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1 ATTIVO REGIONALE SICILIANO ICT E TELECOMUNICAZIONI PALERMO 3 APRILE 2007 In questi anni, tutto quello che si è fatto di nuovo in Italia è finito in mani straniere . Certo è che si rimane molto perplessi quando un intero settore, quello delle TLC, progressivamente è passato a investitori esteri. E’ successo per Omnitel, passata alla Vodafone, per Wind fondata dall’ENEL e poi passata agli egiziani, così 3G ed ALBACOM, sembrerebbe ora la volta di Fastweb che verrà a quanto pare acquistata da una società svizzera. Per finire, non per ordine d’importanza, visto che è il primo gestore di telecomunicazioni del nostro paese ,alla stessa Telecom – Tim che , dopo le note vicende rischia di passare in mane straniere. Perché tutto questo? Analisti dicono che le tecnologie vanno dove c’è più denaro, cioè vanno dove c’è più imprenditorialità, noi pensiamo che una delle componenti negative nella cultura del nostro capitalismo stia in una concezione imprenditoriale del “mordi e fuggi” anziché una concezione di più ampio respiro che finalizzi lo scopo dell’impresa alla competitività vera sui mercati e alla qualità dei propri servizi. Ed è proprio su Telecom che va approfondita la nostra analisi, poiché è l’azienda Italiana che sotto l’effige della privatizzazione fa nelle telecomunicazioni nel nostro paese il bello e il cattivo tempo. Non vogliamo rischiare di essere monocorde e di parlare essenzialmente di Telecom ma siamo costretti, non solo dall’attualità delle cronache finanziarie e giudiziarie, ma perché convinti che telecom e la sua privatizzazione abbia comportato sulle aziende di nostra competenza contrattuale, nefaste ricadute. I conti della Telecom passati a setaccio da più autorevoli esperti (compreso Sergio Cusani e Luigi Marconi incaricati dal SLC) risulterebbero a posto. Risulta un’azienda sana che ha alti ricavi, che produce utili assolutamente proporzionati, così come alti sono gli indici di produttività e redditività.

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ATTIVO REGIONALE SICILIANO ICT E TELECOMUNICAZIONI

PALERMO 3 APRILE 2007

In questi anni, tutto quello che si è fatto di nuovo in Italia è finito in mani straniere .

Certo è che si rimane molto perplessi quando un intero settore, quello delle TLC,

progressivamente è passato a investitori esteri.

E’ successo per Omnitel, passata alla Vodafone, per Wind fondata dall’ENEL e poi

passata agli egiziani, così 3G ed ALBACOM, sembrerebbe ora la volta di Fastweb

che verrà a quanto pare acquistata da una società svizzera.

Per finire, non per ordine d’importanza, visto che è il primo gestore di

telecomunicazioni del nostro paese ,alla stessa Telecom – Tim che , dopo le note

vicende rischia di passare in mane straniere.

Perché tutto questo?

Analisti dicono che le tecnologie vanno dove c’è più denaro, cioè vanno dove c’è più

imprenditorialità, noi pensiamo che una delle componenti negative nella cultura del

nostro capitalismo stia in una concezione imprenditoriale del “mordi e fuggi” anziché

una concezione di più ampio respiro che finalizzi lo scopo dell’impresa alla

competitività vera sui mercati e alla qualità dei propri servizi.

Ed è proprio su Telecom che va approfondita la nostra analisi, poiché è l’azienda

Italiana che sotto l’effige della privatizzazione fa nelle telecomunicazioni nel nostro

paese il bello e il cattivo tempo.

Non vogliamo rischiare di essere monocorde e di parlare essenzialmente di Telecom

ma siamo costretti, non solo dall’attualità delle cronache finanziarie e giudiziarie, ma

perché convinti che telecom e la sua privatizzazione abbia comportato sulle aziende

di nostra competenza contrattuale, nefaste ricadute.

I conti della Telecom passati a setaccio da più autorevoli esperti (compreso Sergio

Cusani e Luigi Marconi incaricati dal SLC) risulterebbero a posto.

Risulta un’azienda sana che ha alti ricavi, che produce utili assolutamente

proporzionati, così come alti sono gli indici di produttività e redditività.

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Telecom dispone di un patrimonio umano e professionale qualificatissimo che negli

ultimi 5 anni si è però ristretto da 122mila a 85mila dipendenti utilizzando a piene

mani, (ammortizzatori, pre-pensionamenti, mobilità, ecc..).

Sul piano dei ricavi nel 2006 la crescita è stata del 2,9%.

Rispetto alle maggiori aziende europee DEUTSCHE TELEKOM e FRANCE

TELECOM, la TELECOM ITALIA si troverebbe in una situazione migliore se non

fosse per i debiti che sono 2,9 volte più alti.

Un discorso a parte è per la spagnola TELEFONICA che nel 2006 ha aumentato il

suo fatturato del 41.5% con una crescita dei ricavi del 7.8%.

Va detto che la DEUTSCHE TELECOM per riequilibrare la minore crescita si

appresta ad operare massacranti tagli occupazionali.

Anche sugli investimenti si registra una posizione migliore rispetto all’Europa, infatti

se la media delle 4 maggiori società telefoniche europee è pari al 15.9% rispetto ai

ricavi, TELECOM è arrivata al 16.4%.

Ma ha anche 45 miliardi di debiti. E questo la rende facilmente aggredibile.

Anche sul settore industriale delle produzioni di apparati e centrali telefoniche, la

strategia governativa degli anni 90 delineò un profondo cambiamento del ruolo

pubblico a sostegno dell’industria. Le grandi imprese divennero più assemblatori di

componenti, acquistate nei mercati orientali, oramai altamente competitivi, che vere e

proprie industrie. Tutto quello che non era core business venne esternalizzato.

Perciò imprese come Simens, Ericsson e Italtel riducevano drasticamente i loro

dipendenti, scaricandoli sulla collettività attraverso gli ammortizzatori sociali.

Il presente è rappresentato da aziende che di fatto svolgono un ruolo da società di

intermediazione, tra i gestori telefonici ed i produttori mondiali di apparati. Tali

aziende trascurano la missione industriale in favore dei giochi finanziari.

In questo quadro attuale il governo dovrebbe , attraverso il finanziamento della

ricerca, creare quelle condizioni virtuose che favoriscano la reindustrializzazione

dell’elettronica.

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Speriamo che il disegno del Ministro Bersani, industria 2015, contenga interventi atti

a rilanciare il settore.

Il patrimonio industriale dell’informatica era costituito dalla produzione di computer,

ed anche questo è andato disperso.

Rileggendo oggi la storia dell’Olivetti, questa rappresenta l’esempio di un patrimonio

industriale e tecnologico all’avanguardia mondiale sino agli anni 80 e oggi già

disperso e archiviato.

Nell’ informatica, proprio negli anni in cui l’Olivetti usciva di scena, tutti gli altri

produttori mondiali di hardware riempivano i mercati.

Nonostante l’assenza di grandi produttori di hardware, dentro la rete informatica,

sempre più ampia di imprese, di banche, della pubblica amministrazione,si circuita un

mondo di aziende informatiche che forniscono software, servizi e assistenza.

In questo settore sempre più ampio e radicato nel territorio, incontriamo alcune

difficoltà ad essere presenti diffusamente. Le difficoltà sono dovute alla peculiarità di

un settore, non manifatturiero che ha ottenuto innanzitutto nella precarizzazione delle

politiche del lavoro, la crescita di queste imprese. Crescita quindi contraddistinta

dall’utilizzo di un precariato giovane altamente professionalizzato.

Il quadro attuale segnala anche qui un’assenza di politica industriale e del governo e

delle stesse associazioni industriali. Certo non aiuta la presenza di una miriade di

piccole e piccolissime aziende che non tengono nel mercato. I dati infatti dicono che

il 90% delle imprese italiane di INFORMATION TECNOLOGY ha meno di 5

addetti, mentre il 5% più di 50. Siamo in presenza di una polverizzazione tale del

settore che anche al Sindacato viene difficile avere una presenza diffusa. Tuttavia per

ottenere le commesse della pubblica amministrazione le aziende si attrezzano con

veri e propri cartelli per l’aggiudicazione delle gare.

Cartelli assolutamente strumentali che si dissolvono in un gioco di molteplici aziende

stracolme di precari. Su questo meccanismo occorrerebbe intervenire con vincoli

normativi.

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Tuttavia aziende di dimensioni più ampie come ENGINEERING ad esempio,

rappresentano per noi l’opportunità di ampliare il confronto sindacaleper sviluppare

la nostra capacità di incidere nella contrattazione aziendale rispetto al capitolo

dell’innovazione.

Mentre, sulla contrattazione di I°livello ci stiamo già attrezzando e a partire dalla

piattaforma contrattuale, stiamo definendo norme e procedure che permettano una

contrattazione mirata alla specificità dell’organizzazione del lavoro nel settore.

Certo fa riflettere, e non diciamo a caso, che la liberalizzazione del settore telefonico

del nostro paese si sia incrociata con l’impresa che proveniva dall’industria

informatica.

Stiamo parlando di Colaninno che dalla chiusura delle imprese del gruppo Olivetti è

arrivato come un condor su Telecom Italia.

Si è parlato per tutti i primi anni 2000 della nascita di un polo italiano

dell’informatica che non è mai decollato. Oggi sul mercato ENGINEERING,

ACCENTUE, ATOS, IBM Italia, FINSIEL oggi gruppo ALMAVIVA costituiscono

le aziende di un settore in crescita strategico per l’innovazione del paese.

Ma la loro crescita è guidata e regolata non altro che dal mercato. A nostro parere

andrebbero anche su questo comparto indirizzate misure appropriate di politica

industriale.

E a questo punto bisogna capire quali sono le prospettive anche rispetto all’intero

mondo delle telecomunicazioni.

Si assiste, da un lato, ad un inesorabile declino e disinteresse verso la telefonia fissa;

le centrali telefoniche sono abbandonate ad un' autogestione della propria tecnologia;

con l’assistenza e il guasto dell’abbonato sempre più esternalizzazato.

Dall’altro lato, si assiste ad un processo dove la telefonia mobile che continua a

rimanere una delle voci attive.

Sugli investimenti, il grosso di questi riguarda “il nuovo” , rappresentato dai servizi

di ICT, servizi avanzati di INFORMATION TECHNOLOGY forniti alla clientela,

che va dal DISASTER RECOVERY ( si salvano i dati delle aziende presso server

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centralizzati) allo STORAGE (cioè alla conservazione dati per conto della clientela,

anche consumer cioè utenti comuni di Internet), alla GESTIONE AUTOMATICA

degli edifici, (sicurezza, riscaldamento, videosorveglianza, ecc).

Il nuovo è rappresentato anche dal IpTV ( TV via Internet a pagamento e con

pubblicità).

Oggi gli abbonati delle IpTV in tutto il mondo sono circa 2milioni una vera nicchia di

mercato se si considerano gli abbonati TV tradizionali.

Ma gli esperti dicono che la situazione ricorda da vicino quella della banda larga nel

2001. Anno in cui ancora non esisteva e in appena 5anni la banda larga è diventata

indispensabile in tutto il mondo.

Internet viaggia ormai a 2, 10 e 20 mega. Negli USA proprio in questi giorni stanno

sperimentando presso utenti domestici le prime linee a 200mega, su bande

larghissime per ospitare immagini a colori e video. Il tutto, sempre secondo gli

osservatori, con una sorta di consenso generale.

Si tratterebbe come dicevamo prima, di un nuovo settore alla vigilia di una sua

esplosione.

Ma per consentire questo occorrono grandi investimenti e qui si colloca la nuova

strategia della Telecom Italia: “abbandonare” la vecchia rete per una nuova rete, e per

questo ha avviato il piano per la Ngn, cioè la NEXT GENERATION NETWORK,

una nuovissima rete che consente di portare accessi a 20 mega e sopra i 50 mega

presso famiglie e aziende.

Ma ritorniamo ai nostri giorni e all’ennesima ristrutturazione della Telecom Italia

2006-2009.

Essa ha prodotto, tra i fattori negativi, la cannibalizzazione delle imprese di

installazione ( SIRTI, SIELTE, CIET, CITE , ALPITEL. . .) che si sbranano tra di

loro per assicurarsi con il perverso meccanismo del massimo ribasso, fette sempre

più consistenti di mercato, utili ad accreditarsi presso Telecom come miglior

referente al fine di garantirsi oltre al lavoro, che prima era degli altri, le attività

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fondamentali che la stessa sempre più esternalizza e che garantiscono più alti lucri

(la gestione diretta dell’abbonato e della rete in rame).

Le novità nella riorganizzazione del 2007 sono due.

La prima, la più importante, e che è la prima volta dalle ristrutturazioni annuali dal

1990 , che non si licenzia e che si espelle meno mano d’opera. Premettendo che in

questi ultimi 15 anni abbiamo perso più di 300mila dipendenti. Oggi grazie anche alla

pressione di questo governo nazionale, le aziende subentranti nel territorio,

dovrebbero assumere i lavoratori delle aziende che lasciano. Uso dovrebbero, perché

l’unica vicenda rimasta aperta in Italia è quella dei lavoratori ex CIET siciliani.

La Sielte quale azienda subentrante, ha ottenuto lo stesso budget 2006 della CIET, ma

non ha attualmente assorbito tutti e 91 lavoratori.

La seconda novità è che i contratti d’appalto hanno valenza triennale (prolungabili a

5) anziché annuali. Dato non trascurabile che consente, alle aziende d’installazione,

una maggiore visibilità. Ciò ci permette, tra l’altro, di riaprire dopo 10 anni, la

contrattazione aziendale.

Un capitolo a parte esige il lavoro in nero. Non è possibile, quantificare i lavoratori a

nero o i lavoratori con contratti di collaborazione a condizione bassissime. Questo

fenomeno nelle installazioni telefoniche è stato alimentato da più di un decennio in

Sicilia e in Italia da lavoratori che sono stati estromessi dalle aziende primarie del

settore durante il corso delle varie ristrutturazione e crisi del settore ( SICETIL,

ELTE, TELECOM SRL, ERICSSON,INFOTEL, SIRTI, SIELTE, ALCATEL,

ITALTEL,ITEL, TECNOSISTEMI per citarne alcune). Mentre altri lavoratori

arrivano ad alimentare il lavoro sommerso nel momento in cui vanno in mobilità o

addirittura in pensione (compresi gli stessi dipendenti della TELECOM). Su questo

complesso problema la FIOM si è cimentata più volte. Abbiamo in questi ultimi anni

definito piattaforme unitarie, promossi scioperi regionali con manifestazione come

quella dell’ 11 Novembre 2004.

Insomma abbiamo tentato in tutti i modi di aprire una stagione di lotta con baricentro

la questione della rioccupabilità, del cosiddetto bacino delle installazioni.

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Ancora oggi riteniamo che un settore in cui ci sono gli investimenti e lo dimostrano le

stesse tabelle Telecom, debba innanzitutto partire dal reinserimento occupazionale di

tutte quelle risorse umane sacrificate nel decennio precedente con gli ammortizzatori

sociali.

Non farlo o aggirare così come hanno deliberatamente scelto sino ad oggi, il governo

regionale, il governo nazionale precedente e Italia lavoro, è fare come gli struzzi

ovvero mettersi la testa sotto la sabbia per non affrontare uno dei nodi del settore.

Perché per debellare il lavoro nero, vanno si pensate gli interventi previsti

dall’odierno Ministro del lavoro, ma vanno innanzitutto bonificati i bacini dove

centinaia e centinaia di lavoratori provenienti dai cantieri chiusi delle installazioni,

sono posteggiati con un sussidio di circa 410 euro mensili.

A Italia lavoro da noi più volte sollecitata, denunciata per inerzia, o meglio atte solo

ad un censimento semestrale dei lavoratori presenti nel bacino, va sempre il nostro

primato per la maglia nera del parassitismo.

Infatti, mentre i funzionari di Italia Lavoro si sono cimentati in progetti clientelari

per la prima occupazione con il progetto INLA, non sono riusciti in 6 anni di

mandato sul tema ad reinserire un solo lavoratore.

Noi abbiamo insistito e rinviato più volte questo attivo per avere la presenza della

Sottosegretaria Rosa Rinaldi, perché per noi è strategico sul piano della lotta al

lavoro nero, ridare speranza a tutte quelle vertenze, in cui molti lavoratori tra i 40 e i

50 anni, tornino a intravedere una prospettiva di reimpiego.

In questa direzione abbiamo tentato in Sicilia di mettere a punto protocolli di legalità,

che anche se sottoscritti da aziende appaltanti, si sono arenati nelle Prefetture perché

la committente Telecom (ricordiamo azienda privata) ha nel suo sistema di

assegnazione appalti già protocolli, ritenute dalla stessa ,sicuri e trasparenti.

Non è di fatto così per noi che riteniamo il rifiuto di Telecom pericoloso e

indigeribile oltre che autoreferenziale. Ma le cronache giudiziarie più recenti ci

ricordano come il tema della legalità sia per questa grande azienda meno che un

problema.

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Il capitolo sicurezza con I POS (Piani Operativi di Sicurezza) di cui tutte le ditte

appaltatrici e sub appaltatrici sono tenute a fornire alla Telecom giorni prima della

messa in opera, e dove vengono descritti tutti i rischi e quali accorgimenti attuare con

mezzi e azioni efficaci per la salute e la salvaguardia della vita dei lavoratori.

Di fatto i POS restano documenti molto spesso contraffatti, fotocopiati o addirittura

per- stampati, alle volte dagli stessi addetti alla sicurezza della committente.

Così come, per esempio, i tesserini di identificazione personale all’ingresso delle

centrali telefoniche, veri bunker di sicurezza, vengono trasferiti da un operaio

all’altro. Piccole aziende con presenza anche di personale fantasma si registrano

nell’ingresso con nomi e aziende di copertura per eludere i controlli.

In questo le istituzioni e in particolare gli organi ispettivi devono giocare un ruolo

importantissimo. Si potrebbe rendere obbligatorio, per esempio, l’acquisizione con

molto anticipo rispetto alla messa in opera dei POS per le verifiche ispettive.

Noi come organizzazione sindacale dobbiamo continuare a denunciare agli organi

ispettivi, ai lavoratori e alle istituzioni il fenomeno del lavoro nero e del lavoro

sommerso. Ce lo impone la nostra cultura, il nostro modo di essere, la memoria dei

nostri tanti compagni deceduti.

Dobbiamo dare atto al Governo che sul tema della legalità nel rapporto di lavoro tra

committenti e le imprese appaltanti ha già previsto misure che ci trovano in sintonia.

Infatti come abbiamo già detto come FIOM a proposito dell’appalto e sub appalto

dell’OIL, l’intenzione del Ministro del lavoro di scorporare il costo del lavoro e

quello della sicurezza, dai costi d’appalto segnala a tutti noi una rinnovata

consapevolezza attorno alle complesse questioni del lavoro in appalto e sub-appalto.

Noi dobbiamo continuare sul terreno delle proposte e delle iniziative e in

quest’ambito che chiediamo che il governo, che si appresta con il compagno

Damiano a riformare gli ammortizzatori sociali, presti, anche particolare attenzione

ai lavoratori di questo settore.

Questi lavoratori espulsi dai cicli produttivi oltre a subire irrimediabilmente la

perdita del lavoro ( nella maggior parte delle vertenze è successo), subiscono ulteriori

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mortificazioni, provenienti dall’assenza di prospettive. Molti giovani ancora rischiano

di essere rottamati, in progetti di riqualificazione professionale e di reinserimento

tipo il progetto PARI che non ha prodotto, fino ad oggi in Sicilia, nessun risultato, se

non per l’organico di Italia lavoro.

Con questo attivo la FIOM SICILIANA intende riaccendere i riflettori su 3 settori

elettronica, informatica e telecomunicazione, di cui 2 sino a ieri, produzione di

apparati e installazioni versavano in uno stato di crisi che a volte è sembrato pure

irreversibile.

Oggi per i motivi sin qui descritti occorre, se posso permettermi di usare un

linguaggio sanitario, procedere alla riabilitazione del malato, ce ne sono le premesse.

Noi come più volte denunciato come FIOM Siciliana, non abbiamo mai conosciuto

un processo di riconversione vero dopo le molteplici crisi industriali.

Ci toccherebbe pure, poter oggi sperimentare, un processo di recupero e rilancio.

Non ci aspettiamo miracoli dal governo, ma risposte e interventi per compiere almeno

un parziale recupero del malato.

Noi faremo la nostra parte, incalzando in questa direzione il rilancio produttivo.

Eugenio Sasso

Segretario Fiom Sicilia

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