non ha mai contratto lamalattia.Anche in India, tra i Paesi più colpiti almondo dalla dengue, è adesso braccio diferro tra la multinazionale e il governo.Nel maggio 2016, infatti, un comitatodel Ministero della Sanità ha rifiutato larichiesta della società farmaceutica dinon presentare dinanzi alle autorità sa-nitarie del Paese ulteriori studi clinici.

Vila Penteado, favela di San Paolo, Brasile.

Laboratorio dell’Istituto Butantan.

Disinfestazione dalla zanzara Aedes aegypti,nella città di Gama, Brasile.

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«U n atto di resistenza eroica». Lo definisconocosì, i volontari di Operazione Colomba,

Corpo Nonviolento di Pace dell’Associazione Co-munità Papa Giovanni XXIII fondata da don OresteBenzi. L’episodio, avvenuto il 29 dicembre scorsoa San José de Apartadó in Colombia, poteva tra-sformarsi in un attacco mortale. Ma grazie all’arrivoimmediato dei volontari italiani di stanza nel villaggioe al sopraggiungere dell’intera comunità contadina,tutto si è risolto senza vittime e con l’arresto dei si-cari.A metà mattina un gruppo di quattro paramilitariarmati era entrato nella bottega del cacao della“Comunità di Pace” di San José, nata nel 1997dalla volontà di famiglie contadine della zona dinon abbandonare le proprie terre e resistere paci-ficamente al conflitto armato, sebbene fin daglianni Settanta quest’area fosse un avamposto delleForze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc).L’obiettivo degli esecutori era quello di uccidere illeader della comunità locale, German GracianoPosso, che si trovava nella bottega. Poco primadell’attacco, con una scusa un paramilitare eraentrato nel negozio per accertarsi della presenzadel leader contadino. Quest’ultimo, insospettitosi(da mesi riceveva minacce di morte), ha subito te-lefonato ad una volontaria di Operazione Colombadi stanza nel villaggio, dicendole soltanto: «Vieniveloce alla bottega». La giovane ha compreso im-mediatamente la gravità della situazione ed è corsasul posto, chiamando a raccolta gli altri volontari.Nel frattempo la comunità locale era già arrivata,in quanto alcuni bambini avevano dato l’allarmedopo aver visto quattro uomini incappucciati entrarenel magazzino del cacao. «Quando siamo giunti lì– racconta la volontaria - c’erano già quasi tutti:donne, uomini, bambini. Potevano scegliere discappare, di non rischiare la vita, ma nessuno diloro si è tirato indietro. Se l’avessero fatto, proba-bilmente German non sarebbe qui oggi».La “Comunità di Pace” di San José da anni èoggetto di minacce ed attacchi dei guerriglieri, inquanto, scegliendo la totale non-violenza, in nessunmodo, diretto o indiretto, partecipa al conflittoarmato colombiano. La presenza internazionale diOperazione Colomba rappresenta una sorta diprotezione per i contadini della zona.

di Chiara Pellicci

QUANDO LA COMUNITÀFA LA FORZA

OSSERVATORIO

GOODNEWS

Anche in Messico, altro Paese che avevaapprovato il vaccino nel dicembre 2015,la preoccupazione è adesso alta. Secondola rivista Proceso, già nel novembre2015 alcuni ricercatori avevano messoin guardia sul fatto che il vaccinopotesse aumentare il rischio di contrarrela malattia in modo serio. Inoltre, sempresecondo le investigazioni pubblicatesulla rivista tra gli ufficiali sanitari coin-volti nel processo di approvazione delvaccino francese, ci sarebbe stata unapersona che in passato aveva lavoratocome direttore scientifico per la multi-nazionale.

«Questo vaccino è rimasto pendente danoi per due anni e non intendiamo ap-provarlo finché non ci riteniamo soddisfattidella sua qualità ed efficacia» ha dichiaratonel dicembre 2017 il responsabile generaledel farmaco, G.N. Singh. Una decisionerigorosa in un Paese dove i casi di denguesono in aumento, con oltre 200 mortisolo nel 2017. L’India sta cercando a suavolta di trovare altre soluzioni e sta lavo-rando ad un vaccino attualmente in faseuno di sperimentazione, sviluppato dalCentro internazionale per la biotecnologiagenetica. L’obiettivo è quello di evitarela situazione delle Filippine.

Dengue: si può combattere

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biodegradabili (a parte alcune attività, come la metallurgia), ilprelievo di risorse e la trasformazione dell’ambiente interessavanoinvece, in modo più o meno ampio, anche i nostri antenati.Infatti problemi connessi con queste forme di interferenza frauomo e ambiente vennero percepiti e denunciati con relativachiarezza anche dalle fonti antiche. Ad esempio, il fenomenodella deforestazione costituì uno dei fattori di massimo impattoambientale nell’antica Grecia, non solo per le esigenze legateall’agricoltura, alla pastorizia, alle diverse attività economichedi sussistenza, ma soprattutto per la necessità di legname perrealizzare le flotte navali del tempo. È stato calcolato che 100triremi richiedevano nel complesso 17mila remi, costruiti conalberi giovani d’alto fusto (abeti, cipressi, pini marittimi, ecc.),oltre al legname per bastimenti e alberature. A questo propositoTeofrasto - filosofo e botanico greco (287 circa a.C.), succedutoad Aristotele nella direzione del Peripato - ci testimonia dellevarietà utilizzate nelle attività cantieristiche (Historia plantarum

V, 7, 1-3). Se si pensa che Atene arrivò a schierare anche 300navi, si comprende l’interesse degli Ateniesi, nel corso del Vsecolo, per il controllo di zone del Nord Egeo, come laMacedonia, la Calcidica e la Tracia, interesse legato soprattuttoalla disponibilità di alberi d’alto fusto: lo rileva espressamenteTucidide nel suo quarto Libro su La Guerra del Peloponneso

P apa Francesco quando scrive nella sua enciclica Laudato

Si’ che la terra «protesta per il male che provochiamo acausa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio haposto in lei», auspicando una «conversione ecologica», dice laverità. La salvaguardia dell’ambiente, infatti, esige una decisaassunzione di responsabilità. Tra i luoghi che richiedono «unacura particolare, a motivo della loro enorme importanza perl’ecosistema mondiale», papa Bergoglio menziona «quei polmonidel pianeta colmi di biodiversità che sono l’Amazzonia e ilbacino fluviale del Congo, le grandi falde acquifere e i ghiacciai».Invita pertanto a non «ignorare gli enormi interessi economiciinternazionali che, con il pretesto di prendersene cura, possonomettere in pericolo le sovranità nazionali».A questo proposito, vale la pena provare a tornare indietro neltempo per comprendere che il pensiero di papa Francescotrova, in effetti, il suo radicamento nella storia. Infatti, sebbenele società preindustriali del mondo antico non fossero in gradodi produrre consistenti quantità di residui, e soprattutto non

S C A T T I D A L M O N D O

Lezioni di ecologia dai saggi del passato

A cura di EMANUELA [email protected]

Testo di GIULIO [email protected]

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(108, 1), affermando, a proposito della caduta di Anfipoli nel424 a.C., che «gli Ateniesi furono gettati in un grande spavento,soprattutto perché la città era loro utile a causa dell’invio di le-gname per le navi e di tributi in denaro».

TEOFRASTO L’ECOLOGISTANumerose testimonianze confermano l’importanza del legnameper la cantieristica navale: trattati internazionali, come quello del393 a.C. circa, tra il sovrano macedone Aminta III e i Calcidesidi Tracia, contengono convenzioni sull’importazione di questitipi di legname. Qualche preoccupazione per la tutela delpatrimonio boschivo in termini generali fu espressa anche daTolemeo III Evergete il quale proibì il taglio degli alberi sulle sueproprietà e richiese, in caso di danni al patrimonio boschivo, diprocedere a nuove piantumazioni. Una delle testimonianze piùchiare sul fenomeno del disboscamento la troviamo in Platoneil quale (Leggi VIII, 843) riteneva dovessero essere multati gliagricoltori dai cui terreni fossero partiti incendi capaci di dan-neggiare gli alberi dei vicini. Egli anche spiegò, a modo suo(Crizia, 110 ss.), le ragioni delle profonde modifiche intervenutecol tempo sul paesaggio dell’Attica, un tempo regione ricca difertili pianure e di imponenti montagne coperte di foreste, diacque e di pascoli abbondanti, mentre già ai suoi tempi era

divenuta per lo più brulla e arida, quasi del tutto priva di alberid’alto fusto. Platone identificò, come cause principali: ildilavamento del suolo (inteso come azione erosiva delle acquemeteoriche sugli strati superficiali delle rocce), il disboscamentoe la contrazione delle risorse idriche (legata all’approvvigionamentoidrico nell’Atene della seconda metà del IV secolo a.C.). Lacausa originaria di questi diversi fattori venne identificata daPlatone in piogge intense e prolungate, quindi in fenomeninaturali di tipo calamitoso. Non pare, invece, egli fosseconsapevole dell’influenza degli insediamenti umani nell’acce-lerazione del degrado ambientale. Inoltre, nello specifico Platoneera convinto, secondo l’attenta esegesi di uno studioso delcalibro di Oliver Rackham, che il dilavamento del terreno fossecausa di desertificazione, ma non che la deforestazione creassei presupposti per il dilavamento e la successiva scomparsadella vegetazione.Detto questo, Rackham – accademico dell’Università di Cambridge,recentemente scomparso - si mostra scarsamente convinto, insenso più generale, della visione moderna secondo cui l’attualepaesaggio greco è l’esito della deforestazione selvaggia operatadagli antichi. La questione del rapporto fra disboscamento e di-lavamento del suolo venne messa, invece, in evidenza da unframmento di Teofrasto conservato da Seneca (Naturales

RISPETTO DEL CREATO

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RISPETTO DEL CREATO

Statua di Platone.

Busto di Teofrasto.

quaestiones III, 11, 2-4) dove il filosofo ricorda che l’abbattimento delle foreste del monteEmo, da parte di popolazioni galliche di quei tempi, provocò la comparsa di un’ingentequantità d’acqua, e che lo stesso fenomeno si era verificato presso Magnesia.

GLI AVVERTIMENTI DI PLINIO IL VECCHIOSe Seneca non apparve poi così convinto sul collegamento posto da Teofrasto tra disbo-scamento e inondazioni, più persuaso in proposito fu Plinio il Vecchio (Naturalis Historia

XXXI, 30, 53), che accreditò la notizia, ricordando che in effetti «il bosco normalmentetrattiene i rovesci d’acqua e li distribuisce». E sempre il Vecchio Plinio, da saggio qual era(Naturalis Historia XVIII, 1, 2-5), ironizzò e condannò il comportamento degli uomini, cheinquinano i fiumi e gli elementi naturali: «La terra genera, è vero, dei veleni: ma chi hascoperto il modo di servirsene, all’infuori dell’uomo? Gli uccelli e le fiere si contentano diguardarsene e di fuggirli… Benché gli animali sappiano prepararsi a fare del male ad altri,tuttavia quale fra essi intride di veleno le sue armi? Invece noi uomini avveleniamo lefrecce, e aggiungiamo al ferro un principio ancor più nocivo; noi avveleniamo i fiumi e glielementi naturali, e rendiamo dannosa la stessa aria che respiriamo… ». Ma alla fine diqueste piccanti considerazioni, Plinio espresse comunque fiducia nella grandezza e nellamagnanimità della natura per sostenere la necessità dell’uomo di continuare comunque aperseguire il progresso, impegnandosi «a far progredire la vita, con costanza grande…»(Naturalis Historia XVIII, 1, 2-5).Sono trascorsi duemila anni dalla scomparsa di Plinio il Vecchio, avvenuta tragicamentedurante l’eruzione del Vesuvio che distrusse Ercolano e Pompei. Ma da allora - inutile na-sconderselo - non pare che l’umanità abbia appreso fino in fondo la sua lezione. E dunquenon resta che dare ragione ancora a papa Francesco che tra gli statisti del nostro tempo èquello che più di altri difende la «Casa comune».

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Parole chiare e orizzonti larghiper papa Francesco che

tratteggia a grandi pennellatelo scenario geopolitico in cuisi giocano i destini di pace dimolte aree di crisi in questo

2018. Con una nettacondanna della proliferazionedelle armi, della tratta, dello

sfruttamento degli esseriumani e delle violazioni dei

diritti nei confronti di milionidi migranti nel mondo.

La paceLa pace eC’’è un modo, per quanti seguono “professionalmente” gli sviluppi di

un pontificato, di comprendere all’inizio di ogni anno quali sarannole principali direttive sul piano politico lungo le quali intendono muoversiil papa e la Santa Sede. È leggere insieme due interventi che aprono l’an-no: il Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio, e ildiscorso che pochi giorni dopo il papa tiene al Corpo diplomatico accre-ditato presso la Santa Sede. Il pontificato di papa Francesco non fa ecce-zione. Da questa duplice lettura, all’inizio del 2018 emerge una questio-ne di fondo: nella geopolitica mondiale crescono insieme una confusio-ne valoriale e una paura nemica della pace e sembra latitare, tra i respon-sabili delle nazioni e tra le stesse popolazioni, il coraggio di essere ope-ratori di giustizia e costruttori di pace.La linea è quella di sempre, cioè sollecitare e sostenere la comunità inter-nazionale nella scelta di strade di pacifica e giusta convivenza tra i popo-li, con chiare specificazioni, come è ovvio, soprattutto nel discorso agli am-basciatori. Se una novità c’è stata quest’anno, è stata l’accentuazione dipapa Francesco sullo “stato dei diritti”. Ricordando che nel 2018 cade il70esimo della Dichiarazione universale dei Diritti dell’uomo, oltre che il cen-tenario della fine della Prima guerra mondiale, il papa ha rilanciato un tema

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elapaura

cruciale nella riflessione della Chiesa.«Nel corso degli anni, soprattutto in segui-to ai sommovimenti sociali del Sessantot-to, l’interpretazione di alcuni diritti è anda-ta progressivamente modificandosi, cosìda includere una molteplicità di “nuovi di-ritti”, non di rado in contrapposizione traloro» ha detto. Si sono cioè «affermate no-zioni controverse dei diritti umani che con-trastano con la cultura di molti Paesi, i qua-li non si sentono perciò rispettati nelle pro-prie tradizioni socio-culturali, ma piuttostotrascurati di fronte alle necessità reali chedevono affrontare. Vi può essere quindi ilrischio – per certi versi paradossale – che,in nome degli stessi diritti umani, si ven-gano a instaurare moderne forme di co-lonizzazione ideologica dei più forti e deipiù ricchi a danno dei più poveri e dei piùdeboli». Parole chiare che chiamano incausa sia le “eccezioni” al primo e fonda-mentale dei diritti, quello alla vita, sia i dan-ni di una globalizzazione economica e fi-

nanziaria sempre più rapace, sia le radi-calizzazioni pseudoreligiose e le loro de-rive terroristiche.

CONDANNA DELLE ARMI NUCLEARIPer il resto, come ogni anno, l’attenzioneè stata rivolta alle crisi in atto, a partire dalpressante invito a sostenere «ogni tenta-tivo di dialogo nella penisola coreana, alfine di trovare nuove strade per superarele attuali contrapposizioni, accrescere lafiducia reciproca e assicurare un futuro dipace al popolo coreano e al mondo inte-ro». Un invito che ha concluso il lungo pas-saggio dedicato alla ribadita condanna delproliferare delle armi in genere e del ripro-porsi della minaccia nucleare in partico-lare. In proposito, Francesco ha citato ilTrattato adottato dall’Onu l’anno scorso,ricordando che la Santa Sede lo ha ratifi-cato. E c’è da dire che tale scelta potràsembrare inconsistente sul piano opera-tivo, ma ha comunque un forte valore di

esempio per quelle nazioni che in meritofanno ancora orecchie da mercante. Unappello il papa ha rivolto a israeliani e pa-lestinesi, invitando loro e la comunità in-ternazionale a ponderare ogni iniziativa af-finché «si eviti di esacerbare le contrap-posizioni», a non deflettere da un «comu-ne impegno», a rispettare lo status quo diGerusalemme, «città sacra a cristiani, ebreie musulmani», in quella che a tutti è ap-parsa una neanche tanto velata condan-na del recente riconoscimento statuniten-se di Gerusalemme come capitale diIsraele.

FORME SOTTILI DI VIOLENZAPassaggi specifici hanno riguardato la Si-ria e l’Iraq e le annesse questione dei mi-lioni di profughi nei Paesi limitrofi, inparticolare nel Libano, per il quale serveun vero sostegno internazionale. Tra le al-tre crisi, il papa ha citato quella «politicaed umanitaria sempre più drammatica esenza precedenti» in Venezuela, la situa-zione in Ucraina e le sofferenze «di tanteparti del Continente africano», specialmen-te in Sud Sudan, nella Repubblica Demo-cratica del Congo, in Somalia, in Nigeriae nella Repubblica Centroafricana.Più in generale, il papa ha ricordato che »

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a ledere i diritti umani non sono solo laguerra o la violenza. «Nel nostro tempo cisono forme più sottili», ha detto. Quellecioè che vedono vittime «i bambini inno-centi, scartati ancor prima di nascere, tal-volta solo perché malati o malformati o perl’egoismo degli adulti; gli anziani tante vol-te scartati, soprattutto se malati, perchéritenuti un peso; le donne, che spesso su-biscono violenze e sopraffazioni anche inseno alle proprie famiglie; le vittime dellatratta delle persone». Francesco ha postoattenzione su temi fondamentali come fa-miglia; libertà religiosa; diritto al lavoro; sal-vaguardia dell’ambiente; necessità di «tu-telare il diritto alla salute» e favorire «unfacile accesso per tutti alle cure e ai trat-tamenti sanitari»; sollecitudine verso i mi-granti e la loro integrazione, che compor-ta diritti e doveri da parte di tutti i sogget-ti interessati.

QUESTIONE MIGRATORIAProprio alla questione migratoria era sta-to dedicato per intero il Messaggio per la

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AGiornata mondiale della pace, giunta allasua 51esima edizione. Francesco sugge-risce quattro punti fermi: «accogliere,proteggere, promuovere e integrare»,come uniche strategie efficaci per evitarele destabilizzazioni che possono accom-pagnare i flussi migratori. Il papa non è cer-to un ingenuo, né la sua è una mera espres-sione di “buoni sentimenti”. L’attenzione èrivolta esplicitamente alla politica. In que-sto 2018, l’Onu dovrà definire e approva-re due patti globali, «uno per migrazioni si-cure, ordinate e regolari, l’altro riguardo airifugiati». Dovranno indicare a ogni gover-no «un quadro di riferimento per propostepolitiche e misure pratiche». Ma comespesso è accaduto e continua ad accade-re, le convenzioni rischiano di restare let-tera morta per tanti governi che pure le han-no salutate con enfatiche dichiarazioni diplauso. Né sono di buon auspicio le più re-centi politiche delle maggiori potenze,come gli Stati Uniti, ma anche l’Unione Eu-ropea nel suo complesso, con particola-re accentuazione in alcuni suoi Stati.

Per il papa è cruciale che quei patti «sia-no ispirati da compassione, lungimiranzae coraggio, in modo da cogliere ogni oc-casione per far avanzare la costruzione del-la pace: solo così il necessario realismo del-la politica internazionale non diventerà unaresa al cinismo e alla globalizzazione del-l’indifferenza». Invita quindi i governi a verodialogo e vero coordinamento, senza limi-tarsi ai confini nazionali e senza cedere aipopulismi che alimentano la paura. Peresempio consentendo che anche «Paesimeno ricchi possano accogliere un nume-ro maggiore di rifugiati, o accoglierli meglio,se la cooperazione internazionale assicu-ra loro la disponibilità dei fondi necessari».Il che non significa pagarli per impedire amigranti e profughi di raggiungere i Paesipagatori. Anche perché gli ultimi esempi,cioè gli accordi europei con quel governolibico privo di reale controllo del suo Pae-se, per quegli infelici si sono tradotti in cam-pi di concentramento, se non peggio,come documentato da molte fonti attendi-bili, a partire dai rapporti dell’Onu.

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SQUILIBRI TRA RICCHEZZA E POVERTÀ

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GLI SQUILIBRI TRA INGIUSTIZIE SOCIALI, SPECULAZIONI,RICCHEZZA E POVERTÀ, I CAMBIAMENTI CLIMATICI E LA MASSADI RIFUGIATI CHE CHIEDE ASILO E PACE NEL MONDO: SONOALCUNE DELLE SFIDE CHE SUL FINIRE DEL SECONDO DECENNIODEL DUEMILA, CONTINUANO A RESTARE PREPONDERANTI SUGLISCENARI GEOPOLITICI INTERNAZIONALI. MENTRE PAPAFRANCESCO CONTINUA A GRIDARE AL MONDO L’UGUAGLIANZATRA GLI UOMINI E IL BISOGNO DI PACE E GIUSTIZIA.

Le diseguaglianzenon sonoinevitabili

di Roberto Bà[email protected]

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«L a diseguaglianza e lo sfruttamento nonsono una fatalità e neppure una costante

storica. Non sono una fatalità perché dipendono,oltre che dai diversi comportamenti individuali,anche dalle regole economiche che una societàdecide di darsi. Si pensi alla produzione dellʼenergia,al mercato del lavoro, al sistema bancario, al wel-fare, al sistema fiscale, al comparto scolastico. Aseconda di come questi settori vengono progettati,si hanno conseguenze diverse sul modo in cuireddito e ricchezza si ripartiscono tra quanti hannoconcorso a produrli. Se prevale come fine ilprofitto, la democrazia tende a diventare una plu-tocrazia in cui crescono le diseguaglianze e anchelo sfruttamento del pianeta». A pronunciare parolecosì allarmanti sullo stato delle relazioni umane

sul nostro pianeta è stato papa Francesco.Dalla seconda metà del XVIII secolo, con lʼiniziodella rivoluzione industriale, è cominciata in Occi-dente una lunga era di sviluppo. Anche se conenormi differenze a seconda dei luoghi del mondo,è cresciuta la ricchezza, sono aumentati i diritti,la scienza ha fatto passi da gigante, le scopertedella tecnica hanno letteralmente cambiato la vitadelle persone. Tuttavia, con il recente affermarsidella globalizzazione, le regole si sono trasformate.Dopo un conflitto terribile, la Seconda guerramondiale coi suoi 60 milioni di morti, il 10 dicembre1948 a Parigi fu firmata la Dichiarazione universaledei diritti umani. Nel documento è scritto: «Tuttigli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignitàe diritti. Essi sono dotati di ragione, di coscienza

Il campo profughi di Dadaab, in Kenya. Ospita300mila persone, è il più grande del mondo.

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strata in tutta la sua illusorietà. La grande stampa,le televisioni, i tanti opinionisti del piccolo schermonon sempre ricordano ai cittadini che lʼ1% degliabitanti del mondo possiede le ricchezze del re-stante 99%. E quanti sanno che otto, solo otto,super miliardari hanno nel portafogli la stessa ric-chezza di oltre tre miliardi e mezzo di loro concit-tadini? Jorge Mario Bergoglio ha una idea precisasul presente. Il papa pensa che lo Stato in questaepoca di globalizzazione «non può concepirsicome lʼunico ed esclusivo titolare del bene comunenon consentendo ai corpi intermedi della societàcivile di esprimere, in libertà, tutto il loro potenziale.Sarebbe questa una violazione del principio disussidiarietà che, abbinato a quello di solidarietà,costituisce un pilastro portante della dottrinasociale della Chiesa». Dobbiamo sapere che oggii ricchi diventano sempre più ricchi e che nellʼultimoanno la loro fortuna è cresciuta dellʼ8,2%, arrivandoa superare i 60mila miliardi di dollari. Di questopasso, se non si riuscirà ad affermare un processodi redistribuzione della ricchezza, nel 2025 lasomma dei loro patrimoni toccherà i 100milamiliardi. E nello stesso tempo non lievitano soloalcuni conti in banca, ma cresce anche la fame.

La fame fa la differenzaNel 2016 questa piaga terribile ha colpito 815milioni di persone. Nel rapporto The State »

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e devono agire gli uni verso gli altri in spirito difratellanza». Eguaglianza e libertà, in ogni Paeseed in tutti i continenti, sono diventanti i cardini diuna idea non solo politica, ma etica, legata allʼes-senza stessa della natura umana. Tuttavia, quelleaspirazioni di benessere universale rischiano divenire stritolate da un presente che non ha alcunacura per il bene comune. Joseph Stiglitz, premioNobel per lʼeconomia, ha ammonito: «Poichésiamo esseri capaci di scelta e capiamo che cosìle cose non vanno, io sono ottimista: sappiamoscegliere, dobbiamo scegliere, ma dobbiamoanche capire in che direzione orientare questascelta. Le diseguaglianze non sono inevitabili ela disoccupazione non è un destino. Il lavorodeve, però, essere luogo dove queste disegua-glianze si affievoliscono e garanzia della mobilitàsociale. Se diventa luogo di diseguaglianza e di-scriminazione, siamo in un nuovo feudalesimo».Le diseguaglianze sono diventate allora la con-traddizione da risolvere per garantire allʼumanitàintera un futuro sostenibile e di pace.

Modelli economici in crisiCon la crisi finanziaria cominciata negli Stati Unitinel 2008 e poi dilagata non solo negli altri Paesisviluppati ma anche nel Sud del mondo, la regolache il modello di crescita economica costanteporti automaticamente benessere diffuso si è mo-

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Baraccopoli alla periferia di Manila.

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32 P O P O L I E M I S S I O N E - F E B B R A I O 2 0 1 8

sanità. Infatti papa Francesco ha ricordato che«bisogna civilizzare il mercato, perché non pos-siamo sacrificare sullʼaltare dellʼefficienza – il“vitello dʼoro” dei nostri tempi – valori fondamentalicome la democrazia, la giustizia, la libertà, la fa-miglia, il creato». Per il professor Stiglitz «dobbiamocontrastare in ogni modo le disuguaglianze. Perfarlo, dobbiamo riscrivere le regole del mercato,garantendo una migliore distribuzione del reddito,rafforzando il potere di contrattazione dei lavoratorie riducendo la forbice tra i compensi dei managere il salario medio dei dipendenti. Oggi, il sistemagarantisce lʼaccumulo di ricchezza finanziaria edisincentiva, di fatto, gli investimenti nellʼeconomiareale, nelle infrastrutture e a supporto delle piccolee medie imprese. Dobbiamo andare in unʼaltradirezione, sia sul piano delle regole, sia su quellodella governance aziendale».In uno scenario così complesso è esploso il feno-meno migratorio, che spinge centinaia di migliaiadi persone a fuggire da violenza, povertà e disoc-cupazione per riversarsi verso lʼEuropa, gli StatiUniti ed altri Paesi considerati ricchi. Questo irre-frenabile flusso di esseri umani viene utilizzatoda alcune forze politiche identitarie e nazionalistedellʼOccidente per affermare razzismo e xenofobia.Lʼidea che “i diversi”, che “quelli”, portino via illavoro, la casa, la terra ai “residenti” dilaga non

of Food Security and Nutrition in the World 2017,realizzato delle agenzie dellʼOnu Fao, Ifad e Wfp,si legge che il problema della fame riguarda lʼ11%della popolazione globale. Uomini, donne, bambinied anziani che vivono in una condizione di povertàestrema, ai quali sono negati persino i beni diprima necessità come acqua e cibo. Lo studiorileva che i 38 milioni di affamati in più rispetto al2015 «si devono in gran parte alla proliferazionedi conflitti violenti e agli shock climatici». Il centrodi questo male endemico si registra in particolarmodo nellʼAfrica subsahariana, nel Sud-est asiaticoe nellʼAsia occidentale. Secondo il rapportodellʼOnu, a causare lʼaumento della fame nelmondo è soprattutto la proliferazione delle guerre.La situazione nei Paesi coinvolti è, infatti, decisa-mente peggiorata. Tra le cause, anche gli eventiclimatici disastrosi, che hanno afflitto il nostropianeta negli ultimi anni.

Riscrivere le regole del mercatoSi nota come intorno al tema generale delle dise-guaglianze ruotino molti altri argomenti cruciali.Se gli esseri umani non sono eguali e non hannotutti eguali diritti, eguali opportunità ed egualirisorse, le disparità incidono sulla vita socialedelle persone, ma anche sullʼambiente, sulla pace,sullʼeducazione, sulla formazione scolastica, sulla

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sia del colonialismo, dello sfruttamento selvaggiodelle risorse da parte proprio di chi oggi grida “al-lʼinvasione”, della voracità di governi ed aziendeoccidentali. Intanto gli organi di informazione nonrendono noto ai cittadini che lʼ84% dei rifugiati,ovvero quasi cinque milioni di persone, sonoaccolti in territori già molto poveri. Kenya, Uganda,Repubblica Democratica del Congo e Ciad sonocinque Stati africani e sono tra i dieci Paesi almondo che nel 2016 hanno dato asilo al maggiornumero di fuggitivi. Il solo Uganda ospita unnumero di rifugiati nei campi profughi superioreal numero totale di persone accolte in tutta lʼUnioneEuropea. Quindi, anche per il fenomeno dellʼemi-grazione, lʼemergenza è altrove e le conseguenzesi scaricano nei luoghi dove le condizioni politiche,economiche e sociali sono già molto fragili e so-prattutto dove i governi non hanno a disposizionerisorse sufficienti per prendersi carico della gestionedegli enormi campi profughi, ormai vere e propriecittà-baraccopoli nelle quali si vive al limite delsopportabile.

Labirinto di capanneIn Kenya, a Dadaab, non lontano dal confine conla Somalia, cʼè uno di questi “serbatoi di dispera-zione”: il campo profughi più grande al mondo.Tutto cominciò nel lontano 1991, per accoglierele persone in fuga dalla mai più conclusa guerrainterna somala. Oggi quel labirinto di capanne

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solo in Italia, ma in molti altri luoghi dellʼOccidente,in Europa, negli Usa.

Rifugiati nei Paesi poveriAnche in questo caso troppo spesso si dimenticacome la responsabilità per i ritardi di sviluppo dimolti Paesi africani, asiatici o del Sud America

Campo di profughicongolesi in Uganda.

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«D io ha destinato la terra e tutto quello che essa contieneall’uso di tutti gli uomini e di tutti i popoli, e pertanto i

beni creati devono equamente essere partecipati a tutti, secondola regola della giustizia, inseparabile dalla carità» (Gaudium etSpes n. 69). Questo testo del dettato conciliare enuncia un fonda-mento di natura teologica: la fede nel Dio che crea il mondo e loaffida all’uomo perché vi trovi tutto ciò di cui ha bisogno pervivere dignitosamente. Da questo indirizzo divino, così chiaro edesplicito, deriva un’esigenza etica concreta: i beni della creazionesono, in linea di diritto, destinati a tutti, pertanto essi devono, difatto, «essere partecipati a tutti» in modo equo. Ogni volta checosì non è, si lede la giustizia e quindi la carità.

Sono trascorsi oltre 50 anni dalla pubblicazione della Gaudium etSpes e la stessa comunità internazionale pare esserne finalmentecosciente. La decisione più importante, almeno sulla carta, èquella sancita nel settembre 2015 durante la 70esima Assembleagenerale delle Nazioni Unite con la visita al Palazzo di Vetro dipapa Francesco, il cui intervento ebbe una grande visibilità per lospessore dei contenuti espressi, in riferimento alla “Casa comunedei popoli”. Ma altrettanto storica, al punto da poter sancire dav-vero una svolta epocale, potrebbe rivelarsi proprio quella decisio-ne dell’Onu, peraltro – giova ricordarlo - come tutte quelledell’Assemblea, non vincolante se non sul piano culturale.L’Assemblea, infatti, approvò i 17 nuovi Obiettivi per lo svilupposostenibile (Sdg) da raggiungere entro il 2030, che subentrano aivecchi Obiettivi di sviluppo del millennio (Mdg) che in teoriasarebbero dovuti essere conseguiti proprio entro il 2015, conrisultati che lasciano molti dubbi. La differenza potrebbe farla pro-prio quel “sostenibile”, dopo che alcuni traguardi dati per conse-guiti si sono rivelati decisamente fasulli, occupandosi di Prodotto

Pochi goal, molti flop

di paglia e fango, di tende, di fogne a cielo aperto,di giacigli improvvisati e malsani ospita quasi300mila persone. Di fatto è stata, nei periodi dimaggiore crisi, la terza città più popolosa del Paesedopo la capitale, Nairobi, e dopo il principale porto,Mombasa. La situazione allʼinterno di Dadaab ècostantemente di emergenza. Nonostante gli sforzidellʼUnhcr e del World Food Program non tuttihanno da mangiare o da bere ogni giorno. A peg-giorare le cose le condizioni ambientali e climatiche,perché quel territorio è flagellato da carestia esiccità e così vivere nellʼarea è davvero tremendo,specialmente per donne e bambini. La necessitàdi spostarsi altrove in cerca di condizioni meno di-sumane produce, allora, una catena ulteriore diproblemi. Non un rigo su Dadaab compare suigiornali italiani, non una notizia nei telegiornali,mentre la stampa nazionale è piena di articoli al-larmanti su inesistenti invasioni di stranieri. Eccoallora che unʼaltra terribile diseguaglianza causaconfusione e dolore, alimentando sentimenti negativie violenti nei confronti di chi già soffre a causa diproblemi per i quali non porta alcuna responsabili-tà.

Mutamenti climaticiSilenzio anche sullʼEtiopia, che accoglie 800milamigranti secondo le stime dellʼAlto Commissariatodelle Nazioni Unite per i rifugiati. Il fiume di fuggitivi

OBIETTIVI (INAFFERRABILI)DEL MILLENNIO

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interno lordo (Pil) e non certo di prodotto umano. Per intendersi,con sistemi di misurazione troppo condizionati dalle statisticheufficiali e dunque fuorvianti, capita normalmente, per fare solo unesempio, che se aumentano i prezzi delle materie prime crescepure il Pil, ma di solito la povera gente sta peggio di prima.Soprattutto in Africa, ma non solo, petrolio e minerali vari arric-chiscono solo le élites, mentre le multinazionali rubano le terre aicontadini e realizzano profitti puntando su colture destinate uni-camente all’esportazione e ai consumi del Nord ricco del mondo.Con i nuovi 17 obiettivi, suddivisi in 169 traguardi specifici, minu-ziosamente elencati - risultato di intensi negoziati, riunioni e con-ferenze tenute negli ultimi anni in tutti i continenti – sembrerebbeessersi imposta non solo la volontà, ma la tendenza a non subor-dinare lo sviluppo umano agli interessi di una finanza mondialeche resta comunque pervasiva. Tra gli Sdg troviamo al primoposto la “fine della povertà”, al secondo “fame zero”, al terzo“buona salute e benessere”. Poi “educazione di qualità”, “egua-glianza di genere”, “acqua pulita e igiene”. Seguono quindi le

sfide dell’ecologia (energia pulita, clima, città sostenibili, vivibilitàin acqua e terra), dell’economia (crescita economica, lavorodecente, innovazione, consumo e produzione responsabile) edella giustizia (ridurre le ineguaglianze, pace e istituzioni forti).Diversamente che per gli Obiettivi del millennio, che si applicava-no soltanto ai Paesi chiamati (da diversi decenni) in via di svilup-po, per gli Sdg tutti gli Stati dovranno lavorare nella stessa dire-zione. Ciascuno sarà tenuto a presentare i suoi piani per lo svilup-po sostenibile, che devono essere impostati in maniera da sot-trarre risorse da attività insostenibili in favore di politiche capaci dimigliorare la qualità della vita e rispettare l’ambiente.C’è un tarlo, però, a tormentare anche i più ottimisti tra gli osser-vatori dei processi geopolitici. Stime concordi valutano il costomondiale degli Sdg a 15 trilioni (miliardi di miliardi) di euro l’an-no. Trattandosi di investimenti destinati a produrre guadagni allepersone, ma non ai potentati finanziari, c’è purtroppo da atten-dersi qualche altra statistica fasulla. Speriamo bene.

Giulio Albanese

non si ferma a causa della guerra civile che stamartoriando il Sud Sudan dal 2011 e della carestia.Il 20 febbraio dellʼanno scorso le agenzie dellʼOnuhanno avvertito che «a causa della guerra e diunʼeconomia al collasso, circa 100mila personedevono affrontare una grave situazione di fame inalcune parti del Sud Sudan, dove oggi è stata di-chiarata la carestia». Unicef, Fao e Wfp hanno ag-giunto che un altro milione di persone sono stateclassificate sullʼorlo della carestia. Altro dolore,altre vittime della povertà e dei mutamenti climaticidovuti ad uno sviluppo incurante del pianeta edaltro silenzio dellʼinformazione. I cittadini neppuresanno di Dadaab, del Sud Sudan, della Somalia,di tanti luoghi del mondo nei quali poter sopravvivereè diventata una scommessa col destino. Insomma,una emergenza drammatica minaccia lʼequilibriodel pianeta e la causa di questo pericolo sono lediseguaglianze.

Campagna contro le disuguaglianzePartendo dal basso, con un metodo partecipativoe coinvolgendo in particolare i giovani, Caritasitaliana, Focsiv e Fondazione Missio hanno decisodi lanciare una Campagna per contribuire a cambiarele cose, per opporsi alle diseguaglianze. I destinataridellʼiniziativa, che a breve prenderà il via, sarannole parrocchie, le associazioni locali, le scuole, lecooperative, gli imprenditori. Gli scopi principali »

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hanno lʼobiettivo di sensibilizzare e informare lecomunità e i territori sul legame strettissimo checollega cibo, migrazioni, conflitti, ambiente e debitoalle disuguaglianze. Uno sforzo corale col quale sivuole sia raccontare la realtà che moltiplicare lebuone pratiche in grado di cambiare questo sistemasociale.Per spiegare la campagna di Caritas italiana, Mas-simo Pallottino ha detto: «Nei Paesi ancora inpace si cerca di allontanare i conflitti rafforzando ladifesa e incrementando il commercio delle armi».In Italia, ad esempio, la crisi delle miniere di carbonenel Sulcis Iglesiente ha portato a riconvertire leattività nella costruzione di ordigni ed esplosiviesportati nello Yemen. Con lʼipocrisia, per giunta,di finanziare, nello stesso Paese, le organizzazioniumanitarie che aiutano i rifugiati. Mentre papaFrancesco ha spiegato come «gli Stati che com-merciano in armi spesso sono gli stessi che pro-muovono la pace». Pallottino ha ricordato unostudio dellʼUniversità di Roma Tre, secondo il qualei cambiamenti del clima colpiscono in manieradiversa e non solo nei Paesi poveri. Nel quartiereromano di Prima Porta, per fare un esempio,quando il Tevere esonda, chi subisce le conseguenzepiù serie sono i migranti, che abitano nelle già fati-scenti abitazioni vicine al fiume. Il rappresentantedi Caritas, infine, sul complicato argomento deldebito ha ricordato come «i poveri pagano gliinteressi che arricchiscono i ricchi, ma per far

fronte al debito pubblico si tagliano servizi sanitaried educativi, di cui usufruiscono le fasce più deboli.Dobbiamo trovare forme per uscire dal debito,perché le crisi debitorie e della finanza non sonofrutto del caso, ma di precise decisioni politiche».Andrea Stocchiero, della Focsiv, da parte sua haaggiunto: «Tutte le politiche di privatizzazione so-stengono le disuguaglianze. La teoria neoliberaleche riduce la presenza dello Stato è sempre piùevidente a livello mondiale». Padre Giulio Albanese,della Fondazione Missio e direttore di Popoli eMissione, ha ricordato: «Pensiamo che il bene co-mune consista nella sommatoria dei beni individuali.Ma non è così: è un bene condiviso. Qui si inserisceil magistero di Francesco, che ha un chiodo fisso:quello dei poveri nelle periferie fisiche ed esistenzialidella Storia». Ricordando le parole del papa: «Ipoveri sono la carne di Cristo», padre Albanese haspiegato: «Oggi lʼeconomia e la finanza hannopreso il sopravvento sullʼeconomia reale. Una di-scrasia inaccettabile allʼinterno di una crisi sistemi-ca».Nella seconda metà di questʼanno partirà, quindi,una intensa Campagna di sensibilizzazione chesarà pluriennale: «Vogliamo creare consapevolezza– dice Paolo Beccegato di Caritas italiana - perchéspesso le nostre comunità cercano capri espiatoriai quali attribuire responsabilità. È nostro compitopedagogico far capire, invece, le varie interdipen-denze».

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Kabila faorecchie damercante

È uso e costume, di questi tempi,affermare con grande disinvoltura,che noi europei dobbiamo aiutare

gli africani a casa loro. Peccato chestiamo facendo l’esatto contrario. Lo di-mostrano ampiamente i recenti fatti disangue, avvenuti il 31 dicembre scorsonella Repubblica Democratica del Congo(RdC), durante la manifestazione orga-nizzata dal Comitato dei cittadini cattolici.Come era prevedibile, tutto è passato insordina, nella più totale indifferenza del-l’opinione pubblica internazionale. Il bi-lancio della repressione è stato di 11morti a Kinshasa e di uno a Kananga. Lamarcia “nonviolenta” aveva lo scopo diinvitare il presidente uscente JosephKabila, che già da tempo avrebbe dovutodimettersi, a rispettare il primo paragrafodell’articolo 70 della Costituzione, cherecita: «Il Presidente della Repubblica èeletto per un mandato di cinque annirinnovabile una sola volta».Sebbene alcune testate giornalisticheabbiano parlato di questi drammaticifatti, le cancellerie europee si sono limitatea condannare l’accaduto senza però eser-citare quella dovuta pressione sul governocongolese che continua a fare il bello e

Repubblica Democratica del Congo

Nel Paese africano ricchissimo di materie prime, ilpresidente “uscente” Joseph Kabila non ha nessunavoglia di lasciare il suo posto, a rischio di scatenareulteriori disordini nel Paese. E mentre altre nazionipensano a come sfruttare il patrimonio naturaledella RdC, la Chiesa congolese fa sentire la sua voceattraverso le chiare dichiarazioni dell’arcivescovo diKinshasa, cardinal Laurent Monsengwo.

di GIULIO [email protected]

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

il cattivo tempo, procrastinando la con-sultazione elettorale. Se da una parte èvero che il capo della diplomazia del-l’Unione Europea (Ue), Federica Mogherini,ha denunciato, lo scorso 3 gennaio, il ri-corso alla violenza, l’attacco alla libertàdi espressione e il blocco dei mezzi d’in-formazione da parte del governo diKabila, dall’altra la Ue non ha minacciatonuove sanzioni contro Kinshasa. Infatti,stando a fonti diplomatiche accreditatea Bruxelles, i governi di Francia e Spagnaavrebbero impeditoche vi fosse una presadi posizione più espli-cita. È evidente che,dietro le quinte, sicelano interessi eco-nomici strategici.Stiamo parlando, èbene rammentarlo, diun Paese che possiedeil 34% delle riservemondiali di cobalto,il 10% di quelle dioro, oltre il 50% dirutilio, per non par-lare degli ingenti de-positi di diamanti,uranio, cassiterite, pe-trolio e gas naturale. Inoltre, sul territoriocongolese si trova circa il 70% dellerisorse idriche dell’Africa e dalla suaforesta pluviale si ricava legname d’ognigenere esportato in tutto il mondo. Negliultimi 20 anni, vasti settori geograficidel Paese, soprattutto sul versante orien-tale, sono stati teatro di scontri chehanno coinvolto una galassia di gruppiribelli, molti dei quali finanziati e sostenutidai Paesi limitrofi (Uganda e Rwanda),coinvolti nell’estrazione illegale delle ric-chezze del sottosuolo.

IL RUOLO DI FRANCIA E SPAGNASecondo autorevoli fonti della societàcivile, la svolta sarà possibile nella misurain cui vi sarà maggiore coerenza da

che in questo caso fa onore all’ex potenzacoloniale: «La responsabilità è di chi nonha rispettato l’accordo di San Silvestro2016, secondo il quale le elezioni si sa-rebbero dovute svolgere entro il 2017».A questo proposito è bene rammentareche fu proprio la gerarchia cattolicalocale a svolgere quel negoziato il cui ri-sultato non ha poi trovato un felice ri-scontro nelle decisioni di Kabila che èsempre più paladino degli interessi ne-potistici e cleptocratici della sua oligar-chia.

LA VOCE DELLA CHIESANessuno, francamente, ha la sfera di cri-stallo per prevedere i futuri scenari diquello che ai tempi del dittatore MobutuSese Seko si chiamava Zaire. È un Paeseaffascinante, autentico crogiuolo di popoli– quasi 82 milioni gli abitanti, divisi in300 principali etnie – con straordinarieculture ancestrali, fatto d’immense foresteequatoriali con una vegetazione spon-

parte della comunità internazionale, Eu-ropa in primis. Infatti, dopo l’elezione diEmmanuel Macron alla presidenza fran-cese, Parigi e Kinshasa hanno strettofitte relazioni diplomatiche. Non a caso,lo scorso giugno, hanno visitato l’exZaire due personaggi di spicco: FranckParis, consigliere dell’Eliseo per l’Africa,e Rémi Maréchaux, direttore del Dipar-timento Africa del Ministero degli esterifrancese. Questi signori sono paladinidegli interessi più svariati che vanno, ad

esempio, dalle attivitàdi Bolloré Africa Lo-gistics (creata perconsolidare le infra-strutture e le attivitàlogistiche del GruppoBolloré in tutto il con-tinente africano e chemira alla concessionedel corridoio ferro-viario e stradale Ma-tadi-Kinshasa), a quel-le della compagniapetrolifera Total allafrontiera con l’Ugan-da. E cosa dire di Ma-drid che è preoccu-pata di tutelare gli

affari della Actividades de Construccionesy Servicios, alla testa di un consorzioper la costruzione della grande diga diInga? La posizione di Francia e Spagna ècertamente condivisa anche da altre po-tenze straniere, come il governo cineseche è tradizionalmente allergico all’agendadei diritti umani, soprattutto quando sitratta di affari.Per carità, sarebbe ingiusto fare di tuttele erbe un fascio. Le Nazioni Unite, perbocca del Segretario generale AntonioGuterres, hanno sollecitato il governocongolese a «rispettare i diritti del popoloalla libertà di espressione e alla pacificamanifestazione». E anche il governo belgaha deplorato «la brutale repressione»precisando un aspetto molto importante

Il cardinaleLaurent

Monsengwo,arcivescovo di

Kinshasa.

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consapevole papa Francesco che ricevendoin udienza Kabila, il 26 settembre 2016in Vaticano, aveva sottolineato l’impor-tanza della collaborazione tra gli attoripolitici e i rappresentanti della societàcivile e delle comunità religiose, in favoredel bene comune, attraverso un dialogorispettoso e inclusivo per la stabilità e lapace nel Paese. Purtroppo, nel caso diKabila è proprio vero quello che recita ilproverbio: «Non c’è peggior sordo di chinon vuol sentire».

dure dopo quel 31 dicembre, definendo«mediocre» l’attuale classe politica e«barbari» gli uomini in uniforme chehanno perpetrato le violenze di fineanno. «È tempo per i mediocri di andar-sene», ha detto in un comunicato, rilan-ciato dalla stampa internazionale, loscorso 2 gennaio. L’arcivescovo di Kinshasaha condannato pubblicamente le violenzedei militari al soldo di Kabila, in particolare«il fatto di aver impedito ai fedeli cristianidi entrare in chiesa per partecipare allacelebrazione eucaristica nelle diverseparrocchie di Kinshasa – come si leggenel comunicato - il furto di soldi, di cel-lulari, la ricerca sistematica delle personee dei loro beni all’interno della chiesa eper le strade, l’ingresso dei militari, leuccisioni, l’uso delle armi contro i cristianiche avevano in mano bibbie, crocifissi estatue della Vergine».Una cosa è certa: l’ex Zaire è davverouna grande polveriera che potrebbeesplodere da un momento all’altro. Ne è

Repubblica Democratica del Congo

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Joseph Kabila, presidente uscente dellaRepubblica Democratica del Congo.

tanea che si manifesta nella forma piùesuberante e costituisce il più ricco em-porio di piante esotiche, tra le quali pri-meggiano i palmizi e gli alberi dei legnipiù preziosi, quali l’ebano e il mogano.Per non parlare dei suoi fiumi o deglistruggenti tramonti che rendono questovastissimo territorio un concentrato dibellezze paesaggistiche che vanno al dilà di ogni fantasia e immaginazione. Ecosa dire delle immense ricchezze delsottosuolo che accolgono l’intera gammadei minerali del nostro pianeta? Allaprova dei fatti, l’ex Zaire potrebbe essereun paradiso terrestre anche se poi, an-dando avanti di questo passo, rischiadavvero l’implosione. «Non rimane chela voce della Chiesa, in particolare quelladell’arcivescovo di Kinshasa, il cardinalLaurent Monsengwo», ha commentatopadre Eliseo Tacchella, missionario com-boniano e profondo conoscitore dellasituazione congolese. Il porporato ha in-fatti usato parole inequivocabili e molto

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ La missione del Sermig

e guidati, soprattutto da alcuni uominie donne di Dio e di buona volontà, deigiganti del Novecento. Penso a figurecome padre Michele Pellegrino, arcive-scovo di Torino, papa Paolo VI, MadreTeresa di Calcutta, dom Helder Camara,frère Roger della Comunità di Taizé, Gio-vanni Paolo II e tanti altri. Poi, un uomodi Dio, un politico santo, Giorgio La Piraci fece scoprire la profezia di Isaia, leparole che annunciano un tempo in cuile armi non saranno più costruite e ipopoli non si eserciteranno più nell’artedella guerra. Non avevo ancora tuttochiaro, ma nel cuore sentivo che forseDio ci avrebbe usato per fare qualcosadel genere. E così avvenne. Dopo qualcheanno, i nostri sogni approdarono in unluogo simbolo della città di Torino: l’ex

Q uando la nostra avventura èiniziata, nel 1964, eravamo gio-vani, inesperti, ma con un ideale

pulito nel cuore. Erano anni di grandecontestazione. Se non ti schieravi, ancheall’interno della Chiesa, per tanti eracome se non esistessi. Ma noi volevamoessere semplicemente cristiani e provarea concretizzare un sogno: abbattere lafame nel mondo. I campi di lavoro, leraccolte di denaro, le iniziative di sensi-bilizzazione furono i primi strumentiper aiutare missionari e volontari di ognicongregazione, gruppo, provenienza, re-ligione. Muovevamo i primi passi e conmio grande stupore ci sentivamo osservati

arsenale militare di Borgo Dora. Dismessodagli anni Sessanta, era un rudere, unluogo annerito dal tempo e da un passatodi morte e di desolazione. Entrammo il2 agosto 1983 con un patto sproporzio-nato perché la struttura era fatiscente eci era stata data a condizione che la ri-mettessimo a posto. Sarebbero servitimolti miliardi di lire e tanti amici cerca-rono di distoglierci. Secondo una logicaumana, avevano ragione perché noi nonavevamo competenze, mezzi. Ma ave-vamo un sogno vivo, concreto più chemai. Ci trovammo così dentro un movi-mento di bene più grande di noi: centinaiadi migliaia di giovani e adulti, credenti enon credenti, gruppi, parrocchie, asso-ciazioni, ma anche monache e monacidi clausura, carcerati, professionisti. Inquesta avventura, c’era posto per tutti.L’arsenale è diventato così Arsenale dellaPace, un luogo di morte trasformatogratuitamente dal lavoro di tanti in casadi vita.

In queste pagine Ernesto Olivero, fondatore del Servizio missionario giovani (Sermig), racconta la suascommessa di fede, diventata realtà di pace, amicizia esolidarietà. Grazie ad una fede incrollabile, che malgradoil passare degli anni, gli ha lasciato gli occhi luminosi diun eterno ragazzo, abituato a parlare con Gesù.

L’Arsenale chefabbrica pace

di ERNESTO [email protected]

Ernesto Olivero

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e «L’imprevisto accolto». Non significaaltro che sentirsi interpellati continua-mente dal volto che abbiamo davantiper costruire un mondo davvero più giu-sto, più fraterno. È questa la sintesi deinostri ideali. Quando un giovane, lavo-rando fianco a fianco con noi, scopreche può cambiare realmente il metroquadrato attorno a sé e forse anchequalcosa in più, allora poco per

quel ragazzo che durante un incontroper la pace mi puntò il dito contro,chiedendomi dove avrei dormito quellanotte. Io non capivo cosa volesse, malui continuava. Quella notte scoprii ildramma dei senza fissa dimora dellamia città e decisi con i miei amici cheavrei dovuto fare qualcosa. Oggi se nellenostre case accogliamo oltre duemilapersone ogni notte è merito proprio diquel dito puntato contro di me tantianni fa. L’incontro con questa umanitàmi ha fatto capire che la chiave di tuttoè vivere pensando: «Se l’altro sono io…»

SPIRITO MISSIONARIO DEL SERMIGL’arrivo dell’Arsenale ci cambiò la vita.L’incontro con le persone, i problemiche ci venivano portati, le situazioniche ci interpellavano ci fecero capireche avremmo dovuto mettere da parteogni piano o programma. Eravamo partiticon uno slancio missionario, ma adessoil mondo cominciava ad entrarci in casaattraverso il campanello. Mai avrei im-maginato di incontrare ex terroristi chevolevano riconciliarsi con la società,malati che non volevano morire, donneche cercavano un appoggio per nondover abortire, giovani inchiodati a di-pendenze infami, che con lo sguardo ticonsegnavano la loro sete di cambia-mento. E ancora donne violentate chebussavano nel cuore della notte, mammecon i loro bambini, gente che volevacambiare vita accettando un metodo euna severità, profughi perseguitati perle loro idee politiche o religiose. Ricordo

»

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Arsenale della Pace a Torino.Arsenale della Pace a Torino.

Arsenale della Speranza aSan Paolo in Brasile.

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amore, questo respiro. Diventando bra-siliani con i brasiliani abbiamo cancellato,almeno nel nostro cuore, la convinzioneche ci sia un primo, un secondo, unterzo mondo.

L’ARSENALE DELL’INCONTROLo spirito degli Arsenali è quello di piccolivillaggi che vogliono dare a tutti l’op-portunità di imparare a vivere con dignità.Lo abbiamo visto anche in Giordania, aMadaba, nel nostro Arsenale dell’Incontro,nato nel 2003 su impulso del patriarca

non abbiamo divise che differenzianogli uni dagli altri. Vogliamo tutti unmondo migliore e abbiamo capito chebisogna alzarci e iniziare a camminare.Non lo pretendiamo dagli altri il mondomigliore, ma lo costruiamo insieme, conil rispetto, l’accoglienza, le cure, il lavoroper restituire anzitutto dignità. Dignitàche tante volte in questi anni ha ac-compagnato e fasciato uomini anchenel loro ultimo viaggio, con una sepolturadegna di un figlio di Dio. Da più di 20anni stiamo cercando di vivere questo

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

volta si innamora del bene, impara alottare per ciò in cui crede e diventa di-sponibile ad assumersi delle responsabilità,non solo dentro il Sermig ma ovunquesi trovi. Giovani così possono essere lachiave per costruire un mondo nuovo,in cui tutti possiamo essere fratelli.Quando saranno adulti, non rimarrannolegati alla loro posizione ma faranno unpasso indietro per mettere i giovani alprimo posto. Giovani così possono cam-biare davvero il corso della storia.

L’ARSENALE DELLA SPERANZAAccanto all’esperienza di Torino, sononate presto anche quelle in altri Paesi.Nel 1996, a San Paolo del Brasile, entraiper la prima volta nella vecchia Hospe-daria dos Migrantes, la Casa della qua-rantena degli immigrati che cercavanofortuna in Brasile, tra cui quasi unmilione di italiani. Trovai negli archiviuna vecchia immagine d’epoca che ri-traeva un uomo come me; sotto la foto,una scritta: «Vendesi schiavo, età 45anni, prezzo trattabile». Mi si gonfiò ilcuore. Ma anche lì, con i miei amici,sentii che era possibile cambiare. Oggi,quel luogo non è più una casa di qua-rantena per gli schiavi ma una casa cheaccoglie e cura i più abbandonati esfruttati. È diventato l’Arsenale dellaSperanza, una casa sempre aperta cheaccoglie 1.200 uomini, persone comenoi, che non hanno un riparo, offrendoogni giorno un letto per la notte, unpasto caldo, la possibilità di provvedereall’igiene personale, corsi di alfabetizza-zione, di formazione al lavoro e assistenzamedica. Sediamo tutti alla stessa mensa,

Arsenale dell’Incontroa Madaba in Giordania.

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commuovo a pensare al loro gesto dopola morte di Aidana. Avevamo volutopregare per lei con una messa. Connostra sorpresa, li abbiamo visti entrarein chiesa. Erano felici: due religioni in-sieme. Un gesto di fratellanza che intanti Paesi sarebbe punito con la morte.Vorrei con tutto il cuore che l’anima diAidana aiutasse ognuno di noi a capireche possiamo avere culture e religionidiverse, ma possiamo sempre volercibene. L’Arsenale con la sua storia nonpuò accettare che in tante nazioni i cri-stiani vengano uccisi, e così i musulmani,gli ebrei, i credenti e i non credenti.Siamo tutti figli e figlie di Dio. Hopensato questo davanti al corpo diAidana, una piccola donna che abbiamoaccolto, fasciato, rispettandola in tutto.Per amore di Dio, dell’umanità. Davantia lei, morta con tutti i sogni, ho affidatola mia speranza, unendola al ricordo ditanti figli scomparsi come lei: «Che cieloe terra si uniscano, che il cielo faccia ri-flettere di più chi è sulla terra».

una diversità di culture, ma anche divalori. Credo che ognuno abbia il dirittodi custodire la propria identità, ma se sivuole vivere insieme serve un terreno diincontro comune. A mio parere, l’unicapossibilità è mettere al centro lo Statodi Diritto, un sistema di diritti e doveriin cui possiamo riconoscerci. Vivere loStato di Diritto significa vedere l’altrocome una persona uguale a te. Dettoquesto, l’integrazione vera nasce anchequando ci si scopre uniti dalla stessaumanità. Posso raccontare tante storie,ma ne scelgo una. Un giorno, ero davantiad una ragazzina, Aidana, che nel suosonno eterno contemplava già Dio. Ai-dana aveva 13 anni. Era venuta con lasua famiglia da un Paese lontano dell’Asia.Era malata di leucemia e a Torino avevafatto il suo viaggio della speranza persottoporsi ad un trapianto di midollospinale. L’accoglienza di bambini malatiinsieme alle loro famiglie è una dellepagine più belle dell’Arsenale. Ricordocon tenerezza quando i genitori diAidana, dopo pochi mesi dal loro arrivo,ci proposero di portare l’esperienza del-l’Arsenale nel loro Paese: «Perché nonvenite da noi? Siamo musulmani, tuttilo sono, ma vi costruiremo una chiesa».Nella loro semplicità, avevano detto lacosa più ragionevole del mondo. E mi

La missione del Sermig

di Gerusalemme. La nostra casa oggi ac-coglie centinaia di bambini e giovani di-sabili, sia cristiani che musulmani, offrendoloro cure mediche, inserimento scolastico,laboratori per l’avviamento al lavoro. Inuna terra difficile, dove la gente fa ancorai conti con le ferite della storia, abbiamocapito che l’umanità e la sofferenza deipiccoli sono il banco di prova per coltivareamore e far incontrare le persone, al dilà del loro credo e delle loro convinzioni.È difficile, per nulla scontato, ma inGiordania abbiamo capito che non hasenso confrontare i dolori, a maggior ra-gione quelli causati dalla storia. No, idolori non si confrontano. Si condividono!Se impariamo a farlo e a costruire par-tendo da questo, non vedremo più nel-l’altro un musulmano, un ebreo, un ateo,un nemico, ma solo umanità che ci in-terpella. Vedremo un volto, una storiaterribile che vuole essere ascoltata, unavita difficile che può ancora aprirsi allasperanza.

DIALOGO E INTEGRAZIONEIl tema del dialogo e dell’accoglienza èmolto complesso. All’inizio, 30 anni fa,ci siamo accorti che nelle nostre acco-glienze alcuni nostri atteggiamenti ri-schiavano di essere travisati dai nostriamici musulmani. Questo nasceva da

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Olivero con il maestro Mauro Tabasso,direttore artistico del Laboratorio del Suono,il progetto musicale del Sermig.

Olivero con San Giovanni Paolo II.

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D a sempre don Giuseppe Ghirellisentiva la spinta a partire perl’Africa, fin da quando giovane

responsabile del Centro missionario dio-cesano di Anagni-Alatri, animava conpassione le attività missionarie, in par-ticolare dei giovani. In cuor suo era giàun fidei donum, ma di fatto la realiz-zazione del suo sogno è stata possibilesolo in età adulta, quando nel 2014,parroco ad Olevano, il suo vescovomonsignor Lorenzo Loppa gli ha datoil mandato missionario per l’Etiopia,un Paese dove su 96 milioni di persone,il 40% ha meno di 20 anni. Ma ancheun territorio provato dalla guerra, dovesolo chi scommette tutta la propriavita per Cristo può andare. E rimaneretre anni e mezzo nella nuova Prefetturaapostolica di Robe presieduta da padreAngelo Antolini, che lo ha destinatoad una parrocchia della cittadina diGoba, al confine con la Somalia.Così a 60 anni, don Giuseppe si è messodiligentemente a studiare l’inglese e lalingua dell’etnia Oromo che abita quellaregione del Sud-est dell’Etiopia, in cui

sono solo una esigua minoranza. No-nostante i piccoli numeri, la Chiesa cat-tolica ha un ampio consenso tra lagente per l’attenzione ai poveri, agliultimi, agli emarginati.«Sono in una zona in cui il Vangelo nonè ancora arrivato - spiega don Peppe -proprio in uno dei tanti angoli delmondo in cui vive “la maggior partedell’umanità che ancora non conosceCristo” come dice la Redeptoris Missio.In territorio musulmano il missionarionon è nessuno, bisogna essere umili nelcomunicare le proprie idee».La fede robusta di questo prete ciociarodal cuore africano è un segno forte difede vissuta nella quotidianità: ne sonola prova vivente i 50 battezzati chequest’anno sono entrati a far partedella parrocchia di Goba. Quest’anno,oltre ai cinque preti presenti nella re-gione, dovrebbero arrivare altri tre sa-cerdoti e una famiglia fidei donumdalla diocesi di Padova, in questa zonache don Peppe definisce «periferica,isolata, abitata da pastori tradizional-mente insediati in zone rurali, dovenon c’è internet, luce, acqua e passasolo una strada asfaltata che dopo 500chilometri arriva ad Addis Abeba». Oggiil missionario dice che questa esperienzalo ha aiutato a capire «l’essenziale dacomunicare agli altri per aprire un dia-logo con la comunità. Qui prima cheun prete sei un cristiano che scopre leragioni della sua fede».

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maggiore è stato il dissenso al regimedi Haile Mariam Desalegn. «Nagaa, Ak-kam Jirtuu?» ovvero «Pace, come state?»in lingua oromo è la domanda che ilmissionario si è abituato a rivolgerealla gente di Goba, 30mila abitanti inmaggioranza musulmani, con una buonapresenza di ortodossi, dove i cattolici

MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀDon Giuseppe Ghirellida Anagni all’Etiopia

di MIELA FAGIOLOD’ATTILIA

[email protected]

Imparare la linguaImparare la lingua

Don Giuseppe Ghirelli

della missione

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DIRITTI UMANINel 70esimo anniversario

della Dichiarazione Universale

«D obbiamo liberare questo pia-neta dall’oscenità per cui cisono più probabilità di portare

in giudizio chi ha ucciso un essere umanopiuttosto che chi ne ha uccisi 100mila»:così l’allora Alto commissario Onu per iDiritti Umani, José Ayala Lasso, commentòl’istituzione, nel maggio 1993, del TribunalePenale Internazionale dell’Onu per la ex-Jugoslavia (ICTY), con sede all’Aja.

attuazione della Dichiarazione Universaledei Diritti dell’Uomo del 1948 e per lapromozione di un sistema globale deidiritti umani, superiore a quello dellaragion di Stato e dei popoli.Pur non essendo stato esente da critiche(c’è chi, ad esempio, lo ha accusato diemettere sentenze politicizzate o discarsa efficacia nel prevenire nuovi ge-nocidi), l’ICTY ha aperto indubbiamenteuna strada, anche dal punto di vistagiuridico, se è vero che successivamentesono nati il Tribunale penale per il Rwan-da (nel 1994), la Corte Penale Interna-zionale (nel 2002) e vari altri tribunaliincaricati di individuare e perseguire iresponsabili di crimini contro l’umanità,genocidi e gravi violazioni della Con-venzione di Ginevra in varie zone diconflitto: dalla Sierra Leone al Libano,dal Kosovo a Timor Est.Tra gli imputati più celebri del Tribunaledell’Aja ci sono Slobodan Milosevic, ac-cusato di crimini contro l’umanità perle operazioni di pulizia etnica dell’esercitojugoslavo contro i musulmani in Croazia,Bosnia-Erzegovina e Kosovo, morto incarcere prima che venisse emessa lasentenza; Radovan Karadži , condannatoa 40 anni per i crimini contro l’umanitàcommessi durante l’assedio di Sarajevo,il massacro di Srebrenica e altre cam-pagne di pulizia etnica contro i civilinon serbi; Ratko Mladic, responsabile dimolte atroci violenze di massa, anch’eglimorto in carcere all’Aja nel 2006, primadella sentenza.Durante la cerimonia di chiusura delTribunale, a cui hanno preso parte anchealcuni parenti delle vittime, il Segretariodelle Nazioni Unite, Antonio Guterres,ha sottolineato come la Corte dell’Ajaabbia «creato l’architettura contempo-ranea della giustizia internazionale» elasci «una preziosa eredità che spetta almondo preservare».

Stefano Femminis

[email protected]

Dopo oltre mille giorni di udienze, duemilioni e mezzo di pagine di verbali,4.650 testimoni ascoltati e, soprattutto,90 condannati, il Tribunale ha chiuso ibattenti il 21 dicembre dello scorsoanno. Istituito dal Consiglio di Sicurezzadelle Nazioni Unite, è considerato damolti autorevoli giuristi, filosofi deldiritto e analisti politici come un primo,fondamentale passo per una effettiva

Crimini e criminalidella ex Jugoslavia

Radovan Karadži,condannato a 40 anni di carcere dal Tribunale PenaleInternazionaledell’ONU per l’ex Jugoslavia.

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L’altra

I cieli di Pechino sono sempre più blu. Incredibile ma vero.Ecco i titoli: “Pechino sta vincendo la sua battaglia con-tro l’inquinamento”. “La Cina è attiva nel combattere lo

smog, almeno a Pechino”. “I cieli tornano blu”. I pezzi dei gior-nali asiatici, in quest’inizio d’anno nuovo, sono puntati su unfattore che spiazza, sebbene sia spesso solo un miraggio. LaCina è seriamente impegnata a ridurre le sue emissioni no-cive di CO2. Ma queste misure riguardano per lo più la capi-tale e i suoi dintorni, non le piccole città o l’immenso entro-terra cinese, molto sfruttato dal punto di vista industriale.

edicola

di ILARIA DE [email protected]

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LA NOTIZIA

L’ASIA È AL CENTRODELL’ATTENZIONE MEDIATICAPER L’INQUINAMENTO DELL’ARIA.ACCANTO AI VECCHIINQUINATORI MONDIALI, COME LACINA, IMPEGNATA A TENERESOTTO CONTROLLO LE EMISSIONIDI CO2, C’È UNA NEW ENTRY

DELL’USO INTENSIVO DICARBONE: LA MONGOLIA.

I VELENI DELLAMONGOLIA, I CIELI DI PECHINO

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Dall’Asia Times, al South China Morning Post alla Xinua, imedia cinesi enfatizzano, seguiti da Reuters e Bloomberg, l’at-tuazione di politiche molto concrete: come la tassa impostaalle industrie che inquinano. O l’emissione di “green bond”,titoli del debito pubblico verdi. Usati per finanziare attivitàche fanno bene all’ambiente.«Per affrontare il problema alla radice, la Cina imporrà unabusiness tax, a partire dal mese di aprile, contro chi inqui-na seriamente a livello industriale», scrive il Daily China, peruna crescita economica di “qualità”.Il governo cinese ha bisogno di dare una svolta salutista allasua crescita disordinata e spietata dal punto di vista ambien-tale. Ai successi fanno seguito anche le regressioni, però. È

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Inquinamento dell’aria e boom economico

vero che i cieli sono insolitamente blu ma l’aria pulita nondura poi molto. «Domenica scorsa, come riporta la Xinhua, trecittà nella provincia di Hebei avevano dovuto rialzare al li-vello rosso gli alert sull’inquinamento», scrive il South Chi-na Morning Post.Questa non è una provincia qualsiasi: parliamo della patriadell’acciaio, che ha dovuto prendere misure serie per conte-nere i danni dei cieli grigi, fino addirittura a fermare per unpo’ la produzione industriale. Greenpeace conferma l’impe-gno dell’impero del Dragone, ma dice chiaro e tondo che l’usointensivo del carbone non è in discussione, anzi. L’aumentodei consumi elettrici (dovuti in parte alla lotta contro la po-vertà che sposta intere masse di persone dalle campagne allecittà) costringono ad intensificare l’uso di fonti non pulite.«L’action plan cinese sull’atmosfera ha prodotto significati-ve riduzioni dei livelli di inquinamento e dei conseguenti ri-schi per la salute, ma le politiche che favoriscono l’uso del car-bone e lo sviluppo dell’industria pesante fanno fare dei pas-si indietro al Paese», dice Greenpeace.Tant’è che la Cina, secondo il sito di Active Sustainabilityrimane il numero uno tra i cinque Paesi più inquinanti al mon-do: seguita da Usa, Brasile, Indonesia e, infine, Giappone. Pe-chino ha capito che prendere atto che l’ambiente ha un peso,è determinante a livello mondiale. Misure contenitive sononecessarie per stare dentro il consesso delle nazioni svilup-pate, senza venire additati come gli inquinatori globali.Tralasciando i top five nemici dell’ambiente, c’è un altro Pae-se asiatico che inquina parecchio: è la Mongolia. Che secon-do molti giornali «sta avvelenando l’atmosfera». Come? Conle stufe a carbone. I mezzi d’informazione asiatici sono piut-tosto severi con questo Paese che si affaccia ora alla sogliadello sviluppo industriale. Laddove la crescita è recente e perforza di cose superveloce, l’inquinamento è l’ultimo dei pro-blemi dei governanti. Ma soprattutto, è una delle «necessa-rie conseguenze della lotta alla povertà». Se ci si vuole scal-dare davvero e si vuole produrre si deve inquinare: questo sem-bra il corollario delle nuove tigri asiatiche.«L’inquinamento dell’aria in Cina o in India fa i titoli dei me-dia internazionali – scrive il sito della tv TRT World – ma inuno dei Paesi asiatici la qualità dell’aria è anche peggiore chein questi due sconfinati territori: si tratta della Mongolia». «Conle migliaia di famiglie che bruciano carbone per sopravvive-re alle temperature artiche, la Mongolia è diventata la patriadelle atmosfere più velenose del pianeta», dice ancora.Per la signora Baasanjargal Batbaatar, mamma single con quat-tro figli, «il carbone è l’unico sistema che ci si può permet-tere per scaldarsi. Ma ad un prezzo». L’uso intensivo di stu-fe a carbone vuole spesso dire morte per asfissia. «La pri- »

Attivisti mongoli manifestano control’inquinamento atmosferico a Ulaanbaatar,capitale della Mongolia.

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L’altra edicolaInquinamento dell’aria e boom economico

rosse, blu o grigie». La descrizione della capitale prosegue, elo spettacolo è agghiacciante: la gente che si è trasferita dal-le campagne alle città, vive nelle caratteristiche tende, ma al-l’ombra dei grattacieli.«Il centro presenta moderni grattacieli che si affacciano suun mare di blocchi di torri sovietiche. Dietro questa apparen-te modernità si nascondono 180mila gers (le tende mongo-le, ndr), le case dei nuovi arrivati». Il riscaldamento dei po-veri è fatto con pericolose stufe a carbone.Infine c’è un altro Paese pericoloso: l’aria indonesiana è ir-respirabile. Questo è il terzo Paese più inquinato al mondo ecorre ai ripari in vista dei Giochi asiatici (le Olimpiadi d’in-verno in Corea del Sud).«Alcuni attivisti del Clean Air Movement – scrive The Jakar-ta Post – hanno sollecitato il governo indonesiano a porreattenzione alla qualità dell’aria a Jakarta, in vista dei giochi,dato l’altissimo livello di inquinamento atmosferico».

ma volta che stavo per perdere mia figlia fu lo scorso inver-no – racconta al sito della tv - Ero nella stanza accanto adallattare l’altro bambino, quando sono rientrata e mia figliastava soffocando. Le sue pupille erano già ruotate all’inter-no. La diagnosi è stata: asma».A parlare dei veleni mongoli è perfino il Newsweek, che glidedica un lungo pezzo sul campo: “Un inquinamento mor-tale sta diventando il maggior problema della Mongolia”. «Sem-bra che siamo quasi al crepuscolo - si legge nel reportage diEleanor Ross - ma in realtà sono soltanto le 11 del mattinoa Ulaanbaatar, la capitale in rapida ascesa della Mongolia. Laluce cala trasformandosi in una gialla foschia attorno ai cen-tri suburbani. Nuvole di carbone riempiono l’aria, interval-late da un acre odore che pizzica la gola e che sa di plasticabruciata».Ti accorgi subito di quando la qualità dell’aria peggiora per-ché «le strade si riempiono di gente che indossa mascherine

Tenda mongola constufa a carbone, uno dei principaliresponsabili delpeggioramento dellaqualità dell’aria nelPaese asiatico.

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missione. In diverse comunità esistonogià gruppi di ragazzi che incontro men-silmente per i vari ritiri di formazione.L’ultima volta che ho raggiunto la cittàdi Beni in Toyota, ho impiegato circa seiore per percorrere 50 chilometri. Infattila pista era piena di fango a causa dellegrandi piogge e centinaia di camionerano fermi nei due sensi di marcia enon si riusciva a passare.

Q ui a Butembo (Repubblica De-mocratica del Congo) viaggiospesso sulle piste delle zone

montuose circostanti, per raggiungerealcune parrocchie per l’animazione mis-sionaria e la formazione dei giovani alla

Posta dei missionari

La situazione politica rende sempre piùinsicura sia la regione che la città. Moltagente, a causa della guerra, scappa daipropri villaggi e viene a rifugiarsi a Bu-tembo, una città al collasso. Alcune par-rocchie sono state prese di mira dallebande armate e i sacerdoti sono dovutifuggire insieme con la loro gente. Damesi, ogni notte, ci sono incursioni dibande armate presso le abitazioni di pri-vati cittadini che vengono uccisi e de-rubati. La Società Civile, un organismoper i diritti umanitari che ha chiesto piùvolte la presenza e l’intervento delloStato, è stata minacciata e intimidita:alcuni responsabili di questo ente hannodovuto cambiare indirizzo e vivere nel-l’anonimato. Anche il nostro vescovo èstato più volte minacciato per i suoi in-terventi molto forti a favore della po-polazione indifesa. E anche noi missio-nari ci muoviamo con attenzione e nonandiamo più nelle zone insicure.I prodotti agricoli, come i cavoli, i fagioli,il riso, la farina ecc., provenienti da »

a cura diCHIARA PELLICCI

[email protected]

I Combonianie gli “amicidel Cristo”

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Un annoproficuo

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MISSIONE, CHIESA, SOCIETÀ

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L a cittadina di Moroto (Uganda)sta diventando sempre più freneticacon tutto il suo andirivieni di mezzi

pesanti che portano via il materialegrezzo per i cementifici del Sud. Il durolavoro dei minatori nelle cave a cieloaperto continua ad aumentare. Ho fattovisita a questa cava immensa, dove nonsi contano i gruppetti di persone (com-poste anche da ragazzi e donne) intenticon delle grosse mazze a ridurre in pezzipiù piccoli i massi enormi che affioranoin superficie. Accettano questo durolavoro con paghe irrisorie, pur di avere

gli “amici del Cristo”, che accogliamo inuna struttura messa a disposizione dallesuore Oblate, tutte congolesi, alcuni no-stri giovani hanno anche iniziato un ser-vizio di catechesi per prepararli ai sa-cramenti: alcuni di loro, infatti, nonhanno ancora ricevuto il battesimo.Non vi parlo delle centinaia di bambinidel quartiere, più di 500, che ogni do-menica pomeriggio vengono da noi perl’oratorio. I nostri giovani in formazioneli fanno giocare e i ragazzi, gioiosi, ri-tornano a casa con qualche caramella. Equanti bambini ancora vengono a bus-sare dicendoci che hanno fame!Con molta fatica continuo a seguire an-che i Pigmei della foresta per la loro sco-larizzazione e le cure mediche. Grazie alCentro Missionario Medicinali di Firenze,che si è impegnato a inviarmi regolar-mente delle medicine, sto rispondendoa questa esigenza. Ma non potendo pa-gare mensilmente i maestri delle scuoleper i Pigmei, due di loro (su cinque)hanno abbandonato l’insegnamento e ibambini adesso sono a casa o a vaga-bondare.In questo quadro di estrema povertà einsicurezza, il Principe della Pace sia lanostra forza e la nostra speranza.

Padre Gaspare Di Vincenzo

Butembo (Rep. Dem. Congo)

zone insicure, sono aumentati di prezzoe a Butembo la gente fa più fatica nel-l’acquisto. Non parliamo poi di altri pro-dotti provenienti dall’estero. In più c’èda dire che la moneta locale, rispetto aldollaro, è stata svalutata del 70-80%.Le famiglie sono sempre più impoveritee non riescono a pagare il contributorichiesto dallo Stato per mandare i figlia scuola. Tanti bambini e giovani ven-gono allora espulsi dalla classe poiché igenitori non hanno la possibilità di pa-gare. Cresce così il fenomeno dei ragazzidi strada, sbandati, prede di gruppi ar-mati che ingannano con facili promesse.Uno dei nostri impegni è quello del re-cupero dei ragazzi di strada, offrendoloro un tetto con un letto, del cibo e lapossibilità di riprendere gli studi. Da al-cuni mesi è arrivata una suora congolesedall’Italia che ci sta dando un grandeaiuto con la sua materna presenza nelseguire questi ragazzi di strada che chia-miamo gli “amici del Cristo”. Poi, a turno,i giovani dei gruppi di animazione mis-sionaria fanno a gara a raccogliere deiviveri presso le proprie famiglie e nelquartiere per assicurare i pasti caldi agli“amici del Cristo”. I nostri 25 giovani informazione sono impegnati nel prepa-rare loro i pranzi del martedì e della do-menica, e nel raggiungere altri ragazziche vivono ancora lungo la strada. Con

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che la comunità non si arrende e vuoleandare avanti nonostante le difficoltà.Sul monte Moroto nei pressi della cavadi pietre, c’è una vastissima foresta pian-tata dagli inglesi negli anni Cinquanta edagli esperti ritenuta fondamentale perproteggere l’ecosistema della zona e fer-mare l’avanzata del deserto. Qualchemalintenzionato ha visto il profitto chese ne può ricavare ed ha iniziato le pro-cedure per avere il permesso di tagliaregli alberi. La diocesi si è schierata con lapopolazione locale e finora siamo riuscitia bloccare ogni tentativo di abbattere laforesta.Il cantiere della cattedrale avanza lenta-mente: abbiamo terminato il lungo lavorodelle fondazioni e abbiamo iniziato adassemblare la struttura metallica per lagioia di tutti. Se ogni cosa andrà benepotremo terminare questa fase per ilprossimo aprile, Provvidenza permettendo.Abbiamo raggiunto il 30% dell’obiettivo.Continueremo poi con la costruzione delmuro perimetrale che girerà tutt’attorno.Lo scheletro di travi e colonne che svettaora nel cielo inizia a dare forma allachiesa che sarà.

Nel 2017 abbiamo iniziato anche il pro-getto “Minori” per far fronte ai moltissimibambini della diocesi che, spinti dallafame, sono stati portati dai loro genitorio parenti nella capitale Kampala e sonocostretti a fare questa vita: restano sedutitutto il giorno, fino alle due o alle tre dinotte, ai bordi delle strade, con le manitese verso i passanti per chiedere qualchespicciolo. Non possono avere un pastocaldo, andare a scuola, giocare, lavarsi,sentirsi protetti e sicuri. Sono i nostribambini che vengono costretti dagliadulti a chiedere l’elemosina nella capitaleKampala. Per i passanti sono i bambiniprovenienti dal Karamoja, una delle regionipiù povere nel Nord-est dell’Uganda.Sono bambini dai tre ai dieci anni e ra-gazzine dai 12 ai 14 anni, sulle stradepiù trafficate della capitale, che fannoaccattonaggio. I piccoli saltellano versole macchine nel traffico imprevedibiledelle strade di Kampala per chiederel’elemosina e le ragazzine, con i neonatisulle spalle, fanno la stessa cosa. Altribambini vengono messi per terra con lemani aperte a mendicare e rimangono lìper ore, sotto il sole torrido dell’equatore

o le intemperie. A tuttociò si aggiunge il fatto chevivono in tende fatiscentiai margini della città. Vo-gliamo contrastare questavergognosa piaga sociale,alimentata dalle condizionidi assoluta miseria in cuivivono le famiglie dei pic-coli: cominciamo aiutan-doli a fare riferimento adun Centro diurno per ilsostegno scolastico e ilreinserimento familiare.Come vedete, il lavoro nonmanca. Ringrazio di verocuore tutti coloro che ciaiutano a portare avantil’operato della diocesi.

Padre Damiano Guzzetti

Moroto (Uganda)

Posta dei missionari

qualche soldo per sopravvivere. Il tuttolascia una tristezza e uno sconforto talida provocare grande indignazione pertanta ingiustizia e sfruttamento. È comese liberamente accettassero di vivere daschiavi. Con la collaborazione del parrocolocale e di alcuni cristiani ci siamo mo-bilitati e abbiamo creato un comitatoche dialoghi con le autorità per ottenerecondizioni di lavoro più umane e giusta-mente retribuite. Abbiamo già avuto dueincontri con i rappresentanti dei dirigentidelle fabbriche di cemento, ma finora siè ottenuto poco. È bello comunque vedere

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LUCI SULLA FRONTIERA

il suo sguardo vediamo Scampia come unquartiere che rifiuta la rassegnazione maspera nella rinascita. Ascolta chi dice: «Cisentiamo vittime di un giudizio sommario:tutti ladri, drogati, camorristi. Più che unpregiudizio è uno stigma» e continua il suolavoro di ogni giorno per cambiare le cose.Nella periferia Est di Napoli, don GaetanoRomano da 30 anni è il parroco di sanGiovanni a Teduccio, in unex quartiere operaio affacciatosul mare inquinato dalle fab-briche del litorale partenopeo.Racconta che «quando sonoarrivato c’era un deserto. Misono ritrovato solo con unbicchiere d’acqua. Ho pen-sato che per un moribondonella sabbia, quel bicchiereera tutto. Ho sempre sognatodi essere Chiesa di strada equesta era la mia occasione».In mezzo ai bambini del ca-techismo sembra un nonnoaffettuoso, che ben si prestaa girare il sugo della pasta,quando la volontaria Carmelasta per mettere a tavola unpiccolo popolo di ospiti inat-tesi.La frontiera di padre CarloDe Angelis è la tossicodipen-denza dei giovani tra Mianoe Secondigliano, nella peri-

Napoli, terradi missioneC ome in tutti i Sud del mondo, le periferie

sono terre umiliate da povertà, sopraf-fazione e disoccupazione. Non bisogna at-traversare oceani e montagne per scoprirel’anima dolente di Napoli, seguendo padreAntonio Loffredo nei vicoli del Rione Sanitào camminando in mezzo alle costruzionimoderne e già degradate di Scampia conpadre Domenico Pizzuti. Il documentario“Luci sulla frontiera” della giornalista IlariaUrbani, prodotto da Ladoc, Isola Film e Lo-renzo Cioffi, apre le porte di mondi ai mar-gini, dove lo Stato ha abdicato al suo ruoloe le persone aspettano dal Vangelo l’oc-casione di riscatto della loro dignità.Con la guida della voce narrante dello scrit-tore Roberto Saviano, scorre il raccontodi sei missionari metropolitani che dannovolto a parole come solidarietà, pace, giu-stizia, educazione, accoglienza. «Il nostroservizio tra la gente e con la gente non èuna esclusiva di noi sacerdoti, ma è ildovere di ogni cittadino e di ogni uomo diVangelo» dice l’anziano padre Pizzuti, in-stancabile gesuita, sociologo, giornalista,blogger, che ogni giorno mette la suacultura a servizio di migranti e rom, in quel-l’area stigmatizzata dalla camorra comeregno del disagio sociale. Pizzuti segue in-sieme ad alcuni volontari un ambulatorioper i rom (profughi arrivati 30 anni fa dallaex Jugoslavia), organizza percorsi di inte-grazione, accompagna i bambini a scuola,fa la spesa per chi non ha soldi. Attraverso

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C’è poi la missione di don Franco Esposito,che tra Vangelo e canzoni di De Andrè, ècappellano del carcere di Poggioreale. Coni suoi volontari ha fondato un centro aForcella in cui ha preso in affido 50 detenutie altri 10 agli arresti domiciliari. Un modoper scontare la pena in condizioni più uma-ne, per affrancarli dalla camorra che arrivadietro le sbarre. E riscoprire che il verosignificato della parola libertà è chiusonell’anima.Dall’Africa a Napoli, don Félix Ngolo, con-golese, è arrivato a Pozzuoli come migrantee ha trovato una umanità perduta e il caloredella sua terra natale. «Ho capito che perarrivare al cuore dei fedeli dovevo essereuno di loro. Parlare il dialetto e tifare Ma-radona» spiega mostrando la sciarpa bian-co-azzurra della squadra di calcio. Così ilparroco di Rione Toiano vive lo sport comeuna forma di aggregazione per le famigliedella baraccopoli d’amianto chiamata “icontainers” dove la povertà ha tutte lefacce del disagio. «Ci voleva un prete cosìallegro in questo rione» dice la gente. Edon Félix risponde: «Qui non c’è la situa-zione drammatica del mio Paese in Africa,ma c’è tanto bisogno di umanità e di Van-gelo. Insieme alla Chiesa, camminandoinsieme, possiamo fare molto per cambiarela vita».

Miela Fagiolo D’Attilia

[email protected]

feria Nord di Napoli. Droga e bande criminalisi fondono in un micidiale mix di violenzae disagio che tocca moltissime famiglieprovate dalla povertà materiale, morale eculturale. Molti ragazzini, infatti, subisconoil richiamo della malavita ai facili guadagnie abbandonano presto la scuola. Qui la te-stimonianza del Vangelo ha bisogno di gestipiù che di parole; di semplicità e coraggiocome quando a padre Carlo è capitato ditrovare armi in parrocchia.Molti giovani in bilico da riportare sullatraiettoria di un futuro dignitoso sono ilgregge irrequieto a cui si dedica padreAntonio Loffredo nel Rione Sanità, un’isola

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nel centro di Napoli stretta dagli artiglidella camorra. Padre Antonio affronta de-grado civile e disoccupazione trasformandochiese, antichi palazzi in siti monumentalivisitati da turisti, in cui i giovani possonotrovare lavoro. Ripete come don Milaniche «la cultura è l’ottavo sacramento» econiuga cultura e imprenditorialità per uncambiamento culturale di cui il restaurodelle Catacombe di san Gennaro è l’esem-pio più famoso, visitato ogni anno da mi-gliaia di turisti di tutto il mondo. Così sicambia il volto della città, «la mentalitàdella gente e il cuore dei giovani» chepossono aprire i loro orizzonti esistenzialisu realtà che gli appartengono, ma chenessuno gli aveva fatto conoscere».

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N egli anni dell’occupazione italianain Africa che va dal 1936 al 1941,

molti missionari varcarono il Mediter-raneo verso la sponda africana. Anto-nio Cataldi pubblica uno studio cherappresenta un approfondimento sto-rico sull’azione delle congregazioni re-ligiose impegnate nel Corno d’Africanell’epoca fascista: il ricercatore hapotuto attingere a fonti archivisticheecclesiastiche che erano rimaste se-grete fino a poco tempo fa. Utilizzandomolte fonti inedite, Cataldi fa emergereil disegno generale della Chiesa di al-lora e dei missionari italiani che eraquella di convertire non solo animistie musulmani ma anche le genti cri-stiane or todosse copte. Si delinea

quindi una “politica” «che associa all’annuncio religioso, la con-vinzione che esso fosse accompagnato da un’azione civilizzatricenei confronti di popolazioni arretrate».

Lo studio evidenzia le contraddizioni di un particolare periodostorico, con forti spinte all’evangelizzazione, tra spirito di con-servazione del passato e carismi di grandi missionari. Comela figura di san Giustino de Jacobis, che seppe farsi etiope congli etiopi, nella frugalità della vita e nel rispetto per la localeChiesa ortodossa, o come quella del comboniano Pio Ferrari,giunto nella regione quasi 80 anni dopo la morte del santo.Grazie a questo libro e al suo valore conoscitivo stimolante ericco di problematiche - sottolinea Mario Belardinelli nella pre-sentazione - la ricerca può diventare apripista per ulteriori studisull’azione missionaria cattolica, affrontando, con attenzionemirata, la storia della vita religiosa all’interno delle comunitàemigrate in Africa «così da colmare un vuoto determinato dallarimozione di una vicenda nazionale infelicemente condotta econclusa». Questo volume fa parte della Collana di studi MeditEuropa, diretta da Mario Spedicato, e si occupa di rivisitarestoriograficamente gli avvenimenti tra le civiltà del Mediterraneoe quelle europee alla scoperta della verità storica per evitareulteriori cristallizzazioni e semplificazioni storiche e concet-tuali.

Chiara Anguissola

U n volumetto per raccogliere ricordi etestimonianze di chi ha conosciuto

Deddy, il ragazzo africano cieco, vissutonel Nord Italia dal 2009 al 2017. Venivadal Burundi, dalla periferia di Gitega. Nel2009 fu portato con urgenza in Italia, aRovigo, dalle missionarie della Redenzionedella diocesi africana, per essere operatodi tumore al cervello. Il tumore fu estirpatoma il nervo ottico era già atrofizzato eDeddy restò cieco. Da allora, rimasto inItalia per continuare le cure, fu affidato allafamiglia Bianchini di Frassinelle che l’hatrattato con tanto amore fino alla morte, il12 maggio 2017.Padre Giuseppe Buono, missionario delPime e Fondatore del Movimento Giovaniledelle Pontificie Opere Missionarie, fu colpitoda questo bambino cieco (di otto anni

d’età, quando lo conobbe), per la sua con-tagiosa gioia di vivere e per la sua incrollabilefede, tanto da definirlo un piccolo santo.Così ebbe idea di scrivere quest’opera, in-tervistando amici e formatori di Deddy: dalvescovo di Rutana in Burundi a don SilvioBaccaro, parroco di Borsea e direttore delCentro missionario diocesano. Quest’ultimoricorda che la forza e il segreto di Deddyerano nell’amore per Gesù Eucarestia. Perlui – continua - «la messa quotidiana ac-canto alle missionarie della Redenzioneera il suo “vero inizio” della giornata conGesù». La responsabile della famiglia mis-sionaria della Redenzione, Francesca Bia-sioli, descrive Deddy come un vero profetadi fede gioiosa: un esempio di vita cristianae di spirito missionario per tutti i ragazzid’oggi.

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Dal Burundi,Deddy ragazzomissionario

È stato un mo-dello luminoso,contagioso, tra-scinante, con-vincente - sot-tolinea l’autore - perché ha indicato a tantiragazzi la via per guardare in alto versoMaria, Madre di Gesù. Questo scritto, de-dicato ai ragazzi missionari, vuole aiutaregli educatori a rendere i bambini protagonistidell'animazione missionaria e spingerli aduna condivisione dei principi con i coetaneidi altre nazioni e di altre Chiese partico-larmente bisognose. Padre Giuseppe Buonopensa che questa raccolta di testimonianzedi santità missionaria riguardo al giovaneDeddy, possa aiutare l’apertura di unaeventuale causa di canonizzazione.

Chiara Anguissola

Giuseppe BuonoDEDDY IL PICCOLO AFRICANO CIECOCHE VEDEVA CON IL CUORECON IL PATROCINIO DELLA DIREZIONE NAZIONALEDELLE PONTIFICIE OPERE MISSIONARIE

Brignoli Edizioni - € 7,00

Antonio CataldiLE MISSIONI CATTOLICHEITALIANE NELLE COLONIED’ETIOPIA E D’ERITREAEdizioni Grifo - € 20,00

Missioni italiane nel Corno d’Africa

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cambiato forma e numero di corde (at-tualmente sono generalmente 11, distribuitein cinque coppie più un bordone singolo).L’oud è poesia, è suono vitale, vibrazionimiocardiche che scendono dirette dalleorecchie all’anima. Suoni che evocano im-mediatamente i panorami desertici e lecarovane beduine, le austerità delle moscheee i pittoreschi balli della cultura popolarearaba. I maestri di questo strumento sonotutti delle star: ovviamente non per i fre-quentatori delle playlist occidentali, ma perchi pensa che la musica sia innanzituttouna questione di cuore e un patrimonio dipopolo più che un fatto di mercato.Per chi volesse immergersi nelle esoticheatmosfere offerte da questo particolarissimostrumento, non c’è che l’imbarazzo dellascelta. Ci sono per esempio i tunisiniDhafer Youssef e Anouar Brahem, il sirianoFarid al-Atrash, l’iraniano Bijan Mortazavi,il libanese Marcel Khalife, l’egiziano JosephTawadros: tutti virtuosi straordinari, capacidi spaziare dalla tradizione classica al jazz.Ma tra i principali alfieri di quest’ambitovorrei segnalarvi Le Trio Joubran, ovveroSamir, Adnan e Wissam Joubran, tre fratellipalestinesi nati a Nazareth, che hanno fattodell’oud la loro passione e il loro mestiere.I tre sono figli d’arte (la madre Ibtisam erauna cantante di antichi poemi arabo-spagnoli e il padre Hatem uno dei migliori

virtuosi di strumenti a corda di tutto ilNord Africa). Il fratello maggiore, Samir, èstato il primo a farsi conoscere pubblicandoun paio di album solisti tra il 1996 e il2001; per il suo terzo lavoro pensò d’invitarealle sessioni di registrazione il fratellominore Wissam, e dopo la pubblicazionedi quel disco, intitolato Tamaas, eccoarrivare anche Adnan a comporre l’attualetrio, varato in un memorabile concerto aigiardini Luxembourg di Parigi nell’agosto2004. Da allora i tre cominciarono adesibirsi in varie città del Nord Africa e inEuropa, dividendosi, come base, fra lacittà natale, Ramallah, e Parigi. Nel corsodel tempo i tre hanno pubblicato diversialbum, collaborato con molti artisti me-diorientali e lavorato anche ad alcunecolonne sonore. Nel 2013 hanno ottenutouno speciale riconoscimento dal presidentepalestinese Mahmoud Ammas.

Franz Coriasco

[email protected]

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LE TRIO JOUBRAN

MU

SIC

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A prima vista potrebbe sembrare unmandolino a cui qualcuno abbia storto

il manico. L’oud è lo strumento principedella musica araba (un po’ come lo sonola chitarra e il mandolino per il folk italiano).È uno strumento cordofono, appartenentealla famiglia dei liuti e dalle sonorità incon-fondibili; non ci sono parole adatte adesprimerlo, così come il sapore di certivini, o le suggestioni create da determinatipanorami. La sua storia si perde nellanotte dei tempi, tanto che una leggendavuole che sia stato inventato da Lamak,uno dei nipoti di Adamo ed Eva. In realtà èdi origine persiana, evoluzione a sua voltadel barbat, uno strumento a corde pre-islamico. Intorno al X secolo arrivò inEuropa attraverso la Spagna, dove s’affermòben presto come uno degli strumentipreferiti per accompagnare la musica dicorte. Nella sua lunga storia ha più volte

UNA MERAVIGLIACHIAMATA OUD

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Il nuovo CUM

direttori dei Centri missionari diocesa-ni a Sacrofano, ovvero la decisionedella Conferenza episcopale italiana diripensare il futuro di questa struttura de-dicata alla missione, che si è ufficializ-zata nel Consiglio permanente della Cei

A San Massimo, alle porte di Ve-rona, dove ha sede la “Casadella missione”, meglio conosciu-

ta come Cum, si incontrano missionariche partono, missionarie che ritornano,cuori dallo slancio giovanile e anime se-gnate dal lungo cammino, operatori pa-storali provenienti dai vari continenti ericolmi di entusiasmo nel poter porta-re il loro contributo alla millenariaChiesa italiana, preti, suore e laici, indi-vidui e famiglie dai mille volti e dai mil-le colori. Da molti anni in questa casa sirespira a pieni polmoni aria di missione.Ora il profilo del Cum è cambiato.La notizia ufficialmente è stata data nelgiugno scorso al Convegno nazionale dei

VITA DI MISSIO

Sotto l’egida di Missio

di settembre: «La contrazione e l’invec-chiamento dei missionari fidei donum,un Paese che si scopre terra di missio-ne, una Chiesa attenta a ridare ragionedella missio ad gentes: a fronte di uncontesto rapidamente mutato, i mem-bri del Consiglio permanente hanno con-diviso l’itinerario di semplificazione so-cietaria che sta portando allo sciogli-mento della Fondazione Centro Unita-rio per la Cooperazione Missionaria(Cum). In questo modo la FondazioneMissio diventa a tutti gli effetti - come

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Il 2018 per il Cum è un anno che segnaun nuovo inizio delle attività e dell’identitàdi servizio alla missione che confluisceufficialmente nella Fondazione Missio.

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zione Missionaria” e sarà una parte diMissio, senza vita giuridica autonoma.C’è il proposito e la speranza che il Cum,pur collocandosi in un nuovo scenario,come dicono i vescovi, continui la suaattività formativa, magari rimanendonell’edificio di San Massimo. La dioce-si di Verona ha il proposito che San Mas-simo diventi il Centro pastorale della dio-cesi e il luogo propulsore di tante atti-vità pastorali. Noi, Missio ed équipe delCum, abbiamo proposto che nel gran-de edificio rimanga uno spazio autono-mo e ben attrezzato, ove si continui l’at-tività formativa e l’esperienza del Cumcome “casa della missione, delle missio-narie e dei missionari”. In questa direzio-ne, con il nuovo anno ci auguriamo e au-spichiamo che inizino i lavori per rior-

ganizzare una parte dellacasa come “Centro Unitarioper la Formazione Missiona-ria”: uno spazio ove, secon-do l’impegno dei vescovi, laChiesa e le diocesi italianecontinuino a dare ragionedella missio ad gentes connuovo slancio e nuovo entu-siasmo. Lo speriamo tanto!

Felice Tenero

previsto nel suo atto costitutivo - l’uni-co organismo della Chiesa italiana confunzione di promozione e raccordocomplessivo del mondo missionario. I ve-scovi hanno sottolineato l’importanzache nel nuovo scenario continui l’impe-gno di formazione: lo slancio missiona-rio rimane, infatti, il termometro dellavitalità di ogni diocesi» (Roma 25-27 set-tembre 2017).Il primo atto ufficiale di questa trasfor-mazione si è realizzato la mattina di lu-nedì 11 dicembre 2017 a Verona con ilpassaggio di proprietà dello stabile delCum di via Bacilieri, che è diventato diproprietà della diocesi di Verona. Abreve ci sarà l’estinzione giuridica del-la Fondazione Cum: da qui in avanti sichiamerà “Centro Unitario per la Forma-

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Nel 2018 il Cum, da poco diventato “Centro Unitario per la Forma-

zione Missionaria”, sezione della Fondazione Missio, prevede come

di consueto diverse attività divise nei vari settori formativi della mis-

sione. Nel settore “formazione missionaria” sono previsti due incon-

tri di educazione alla mondialità nelle scuole e parrocchie (gennaio e

settembre), il laboratorio sull’Evangelii Gaudium con il Tavolo degli or-

ganismi missionari (T.O.M.) dal 23-25 aprile, il corso di formazione mis-

sionaria per religiose dal 15 al 18 maggio, due appuntamenti (giugno

e settembre) con “Missione 2.0: comunicare la missione con i social

media”. Per la sezione “Missio Km zero”, ovvero per i laici rientrati dal-

la missione, sono previsti tre momenti formativi: 7-8 aprile, 1-3 giu-

gno, 22-23 settembre. Alle religiose è dedicato il corso di formazione

missionaria, dal titolo “La missione come continuo esodo”, in colla-

borazione con l’Unione Superiore Maggiori d’Italia (USMI), dal 15 al 18

maggio.Il clou delle attività, per il centro di Verona, si avrà come di consueto

nei mesi di giugno-ottobre con il corso di lingua italiana per operato-

ri pastorali non italiani (luglio e agosto), con il corso partenti per l’Afri-

ca e America Latina (dal 9 settembre al 13 ottobre), con il corso di for-

mazione biblico missionaria dal 24 al 29 luglio dal titolo “La teologia

del popolo nel I e II testamento”. In settembre è fissato il corso per

missionari rientrati, in collaborazione con la Conferenza degli Istituti

Missionari Italiani (CIMI), del Servizio Unitario Animazione Missiona-

ria (SUAM), dell’USMI. Sempre tra l’estate e l’autunno (30 luglio-10

agosto e 15-20 ottobre) sono previsti due livelli del corso rivolto ad

operatori pastorali non italiani.

Tutte le attività dettagliate con le schede di iscrizione sono scarica-

bili sul sito www.fondazionecum.it o www.missioitalia.itP.A.

Iniziative e corsi per il 2018

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Missio Consacrati al momento dell’iscri-zione. A conclusione del corso verrà ef-fettuato l’esame finale via web (per idettagli, vedi box). L’attestato di par-tecipazione è riconosciuto dall’Univer-sità Urbaniana, mentre nelle altre uni-versità italiane il corso può essere ac-creditato come “opzionale”.Ma perché un corso di missiologia online? «L’idea – spiega padre Ciro Bion-di, segretario della Pum e responsabi-le di Missio Consacrati – l’ho in men-

M issio Consacrati (ovvero ilsegretariato italiano dellaPontificia Unione Missiona-

ria - Pum), in collaborazione con la Pon-tificia Università Urbaniana di Roma,lancia un Corso di missiologia on lineper sacerdoti, religiosi, religiose, semi-naristi, giovani in formazione, membridei Centri missionari diocesani e deigruppi parrocchiali, famiglie, laici e perchiunque sia interessato alla missione.Si tratta di un vero e proprio corso uni-versitario, con docenti che terranno le-zioni, test di verifica, esame finale. Iltutto via web.Il materiale del Corso (che varrà comedocenza del secondo semestre dell’an-no 2017/2018) può essere scaricato dauna piattaforma on line utilizzando lapassword fornita dalla segreteria di

VITA DI MISSIO

MissiologiaMissiologiaall’universitàon line

te da anni. Recentemente, con la“scomparsa” del Corso di missiologiadalle Facoltà teologiche italiane, hopensato che era arrivato il momento.Inoltre lo scorso anno sono uscite lenuove norme per l’insegnamento neiSeminari: la Congregazione del Clerochiedeva che si riprendesse il Corso dimissiologia (vedi Ratio FondamentalisInstitutionis Sacerdotalis, n. 171, ndr).Così ho incontrato il professor Carme-lo Dotolo, preside della Facoltà di Mis-siologia dell’Università Urbaniana, e conlui abbiamo realizzato il tutto». Perquanto riguarda la scelta della moda-lità on line, padre Biondi racconta: «Ne-gli ultimi anni ho insegnato all’Univer-sità di Goroka, in Papua Nuova Guinea,proprio via web: diversamente gli stu-denti non avrebbero potuto seguire icorsi, perché le distanze sono enormi ei mezzi di trasporto molto scarsi. Cosìmi è venuta l’idea di proporre questamodalità anche qui, per tutti coloro chealtrimenti, per cause ben diverse rispet-to alla Papua, non avrebbero potutoiscriversi».Per informazioni e iscrizioni rivolgersia [email protected]

Pontificia Unione Missionaria

di CHIARA [email protected]

I DETTAGLI DEL CORSOIl Corso di missiologia è organizzato in otto moduli presentati in 16 lezioni,con otto schede di verifica e un esame finale. Inizia il 12 febbraio e termi-na il 24 giugno.Ogni modulo viene messo on line in due video-lezioni di 45 minuti (unalezione a settimana). Le lezioni, registrate presso l’Università Urbaniana diRoma, sono tenute dai professori di cattedra delle singole discipline. Ognilezione è trascritta in formato testo e inviata via e-mail agli iscritti per faci-litarne lo studio. Ciascun modulo è corredato da una scheda di verifica: unavolta compilata dovrà essere inviata via e-mail in segreteria che la correg-gerà e la rimanderà agli iscritti. Ogni modulo metterà a disposizione deltempo per domande e risposte con un esperto delle singole discipline. Allafine solo coloro che avranno completato le schede e l’esame finale avran-no diritto a ricevere il diploma di partecipazione che potrà essere ricono-sciuto da Università e Istituti Superiori di Scienze Religiose con tre crediti.

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tesi “La nozione di proairesis in Grego-rio di Nissa” e si è laureato in Diritto ca-nonico alla Pontificia Università Late-ranense. L’impegno di monsignor DalToso a Cor Unum è iniziato nel 1996,quando a capo del dicastero c’era l’ar-civescovo Paul Josef Cordes, diventan-done sotto-segretario nel 2004. Dal giu-gno 2010 è diventato segretario delPontificio Consiglio, la cui guida erapassata al cardinale guineano RobertSarah (fino a prima della nomina a se-gretario della Congregazione per l’evan-gelizzazione dei popoli). La perma-nenza di monsignor Dal Toso a CorUnum gli ha permesso di conoscere lesofferenze di molti cristiani che vivo-no nelle periferie del mondo, recando-si in Siria nel 2014 per incontrare i ve-scovi e i religiosi di molte congregazio-ni presenti sul territorio. In Siria è tor-nato nel gennaio 2017 come inviato dipapa Francesco in qualità di “delegato”del nuovo Dicastero per lo sviluppoumano integrale a Damasco e nella cit-tà martire di Aleppo.«Le Pontificie Opere Missionarie - ha di-chiarato monsignor dal Toso all’Agen-zia Fides - hanno una valenza impor-tantissima. In primis danno alle giova-ni Chiese la possibilità di strutturarsi, fi-nanziando Seminari, chiese, corsi di stu-dio. Un secondo compito è quello del-la animazione missionaria: l’aiuto finan-ziario ha senso solo se considerato al-l’interno di uno sguardo generale cheè il desiderio di portare il Vangelo».

M.F.D’A.

giunto della Congregazione e presiden-te delle POM, portando con sé una lun-ga esperienza maturata nel Pontificioconsiglio Cor Unum.Nato a Vicenza nel 1964, monsignor DalToso è cresciuto a Laives in provincia diBolzano, ed è entrato nel Seminariomaggiore di Bressanone quando ha sen-tito la vocazione e dove è stato ordina-to sacerdote nel 1989, e dove ha svol-to servizio pastorale per tre anni. Pres-so la facoltà di Teologia dell’Universi-tà di Innsbruck ha conseguito il titolodi Magister theologiae; alla PontificiaUniversità Gregoriana di Roma ha ot-tenuto il dottorato in Filosofia con la

“La missionemi sta a cuore”

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Due nomine delle scorso novem-bre a Propaganda Fide accom-pagnano l’impegno del cardina-

le prefetto Fernando Filoni nella guidadella Congregazione per l’evangelizza-zione dei popoli. L’arcivescovo tanzania-no, monsignor Protase Rugambwa, giàpresidente delle Pontificie Opere Mis-sionarie (POM), è stato nominato segre-tario della Congregazione, andando aricoprire l’incarico svolto precedente-mente dall’arcivescovo salesiano SavioHon Tai Fai di Hong Kong. Nella stessaoccasione, il neo arcivescovo di Fora-ziana, monsignor Giovanni Piero DalToso, è stato nominato segretario ag-

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Monsignor Dal Toso, neo presidente delle POM

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VITA DI MISSIO

Dopo “Ricerca” e “Gioia”, “Fede” è la terza tappadel percorso proposto da Missio Giovani per

l’animazione missionaria di adolescenti e giovani nel-l’anno pastorale 2017-18.«Cos’è la Fede? Accettare un qualcosa che nonposso capire e spiegare solo perché ci è rivelatodall’alto, dalla Chiesa o da chi ha una formazione inmerito? O la fede è consapevolezza che si acquisiscecon un cammino di formazione e di ricerca? È un rap-porto di sudditanza verticale o un rapporto di amiciziaorizzontale? Un rapporto di energia e di vita che ricevia-mo o di limitazioni e regole che ci vengono inculcate?».Con questi interrogativi, don Matteo Moretti, teologo esacerdote dell’arcidiocesidi Portoviejo in Ecuador,invitato per guidarci nellariflessione, ha introdotto iltema “Fede” del secondo

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Incontro di Formazione Missionaria per il Centro-Italiatenutosi a Roma il 14 gennaio scorso.Un incontro ricco di riflessioni, di nuovi spunti e di tantacondivisione su un tema, quello della Fede, che puòdiventare nella vita di ognuno una presa di coscienzaprofonda e radicale e non un qualcosa di astratto e dif-ficile da raggiungere.Nel giorno dell’incontro si celebrava la Giornata

Mondiale del Migrante e delRifugiato. Prima di iniziare i lavo-ri, attraverso la “Preghiera deiPunti Cardinali” ci siamo rivoltifisicamente e mentalmente nelladirezione di ogni continente eabbiamo pregato per le terre,per i popoli che le abitano, peri missionari di tutto il mondo esoprattutto per chi, a causa diingiustizie, è costretto a lasciarela propria casa.Attraverso una dinamica propo-sta dal Segretario nazionale,

Giovanni Rocca, abbiamo iniziato a cono-scerci meglio, cercando di scoprire il per-sonaggio scelto da ogni partecipante inquanto significativo nella propria vita.Con la visione di un video girato in Tanzaniadove le ragazze, durante l’esperienza esti-va missionaria dello scorso anno, risponde-

LA FEDE? ÉFIDARSI DI DIOLA FEDE? ÉFIDARSI DI DIO

SECONDO INCONTRO DIFORMAZIONE MISSIONARIA

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vano alla domanda: «Cos’è perte la fede?», è iniziata la rifles-sione. Una domanda semplicema che rivolta ad ognuno dinoi, ci interroga nel profondoe ci rende predispostiall’ascolto e ad accogliere una formazione che cambiail modo di intendere e percepire la Fede.«La fede è fiducia! Anche voi che partecipate a questoincontro avete fatto un grande atto di fede venendo quiperché vi siete fidati della proposta di qualcuno.Ricordatevi che la vita degli uomini e delle donne suquesta terra è un continuo atto di fede» ha iniziato il suointervento don Moretti.Don Moretti ha scelto, come spunto per la riflessione, ilprologo al Vangelo di Giovanni, definito un vero e pro-prio “inno alla fede”. Infatti è «un testo che spesso vieneletto nelle nostre chiese e che, se compreso, rappresen-ta il concentrato della fede; una polemica contro chinon accetta la novità cristiana che intende la fede comeciò che dà vita e non solo restrizioni dettate da un rap-porto di sudditanza».Abbiamo scoperto insieme che, proprio nel versettoiniziale del prologo, viene presentato il progetto di Dio.«Il termine latino verbum, tradotto in greco come logos,vuol dire idea, progetto - spiega don Moretti -. Giovannivuole comunicare che fin dall’inizio c’era un grande

progetto di Dio e tutto è frut-to di questo. Pro-getta-

re fa paura perché vuol direbuttarsi a favore di qualcuno.Ecco dunque il progetto diDio: buttarsi per noi!».«Il logos, il progetto chemuove Dio all’atto creativo delmondo, è un comandamentonuovo» che il teologo provo-catoriamente ha definito «uncomandamento ateo perché

Dio non chiede nulla per sé. La cosa che interessa a Dioè l’amore che noi possiamo rivolgere in nome Suo aglialtri e per aiutarci si fa il termine di paragone per impa-rare ad amare».Un progetto che scardina la concezione del “Dio irrag-giungibile”, scuote le coscienze e ci apre ad un cammi-no di fede che ci chiama a vivere con Dio. «Sono cristia-no nel momento in cui capisco che il mio cammino suquesta terra deve essere un cammino di divinizzazione.Dio non è un antagonista ma è colui che vuole investirtidella sua stessa essenza divina. Se anche una sola crea-tura non sa di essere chiamata alla divinità, a Dio man-cherà sempre qualcosa».Interessante è l’aspetto di “uomo co-creatore delmondo” che don Matteo ci ha mostrato, affermando che«il potere creativo del mondo è stato messo da Dionelle nostre fragili mani». Tocca a noi dunque farci pro-motori della vita e della bellezza del mondo e donareagli altri una proposta di fede diversa da quella chespesso giunge a noi.Infatti, ha sottolineato don Moretti, «la fede cristiana èuna fede piena di vita, capace di riportare la vita anchedove c’è morte. Quanto più saremo vivi, tanto più avre-mo fede. La fede non è penitenze e rinunce. La fede èvita, la vita dello Spirito. La parola mortificazione nelNuovo Testamento non esiste. C’è invece vivificazione».Ma non possiamo essere da soli in questo camminoperché «la fede ha una dimensione comunitaria fonda-mentale. È un’esperienza condivisa che ci rende umanie capaci di accogliere l’altro».

Marzia Cofano

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Intenzioni

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“di MARIO [email protected]

PERCHÉ COLORO CHEHANNO UN POTEREMATERIALE, POLITICO,SPIRITUALE NON SILASCINO DOMINAREDALLA CORRUZIONE

L a cronaca di ogni giornos’incarica di presentarci conscadenza regolare un vasto

campionario di personaggi che, unavolta conquistati i vertici del poteremateriale, politico e a volte anche re-ligioso, usano questi traguardi per rea-lizzare attraverso la corruzione inte-ressi personali e più in generale del-la “bottega di appartenenza”. Nel2015, quando papa Francesco andòin visita al quartiere napoletano diScampia, affermò: «Un cristiano chelascia entrare dentro di sé la corruzio-ne “spuzza”, una società corrotta“spuzza”! Magari s’incomincia conuna piccola bustarella, ma questomodo di fare è come drogarsi! E an-

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La corruzionespuzza

che se la prima bustarella è piccola,poi viene quell’altra e quell’altra an-cora: e si finisce con la malattia del-l’assuefazione alle tangenti. Con lacorruzione siamo davanti - continuòpapa Bergoglio - a un peccato gravis-simo perché essa va contro la digni-tà della persona umana. Corruzioneè proprio questo: è non guadagnareil pane con dignità». Parole durissi-me che tornano nella prefazione chepapa Francesco ha scritto al libro-in-tervista del cardinale Peter Turkson,“Corrosione”. Bergoglio definisce lacorruzione «il linguaggio più co-mune» delle mafie, un «processo dimorte che spezza» la coesistenza frale persone, favorisce il crimine e in de-finitiva distrugge chi ne è fautore.Per il pontefice, il fenomeno della cor-

ruzione è una metastasi che investelo «stato interiore» della persona as-sieme al «fatto sociale». Il punto dipartenza per Francesco sono le “tre re-lazioni” che caratterizzano la vitaumana: quella con Dio, quella colprossimo, quella con l’ambiente.Quando l’uomo è onesto, afferma, levive responsabilmente «per il bene co-mune». Al contrario, l’uomo che silascia corrompere subisce una cadu-ta morale e la condotta anti-socialeche la corruzione induce finisce persciogliere la validità dei rapporti. Sispezzano le basi della coesistenza frale persone, “l’interesse particolare” ot-tenuto attraverso la corruzione diven-ta un veleno che contamina ogni pro-spettiva generale. La corruzione quin-di è una «forma di bestemmia».Il papa, apprezzando l’analisi condot-ta dal cardinale Turkson sul fenome-no, mette in guardia la Chiesa dal-la sua forma di corruzione più peri-colosa, la «mondanità spirituale», la«tiepidezza, l’ipocrisia, il trionfalismo,il senso di indifferenza». Un moni-to, quello del papa, rivolto non soloai cristiani ma a tutti gli uomini dibuona volontà.

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tate al limite dell’impraticabilità e illoro territorio arriva sino al confinecon l’Argentina. Non hanno paura,per me sono un esempio. E, quandopasso li incoraggio e a volte li accom-pagno». Chi mi parla è l’arcivescovomonsignor Renè Rebolledo. La sua èuna voce rotta dall’emozione nelracconto veritiero mentre proseguia-mo sulla strada. Oggi le tappe saran-no molte: l’incontro con queste co-munità lo facciamo quasi ad ogni pas-so, a volte scendendo e visitando, avolte solo guardando da fuori del fi-nestrino queste chiese ferite e, pur-troppo, gran parte chiuse. «La »

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Serena, prete da 20anni, parroco qui aMontepatria da sei.È dal 2010 che non si celebra in chie-sa, ma solo nel tendone adiacente.Colgo una situazione molto perico-losa: il fianco della parrocchia è cosìinclinato che pare si appoggi su unlato, “gravido” ancora da quel terri-bile terremoto di sette anni fa. La sua“pancia” potrebbe esplodere da unmomento all’altro.

UN VESCOVO PER STRADAE TRA LA GENTESaluto questo giovane prete che viveassieme a Julio, seminarista (che, invista dell’ordinazione, sta facendo unanno di esperienza pastorale), e padreGerardo, impegnato per una giorna-ta di spiritualità con i giovani. A loroè stata affidata la cura di tre parroc-chie e 30 villaggi. Da venerdì a do-menica sono continuamente in viag-gio, macinano chilometri per raggiun-gere più luoghi possibili per le cele-brazioni e per vivere “spezzoni” di co-munità con la gente. «Le automobi-li sono vecchie, ma non abbiamo al-tre possibilità, le strade sono acciden-

di GAETANO BORGO*[email protected]

C ile, una terra splendida e ric-ca per la sua geografia, ma-gnifica per le persone che vi

operano con dedizione e grandi sacri-fici. Grazie al supporto del nunzioapostolico, monsignor Ivo Scapolo,e al direttore delle Pontificie OpereMissionarie in Cile, padre GianlucaRoso, abbiamo potuto visitare ladiocesi di La Serena e il Vicariato apo-stolico di Aysen. «Si yo no tengomiedo, tampoco el pueblo no tiene mie-do!». Se io non ho paura, nemmenoil popolo ha paura». Parole che nonmi sono scivolate via o che ho lascia-to cadere distrattamente sul selciatodella chiesa di Nuestra Senõra delCarmen. Chi le pronuncia è padreRoberto Callejas, della diocesi di La

In compagniadi uominie profeti

Don Gaetano Borgo, monsignor Ivo Scapolo,nunzio apostolico in Cile e padre SaverioTurato, fidei donum in Ecuador.

Padre Rivera

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anche solo con gli occhi, come la par-rocchia di Recoleta, condotta da undiacono permanente, Hendric Rive-ra. La notte precedente ha aperto leporte di uno scalcinato oratorio perospitare sette famiglie, colpite da unincendio causato da un corto circui-to. Le macerie fumavano ancora alnostro arrivo ma, ancor di più, ci col-pisce il capo chino di queste famiglie.La solidarietà di questi fratelli e sorel-le mi fa intravedere i tavoli colmi diprovviste per i prossimi giorni: è il soc-corso dell’intera comunità. Quel«Benedetto sei tu...» ci fa spezzare il

vostra visita significa tanto per noi -dice il vescovo - la bellezza della Chie-sa è anche questa: non sentirsi soli,non abitare la periferia in solitudine».

TANTA VITA SOTTO IL CIELOViaggiamo dentro la valle del Sotaqui,costeggiamo il più grande invasodel Cile, Paloma (gli invasi d’acquasono necessari a causa di lunghi pe-riodi di siccità), e ammiriamo ettaried ettari di vigneto, terre faticosamen-te rubate ai pendii sassosi di questemontagne che ci circondano e rese fe-conde dal lavoro dell’uomo. Sullosfondo, anche se lontano a vistad’occhio, ci abbaglia il riflesso che ilsole così forte oggi picchia su alcunecupole di color argento: sono alcuniosservatori astronomici. Da qui e piùa settentrione, fino al deserto di Ata-cama, ci sono molti punti di osserva-zione. Senza dubbio il cielo stellato delCile è un richiamo mondiale. Riper-corriamo, a ritroso, i 200 chilometriche ci separano dalla capitale regio-nale La Serena e dalla sua cattedrale.È tardi ed è un motivo in più per ce-lebrare la messa e passare in rassegnai volti e le situazioni che ho toccato,M

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pane fiduciosi, perché ce n’è in abbon-danza per tutti, basta solo saper con-dividere. Ci fa versare il vino, stase-ra, ancora una volta, su queste comu-nità ferite per sollevarle. La stanza chemi accoglie per pregare è nuda, un ta-volo per altare, due sedie, due ingi-nocchiatoi e un piccolo tabernacolocome uno scrigno. La porta accantosi apre sui suoi libri portati qui quat-tro anni fa all’inizio del suo ministe-ro, sono ancora per terra accatastatia pile: «Non posso permettermi de-gli scaffali o fare una cappella più di-gnitosa, i miei preti hanno più biso-

gno. E le comunità soffrono, ora piùche mai, le fatiche della povertà e del-la provvisorietà».

NEL BEL MEZZO DELLA PATAGONIALasciamo il bellissimo entusiasmo el’intraprendenza di monsignor Renècon i suoi 480 villaggi e 700mila abi-tanti, come pure salutiamo questa bel-lissima parte del Centro-nord delCile, dove l’aria si scalda da mezzogior-no in poi, e il microclima fa scoprirela possibilità di produrre del buon vinotinto y blanco, facendo sorgere dei bel-

Don Borgo, monsignor Luigi Infanti,vicario apostolico di Aysen e padre Turato.

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La sua lettera pastorale del 2008, “Danos hoy el agua de cada dia”, ha segna-to profondamente tutta l’opera pasto-rale. «Toccando il tema dell’acqua - cidice monsignor Infanti - abbiamo toc-cato interessi pesanti, abbiamo porta-to alla superficie incongruenze e in-giustizie. Com’è possibile che il 96%dell’acqua della Patagonia apparten-ga totalmente a multinazionali? Solocon la forza della gente siamo riusci-ti a fermare la costruzione di centra-li idroelettriche. Oggi è la comunitàcristiana a essere chiamata a incarna-re la fede in questo frangente così par-ticolare, a difendere la bellezza delCreato, a vivere nella quotidianità labeatitudine della giustizia, a essere sen-tinelle di questo paradiso che Dio ciha chiesto di custodire con attenzio-ne particolare». Nelle sue parole c’è lapreoccupazione che papa Francesco hariposto nelle bellissime pagine dellaLaudato Si’.Anche qui il tempo e i chilometri pur-troppo scorrono e la stessa ricchezzaumana e pastorale, che affiora in pa-dre Luis, la incontro anche nei padrie nelle suore della Congregazione didon Guanella, nell’accogliente comu-nità dei Servi di Maria e nei due par-roci che conosciamo lungo il percor-so. È respirabile, tra loro, il camminodi speranza che questa Chiesa sta trac-ciando ed è bene augurante per tut-to il Vicariato di Aysen; ciò m’infon-de coraggio, perché nonostante le esi-gue risorse, il poco personale aposto-lico e il costo delle fatiche profetiche,c’è un capitale di umanità sincera e unafede genuina di cui noi necessitiamo...come l’acqua ogni giorno.

ne l’unico vicariato e necessiterebbe diuna presenza più cospicua di persona-le apostolico poiché le vie di comuni-cazione sono impegnative e il lavoroè tanto. Il clima, anche se siamo a con-clusione della primavera, in questi duegiorni è rigido. Un verde spiccatamen-te intenso e irlandese ha avvolto il no-stro percorso tra piccole città e lunghitragitti con poche presenze di comu-nità. «Eppure - ci confida monsignorLuis - il nostro operare è assiduo, nonconosce interruzione e la priorità ri-mane la formazione continua di tut-ta la nostra comunità cristiana. Curia-mo, in modo particolare, che alcunilaici diventino formatori e, a loro vol-ta, coordinatori di zone spesso irrag-giungibili. Coprire le distanze non èsempre possibile, i 900 chilometri dilunghezza del Vicariato sono impegna-tivi e non sono pochi i disagi che lamorfologia del territorio ci regala, trafiordi e montagne, tra fiumi e chiat-te su cui salire».

UN PROFETA ROCCIOSOMonsignor Infanti, è imponente nelfisico e la sua parlata friulana ci fa in-travedere un carattere roccioso, levi-gato da più di 40 anni di missione,ma sempre intatto nella sua spicca-ta serenità di custodire con allegrez-za questa parte di Chiesa. Grazie allaradio e alla tv del Vicariato, sparse indieci punti geografici, sul territorioviene fatto un servizio encomiabile:dalla catechesi alla riflessione, dal crea-re cultura e far sorgere riflessioni, adessere mezzo di relazione mettendoin comunicazione zone e luoghidove il telefono non arriva. Lascian-do la capitale della regione Coyhai-que abbiamo tempo, percorrendoqueste strade, di metterci in ascoltodella sua esperienza.

lissimi vigneti. Passando per Santia-go ci imbarchiamo alla volta di Bal-maceda: a soli 500 metri c’è il confi-ne con l’Argentina. Siamo nel Cen-tro-sud della Patagonia, ospiti del vi-cariato di Aysen. Qui, dal 1999, è vi-cario apostolico monsignor Luigi In-fanti De La Mora dei Servi di Maria.Nel 1940 a loro fu affidata la custo-dia di questi 110mila chilometri qua-drati. Le sei parrocchie si suddivido-no in più di 60 comunità affidate a unpiccolo numero di persone tra presbi-teri, religiosi e diaconi permanenti. Seil Cile conta 26 diocesi, questo rima-

*Direttore del Centro missionariodiocesano di Padova

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