Attualità del discorso sul bene comune - · PDF file51 Attualità del discorso...

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    Attualit del discorso sul bene comune

    Docente di Economiapolitica, Universit diBologna; PresidentedellAgenzia per le Onlus

    di Stefano Zamagni

    Perch nellultimo quarto di secolo la prospettiva di discorso del bene comune, dopoalmeno un paio di secoli durante i quali essa era di fatto uscita di scena, sta oggi rie-mergendo al modo di fiume carsico? Perch il passaggio dai mercati nazionali al mer-cato globale, consumatosi nel corso dellultimo quarto di secolo, va rendendo dinuovo attuale il discorso sul bene comune?

    La morale utilitaristica

    Per rispondere, giova osservare che a partire dalla prima met dellOttocento, la vi-sione civile del mercato e, pi in generale, delleconomia scompare sia dalla ricercascientifica sia dal dibattito politico-culturale. Parecchie e di diversa natura le ragionidi tale arresto. Ci limitiamo a indicare le due pi rilevanti. Per un verso, la diffusione amacchia dolio, negli ambienti dellalta cultura europea, della filosofia utilitarista diJeremy Bentham, la cui opera principale, che del 1789, impiegher parecchi decenniprima di entrare, in posizione egemone, nel discorso economico. con la morale utili-taristica e non gi con letica protestante come taluno ritiene ancora che prendepiede dentro la scienza economica lantropologia iper-minimalista dellhomo oecono-micus e con essa la metodologia dellatomismo sociale. Notevole per chiarezza e perprofondit di significato il seguente passo di Bentham: La comunit un corpo fitti-zio, composto di persone individuali che si considera come se costituissero le suemembra. Linteresse della Comunit cosa? la somma degli interessi dei parecchimembri che la compongono. (1789 [1823], I, IV).

    Per laltro verso, laffermazione piena della societ industriale a seguito della rivolu-zione industriale. Quella industriale una societ che produce merci. La macchinapredomina ovunque e i ritmi della vita sono meccanicamente cadenzati. Lenergia so-stituisce, in gran parte, la forza muscolare e d conto degli enormi incrementi di pro-duttivit, che a loro volta si accompagnano alla produzione di massa. Energia emacchina trasformano la natura del lavoro: le abilit personali sono scomposte incomponenti elementari. Di qui lesigenza del coordinamento e dellorganizzazione. Sifa avanti cos un mondo in cui gli uomini sono visualizzati come cose, perch pifacile coordinare cose che non uomini, e nel quale la persona separata dal ruoloche svolge. Le organizzazioni, in primis le imprese, si occupano dei ruoli, non tantodelle persone. E ci avviene non solamente allinterno della fabbrica, ma nella societintera. in ci il senso profondo del ford-taylorismo come tentativo (riuscito) di teo-rizzare e di tradurre in pratica questo modello di ordine sociale. Laffermazione dellacatena di montaggio trova il suo correlato nella diffusione del consumismo; donde

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    la schizofrenia tipica dei tempi moderni: da un lato, si esaspera la perdita di sensodel lavoro (lalienazione dovuta alla spersonalizzazione della figura del lavoratore);dallaltro lato, a mo di compensazione, si rende il consumo opulento. Il pensiero mar-xista e le sue articolazioni politiche nel corso del Novecento si adopereranno, con al-terni ma modesti successi, per offrire vie duscita ad un tale modello di societ.

    Diverse concezioni di mercato

    Dal complesso intrecciarsi e scontrarsi di questi due insiemi di ragioni derivata unaconseguenza importante ai fini del nostro discorso: laffermazione, tuttora presentenelle nostre societ, di due opposte concezioni del mercato. Luna quella che lovede come un male necessario, cio come unistituzione di cui non si pu fare ameno, perch garanzia di progresso economico, ma pur sempre un male da cuiguardarsi e pertanto da tenere sotto controllo. Laltra quella che considera il mer-cato come luogo idealtipico per risolvere il problema politico, proprio come sostienela posizione liberal-individualistica, secondo cui la logica del mercato deve potersiestendere, sia pure con gli adattamenti del caso, a tutti gli ambiti della vita associata dalla famiglia, alla scuola, alla politica, alle stesse pratiche religiose.

    Non difficile cogliere gli elementi di debolezza di queste due concezioni tra lorospeculari. La prima stupendamente resa dallaforisma: Lo Stato non deve remare,ma stare al timone si appoggia sullargomento della lotta alle ineguaglianze: solointerventi dello Stato in chiave redistributiva possono ridurre la forbice fra individui efra gruppi sociali. Le cose per non stanno in questi termini. Le disuguaglianze neipaesi avanzati dellOccidente, che erano diminuite dal 1945 in poi, sono tornatescandalosamente a crescere negli ultimi ventanni e ci nonostante i massicci inter-venti dello Stato in economia. (In Italia, ad esempio, lo Stato intermedia circa il 50%della ricchezza prodotta nel Paese). Conosciamo certamente le ragioni per le quali ciavviene, ragioni che hanno a che vedere con la transizione alla societ post-indu-striale. Si pensi a fenomeni quali lingresso nei processi produttivi delle nuove tecno-logie infotelematiche e la creazione di mercati del lavoro e del capitale globale; ma ilpunto capire perch la ridistribuzione in chiave perequatrice non pu essere uncompito esclusivo dello Stato. Il fatto che la stabilit politica un obiettivo che,stante lattuale modello di democrazia quello elitistico-competitivo di Max Weber edi Joseph Schumpeter non si raggiunge con misure di riduzione delle ineguaglianze,ma con la crescita economica. La durata e la reputazione dei governi democraticisono assai pi determinate dalla loro capacit di accrescere il livello della ricchezzache non dalla loro abilit di ridistribuirla equamente tra i cittadini. E ci per la sem-plice, seppure triste, ragione che i poveri non partecipano al gioco democratico, edunque non costituiscono una classe di stakeholders capace di impensierire la ragionpolitica. Se dunque si vuole contrastare laumento endemico delle disuguaglianze,perch foriero di pericoli seri sul fronte sia della pace sia della democrazia, occorreintervenire prima di tutto sul momento della produzione della ricchezza e non solo suquello della sua ridistribuzione.

    Cosa c che non regge nellaltra concezione del mercato, oggi efficacemente veico-lata dal pensiero unico della one best way? Che non vero che la massima esten-sione possibile della logica del mercato (acivile) accresce il benessere per tutti. Non vera, cio, la metafora secondo cui una marea che sale solleva tutte le barche. Il ra-

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    gionamento che sorregge la metafora basicamente il seguente: poich il benesseredei cittadini dipende dalla prosperit economica e poich questa causalmente asso-ciata alle relazioni di mercato, la vera priorit dellazione politica deve essere quelladi assicurare le condizioni per la fioritura massima possibile della cultura del mercato.Il welfare state, dunque, quanto pi generoso tanto pi agisce come vincolo allacrescita economica e quindi contrario alla diffusione del benessere. Donde la racco-mandazione di un welfare selettivista che si occupi solamente di coloro che la gara dimercato lascia ai margini. Gli altri, quelli che riescono a rimanere entro il circuito vir-tuoso della crescita, provvederanno da s alla propria tutela. Ebbene, la sempliceosservazione dei fatti a svelarci laporia che sta alla base di tale linea di pensiero: cre-scita economica (cio aumenti sostenuti di ricchezza) e progresso civile (cio allarga-mento degli spazi di libert delle persone) non marciano pi insieme. Come dire cheallaumento del benessere materiale (welfare) non si accompagna pi un aumentodella felicit (well-being): ridurre la capacit di inclusione di chi, per una ragione olaltra, resta ai margini del mercato, mentre non aggiunge nulla a chi vi gi inserito,produce un razionamento della libert, che sempre deleterio per la pubblica feli-cit.

    Queste due concezioni del mercato, tra loro diversissime quanto a presupposti filoso-fici e a conseguenze politiche, hanno finito col generare, a livello in primo luogo cul-turale, un risultato forse inatteso: laffermazione di unidea di mercato antitetica aquella della tradizione di pensiero delleconomia civile una tradizione di pensiero ti-picamente italiana che inizia allepoca dellUmanesimo civile e si protrae fino a versola fine del XVIII secolo quando viene surclassata dal paradigma delleconomia politica.Unidea, cio, che vede il mercato come istituzione fondata su una duplice norma:limpersonalit delle relazioni di scambio (tanto meno conosco la mia contropartetanto maggiore sar il mio vantaggio, perch gli affari riescono meglio con gli scono-sciuti!); la motivazione esclusivamente auto-interessata di coloro che vi partecipano,con il che sentimenti morali quali la simpatia, la reciprocit, la fraternit ecc., nongiocano alcun ruolo significativo nellarena del mercato. cos accaduto che la pro-gressiva e maestosa espansione delle relazioni di mercato nel corso dellultimo secoloe mezzo ha finito con il rafforzare quellinterpretazione pessimistica del caratteredegli esseri umani che gi era stata teorizzata da Hobbes e da Mandeville, secondo iquali solo le dure leggi del mercato riuscirebbero a domarne gli impulsi perversi e lepulsioni di tipo anarchico. La visione caricaturale della natura umana che cos si imposta ha contribuito ad accreditare un duplice errore: che la sfera del mercatocoincide con quella dellegoismo, con il luogo in cui ognuno persegue, al meglio, ipropri interessi individuali e, simmetricamente, che la sfera dello Stato coincide conquella della solidariet, del perseguimento cio degli interessi collettivi. su tale fon-damento che stato eretto il ben noto modello dicotomico Stato-mercato: un mo-dello in forza del quale lo Stato viene identificato con la sfera del pubblico e ilmer