Atti del Convegno di Rimini 25 e 26 gennaio 2007

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Comune di Rimini Atti del Convegno "Trasparenza, Funzionalità, Efficienza, Etica nella Pubblica Amministrazione: precedenti storici, stato attuale prospettive" Rimini 25 e 26 gennaio 2007 1

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Atti del Convegno di Rimini 25 e 26 gennaio 2007 durante il quale venne sancita la necessità di fondare l'ASTMAP

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Comune di Rimini

Atti del Convegno

"Trasparenza, Funzionalità, Efficienza,Etica nella Pubblica Amministrazione:

precedenti storici, stato attualeprospettive"

Rimini25 e 26 gennaio 2007

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Indice

- Il saluto del Sindaco di Rimini Alberto Ravaioli

pag. 3

- Trasparenza e sua necessaria “attuazione” per l’efficienza l’efficacia e l’etica delle

pubbliche amministrazioni (Dott. Emidio Valentini)

pag. 4

- Dal rapporto “Giannini” all’esperienza del progetto FEPA (Dott. Maurilio Segalini)

pag. 36

- Episodi significativi nei cinque anni del progetto FEPA (Dott. Flavio Paiero)

pag. 39

- Valori, contenuti e risultati del progetto nel convegno conclusivo di Rimini del 20 e

21 marzo1990 (Dott. Giuseppe Mareschi)

pag. 41

- Intervento Prof. Vittorio Cecconi

pag. 45

- L’evoluzione della normativa a partire dal 1990 e suo stato di applicazione

(Dott. Giuseppantonio Fimmanò)

pag. 51

- Intervento Ing. Aniello de Padova

pag. 59

- Intervento Dott. Bruno Flaviano

pag. 65

- Intervento Prof. Luciano Hinna

pag. 66

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- Intervento Prof. Gianfranco Rebora

pag. 72

- Intervento On. Lanfranco Turci

pag. 75

- Intervento Cons. Eugenio Gallozzi

pag. 84

- Intervento Dott. Stefano Vitali

pag. 89

- Intervento Cons. Giuseppe Cogliandro

pag. 91

- Intervento Prof. Mario Rinaldi

pag. 95

- Intervento Dott. Emidio Valentini

pag. 98

- Allegati

- N. 1 Emendamento n. 17.01 Al DDL. 2161 (Camera dei deputati)

pag. 99

- N. 2 CHANGE MANAGEMENT - Come vincere la sfida del cambiamento in azienda

(Gianfranco Rebora - Eliana Minelli)

pag.104

- N. 3 Progetto Formazione standard “Trasparenza ed efficienza nelle

Amministrazioni Pubbliche”

pag.107

- N. 4 Atto costitutivo dell’ASTAP

pag.109

- N. 5 Depliant del Convegno

pag.112

Convegno "Trasparenza, Funzionalità, Efficienza, Etica nella Pubblica Amministrazione: precedenti storici, stato attuale, prospettive"

Il saluto del Sindaco di Rimini Alberto Ravaioli

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E’ con vero piacere che a nome della Città, della Giunta e mio personale, porto i saluti al vostro convegno.Un convegno che cade in un momento importante per il Paese, affrontando temi ormai indilazionabili per il suo stesso sviluppo come quello della riforma della Pubblica Amministrazione. E’ un tema storico, da anni sul tavolo del confronto politico, ma ormai non più eludibile.Per questo servono momenti di confronto come questo, per chiarire nel dialogo serrato tra pubblici amministratori e pubblici dipendenti quale sia la natura della riforma e di quali contenuti debba essere riempita. Ho detto pubblici amministratori e pubblici dipendenti, perché è dal confronto con chi è immerso tutti i giorni nelle problematiche pubbliche che possono nascere contributi validi, fondati sulla realtà e non su castelli astratti.Chiarirci bene le idee tra protagonisti, quindi, non è solo un bene ma una necessità. Come pubblico amministratore, ma anche nella mia lunga carriera di dipendente pubblico, vedo tutti i giorni rischi d’astrazione, costruzioni più volte a giustificare sé stesse che alla risoluzione dei problemi reali. Dobbiamo concentrare la nostra attenzione sulle cose vere, oggettive, ad iniziare da una meritocrazia equilibrata che va introdotta nel sistema, che premi con sapienza la capacità del lavoro vero, oggettivo. Una meritocrazia equilibrata che sconfigga il rischio di creare castelli d’aria che anziché premiare impegno, capacità e costanza, costruiscono concetti teorici che non corrispondono alla realtà.Un secondo tema che mi è caro è quello della formazione, della capacità di fare sistema, coinvolgendo sui temi più cari dell’azione pubblica i dipendenti. Occorre saper coinvolgere il gruppo, farlo crescere motivandolo, dandogli profondità, visioni strategiche e senso d’appartenenza. Rispetto a questo, proprio partendo dalla mia esperienza personale, debbo purtroppo constatare ritardi, ad iniziare dai soggetti a cui è delegato questo compito. Le università non sono ancora sufficientemente impegnate a costruire una dirigenza pubblica che tra i suoi saperi abbia quello della crescita dei pubblici dipendenti nel lavoro di squadra.Sono sicuro che alcune risposte saranno trovate nel corso dei vostri lavori, altre in momenti simili nel prossimo futuro, a voi tutti un augurio di buon lavoro.

Dott. Emidio Valentini(già Dirigente Dipartimento della Funzione Pubbica e Direttore del Progetto FEPA)

Trasparenza e sua necessaria “attuazione” per l’efficienza l’efficacia e l’etica delle pubbliche amministrazioni

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1- Premessa

Da diversi anni trascorro le vacanze natalizie a Maracaibo con le mie nipotine. Ormai è vezzo da nonno ripeterlo in ogni occasione.

La mia intenzione iniziale era quella di dedicarmi, negli anni a venire, ad una rivisitazione delle “avventure“ della mia vita, cominciando proprio dal mio navigare nei gabinetti dei ministeri e..non solo. Ed invece eccomi a scrivere, dopo le tante degli anni 70/80, una relazione introduttiva ad un convegno in cui i relatori e buona parte dei partecipanti sono persone con cui ho vissuto l’entusiasmante, anche se a volte sofferta, esperienza culturale, tecnica e professionale nelle pubbliche amministrazioni del nostro Paese. Nel settembre dello scorso anno, quando già mi accingevo a programmare il mio lungo soggiorno nell’inverno caraibico, cominciai ad interessarmi sempre più dall’ondata di polemiche mediatiche scatenate dal Prof. Ichino con i suoi articoli sul Corriere della Sera. Da questo interessamento ne uscii con tre “sofferenze”. La prima, di un ritorno al passato, quando, in una delle riunioni della Commissione per la messa a punto del progetto finalizzato CNR Pubblica Amministrazione, il prof. Guarino, che la presiedeva, ad una mia ripetuta richiesta di dare più spazio alle tematiche riguardanti metodiche e strumenti per la produttività nella PA, mi rispose, forse con una voluta accentuazione polemica, con un tagliente e freddo: “Caro dottore, bastano buone leggi per la produttivitá nelle amministrazioni pubbliche”. E nel libro, a pag. 79, ho parlato di vivaci e spesso solitari contrasti. La seconda, con la constatazione della quasi totale assenza, in queste polemiche, dei miei amici accademici aziendalisti che da tempo dedicavano professionalità ed impegno per contribuire all’efficienza della PA. Sembrava che la cosa interessasse solo il Prof. Ichino, qualche incavolato dirigente ed i soliti habituè di lettere al direttore con l’hobby di parlare comunque male dell’impiegato pubblico. La terza, piú forte, di sentirmi personalmente perdente: a che erano serviti gli anni dedicati, unitamente a migliaia di funzionari della Pa, al Progetto Fepa il quale aveva come presupposto che, salvo eccezioni fisiologiche, il fannullonismo (a qualsiasi livello di responsabilitá) è originato dal borbonismo organizzativo e facilitato da mancanza di metodologie e cultura di monitoraggio per rendere trasparente e controllabile la gestione dei servizi e delle attività amministrative. Probabilmente tutto ciò era accentuato dal fatto che era fresco di stampa il libro del mio rivivere i ricordi di quella splendida primavera del dopo rapporto Giannini e forse anche dalla nostalgia alla “come eravamo”. Per esperienza personale so che dalla sofferenza, non solo quella determinata dall’attivitá professionale e sociale, si esce proprio reagendo in proporzione. E così, mi pare nel mese di ottobre, telefonai a Sampaoli per sapere se il comune di Rimini poteva farsi carico di organizzare un convegno-incontro dei fepini che, partendo proprio dai rinverditi ricordi del libro, potesse costituire un punto di analisi del passato, di valutazione del presente e di proposte per il futuro che non fossero mediaticamente ed ideologicamente radicalizzate. Ed ora eccomi qui per la relazione introduttiva di questo convegno in cui è molto bello per me ritrovare i miei fepini con la stessa grinta, motivazione ed affetto di quando, con tante diffoltá, nel secondo quinquennio degli anni ‘80 si impegnavano con me in ricerca, sperimentazione e diffusione di metodiche e cultura innovative. E’ molto bello ritrovare gli amici professori che, fra i personaggi della mia galleria, mi sono stati e mi sono sempre vicini e di cui, nel tempo, ho potuto apprezzare l’eccezionale professionalità, il costante impegno, il senso delle istituzioni e l’onestà intellettuale. Ed è molto bello vedere “in pista” il gruppo di allievi ed assistenti (i nuovi fepini, come scherzosamente li chiamo) da tempo impegnati a continuare le ricerche e sperimentazioni del dopo Fepa. Ed ora, a conclusione di questa premessa, consentitemi di ringraziare:

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- innanzitutto il Sindaco dott. Alberto Ravaioli, l’Assessore dott. Stefano Vitali, il Direttore Generale dott.ssa Laura Chiodarelli per la disponibilità e sentita convinzione manifestate nell’organizzazione di questo convegno - il Cons. Eugenio Gallozzi, per il suo qualificato contributo istituzionale a questo convegno, sottolineando il fatto che questa è la prima volta che un rappresentante ufficiale del Dipartimento della Funzione Pubblica partecipa ad una manifestazione che fa riferimento al Fepa- l’On. Lanfranco Turci, primo firmatario della proposta di legge per l’istituzione dell’Autority per il suo atteso contributo alla tavola rotonda conclusiva- il dott. Pierluigi Mastrogiuseppe ed il dott. Michele Bertola che, anche per il loro ruolo rispettivamente nei comuni di Rimini e Cesena, conoscono bene i valori, la cultura e le metodiche del Fepa che oggi in questo convegno fanno da costante riferimento - tutti gli amici/personaggi partecipanti alla tavola rotonda, con tanta riconoscenza per il loro continuare ad essermi vicino, dopo la lontana, forte ed affettuosa collaborazione nel gabinetto della Ricerca Scientifica, nel Progetto Fepa, nel Cevar .. e non solo. - Riccardo Sampaoli e i dirigenti e funzionari del comune di Rimini che, nel corso di una lunga tradizione di disponibilitá a fare da laboratorio e vetrina per tutte le attivitá collegate all’esperienza del dopo Fepa, hanno facilitato gli ulteriori approfondimenti tecnici e culturali del sistema NTG/Fepa. - con tantissimo affetto e stima, i miei fepini vecchi e nuovi che si accingono, con professionalitá, senso dello stato e delle istituzioni e forte motivazione ad essere la struttura portante delle iniziative che saranno proposte a conclusione di questo convegno. Dopo brevi note del perché del Convegno e i personali e non rituali ringraziamenti, debbo aggiungere alcuni chiarimenti metodologici:

- dedicheró pochissimo spazio ai i concetti di “produttività”, di efficienza, di funzionalitá, di qualitá, costi, valutazione, controllo di gestione ecc., noti e spesso abusati - mi concentrero’ essenzialmente sulla trasparenza gestionale come “necessità inderogabile” per conseguire efficienza e fuzionalitá ed etica nelle Amministrazioni Pubbliche - terrò costantemente presente l’approccio sistemico nei confronti dell’illustrazione logico/insiemistica dell’insieme delle tematiche del convegno, utilizzata, come mio solito, in tutta la mia esperienza di tecnico dell’organizzazione gestionale e nelle mie publicazioni a partire dal libro “Turni ed orari di lavoro nel personale delle stazioni” (1965) all’odierno “Fatti e personaggi” - confermerò, con determinazione, l’essenzialità dell’attuazione dei quattro contenuti della trasparenza gestionale: monitoraggio, misurazione e indicatori, benchmarking, controllabilità, in tutti i momenti delle attività gestionali e della valutazione. - racconterò le esperienze come fatti e personaggi concettualizzati in funzione dell’illustrazione pratica dei vari punti trattati; la insistente ripetizione retorica sulla trasparenza non voluta, falsata, deviata, ostacolata, abbandonata........ ecc. non é altro che la estrapolazione della vera motivazione per cui tutta la normativa riguardante l’efficienza, la funzionalità e la moralità nella PA di questi ultimi anni o non é stata applicata o è stata applicata male. La mia esperienza, purtroppo da perdente nelle attuazioni non prototipiche, scandisce per un certo verso quella, altrettanto perdente, della normativa innovativa degli anni del dopo Fepa. Non so se riuscirò a riempire tutti i sotto insiemi della scaletta. Non credo. Privilegerò in ogni caso il racconto dei... casi.

Completamento dopo molti giorni dal convegno Come previsto, non ce l’ho fatta a completare la relazione introdutiva prima del convegno, ma non per mancanza di tempo.

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Ho voluto evitare che un’introduzione così dettagliata, ed anche con decise affermazioni, influenzasse o fosse poco in armonia con la voluta e realizzata pacatezza dialettica del Convegno. Credo però che il motivo principale sia stato quello di approfondire le tematiche, ma anche di tener conto di quanto sarebbe emerso dal convegno stesso. Ne consegue che questa relazione è introduttiva relativamemente alla scaletta data ai partecipanti rispettata anche per quanto detto a braccio; ma non lo è per quanto riguarda il complesso dei contenuti. Sono però rimasti immodificati, e non potevano non esserlo, i “casi” di esperienza personale. Ho cercato di dare sistematicità a tali contenuti. Spero di esserci riuscito.

2. -Trasparenza

2.1 – In generale (note 1. 2. 3 e 4)

Agli inizi del mese, quando ho cominciato ad organizzare la scaletta di questa relazione, come ormai d’abitudine, ho fatto una ricerca in web, trovando circa 2.500.000 richiami alla parola trasparenza. Usando il sistema della casualità statistica sui primi 500 ho potuto constatare l’insufficienza delle esemplificazioni che io cercavo . Comunque, a parte le voci riguardanti la trasparenza nella sua concretizzazione fisico/ottica (Mineral ecc), il termine “trasparenza” viene sostanzialmente inteso:

- nel significato di “porta aperta” (open door)

- di informativa

- di accesso alla documentazione

Per pura curiositá, proprio mentre scrivevo questa parte della relazione ho voluto vedere, sempre in web, se vi erano informazioni più dettagliate ed utili sulla base del quadrilatero Fepa, sulla distinzione delle innovazioni nei sotto insiemi - istituzionale, gestionale, tecnologico e culturale - quadrilatero che uso sempre anche ora per introdurre lezioni, conferenze o scritti riguardanti il controllo di gestione e piú in generale i sistemi di gestione. I circa 150 lucidi in power point che illustrano le basi del sistema NTG partono proprio da tale quadrilatero. D’altronde il logo del Fepa, come anche dell’Asfepa, la società da me fondata per dare seguito al sistema NTG/Fepa, è rappresentato proprio da tale quadrilatero. Ero quasi certo che la ricerca sarebbe stata negativa o comunque poco significativa. Invece al momento in cui l’ho effettuata (18 gennaio), e con piacevole sorpresa, ho trovato questa situazione a) trasparenza istituzionale siti n. 176 b) trasparenza tecnologica “ “ 50 c) trasparenza culturale “ “ 22 d) trasparenza gestionale “ “ 617

In tutti questi casi web di riferimento sulla trasparenza sono quasi del tutto assenti le definizioni ed una esplicita indicazione dei suoi contenuti.

La trasperanza viene spesso citata come “un dato”. Nella relazione introduttiva mi sono limitato sostanzialmente a riportare i casi personali di “patologie della trasparenza”, riferita solo peraltro a quella gestionale nelle pubbliche amministrazioni. Ora, a distanza di diversi giorni dalla conclusione del convegno, mi sono posto il problema di come poterne illustrare la “fisiologia”, senza esagerazioni e lungaggini filosofiche, ma con il fine di caratterizzarne i contenuti, sia nella sua accezione generale, sia in quelle piu´vicine alla mia esperienza e formazione: trasparenza istituzionale e, soprattutto, gestionale. Evidentemente ho cercato di dedurre dai casi di patologia cosa dovesse intendersi per trasparenza nella sua positività; ma stavo rischiando un sillogismo fuorviante e comunque rozzo. Decisi quindi di approfondire le mie ricerche in web.

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Inizialmente pensavo di allegare i documenti significativi delle ricerche in web, ma sarebbe risultato pesante. Il lettore può farlo direttamente, in Yahoo ricerche, sulla base dei dati riportati in note (da n.1 a n.32). Mi piace però subito evidenziare il passo del “Trattato della Pittura” di Leonardo da Vinci. “n.510 - delle cose speccchiate in acqua torbida Sempre le cose specchiate in acqua torbida partecipano del colore di quella cosa che intorbida tale acqua.” (Nota n. 1)

L’obiettivo è stato quello di quello di definire la trasparenza in generale per poi verificarne la validitá anche nelle subdistinzioni del relativo “quadrilatero”.

La definizione, necessariamente complessa e sistemica per fare da “minimo comune multiplo” é, per me, la seguente:

“la trasparenza è un isieme di strumenti tecno/normativi con i quali risulta possibile la valutazione delle caratteristiche di status (sicuro, affidabile, efficiente, etico, efficace, ecc.) di prodotti, istituzioni, di sistemi gestionali, di valori culturali mediante il loro monitoraggio per renderle misurabili, visibili verificabili e comparabili, in relazione alla loro tipologia ed allo status cui la trasparenza si riferisce”

In questo caso il prodotto viene usato nella terminologia ISO 9000/2001 (come nel sistema NTG): prodotto = insieme di attivitá correlate ed interagenti che trasformano elementi di entrata in elementi di uscita. Sulla base di questa definizione “generale di trasparenza” si possono definire le subdistinzioni:

- tecnologica: quella che si riferisce ai prodotti in sé, come utilizzabilità (in termini, di uso, sicurezza, affidabilità ecc.)- istituzionale: quella che si riferisce alle istituzioni (open door, informazione, obiettivi ecc) - gestionale: quella che si riferisce ai sistemi gestionali (efficienza, efficacia)- culturale: quella che si riferisce ai valori culturali (senso dello stato, senso della comunità, etica, ecc) Una tale definizione è valida anche per la trasparenza “soggettiva”, quella che una singola o un insieme di persone utilizza per valutare. Ma essa è finalizzata sopratutto per la trasparenza “oggettiva”, quella cioé basata su regole, tecniche e tecnologie che consentano una valutazione “oggettiva” dello status dell’ente. Ma mentre quella soggettiva ha una storia che risale agli inizi della vita e continua ad essere essenziale esigenza per i rapporti intersociali; quella oggettiva è delle civiltà evolute e riguarda essenzialmente le cose (essenzialmente come trasparenza tecnologica) e le istituzioni complesse (in tutte le sue quattro subdistinzioni), per i rapporti economici/istituzionali. L’accelerazione di una trasparenza oggettiva si è determinata negli ultimi tempi con il decentramento dei processi e con la globalizzazione. Non basta piú, o quasi, l’intuitu personae; la valutazione presuppone sempre piú “approccio sistemico” ad una trasparenza il piú possibile standard. Un esempio evidente di tale esigenza è dato dalle ISO 9000/2001 che sinteticamente possono definirsi ome “normativa internazionale per la trasparenza, prevalentemente tecnologica e gestionale, ma anche, sia pure in maniera meno significativa, istituzionale e culturale”.

Due sono le caretteristiche comuni e congiunte della trasperenza oggettiva (che d’ora in poi chiameremo piú semplicemente “trasparenza”).

La prima riguarda l’obiettivo: la valutazione; senza trasparenza, sia soggettiva sia oggettiva non si ha valutazione. La seconda, riguarda il mezzo essenziale: il monitoraggio mediante il quale si realizzano, sistemicamente, misurabilitá, visibilità , verificabilitá e controllabilità.

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Che la valutazione sia abbinata al monitoraggio risulta anche dagli 83.000 siti che si riscontrano nell’accoppiata “monitoraggio/trasparenza”. Quindi monitoraggio come strumento essenziale di trasparenza e come premessa alla valutazione. E qui mi si consenta una certa manifestazione di orgoglio, in quanto tutti i miei libri illustrativi del sistema NTG/Fepa hanno come contenuto il “monitoraggio” (nota n. 42). Ho sempre sostenuto che senza monitoraggio delle attività, dei processi, delle procedure, della efficienza ed efficacia, dei costi non si ha nessuna possibilità di valutazione dei sistemi gestionali. Ed il sistema NTG è tutto basato sul monitoraggio e “quindi” sulla trasparenza. 2.2 – Trasparenza Tecnologica (note 5, 6 e 7)

“la trasparenza tecnologica e’ un insieme di strumenti tecno/normativo mediante i quali risulta possibile la valutazione delle caratteristiche (dimensionali, prestazionali, di sicurezza, ecc.) del prodotto in sé mediante il loro monitoraggio per renderli misurabili , visibili, verificabili, comparabili. ”

Tipici esempi di trasparenza tecnologica sono le valutazioni/certificazioni CEI ed UNI che si basano proprio sulla misurabilità, visibilità ,verificabilità e controllabilità dei dati che evidenziano le caratteristiche oggetto di certificazione. Esempio, ma meno completo, è dato dal Codice della Pubblica Amministrazione digitale.

Altri esempi sono le schede contenute nelle scatole delle medicine (in qualche caso con eccesso di trasparenza, sopratutto per quanto riguarda le controindicazioni); i dati che ora accompagnano i prodotti alimentari.

Esempi sono anche le Carte dei servizi.

2.3 – Trasparenza culturale (Note 8, 9, 10 e 11)

La trasparenza culturale è un insieme di strumenti tecno/normativo mediante i quali risulta possibile la valutazione dei valori culturali (senso dello stato, della nazione, dell’azienda, del sociale, etica ecc.), mediante il loro monitoraggio per renderli misurabili , visibili, verificabili, comparabili

La trasparenza culturale è il fanalino di coda; pochissime citazioni in web (solo 22).

Comunque “Il problema della fiducia” di Carlo bernardini ed “I principi della clinica transculturale - la codifica culturale” di Marie Rose Moro sono abbastanza significative per la sua comprensione.

In compenso i “valori culturali” sono citatissimi (circa 72.000).

Ma questo ridotto ruolo della trasparenza culturale si giustifica anche per le difficoltá di dare trasparenza a questi valori, pochissimo misurabili e non facilmente controllabili.

Ma siamo solo agli inizi. La globalizzazione sta, paradossalmente, accentuando l’importanza di “una codifica culturale”.

2.4 – Trasparenza Istituzionale ( note 12, 13,14 , 15)

“la trasparenza istituzionale è un insieme di strumenti tecno/normativi con i quali risulta possibile la valutazione delle caratteristiche di status di una istituzione (organizzazione, obiettivi, poteri ecc) mediante il loro monitoraggio per renderle misurabili, visibiliti, verificabili e comparabili, in relazione alla loro tipologia ed allo status cui la trasparenza si riferisce”.

Quando si parla di trasparenza istituzionale si pensa alla Glasnost di Gorbaciov ed al ruolo che questa ha avuto nella caduta del muro di Berlino.

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Ma l’esemplificazione più completa è data da “problemi di indipendenza credibilità e

trasparenza della BCE”, che ritengo opportuno trascrivere quasi integralmente.

“La trasparenza (istituzionale) può essere definita come un modus operandi in cui la Banca Centrale fornisce al pubblico e ai mercati in modo aperto chiaro e tempestivo tutte le informazioni rilevanti sul mandato. Strategia. Valutazioni e decisioni di politica monetaria, nonchè sulle proprie procedure.Ció richiede che la Banca Centrale:comunichi apertamente i propri obiettivi di politica comunitaria;descriva il quadro del processo decisionale interno;spieghi le motivazioni alla base delle decisioni di politica monetaria.Metodi di raggiungimento della Massima Trasparenza 1) avere un processo sistematico nella conduzione della politica economica; 2) rendere pubbliche tutte le informazioni rlievanti ai fini delle decisioni di politica monetaria; 3) Diffondere e motivare “tempestivamente” tutte le decisioni prese.

L’esigenza di trasparenza istituzionale, sopratutto quella di imprese transnazionali, si sta sempre più diffondendo, anche se spesso come sola enunciazione. In questo quadro l’Unione Europea sta svolgendo un ruolo molto importante, proprio per il suo costante monitorare il tasso di trasparenza delle Istituzioni dei paesi aderenti. E nel nostro paese le varie autority (per la concorrenza, per le comunicazioni, ecc) hanno proprio come obiettivi principali la trasparenza istituzionale e la valutazione. La proposta di legge per l’autority sulla Pa, pur facendo perno sulla trasparenza gestionale (di cui diremo dettagliatamente in seguito), fa riferimento anche alla trasparenza istituzionale delle amministrazioni pubbliche. Comunque questo tipo di trasparenza risulta, a mio parere, il meglio realizzato, fin ad ora, nel nostro paese. 2. 5 Trasparenza gestionale (Note da 16 a 31)

2.5.1 - In generale

“la trasparenza gestionale è un insieme di strumenti tecno/normativi con i quali risulta possibile la valutazione dell’efficienza ed efficacia di sistemi gestionali mediante il loro monitoraggio per renderle misurabili, visibili, verificabili e comparabili.

Come si puó rilevare la definizione in questo caso è abbastanza piú semplice: nella gestione sono ormai chiari e ben definiti i concetti di efficienza ed efficacia.

Ma la cosa più interessante è stato riscontrare che, mentre ai tempi del Fepa le innovazioni gestionali, insieme a quelle culturali, avevano un ruolo comparativamente ridotto la trasparenza gestionale risulta di gran lunga la piú presente in web.

Una testimonianza della sua importanza è data da quanto riportato dal Manifesto del 30 aprile 2004, in occasione dell’avvio della presidenza di Montezemolo alla confindustria: Montezemolo parla di “trasparenza gestionale ” , una trasparenza che deve essere la nostra etica (nota n. 21).

In realtà in tutti i circa 600 siti in cui si parla di trasparenza gestionale, la quasi totalità si limita a “nel quadro della trasparenza gestionale” o simili. Indicativo, al riguardo è quello su “Parmalat: Fai, Flai e Uila incontrano il Commissario europeo Franz Fischler - FAI - CISL FLAI – CGIL, UILA - UIL COMUNICATO STAMPA Fai Cisl, Flai Cgil, UILA-UIL comunicato stampa (nota n. 23) Peró non vi é traccia di trasparenza gestionale in funzione di valutazione della produttivitá, dell’attuazione della contabilità analitica, delle prestazioni.

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Di monitoraggio dei dati gestionali e trasparenza nemmeno a parlarne. Ho avuto la conferma di quanto constatato nella lunga esperienza del dopo Fepa. La trasperenza gestionale, nel pubblico e nel privato, rimane una bella parola da citare, forse non conoscendone nemmeno il significato. Continuo a riaffermare che senza monitoraggio non si ha trasparenza gestionale e senza questa non è possibile nessuna corretta valutazione. In realtà nella nostra cultura prevalentemente levantino/borbonica non vi è molto spazio per “la trasparenza”. E allora? Rimane il pessimismo della ragione, ma l’ottimismo della volontà: è una banalità ma significativa dello stato d’animo con cui mi accingo a completare questa relazione. Ma forse si sta vedendo un po’ di luce in fondo alla galleria. 2.5.2 - Nell’epoca della globalizzazione In Yahoo ricerche, alla data del 27 febbraio vi sono: circa 3.000.000 siti per trasparenza, 470.000 per transparencia, 25.000 per transparency e 3.400.000 per transparence. Da questi dati sintetici, parziali ma significativi, emerge il ruolo che la trasparenza ha nel mondo globalizzato degli anni 2000. Si ricava anche che, nel nostro paese, l’attenzione per questo tema è comparativamente maggiore che in altri. A parte questi dati, l’esigenza di trasparenza in una economia mondiale, sempre piú aperta, diventa piú forte. La penalizzazione dei paesi in via di sviluppo in termini di competitivitá dipende anche dal minore e poco affidabile tasso di trasparenza. E credo che questo valga anche, sia pure in parte, per il nostro Paese. E’ pur vero che questa viene spesso enfatizzata piú come lotta alla corruzione che come facilitazione di rapporti commerciali. Ma i due obiettivi vengono sostanzialmente a coincidere. Molto nota a livello mondiale la ONG Trasparenza internazionale che ha una sede anche in Italia. Un lettura anche limitata delle sue varie attivitá del mondo ne mette in evidenza i limiti, proprio per un eccesso di indicatori “diretti” di tasso di corruzione, basati sopratutto su interviste e su difetto di trasparenza istituzionale (diritto di accesso, informazioni, ecc).

Proprio mentre stavo completando questo capitolo ho letto sul El universal di Caracas di oggi 27 un articolo di cui riporto in originale i passi piú significativi che evidenziano il ruolo della trasparenza gestionale. Una buena medida del desarrollo de una sociedad está dada por unas diez características claves, las cuales configuran lo que pudiésemos llamar su índice de desarrollo social. Estas diez características son: 1. Limpieza. 2. Mantenimiento. 3. Sencillez ciudadana. 4. Confianza. 5. Civismo. 6. Transparencia gerencial. 7. Logro. 8. Postura ética absoluta. 9. Alta participación ciudadana y 10. La actitud de grandeza. El atraso, en contraste, muestra diez características opuestas: 1. Suciedad. 2. Deterioro. 3. Pomponsidad del funcionario público. 4. Desconfianza. 5. Egoísmo ciudadano. 6. Corrupción. 7. Verborrea. 8. Postura ética relativa. 9. Apatía y 10. La actitud 'bonsai'.

Una sociedad físicamente limpia es casi inevitablemente una sociedad espiritualmente limpia, así como una persona limpia en su exterior generalmente es también limpia por dentro. Una sociedad que mantiene sus activos de más felicidad a sus miembros que una sociedad signada por el deterioro. La gerencia transparente siempre producirá mejores resultados que la discrecionalidad, la cual es una poderosa fuente de corrupción

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Ma una esemplificazione del ruolo della trasparenza gestionale nei riguardi della corruzione l’ho ritrovata nella studio sulla trasparenza del Ministero dell’Educazione della Colombia (Nota n.26), che consiglio di leggere interamente, presentato dal Vice Ministro nel Seminario internacional de trasparencia y rendicion de cuenta (Guamaiuto, Colombia 6 novembre 2003) e di cui riporto, senza commenti, un passo significativo.Hay unos problemas,una deficiencias en la organización administrativa del sistema educativo que crean oportunidades para que aparezcan comportamientos o conductas corruptas, y a veces ni siquiera son asociadas con corrupción, que son vistas como prácticas normales, como prácticas si acaso irregulares, pero que son inclusolegitimadas por los mismos actores.La corrupción se entiende casi siempre como el robo de dinero por parte de algunos funcionarios, no como tomar el puesto o el poder como una posición de ventaja para favorecerme yo o para favorecer a mis amigos, de ahí que cuando hablábamos en Bogotá, de que no se combatió la corrupción como tal, al combatir las ineficiencias del sistema educativo, se terminó por atacar una gran cantidad de conductas o comportamientos corruptos. Concludo con un verso della poesia di Carlos Puerla – Che Ghevara“Aqui se queda la clara entreñable transparencia de tu querida presencia comandante Che Guevara”

2.5.3 Nel progetto Fepa

In questo convegno il Fepa è stato analizzato nei suoi contenuti, nella sua influenza sulla cultura e la normativa della PA, nei suoi appassionati ricordi. Ai fini della trasparenza nel Fepa credo, perció, che la cosa migliore sia riportare, senza commenti, stralci significativi delle 16 pagine che la Relazione al Parlamento sullo stato della PA dedica alla conclusione del Progetto. I1 sistema FEPALe nuove tecniche di gestioneNTG 1 Analisi ed ottimizzazione delle procedureNTG 2 Analisi e valutazione carichi funzionali di lavoroNTG 3 Programnazione per obiettiviNTG 4 Indici di efficaciaNTG 5 Indici di produttivitàNTG 6 Analisi e valutazione dei costi

Il sistema FEPA è un insieme integrato di tecniche gestionali per l'innovazione organizzativa delle pubbliche amministrazioni.L'interconnessione tra le diverse tecniche fa del loro insieme un "sistema coerente", in cui ciascuna parte interagisce con le altre, le influenza e ne è influenzata. ...............................FEPA è uno strumento per decidere, un ausilio alla decisione, il supporto adeguato a decisioni ben informate e quindi ben fondate,oltre che ricostruibili razionalmente nelle motivazioni, e quindi trasparenti e comparabili...................................L'immagine ed il funzionamento concreto della pubblica amministrazione non cambiano a forza di norme o proclami, ma piuttosto mediante innovazione gestionale che riconduca l'operare quotidiano degli apparati pubblici ad una finalizzazione per il benessere collettivo, a servizio dell'utenza: misura dell'adeguatezza dell'attivitá amministrativa non è il rispetto della norma (che è piuttosto il vincolo esterno) ma il raggiungimento di risultati coerenti con gli obiettivi finalistici. Cultura dei risultati è giudicare ed essere giudicati in relazione al raggiungimento o meno di questi obiettivi............................................L'insieme delle attività svolte da ciascuna unità organizzativa rilevante (settore, servizio, ufficio o reparto) viene infatti filtrato da una lista di macroattività o linee di attiviti precodificate, per consentire il confronto storico ed inter-ente, in un´ottica di lettura dell'operare quotidiano come "produzione di beni e servizi (interni o esterni) per il mmercato dell'utenza (interna o esterna)”.

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Per ciascuna delle macroattività o linee di attività, corrispondenti a grandi funzioni o aree di competenza operativa, si procede alla quantificazione dei prodotti(beni o servizi) lavorati, ossia dei risultati finali dell'attività svolta. ...........................................Per ciascun prodotto e/o parametro si individua inoltre la quantità di addetti e relativa percentuale di impegno professionale destinato nell'anno dagli operatori ai diversi livelli di qualifica funzionale. ...............................................I1 carico di lavoro cosi accertato - quantità di prodotti per tempo unitario di produzione - una volta esteso al funzionamento di tutte le unità organizzative elementari, concretizza l'approccio FEPA di "cultura dei risultati per centri di responsabilità”:

La ripetizione annuale dell'analisi carichi funzionali di lavoro (NTG 2) consente il confronto e la costruzione di indici storici, ossia dati di consuntivo che - insieme con dati di confronto tra enti analoghi - consentono la predisposizione di preventivi per il periodo successivo.Si attiva così una metodologia di programmazione di tipo quantitativo, che è la base di partenza per laprogrammazione per obiettivi di tipo qualitativo-decisionale. ................................................La proiezione produttivistica della metodologia programmatoria del sistema FEPA consente anche la misurazione della produttivitá dell'organizzazione, intesa come quella opportuna combinazione di efficacia (risultati congruenti con gli obiettivi) ed efficienza (impiego ottimale delle risorse per conseguire risultati) che meglio corrisponde ad ogni specifica situazione organizzativa. Si tratta di procedere in una logica di "se" e "allora":gli indicatori di risultato qualitativi e/o quantitativi e fine periodo raggiungono determinati valori programmati, "allora si deve ritenere che gli obiettivi sono stati pienamente ovvero parzialmente ovvero insufficientemente raggiunti, e pertanto pub essere attribuito un determinato punteggio di produttivitè. I1 punteggio di produttività é traducibile in termini monetari di compenso incentivante, di gruppo e/o individuale a seconda del grado di individualizzazione degli obiettivi, variabile altresì in relazione al qrado di utilizzo della risorsa lavorativa singola ed al grado individuale di responsabilità attribuita.I1 "Sistema gestionale FEPA" dà così luogo ai "sistemaincentivante FEPA" come suo semplice prolungamento logico operativo. ........................................................

2.5.4 Nelle ISO 9000/2001 Le ISO 9000/2000 sono un insieme di norme tecniche finalizzate in modo particolare alla trasparenza gestionale. Ma sono norme che perseguono anche gli altri tipi di trasparenza. In particolare quella tecnologica che riguarda i prodotti in sè. Una prima caratteristica a tal fine è data dalla rigidità e non derogabilità delle definizioni, peraltro espresse in maniera logico/insiemistica molto efficace anche se non di facile comprensione per i non addetti ai lavori. Ciò consente una comparabilità generalizzata, una facilitá di trasferimento di esperienze a livello “globale”. Una seconda caratteristica è quella dell’utilizzo di una solo lingua nel dettare le norme; le traduzioni nelle varie lingue nazionali debbono esser autorizzate dall’Ente sovranazionale responsabile della normativa stessa (ISO - International Organization for Standardization). E questo evita attuazioni disomogenee in tutti i paesi del mondo e rende le conseguenti “certificazioni” comparativamente confrontabili e quindi trasparenti. Una terza caratteristica: il ruolo essenziale, ai fini della trasparenza gestionale, del monitoraggio delle attività, dei processi, delle risorse, dell'efficienza e dell’efficacia. Purtroppo questa parte delle ISO 9000/2000 è quella meno, o per niente attuata. Per cui il monotoraggio si limita ai soli contenuti tecnici del prodotto, rimanendo nel campo della trasparenza tecnologica (scontando al riguardo il vizio di origine delle ISO nel loro complesso che nascono proprio per dare trasparenza tecnologica). In sostanza le ISO 9000/2000 hanno le norme per la trasparenza gestionale, ma non vengono attuate, perchè nessuno, o quasi, le vuole. Una quarta caratteristica, specificamente rivolta alla trasparenza, rappresentata dalle “procedure documentate”, ma queste non evidenziano la produttività.

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2.5.5 - La metafora dei pesci e dell’acqua sporca, in un afoso e pesante pomeriggio nel comune di Mister Bianco Nel mese di luglio 1995, la Newman era in piena attivitá per la verifica dei carichi di lavoro e determinazione dei fabbisogni organici. In Sicilia, utilizzando il sistema NTG Newman, operava una consociata. Ed io mi recavo di tanto in tanto solo quando il direttore della consociata lo riteneva opportuno. Le commesse venivano acquiste direttamente da questa. Ma per motivi connessi alla situazione particolare di quel comune il sindaco chiese ed ottenne che la verifica dei carichi di lavoro fosse realizzata sotto la mia diretta responsabilità con un incarico di consulenza personale. Sapevo evidentemente delle difficoltà che avrei incontrato. Come di consueto, prima degli avvii di lavoro, vi fu una riunione informativa con la dirigenza politica (quasi sempre l’assessore al personale), con i dirigenti e funzionari responsabili di unità organiche e con i rappresentanti sindacali. La saletta riunioni era abbastanza stretta ed era facile vedere le reazioni dei presenti. A mano a mano che andavo avanti, vedevo l’assessore sempre più in tensione e l’atmosfera diventare sempre piú pesante. Soprattutto notavo che non vi erano le solite interruzioni per chiarimenti. Prima che concludessi, uno dei partecipanti, dall’espressione incuriosita e serena, molto garbatamente mi chiese se poteva fare qualche osservazione. Ero preparato alle solite osservazioni, sui dati, sulla metodologia, sulla specificità del proprio ente. Ed invece ecco, in sintesi, il suo intervento: “Egregio dottore, dai visi e dal silenzio dell’assessore e dei miei colleghi avrá certamente percepito l’atmosfera e l’ambiente in cui ci si accinge a far applicare le sue metodiche e tecniche informatiche che abbiamo visto nel caso del comune di Spoleto. Mi ha colpito in particolare il monitoraggio e la valutazione degli scostamenti di produttivitá, non delle singole persone, ma delle minime unitá organizzative e della conseguente trasparente e giustificata variazione delle rispettive occorrenze di personale. Questo significa evidenziare e rendere trasparente il confronto di dove si lavora più e dove meno, e non sulla singola persona. Noi qui siamo come pesci che nuotiamo in una vasca con acqua sporca e poco chiara. E quando l’acqua è sporca i pesci non solo non si distinguono, ma sembrano tutti dello stesso colore dell’acqua. E le assicuro che qui la stragrande maggioranza è formata da pesci bianchi e puliti. Ma come si fa a distinguerli? E se di tanto in tanto qualche pesce, molto ma molto color acqua sporca, viene individuato, tirato fuori dalla vasca, e l’acqua rimane la stessa, la situazione paradossalmente non migliora anzi, rompendo gli equilibri eco/ambientali come dicono i sociologi, può peggiorare..... Fino a quando l’acqua non diventerà trasparente, rimarrà sempre questa confusione fra pesci puliti e sporchi. E lei con il sistema NTG cerca proprio di far diventare pulita e trasparente l’acqua sporca. Ha tutta la nostra stima e cercheremo di collaborare. Ma non ce la farà ed alla fine si sentirá un perdente. Lá per lá la metafora mi sembró non azzeccata, mi sembrava un’esagerazione influenzata dal clima di frustrazione determinato da un eccesso di attenzione mediatico su alcuni episodi mafiosi, come i colpi di pistola sparati contro la porta del sindaco mesi prima. Me la cavai con una risposta pigra e deviante. Ma le successive esperienze mi fecero sempre più riflettere. E così presi l’abitudine di introdurre le lezioni ai miei allievi sul sistema NTG proprio illustrando il caso del comune dell’hinterland di Catania.

E con il passare degli anni ho sempre più riflettuto sulla bella metafora del saggio e colto impiegato comunale, constatando che nel paese sempre più aumentava l’acqua sporca e sempre più vi era confusione fra pesci bianchi e grigi. Attualizzando: i fannulloni ed i pesci molto sporchi vanno individuati ed espulsi dalla vasca. Ma se l’acqua della vasca rimane sporca ...?

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2.5.8 - Trasparenza gestionale ed efficienza (Note da n. 16 a n. 32) 2.5.8.1 - In generale In Web vi sono circa 1500 siti in cui si rscontrano le parole “trasparenza ed efficienza.”. Ma da un’analisi a campione dei contenuti rileva che il termine efficienza non viene usato tecnicamente, ma lessicalmente (funzionalità, buona amministrazione ecc.). Nella esemplificazione la trasparenza viene visto come “open door” e quindi come trasparenza istituzionale. Nessun collegamento fra trasparenza ed efficienza.

Una tale confusione ed imprecisione è conferma dello stata attuale di scarsa presenza di cultura aziendalistica evidenziata in premessa. La trasparenza gestionale deve essere finalizzata alla valutazione della produttività, come approccio sistemico all’efficienza ed efficacia e conseguentemente a valutare se il sistema gestionale dell’ente sta producendo: con efficacia - tempestivitá rispetto ai tempi attesi dall’utenza; - adeguatezza rispetto alla domanda non solo effettiva, ma anche potenziale - accuratezza (qualità attesa) con efficienza - ottimale utilizzo di risorse, rispetto alla produzione realizzata, in termini di: - di risorse umane (produttivitá del lavoro) - di tutte le risorse, in valori monetari (produttivitá economica, controllo dei costi) E per valutare tutto questo è indispensabile il monitoraggio di cui dirò piú in dettaglio nei capitoli che seguono. 2.5.8.2 Produttività del lavoro

2.5.8.2.1 Definizioni, caratteristiche, problematiche Come è noto, la produttivitá del lavoro (o rendimento delle risorse umane) di un ente, di una unità organizzativa, di una attività è il rapporto fra la relativa produzione in un determinato periodo e ore lavorate (produttività effettiva) o ore contrattuali (produttività contrattuale), utilizzate per realizzarla. Evidentemente non mi dilungo su questo argomento, ma ritengo necessario ed utile sottolineare che la corretta individuazione di questo rapporto richiede: - il piano della attività istituzionali (le attività il cui risultato sono prodotti istituzionali/finali) - il piano delle unità organizzative, a partire dalla posizioni di lavoro; - il piano delle attivitá processo (le attività il cui risultato sono i prodotti processi, pezzi dei prodotti finali), ottenuto, a matrice, collegando le attivitá istituzionali a tutte le posizioni di lavoro che partecipano alla loro realizzazione; - il piano delle risorse umane, distintamente per qualifiche e profili contrattuali ed espresse in ore;

- la misura delle attivitá istituzionali mediante quantificazione dei relativi prodotti/risultato; - l'individuazione del tempo medio di risorse umane utilizzate, nel periodo di riferimento, per

ciascuna unità prodotto/processo e distinte sempre per qualifiche e profili (produttivitá di attività/prodotto);

- l’individuazione di “pesi” per ciascun prodotto processo, per renderli sommabili e calcolare la produttvità per ciascuna unità organizzativa, a partire dalla posizione di lavoro;

-il monitoraggio organico e definito dei dati (possibilmente trimestrali) contenuti nei vari piani.

Come sottolineato in precedenza l’indice di produtivitá che si ricava a partire dal tempo medio per prodotto che è, esso stesso, un indice, e fino all’indice di ente, non ha valore di per sé, ma solo come parametro da utilizzare per individuare gli scostamenti di produttivitá, sia verticalmente (nell’ambito della stessa attività e della stessa struttura organizzativa e dell’ente) come confronti nel

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tempo sia orizzontalmente (benchmarking) mediante confronti con attività omogenee e, con maggiori difficoltà, di unità organizzative omogenee dialtri enti. Disponendo di una sufficiente banca dati storica dell’ente o di diversi enti omogenei (come ad es. gruppi omeogenei di ospedali, comuni ecc.) é possibile individuare indici di produttivitá di riferimento da utilizzare per: - verifica/ristaffatura dei fabbisogni organici nello stesso ente (se si dispone di sola banca dati di ente)

- verifica/rideterminazione fabbisogni organici (se si dispone di baca dati di enti omogenei)- attribuzione incentivi economici - valutazione prestazioni dirigenziali

Gli esempi/esperienza che seguono costituiscono una puntuale attuazione di quanto sopra ed una altrettanto puntuale verifica della “non voluta, falsata, ostacolata ecc.” trasparenza gestionale riguardante l’efficienza. On. Ministro Nicolais, On. Turci, Prof. Ichino, Sigg. Segretari Nazionali della Funzione Pubblica, se non si rendono obbligatorie queste linee essenziali per valutare e pianificare la produttivita non vi è nessuna, o quasi, possibilità di: -adozione di un meccanismo di valutazione delle prestazioni imperniato su piani anuali di produttivitá cui collegare gli effettivi fabbisogni di personale e i budget interni: decollo dell’e-government (Nota 43); -disciplinare il sistema di valutazione del rendimento del personale delle pubbliche amministrazioni, nonché le misure conseguenti alla valutazione stessa (Nota 46); −sviluppare un proficuo collegamento tra i sistemi di controllo interno e le azioni di miglioramento della qualità e delle prestazioni attraverso il monitoraggio, la valutazione e la rendicontazione strutturata del miglioramento continuo (Nota 45); -che siano create condizioni di misurabilità, verificabilità e incentivazione della qualità dei servizi e delle funzioni pubbliche (Nota 47). 2.5.8.2.2 L’esperienza nella verifica dei carichi di lavoro

2° caso - A Langhirano con il sindaco che applaude.. per la trasparenza

Quasi agli inizi dell’attività di verifica dei carichi, mi pare nell’anno 1993, venni chiamato dal segretario comunale di Langhirano, una donna disponibile alle innovazioni ed alle aggregazioni, dicendomi che cinque comuni vicini (fra i quali Corniglio e Felino) si erano consorziati per effettuare la verifica dei carichi di lavoro con la Newman. Prima di iniziare i lavori il Sindaco volle vedermi. E nell’incontro mi disse testualmente: “Egregio dottore, per le esigenze del comune sono sufficienti le attuali disponibilitá complessive di personale; quindi nè diminuzione nè aumenti di dotazione organica. Però vi è l’esigenza di rivedere la loro ripartizione, viste le variazioni negli impegni e nelle risorse di questi ultimi anni”. Dopo poco piú di un mese, a lavori conclusi, illustrai al sindaco ed alla giunta i risultati facendo una proposta di “ricollocazione” del personale nelle varie unità evidenziandone il collegamento oggettivo con le variazioni di produttivitá del lavoro nei precedenti tre anni. Con piacevole sorpresa, appena accesa la luce in sala, il sindaco applaudì dicendomi:

“Le sue proposte sone le stesse che avrei fatto alla giunta sulla base della mia conoscenza diretta, ma quella che lei chiama Lappe, la misura delle attività e della produzione di ciascuna unità, la conseguente valutazione del rapporto fra scostamenti di produzione e scostamento di entitá di risorse scostamento ha reso oggettive e soprattutto trasparenti le proposte che avrei fatto alla giunta. Evidentemente questo limita il mio potere personale, ma lo rende trasparente”.

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3° caso - I comuni di Cesena e Andria: un paradosso nel benchmarking Avevo da poco completato la verifica dei carichi di lavoro e la determinazione delle dotazioni organiche (anno 1994) nei comuni di Cesena ed Andria, entrambi comuni con circa 90.000 abitanti, non capoluoghi di provincia, a prevalente vocazione agricola., quando incontro per caso il dirigente dell’Ufficio Enti locali del Ministero dell’Interno, che conoscevo dai tempi del Fepa. Uno degli indicatori per valutare mediamente la dotazione organica complessiva dei comuni, sottoposta allora all’approvazione del Ministero dell’Interno, era quella del numero di abitanti. Alla sua richiesta di parere sul valore di tale indicatori, risposi riferendomi ai risultati dellla verifica fatta in tali comuni “A Cesena la dotazione organica di circa 800 posti complessivamente è risultata adeguata agli attuali servizi; sostanzialmente la verifica dei carichi di lavoro ha portato ad una limitata “ristaffatura” con trascurabile incremento di organico. Ad Andria, la dotazione di circa 600 posti è risultata in eccesso ai servizi garantiti; per evitare proposte di riduzione e limitati incrementi si è fatto ricorso alla “previsione programmata” di un miglioramento della qualitá dei servizi attuali e di istituzione di nuovi”. E non gli ho dovuto chiarire il paradosso: conosceva abbastanza il sistema NTG e credo che non gli dicessi sostanzialmente niente di nuovo, vista la sua approfondita conoscenza delle due situazioni.

Si confermava l’oggettività e, soprattutto, la trasparenza date dall’individuazione tipologicamente omogenea della Lappe (Lista delle attività dei prodotti e dei parametri), dalla quantificazione corretta delle attività e della produzione, dal monitoraggio effettuato per un sufficiente arco di tempo, dalla valutazione degli scostamenti di produttivitá per singoli servizi e attivitá amministrative e per unitá organiche e dal confronto che tutto ciò consentiva fra due enti abbastanza omogenei. In questo caso era stato possibile realizzare il benchmarking sia verticale, confronti omogenei all’interno di ciascun ente (per la ristaffatura) sia orizzontalmente, per una comparazione fra enti abbastanza omogenei.

4° caso - In una Usl della Campania la trasparenza..deviata Con il successo della metologia NTG /Newman, la prima ad essere ufficialmente approvata dal Dipartimento della Funzione Pubblica, con il prof. Cassese ministro, la Newman diventa leader in questo campo. Una grande esperienza positiva era stata effetuata nel nord-est (Veneto e Friuli). Inoltre, dopo un grosso investimento fatto nelle USLL di Campobasso e Larino, era cominciata, tramite diverse consociate, la verifica dei carichi di lavoro nelle aziende sanitarie. Ed il mio compito si concentrava essenzialmene nel momento di fare le proposte, mentre tutta la parte precedente veniva attuata dalle consociate o direttamente mediante consulenti Newman da me progressivamente formati. Mano a mano che aumentava l’esperienza e proprio per lo standard metodologico del sistema NTG, si incrementava la banca dati e diventava sempre più facile fare confronti e indicazioni circa la produttivitá media, per tipologie omogenee di attività e di servizi, da porre a base per proposte di dotazioni organiche. Come in atri casi, quando si trattò di fare le proposte di dotazione organiche per la Usl della Campania che comprendeva un ex manicomio, pur evitando eccessivi “tagli”, la proposta di base che presentai al Direttore Generale, prevedeva una riduzione complessiva di 200 medici, su un totale di circa 800. Sapevo benissimo che non si poteva licenziare nessuno, ma poteva essere una base utile per un programma progressivo di assorbimento delle eccedenze. Ne convenne subito il Direttore Generale, contento di trovare “trasparente ed oggettiva giustificazione“ al problema di come sgonfiare l’eccedenza di medici dopo l’entrata in vigore della legge Basaglia. Dopo poco tempo seppi dal mio collaboratore, che aveva portato a termine il lavoro, che occorreva una nuova proposta. Gli organi regionali, decisori finali al riguardo, non solo non erano d’accordo sulla riduzione, ma prevedevano nel loro piano strategico sanitario regionale un incremento. E così la metodologia venne utilizzata per quantificare irrealistiche previsioni di incremento di domanda, miglioramenti virtuali di qualitá, soprattutto in termini di riduzione dei tempi di attesa, domanda ed istituzione di nuovi reparti e servizi.

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E così a fronte di un meno 200 credo che venne approvata la proposta con incremento di posti da medico. Ed io cominciai ad avere forti dubbi sull’opportunità di continuare la verifica dei carichi di lavoro sulla base di tali forzature. Per evidenti motivi di sopravvivenza economica si dovette fare buon viso a cattivo gioco. Ero stato facile profeta nell’articolo scritto per la rivista “Il segretario comunale” n.1-2 /1994 Per concludere il caso riporto la risposta che ebbi qualche anno fa ad una mia domanda provocatoria circa la possibile eccedenza di medici nella regione: “Più o meno del 50%”. Vi era certamente un’esagerazione, forse anche una situazione alla Andria sopra descritta, ma certamente era palese una forte sotto-utilizzazione del personale medico. Probabilmente ora la situazione è migliorata. Ma sempre senza trasparenza.

5° caso - In una Usl della Calabria : la trasparenza falsata. E si chiuse, per me, la vicenda dei carichi di lavoro Poco dopo l’esperienza del caso precedente venni interessato dal presidente della societá in joint-venture che operava, con la collaborazione di un nostro esperto, nelle regione Calabria, a presentare al direttore generale ed al suo staff le proposte relative ad una Usl della regione. Dopo aver esaminato i dati, le relative elaborazioni e le proposte conclusive, mi complimentai innanzitutto con il gruppo che vi aveva lavorato per la coerenza fra produttività e determinazione dei fabbisogni organici. Era un esempio da manuale. Nella riunione di presentazione, notevolmente soddisfatto, cominciai ad illustrare il percorso metodologico in base al quale si basavano le proposte che stavo, per fare complimentandomi più volte per la chiarezza e controllabilità dei dati.

Ad un certo punto il direttore generale si alzó ed uscí dalla sala riunioni con un suo collaboratore, dicendo che sarebbe rientrato poco dopo, pregandomi di continuare comunque l’illustrazione dei dati e della loro elaborazione e valutazione, ma di attenderlo prima di passare all’illustrazione delle proposte.Ma proprio quando eravamo in attesa del suo ritorno per esaminare la proposta della nuova dotazione organica, mi fece chiamare dal suo segretario. Lo trovai nella sua stanza scuro in volto e preoccupato. E senza preamboli mi disse: “Caro dottore, ho apprezzato molto l’illustrazione dei dati delle elaborazioni e le conseguenti valutazioni ma prima di illustrarmi la proposta tecnica, debbo manifestarle tutte le mie scuse: i dati che le hanno fatto trovare sono tutti non veri. Dobbiamo rinviare la riunione a data da destinarsi, dopo una verifica dei dati.” Ne uscii sconvolto. Dopo la trasparenza deviata mi imbattevo nella trasparenza falsata.

Per fortuna, da una prima indagine fra i miei collaboratori ed anche fra le societá consociate, ebbi la conferma che i casi da me incontrati costituivano una eccezione; e così la Newman potè portare a termine la verifica, direttamente o indirettamente, in circa 400 enti (con una forte prevalenza nel nord-est). Ma nella grande maggioranza dei comuni ed USL, purtroppo in prevalenza in alcune regioni del meridione, prevalse “a Fra’.. che te serve”. Vi era stata una specie di selezione; chi sceglieva la Newman sapeva che vi era la trasparenza oggettiva, a meno di non falsificare, ma con forte competenza statistica, i dati. E così dopo un poco l’individuazione delle dotazioni organiche venne sganciata dai carichi di lavoro; buttando il bambino (la produttività) con l’acqua sporca dei carichi di lavoro. E si entró nel periodo del far west della determinazione delle dotazioni organiche in base alle “effettive e comprovate esigenze”, senza dire come individuare e soprattutto controllare queste esigenze. Nelle direttive del Ministro Nicolais finalmente si afferma il collegamento fra fabbisogni organici e produttività sul quale si basava esclusivamente il sistema NTG Newman che trovava nel sistema NTG Fepa la sua origine ed intuizione. Ma rimangono i problemi sollevati dai due casi sopra illustrati, di trasparenza deviata e trasparenza falsata.

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2.5.8.3 produttività economica (controllo dei costi)

2.5.8.3.1 definizioni, caratteristiche, problematiche

Come è noto la produttività economica di un ente, di unità organizzative di una attivita è data dal rapporto fra la relativa produzione e le risorse, valutate monetariamente e “utilizzate” per realizzarla nel periodo interessato.

La contabilitá analitica e quella tecnica contabile/organizzativa finalizzata alla conoscenza “analitica” dei costi di produzione, come rapporto inverso a quello della produttività economica. Ne consegue che la produttivitá economica viene individuata applicando la contabilitá analitica: invertendo gli indici di costo della contabilità analitica si hanno gli indici di produttività economica.

Evidentemente qui non mi soffermo sugli aspetti metodologici. E’ sufficiente evidenziare che la produttività economica non è data dalla conoscenza dei costi, anche se spinta fino alla conoscenza per posizione di lavoro, ma dai rapporti fra costi sostenuti e produzione realizzata. La contabilità analitica deve consentire la conoscenza ed il monitoraggio dei costi unitari delle attività/prodotti processo e conseguentemente dei costi unitari delle attività/prodotti finali, dei costi di produzione delle unitá organizzative ai vari livelli e dell’ente. Solo in questo modo si ha il controllo dei costi e conseguentemente la valutazione della produttività economica. Evidentemente la contabilità consente poi anche il confronto costi/ricavi. Ma, a parte la facilitá di questo confronto, dopo aver conosciuto i costi del singolo prodotto, la produttivitá dell’organizzazione della produzione è indipendente, anche se condizionata, dalla vendita. Prima di trarre le conclusioni sullo stato dell’arte del controllo dei costi nelle Pubbliche Amministrazioni, ritengo opportuno analizzare, molto sinteticamente tre documenti: 1) cosa si intende per contabilità economico analitica - Ragioneria Generale dello Stato (Nota n.31) 2) consuntivo di contabilità analitica 2004 del comune di Bologna – Settore salute (Nota n.32) Nel documento di cui al punto 2 la Ragioneria dello Stato risponde ad alcune domande sulla “contabilitá economico-analitica”. Alla prima: che cosa si intende per contabilitá economico-analitica, risponde: La contabilità economica si dice analitica in quanto misura i costi sostenuti da una organizzazione con riferimento sia alle sue articolazione organizzative (centri di costo) sia alle destinazioni dei costi stessi (attivitá, funzioni, progetti) Alla seconda: perché è stata introdotta la contabilità economica nella contabilità di stato? In particolare, la contabilità economico-analitica per centri di costo, introdotta con il D.Leg.vo 7 agosto 1997 n. 279, è finalizzata alla rilevazione, alla verifica, ed al monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell'azione amministrativa Dalla stessa definizione, si deduce subito che, non rapportando i costi alla produzione “quanti-ficata”, non individuando quindi il costo unitario dei prodotti, sia finali, sia di processo, la contabilitá economica analitica non consente il controllo dei costi e la valutazione della produttività economica. Dalla seconda si può anche ammettere che “era” finalizzata, ma è evidente che non ha conseguito e non poteva conseguire da sola, la rilevazione, verifica, monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’azione amministrativa. In realtà la contabilità economica analitica (poco o niente conosciuta nella letteratura aziendalistica) viene ad essere uno strumento contabile per una maggiore funzionalizzazione e controllo delle “spese” (che peraltro è la funzione istituzionale della Ragioneria Generale dello Stato).

Interessante e charificatrice risulta la esemplificazione pubblicizzata (ed e una manifestazione di correttezza e trasparenza gestionale) dal Comune di Bologna su “Consuntivo di Contabilità Analitica 2004” (e non contabilità economico analitica) del settore sanitá ed igiene pubblica.

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Se ne consiglia la lettura completa. Ma anche in questo caso non si ha il controllo dei costi.

Data la processualizzazione sempre piú spinta non è più sufficiente conoscere solo il costo del prodotto finale. Quando a questo contribuiscono molte unità organizzative la conoscenza del solo costo unitario di prodotto finale e della produzione (resa omegenea con il tradizionale sistema dei pesi) non consente di individuare le responsabilità e quindi di valutare l’efficienza delle strutture organizzative. In realtá una volta effettuata la rilevazione della produttivitá del lavoro secondo le linee guida di cui al punto 2.5.2.8.1, è relativamente facile attivare una corretta contabilità analitica . I casi riportati di Spoleto e Torino sono una applicazione concreta e collaudata di tale contabilità e del controllo dei costi.

Ma in questi casi è ancora piú evidente il ruolo della trasparenza gestionale che non può che essere resa obbligatoria e con linee guide standard, come suggerito per la produttivitá del lavoro. 2.5.8.3.6 Esperienza nel controllo dei costi nei comuni di Spoleto, Torino e provincia di Rovigo 6° caso – Il comune di Spoleto: la trasparenza temuta, ma realizzata e per diversi anni Illustrare l’esperienza fatta con il comune di Spoleto richiederebbe quasi un libro.

Durante il Fepa e l’Asfepa è stato fra i comuni piú attivi e partecipi. Durante la Newman è stato il comune dove sono state applicate tutte le tecniche NTG, compresa quella sugli incentivi alla produttivitá. Ma soprattutto è stato il comune dove è stata attuata per la prima volta a regime la contabilità analitica per le attivitá amministrative ed i servizi. Ai fini degli obiettivi di questa relazione mi limito a “raccontare” quel che accadde alla presentazione dei risultati, con i dati storici di tre anni e quindi con i relativi confronti, nel corso di un apposito seminario riservato alla giunta ed a tutta la dirigenza. Ero da tempo, come si suol dire, di casa a Spoleto e quindi piú facilmente succedeva che, al termine delle mie tante presentazioni per risultati di altre tecniche, come ad es. quelle per la produttivitá e fabbisogni organici, vi fossero richieste di chiarimenti. Invece questa volta. la presentazione si concluse senza alcuna domanda. Ma la preoccupazione aumentò quando lo stesso silenzio si ebbe nell’intervallo di tempo prima di andare ad una colazione con l’intera giunta e i dirigenti di piú elevato livello. Poco prima di iniziare il pranzo e quando già si era seduti alla stessa lunga tavola, il vice sindaco, con il quale avevo da tempo un rapporto molto amichevole, mi disse all’improvviso e ad alta voce, scherzosamente, ma non troppo: “Valentini, ma non temi di essere gambizzato?” Nemmeno con la battuta il silenzio sulla presentazione venne interrotto. In quel momento ebbi la conferma che la fatica di anni, a partire dai primi tentativi del Fepa, era stata compensata: la tecnica NTG6 (così allora veniva definita quella sulla contabilitá analitica) centrava l’obiettivo della trasparenza e controllo dei costi a partire dalle minime unità organizzative. Preso da questa constatazione, non percepii il messaggio indiretto che la battuta del vice sindaco dava, anche perchè il comune continuó per diversi anni e con soddisfazione della giunta e degli stessi dirigenti ad attuare ed utilizzare il controllo dei costi sulla base della NTG6. La trasparenza, dopo il primo impatto dovuto alla sua, tecnicamente necessaria, invasivitá organizzativa, veniva positivamente accettata da tutta la dirigenza politica ed amministrativa del comune. Evidentemente questo ne evidenziava la correttezza amministrativa e la moralità che da tempo avevo constatato. Proprio la positività e completezza dell’esperienza che si realizzava nel comune di Spoleto mi convinse di due cose: a) che la tecnica NTG6 era valida ed abbastanza facilmente attuabile; b) che esisteva un buon mercato potenziale, sia pure inizialmente limitato a quegli enti in cui la correttezza e la moralitá fosse culturalmente e concretamente diffusa (e ne conoscevo tanti dall’esperienza durante e dopo il Fepa): attuabilitá e validitá confermate anche successivamente.

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Con il tempo ho avuto ragione nel punto a) e completamente torto nel punto b) con conseguenze evidentemente molto negative sull’andamento economico della Newman che da circa otto anni è fuori mercato. 7° caso - comune di Torino: la trasparenza..ostacolata dagli altri e non solo

Nel comune di Torino ho fatto la piu´completa, interessante ed anche motivante esperienza dei miei anni del dopo Fepa. Per due anni, con un impegno costante mio e con l’impiego, quasi a tempo pieno, di circa 30 dipendenti presi in maggioranza dal settore personale, venne innanzitutto individuata la lista prodotti e parametri (Lappe) per tutte le unitá del comune (circa 100). Vennero inoltre quantificati i prodotti e le attività del settore Scuole e di quello della Vigilanza Urbana. Anche questa esperienza, come quella del comune di Spoleto, richiederebbe quasi un libro (e non é detto che nel tempo non lo faccia). Mi limito ora a ricordare quella relativa alla contabilità analitica attuata nel settore Vigilanza: non fu un lavoro certamente facile, ma anche per l’appoggio convinto del compianto vice sindaco, Domenico Carpanini, anche assessore per questo settore, in un tempo relativamente breve, venne attuata la tecnica NTG6 in tutte le unitá organiche in cui si articolava il settore. Ed i risultati furono così tecnicamente validi da essere pubblicizzati, unitamente a quelli sulla qualitá, di cui al caso successivo, in una pubblicazione apposita distribuita alla stampa locale. Tutto sembrava lasciar prevedere una estensione agli altri settori del comune. E già lo si stava facendo, con coinvolgimento convinto della dirigenza, nei settori Scuole ed Urbanistica. Il comandante dei vigili, dott. Manna (lo cito facendo eccezione alla regola), ne era tanto soddisfatto da ritenere opportuno presentare i risultati alla conferenza annuale dell'associazione. Al ritorno, l’ufficiale che era stato distaccato a tempo pieno per l’attuazione del progetto, molto deluso e frustrato mi disse che alle lodi pubbliche per il lavoro fatto avevano fatto seguito, nei lavori… di corridoio, forti critiche sintetizzabili in questa frase: ”complimenti,.... ma chi ce lo fa fare ad avere, solo noi, un monitoraggio cosí esauriente e “vero”sui costi delle nostre attività e servizi e sulla produttivitá economica dei nostri uffici ?“ Evidentemente la delusione fu molto forte; ma si continuó a lavorare per l’estensione ad altri settori. Ma poco dopo si ebbe il cambio della giunta, cambiarono assessore e direttore del personale e l’esperienza a Torino si concluse. 8° caso - La provincia di Belluno: la trasparenza facilitata e poi .... dimenticata

Nell’anno 1995, su iniziativa di un dirigente del comune di Rovigo (fepino doc, come si autodefinivano quelli piú motivati e fattivi) tenni un lungo corso di formazione sul sistema NTG a dirigenti di diversi enti del Veneto (fra i quali i comuni di Belluno, Vicenza e Rovigo). Ricordo con giustificata nostalgia le belle giornate trascorse, alloggiando nella foresteria e tenendo il corso in una sala della splendida abbazia di Praglia. Come conseguenza di tale corso, la Newman ebbe diverse consulenze ed in particolare quelle della provincia di Belluno e della provincia e comune di Rovigo. E così ebbe inizio la mia forte esperienza (anche nei nuclei di valutazione) fra le nebbie del Polesine e le nevi delle Alpi. Sia pure nelle dimensioni non certamente grandi, nella provincia di Belluno venne realizzato non solo il monitoraggio dei costi ma anche un primo esempio di applicazione completa di gestione per budget. Anche in questo caso, come nella quasi totalitá delle esperienze complete fatte nel dopo Fepa, vi era stata la forte disponibilità della dirigenza politica, stimolata da un dirigente che aveva vissuto l’esperienza del progetto Fepa. Ricordo le frequenti riunioni con la giunta per illustrare i risultati a mano a mano che si ottenevano. I risultati furono ritenuti tanto validi da motivare la dirigenza politica ed amministrativa a presentarli in un convegno a Conegliano Veneto.

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Ma anche in questo caso, come a Torino, da una manifestazione progettata per fare promozione ne scaturí un progressivo disinteresse. Non ne seppi mai i motivi. E rimase solo il prototipo con i relativi e vecchi dischetti. 2.5.9 Trasparenza ed efficacia 2.5.9.1 Definizioni, caratteristiche, problematiche

In linea generale efficacia sta a significare il raggiungimento di un risultato prefissato Spesso con efficacia si intende concretezza; ma anche in questo caso l'enfasi viene posta sul risultato che si vuol raggiungere. Più specificatamente, in termini di letteratura aziendalistica, per efficacia si intende il rapporto fra obiettivo raggiunto ed obbiettivo prefissato. Si rilevi inoltre che il rapporto può essere inteso sia nel senso che una certa attività è efficace quando, dato un certo obiettivo, questo viene raggiunto, indipendentemente dal grado di raggiungimento; ad esempio se l'obiettivo prefissato è “acquisire una certa commessa” l'attività effettuata risulta efficace solo se la commessa viene acquisita; in questo caso l’attività o è o non è efficace, senza possibilità di graduazione. Il rapporto può essere inteso come grado di raggiungimento dell’obiettivo ed è questo il caso più frequente ed anche più interessante: ad esempio se l’obiettivo prefissato è acquisire una certa percentuale di mercato, la relativa attività è tanto più efficace quanto più la percentuale conquistata è vicina (o supera) quella prefissata. Come si è detto l’efficacia è un concetto vasto e qualche volta ambiguo. Ai fini però di avere una base comune di monitoraggio e valutazione dell’efficacia ed anche per consentirne la comparabilitá sia nel tempo per uno stesso ente, sia nelllo spazio, per enti omogenei è necessaria un tipo di efficacia “standard” comune a tutte le organizzazioni, con obiettivi prevalentemente incentrati sulla qualità (sia di prodotto sia di processo) e che evidenzi e quantifichi rispetto ad un obiettivo prefissato (anche se storico): a) produrre prima (tempestività) b) produrre in maniera adeguata rispetto alla domanda (adeguatezza) c) produrre meglio (qualità) In web ho trovato per Trasparenza ed efficacia - siti 1030 Monitoraggio/efficacia - siti 70 Trasparenza e tempestivitá - siti 700 Monitoraggio della tempesivitá - siti 10 Trasparenza e qualitá - siti 920 Monitoraggiuo della qualita’- siti 42000

Come si puó rilevare il passaggio dalla trasparenza, spesso citata solo come valore, al monitoraggio, determina una sensibile differenza di casi riportati in web. La notevolissima differenza nel monitoraggio della qualitá, in senso contrario, si giustifica per il fatto che l’attuazione delle ISO 9000/2000 richiede proprio tale monitoraggio. Viene significativamente confermato il collegamento con la trasparenza ed il monitoraggio. Dai dati sulla tempestività emerge facilmente la scarsa e, comunque, incompleta attuazione della legge 241/1991 (ma questo è ormai notissimo). Ma, anche per i dati relativi alla qualità, nei siti non si trovano riferimenti concreti a casi realizzati nella PA.

Sostanzialmente anche l’efficacia (con un tasso di incidenza peró molto minore) subisce gli ostacoli della trasparenza non voluta, ecc. Sono fermamente convinto che una volta realizzata la trasparenza sulla efficienza, quella sulla efficacia viene accettata piú facilmente.

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Ciò è peraltro facilitato dal fatto che i controllo interni ed i nuclei di valutazione hanno valutato e valutano, magari con sensibili livelli “di efficacia”, il raggiungimento di obiettivi “da progetto” e quelli budgetari.

Si può dire che che la trasparemza gestionale nell’efficacia è parzialmente realizzata nella Pa. Manca il monitoraggio sistemico e quindi la possibilitá di confronti, ma questo dipende essenzialmente dalla totale assenza di montoraggio dell’efficienza che è in questo momento il vero problema della Pa, alla cui soluzione tende il Disegno di legge di iniziativa parlamentare sull’Autority, limitatamente alla parte Istituzionale. I casi di Spoleto e Torino si riferiscono ad esperienze riguardanti la tempestività, l’adeguatezza e la qualitá così come percepite e valutate dai cittadini/utenti. 2.5.9.7 L’esperienza nei comuni di Spoleto e Torino

9° caso - Comune di Spoleto - Trasparenza e customer satisfaction: una bella esperienza. Ripetuta e poi... dimenticata

Nel Comune di Spoleto venne, fra l’altro, realizzata anche la più completa indagine sulla qualitá dei servizi forniti dall’ente così come veniva percepita dall’utenza per quanto riguarda la tempestivitá, l’adeguatezza e l’accuratezza. Tale indagine venne effettuata a tappeto interrogando telefonicamente circa mille famiglie scelte a campione dall’elenco telefonico. Mi sono sentito in quel periodo sondaggista come il mio amico Piepoli. L’indagine venne materialmente fatta da un gruppo di tre giovani ragazze, selezionate personalmente per la loro facilitá di comunicazione e preparate con un sufficiente allenamento. Si ebbe una molto positiva accoglienza da parte della cittadinanza, sia in termini quantitativi, con una risposta a ben il 95% delle interviste programmate, sia di gradimento con un valore medio oscillante fra il buono e l’ottimo. I risultati vennero illustrati in un apposito seminario pubblico e divulgati nei giornali locali. Seppi poi che, anche quando cessò l’attività di consulenza della Newman l’indagine venne ripetuta a cura del personale del comune, per valutare anche gli scostamenti nella “customer satisfaction”. Non ebbi modo di vederne i risultati. Ma anche in questo caso, come a Torino, cambiata la giunta, tutto il sistema NTG che era stato applicato completamente per diversi anni, dopo la messa a regime realizzata dalla Newman, venne non piú applicato. Ma non credo che sia dipeso da volontá politica. Una volta messo da parte la trasparenza/monitoraggio dell’efficienza, era consequenziale non dedicare energie alla trasparenza/monitoraggio dell’efficacia.

10° caso - Comune di Torino. Trasparenza e customer satisfaction: soddisfazione del Vice sindaco Domenico Carpanini prima e..tanta delusione poi

Come per il comune di Spoleto, contemporaneamente ai costi, venne attuata una indagine sul gradimento dei servizi del settore Vigilanza, con la stessa metologia NTG 4, ma con un diverso modo di esecuzione.

I questionari, questa volta, venero distribuiti, sempre a campione, dai vigili urbani e poi inviati, dagli interessati, al Comune.

Anche in questo caso la risposta risultó quantitativamente e qualitativamente positiva.Ricordo la soddisfazione del compianto Carpanini nel vedere i grafici dei risultati presentatigli

dall’ufficiale responsabile. Era molto contento di aver sostenuto e fatto accettare un'indagine che poteva anche apparire

rischiosa.Nella fase preparatoria e progettuale aveva detto spesso che era certo che il giudizio della

cittadinanza sul settore sarebbe stato migliore di quello che si ricavava dalle cronache quotidiane e dalle varie rubriche “lettere al direttore”.

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I risultati vennero divulgati con una conferenza stampa e riportati nell'edizione locale dei quotidiani nazionali. Ma poco dopo si ebbe il cambio di giunta già ricordato nel caso dei costi.

E cosí venne interrotta l’estensione ad altri settori già pronti, come quello delle Scuole e dell’Urbanistica, e certamente non per ostacoli della dirigenza amministrativa.

Ma riflettendo su tutti i casi significativi, le applicazioni del sistema NTG sulla customer satisfaction vennero interrotte perché non veniva sopportata la trasparenza sulla produttività, sia del lavoro, sia economica.

Si verificó un effetto trascinamento, come a Spoleto.E così, alla forte motivazione e soddisfazione per il successo culturale e tecnico delle

innovazioni realizzate, subentrarono la delusione e la frustrazione per la non comprensibile interruzione. 2.5.10 - Trasparenza ed Etica ( note dal 33 al 41) Quando venne deciso il tema del convegno, si ritenne opportuno richiamare esplicitamente i due termini “funzionalitá ed efficienza” del Progetto Fepa, modernizzandoli ed attualizzandoli con altri due termini “Trasparenza ed Etica”. Nella scaletta della mia relazione introduttiva, cosí come distribuita nel corso del convegno avevo dato alla trasparenza il ruolo pricipale di filo conduttore ed all’etica una sintetica elencazione di sub-tematiche, come peraltro anche ai due termini del Fepa.

E credo che nell’intervento a braccio ne abbia fatto solo cenno di adempimento formale. Nelle relazioni, negli interventi, nelle tavole rotonde se ne è avuto un fugace e rituale esplicito

riferimento. Ma riflettendo sui contenuti sostanziali debbo rilevare che se da un lato la parola etica è stata

poco pronunciata, i valori che la caretterizzano come Etica nella Pubblica Amministrazione, “senso dello stato e moralità” sono stati costantemente presenti in tutto lo svolgimento del convegno. Una conferma l’ha avuta dalle ricerche in Web di cui riporto i sintetici dati: Trasparenza ed etica:150.000 siti Valori dell’Etica: 800 siti Etica e senso dello stato: 40 siti Etica e moralitá: 200 siti Monitoraggio e moralitá: zero siti

Da questa non voluta “trascuratezza” del termine “etica”, dalle ricerche in web e dalla lunga esprienza personale derivano alcune riflessioni: a) – il termine etica, nel suo concetto generale, non può che essere filosofico e culturale; il solo accennarlo genera discussioni, contrasti. In realtà l’etica diventa concreta quando si “relativizza”, quando si parla di etica dello Stato, etica dello sport, etica delle imprese, etica del sistema cooperativistico, etica delle religioni, ecc. Per una piú accentuata esemplificazioni, e mi scuso con sua Santità Papa Ratzinger, l’etica delle religione si relativizza in etica della religione cristiana, di quella maomettana, indu ecc. Ed ancora, scendendo per i rami, etica delle religione cattolica, etica delle religione protestante, etica della religione copta ecc b) – i valori che, in generale, la caratterizzano sono molti e sono concretamente significativi quando si riferiscono a specifici contenitori come quelli esemplificati; c) - i valori delle Amministrazioni Pubbliche sono essenzialmente due: senso dello stato e moralitá nella gestione della cosa pubblica;

d) - non è possibile monitoraggio diretto e statistico dei valori e quindi dell’etica; e) - il senso dello Stato è sostanzialmente un dato che ha lontane origine storiche, etniche, politiche e culturali, non facilmente definibile e stimolabile;

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f) - la moralitá nelle gestione delle cosa pubblica (ma anche nel privato) trova sempre maggiore presenza quanto piú si estende e si rende obbligatoria la trasparenza gestionale; Mi piace concludere questo capitolo ricordando un “fatto”, antecedente al mio diventare un tecnico politico. Non ricordo esattamente né i tempi né il luogo (certamente inizi anni 60 e a Roma) peró mi è rimasto fermo nella mente il messaggio che ne ho ricavato. Ugo La malfa, nel corso di un convegno, alla domanda di un partecipante sul come evitare la corruzione nella PA, dette, cito a memoria, questa risposta: “la corruzione nelle amministrazioni pubbliche non si può evitare, si può solo contenere. E si contiene tanto più quanto più vi sono regole e trasparenza.” Anzi ricordo la sua accentuazione...regole, regole, regole..trasparenza, trasparenza, trasparenza; e ancor piú una personale esemplificazione “di fronte ad un piatto di lenticchie non mio, senza una regola che mi dica che non debbo prenderlo e mangiarlo e senza la trasparenza su come mi comporto, non so se a lungo ce la farei a non farlo. E se lo facessi, sarei un eccezione. E la corruzione non si contiene con le eccezioni. So che non è facile, ma a queste deve tendere la società ed in particolare la “politica”. E nelle istituzioni delle autority (concorrenza, anti trust, comunicazione) ho rilevato sempre l’accoppiata ”le regole e la trasparenza” di quel lontano convegno degli anni 60. 2. 5.11 - Trasparenza, controlli e valutazioni gestionali

2.5.11.1 - in generale Dedico pochissiomo spazio a questo capitolo, perchè ritengo la normativa attuale di per sé valida e forse eccessivamente attuata. Sulla valutazione nella PA sono:

- valido e moderno il controllo sulla gestione, previsto dalla legge 20/1994 relativa ai controlli della Corte dei conti - validi e moderni i controlli di gestione, controlli interni ed i nuclei di valutazionie così come disciplinati dal DLgs.186/1999

- validi anche il sistemi di incentivi alla produttività così come si sono evoluti nella contrattualistica del pubblico impiego. Una semplice constatazione: senza attuazione della trasparenza gestionale a) la Corte dei conti non ha fattto nessuno, o quasi, controllo sulla gestione b) i controlli di gestione effetuano, prevalentemente, controlli budgetari di spesa c) i nuclei di valutazione si limitano a valutare, parzialmente, l’efficacia d) gli incentivi hanno conseguentemente collegamenti con indicatori solo di efficacia

2.5.11.3 Nelle esperienze descritte dal dott. Plinio Salanti nel suo intervento al convegno

Ritengo opportuno riportare in questa mia relazione i casi descriti dal dott. Salanti, uno dei fepini doc. I primi due sono significativi della difficoltà di trasparenza anche negli organi istituzionali preposti ai controlli. E’ costante il dubbio: ma chi ce lo fa fare ed essere primi della classe? Il terzo episodio mette in evidenza l’appoggio che il Fepa ebbe dalle Organizzazioni Sindacali Funzione Pubblica ed in particolare dalla CISL, che dedicò un apposito convegno con relativa pubblicazione degli atti, ai risultati del progetto Fepa.

Primo episodio - Comitato di Controllo di Caserta - Trasparenza e… potere

Era il tempo in cui dettavano legge i comitati di controllo. Il comune di Maddaloni aveva appena rideterminato la pianta organica. Dalla sezione provinciale del comitato di controllo di Caserta, che, intanto, aveva ricevuto l’atto con tutti gli allegati, mi giunse la richiesta di un incontro.

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L’incontro era con il segretario del comitato e, cioè, con il dirigente che partecipava alle sedute del comitato e che aveva il potere di determinarne le decisioni.

Quel dirigente mi disse: “e se tutti gli altri comuni adottassero questa o altra metodologia analoga, noi che fine facciamo ?”

Risposi: se non vi aggiornate, non studiate, rischiate comunque di rimanere spiazzati”.Replicò: “allora vuoi la guerra?”Capii e lo tranquillizzai: “noi non cerchiamo il potere, vogliamo soltanto fare innovazione.

Anzi, se qualche altro comune dovesse proporre analoga soluzione sono pronto a darvi una mano per l’istruttoria dell’atto. In più, posso anche illustrare la nostra metodologia ai vostri funzionari che curano l’istruttoria di questi atti”.

Dal giorno dopo, mi giunsero richieste di incontro addirittura da parte di componenti del comitato e, ovviamente, di alcuni funzionari. A loro illustrai la metodologia FEPA che guadagnò, così, nuovi spazi e nuovi consensi.

Secondo episodio - Consiglio Regione Campania Trasparenza… non matura

Altra telefonata mi giunse, e non a caso, un giorno dal dirigente caposettore del personale del Consiglio Regionale della Campania.

L’indomani ero nella sua stanza, ma dell’argomento FEPA voleva saperne di più l’intero Ufficio di Presidenza che mi attendeva e mi accolse con interesse.

Il Presidente del Consiglio Regionale subito mi disse che aveva appena revocato l’incarico ad un docente universitario al quale era stato affidato il compito di rideterminare la pianta organica del Consiglio. Mi chiese, allora, di illustrare sinteticamente la metodologia FEPA, cosa che io feci evidentemente in modo convincente.

Infatti, mi fu chiesta la disponibilità, cosa che subito offrii, per una serie di incontri nel corso dei quali illustrare ai dirigenti, in modo compiuto, il FEPA almeno in relazione alla rideterminazione delle piante organiche.

Il percorso andò avanti per diverse sedute senza intoppi e con la partecipazione accanita dei dirigenti, i quali, cosa che ho capito successivamente, si relazionavano, evidentemente, con i componenti dell’Ufficio di Presidenza se è vero che due di loro, tra cui il questore al personale, mi vennero a trovare al termine di uno degli incontri con i dirigenti.

Si complimentarono con me, mi diedero atto di essere riuscito ad appassionare i dirigenti ed apprezzarono con parole sincere i principi che ispirano il FEPA. Però, alla fine, mi dissero: “I tempi non sono ancora maturi per applicare il FEPA. Potremmo riuscirci, però, tra qualche anno e grazie anche a questa esperienza”.

Terzo episodio - Trasparenza e organizzazioni sindacali

Nel giugno del 1993, a Riccione, nel corso del congresso nazionale, la FILSEL CISL. La federazione italiana dei lavoratori dei servizi e degli enti locali, presentò il risultato di una ricerca condotta, in tema di gestione del personale, sulla valutazione del personale.

La ricerca fu affidata ad un istituto di Milano al quale la FILSEL pensò di affiancare un gruppo di lavoro formato, guarda caso, da quattro fepini: Mareschi, il sottoscritto, Spatola e Valtolina. Il riconoscimento, oltre che alle persone, era per il FEPA, per un movimento che, ormai, attraversava l’intero Paese e dal quale il sindacato italiano dei servizi e degli enti locali della CISL riteneva non potersi prescindere.

Ed, infatti, il risultato di quel lavoro mostra chiaramente l’influenza dell’esperienza FEPA, portata da noi, su metodologie consolidate per altri contesti lavorativi. Il modello presentato a Riccione, per questo, si fa carico di assicurare: l’equità del sistema premiante, la legittimità all’intero processo, ovvero la capacità del sistema di autocontrollarsi.

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2.5.11.2 Nelle esperienze nei comuni di , Rovigo (provincia e comune) Universitá di Bologna, nella Asl alto Tevere Umbria, Centro Speranza Fratta Todina

14° caso - Provincia di Rovigo: trasparenza e controlli gestionali, con qualche difficoltá ambientale

La provincia di Rovigo ha rappresentato negli anni 1996/1998 il punto di forza della mia attività che in quel periodo si è svolta fra Belluno e Rovigo. In quel periodo mi trovavo nella condizione, quasi ideale, di essere il Presidente del Nucleo di valutazione e consulente per l’attivazione del sistema NTG, per la parte efficienza. Oltre alla individuazione delle produttività del lavoro e dell’attuazione della contabilitá analitica si procedette anche ad un'analisi approfondita e sistemica delle principali procedure dell’Ente. Questo lavoro era peraltro facilitato dalla coincidenza con quello analogo che si stava realizzando nella provincia di Belluno. Vi era molto motivazione e disponibilitá sia da parte della dirigenza politica sia da parte di quella amministrativa. I nuclei di valutazione ed i Controlli interni allora erano poco normativizzati: il dlgs 286 che li disciplina nei dettagli è del 1999. Nel nucleo, in cui avevo la fortuna di avere come membri due validissimi dirigenti estranei alla Provincia, vi era quindi molta motivazione nel predisporre il regolamento, nell’impostare il piano di valutazione che poteva avere le basi proprio nel monitoraggio della produttivita del lavoro e del controllo dei costi che si stava realizzando, con successo, nelle strutture dell’ente. Ma quando si inizió, come era peraltro necessario, a sentire il parere dei diretti interessati alla valutazione, cominciarono le difficoltá, e gli ostacoli. Si percepí subito che proprio il voler collegare la valutazione alla trasparenza gestionale creava problemi nell’ambiente della dirigenza amministrativa. La disponibilitá manifestata nella fase di messa a punto e attuazione del monitoraggio venne a ridursi proghessivamente. I tempi si allungarono con le elezioni della nuova Amministrazione. Alla Presidenza delle giunta venne eletto un ex sindacalista. Pensavo che questo consentisse un'accelerazione della valutazione. Ed invece non venni confermato, e con me nemmeno gli altri membri. La trasparenza poteva anche essere conosciuta (e questo era già un forte passo avanti) ma collegarne la valutazione riduceva moltissimo la discrezionalitá. La valutazione basata sulla trasparenza gestionale non solo non era gradita dalla dirigenza amministrativa (soprattutto quella più direttamente coivolta in scelte delicate, come quella preposta all’urbanistica, ai Lavori Pubblici e piú in generale ai servizi gestiti dall’ente), per il solito motivo “Chi ce lo fa fare ecc ecc) ma non lo era nemmeno dalla dirigenza politica perchè vedeva così ridursi il potere di “discrezionalità”. 15° caso - Comune di Rovigo: trasparenza e valutazione, con qualche difficoltá ambientale in piú

Contemporaneamente, al comune di Rovigo mì trovai, per un certo periodo, quasi nelle stesse condizioni della Provincia. Il nucleo questa volta era presieduto dal Segretario Generale (il che, indipendentemente dalla persona, non consentiva peraltro la necessaria autonomia del nucleo). Cercai di fare in modo che la valutazione utilizzasse anche gli indicatori di produttivita che risultavano dal monitraggio realizzato. Non vi riusci. Ma a differenza della Provincia, non insistetti molto nel prendere in condiderazione anche i dati di monitoraggio. Ci si accontentó dei soli parametri valutativi preventivamente approvati (alla cui messa a punto dette molta collaborazione). Ma nel prosieguo dei lavori vennero fuori le difficoltà connesse al fatto che il “preventivo” era influenzato dal “successivo” e con il conseguente rischio di criteri “finalizzati” a certi risultati. I risultati non premiarono il compromesso; la valutazione fu giudicata influenzata da personalismi. E come in tutti gli altre casi non si poteva che giungere ad una conclusione: ma a che serve tutta la fatica per attivare il monitoraggio della produttività se questo poi non viene “ valutato”?

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E così si perse anche tutto il lavoro fatto con tanto impegno e professionalità. Ritenevo, allora, che si trattasse di incidenti di percorso dovuti a situazioni personali: ero ancora convinto che si poteva e doveva insistere. Mi rifiutavo di ammettere quello che cominciava ad essere evidente: il controproducente feed back fra valutazione e monitoraggio, causato dalla non voluta trasparenza. 16° caso - Università di Bologna: trasparenza ed accademia; una difficile combinazione Nel corso della mia trennale esperienza fatta escusivamete nel Nord Italia, avevo nel frattempo messo a punto una metodologia per le valutazioni delle prestazioni sia dirigenziale sia delle posizioni di lavoro che venne prima illustrata in un convegno al CNEL e poi pubblicata da Franco Angeli (vedere Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione fascicolo n.3 anno 2000: Nucleo di Valutazione e controllo di gestione). Un poco per il prestigio che ormai avevo conseguito nel settore della valutazione e molto, credo, per la conoscenza con il vertice dell’Università (rettore e prorettore), fui chiamato a far parte del nucleo di valutazione della prestigiosa Università di Bologna. Il nucleo, presieduto da un universitario, era formato da altri due professori, di cui uno dell’Università di Venezia, e da un aziendalista. Sin da principio mi sforzai di attivare il monitoraggio della produttività nelle attivitá amministrative dell’Università, sopratutto di quelle collegate più direttamente alla didattica. Riuscii anche, con l’aiuto degli uffici del rettorato, a mettere a punto un prototipo che evidenziava la produttivitá del lavoro e soprattutto i costi (compresi quelli della didattica) per corso di laurea e per i pezzi di processo relativi. Non capii in tempo che la trasparenza, pur in una Universitá come quella di Bologna, non era molto ben vista. E così, quando si trattò della riconferma annuale del nucleo, ebbi una telefonata diretta del Rettore che mi annunciava la mia non conferma per problemi di incompatibilità caratteriale con il Presidente. 18° caso - Asl Alto Tevere - Umbria - Trasparenza e primariato medico: una minore, ma sempre difficile.. combinazione

Nel 1999, anche per motivi famigliari ma soprattutto per mancanza di mercato (come illustrato in tutti i “casi”) la Newman cessava ogni attività. Ed io mi dedicavo ad un'attività formativa e di sviluppo metodologico ed informatico del sistema NTG. Della mia attivitá da imprenditore, senza successo economico, mi accingo a raccontare nel Libro “Fatti e non ..fatti nella seconda Repubblica_I ricordi di un piccolo imprenditore... ex gabinettista e...non solo”. Di questi, un sintetico anticipo è nei casi raccontati, tutti accaduti durante gli inizi della cosiddetta seconda repubblica. Concludo peró questa carrellata con altri due casi, entrambi accaduti in Umbria, ma per un motivo molto semplice; proprio dal 1999 ho cominciato a vivere prevalentamente a Perugia. Il Direttore Generale della ASL n.1 (Alto Tevere), che mi aveva conosciuto ai tempi del Fepa, mi volle, nel 2001, come Presidente del nucleo di valutazione. Le presenze del Preside di Economia di Perugia e di un docente della SDA Bocconi, facevano ben sperare su una realizzazione di un processo di valutazione ancorato all’attuazione del sistema NTG sia pure limitata alla sola contabilitá analitica. Ed inizialmente, come negli altri casi, tutto andò abbastamza bene, anche se i tempi di messa a punto del progetto risultarono piú lunghi del previsto, dato lo scarso entusiasmo manifestato dalla struttura dirgenziale medica. Ma quando si cercò di passare all’attuazione si ebbero subito i primi ostacoli, non tali da bloccare il progetto ma certamente “efficaci” per rallentarlo. Con il cambio di Direttore Generale, si ebbe la conseguente solita sospensione, con l’aggiunta di una non simpatica trattativa per ridurre i compensi ai compenenti del nucleo.

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E questa volta gli ostacoli vennero proprio dalla direzione generale: cessarono quasi completamente i rapporti con il responsabile del controllo di gestione che costituiva il collegamento con la struttura per l’attivazione del monitoraggio delle attivita e dei costi. In realtà cominciovano a diffondersi nei nuclei di valutazione metodiche del tutto sganciate da qualsiasi monitoraggio. Si faceva presto e con la soddisfazione di tutti. E così non mi restò altro che dimettermi. Non mi era accorto che nella valutazione delle prestazioni e del rendimento si era ormai diffuso, dappertutto o quasi il “volemose bene” efficacemente messo in risalto dal prof. Ichino, con il suo "I Nullafacenti” Con questa esperienza conclusi le mie attività professionali ed iniziai la mia vita da “pensionato” con propositi di volontariato, e di concettualizzazioni delle mie esperienze scrivendo libri di “ricordi”. 19° caso - Centro Speranza Fratta Todina - Una struttura di eccellenza e corretta, con paura, ingiustificata, di trasparenza: il paradosso dei pesci bianchi e puliti che temono di apparire sporchi. Prima che terminasse la mia esperienza nella Asl Alto Tevere Umbria, un mio amico commercialista mi chiese di dargli una mano per realizzare il sistema qualità del Centro Speranza di Fratta Todina, una struttura di assistenza ai giovani con gravi handicap mentali, gestita da suore. Ebbi così subito la possibilitá di un volontariato coerente con il mio passato professionale. Consiglio con convinzione a chi per caso si trovi a percorrere, da turista, la superstrada E47 che collega Orte a Cesena, di uscire, per qualche ora, a Fratta Todina e visitare questo Centro. Resterà meravigliato e soprattutto umanamente piú ricco vedendo dove e come sono curati e trattati bambini e adoloscenti che, peraltro, commuovono e provocano forti emozioni al solo vederli. Gli amici Cecconi e Cogliandro che oggi mi onorano di presentare il mio libro, hanno avuto occasione di conoscere questo centro e possono confermare quanto sto dicendo. Ma dopo questa doverosa premessa passo all'illustrazione del caso. Credo che un giorno racconterò in un apposito libro questa mia bella ultima esperienza che mi ha coinvolto, in un momemto peraltro particolare della mia vita, per quasi tre anni, non solo professionalmente, ma anche esistenzialmente. Descrivere tutte le attivitá svolte nei tre anni, i seminari e convegni che l’hanno caratterizzata, sarebbe certamente eccessivo. Mi limto alla fase conclusiva, significativa in termini di trasparenza nel servizi pubblici. In tutto il periodo precedente avevo potuto constatare la massima trasparenza in tutto e una disponibilitá totale a fornire tutti i dati richiesti. Avvalendomi anche dell’amicizia del Prof. Cecconi, presidente della UNI/CSQ, si era riusciti a completare l’ambiziso progetto per il miglioramento continuo dei sistemi gestionali, ivi compreso quello per il sistema qualità. Ne ero (e ne sono) particolarmente contento perchè si realizzava, per la prima volta un progetto completo e sistemico di produttività del lavoro, di produttività economica (attuazione della contabilità analitica spinta sino alle posizioni di lavoro ed alle attività processo) e di attuazione delle ISO 9001/9004. Era già stata programmata la visita definitiva degli ispettori della CSQ per il conseguimento della certificazione, quando l’ing. Temperini, che è stato mio collaboratore per diversi anni, evidenzió in una riunione una diferenza fra i costi risultatnti dalla contabilitá analitica e quelli della contabililità economica. Si notó subito uno sconcerto nei vertici della dirigenza che non capivano questa differenza. Inutli furono i miei tentativi di chiarire che il confronto non era significativo in quanto mancavano alcuni costi di tipo generale e che proprio l’analiticità dei dati, a parte qualche necessaria approssimazione, mettevano in evidenza la corretteza della gestione del Centro. Niente da fare. I rapporti si interruppero; ed il progetto non passò alla fase di attuazione a regime. Poco dopo il Centro ebbe la certificazione di qualitá, ma senza alcun riferimento al sistema di monitoraggio della attività della produttività ed in particolare dei costi. Rimasi evdentemente molto deluso, con qualche colpevolizzazione verso la dirigenza del Centro. La pausa di due anni e sopratutto le riflessioni che facevo mentre scrivevo il libro che oggi viene presentato, mi hanno portato a concludere, amaramente, che monitoraggio/trasparenza gestionale della produttività nelle apubbliche o si realizza in tutte (o quasi) o non si realizza. Avevo torto io nel pensare possibile realizzare la trasparenza “a regime” e non la dirigenza degli enti, dei “casi” raccontati

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in questa relazione e che ringrazio per avermi consentito di migliorare il sistema NTG/Fepa, anche in coerenza con le nuove tecniche informatiche. Nella trasprenza gestionale non si può essere soli: il pesce che vuole, comunque, mostrarsi pulito, anche se lo é, non puó rischiare di essere eliminato da quelli che nell’acqua sporca trovano il loro ambiente.

3 - Memorandum accordo sindacale , Proposta di legge per Autority PA. Direttiva della qualitá del ministro Nicolais e Dlgs 286/1999

Per analizzare, valutare e confrontare le tre iniziative che in questo momento interessano le amministrazioni pubbliche, ritengo opportuno usare lo stesso sistema delle parole chiavi usate in tutti i precedenti capitoli.

In questo caso, peró , le parole chiavi hanno un significato diretto per valutare le iniziative.Ora è molto facile trovarle: il programma word se usato, con logica incrociata e comparazione,

facilita molto questo approccio analitico valutativoInoltre è utile anche un confronto al Dlgs 286/1999 che disciplina attualmente il controllo di

gestione e la valutazione nella PA. E’ opportuno riportare integralmente le titolazioni di di tale documenti:

1) – DLgs 286/1999 – Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati delle attività svolte dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell’art. 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59. (riportato itegralmente in nota.44.) 2) – Direttiva del Ministro Nicolais “per una pubblica amministrazione di qualità” (riportato itegralmente in nota n.45)

3) - Disegno di legge di iniziativa parlamentare per istituzione Autority- Norme in materia di valutazione per l’efficienza ed il rendimento della struttura e dei dipendenti pubblici (riportato itegralmente in nota n.46)

4) - Memorandum Governo - Sindacati per una nuova qualitá dei Servizi e della Funzione pubblica. (riportato itegralmente in nota n.47)

Prospetto comparativo tipo e numero parole chiave per ciascun documento

Documento Parole chiavi --------------------------------------------------------------------------------------------- Trasp.za Misura Monit,gio Prod.itá Eff.nza costi eff.cia etica Migl.nto qualità Valut.ne continuo a) DLgs 0 3 2(*) 0 6 0 5 0 0 5 37 b) Dir.va 0 1 4 0 1 0 2 0 9 26 23 c) Autority 4 0 0 0 16(**) 0 2 0 0 0 46

d) Memor. 3 0 0 0 1 0 6 0 9 12 6

(*) (come monitoraggio dell’attuazione) (**) compreso la voce “rendimento”

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Constatazioni e riflessioni

1) DLgs n. 286/1999 In netto contrasto con la titolazione, non vi è nemmeno un “segnale” di riordino e potenziamento del monitoraggio. La voce monitoraggio appare solo due volte, ma come monitoraggio di attuazione di alcuni contenuti del DLgs: ed il termine “misura” risulta sostanzialmente essere un semplice richiamo; lo stesso si puó dire per le parole efficienza ed efficacia. Nessun riferimento alla produttivitá . Invece ben 37 volte e con indicazioni dettagliate vi è la voce “ valutazione”.

2) Disegno di legge Autority per la PA A questi risultati cerca di trovare rimedio il Disegno di legge di iniziativa parlamentare sull’Autority per la PA (norme per la “valutazione”) con esclusivo riferimento solo all’efficienza, intesa come produttivitá /rendimento del lavoro: la voce valutazione é presente ben 48 volte. Quindi la provocazione del Prof. Ichino e non solo mediaticamente e politicamente forte, ma è anche tecnicamente “azzeccata”: il buco nero nel sistema gestionale dela PA e la mancanza di valutazione dell’efficienza. Ma se non si rende vincolante la trasparenza/monitoraggio dell’efficienza; non si hanno strumenti per valutarla. Ed in questo caso non può farsi ricorso nemmeno ad una valutrazione di “autorevoli e saggi esperti”. Il rendimento del personale e sopratutto il controllo dei costi necessitano di indicatori; dico una cosa ovvia; ma è anche ovvio che nella PA non vi è nessun controllo di efficienza se non quello che si realizza con il blocco delle assunzioni, e con il taglio delle spese. Vi è la novità dell’Autority che in sede di direttive e regolamenti potrebbe anche rimediare alle omissioni del DLgs 286/1999. Ma un'integrazione di norme esplicite sulla trasparenza e monitoraggio della produttività (come approccio sistemico fra efficienza/efficacia) garantirebbe molto meglio che la valutazione non rimanga “inefficace” così come è ora . 3) Memorandum

Per chi come me ha vissuto direttamemente il vivace periodo della contrattualistica del dopo Rapportio Giannini, il memorandum, anche formalmente, costituisce una forte delusione. Vi sono stanchi riferimenti ad efficienza/efficacia. Forse la terminologia ed i contenuti di quel perodo erano eccessivamente illuministici, ma davano speranza in una PA “piú efficiente e funzionale”. Probabilmente il memorandum è stato inflenzato da tutte le polemiche su fannullonismo nella PA che hanno “costretto” (per me con qualche enfasi, ma giustamente) il sindacato a fare scudo, ma anche e forse piú, dalle incertezze che caratterizzano l’attuale situazione del nostro paese. Potrebbe verificarsi un miglioramento in sede di applicazione. 4) Direttiva Nicolais La titolazione della direttiva “per una Publica Amministrazione di qualitá” lascerebbe pensare al solito e rituale riferimento alla qualitá dei servizi pubblici. Invece costituisce una direttiva che per la prima volta fa riferimento forte ai contenuti delle normative ISO 9001/9004 del 2000. Il suo costante riferimento al “miglioramento” è tipico di questa normativa. Ed il miglioramento continuo presuppone trasparenza gestionale e monitoraggio Tutte le altre indicazioni del Ministro, come quella riportata in nota, e come quelle che risultano dall’albero di governo vanno nella stessa direzione. Condivido pertanto il giudizio espressomi dal Prof. Vittorio Cecconi: ottima la direttiva di Nicolais. Ma continuo a ripetere, senza la obbligatorietá della trasparenza/monitoraggio dell’efficienza, i contenuti della direttiva rimarranno sostanzialmente inattesi. Mi auguro comunque che i contenuti della direttiva e, ancor di piú, la presenza del Ministro per un lungo periodo, facciano da ponte fra Disegno di legge Autority e Memorandum; proprio enfatizzando l’esigenza che la trasparenza gestionale venga legislativamente disciplinata. (vedere allegato n. 1 pag. Emendamenttto n. 17.01 al DDL 2161 Camera dei Deputati)

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Sto constatando che questa mia relazione si è trasformata in una specie di libro bianco sulla trasparenza gestionale nelle Amministrazioni Pubbliche. Ma, forse questo era il mio obiettivo. NOTE DOCUMENTI WEB (DAL N. 1 AL N. 38) Nota 1) Trattato della pittura di Leonardo da Vinci..pag. 31

Nota 2) Rodotà S. (1993) "La sovranità nel tempo della tecnopolitica. Democrazia elettronica e democrazia rappresentativa.", in Politica del diritto , 4

Nota 3) RISOLUZIONE DEL CONSIGLIO (CEE) del 24 marzo 1997 su una nuova strategia

Nota 4) Problemi di indipendenza credibilità e trasparenza della banca centrale europea (Alesandra Caporali, Cristian Mariotti, Michele Moschini

TRASPARENZA TECNOLOGICA

Nota 5) USA, L’alcool test deve essere open oorce

Nota 6) La tutela penale dei sistemi informativi e telematicidi Giuseppe Corasaniti Nota 7) Balzo del gambero o rivoluzione normativa?di Andrea Lisi (Direttore editoriale di RDEGNT) TRASPARENZA CULTURALE Nota 8) Le strategie familiari a livello locale – Non solo compiti dei politici (Francesco Belletti) Nota 9) IL PROBLEMA DELLA FIDUCIA (Carlo Bernardini) Nota 10) I principi della clinica transculturale – La codifica culturale (Marie Rose Moro)

Nota 11) Lingotto congressi Torino 9/11/2006 V congresso nazionale Societá italiana di medicina di Emergenza-Urgenza (Valerio Gai) TRASPARENZA ISTITUZIONALE

Nota 12) Glasnost - Da Wikipedia .Nota 13) Ministero del’interno – XX Olimpiadi invernali Torino 2006 Nota 14) Legislatura 15*- Disegno di legge n.246 SENATO DELLA REPUBBLICA Disposizioni in materia di accesso ai documenti di Stato e istituzione di una Commissione per la desecretazione degli atti di Stato

Nota 15) Gorbaciov ed il crollo dell’URSS

TRASPARENZA GESTIONALE

Nota 16) Autorità per l'energia elettrica e il gas Comunicato stampa 16 marzo 2006

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Nota 17) Tar lazio Sez, Latina 12/7/2002

Nota 18) Sono tutti coinvolti Ucei: distribuiti incarichi e deleghe ai nuovi consiglieri

Nota 19) USL 16 Toscana- Servizio di patologia clinica (direttore a La gioia) Certificazione ISO 9002

Nota 20) Contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al quadriennio normativo 1998 - 2001 ed al biennio economico 1998 - 1999 del personale del comparto "Università"

Nota 21) Paolo Andruccioli : Parte la squadra di Montezemolo (Il manifesto 30 aprile 2004)

Nota 22) Elezioni 9 e 10 aprile: appello al voto di Legacoop Modena Modena 06 Aprile Fonte Legaccopo Modena Nota 23) Parmalat: Fai, Flai e Uila incontrano il Commissario europeo Franz Fischler FAI - CISL FLAI - CGIL UILA - UIL COMUNICATO STAMPA

Nota 24) La misssione di Pirelli SGR

Nota 25) Direzione Generale Culture, Identità e Autonomie della Lombardia Step 9 Predisposizione del sistema di rendicontazione sociale

Nota 26) Versión estenográfica Seminario Internacional de Transparencia y Rendicion de Cuentas

BOGOTA Secretaria de Educación de Bogotá, Colombia. Guanajuato, Gto., a 6 de noviembre de 2003

Nota 27) MODULO D - Statistica per il Monitoraggio gestionale

Nota 28) Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della RicercaDipartimento dell’Istruzione Direzione Generale per gli Affari Internazionali dell’Istruzione Scolastica Ufficio V Fondi Strutturali 2000 – 2006 Quadro Comunitario di Sostegno

Nota 29) ANALISI DEI RISULTATI DELLE CARTOLARIZZAZIONI 2006-03-31 Corte dei Conti Ufficio di controllo sulla gestione dei Ministeri economico finanziari

Nota 30) ATTIVAZIONE DEL CICLO DI PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO GESTIONALE PER L’ANNO 2003 Nel corso della riunione del 7 aprile u.s. presieduta dal Capo della Polizia

Nota 31) FAQ RELATIVE A: CONTABILITÀ ECONOMICA – Ragioneria generale dello stato

Nota 32) Comune di Bologna Salute Consuntivo di Contabilità Analitica 2004 Consuntivo COAN 2004: Sintesi per settore/Gruppo cdc Settore SALUTE

TRASPARENZA ED ETICA Nota 33) Citazioni sul Valore sull'Etica - Affari Responsabilità aziendale Gestione Finanziaria

Citazioni Morale Valori ...

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Trova una Citazione sui Valori, Etica Aziendale, Morale e Virtù; Citazioni da ... Ambrose Bierce 1842-1914, Cronista americano e scrittore di storie dell'orrore

Nota 34) libro della settimana: Max Weber, La scienza come professione-La politica come professione, Carlo Gambescia Il libro della settimana: Max Weber, La scienza come professione - La politica come ... impone di credere fermamente nei valori ("etica dei principi") e di saper ...

Nota 35) Giovani Imprenditori di Confindustria ... piaga del lavoro nero come esempio negativo di mancanza di trasparenza ed etica. ... detto, convinto comunque che trasparenza ed etica siano valori fondanti per ...

Nota 36) Notiziario Fiscale dell'Agenzia delle Entrate

Collaborazioni. english version. version française. Lo scadenzario. La ...ha firmato la legge per riportare trasparenza ed etica nel cd "corporate America" ...

Nota 37) Il Giornale - Montezemolo invoca una Costituente: "All'Italia manca l'etica" - n. 306 del 27-12-2005

... più governabilità, più mercato e, alla base di tutto, etica e senso dello Stato. ... Insomma nel 2005 in Italia sono mancati "etica e senso dello Stato"

Nota 38) TG3 Redazione Politica. Redazione Economica. Redazione Cronaca. Redazione ...

SERVE ETICA E SENSO DELLO STATO. CIAMPI: PER DIFENDERE LE

ISTITUZIONI SERVE ETICA E SENSO DELLO STATO.

Nota 39) L'ASTRONOMIA E LA PRIMA CRISTIANITA' IN IRLANDA

Questa fu un'innovazione di notevole importanza in quanto sappiamo, come ci ... in evidenza i valori di etica e moralita' contenuti in esse e che erano

Nota 40) The big Lebowsky - il grande Lebowsky

Il cinema dei Coen, sempre così visionario e surreale ma non ... indietro, ma piuttosto un musical blues e religioso pervaso di etica e moralità.

Nota 41) la RegioneTicino

Ritornare a parlare di simmetria dei sacrifici e concertazione fra i ... di mettere a nudo il re: alzare il tiro su politica, etica e moralità pubblica.

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Nota/allegato 42) Il Monitoraggio (dal Libro Metodologie e Tecniche per il Miglioramento Continuo dei sistema di Gestione Emidio Valentini - ed. CISU Roma Pgg 112,113)

Il Sistema NTG, come si è più volte ripetuto, è soprattutto un sistema di monitoraggio della “ gestione” nelle attività amministrative e nei servizi. .In questi tempi di rapidi cambiamenti politici, sociali, economici non sono più sufficienti le sole osservazioni dirette: occorre fare il possibile per tipicizzare, quantificare e valutare le vicende dei fenomeni tipicizzati, quantificati e rilevati. La tipicizzazione, la quantificazione, la rilevazione costante di un fenomeno in periodi determinati di tempo costituiscono il monitoraggio del fenomeno stesso.Il termine monitoraggio è ora molto di moda; è diventato quasi uno slogan.Ma anche se in qualche caso del monitoraggio se ne potrebbe fare certamente a meno, bastando le osservazioni dirette e senza mediazioni logico-statistiche, negli avvenimenti più complessi è certamente necessario ricorrervi L’uso diffuso termine comporta anche una maggiore sensibilizzazione “culturale e sociale” sulla esigenza di seguire, con strumentazione meno soggettiva, l'andamento di fatti complessi e importanti.In realtà il monitoraggio, come categoria concettuale, è insito nello stesso rilevamento costante, uniforme di dati statistici. Sin dai tempi dell' antica Roma si monitorava, mediante censimenti, l' andamento delle cittadinanza romana; Il re Borboni di Napoli si preoccupavano di avere dati statistici ed aggiornati su “ quei fetentoni di ribelli liberali”.Facendo riferimento a situazioni più recenti, la valutazione degli indici dei prezzi costituisce un esempio tipico di monitoraggio; e così dicasi dell'indice di Borsa. Se un iperteso costantemente si misura la pressione arteriosa, ne fa il monitoraggio, in quanto la strumentazione che utilizza si basa su tipicizzazione e quantificazione su osservazioni estese del fenomeno.L’esemplificazione storica potrebbe continuare senza limiti.In questi tempi si parla di monitoraggio del terrorismo del potenziale bellico dell'Irak, della criminalità organizzata. Probabilmente in qualche caso si tratta di terminologia ad uso dei media, in altri casi il termine monitoraggio serve per modernizzare rilevamenti statistici da tempo effettuati, in altri ancora per fare “ scena” .E' da premettere innanzitutto che l'obiettivo del monitoraggio non si pone in una economia stagnante, in una società stabile; quanto più

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questo corre veloce, tanto più si passa da decisioni su dati assoluti a decisioni su dati di scostamento, da rilevamenti statistici a frequenza di lungo periodo a rilevamenti di breve periodo, da rilevamento su macro aggregati, a rilevamenti su micro aggregati. 1 termini più rigidamente scientifici il monitoraggio si caratterizza per i seguenti elementi:a) il fenomeno oggetto di monitoraggio deve essere caratterizzato da ripetitività estesa o che si tiene estesa nel tempo: è inutilmente costoso monitorare ciò che dura “lo spazio di un'estate”.b) il fenomeno deve essere caratterizzato da complessità tale da non poter essere seguito mediante “ sensazioni” o strumentazioni semplici: è presuntuoso e metodologicamente fuorviante parlare di monitoraggio nel caso di rilevamento costante, per un certo periodo di degenza, della temperatura corporea;c) il fenomeno deve variare in maniera probabilistica non facilmente predeterminabile; se l'andamento del fenomeno è prevedibile con sufficiente esattezza il monitoraggio è inutile: in una economia pianificata non esiste certamente monitoraggio dei prezzi “ predeterminati”. ,c)il fenomeno deve essere tipicizzabile non solo nel suo insieme, ma anche nei fattori significativi che lo compongono: senza la tipicizzazione è impossibile valutare correttamente gli scostamenti;e) quando di un fenomeno si vuol analizzare lo scostamento nel suo complesso, occorre rendere omogenei, sommabili i fattori in cui esso è scomposto: nel monitoraggio dei prezzi occorrono i coefficienti di omogeneizzazione che rendano sommabili i prezzi della carne con quelli dei vestiti, dei tabacchi ecc. ecc.;f) la disponibilità dei dati deve essere la più tempestiva possibile; la soluzione ottimale è la disponibilità in tempo reale: se il monitoraggio è giomaliero, la disponibilità dovrebbe aversi al termine della giornata; se annuale, nei primi giorni dell' anno successivo;la tempestività della disponibilità distingue il monitoraggio dal rilevamento statistico; il rilevamento dei dati meteorologici effettuato dalle stazioni meteorologiche è prima di tutto un monitoraggio, ma è anche, per studi e confronti futuri, un rilevamento statistico; il monitoraggio serve per le decisioni immediate o ravvicinate, il rilevamento statistico per le analisi, valutazioni e decisioni più protratte nel tempo;

g) la tempestività, la rapidità di analisi e valutazione che caratterizza il monitoraggio di fenomeni complessi richiedono l'uso dell' informatica unitamente a tecniche di trasmissione a distanza (l'uso cioè della cosiddetta telematica); d'altra parte monitoraggio deriva proprio da “ monitoring”, termine medico di linguaggio internazionale per indicare un' apparecchiatura elettronica destinata a controllare a distanza l' andamento delle funzioni vitali (pressione del sangue, ritmo respiratori, funzioni cardiache ecc.) di un paziente ricoverato in un ospedale e bisognoso di assistenza continua e con decisioni mediche tempestive).E' evidente che il tema del monitoraggio richiederebbe maggiori approfondimenti. Ai fini della comprensione del monitoraggio dei processi bastano però i limitati accenni esplicativi fatti. Per monitoraggio dei processi - Tecnica NTG1 a -, nel sistema NTG, si intende il controllo informatizzato dei processi relativi ad un prodotto, concretamente attivato ai fini di rilevare i tempi di esecuzione (tm) dell’intero processo e di verificar gli scostamenti di tale durata da quella media prevista in ntg1b Si deve innanzitutto rilevare che il monitoraggio si giustifica solo nel caso di procedure complesse e comunque importanti ai fini dell miglioramento della produttività. Monitorare una procedura significa quindi:

a) individuare il prodotto, quasi sempre un prodotto istituzionale/ vendibile, del quale si vuol controllare i tempi cioè la tempestività intesa come rapporto fra tempo medio previsto e tempo effettivamente realizzato;

b) individuare e tipicizzare le attività mansioni e le fasi della dura relativa a tale prodotto;c) individuare i settori e le posizioni di lavoro (o persone) dell’intero proceso .delle fasi ed attività mansioni; d) valutare i tempi tm relativi a ciascuna attività mansione o fasi;

d) utilizzare il software applicativo NTG1 a per la informatizzata e la valutazione del numero di giorni dal momento di avvio a quello di conclusione della procedura;

e) f) indicare le scadenze delle varie fasi che si vuol allarmare, con l'indicazione dei giorni di anticipo per la realizzazione informatica degli allarmi stessi;

f) inserire nel computer i dati di avvio processo con tutti gli opportuni indicatori (data di avvio, n. pratica, utente esterno eventualmente interessato)

g) ;h) inserire nel computer le date di conclusione delle varie fasi e le eventuali giustificazioni nel casi di ritardo rispetto ai tempi previsti nella tipicizzata;

h) i) verificare, dal “monitor” la situazione giornaliera delle procedure a monitoraggio: valutando i dati e la elaborazioni che il software applicativo visualizza sul monitor stesso;

i) 1) archiviare, sempre utilizzando il software applicativo, le concrete procedure concluse.

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Nota/allegato 43) Misura delle attivitá, produttivitá e fabbisogni organici

1) Dal sole 24 ore del giorno 11 Impresa in un giorno ,si acceleraArriva il Piano Nicolais – Patto con Enti locali e Partti sociali per cambiare la PA Competività - Il progetto dell’esecutivo punta a modernizzare tuti gli uffici Statali ( Marco Rodari) ...................................................................................................Ma il Progetto di Riforma della PA poggia anche su altri pilastri fondamentali delle struture burcratiche con l’adozione di un meccanismo di valutazioni delle prestazioni imperniato su piani anuali di produttivitá cui collegare gli effettivi fabbisogni di personale e i budget interni: decollo dell’e-government.

2) Presidenza Del Consiglio dei Ministri

Per il bene dell’ItaliaL’albero dl programma Attuazione Programma di Governo

Misurazione delle attivitá.della Pubblica Amministrazione

Nota n. 44) Decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286.

Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59.

Nota n. 45) Dipartimento della Funzione Pubblica - Direttiva del Ministro per le riforme e le innovazioni nella Pubblica Amministrazione per una Pubblica Amministrazione di qualità

Nota n. 46) Disegno di legge per Istituzione Autority

Norme in materia di valutazionedell'efficienza e del rendimento

delle strutture e dei dipendenti pubblici

Relazione

Nota n. 47) Memorandum Governo Sindacati - Per una nuova qualità dei servizi e delle funzioni pubbliche

L’associazione dovrebbe organizzativamente articolarsi per Regioni e per Settori ( Organi istutuzionali, Amministrazi centrrali dello stato, Enti locali ; Sanitá ecc)

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Dott. Maurilio Segalini(Dirigente Comune di Cremona)

Dal rapporto “Giannini” all’esperienza del progetto FEPA

1- Premessa

- Il 1985: anno della svolta Tutti noi sappiamo che l’anno 1985 ha rappresentato la svolta per l’introduzione delle tecniche gestionali a noi oggi molto care e preziose. Si tratta del vero inizio del Progetto FEPA, che ha rappresentato per tutti i fepini un nuovo modo di pensare e di considerare la P.A. nelle sue varie ramificazioni. Una crescita culturale che innanzitutto ebbe connotazioni scientifiche di livello europeo e internazionale.

- Sette anni dopo il rapporto “Giannini” Molte sono le cose in comune con quanto era già emerso nel rapporto Giannini, ci preme però sottolineare un’estrema vicinanza nei linguaggi e nella comunicazione dei concetti, perché la volontà alla base di entrambi i percorsi è stata quella di cercare di dare una reale trasparenza alla pubblica amministrazione e al modo di agire dei suoi dipendenti.

- Cinque anni di grande innovazione metodologica e comportamentale (1985 – 1990) Il FEPA si è distinto per la sua innovazione tecnica e metodologica. Fino a quel momento pochissimi avevano affrontato le analisi di flusso, quelle di processo, il concetto di prodotto finale e la straordinaria importanza di una pianificazione strategica. Oggi molte amministrazioni affrontano i temi del bilancio sociale, dei patti territoriali per lo sviluppo, dei piani strategici e dei programmi di mandato. A quel tempo il progetto fu antesignano di tutti questi aspetti con la grandissima capacità di saperli strutturare in una dinamica di sistema.

- 1990: la chiusura del progetto, ma i valori e le idee continuano Quando il FEPA si chiuse tutti noi affrontammo quel momento con una sorta di rassegnazione, forse perché era giusto che fosse così. Poi il tempo ha dimostrato che quelle idee e quei valori sono rimasti di primissimo piano e appartengono ad un’etica amministrativa che crediamo ci rappresenti nel modo ancora oggi auspicato. Per dirlo con parole più povere: le necessità della P.A. sono sempre le stesse, sembra che non si voglia scegliere quei rimedi che potrebbero farci cambiare veramente rotta.

- i raccordi con la ricerca scientifica e il mondo universitario Per fortuna che molti personaggi del mondo scientifico e universitario oggi riconoscono la bontà di quella occasione. Questo ci dà fiducia e ci fa pensare che esiste una base concreta dalla quale ripartire insieme.

1.a parte: il rapporto “Giannini

- l’individuazione dei fattori rilevanti per il successo di una progettazione Se torniamo alle assonanze del FEPA con il rapporto Giannini non possiamo certo sorvolare sulla grande capacità di identificare per tempo i fattori principali di una progettazione che ci portano molto più concretamente al raggiungimento di veri risultati (efficienza ed efficacia). Un esempio su tutti: l’utilizzo del fattore tempo come indicatore di risultato, nonostante rappresenti un concetto quasi banale, inizia a configurarli nel pubblico impiego prima con il rapporto Giannini e poi con le tecniche gestionali FEPA.

- la politica di una nuova direzione per obiettivi Finalmente assistiamo ad una traslazione dei concetti “universitari”, perché no “Bocconiani”, legati alla direzione per obiettivi verso il quotidiano modo di gestire la “res pubblica”, pensando a loro finalmente come vere applicazioni da trasferire sulle azioni giornaliere riguardanti la collettività e le Istituzioni.

- fare politica col significato di “amministrare” Ed è così finalmente che la politica trova spazio per coniugarsi con l’amministrare. Di fronte alla codificazione di nuove regole il cittadino ritrova slancio e riacquista un senso di

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appartenenza alle Istituzioni. Certo, non stupiamoci quindi, se le persone fuggono da una realtà che non riesce mai a rappresentare le proprie azioni con coerenza e trasparenza.

- le riforme non possono consumarsi soltanto sul terreno economico-sociale L’autonomia tecnico-scentifica consente di progredire nel processo di modernizzazione di un paese; ciò non significa assolutamente che le due componenti non possano convivere e dialogare, tuttavia lo devono fare sulla scorta di una rappresentazione di risultati e obiettivi che in qualche misura sia “certificata” su basi inconfutabili:

- la sfida riformista Tutti sappiamo che rimane una grande sfida, una occasione straordinaria per rileggere le dinamiche della P.A. e di quella parte pubblica di un paese ITALIA che vive mille contraddizioni al secondo. Nessuno di noi a forse mai rinunciato, se siamo qui a Rimini è perché rimaniamo di questo avviso.

2.a parte: dallo Stato unitario allo Stato delle Autonomie

- la riscoperta del concetto di Federalismo Oggi ormai tutte le forze politiche riconoscono la straordinaria importanza che lo Stato dia veramente il là ad un concetto di Federalismo, negli anni in cui nacque il FEPA sembrava che solo quel movimento favorisse in termini scientifici l’evoluzione di una disciplina del pubblico impiego tesa all’attribuzione di responsabilità decentrate sul territorio alla sola condizione che il sistema di monitoraggio garantisse trasparenza ed efficacia all’azione della pubblica amministrazione.

- le riforme degli anni ‘90 Tutti noi ricordiamo le riforme legislative di quegli anni ed il loro impatto sulla P.A.:

• la legge 142/90 “Ordinamento delle Autonomie Locali”;la legge 241/90 “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”;

- il rapporto tra politica e amministrazione la scomposizione dei poteri di indirizzo e di gestione ha sicuramente favorito la crescita del paese ed è proprio quando i personaggi della politica si calano nelle vesti dell’amministratore che diventa di grandissima attualità la capacità di saper trovare e saper utilizzare un management pubblico dotato di idonei strumenti. Le tecniche FEPA sono un sostegno importante per queste professionalità addette alla gestione dei servizi pubblici.

- gli Enti Locali fra Statuto e Regolamento d’Organizzazione Particolarmente negli Enti Locali il fenomeno ha assunto una rilevanza notevole, ciò perché la gestione di quei servizi classificati come “front-office”non può tollerare tempi di risposta lunghi e procedure inadeguate. Le metodologie rigorose del progetto FEPA consentono non solo di monitorare gli andamenti, ma anche di elaborare i documenti organizzativi dell’Ente (vedi Statuto e Regolamento d’Organizzazione) che indirizzano la vita quotidiana dei suoi settori e servizi.

3.a parte: i contenuti che il progetto FEPA aveva saputo anticipare rispetto alle evoluzioni degli anni ‘90

Voglio citare in conclusione quei contenuti per i quali il FEPA era ed è stato premonitore:- la programmazione per obiettivi- le abilità richieste al “saper dirigere”- progettare per fasi e per processi- le tecniche di monitoraggio- gli indicatori di efficacia ed efficienza- l’aspetto finanziario tradotto in termini economici- l’attribuzione di responsabilità tecniche e gestionali sempre più puntuali e individuabili- la valutazione dei risultati

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4.a parte: il FEPA è ancora oggi un “tema” di grande attualità

Tuttavia molti temi rimangono di straordinaria attualità:- parliamo sempre più di “responsabilità”- parliamo sempre più di “produttività”- parliamo sempre più di “risultati per l’utenza”- parliamo sempre più di “meritocrazia”- parliamo sempre più di “divisione dei poteri”- parliamo sempre più di “nuovi corsi di studio”- parliamo sempre più di “formazione permanente”- parliamo sempre più di “basi scientifiche di riferimento”

E’ con estremo piacere, quindi, che rivolgo un abbraccio di “bentornato” ad Emidio Valentini e a tutto il nostro gruppo di dirigenti e operatori pubblici che continuano a credere nell’evoluzione di queste metodologie etiche e professionali.

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Dott. Flavio Paiero(Dirigente Comune di Crema)

Episodi significativi nei cinque anni del progetto FEPA

Mi chiamo Flavio Paiero e sono il Dirigente al Personale Organizzazione e Sistemi informativi del Comune di Crema, un medio Comune della Provincia di Cremona di circa 34.000 abitanti

Al tempo del Progetto fepa ricoprivo già questo ruolo e quindi sono stato probabilmente più facilitato di altri colleghi nell’aderire al progetto e nel realizzare le sperimentazioniPenso che sia capitato a tutti i partecipanti al progetto Fepa di ripensare ogni tanto a quella esperienza e ricordare tutto ciò che essa ha significato sia in termini positivi di accrescimento personale che in termini negativi, per le reazioni a volte anche molto pesanti e spiacevoli che provocavamo, ma che significavano a mio avviso che “stavamo lasciando un segno” perché là dove non si sono avute reazioni è perché non si è veramente inciso.Ma nonostante le forti emozioni provate, in fondo eravamo dei semplici impiegati pubblici, abituati da sempre a lavorare per adempimenti, a far decidere tutto agli Assessori è sempre prevalsa la convinzione o forse la presunzione, o forse la speranza, che con le sperimentazioni che si facevano nei nostri Comuni si sarebbe inciso profondamente sulla mentalità corrente dell’epoca e si sarebbero innescati percorsi virtuosi di miglioramento nell’operare quotidiano e questo indubbiamente ci ha aiutato ad arrivare alla fine del progetto e a continuare anche negli anni successivi, ma venendo purtroppo pian piano riassorbiti dal “sistema” che nei fatti non voleva assolutamente cambiare, né a livello locale né a livello centrale Rivedere la scorsa primavera , dopo così tanti anni, il dott. Valentini, per il quale il tempo sembra non essere passato, mi ha riportato a quei momenti di soddisfazione e nello stesso tempo di amarezza e di sconforto, ma, convinto dell’attualità delle tecniche NTG, così come nel tempo venutesi a perfezionare, ho accolto con entusiasmo l’invito di portare una testimonianza a questo convegno su alcuni di quelli che, a mio avviso, potevano essere i momenti più significativi della mia esperienza.

Ripensando quindi alla mia esperienza nel progetto Fepa mi sono tornati alla mente tanti episodi carichi di significato accaduti in quel periodo caratterizzato da:

• Un particolare clima di solidarietà e rispetto reciproci instauratosi tra tutti i partecipanti• Un senso di orgoglio e nello stesso tempo di timore ed umiltà nei confronti di un’esperienza

che spaventava e sembrava troppo oltre le nostre possibilità

Ricordare quel periodo ha risvegliato emozioni che credevo perdute

Ripercorrendo gli episodi di quegli anni …. tra i tanti …. penso che due in particolare possono forse assumere un particolare significato nel contesto di questo convegno e dello scenario nazionale che si sta delineando

Il primo :prime applicazioni della tecnica Fepa NTG2 rilevazione dei carichi di lavoro

• dall’incrocio dei dati (% di tempo dedicato, n. prodotti, ore lavorate) è emerso che per fare gli “esterni” di una delibera (all’epoca si battevano ancora a macchina) si impiegavano circa due ore per copia…………. Il tempo realmente necessario comprese le attese, le firme etc era molto molto inferiore……………… probabilmente i responsabili di quell’ufficio percepivano che quella impiegata se la prendeva un po’ comoda, ma la questione non era mai stata affrontata ……… la disponibilità dei dati rilevati ha costretto ad affrontare il problema, non in chiave di giudizio negativo sulla dipendente, ma in chiave organizzativa……….. un dipendente è stato trasferito dal quel ufficio ad altro ufficio …..

l’episodio fece molto scalpore !!! come si può immaginare.

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Non tutto filò sempre liscio, ma nonostante alcuni pesanti interventi per bloccare la sperimentazione devo dire che nel complesso riuscimmo ad operare dal 1989 al 1997 sia con i carichi di lavoro che con la rilevazione delle procedure grazie sia alla legislazione del tempo che ad una forte volontà politica che sosteneva il nostro operato.Purtroppo dal 1999 ci fu un cambio nell’alta direzione del Comune e si preferì seguire diversi approcci nell’organizzazione del lavoro, anche se alcuni settori continuano ancora oggi a rilevare autonomamente la quantità di lavoro svolto negli uffici per loro politiche interne di suddivisione delle risorse umane disponibili

il secondo :rilevazione dei carichi di lavoro in un’Amministrazione provinciale :

• la rilevazione fatta ha fatto emergere in particolare una voluminosa e diffusissima attività di “studi e progetti” (praticamente in quasi tutti i settori questa attività era presente). Stante la particolare natura dell’ente la cosa poteva anche avere una giustificazione………. Ma l’assenza di strumenti di controllo sulla realizzazione pratica di quanto studiato e progettato ha indotto l’ente ad effettuare una profonda riflessione sul proprio modello organizzativo.

• fu documentata inoltre l’esistenza di una posizione Dirigenziale priva di contenuti e di poteri decisionali, con compiti di fatto di segreteria amministrativa di un settore dell’ente

• fu altresì documentata la complessità e la quantità di lavoro svolto in un’area decentrata ed altamente specializzata dell’ente fino ad allora “poco considerata” dall’alta Direzione

Sono due piccoli episodi, ma a mio avviso significativi.…. Il sistema, anche con tutti gli appesantimenti delle prime versioni, funzionava…… era necessario affinarlo e calibrarlo sulle diverse necessità di analisi dei diversi enti……. ma le cose non sono andate in questo verso…. Perché? forse perché funzionava troppo? ognuno di noi ha cercato di dare una risposta a questa domanda….. forse oggi si presenta una nuova opportunità, speriamo che sia veramente così perché sarebbe un vero peccato che venisse vanificato l’interesse che tutti i partecipanti a questo convegno hanno di far diventare la “trasparenza, Funzionalità Efficienza” non più obiettivi da perseguire, ma risultati conseguiti ed elementi stabilmente caratterizzanti l’azione della P.A.

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Dott. Giuseppe Mareschi(Dirigente Comunità Montana Carnia)

Valori, contenuti e risultati del progetto nel convegno conclusivo di Rimini del 20 e 21 marzo1990.

1. SALUTI

Un saluto a tutti i presenti, alle autorità, agli amici “fepini”, con i quali ho condiviso uno dei “passaggi” più gratificanti della mia esperienza lavorativa e a tutti quelli che oggi pur non essendo qui oggi, hanno consentito che il FEPA potesse essere realizzato.

2. I RISULTATI

Parto dai risultati per come sono stati riassunti nel convegno di Rimini del 20 e 21 marzo del 1990.

Preciso anche che il taglio del mio intervento è più legato al mondo della autonomie locali che conosco meglio.

Guide di questo mio intervento sono la relazione del dr. Valentini, direttore del progetto, la relazione del prof. Elio Borgonovi, a suo tempo docente di economia pubblica all’Università Bocconi, la relazione dell’ing. Pier GiorgioPerrotto, già presidente ed amministratore delegato dell’ELEA spa - Olivetti.

Per definire i risultati riprendo innanzitutto gli obiettivi del progetto, per verificare se quanto fatto è stato coerente con quanto ipotizzato.

L’obiettivo funzionale-finale del FEPA era quello di: contribuire a dare efficienza, produttività e funzionalità al sistema pubblica amministrazione italiana.

L’obiettivo formale era quello di: dare attuazione a norme giuridiche, in quanto il progetto doveva costituire “attuazione” di quanto previsto dall’art. 13 del DPR n. 536 del 1984.

I due suddetti obiettivi, definibili anche come scopi-guida, si sono tradotti nell’obiettivo strumentale di: “realizzare una graduale introduzione del sistema PA di nuove tecniche gestionali già applicate nel settore privato, ma adattate alle esigenze ed ai vincoli del settore pubblico mediante approfondita e concreta attività di sperimentazione”.

Che risultati abbiamo ottenuto. Dico abbiamo, in quanto gran parte delle persone che hanno contribuito a realizzare il progetto sono oggi qui presenti, e chi manca è senz’altro qui idealmente.

In linea di sintesi il progetto FEPA si è fatto carico di:• mettere a punto nuove tecniche gestionali, • di sperimentarle, • di attuarle diffusamente anche se prototipicamente, • di creare le competenze e le strumentazioni necessarie per una loro estesa applicazione.

Per quanto riguarda l’obiettivo formale (dare attuazione a norme giuridiche) lo stesso è stato solo parzialmente raggiunto, ma ciò è dipeso dal fatto che il suo raggiungimento non dipendeva solamente dal progetto stesso, ed in quanto non tutta la normativa è risultata oggettivamente attuabile (si pensi a quella che riguardava l’individuazione dei fabbisogni organici).C’è da rilevare peraltro, e la presente considerazione sarà comunque, una costante della mia ricostruzione, che gli obiettivi parzialmente raggiunti alla chiusura del progetto, si sono via via potuti raggiungere e consolidare successivamente, man mano che le condizioni maturavano anche grazie a quanto “seminato” dal progetto; per esempio ciò che non è stato possibile fare, per vincoli non

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dipendenti dalle amministrazioni, si è potuto realizzare, con maggior successo, minori resistenze e costi, non appena i vincoli sono stati tolti, proprio per l’enorme e buono dal punto di vista concettuale e strumentale lavoro fatto dal progetto.

L’obiettivo strumentale è stato …. cito testualmente dalla relazione del dr. Valentini:

“raggiunto in misura superiore a ogni più ottimistica previsione”.

L’obiettivo finale (maggior efficienza della PA) è stato raggiunto nella misura in cui si è potuto dimostrare che negli enti e nei settori in cui si sono potute applicare le NTG, si sono avuti i risultati ipotizzati.

Qui vorrei citare un esempio che può essere significativo di quanto il progetto ha messo in moto e consentito di realizzare:

dopo l’emanazione del D.lgs. n.29/93 per la parte relativa ai fabbisogni di personale, revisione degli organici e verifica dei carichi di lavoro, in Friuli Venezia Giulia, si è realizzato un progetto che ha visto la partecipazione di 92 comuni su 96 complessivi, realizzato tutto con le tecniche NTG da dipendenti pubblici, in provincia di Treviso su 82 comuni 79 hanno partecipato ad analogo progetto e in provincia di Belluno 61 su 66. nel 1996 tutte le aziende sanitarie del FVG hanno realizzato la riforma da USL a ASL, per la parte relativa alla revisione degli organici, mediante le tecniche NTG; anche in questo caso gran parte del lavoro è stato realizzato con le proprie strutture;

questi sono esempi che dimostrano come gli obiettivi solo ipotizzati nel 1990, si sono poi ottenuti, via via che se ne presentavano le occasioni.

Ovviamente tutti i surrichiamati progetti avevano un direttore scientifico e metodologico di assoluta sicurezza, il dr. Valentini.

Ma vediamo nel dettaglio i principali risultati del progetto FEPAIl sistema FEPAIl software FEPALa banca dati FEPAIl sistema incentivante FEPALa formazione e preparazione degli esperti FEPALa cultura innovativa FEPA

3. CONTENUTI

I principali dati. (ricavati da stime ad hoc per la relazione al Parlamento 1988 e dai dati a consuntivo)

Prima fase di ricerca e sperimentazione (dicembre ‘84 - ottobre ’87)

partecipanti46 amministrazioni253 unità di sperimentazione30 esperti con funzioni di promozione e coordinamento della ricerca e sperimentazione1.000 (circa) dirigenti e funzionari coinvolti

attività168.000 ore/uomo, complessive per studi, ricerche, sperimentazioni, seminari, riunioni2.500 ore/uomo complessive per attività di direzione e segreteria del progetto2.200 giornate di missioni

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Seconda fase di graduale e prototipica attuazione (novembre ‘87 - agosto ’89)

partecipanti413 amministrazioni1.030 unità di attuazione160 esperti docenti FEPA di 65 diverse amministrazioni11.000 (circa) dirigenti, funzionari e collaboratori coinvolti

attività148 seminari decentrati di addestramento302 giornate seminariali180.000 ore/uomo, complessive per partecipazioni a seminari e riunioni8.000 ore/uomo complessive per attività di direzione e segreteria del progetto17.000 giornate di missioni

Terza fase conclusiva del progetto (settembre ‘89 - marzo ’90)

partecipanti306 amministrazioni di cui sono stati approvati i progetti di fattibilità di circa 600 progetti

pilota600 unità di attuazione40 esperti docenti FEPA20.000 (circa) dirigenti e funzionari coinvolti

attività10 seminari decentrati 26 giornate seminariali13.000 ore/uomo, complessive per partecipazioni a seminari e riunioni2.000 ore/uomo complessive per attività di direzione e segreteria del progetto1.500 giornate di missioni

Costi (stimati sulla base del costo medio industriale)

Prima fase 2.000.000 di euroSeconda fase 3.000.000 di euroTerza fase 250.000 euroTOTALE 5.250.000 di euro

Ricavi (calcolati in base a valutazioni di mercato)

14.000.000 di euro

4. I VALORI del FEPA

• l’approccio sistemico del progetto• ha fatto diventare le tecniche NTG non solo e più uno strumento applicabile in quanto

oggettivo, ma strumenti per una nuova conoscenza della realtà gestionale della amministrazioni pubbliche locali.

• ha attivato un grande movimento verso l’esigenza di migliorare una grande e diffusa sensibilizzazione sul tema dell’efficienza, che grazie al FEPA non è più stato solo concetto guida del privato e di poche “elites di illuminati” nel pubblico.

• ha fatto diventare nella pa dove forte era il concetto di formalismo/individualismo, il concetto del confronto, del fare assieme, per dirlo con parole in voga fra i fepini “l’emulazione innovativa”.

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• ha trasformato una moltitudine di aspiranti medici o “medici improvvisati” come un autorevole accademico aveva definito i decenti FEPA nel lontano 1985, in una serie di ottimi medici, per usare la parole del dr. Valentini, che certamente li conosceva meglio di chiunque altro, creando non solo una nuova figura professionale di “esperto di organizzazione” pubblico, ma garantendo in tal modo anche la possibilità di una trasmissione delle nuove conoscenze di cui sopra.

• ha insegnato che l’impegno e la responsabilizzazione “pagano” e possono, anzi, devono essere i valori su cui si fonda una moderna burocrazia.

• ha introdotto e legittimato la “cultura manageriale” all’interno della p.a., come terzo polo tra la “cultura politica” e la “cultura dell’atto”.

Si sono utilizzati strumenti già noti ma che, per la prima volta, sono stati “tagliati” su misura della p.a. ed altri nuovi definiti ad hoc. Tale attività è stata fatta, ed anche qui è la prima volta, direttamente dagli operatori della p. a.

Si è unito un estremo rigore metodologico-teorico ad una sperimentazione che pur partendo dalla volontarietà si è via via imposta come un metodo

Si è fatto come si direbbe oggi “sistema”.

C’era una visione iniziale estremamente forte, ma soprattutto già completa seppur “in nuce” degli elementi base del progetto; non si spiega altrimenti come una delle esperienze più complesse, articolate e durature della p. a. si sia potuta fare.

Come tutte le innovazioni un gruppo leader motivato e presente e soprattutto un ideatore dotato di una tenacia pari solo allo smisurato “amore” per il suo paese e i suoi fepini, (se posso permettermi il dr. Valentini sapeva che non potevamo fallire, perché gli altri (chi non voleva e vuole tuttora che la p. a. funzioni) ci avrebbero derisi (eccoli là gli innovatori, ecco là chi voleva cambiare il mondo) e quindi li ha tenuti sotto tiro, li ha messi sotto pressione ma non per “dispotismo” ma per emanciparli, per farli riuscire.

Completo sono stati toccati tutti i campi anche marketing, ricerca, (es. apple italia)

Segno del grandissimo potenziale della p.a. e della possibilità di garantire capacità progettuali e realizzative non solo a livello nazionale ama anche intercomparto. (Un insieme di fannulloni non avrebbe potuto realizzare tutto ciò che ho illustrato nei punti precedenti).

Per me, ma penso anche per gli altri “fepini”, è stato anche un momento di crescita personale in quanto, pian piano, all’entusiasmo, al fare, si è unito un riflettere sull’esperienza fatta consentendo l’estrapolazione di un metodo che mi da lì sempre accompagnato nella vita professionale.

Altra considerazione della bontà del progetto è che si è riusciti a passare dalla finalità di realizzare strumenti ottimali gestionali a quella di realizzare un insieme di strumenti con i quali responsabilizzare i soggetti/attori al fine di un reale cambiamento.

Tale evoluzione del progetto FEPA è stata tanto più importante, dato che la stabilità del posto di lavoro, leggasi sicurezza e l’affrancarsi dal lavoro come mero elemento di sussistenza, ha messo in moto, quali agenti del cambiamento, gli aspetti psicologici, tra i quali appunto la motivazione, la condivisione, ma soprattutto la responsabilizzazione.

Ringrazio tutti i presenti per l’attenzione.

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Professore Vittorio Cecconi(Università di Palermo)

Buona sera signore e signori.

Rivolgo un sentito ringraziamento agli organizzatori del convegno per avermi consentito di poter prendere parte ai Vostri lavori.

Devo preliminarmente chiedere scusa, in un certo senso, di essere qui fra Voi come un alieno. Non appartengo infatti alla vostra categoria, appartengo ad una categoria diversa, in termini di cultura, di esperienza, di apporto rispetto alla tematica del convegno. Alla fine del mio intervento cercherò di dimostrare come questa diversità sia oggetto di piena convergenza, seppur le provenienze culturali siano appunto di natura distinta.

E’ doveroso pertanto che preliminarmente io mi presenti ai molti di Voi che non ho il piacere di conoscere.

Per parafrasare la presentazione che il dottor Emidio Valentini fa nel suo libro della mia persona, Vi dico che io sono un elettricista, un tecnico che si occupa di elettricità. Però questo non basta per giustificare la mia presenza qui. Occorre aggiungere che, se mi sono sempre occupato di elettricità, l’ho fatto con uno sforzo costantemente esercitato nella mia vita, certamente non riuscito in pieno ma soltanto forse molto parzialmente, rivolto a guardare, accanto ai fili elettrici, cosa esiste al di fuori di essi e come i fili elettrici influenzino la nostra vita e quindi la nostra società.

Io non sono certamente in grado di presentare il libro di Emidio Valentini, che nel tempo mi sono centellinato tutto perché l’ho gustato tutto come ho avuto occasione di scrivergli. In compenso però sono un grande estimatore della persona di Valentini e un grande ammiratore del risultato di questo suo sforzo che si è concretizzato nel libro.

Un commento vorrei fare sul titolo del libro: la citazione alla prima Repubblica mi è sembrata da una parte coraggiosa, da un’altra parte profondamente onesta, perché non è fatta né con atteggiamento nostalgico né con atteggiamento censorio. E’ fatta con un atteggiamento di pura analisi di determinati eventi e delle azioni di determinati personaggi che l’autore descrive, per dare un valore assoluto a ciò che di buono è stato fatto, indipendentemente da quelli che possono essere atteggiamenti parapolitici spesso assunti da molti intorno a tale dizione. Dato che il conformismo, in questa nostra Nazione, molto spesso ci pervade, l’ho trovato un atto di coraggio, naturalmente dettato dall’intelligenza di Emidio Valentini. Ma questo è solo un commento sul titolo.

Per quanto riguarda il contenuto del libro, dicevo, non sono in grado di poterlo presentare, anche se Emidio Valentini ha voluto nel programma inserirmi nel novero di quelle persone che secondo lui potrebbero presentarlo. Io dico che è stato il suo affetto nei miei confronti che mi ha fatto figurare come tale, e io sono qua per affetto nei suoi confronti oltre che per interesse ai lavori del convegno.

Nel suo libro Emidio Valentini ad un certo punto parla di un personaggio, credo forse a nessuno di Voi noto se non al prof. Agostino La Bella, che portava il nome di Beppe Biorci: è stato Vice Presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche, ho avuto l’onore di lavorare al suo fianco per lunghi e intensi anni, come Agostino La bella, e di apprezzare questa persona. Ho grande piacere che Emidio Valentini l’abbia richiamato, perché a mio avviso non abbiamo commemorato degnamente la sua figura dopo la sua scomparsa. Chissà se un giorno non riusciremo a farlo, noi vecchi suoi amici.

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Emidio Valentini di questo personaggio scrive, parlando del mondo della ricerca scientifica che mi è proprio, che ogni tanto lo incontrava in qualche trattoria, accanto al CNR, insieme a Rinaldi e a Cecconi. A proposito Vi preannuncio che il prof. Rinaldi, per chi non lo conoscesse o non ne avesse notizia, domani sarà qui fra di voi. Io questa sera me ne devo andare, mi duole non poterlo incontrare. Emidio Valentini aggiunge nel libro: “Facevo fatica a inserirmi con la mia cultura, aziendale amministrativistica, fra i tre – nel libro c’è scritto colti, va beh, magari due sì – ingegneri”. Io vorrei ripetere mutuandole queste stesse parole: faccio fatica ad inserirmi, con la mia natura culturale tecnologica, nel Vostro contesto e nel Vostro mondo culturale aziendal-amministrativistico, ma ci tento lo stesso. In definitiva ho una pretesa: non sapendo presentare il libro, Emidio Te ne chiedo scusa, vorrei inserirmi, in termini di merito, con un solo spunto nella vostra discussione, nella vostra cultura, partendo dalla mia ottica che è diversa. Pertanto voglio cogliere l’occasione per entrare, da alieno, nella discussione che con molto interesse ho ascoltato questa mattina e rispetto ai fatti che sono stati descritti questa mattina.

Tutte queste mie parole fino adesso hanno costituito una premessa, vediamo di arrivare alla sostanza, se ce n’è un po’.

Ormai da più di 25, 30 anni mi occupo di Norme Tecniche, e allora devo cominciare col dire che quando noi tecnici parliamo di Norme Tecniche non intendiamo quelle che intendete Voi. Ma non a caso, perché c’è un Decreto Legislativo Italiano che recepisce una Direttiva europea, il cui contenuto era stato prima oggetto di una Risoluzione della Comunità Economica Europea del maggio dell’85, la quale stabilisce che in determinati ampi ambiti per Norma Tecnica si deve intendere una prescrizione tecnica ad applicazione volontaria. Quindi tutto l’opposto di quello che, nel linguaggio corrente e giuridico tradizionale si intende. Questa distinzione la devo fare perché se no farei confusione tra il mio lessico e il vostro, mentre io al lessico assegno non poca importanza. Emidio Valentini lo sa, il problema del lessico, ci ritornerò alla fine, ci ha visti confrontare dialetticamente anche in modo molto vivace, ma poi alla fine abbiamo trovato sempre una sintesi. Dicevo che mi sono occupato da tanto tempo di Norme Tecniche e continuo ad occuparmene, operativamente sono sul campo ancora oggi. Mi sono occupato e mi occupo delle Norme Tecniche dei prodotti, degli impianti, dei servizi, ma anche delle Norme Tecniche dei sistemi, che sono quelle che secondo me interessano questo convegno.

Voi avete parlato e state parlando di Sistemi di gestione, rispetto cui il mio punto di vista è stato quello, citato stamattina dal dottor Mareschi, del mondo privato, che ha definito le Norme Tecniche sui sistemi di gestione per la qualità.

Devo dire che non è stato solo il mondo privato a produrle, perché, per esempio, la concezione e la codificazione del modo come si possono dare strumenti per attuare Sistemi di gestione per la qualità hanno origini che sono state prima militari, poi è intervenuto il mondo nucleare, poi ancora il mondo aerospaziale, solo dopo sono intervenute le aziende manifatturiere.

Oggi le Norme Tecniche relative a carattere mondiale si sono diffuse e si diffondono molto in qualunque organizzazione, evidentemente anche in quella della Pubblica Amministrazione. E allora già cominciano, con queste poche parole, a vedere il fatto che io, partendo da punti di vista molto distanti da quelli dai quali siete partiti quasi tutti Voi, pongo attenzione ad alcune cose comuni.

Il mio riferimento operativo è banalmente a esempio la Norma Tecnica UNI EN ISO 9001, con le altre norme della serie di supporto a questa, ma è anche la Norma Tecnica sui sistemi di gestione ambientale ISO 14001, è la Norma Tecnica 18001 del British Standard Institute sulla salvaguardia della sicurezza e salute dei lavoratori, cosa di cui anche Voi nella sostanza Vi occupate perché fa parte del Sistema di gestione nel suo complesso. Faccio quindi riferimento a questo mondo che è stato codificato a livello internazionale.

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Questo mondo si è sviluppato, ha trovato puntualizzazioni che si sono aggiornate nel tempo. Gli ultimi aggiornamenti risalgono: per i Sistemi di gestione per la qualità al 2000, per i sistemi di gestione ambientale al 2002/2003. Sono oggi di nuovo in fase di revisione per degli ulteriori aggiornamenti dovuti all’evoluzione attuale del pensiero, della tecnica e della cultura. Occupandomi di queste cose, ho posto attenzione all’applicazione di questi criteri alla Pubblica Amministrazione. Anche perché, per un segmento molto particolare, anch’io sono un pubblico amministratore, dipendo dallo Stato e lo Stato mi dà lo stipendio per gestire per suo conto alcune piccole cose. Grazie all’amicizia che con Emidio Valentini ho maturato e coltivato in lunghi anni parlando di ricerca scientifica – quei riferimenti che fa anche alla mia persona nel suo libro provengono da quei momenti, da quegli incontri – abbiamo potuto parlare dei Sistemi di gestione nell’ambito della Pubblica Amministrazione. La prima cosa che è emersa in questi incontri, fra due culture di origine diversa, è stato quell’apparente scontro dialettico dimostratosi confronto di cui ho fatto cenno, fino a quando non ci siamo accorti che la divergenza era dovuta ad una banalità, al lessico: abbiamo un lessico diverso. Questa è una banalità seppure sia degna di nota, infatti dobbiamo cercare di superare la diversità per dare forza alle culture, di diversa origine, che convergono, ma soprattutto per dare riconoscibilità ai metodi e ai sistemi di gestione, altrimenti questi possono essere poco apprezzati.

Come detto sono portatore di una cultura che nasce in ambito tecnologico, che guarda ai Sistemi di gestione per la qualità, per l’ambiente, per la sicurezza e la salvaguardia della salute dei lavoratori. Però mi sono trovato, pur attraverso le già richiamate lunghe discussioni, anche passeggiando per le strade di Maracaibo dove sono stato ospite di Valentini con sommo mio gradimento, a riscontrare come tanti concetti, maturati in ambiti diversi e indipendentemente, sono assolutamente convergenti se non addirittura coincidenti.

Questa mattina io ho avuto delle riprove molto concrete, nel sentire gli interventi che si sono sviluppati, della coincidenza concettuale delle visioni di queste due culture nate in ambito diverso, ma che poi si trovano e sempre più si dovranno trovare ad assimilarsi tra di loro. Mi sono annotato qui qualcosa, proprio mentre sentivo alcuni degli oratori stamattina. Si diceva per esempio che la cultura deve venire prima degli strumenti tecnici. Nessuno più di me può plaudire a un’affermazione, a un concetto di questo genere, che, Vi posso assolutamente garantire, sta nell’ambito della visione dei Sistemi di gestione per la qualità, così come concepiti a livello internazionale, non solo nella Norma Tecnica di riferimento ma anche nelle altre elaborazioni di cui la Norma Tecnica UNI EN ISO 9001 è la prima basilare espressione (modelli di eccellenza, modelli etici etc). Pongo innanzitutto il problema della cultura dei Sistemi di gestione rispetto a quelli che poi possono essere gli strumenti con cui questi sistemi possono essere implementati, di fatto. Sentivo parlare dello scostamento nel tempo tra crescenti livelli di qualità la quale può anche partire da livelli modesti. Giusto ovviamente, ma è importante la misura, la valutazione dello scostamento per valutare e determinare il miglioramento. Nell’ambito della Norma Tecnica si parla di miglioramento continuo e si contempla in modo assolutamente certo che in un Sistema di gestione per la qualità possano prefigurarsi diversi livelli di qualità del prodotto. Il prodotto può essere una pratica amministrativa, può essere un paio di scarpe, può essere un servizio, e il relativo livello di qualità può essere inizialmente anche basso. Il Sistema di gestione per la qualità, a esempio della Norma Tecnica UNI EN ISO 9001, garantisce che questo livello venga raggiunto e venga costantemente raggiunto, salvo poi imporne il miglioramento continuo anno dopo anno.

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C’è una piccola barzelletta che si racconta negli ambiti che io frequento. Si parte dal concetto che la qualità di un prodotto definisce il livello qualitativo di quel prodotto mentre il Sistema di gestione per la qualità non garantisce sempre un alto livello di qualità ma ne garantisce la costanza . Tant’è che una volta alcuni tecnici di una grande azienda costruttrice di automobili italiane sono andati in Giappone a vedere come la Mitsubishi aveva implementato il proprio Sistema di gestione per la qualità. Alla fine della catena di montaggio per ogni automobile si prendeva un gatto, lo si chiudeva dentro e si andava via. Gli italiani un po’ perplessi e intimiditi, non sapendo cosa potesse significare questo gatto chiuso dentro un’automobile, solo nell’ultimo giorno, consultandosi tra loro: “prima di andarcene, dobbiamo sapere di che si tratta.” si sono decisi a chiedere spiegazioni. I giapponesi hanno risposto: “L’operazione è contemplata nel nostro Sistema di gestione per la qualità. Se l’indomani mattina il gatto è ancora vivo, la tenuta dell’automobile non è buona, se è morto asfissiato la tenuta è buona.” Il Sistema di gestione per la qualità aveva fissato quel livello di qualità per il prodotto e la verifica veniva fatta attraverso il gatto. Dopo un po’ di mesi alcuni americani costruttori di automobili provenienti da Detroit vanno a visitare la casa costruttrice di automobili italiana e vedono applicata la procedura del gatto. Gli americani, sapete, sono spontanei e immediati. Già nella prima sera del soggiono di visita hanno chiesto: “Ma insomma, cos’è questo gatto?”. “Fa parte del nostro Sistema di gestione per la qualità”, rispondono gli italiani. L’indomani mattina se il gatto è ancora lì la tenuta è ritenuta buona, se è scappato non è buona”. In sostanza la differenza non stava nella procedura del Sistema di gestione per la qualità, perché veniva data la stessa prescrizione operativa e le modalità di verifica erano seguite pedissequamente in modo uguale sia in Giappone che in Italia. Il livello della qualità del prodotto era stato fissato in modo diverso, evidentemente.

Stamattina è stato detto che si può partire da un livello comunque basso. Mi sono detto ancora una volta, ma guarda un po’, è la stessa cosa dei Sistemi di gestione qualità di provenienza tecnologica, di provenienza del mio ambito. Ho sentito parlare ancora di efficienza e di efficacia, e devo dire che ho constatato con piacere che non è stata aggiunta economicità come è aggiunta in alcune leggi che hanno riguardato la Pubblica Amministrazione in anni addietro. Ciò in quanto l’economicità sta dentro l’efficienza. Non è un parametro in più, il concetto delle 3 E deve essere superato. E stamattina si è data dimostrazione che le due culture hanno già prodotto un avvicinamento anche lessicale in quanto, come già detto, ho sentito dalle esposizioni che sono state fatte che non veniva presa in considerazione esplicitamente l’economicità, perché era presa in considerazione implicitamente nel concetto di efficienza.

Sono assolutamente certo, per constatazione diretta e per la frequentazione che la fortuna mi ha dato della persona di Emidio Valentini oltre che per quel che ho sentito questa mattina in questo convegno, che nel complesso stiamo parlando della stessa identica cosa.

Resta ancora in parte il problema della permanenza di diversità nel lessico. A esempio quello che veniva chiamato stamattina “scostamento” si chiama “miglioramento continuo”. La stessa definizione di efficienza che ho letto in un dispositivo legislativo che riguarda la mia attività universitaria è un tantinello diversa: nulla di male. L’inconveniente è facilmente superabile in quanto i concetti sono gli stessi.

Allora io dico: non vale la pena che Voi, avendo fatto parte di questo grossissimo progetto che si chiama FEPA (avete inventato pure i “fepini” per indicare gli aderenti a questa sorta di circolo, ciò che è bello perché dà l’idea del circolo culturale non tanto del circolo operativo) facciate uno sforzo (per quel che posso sono disponibile a collaborare con le mie piccole capacità di intervento e di operatività) affinché questo problema della difficoltà nella comunicazione, difficoltà dovuta al lessico diverso che limita la capacità di comunicazione, possa essere gradualmente superato? Io mi permetto di dirVi che spesso i Vostri sforzi e la bontà di quello che Voi avete fatto (ho sentito quello che è stato fatto nel Friuli: è eccezionale, con una raccolta di un numero quasi del 100% dei Comuni di una data provincia, delle Comunità Montane di un complesso territoriale ampio, eccetera) e quello che state continuando a fare non vengono sempre ben capiti. Perché questo? Siete delle mosche bianche? Stamattina mi è sembrato di no, siete un manipolo forte ma con idee e prassi assolutamente chiare.

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Peraltro cosa dobbiamo dire dei pubblici amministratori i quali magari non possono essere iscritti al circolo dei “fepini”, ma stanno implementando, hanno già implementato, persino con delle certificazioni di parte terza, privata e accreditata, i Sistemi di gestione per la qualità UNI EN ISO 9001? Stamattina ho sentito dire, mi pare fosse il dirigente di Monza se non ricordo male, che era stata a Palermo, la mia città, e ricordava un incontro con il sindaco Leoluca Orlando, il quale gli diceva: “Io non so bene di che cosa si tratta, parla prima tu e poi io ti vengo appresso.” o riconosco Leoluca Orlando, persona di grandissima intelligenza e di grandissime capacità, ma il fatto denuncia una ridotta se non una mancata comunicazione e riconoscibilità reciproca. Adesso il Direttore del Comune di Palermo (è un caro amico che si è laureato con me per cui anche lui è un tecnologo) è impegnato a introdurre nella struttura comunale prassi e orientamenti propri delle Norme Tecniche UNI EN ISO 9000 dopo aver fatto certificare la corretta applicazione di queste Norme Tecniche nelle diverse aziende di servizi comunali, che ora sono private (si fa per dire private, sappiamo queste storie). Signori, stiamo parlando di Vostri colleghi. Siete diversi? No. Avete nella sostanza assunto indirizzi diversi? No. Voi avete fatto delle cose illuminate anzitempo, le avete anche, in un certo senso, concepite e codificate autarchicamente in termini forse troppo prematuri (è stato detto stamattina). Mi sembra di avere anch’io questo convincimento, ma il mondo cammina e quel che è stato fatto a suo tempo lascia una traccia.

Questa traccia è estremamente significativa, anche in chi non si rivolge specificatamente al progetto FEPA, quindi all’NTG che è il sistema messo a punto da Valentini. Io non conosco il progetto FEPA, ma conosco NTG e da lì le discussioni che non finivano più con Emidio Valentini. Siccome l’uno è derivato dall’altro, mi permetto parlare di ambedue. Siamo di fronte allo stesso problema, alla stessa impostazione per la risoluzione di questo problema, è il problema della gestione.

Guardiamo adesso il problema della gestione fatta in trasparenza, ecco il titolo di questo convegno, avendo cura della efficienza e della funzionalità (funzionalità che noi chiamiamo efficacia). E’ strabiliante la coincidenza concettuale tra il Sistema NTG definito da Valentini grazie alle esperienze maturate anche con Voi e il Sistema di gestione per la qualità delle Norme Tecniche UNI EN ISO 9000. Oggi lo stesso Valentini si è peraltro impegnato a tradurre il lessico dell’un sistema in quello dell’altro.

Avendovi chiesto scusa di essermi presentato a Voi come alieno, perché avete capito lo sono rispetto alla vostra cultura, ma provenendo da un ambito dal quale si possono derivare alcune indicazioni che possono essere stimolo di riflessione comune, ne formulo una che continua la tradizionale discussione con Valentini sul lessico. Trasparenza, è nel titolo del convegno, che significa? Chi l’ha definita? Chi l’ha diffusa? Forse Krusciof o forse di più Gorbaciof? Varrebbe la pena orientarsi fra le molteplici definizioni e citazioni trovate nei siti Web dallo stesso Emidio Valentini così come stamattina ci ha riferito. Varrebbe la pena fare una riflessione su questa molteplicità e cercare di definire detta parola applicata alcampo di interesse. E’ infatti importante, nella gestione della Pubblica Amministrazione, sapere esattamente cos’è la trasparenza, anche perché, l’avete detto voi e le Norme Tecniche alle quali faccio riferimento lo codificano, bisogna misurarla. Per misurare una cosa bisogna definirla, perché se no la misura non viene fuori, la misura è un numero, è un grado, è un livello. Allora la definizione è indispensabile.

La definizione e quindi la possibilità della misurazione della trasparenza consentirebbero poi di fare la valutazione di scostamento per usare il Vostro lessico o del miglioramento continuo per usare il lessico al quale io faccio riferimento. Da questa definizione poi potremmo tutti passare alle fasi successive di omogeneizzazione dei sistemi ai quali facciamo riferimento.Certamente stamattina, pensavo, trasparenza è limpidezza. La metafora dell’acqua sporca la dice lunga: se l’acqua non è limpida non è trasparente, nel significato tradizionale e corrente della lingua italiana, non russo. Ma trasparenza è anche conoscenza, è anche utilizzo dell’informazione non a usi più o meno personali (non voglio dire privatistici) di dominio nell’esercizio del potere nelle funzioni pubbliche. Ma è anche comunicazione con gli altri: nelle Norme Tecniche si parla di evidenza, per dire che tutti i concetti devono essere scritti e portati a conoscenza di tutti. Forse l’evidenza c’entra con la trasparenza. Avremo occasione, in qualche passeggiata o successivi incontri di diversa natura, di discutere anche su questo.

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Chiudo facendo un ultimo riferimento al Tuo libro, Emidio. Tu in un punto citi Guarino, il professore Guarino. Il quale Ti ha risposto, forse l’unica frase che riporti nel libro con senso un tantinello ironico: “Ma perché tutto questo se ci sono le leggi? Basta rispettarle. Non c’è bisogno di altro.” Assolutamente no, questa visione è sbagliata o perlomeno è fortemente riduttiva. I codici etici, le Norme Tecniche ad applicazione volontaria, quelle di cui Vi parlo io, quelle di cui si dà peraltro definizione nel già richiamato Decreto Legislativo Italiano - quindi con valore legale - hanno un valore enorme in aggiunta alle prescrizioni cogenti.

Guardate che l’Europa Unita si è fatta anche poggiandosi sulle Norme Tecniche, quelle volontarie, innanzi tutto per la liberalizzazione del mercato.

Quando è stato fatto, nel ’57, il Trattato di Roma, usciti dalle sale nelle quali era stato firmato ci si è accorti che avere abbattuto le dogane non aveva per nulla fatto il mercato unico, perché si era creata da parte dei Paesi più forti una sorta di protezionismo dell’industria nazionale attraverso le Norme Tecniche, quelle volontarie nazionali. C’è stato un lunghissimo processo, allora si è parlato di armonizzazione delle Norme Tecniche di tutti i Paesi componenti la Comunità Economica Europea, fino ad arrivare al maggio del 1985 (è una data secondo me storica). In quel momento si viveva la trasformazione della Comunità Economica Europea in Comunità Europea, superando così la limitatezza della sola caratteristica economica della Comunità. Allora è stato introdotto il lessico delle Norme Tecniche e delle Regole Tecniche, le prime ad applicazione volontaria e le seconde cogenti.

Introdotta la nouvelle approche, il nuovo approccio, le Direttive europee del nuovo approccio, che ora da novembre hanno cambiato pure nome e anche un tantinello valore giuridico (a esempio non devono essere più recepite), a partire da quella data, che è stata fondamentale, dopo circa due anni è stato introdotto il cosiddetto approccio globale, che comprende anche il Sistema delle verifiche di conformità. Ebbene, le verifiche di conformità sono sviluppate attraverso le misure e sono le attestazioni formali per poter conseguire non solo l’autovalutazione (l’autovalutazione è fondamentale per crescere all’interno) ma anche da parte terza la certificazione di conformità. L’autovalutzione è fondamentale per crescere all’interno, ma un sistema che è autoreferenziale non ce la fa a sostenere a lungo il confronto sul mercato e ad essere sereni e oggettivi. Alla lunga si ha bisogno del referente esterno. Sapete, questo è un problema delicato anche nel mio ambito. Dobbiamo a esempio certificare un laboratorio universitario, un corso di laurea universitaria. Come? Un signore con la sua attività privata viene da me e mi deve dire come devo organizzare la mia ricerca scientifica? il mio laboratorio universitario? Si, ma questo secondo la presunzione corrente del professore universitario tradizionale è scomodo e mal tollerato. Il professore, per eccellenza, sa come si fa la ricerca scientifica e, come sapete bene, non sbaglia mai, non invecchia mai, è quello che va in pensione dopo tutti quanti gli altri e via di seguito. Quindi il professore universitario è restio a “subire” una valutazione che lo riguarda da parte di soggetti terzi soltanto accreditati per svolgere queste valutazioni. Conosco bene questa problematica, che certamente sussiste anche nella Pubblica Amministrazione. Una volta Emidio Valentini mi ha chiamato a tenere qualche lezioncina ai Ragionieri dei Ministeri, non i banali diplomati in ragionieria. Ho dovuto procedere con un certo garbo perché parlavo di queste cose e non ho potuto dire subito agli astanti: “Individuate qual è il vostro cliente e qual è il vostro fornitore.” Avrei urtato la loro suscettibilità. Ma tutti nel nostro lavoro abbiamo uno o più clienti, tutti abbiamo uno o più fornitori.

A questa logica ci dobbiamo approcciare, anche in termini lessicali omogenei. Non è disonorevole, non è degradante, anzi è nobilitante perché giustifica e dà valore al nostro lavoro. Ecco che nasce l’etica. Perché quando uno definisce chi è il suo cliente, si è definita l’etica proprio perché si risponde all’etica e alla domanda del cliente. Allora con ciò, scusate se forse mi sono dilungato un tantinello troppo per essere un alieno, ma Vi ho voluto soltanto, ritorno a dire, rappresentare un’ottica che sembra diversa da quella Vostra, ma che Vi assicuro è rivolta alla stessa identica cosa. Questo è il risultato di una riflessione non solo di qualche giorno, né di qualche settimana, né di qualche mese, ma di molti anni. Merita, questa situazione, che si vada avanti. Complessivamente non posso che plaudire all’iniziativa del mio caro amico Emidio Valentini, di fare il punto della situazione, oggi, di ciò che è derivato dal progetto FEPA, perché questa valutazione non è fine a sè stessa ma è per individuare il passo successivo da sviluppare. Vi vorrei proporre, nel passo successivo, di inserirVi nella visione della normativa internazionale perché su questa siamo bene o male, prima o poi, costretti a confrontarci, a rapportarci.

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Molte Amministrazioni Pubbliche si stanno facendo certificare da parte di enti terzi, privati, accreditati dal SINCERT, che è un’organizzazione autonoma ma riconosciuta, privata anch’essa, il cui controllo viene fatto a livello internazionale con le ispezioni reciproche tra i diversi enti nazionali di accreditamento. Per guardare alla bontà del Vostro lavoro, perché si possa andare avanti in termini di estensione al Vostro interno, a questi meccanismi si deve ricorrere. Voi avete parlato di imitazione virtuosa: bene ma se una cosa non è riconoscibile viene imitata virtuosamente con minore interesse, minore stimolo e minore intensità. Il Vostro illuminato orientamento non avrebbe diversamente il riconoscimento e lo sviluppo che merita.

Allora è importantissimo che, per quel che Voi avete fatto, quel che Voi state facendo, quel che Voi vi proponete di fare, tutto questo venga fatto in maniera tale che sia riconoscibile. Per essere riconoscibile, a mio modesto avviso, lo si deve inserire in una visione che ormai è quella internazionale. Quando parlo di visione internazionale. non lo dico a caso, perché non è solo l’Europa, è anche il WTO, il World Trade Organisation, con gli accordi firmati a Marrakesh nel 1994. Il modello di riferimento è stato quello dell’Europa.

Non dimentichiamoci per altro che il WTO ha avuto come Direttore un eccezionale italiano, il Ministro Ruggiero, che è stato Ministro per molto poco, forse perché eccezionale, ma questo è un altro discorso.

Spero aver giustificato ai Vostri occhi il mio modesto punto di vista e il mio ardire: Voi andate avanti, state facendo delle cose meravigliose, fatele in maniera tale che siano riconoscibili. Per questo inseriteVi anche nel lessico, anche nel meccanismo di riconoscimento (verifica della conformità) internazionale.

Vi ringrazio dell’attenzione, siete stati molto cortesi.

Dott. Giuseppantonio Fimmanò(Dirigente Presidenza Consiglio dei Ministri)

L’evoluzione della normativa a partire dal 1990 e suo stato di applicazione

Premessa.

Il progetto FEPA del D.F.P. - nato nel dicembre del 1985, sulla spinta del ”Rapporto sullo stato della P.A.” di M.S. Giannini del 1978 - costituisce la prima e, fino ad ora, unica iniziativa ad approccio sistematico sperimentata all’interno della pubblica amministrazione.

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Con essa si mirava a creare nella P.A. un nuovo modello organizzativo dei pubblici uffici facendo leva sulle innovazioni istituzionali, sulle tecnologie informatiche, sulla introduzione di nuove tecniche gestionali, tipiche del settore privatistico, e sulla diffusione della cultura dell’innovazione. ( Quadrilatero dell’Innovazione)

La semplificazione dei processi decisionali, la sperimentazione dell’organizzazione del lavoro per obiettivi, l’introduzione della contabilità analitica e del controllo di gestione, per perseguire la funzionalità, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa, erano infatti le direttrici sulle quali il FEPA si muoveva.

A distanza di quasi 17 anni dalla sua conclusione, scoprire oggi l’attualità di quella esperienza è una cosa che fa certamente piacere a chi, come me, l’ha vissuta direttamente. Ciò sta dimostrare come, indipendentemente da quelli che sono stati gli esiti della sua conclusione - che ha lasciato l’amaro in bocca a tutti coloro che vi hanno partecipato - gli obiettivi che con esso ci si proponeva di perseguire sono ancora da realizzare e sempre al centro dell’attenzione di chi ci governa.

Nessuno può negare, infatti, l’originalità del FEPA, sia per il suo approccio metodologico, a carattere induttivo, sia per le sue caratteristiche sperimentali e la sua organizzazione.

Il dr. Valentini che ne è stato l’ideatore e l’artefice principale ha avuto anche il grande merito e la lungimiranza di avere intuito come il solo modo per riorganizzare la P.A fosse quello di coinvolgere i dipendenti pubblici più motivati, più disponibili e più aperti al nuovo, che hanno anche la possibilità e la capacità di conoscere dall’interno le procedure ed i problemi che travagliano i processi decisionali.

Certamente nessuno di noi è così presuntuoso di pensare che la soluzione dei problemi che attanagliano la P.A. possa essere trovata senza il contributo del mondo scientifico e/o di esperti in organizzazione esterni alle amministrazioni pubbliche; il cui apporto è necessario ma non sufficiente.

Tuttavia siamo altrettanto sicuri che il loro contributo da solo non basta a dare efficienza ai pubblici uffici, né tanto meno si possono ipotizzare soluzioni tipo l’acquisto di progetti “chiavi in mano” che, per quanto perfetti sulla carta , spesso sono destinati a fallire per crisi di rigetto.

L’esperienza del FEPA, che ha coinvolto migliaia di operatori pubblici provenienti da tutte le diverse realtà amministrative (circa 10.000), ha dimostrato chiaramente che la P.A. possiede già le risorse professionali sulle quali fare leva, qualora si voglia procedere al rinnovamento organizzativo e funzionale dei pubblici uffici, e che il solo modo per creare le condizioni ed il clima necessari a favorire la diffusione di nuovi modelli organizzativi, impostati non più sul rispetto degli adempimenti ma sull’efficienza, sull’efficacia e sull’economicità dell’azione amministrativa, è quello di partire dal suo interno.

I “fepini”, infatti, non erano dei visionari e neanche dei medici improvvisati, come qualche accademico ebbe a definirli nel corso di un dibattito al CNEL nel 1988, ma persone capaci e disponibili che, avendo creduto nella bontà del progetto, avevano deciso di mettere al servizio della propria amministrazione - a volte anche con sacrifici personali - la loro professionalità e la loro esperienza.

Nonostante la conclusione, un pò sotto tono, del progetto, a tutti i “fepini” sono rimasti, comunque, l’orgoglio di avere partecipato ad una esperienza unica e forse irripetibile nella storia della P.A., e la consapevolezza che oggi nell’era della globalizzazione, in cui tanto si dibatte sulle scelte strategiche che le moderne democrazie sono tenute a fare, per non essere tagliate fuori dal mercato, la realizzazione del progetto FEPA avrebbe consentito senz’altro al nostro Paese di trovarsi in posizione più vantaggiosa per vincere la concorrenza degli altri paesi.

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Invece, il problema dell’ammodernamento della P.A. è ancora aperto e questa battaglia si può vincere soltanto se si dispone di un apparato amministrativo pubblico capace di rispondere con tempestività alle richieste di servizi da parte della società civile.

E sebbene tutti noi siamo convinti che non corrisponde al vero il luogo comune secondo il quale tutti i mali di cui soffre l’Italia siano da addebitare al cattivo funzionamento della P.A., non va comunque dimenticato che le lentezze dell’apparato burocratico, che sono reali, costituiscono un freno allo sviluppo.

Sappiamo tutti che nella P.A. vi sono esempi di efficienza produttiva, ma non possiamo negare che i ritardi, a volte pesanti, dell’azione amministrativa rappresentano un lusso che il Paese non potrà permettersi ancora per lungo tempo, senza correre il rischio di occupare posizioni di retroguardia. E questo ci pone l’obbligo ulteriore di domandarci quale futuro vogliamo lasciare ai nostri figli

La normativa

Nella storia della P.A., gli anni 90 sono stati caratterizzati da un serie di normative che in un modo o nell’altro hanno creato e creano tutt’ora i presupposti per l’avvio di processi di riorganizzazione nei pubblici uffici.

Con questo non si vuol dire che prima di allora non vi siano stati tentativi di riforma degli apparti amministrativi pubblici ma che, se si eccettua lo studio fatto dal ministro Giannini nel 1978 nel suo breve periodo di permanenza al D.F.P., riesce difficile trovare esempi di approccio sistemico al problema del rinnovo della P.A..

Soltanto a partire dagli anni 90, infatti, si è incominciato a vedere in modo unitario tutti questi problemi, e precisamente dalla legge 421/92, con la quale veniva data la delega al Governo per la emanazione di una serie di decreti legislativi che ancora oggi, seppur modificati e/o integrati in qualche loro parte costituiscono le basi dalle quali si deve necessariamente partire, se si vuole riprendere la strada della modernizzazione della P.A.. Senza avere la pretesa di fornire un quadro esaustivo di tutte le novità normative che hanno caratterizzato gli anni 90, per il quale occorrerebbe la disponibilità di tempi molto più lunghi di quelli concessi dagli organizzatori del Convegno, ma soltanto per citare le novità più rilevanti introdotte in quegli anni, pare opportuno soffermarsi brevemente sui principali provvedimenti.

In ordine temporale credo che bisogna partire dalla legge 142/90 sull’”Ordinamento delle autonomie locali”, con la quale si è inteso disciplinare in modo nuovo l’assetto organizzativo ed il funzionamento degli enti locali, prevedendo, fra l’altro, lo statuto e l’organizzazione degli uffici in base a criteri di autonomia, funzionalità ed efficienza di gestione, secondo principi di professionalità e responsabilità.

Con essa poi è stato anche previsto il difensore civico e garantito, qualche mese prima della emanazione della legge 241, l’accesso ai documenti amministrativi degli enti locali. Le disposizioni della 142 sono rimaste in vigore fino all’entrata del D.lgs. 18/8/2000, n.267 contenente il “ Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”

Con la legge 241/90, sul procedimento amministrativo, sulla trasparenza e sulla disciplina del diritto di accesso ai documenti amministrativi, sono state create, poi, le premesse affinché in tutta la P.A. i rapporti fra il cittadino ed i pubblici uffici venissero impostati su un nuovo piano, ribaltando l’ottica della preminenza dell’Amministrazione, riducendone contestualmente il suo potere discrezionale per privilegiare il ruolo del cittadino, visto non più come un suddito ma come soggetto destinatario di servizi.

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Per inciso, possiamo dire che con tale legge il legislatore ha inteso anche dare in parte attuazione allo spirito del dettato costituzionale (art.97) secondo il quale i pubblici uffici devono essere organizzati in modo da poter assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Tuttavia, oggi, a distanza di tanti anni, l’applicazione di questa legge presenta luci ed ombre, infatti se da un lato si nota una discreta applicazione delle disposizioni sull’accesso ai documenti in possesso delle PP.AA, dall’altro scarso interesse è stato dedicato alla razionalizzazione delle procedure.Tant’è che in molte amministrazioni, soprattutto centrali, si è assistito alla emanazione di regolamenti in cui, in molti casi, i tempi di durata dei processi decisionali, abbastanza lunghi, lasciano trasparire la forte preoccupazione degli amministratori di evitare soprattutto le sanzioni amministrative previste dalla legge, in caso di mancato rispetto degli stessi.

Ne consegue, quindi, che se uno degli aspetti più rilevanti della legge era quello di consentire, con la trasparenza, anche la semplificazione delle procedure non si può dire che questo sia normalmente avvenuto.

Ciò è particolarmente grave, se si pensa:- alla tutela che il diritto di accesso ai documenti amministrativi ha avuto in sede comunitaria,

prima con il trattato di Mastricht del 7/2/92 e successivamente con la Costituzione europea firmata a Roma il 29 ottobre 2004, ancorché essa non sia ancora entrata in vigore;

- alle ulteriori disposizioni emanate con le leggi 15 e 80 del 2005, con le quali si tende a tutelare sempre di più i diritti dei cittadini, contemperando anche il diritto di accesso con quello della tutela della privacy, garantito dal d.lgs. 196/2003.

La 142 e la 241 del 1990, l’una con valenza settoriale e l’altra di portata più generale rappresentano, tuttavia, due provvedimenti che per quanto importanti non sembrano favorire una visione sistemica nella valutazione degli interventi necessari a dare più efficienza ai pubblici uffici.

Che il processo di riorganizzazione della P.A. avesse bisogno di una visione sistemica e di una costante azione coordinatrice a livello centrale di portata più generale lo si è capito, invece due anni dopo, quando con la già citata legge 23 ottobre 1992, n. 421, venne concessa la delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale, nell’ottica del contenimento della spesa pubblica.

Nella legge delega 421/92 trova la sua origine il decreto legislativo 29/93 che, seppure attraverso diverse fasi, costituisce il corpus legislativo di riferimento generale per la disciplina dell’organizzazione del lavoro e delle relazioni sindacali di tutte le amministrazioni pubbliche, e assume, fin dalla sua origine, la natura di legge a formazione progressiva.

Diversi, infatti, sono stati i provvedimenti ad esso collegati con i quali sono state apportate modifiche e/o integrazioni a tale normativa, ma nessuno di essi ne ha stravolto più di tanto i contenuti. Lo stesso d.lgs. 165/2001 - ultimo della serie - con il quale sono state sistematizzate in unico contesto normativo le disposizioni contenute in origine dal 29/93 e dai successivi provvedimenti di modifica e/o integrazione, non è che una specie di testo unico o di norma fondamentale sull’organizzazione degli uffici e sul rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, finalizzato:- ad accrescere l’efficienza delle amministrazioni in relazione a quella dei corrispondenti uffici e

servizi dei Paesi dell’Unione europea, anche mediante il coordinato sviluppo di sistemi informativi pubblici;

- a razionalizzare il costo del lavoro pubblico, contenendo la spesa complessiva per il personale, diretta e indiretta, entro i vincoli di finanza pubblica;

- a realizzare la migliore utilizzazione della risorse umane nelle pubbliche amministrazioni, curando la formazione e lo sviluppo professionale dei dipendenti garantendo pari opportunità alle lavoratrici ed ai lavoratori e applicando condizioni uniformi a quelle del lavoro privato.

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Le novità del d.lgs.29/93 e dei provvedimenti ad esso collegati, oltre a prevedere nuovi modelli organizzativi dei pubblici uffici, pongono le basi anche per la creazione di un rapporto nuovo nelle relazioni fra dirigenza politica e amministrazione, separando la responsabilità della gestione dei pubblici uffici fra organi di governo e dirigenza amministrativa.

Ai primi è stata affidata la responsabilità di fissare l’indirizzo politico e amministrativo, gli obiettivi strategici ed i programmi, ed alla seconda quella della gestione finanziaria, tecnica e amministrativa delle attività per il perseguimento degli obiettivi programmati – si ricorda in proposito quanto disposto dall’ art.3 del successivo d.lgs.279/97, in merito all’assegnazione delle risorse ai dirigenti preposti ai centri di responsabilità delle rispettive amministrazioni.

Anche sul versante della contrattazione il d. lgs. 29/93 ha portato novità profonde, introducendo nella P.A. il sistema di contrattazione vigente nel settore privato con la modifica del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, portando alla cosiddetta “privatizzazione del pubblico impiego”.

Sul versante dei controlli, con il d.lgs.29/93 sono state poi introdotti i servizi di controllo interno ed i nuclei di valutazione (articoli 19 e 20 del d.lgs. 29/93), creando i presupposti per l’organizzazione del lavoro per obiettivi.

Visto lo stato dell’arte non si può dire che la introduzione di tali organi abbia prodotti gli effetti desiderati.

In tema di controlli un cenno meritano anche le leggi “Cassese” 19 e 20 del 1994, con le quali sono stati rivisti sia l’organizzazione della Corte dei Conti sia il sistema dei controlli che le stessa fa sui provvedimenti amministrativi che, nella maggior parte dei casi, sono passati da preventivi a successivi, mirati soprattutto a valutare oltre alla legittimità degli atti anche la gestione delle attività da parte della Amministrazioni

Sempre in tema di controllo, per quanto riguarda gli EE.LL. , una notevole importanza hanno rivestito anche le disposizioni del d.lgs. 25 febbraio 1995, n.77, sull’”Ordinamento finanziario e contabile degli enti locali” – rimaste in vigore fino alla emanazione del d.lgs. 18/8/2000, n.267 relativo al “Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”- con le quali è stato introdotto il controllo di gestione, al fine di garantire la realizzazione degli obiettivi programmati, la corretta ed economica gestione delle risorse pubbliche, l’imparzialità ed il buon andamento e la trasparenza dell’azione amministrativa degli Enti.

Punto di riferimento obbligatorio per il riordino delle amministrazioni centrali dello Stato è , poi, la legge n. 59 del 1997, cosiddetta “Bassanini uno”, relativa alla “Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della P.A. e per la semplificazione amministrativa”, in attuazione della quale sono stati emanati diversi decreti legislativi: il d.lgs. 396 del 1997; i dd.lgs. 80 e 387 del 1998; il d.lgs. 286 del 1999; il d.lgs. 300 del 1999, con i quali sono state apportate modifiche ed integrazioni a quanto previsto dal d.lgs. 29/93, soprattutto in materia di organizzazione e funzionamento della amministrazioni centrali dello Stato.

In particolare:

- il d.lgs. 396/97, ha inciso notevolmente sulla organizzazione dell’ARAN e sulle regole di contrattazione (definizione dei comparti di contrattazione, istituzione della contrattazione su due livelli, istituzione dei comitati di settore, definizione delle forme e del contenuto della contrattazione collettiva, ridefinizione della rappresentatività sindacale, costituzione delle RSU);

- il d.lgs. 80/98: ha reso operativa, invece, la riconduzione dei rapporti di lavoro nel pubblico impiego al codice civile ed ha costituito il complesso degli strumenti per il trasferimento alla giurisdizione ordinaria delle relative vertenze; ha dettato regole nuove per la riforma della

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dirigenza pubblica introducendo un profilo di fiduciarietà fra organi politici e dirigenza apicale, cercando di salvaguardare l’autonomia gestionale già introdotta dal 29; ha introdotto parzialmente forme di flessibilità contrattuali per l’accesso agli impieghi presso le P.A. ;

- il d.lgs. 387/98, ha definito i nuovi criteri per l’accesso alla dirigenza dello Stato e degli enti pubblici non economici;

- il d.lgs. 30 luglio 1999, n.286, concernente il “Riordino e potenziamento dei meccanismi e strumenti di monitoraggio e valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati dell’attività svolta dalle amministrazioni pubbliche ai sensi dell’art.11 della legge 59/97”, ha definito tra l’altro le linee generali sulle quali, deve essere impostato il controllo delle attività all’interno delle PP.AA., i cui obiettivi devono mirare a:

1. garantire la legittimità, la regolarità e la correttezza dell’azione amministrativa (controllo sulla regolarità amministrativa e contabile, affidato agli uffici di ragioneria);

2. verificare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dell’azione amministrativa al fine di ottimizzare, anche attraverso tempestivi interventi di correzione in corso d’opera, il rapporto costi /risultati (controllo interno);

3. valutare le prestazioni del personale con qualifica dirigenziale (valutazione della dirigenza);

4. valutare l’adeguatezza delle scelte compiute in sede di attuazione dei piani, programmi ed altri strumenti di determinazione dell’indirizzo politico, in termini di congruenza tra risultati conseguiti e obiettivi predefiniti (valutazione e controllo strategico).

- il d.lgs. 300/99, recante “Riforma dell’organizzazione del Governo, a norma dell’art. 11 della legge 15/3/1997 n.59”, ha portato ad una nuova organizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per meglio supportare l’azione del Governo, modificando in parte quanto già previsto in materia dalla legge 400/88 ;

Parlando del controllo sull’attività degli EE.LL., come non ricordare anche la legge 127/97, “Bassanini due”, relativa a “Misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo”con la quale, fra l’altro, sono state introdotte modifiche sostanziali al sistema di controllo degli enti locali, rivisitando il ruolo dei Segretari comunali e limitando a pochi atti l’obbligo dell’invio ai CO.RE.CO. Con tale legge, modifiche sono state apportate anche alla legge 241/90 sul procedimento amministrativo e sulla trasparenza, e alla legge 15/68 sull’autocertificazione.

Fra le innovazioni istituzionali che hanno caratterizzato gli anni 90, un ruolo a parte, infine, merita il d.lgs. 39/93, concernente “Norme in materia di sistemi informativi automatizzati delle amministrazioni pubbliche” con il quale è stata istituita l’AIPA, oggi sostituita dal CNIPA, e sono stati creati i presupposti per uno sviluppo armonico dell’informatizzazione della P.A. e per la reingegnerizzazione dei processi produttivi.

Con tale normativa è stato, innanzitutto, messo un freno all’informatizzazione selvaggia dei pubblici uffici fissando le regole per la progettazione, lo sviluppo e la gestione dei sistemi informativi automatizzati delle PP.AA., il cui utilizzo deve essere finalizzato a perseguire:- il miglioramento dei servizi;- la trasparenza dell’azione amministrativa;- il potenziamento dei supporti conoscitivi per le decisioni pubbliche;- il contenimento dei costi dell’azione amministrativa.

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Che tale sviluppo dovesse essere realizzato secondo logiche sistemiche, appare evidente anche da quanto previsto dal comma 3 dell’art. 1 del citato provvedimento, là dove sono stati individuati nella integrazione e nella interconnessione con gli altri sistemi, nel rispetto degli standard definiti anche in armonia con la normativa comunitaria e nel collegamento con il SISTAN, i criteri alla base dei sistemi informativi.

A questa normativa si possono certamente ricollegare sia il d.lgs. 7 marzo 2005, n.82, concernente il “codice dell’amministrazione digitale”, sia il successivo decreto legislativo di integrazione 4 aprile 2006, n.159, con i quali si è ritenuto di portare a compimento l’ammodernamento della P.A. attraverso il pieno utilizzo dell’ ICT in tutti i settori delle vita sociale ed economica del Paese.

Inoltre, è stato rafforzato ulteriormente il diritto dei cittadini a scambiare comunicazioni con la P.A – centrale, periferica e locale – mediante posta elettronica. e riconosciuto agli stessi, in caso di mancata risposta, il diritto di rivolgersi al giudice amministrativo per obbligare gli uffici pubblici a rispettare tale obbligo.

Conclusioni

Da questa breve disamina, come è facile intuire, appare evidente come nella P.A., gli anni 90 siano stati caratterizzati da un’abbondanza di innovazioni istituzionali accompagnata ad una più che discreta disponibilità di nuove tecnologie informatiche, ma tutto questo non è stato comunque sufficiente a garantire il miglioramento dell’efficienza produttiva ed il perseguimento di economie di scala.

Nonostante il progetto FEPA avesse anticipato di cinque anni le novità normative, credo che nessuno di noi possa dire oggi che il cambiamento riorganizzativo dei pubblici uffici sia stato realizzato; le scelte allora non fatte hanno favorito l’ulteriore sedimentazione delle vecchie abitudini all’interno delle PP.AA., facendo lievitare i costi degli apparati pubblici, senza risolverne i problemi.

Appare evidente come la mancata introduzione, soprattutto a livello centrale, di adeguate tecniche gestionali e la scarsa attenzione data alla diffusione della cultura del cambiamento fra gli addetti ai lavori abbiano costituito un freno allo sviluppo di nuovi modelli gestionali della cosa pubblica.

Il processo di rinnovamento organizzativo avviato negli anni 90, se si eccettua il periodo che va dal 1985 al 1990, secondo il mio parere, ha risentito della mancanza di un punto di riferimento comune e di una visione strategica complessiva, che soltanto linee di indirizzo ben definite ed una forte azione di coordinamento a livello centrale potevano assicurare; il fatto che in questi anni non sia stata avvertita la necessità di avviare un piano formativo generalizzato per il personale sull’utilizzo di nuove tecniche gestionali non è che un esempio.

Dopo l’esperienza del FEPA, si è determinata una situazione in cui ogni amministrazione, al di là degli obblighi generali imposti dalle nuove normative, ha pensato di procedere liberamente, ovvero di non procedere affatto, nell’azione di rinnovamento, limitando allo stretto necessario gli interventi in tal senso. Molto spesso, a nulla sono valsi i richiami da parte degli organi di controllo.

In tale situazione era fatale che le opportunità migliori si dovessero presentare a quelle amministrazioni dotate di maggiore autonomia organizzativa e gestionale, e ciò ha favorito soprattutto gli enti locali e gli enti pubblici non economici.

In particolare, assieme a qualche ente pubblico non economico e a qualche azienda di Stato, molti comuni delle aree geografiche del Centro e del Nord, gran parte dei quali hanno saputo fare tesoro dell’esperienza maturata nel progetto FEPA, sono andati avanti nel processo di cambiamento, migliorando sensibilmente la loro capacità di risposta alle richieste di servizi provenienti dalla società.

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Soprattutto per merito di una dirigenza (politica e amministrativa) che, in relazione alla specificità della loro attività finalizzata, com’è, a fornire servizi ai cittadini utenti, ha avvertita la necessità di doversi riorganizzare anche per trovare il modo di ovviare, in parte, alle progressiva riduzione dei trasferimenti finanziari da parte dello Stato.

Viceversa, nelle amministrazioni centrali dello Stato, dove il rapporto con il cittadino utente non è immediato, la dirigenza è stata meno sensibile. In esse, infatti, nonostante l’introduzione, a volte massiccia, delle nuove tecnologie informatiche poco si è fatto per migliorare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità nella gestione delle attività, con il risultato che il nuovo convive tranquillamente con il vecchio.

Si è venuta a creare così una realtà amministrativa variegata nella quale le amministrazioni per così dire “più illuminate”, si sono attrezzate per dare risposte tempestive e servizi migliori ai propri cittadini..

Come ho avuto modo di accennare prima, credo che l’ostacolo principale al rinnovo della P.A. sia stato, non tanto la mancanza di norme e la indisponibilità di moderni strumenti tecnologici a supporto alle decisioni, quanto il ritardo accumulato nella creazione e nella diffusione, della “nuova cultura” all’interno della P.A. e del Paese.

In questo contesto occorre, tuttavia, fare però attenzione a non commettere l’errore di pensare che i soli soggetti destinatari di questa nuova cultura siano i lavoratori pubblici.

Occorre capire che nessun cambiamento della P.A., potrà essere realizzato, senza la partecipazione contestuale e convinta di tutti gli attori interessati alla gestione della “cosa pubblica”: gli amministratori pubblici, politici e non; le organizzazioni sindacali; le imprese; e perché no, anche i cittadini..

Siamo fermamente convinti che per essere decisiva la cultura del nuovo dovrà divenire un patrimonio di tutta la Società civile e questa non è una cosa che si può realizzare in tempi brevi, per cui è necessario non perdere altro tempo.

Per convincersi che tutto questo sia frutto di una esigenza viva e concreta e non di una retorica armai superata, basta guardare la legge finanziaria 2007. Concludo dicendo che:

In generale, quando si vuole cambiare una struttura organizzativa occorre avere chiare, prima di ogni cosa, l’organizzazione e le regole di funzionamento di quella che si intende realizzare, e se ciò è vero per ogni organizzazione, diventa ancora più indispensabile per la P.A, dove la varietà delle amministrazioni e la complessità dei sistemi di funzionamento sono datati nel tempo.

Pertanto l’auspicio che possiamo fare è che anche questa volta non si commetta l’errore di sottovalutare il ruolo che debbono avere tutti gli operatori della P.A nel processo di cambiamento.

La recente proposta di legge delega elaborata dal prof. Ichino e dal prof. Mattarella, può rappresentare una buona base di partenza, e tutti noi concordiamo sulla necessità di avere una P.A. moderna, trasparente, snella e più efficiente, al servizio della collettività.

Ma bisogna fare molta attenzione a non dare avvio al solito duplicato di strutture organizzative e a non fermarsi alle dichiarazioni di principio, avendo presente in tale contesto che se è vero che la dirigenza amministrativa deve assumersi per intero tutte le responsabilità che le sono affidate la sua autonomia gestionale deve essere piena.

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Con un pizzico di presunzione posso affermare, oggi come allora, che per percorrere questa strada, lo spirito giusto e la via maestra non possono essere che quelli che hanno animato il FEPA sin dalla sua origine.

Ing. Aniello De Padova1

(Funzionario Servizi Informativi Comune di Bari)

Gentili Signori, buon giorno a tutti.

La mia presenza qui è probabilmente il primo caso di vero e proprio nepotismo nel progetto FEPA. Fra i relatori di questo convegno sono praticamente l'unico a non aver partecipato al progetto, e se sono qui non è certo per le mie competenze e le mie esperienze ma solo perchè circa mezzo secolo fa mio padre ed Emidio vincevano lo stesso concorso in ferrovia.

1 Ingegnere Elettronico, da 15 anni supporta Aziende Pubbliche e Private in processi di Innovazione Organizzativa e Tecnologica. Già Vicedirettore dello Staff Informatizzazione del Comune di Bari da circa un anno presta servizio presso il Gabinetto del Sindaco Emiliano.

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Ciò non di meno, se me ne farete l'onore, sarò lieto di essere il primo “fepino di seconda generazione” e spero di non deludervi.

Quando nel 1992 entrai nella Pubblica Amministrazione Locale, provenendo dal Privato, ero fiducioso che avrei trovato un po' più di ordine e procedure di quante non ne avessi utilizzate nelle mie precedenti esperienze lavorative, e questo perchè sin da ragazzino avevo sbirciato fra i varii testi, regolamenti, norme tecniche, grafici, che costituivano buona parte del bagaglio strumentale di lavoro di mio padre ferroviere.Ero fiducioso che “tutta” la Pubblica Amministrazione fosse organizzata come le Ferrovie dello Stato. Anzi questa fiducia era stata una delle principali motivazioni del passaggio dal Privato al Pubblico. Forte dei mie studi e delle mie ambizioni in materia di Organizzazione Aziendale e di Sistemi Informativi, ritenevo che dopo la palestra dell'azienda Privata, quello di razionalizzare il funzionamento della Pubblica Amministrazione Locale sarebbe stato un percorso in discesa, limitato al più dalla necessità di disporre delle risorse economiche necessarie per gli investimenti infrastrutturali (Hardware e Software).Ovviamente nel giro di un paio di mesi rimasi scottato e deluso.

Cominciai allora a cercare qualcosa che potesse aiutarmi, divorai il rapporto Giannini e varie pubblicazioni che all'epoca cercavano di fare ordine nella P.A.Ovviamente incocciai subito nelle pubblicazioni del Progetto Fepa e, forte del nepotismo di cui sopra, intrattenni con Emidio lunghe chiacchierate su quelle che nel frattempo stavano diventando le NTG - Newmann.

Avevo finalmente trovato una solida base teorica e strumentale da utilizzare nel mio lavoro. Personalmente ho realizzato almeno 3 soluzioni informatizzate per la elaborazione dei carichi di lavoro basate sulla NTG2, di cui una ancora in uso presso un paio di Amministrazioni emiliane, a dimostrazione -se ancora una volta ce ne fosse bisogno- della validità del metodo.

Ma il progetto Fepa, le sue basi teoriche, l'approccio motivazionale che ne ha reso possibile il successo, la pervasività e lo spirito “volontaristico” che ne hanno decretato la sopravvivenza in pregevoli nicchie (e che forse ne hanno impedito il consolidamento a livello più steso), non mi è servito solo in quei primi anni di vita professionale nella Pubblica Amministrazione Locale.Sono parte del mio bagaglio ancora oggi, se è vero, come è vero, che a quella logica mi sono riferito anche nell'ultima mia “fatica” in materia di Pianificazione Strategica e partecipazione attiva.

Mi riferisco al mio contributo al “Metodo in Comune” ideato, per volere del Sindaco Emiliano, da Roberto Lorusso ed ora in fase attuativa a cura della Prof.ssa Antonella RINELLA, Assessore all'Attuazione del Programma del Comune di Bari.Mio contributo che ha riguardato la realizzazione del prototipo del Sistema Informativo GovernAzioni che costituisce lo strumento di raccolta ed elaborazione e monitoraggio delle informazioni relative alla Attuazione del Piano delle Azioni di Governo della Giunta Emiliano e che stà evolvendo per divenire strumento di partecipazione e coinvolgimento degli Stake Holders nella definizione e realizzazione del Piano Strategico della Città Metropolitana di Bari.Rimandando alla apposita sezione del Portale del Comune di Bari (www.comune.bari.it), dal quale è possibile -tra l'alto- scaricare gli strumenti SW utili alla applicazione della metodologia, in questa occasione mi piace ripercorrere il ragionamento concettuale che mi ha portato alle scelte progettuali di GovernAzioni che è il modo secondo me più efficace per dimostrare l'attualità del progetto Fepa, e -soprattutto- la necessità di tornarne ad applicare logiche, metodologie, strumentazione teorica, approcci motivazionali, ecc...Per fare questo preferisco riportare esattamente quello che è scritto nei documenti ufficiali del progetto Governazioni (documenti risalenti al dicembre 2005, e quindi a tempi sicuramente scevri da ogni possibilità di influenza rispetto ad oggi).

(dal capitolo “IL SISTEMA INFORMATIVO DI GovernAzioni” del libro “Per una città governabile. Bari: appunti di un Metodo in Comune” edito da Progedit – www.progedit.com)

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Il bisogno informativo di GovernAzioni

Sin da quando sono stato coinvolto in GovernAzioni ho avuto chiara la atipicità e la innovatività che GovernAzioni richiedeva al suo Sistema Informativo (che ero stato chiamato a progettare ed implementare almeno a livello prototipale).GovernAzioni è condivisione;GovernAzioni è partecipazione;GovernAzioni è collaborazione creativa.Per questo GovernAzioni necessita di un Sistema Informativo capace di supportare tale tipo di attività.Quindi, affinchè GovernAzioni potesse essere utilizzabile come metodo di lavoro in modo efficiente era indispensabile disporre di uno strumento di raccolta ed elaborazione delle informazioni utili ai varii soggetti coinvolti perchè l'operato dell'intera macchina politico-burocratica fosse costantemente informata sullo sviluppo delle varie attività necessarie alla attuazione del Piano delle Azioni.Occorreva cioè dotare l'Ente di un sistema informativo capace di catalogare e rendere fruibili una moltitudine di dati estremamente eterogenei che, opportunamente organizzati, consentissero ad esempio:

• al Sindaco di conoscere lo stato di avanzamento delle singole azioni• al dirigente di verificare la coerenza e la tempistica dell'operato della propria struttura

con quanto e come si evolve il “piano delle azioni”• al dipendente per suggerire eventuali miglioramenti e/o interrelazioni fra eventi e fatti

nel più sano spirito del lavoro collaborativo e creativo• al politico di essere informato su tutto quanto accade allo scopo ad esempio di arrivare

processi autonomi di coinvolgimento e confronto fra l'interno dell'Ente e la Comunità amministrata

Mi è apparsa subito evidente la apparente complessità di un simile sistema informativo che, se sviluppato con le logiche tradizionali avrebbe rischiato di diventare estremamente oneroso sia nella progettazione/implementazione che nella gestione.

Ciò non di meno senza questo strumento GovernAzioni rischiava di restare un “utile esercizio di stile” senza risvolti operativi pratici.

D'altra parte le informazioni che servono a capire se e come si sta dando attuazione al Piano delle Azioni, sono effettivamente presenti nell'Ente e spesso lo sono già in formato elettronico, e quindi quello che serviva era spesso solo uno strumento capace di “andarle a cercare” e “metterle in ordine”.

Si trattava cioè di creare quello che in termini informatici si definisce un datawarehouse o più efficacemente un “cruscotto aziendale”2.

GovernAzioni con il suo Sistema Informativo infatti non avrebbe sostituito funzioni del Sistema Informativo Comunale preesistente ma integra, in modo strumentale ai propri bisogni, le informazioni esistenti.

Nel seguito di questa sezione del libro mi prefiggo l’obiettivo di raccontare come ho sviluppato e implementato l’idea che mi sono fatto del Sistema Informativo di GovernAzioni e soprattutto di stimolare l’interesse di chi voglia contribuire alla comunità di GovernAzioni (auspicata anche dal Sindaco Emiliano) a fornire nuovi contributi affinché in ogni Ente che decida di adottare GovernAzioni sia possibile implementarne il Sistema Informativo con il minor impatto possibile e, soprattutto, con il minor “costo” in termini di duplicazione delle informazioni e/o di creazione di flussi informativi ulteriori che, se non opportunamente studiati, rischiano di aggiungere altra carta ed altra “entropia burocratica” alla già tipicamente affaticata macchina amministrativa.

GovernAzioni a confronto con altre esperienze italiane

La prima attività che ho svolto per la definizione del Sistema Informativo di GovernAzioni è stata

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quella di esaminare alcuni esperimenti condotti negli ultimi 15 anni nella stessa direzione

Per questo ho studiato alcuni “casi” di Sistema Informativo pensato a supporto dell'efficacia e dell'Efficienza dell'Attività Burocratico-Amministrativa di un Ente Locale.

Ciò allo scopo di evidenziarne i pregi (che peraltro non sempre al momento sono presenti nel Sistema Informativo di GovernAzioni) ed i difetti (che d'altra avrei cercato opportunamente di evitare nel Sistema Informativo di GovernAzioni)

L’Esperienza FEPASin dagli anni '80 presso il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri si sono effettuati approfonditi studi volti a definire una metodologia di analisi e calcolo della Efficacia e della Efficienza del funzionamento delle macchine organizzative di ministeri ed EntiSi tratta del cosiddetto Progetto FEPA “Analisi e valutazione dei carichi funzionali di lavoro, analisi ed ottimizzazione delle procedure del sistema FEPA” diretto dal Dott. Emidio Valentini2.Putroppo il metodo generato dal progetto FEPA ha incontrato notevoli ostacoli alla sua effettiva attuazione (pur essendo previsto per diversi anni da una specifica norma di legge che l'analisi dei “carichi di lavoro” fosse condizione necessaria per la corretta gestione dei meccanismi incentivanti e di distribuzione di parte del salario accessorio per tutti i dipendenti) dovuti, a parere di chi scrive, ai seguenti (non esclusivi) fattori:

• diffidenza verso qualsiasi innovazione da parte degli attori chiamati a “credere” nella metodologia;

• eccessiva “scientificità” e quindi “asetticità” del “sistema FEPA”;• poca dimestichezza con le numerose formule matematiche della dirigenza dell'epoca;• onerosità della raccolta dati;• improvvisazione di molti dei consulenti-esperti privati che vennero chiamati ad operare

successivamente alla chiusura del progetto;• difficoltà di standardizzare sufficientemente l'applicazione del metodo per più anni (con

conseguente impossibilità di realizzare le “serie storiche” su cui basare la riorganizzazione);

• scarso interesse da parte degli organi politici (che lo considerarono uno strumento “interno” non vedendone il collegamento con i propri obiettivi di “mandato”)

Ma soprattutto ciò che ha, di fatto, reso difficile la vita alla metodologia è stata la serie di repentini cambiamenti avvenuti negli stessi anni (non solo a seguito di modifiche imposte dalla norma ed in

2 Praticamente tutti dipendenti pubblici già in servizio a cavallo fra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 dello scorso secolo conoscono il famigerato termine “carichi di lavoro” attorno al quale hanno ruotato per circa un decennio le sperimentazioni conseguenti alla formalizzazione dei modelli studiati e definiti nell'ambito del progetto FEPA.

Il metodo partiva dalla considerazione che l'organizzazione del lavoro della Pubblica Amministrazione è spesso inefficiente (e talvolta anche inefficace) a causa della frammentazione e del poco orientamento all'obiettivo esistente nell'Ente e cercava di ridurre questa inefficienza attraverso una sistematica razionalizzazione della definizione del contenuto del lavoro di ciascuno e nella valutazione in termini sostanzialmente di tempo del costo di ciascuna fase.

La raccolta “dal basso” di queste informazioni e la sistematica analisi delle stesse in forme sempre più aggregate avrebbe dovuto portare (ed in più di un caso è stato effettivamente così) alla costituzione di vere e proprie “serie storiche” utili a consentire la riorganizzazione del lavoro e la finalizzazione dello stesso agli obiettivi dell'Ente (e cioè in sostanza agli obiettivi di “governo” del livello “politico” dell'Ente stesso).

Numerosi sono stati i Sistemi Informativi costruiti sulle basi teoriche del progetto FEPA (chi scrive ha realizzato tra l'altro 3 soluzioni in tre distinti ambienti di sviluppo, ma ne esistono a decine spesso divenute anche prodotti SW veri e propri venduti ed utilizzati in numerosi Enti per varii anni), tutti caratterizzati innanzitutto dalla necessità di una consistente attività di analisi e definizione ed adattamento dell'infrastruttura architetturale alle esigenze dei singoli Enti e successivamente dalla raccolta sistematica di un nutrito insieme di dati, da registrare a cadenze prefissate (qualche Ente per qualche anno ha addirittura ripetuto le raccolte su base mensile) per alimentare il sistema di indicatori. Nulla di particolarmente sconvolgente se si pensa a quanto si è fatto (rigorosamente a mano) per decine di anni nel settore industriale con le “schede di lavorazione”, ma assolutamente innovativo per la Pubblica Amministrazione (specie quella Locale).

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particolare dai processi di riforma dei primi anni '90) nell'organizzazione degli Enti Locali e (anche se con minore intensità) dei Ministeri.Il grosso vantaggio che, per contro, hanno avuto le tecniche del progetto FEPA, è stato quello di portare per la prima volta nella Pubblica Amministrazione italiana concetti quali “costo” (anche se solo in termini di tempo impiegato dai dipendenti per la produzione), “prodotto”, “produttività, ecc... all'epoca appannaggio solo del settore dell'industria (pubblica o privata) o, ma solo per il privato, del settore dei servizi.Una svolta epocale che ha lasciato sul campo di battaglia molti caduti (ed in sostanza lo stesso progetto) ma che ha consentito a chi è “venuto dopo” di partire con un contesto culturale che se non era modificato era per lo meno “aperto al nuovo”.

Di questa esperienza il Sistema Informativo di GovernAzioni evita alcuni difetti:• estrema “matematicità” e quindi “freddezza” del sistema di analisi e calcolo;• eccessiva “frammentazione” della raccolta dati• difficoltà di ricollegare il tutto agli “obiettivi politici”• eccessivo orientamento alla “industrializzazione” del processo produttivo• onerosità delle raccolte dati

Per contro il Sistema Informativo di GovernAzioni conserva di questa esperienza un elemento fondamentale che è stato presente nelle migliori esperienze di applicazione della metodologia dei “carichi di lavoro”: il forte coinvolgimento dell'intera struttura nel definire e nell'alimentare il “Sistema”, nonché la possibilità di ciascuno di ricevere dal “Sistema” elementi informativi di confronto rispetto al proprio passato e, soprattutto, rispetto ad altri (nell'organizzazione) che abbiano analogo profilo di competenza (o se si vuole “livello”).

In una parola: la facoltà lasciata a tutti di “partecipare”.

Il Progetto dell’IRSAlla base delle scelte progettuali del Sistema Informativo di GovernAzioni, c'è lo anche lo studio di un Progetto realizzato dall'IRS (Istituto di Ricerca Sociale di Milano) negli ultimi anni '903.Di questa esperienza ho cercato di valorizzare, nella definizione del Sistema Informativo di GovernAzioni principalmente due caratteristiche:

• la costruzione di una sorta di Agorà virtuale (prima telefonica e poi, con la diffusione di Internet, telematica) fra i varii dipendenti dei Comuni, nella quale nei primi anni con il supporto metodologico e scientifico di IRS si è costruito il sistema di indicatori, e successivamente si è potuto confrontarsi sullo sviluppo e sui risultati del progetto.

• la estrema semplicità del sistema di raccolta dati: modulistica standardizzata con pochissime voci (individuate sostanzialmente all'interno dell'Agorà di cui sopra) da registrare la cui raccolta fosse estremamente semplice.

[..........OMISSIS..........]

L’approccio ERPUn ultimo significativo esempio di sperimentazione di metodologie di “misura dei risultati”realizzati dagli Enti Pubblici di cui si è fatto tesoro nella definizione del Sistema Informativo di GovernAzioni è stato quello delle “prove” di introduzione di sistemi ERP4.

3 Progetto finalizzato specificatamente ad elaborare un sistema di indicatori il cui monitoraggio fosse utile al livello politico degli Enti Locali –anzi per l'esattezza dei Comuni di medie e grosse dimensioni– per verificare l'efficacia delle proprie “politiche”.

Il lavoro, che nel corso di poco meno di un quinquennio ha coinvolto con diversa intensità una decina dei maggiori Comuni Italiani, ha portato alla definizione di un sistema articolato di indicatori per alimentare il quale è stato studiato e realizzato uno specifico sistema di raccolta dati abbastanza standardizzato e strutturato, che ha consentito all'IRS di costruire le serie storiche di tali indicatori per un consistente numero di attività-prodotto-servizio realizzate dagli Enti. Si va (per il semplice caso degli asili nido) dal rapporto “bambini/posti” al rapporto “costo/bambino”, con possibilità di comparare i dati per i varii anni e fra i varii enti

4 Alcuni Enti Locali (anche di dimensione ragguardevoli) stanno tentando da anni di sostituire con tali strumenti i tradizionali Sistemi Informativi “Istituzionali” con l'appoggio di importanti produttori di tali Sistemi che, forti dei successi realizzati con le più grosse multinazionali, hanno ritenuto di poter adattare tali sistemi alla macchina amministrativa (e nel contempo favorire l'assimilazione dei modelli organizzativi e funzionali della

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Personalmente non ho visibilità di un solo caso in cui questo approccio abbia raggiunto il pieno successo previsto.Mi spiego meglio: ottimi risultati si sono ottenuti in termini di revisione e riprogettazione dei sistemi contabili ma scarsissima è la capacitò di integrazione con i complessi e spesso apparentemente “irrazionali” meccanismi produttivi della macchina burocratica.In ogni caso il risultato finale è che i “report” prodotti da questi sistemi ERP non danno il risultato voluto. I “cruscotti aziendali” non riescono a dare le indicazioni utili a capire “come stiamo viaggiando”.Probabilmente ciò è dovuto anche alla sostanziale differenza fra l'organo di governo di una organizzazione privata (il Consiglio di Amministrazione per intenderci) e quello di governo di un Ente (la Giunta nel caso del Comune).Diverse sono le logiche di funzionamento, diversi gli obiettivi, diverso il rapporto ed il ruolo stesso verso la struttura organizzativa sottostante.Diversi pertanto sono i bisogni informativi che quindi, probabilmente, non possono essere soddisfatti da un sistema ERP.Si ritrova quindi lo stesso scollamento che era presente nel caso precedentemente citato: inefficacia del metodo/strumento rispetto ai bisogni del livello politico.Per contro questo approccio riesce efficientemente (perchè non richiede specifiche raccolte informative) a soddisfare i bisogni informativi almeno fino ai più alti livelli burocratici.

[..........OMISSIS..........]

E' evidente che se il mio intento fosse stato quello di un elogio acritico del progetto FEPA e del “Metodo Valentini” avrei potuto evitare di riportare quanto sopra. Se ho fatto questa scelta è per l'onestà intellettuale che credo si debba avere nei confronti di una persona che si stima quale è il Dott. Emidio VALENTINI.La sintesi di quanto sopra è che il progetto FEPA, le tecniche NTG, l'esperienza di Emidio VALENTINI e di tutti quanti l'hanno accompagnato in quella splendida avventura (alla quale purtroppo non ho potuto partecipare) non è l'unico modo “teorico” per affrontare la necessità di trasparenza, efficacia, efficienza ed etica nella Pubblica Amministrazione, ma è l'unico che “praticamente” può garantire il necessario coinvolgimento, la necessaria partecipazione, l'indispensabile rigore scientifico, che soli possono garantire una reale ristrutturazione “culturale” del sistema pubblico senza il quale non sarà possibile una effettiva ripresa del Sistema Paese.

Quello che hanno fatto i fepini in quegli splendidi anni è una ottima dimostrazione di come, per garantire il successo di un progetto occorre sentirsi parte di quel progetto, credere in chi governa il progetto ed essere certi che chi governa il progetto crede in chi il progetto è chiamato a realizzarlo. Si sono create delle condizioni favorevoli alla riuscita e fra queste una certa tranquillità di tutti che l'intera operazione non aveva secondi fini e che nessuno, o quasi, lo faceva esclusivamente per interesse personale. Gli unici che non hanno creduto nel progetto sono stati i “poteri forti". Non c'è bisogno di citarli, credo che tutti i presenti sappiano individuarne almeno un paio. Loro non credevano nel progetto, non credevano che sarebbe arrivato in porto e sono rimasti sul molo a guardare il mare.Solo quando hanno visto da lontano l'imponenza del progetto e quanto poteva portare di veramente nuovo hanno cominciato a capire, ed a preoccuparsi. Ed allora, con tutti i mezzi hanno cominciato (sempre dalla riva) a cannoneggiare la nave, con tutti i mezzi, affondandola. I fepini superstiti si sono allontanati sulle scialuppe di salvataggio e, approdati in lidi più tranquilli hanno continuato la propria opera in piccole isole felici. Il risultato è stato che il progetto Fepa è stato, di fatto, chiuso senza che i suoi ottimi risultati venissero passati in eredità alle società di consulenza che facevano la propria prima comparsa nella P.A. e che. loro malgrado, hanno contribuito al clima di sfiducia che caratterizza molti dipendenti e luoghi di lavoro della Pubblica Amministrazione.

macchina amministrativa a quelli di grosse aziende private del settore più affine: quello dei servizi).Il vantaggio di un simile approccio è nella sua stessa definizione: ove l'intero Sistema Informativo di

un Ente fosse organizzato in una logica ERP le informazioni da trasferire al “cruscotto aziendale” sarebbero prodotte in automatico dal Sistema Informativo, senza necessità di specifiche raccolte e registrazioni.

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Per un nuovo periodo come quello del FEPA si possono ricreare tutte le condizioni, ma al punto in cui è oggi la PA occorre un'altra condizione fondamentale: i "poteri forti" questa volta devono crederci e devono volerlo.Quindi l'obiettivo di chi come NOI (e a questo punto credo che mi avrete accettato come “nuovo fepino”, e vi assicuro che ci sono tanti altri dipendenti pubblici che sono pronti a diventare “nuovi fepini” non fosse altro che per lasciare ai propri figli un mondo non troppo peggiore di quello in cui hanno vissuto) voglia una nuova primavera della PA è quello di convincere la "Politica" e l'"Economia" che la Pubblica Amministrazione serve ma soprattutto serve che funzioni, che sia efficiente, che operi in modo trasparente e misurabile, come si poteva (e si dovrà tornare a) fare con i CARICHI DI LAVORO e le NTG.

Grazie per l'attenzione e buon lavoro a tutti.

Dott. Bruno Flaviano(Direttore centrale Consip)

Ringrazio innanzitutto il dott. Valentini per avermi invitato a presentare la mia esperienza con NTG.

Ho avuto modo di conoscere il dott. Valentini ad un corso organizzato dall’ISTAT nel 2001. Veniva presentata una rassegna di metodologie utilizzabili per il controllo di gestione delle amministrazioni pubbliche facenti parte del SISTAN (Sistema Statistico Nazionale). Mi accorsi subito che la presentazione di NTG del dott. Valentini era proprio quello che stavo cercando. Stavo infatti progettando, con fatica, un sistema per il controllo di gestione dell’ISVAP, dove allora prestavo servizio come Funzionario addetto al Ufficio Internal Auditing.

Iniziò allora un rapporto di stretta amicizia con il dott. Valentini che mi introdusse in un gruppo di persone, quasi tutti colleghi di altre amministrazioni alle quali, durante incontri serali, stava “somministrando” a piccole dosi la presentazione delle conclusioni del Fepa e NTG.

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Mi resi subito conto che la metodologia NTG era proprio quello che stavo cercando e che, con l’ausilio del solito Excel, avevo anche cominciato ad abbozzare nella mia realtà operativa.Il dott. Valentini mi introdusse poi nel gruppo di lavoro che, assieme al CINECA, stava realizzando la versione aggiornata, in ambiente Web, di NTG. Ebbi modo di conoscere a fondo lo strumento e di suggerire qualche modifica che mi veniva dalla quotidiana attività da un lato e dall’essere un ex-informatico dall’altro.

A seguire mi occupai di presentare il prodotto finito a numerose Amministrazioni locali e centrali ed Enti, soprattutto sanitari. Le Ns demo, fatte con dati reali di gestione suscitarono ovunque un forte interesse e suggerimenti di migliorie che furono quasi sempre recepite.

Mi sono servito della metodologia NTG anche nell’attuale attività professionale presso la Consip SpA dove l’attenzione ai miglioramenti tecnologici da proporre e realizzare alla PA è una delle mission aziendali.

Nel 2003 iniziammo a pensare che lo sviluppo dei mezzi tecnologici e l’abbassamento dei costi di calcolo rendevano possibile lo sviluppo di NTG in ambito Stand Alone sempre con interfaccia Web. Nacquero così le due esperienze che l’Ing. Temperini per gli Enti locali ed il Dotto Morra per le strutture sanitarie, vi presenteranno. Si tratta di due esempi “vivi” nel senso che i dati sono reali e che i due prodotti sono effettivamente operativi nelle rispettive sedi. Pur mantenendo il notevole grado di complessità elaborativa e concettuale, NTG ora, come vedrete appare “semplice”, sembra quasi “alla portata di tutti”, ed effettivamente lo è, questa è a mio avviso la vera innovazione che si presenta, uno strumento valido, e voi tutti sapete quanto, nato da un’esperienza complessa e variegata che, oggi può essere utilizzato, senza particolari prerequisiti, da tutti gli operatori del settore. Vogliamo presentare uno stimolo forte alla nostra PA e fornire uno strumento che, a costi bassi, porti un notevole beneficio alle attività di controllo e soprattutto di gestione. Grazie per l’attenzione.

Prof. Luciano Hinna(Università Roma Tor Vergata)

L’etica e la gestione di impresa5

Si parla molto di etica negli ultimi tempi. Ciò significa che ne esiste poca. Si parla di etica nelle imprese, nelle pubbliche amministrazioni ed anche nelle strutture non profit,

quelle che nascono spesso su uno slancio etico di individui o di gruppi di individui. Ma l’etica come si colloca nella gestione di impresa?

Tra le tante definizioni di etica appare particolarmente semplice ed efficace adottare quella di Lord Moulten: “L’etica è lo spazio del non esigibile”, tale semplice definizione lascia intravedere come

5 Per una trattazione più ampia del tema dello stesso autore cfr: L Hinna, Come gestire la responsabilità sociale dell’impresa, Il Sole 24 Ore, Milano 2004, L Hinna, Il bilancio sociale nelle pubbliche amministrazioni, Franco Angeli, Milano 2003 e L Hinna (a cura di), Il bilancio sociale , Il Sole 24 ore, Milano, 2002.

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l’impresa si muova nell’ambito di spazi precisi: uno è quello giuridico delimitato dalla frontiera delle norme, dell’esigibile, chi si colloca al di sotto di tale frontiera è fuori legge; poi c’è lo spazio che va tra il confine delle norme ed il confine dei comportamenti individuali: quello è lo spazio dell‘etica. Ora, se la legge è uguale per tutti, i comportamenti no, si possono registrare una infinità di sfumature e quindi lo spazio tra la frontiera giuridica comune a tutti e la frontiera etica individuale di ciascuna azienda, è quello nel quale l’azienda decide di collocarsi con precisi valori comportamentali. Appunto valori etici

Qualcuno vuol vedere nel ricorso all’etica il fallimento delle regole e delle norme, non più sufficienti a garantire una società giusta e si fa quindi appello ai comportamenti individuali dal momento che le norme sono sempre meno sufficienti a garantire la società civile da scandali e fallimenti a volte anche eclatanti consumati nel pieno rispetto delle leggi. Qualcun altro lega l’etica di impresa ai gradi temi della ambiente, della filantropia, della sicurezza sul lavoro, del rispetto di principi e dei diritti umani.

Che cosa vuol dire per una impresa essere etica? E a quali valori si ispira per guidare la propria eticità? La risposta è articolata.

Quando l’economia, ovvero la normale gestione aziendale si coniuga con l’etica ci troviamo di fronte ad un nuovo paradigma concettuale che è allo stesso tempo gestionale, organizzativo, culturale e naturalmente sociale: la responsabilità sociale dell’impresa, RSI, la traduzione della espressione inglese CSR, Corporate Social Responsability.

L’etica dell’impresa coincide quindi con la RSI, e come la prima anche la seconda deve basarsi sulla condivisione di valori comuni e condivisi dalla comunità di riferimento: gli stakeholder.

Il concetto di responsabilità sociale, però, è un concetto astratto e quindi difficile da spiegare in poche righe; recentemente uno studioso norvegese ha censito ben 46 definizioni simile ma diverse di responsabilità sociale di impresa.

Nel tempo, il concetto di RSI e quindi di etica di impresa ha subito numerosi adattamenti ed aggiustamenti. Tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, sulla scia del pensiero economico liberale americano, si riteneva che un’impresa potesse essere ritenuta socialmente responsabile, e quindi implicitamente godere della fiducia dell’opinione pubblica, purché pagasse le tasse, rispettasse le leggi e creasse ricchezza e valore per gli azionisti, per i dipendenti e per la stessa impresa. Un concetto un po’ limitato diremmo oggi, appiattito sulle norme più che sui comportamenti volontari.

Venti anni prima in Italia Adriano Olivetti la pensava in maniera completamente diversa e dava vita a qual filone concettuale della gestione di impresa socialmente responsabile destinato a rimanere nella storia dell’economia d’azienda.

Oggi, invece, il concetto si è ancora evoluto: l’opinione pubblica, non tramite richieste esplicite, ma attraverso determinati comportamenti, pretende che le imprese creino oltre che valore economico anche “valore sociale” per la società civile con un’ottica di medio e lungo periodo. In altre parole si è venuta a creare una domanda non solo “sui risultati” che l’impresa consegue, ma anche su “come” questi sono ottenuti e a scapito di quale soggetto. È così che si accende l’attenzione sui grandi temi quali l’ambiente e le condizioni di vita delle generazioni future e dei paesi poveri del mondo, le condizioni di lavoro, lo sviluppo sostenibile, i comportamenti etici, le attività filantropiche etc.

Al di là della definizione di etica di impresa o di responsabilità sociale della stessa, il punto di arrivo di tale evoluzione è la definizione che di essa dà la Commissione della Comunità Europea nel Libro Verde6, che ricomprende di fatto tutte le varie definizioni che nel tempo si sono susseguite. Essa appare la più semplice, la più chiara e leggibile, anche se risente della traduzione:

“L’integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali ed ecologiche delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.Sotto questo aspetto la RSI costituisce allo stesso tempo uno strumento per migliorare la

gestione dei rischi sociali e ambientali, un mezzo per gestire la qualità offrendo alle imprese un quadro chiaro del loro impatto sociale e ambientale ed una consapevolezza che le aiuti a gestire correttamente una quantità crescente di tematiche e di categorie di portatori di interessi.

Da quanto proposto emerge è che la RSI è strettamente connessa ad alcuni concetti distinti:• La Sostenibilità, poiché le imprese nello svolgimento delle loro attività devono tenere conto

dello sviluppo sostenibile e quindi delle ripercussioni non solo economiche, ma anche sociali ed ambientali, con una visione sempre meno provinciale e sempre più planetaria.

6 Cfr.: Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde, Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, Bruxelles, 18/07/2002.

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• La Volontarietà, menzionata dalla stessa UE, che attiene alla scelta operata dall’impresa di comportarsi responsabilmente verso la società, senza rischiare tuttavia di cadere nell’autoreferenzialità. La RSI è infatti volontaria, ma per essere credibile ed efficace deve essere misurata e valutata. La valutazione delle prestazioni di RSI aiuta le imprese a migliorare le procedure ed i comportamenti poiché facilita una misurazione efficace e credibile del loro “rendimento” a livello sociale e ambientale. Se non fosse volontaria, ma imposta per norma, non sarebbe più etica: rientrerebbe nella frontiera giuridica delle norme da rispettare senza più alcuna opzione etica

• La Consapevolezza dell’azienda circa i riflessi che la sua gestione provoca nel contesto economico e sociale. Corporate Social Responsibility o CSR, viene tradotta in italiano Responsabilità Sociale dell’Impresa, ma sarebbe forse più opportuno interpretarla come “sensibilità” o “consapevolezza” dell’impresa degli effetti che con il suo operato provoca nel contesto di riferimento piccolo o grande che sia. La parola responsabilità, infatti, assume in italiano immediatamente una valenza negativa, con accezione giuridica - essere responsabile di qualche cosa - mentre il termine consapevolezza offre più l’idea di un’opzione etica e di una presa di coscienza.

Tuttavia, al di là delle disquisizioni sui concetti e sulle parole, essere responsabili socialmente, essere quindi un’impresa etica è diventata una necessità per la maggior parte delle imprese profit, non da oggi, ma, se non da sempre, certamente da quando le aziende non vogliono più correre il rischio di essere escluse dal mercato per una caduta di consenso da parte dell’opinione pubblica. Il rischio di essere emarginate dal mercato non per il prezzo, ne per la concorrenza, ne per la qualità del prodotto, ma è la “qualità dell’impresa stessa” è un fatto nuovo e legato alla crescita dei valori che la società civile riconosce ai comportamenti dell’impresa. Elemento questo sempre più difficile da percepire in un mercato finanziario ed in una economia sempre più globalizzata e caratterizzata da fenomeni di delocalizzazione della produzione.

La responsabilità sociale delle imprese e la reputazione ad essa collegata erano facilmente percepibili quando il mercato non era ancora “mondiale”, ma oggi la visibilità della responsabilità si perde e la reputazione si frantuma. Nasce quindi una esigenza nuova: non basta che l’impresa sia etica e orienti la sua gestione alla responsabilità sociale, ma è anche necessario che comunichi alla opinione pubblica questa sua eticità e quindi il problema si sposta su un altro tema altrettanto importante: quello della comunicazione, dell’accountability, della trasparenza, del render conto, a chi non può pretendere per diritto, se l’impresa è stata etica nel creare ricchezza, o solo nella distribuzione della stessa, o magari in ambedue le situazioni. Un tempo c’era Nobel che faceva le dinamite e poi regalava premi, come oggi ci sono aziende impegnate nel nucleare, altre che discriminano tra razze e sesso e poi regalano fondi per campagne di solidarietà sociale. Sono etiche queste aziende? L’eticità è sempre relativa, deve per forza di cose essere misurata rispetto a quei valori che sono condivisi dalla propria comunità di stakeholder. Per altri stakeholder che non condividono gli stessi valori la stessa azienda può non essere etica.

E l’etica del confronto, quella che manca oggi, in politica nella religione, nella cultura: ciascuno vuole imporre i propri valori agli altri e marcare la propria linea di ciò che è etico e non è etico e pretende di giudicare quindi tutti con il proprio metro di misura. Se sul piano del comportamento individuale può essere giusto, non lo è più sul piano sociale e della convivenza. L’etica del confronto consiste nel prendere atto che ci possono essere valori etici diversi, ma non per questo ugualmente validi per altri.

Il problema è divenuto di attualità per effetto della globalizzazione: il mercato non ha più i confini tipici di un’impostazione classica, il luogo anche virtuale dove si scambiano beni e servizi, ma si amplia fino a comprendere l’intera “società civile”. Un mercato senza confini dove si scambiano, oltre che prezzi e servizi, anche valori, ovviamente diversi, informazioni e consenso.

Il fenomeno della globalizzazione dei mercati ha determinato, fra l’altro, un’internazionalizzazione del confronto (o del conflitto, secondo altri punti di vista) tra realtà diverse con riferimento ai sistemi giuridici e, di conseguenza, ai diversi comportamenti etici.

Tutti sanno che non esiste, come lo chiama Guido Rossi, “lo Stato Mondiale”7 e quindi neanche una normativa unica mondiale e sovranazionale; ciascun paese ha le proprie leggi che non garantiscono le frontiere etiche più avanzate e così nasce una nuova domanda, una domanda di

7 Cfr: prefazione di G. Rossi in W. Hutton, Europa versus America, 2004

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socialità, di responsabilità sociale, di consapevolezza, di sostenibilità. L’opinione pubblica ha maggiori pretese di conoscenza e, di conseguenza, cresce la richiesta di trasparenza sui comportamenti dell’impresa: sul “come” si produce e sulle ricadute sociali dell’attività dell'impresa, e non solo sul “quanto”. Questo in sintesi il concetto della RSI che fa da sfondo a questa nuova economia e che cambia in qualche misura la geometria del valore.

Se l’etica può essere definita come lo spazio tra norma e comportamento, è logico attendersi, quindi, che in un paese di common law lo spazio dell’etica sarà maggiore rispetto a contesti di civili law, in cui l’enfasi attribuita alle norme sottrae all’etica spazi interpretativi. L’elemento differenziale di fondo tra un sistema di common law ed uno di civil law attiene ai modi di produzione delle norme giuridiche ed ai soggetti che in questo processo sono coinvolti. Caratteristica degli ordinamenti di common law (sistema britannico, statunitense, etc.) è quella di basarsi su un tessuto di regole molte delle quali non scritte tratte da sentenze giurisprudenziali, dalle consuetudini e dalla prassi. Al contrario negli ordinamenti di civil law (Europa continentale) il sistema si fonda su regole scritte e la norma è tale solo se è contenuta in atti cui lo stesso ordinamento riconosce la capacità di produrre norme di quel tipo. Ciò implica che in un paese come il nostro, ad esempio, caratterizzato da una forte normazione del sistema, si intuisce subito che lo spazio etico è assai limitato, rispetto a quello di un paese invece di common law dove ovviamente lo spazio della norma è molto basso e tanto viene lasciato ai comportamenti etici.

Occorre conciliare gli interessi dello shareholder con quelli dello stakeholder e fare in modo che i vantaggi del primo non vengano conseguiti a svantaggio del secondo. L’azionista fornisce un capitale economico e riceve dividendi, lo stakeholder fornisce consenso e riceve in cambio informazioni e comportamenti etici; senza consenso non si sopravvive nel medio e lungo periodo in un mercato sempre più attento ai comportamenti etici e responsabili delle imprese e quindi alla fine anche l’azionista non riceve più i suoi dividendi.

Questa nuova filosofia di gestione, quindi, mette al centro dell’attenzione non solo l’azionista o il cliente o il dipendente, ovvero tutti coloro che hanno un rapporto giuridico “forte” con l’azienda, ma anche tutti coloro che si rapportano in modo più o meno diretto con essa, considerandoli tutti, shareholder inclusi, portatori di interessi. È questa la novità importante: l’attenzione all’insieme degli stakeholder.

La società in cui viviamo può essere definita “una società degli stakeholder”, nella quale le persone si aggregano attorno ad un tema, ad un valore o ad un problema con la stessa velocità con la quale si disaggregano, si dissolvono per poi tornare ad unirsi attorno ad un altro tema, problema o valore. Nascono così i no-global, i partiti trasversali, i consumatori critici e solidali, le differenti correnti di pensiero che insieme formano “l’opinione pubblica”, ossia quella entità - “la gente” - con la quale l’impresa deve confrontarsi se vuole seguitare a crescere e prosperare nel medio e lungo termine in un ambiente in continuo cambiamento.

Qualcuno vede in tutto questo la rivincita della società civile sulla politica e sull’economia, un elemento di democrazia economica.

Episodi di capitalismo selvaggio, alcuni dei quali consumati nel pieno rispetto delle norme e delle leggi, hanno messo in luce alcune contraddizioni legate alla globalizzazione: il rispetto delle norme non è più sufficiente. Esse non sono uguali in tutto il mondo, non esiste ancora un ordinamento giuridico mondiale e quindi si vengono a creare spazi etici differenti. D’altra parte Lord Moulten affermava che la vera grandezza di una nazione si riconosce dall’ampiezza dello spazio della non esigibilità.

Tutto questo ha fatto sì che da una concorrenza sui prezzi e la qualità del prodotto ci si è spostati anche su una concorrenza sui comportamenti etici, ovvero anche sul “come “si produce” e questo è un elemento della responsabilità sociale.

In un contesto globalizzato, infatti, ed internazionale, dove non sempre allo sviluppo economico si associa anche quello umano, il controllo etico si perde. Gli stakeholder in un mercato circoscritto e definito sono in grado di decodificare chi si comporta bene e chi si comporta male, al di là del rispetto delle leggi, e di ispirare conseguentemente i propri comportamenti: ne danno un giudizio positivo o negativo, comprandone o meno i prodotti, sottoscrivendo o meno le azioni.

In altre parole, fino a quando il mercato era a misura d’uomo, la gente riusciva a farsi un’opinione sulle aziende degne di consenso e di fiducia, ovvero su quelle da emarginare. Ora, invece, in un mercato globale si perde il controllo del processo e così solo sulla spinta di una campagna pubblicitaria, o del sistema di bisogni, si compra un prodotto, senza sapere come è stato realizzato, se

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è stato fabbricato in un paese in via di sviluppo in cui è ammesso l’utilizzo del lavoro minorile, o se durante il processo produttivo si è contribuito ad inquinare il pianeta grazie a leggi locali meno rigide. Allo stesso modo quando si compra un’azione, e successivamente si incassa il dividendo, non si conosce il modo in cui quel profitto è stato realizzato. Attraverso, ad esempio, l’immissione di sostanze inquinanti nei fiumi, nei cieli e nei mari dei paesi dove questo è ammesso, condizionando pesantemente la qualità della vita delle generazioni future oltre che di quelle attuali, oppure tramite lo sfruttamento minorile o condizioni di lavoro che trascurano le norme sulla sicurezza per i dipendenti dell’azienda, o attraverso la discriminazione per razza, religione o sesso, o l’eliminazione dei diritti sindacali.

Ora, per effetto della globalizzazione, può capitare che una multinazionale, pur rispettando la normativa di un paese in via di sviluppo dove ha delocalizzato la produzione, non si trovi in “contrasto” con l’ordinamento giuridico del paese ospitante , ma con “i valori etici” del proprio paese di origine, ad esempio in materia di lavoro minorile o inquinamento.

Esiste, quindi, una concorrenza non solo tra imprese,ma anche tra norme e regolamenti dei vari paesi. Le imprese sono sensibili ai vantaggi o agli svantaggi competitivi che le differenti legislazioni possono generare su temi quali fisco, lavoro, qualità, sindacati, controllo dei prodotti, protezione dell’ambiente etc. In ogni caso, le imprese prediligono contesti di normazione poco estesa dove lo spazio per l’interpretazione dell’etica è maggiore.

Questo scenario “giustifica” l’azienda che decide, per mantenere il consenso dell’opinione pubblica del proprio paese d’origine, di adottare volontariamente comportamenti più restrittivi, ovviamente con costi maggiori, anche in paesi fuori dal suo, assumendo una condotta etica lì sconosciuta. In altre parole, la tendenza è allinearsi su una frontiera etica invece che giuridica e così dal liberismo degli anni ’60 - ’70 si diventa responsabili socialmente secondo i concetti della RSI degli anni duemila.

Il fenomeno anche se per certi versi non è nuovo, di certo è in continua progressione ed è legato prevalentemente a due elementi principali: il crescente livello di sensibilità e cultura sociale dell’opinione pubblica e l’accentuarsi dei fenomeni di globalizzazione. E’ necessario però che si verifichi una condizione ulteriore: la circolazione delle informazioni. Fino a quando ciò che accade in uno stabilimento del sud-est asiatico non è a conoscenza dell’opinione pubblica occidentale, è chiaro che le pressioni sull’impresa non ci sono: la gente non sa e quindi i comportamenti non risentono della conoscenza dei fatti. L’informazione, o meglio, la circolazione delle informazioni però oggi è agevolata sia dalla società della comunicazione sia dalle informazioni messe in circolo dalle associazioni dei consumatori, dei media e dalle organizzazioni per la tutela dei diritti umani sempre più attente al rispetto delle norme e dei comportamenti etici. Anche le aziende concorrenti giocano un ruolo importante: infatti, quelle che si sentono minacciate da altre aziende che adottano atteggiamenti non etici, con conseguente riflesso sui costi di produzione, non esitano a divulgare informazioni sui loro più diretti concorrenti in modo da richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica.

Queste sono le tante facce dell’etica e questo è ciò che avvenuto ripetutamente negli ultimi anni: aziende coinvolte in “scandali etici” che producevano in India ed in Asia facendo ricorso anche al lavoro minorile, ovviamente condannato dall’opinione pubblica occidentale. Il risultato è stato che quelle aziende, non appena la notizia è stata ripresa dai media, hanno registrato una contrazione delle vendite importante ed il crollo delle quotazioni del titolo alla borsa di New York.

In un contesto internazionalizzato un’azienda deve confrontarsi con differenti “sistemi di valori” e scegliere a quali pressioni rispondere: diviene essenziale predisporre una “gerarchia delle etiche” da osservare e rispettare.

Questo novo processo che vede scambiare non più solo prezzi e beni, ma anche informazioni e consenso colloca il tema del “rendere conto, l’accountability”, parte integrante di un orientamento etico alla RSI, come un elemento centrale del fare impresa. Render conto significa relazionare qualcuno su qualche cosa: l’impresa ha sempre contabilizzato e rendicontato il “quanto” (il risultato di esercizio); oggi, invece, per avere “diritto di cittadinanza”, occorre dar conto che sul “come” quello stesso risultato è stato raggiunto.

L’esigenza della rendicontazione sociale si manifesta, in alcuni casi, come elemento spontaneo e cioè di carattere etico; in altri, come elemento “spintaneo” e cioè richiesto dal mercato e dai principi di autoregolamentazione. Tuttavia, tracciando l’articolazione della responsabilità sociale d’impresa nel tempo, molti autori sono concordi nell’affermare come essa non sia un elemento nuovo, ma semplicemente il frutto di un’evoluzione continua.

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Se la geometria del valore cambia e ci si rende conto che non esiste solo il valore economico, ma esiste anche un valore sociale, ci si rende anche conto che servono elementi nuovi di misurazione per “catturare” questo valore sociale creato e rendicontarlo all’esterno dell’impresa.

Nasce l’esigenza di una rendicontazione sociale che è importante perché implica l’esistenza di sistemi di misurazione: non si può infatti rendicontare ciò che prima non si è misurato e misurare consente di gestire e quindi migliorare. In economia di azienda si afferma spesso che l’elemento che non si misura non si gestisce e non si migliora. Ora, se la ricaduta sociale è un elemento importante della RSI, per essere gestito è necessario che sia misurato.

Qui il tema si colloca nell’ambito delle poste intangibili della gestione aziendale. I comportamenti etici, il valore delle conoscenze, il valore del consenso e della reputazione sono tutti elementi intangibili che contribuiscano in maniera determinante al successo di un’azienda. Nessuna porzione di tale contributo però viene contabilizzata e misurata.

La geometria del valore è cambiata perché sono cambiati i valori, o meglio se ne sono aggiunti altri: così a quelli economici si sono aggiunti anche i valori sociali. In questo passaggio sono cambiati anche i soggetti destinatari dell’informazione: dai soggetti storici (azionisti, fornitori, banche e mercati finanziari) si passa alla società civile nel suo insieme, il tutto in un’ottica non più di breve periodo ma di medio-lungo termine.

L’attimo in cui si intravede la possibilità di misurare e comunicare in aggiunta al valore economico prodotto da una impresa, anche il valore sociale da essa prodotto si apre immediatamente un varco per interrogarsi sul valore sociale prodotto dalle strutture non profit e dalle amministrazioni pubbliche che sono tutto tranne aziende globalizzate e delocalizzate.

Per effetto della globalizzazione delle aziende profit il tema dell’etica, della RSI e dell’accountability ad esse collegate, si sposta verso il settore non profit , pubblica amministrazione inclusa. In questa ottica è possibile affermare che la rendicontazione sociale sul valore sociale prodotto è “l’unica e vera rendicontazione possibile” per una struttura non profit. Il parallelo con la struttura profit oriented è immediato. In essa la gestione caratteristica si presta ad essere catturata dalla rendicontazione contabile. Viceversa, la cosiddetta “attività sociale” costituisce normalmente oggetto della gestione non caratteristica e viene eventualmente catturata dalla rendicontazione sociale -intesa come Bilancio sociale - quando essa viene realizzata e proposta.

Nella struttura non profit, ivi incluse le pubbliche amministrazioni, la situazione è rovesciata: la rendicontazione sociale è l’unica rendicontazione che abbia un senso preciso, una utilità specifica.

Infatti, i comportamenti etici dell’impresa profit comunicati attraverso i vari strumenti di rendicontazione, bilancio sociale in testa, servono a dimostrare quanto l’impresa sia socialmente responsabile, quanto è etica, e questo serve ad essa per ottenere e gestire il consenso e quindi creare un ambiente favorevole allo sviluppo degli affari inteso come effetto sulle vendite o sulle quotazioni in borsa.

Ma all’azienda non profit che è già responsabile ed etica per definizione a che cosa serve rendicontare questa sua eticità? Serve a legittimarsi a raccontare i risultati ottenuti con i fondi raccolti presso la società civile e, quindi, attraverso il consenso creato con i risultati conseguiti continuare a finanziarsi. Per la azienda non profit l’etica consiste nel dichiarare in modo chiaro e rendicontare in maniera altrettanto chiara non che cosa ha fatto di più di non richiesto, come nel caso della azienda profit, ma nel comunicare come ha interpretato la propria missione istituzionale e rendicontare i risultati ottenuti. Nion a caso il suo bilancio si chiama bilancio di missione

Differente è la situazione per la pubblica amministrazione. Essa non può fare qualche cosa di più di non richiesto dalle norme per essere etica, sarebbe perseguibile dalla magistratura competente, e allora in che cosa consiste l’essere etico, dal momento che per sua natura è già responsabile socialmente? L’etica può esse interpretata solo nella capacità della risposta alla domanda più o meno latente dell’opinione pubblica. In altre parole l’etica si colloca non nel che “cosa fare” che è fissato per legge, ma nel “come” farlo e li i comportamenti hanno un peso.

Ovviamente con i risultati ottenuti con quel diverso modo di fare potranno essere oggetto di rendicontazione ed in questo caso l’accountability serve sempre a gestire il consenso in cambio di informazioni, ma a differenza del profit che serviva per vendere di più, o nel no profit che serve per raccogliere più fondi, nella PA serve a legittimarsi agli occhi degli elettori e quindi a guadagnare voti, appunto consensi.

Tutto quanto fino a qui accennato, spiega lo sviluppo che i bilanci sociali hanno registrato negli ultimi anni sia nel settore delle aziende profit, non profit ed pubbliche amministrazioni. La finalità è

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quella di raccontare quanto si è etici, quanto si fa oltre ciò che la norma richiede, mala lo scopo è giustamente diverso.

La conclusione è che stiamo assistendo ad un fenomeno vecchio, l’etica della gestione di impresa, che si presenta oggi con stilemi nuovi perché nuovi sono i contesti e gli scenari.

L’etica paga, paga per l’impresa profit, paga per quella non profit e paga per le pubblica amministrazione. Paga con monete diverse, ma paga.

Un soggetto nuovo lo stakeholder, colui che crea consenso, reputazione e fiducia, valori intangibili dell’azienda si appresta a giocare un ruolo nuovo ed importante direttamente proporzionale alla crescita della sensibilità dello stesso a certi temi di dominio comune.

L’azienda profit, che si preoccupava di gestire correttamente i suoi clienti, i fornitori le banche, o l’azienda non profit che gestiva attentamente le relazioni con suoi finanziatori o beneficiari, o l’azienda pubblica un tempo attenta all’elettorato ed alla classe politica, ora dovranno tutte cominciare a considera attentamente i comportamenti dei loro stakeholder, i soggetti portatori di interessi. Dovranno saper distinguere tra quelli che sono interessati all’attività e quelli che la possono influenzare fortemente, tra quelli che creano un supporto da quelli che creano un consenso. Gli stakeholder, infatti, sono i “clienti di domani” o almeno rappresentano il liquido amniotico dove vengono incubati i protagonisti della gestione nel futuro: quelli che assicurano nel medio lungo periodo la permanenza sul mercato.

Con l’orientamento ai comportamenti etici gli stakeholder cambiano ruolo e giustamente: essi si trasformano da semplici spettatori, soggetti passivi, come erano nel passato, in attori primari della gestione di impresa, partner attivi del processo di creazione del valore. Con il loro consenso possono decretare il successo o l’insuccesso di una impresa

Con l’orientamento all’etica le aziende assumono un’ottica di medio e lungo periodo e ci si augura tutti che alla crescita del PIL economico possa corrispondere presto anche la crescita di un PIL sociale, declinato in tutte le sue varianti.

Una società che produce solo redditi, affermava Ford in pieno liberismo economico, è alla fine un società povera. Tale affermazione ancora più valida oggi.

Dott. Emidio Valentini

Ringrazio nuovamente i partecipanti a questa tavola rotonda per il loro qualificato contributo su “prospettive e proposte per una PA al servizio dei cittadini”Eviterò i commenti a ciascuno intervento e mi limiterò a passare la parola ed il microfono.In compenso mi prenderò un poco più di tempo nella conclusione.Prego quindi il prof. Gianfranco Rebora di dare il suo contributo di accademico ma anche di profondo conoscitore delle quotidianità nelle amministrazioni pubbliche.Prof. Gianfranco Rebora(Rettore Università LIUC - Castellanza)

E’ positivo che si sia aperta questa discussione, probabilmente non c’era altro modo di sollevarla che con una provocazione come quella di Ichino perché se si va a dire che le cose vanno bene evidentemente non si fa notizia.Credo quindi non ci sia l’intenzione di incentrare tutto, da parte di nessuno, sul discorso dei fannulloni.Sappiamo tutti che il problema centrale non è quello del licenziamento. Per esempio, il FEPA è andato avanti in una logica diversa, molto più positiva, ha ottenuto risultati coinvolgendo, facendo change management. Gestire il cambiamento è il punto che credo fondamentale (vedere allegato n. 2 pag 105) Abbiamo visto quanto è successo con la questione dei contratti di lavoro del pubblico impiego.I CCNL del periodo 1994-97 e poi quelli delle successive tornate hanno cercato di operare una svolta: aumenti nei limiti dell’inflazione programmata, niente automatismi, istituti normativi analoghi al settore privato, limiti all’ingerenza dei sindacati nelle questioni di organizzazione, introduzione del principio della valutazione della qualità delle prestazioni con premi retributivi, contratti distinti per i dirigenti, il cui rapporto di lavoro può essere rescisso più facilmente e le cui retribuzioni sono legate alla posizione e al risultato. Da questo punto di vista anche il linguaggio conta: per fare un piccolo

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esempio, ora anche per il dipendente pubblico si parla di ferie, permessi, licenziamento, come per tutto il mondo lavorativo, mentre sono andati in soffitta i vecchi termini come congedo e destituzione.Le buone intenzioni dei riformatori si sono tradotte anche in azioni, in interventi reali : molti enti hanno avviato e compiuto veri processi di riorganizzazione, hanno inserito nella proprie strutture figure, esperienze, culture di tipo nuovo. Negli enti locali e nella sanità soprattutto, i nuovi ruoli di direttori generali con contratti a tempo determinato hanno in molti casi aperto la strada a un rinnovamento dei gruppi dirigenti professionali che è stato alla base di percorsi interessanti di cambiamento organizzativo.Appena terminata la nuova costruzione si è però subito cominciato a perdere qualche pezzo. Una riforma che era nata in condizioni di emergenza si è rivelata forse scomoda e limitativa per molti degli attori coinvolti; così i politici, soprattutto negli enti locali, si sono trovati stretti nel ruolo di chi dà gli indirizzi e non interviene direttamente nella gestione; molti dirigenti non tanto motivati ad esercitare gli stessi poteri del ”privato datore di lavoro”; i lavoratori stessi perplessi di fronte ai nuovi strumenti del management pubblico, budget, obiettivi, progetti, schede di valutazione, spesso utilizzati rozzamente, o da mani inesperte.Così, la prassi diffusa negli enti, la pratica reale di gestione del personale e delle relazioni sindacali, la motivazione ed il coinvolgimento della maggior parte del personale, il clima organizzativo generale non sembrano, almeno a chi osserva dall’esterno, tanto cambiati, se non sono addirittura irretiti nelle logiche di sempre; mentre i punti di reale e più convincente innovazione restano ancora minoritari.Si badi ancora a quanto è avvenuto con la formazione. Prima avevamo il pericolo della formazione apparente, comune del resto anche al mondo delle imprese: giornate d’aula, docenti che parlano, funzionari che ascoltano e discutono, poi, usciti dall’aula, nessuna ricaduta reale. Era però una formazione che si faceva in piccole dosi e probabilmente un minimo di significato l’aveva. Ora la formazione è divenuta la ricetta universale, spinta a dosi massicce da programmi e finanziamenti governativi che guardano ai grandi numeri, alla quantità, e molto poco alla qualità dei processi di apprendimento. Una valanga che si è abbattuta soprattutto sugli enti del sud, con i formatori che rincorrono i funzionari per portarli in aula, attraverso i programmi del fondo sociale, il Formez, la scuola superiore della P.A., la scuola dei segretari comunali, i tanti enti pubblici privati e consortili costituiti anche nelle realtà territoriali. Dalla formazione apparente, alla formazione a valanga, se non alcune volte alla formazione spazzatura.In questo contesto si colloca anche la difficoltà di assorbire un linguaggio improprio, come quello dell’aziendalizzazione, che si vorrebbe applicata alla sanità, agli enti locali, financo alla scuola. In passato ho cercato di dare un contributo di chiarimento (G. Rebora, Un decennio di riforme, Guerini e associati, Milano, 1999).Come sempre i neofiti sono pericolosi, estremizzano, fraintendono, diventano più realisti del re. E rischiano di alimentare il rigetto anche di quanto è valido e necessario.I rischi di un cedimento delle linee di riforma sono aumentati come si vede intorno alle relazioni sindacali, con incrinature forti nel perseguire il disegno di innovazione e di rigore che inizialmente appariva accettato. Ricordo i negoziati del 1995 e 1996, quando facevo parte dell’ARAN nel periodo appena successivo alla sua fondazione: allora eravamo veramente l’interlocutore delle forze sindacali e riuscimmo a chiudere contratti difficili senza subire condizionamenti esterni. Ora la fase di trattative esterne all’Agenzia è divenuta preponderante, mentre non solo Palazzo Vidoni e la Presidenza del Consiglio, ma anche ministeri di settore come Istruzione e Sanità diventano gli ambiti di negoziazione principali e l’Aran finisce per gestire solo la fase terminale.Le conseguenze non sono solo concessioni economiche più elevate, ma soluzioni che spesso contraddicono principi e linee forti della riforma, con l’ingerenza sempre maggiore dei sindacati su questioni organizzative di competenza del datore di lavoro e con il sacrificio sempre più spinto delle somme destinate alla retribuzione variabile e al premio dei lavoratori più validi. I nuovi istituti contrattuali, che accorpano i vecchi livelli di inquadramento in 3-4 categorie e consentono di gestire le progressioni di carriera superando le rigidità dei tradiziionali sistemi di concorso pubblico, hanno finito per tradursi in un generalizzato privilegio del personale già inserito; penalizzando invece l’acquisizione di nuove professionalità dall’esterno e la valorizzazione dei giovani.Ma il problema non è solo la propensione a concedere di governi deboli, o l’opportunismo dei sindacati. Più in profondità sembra di cogliere un rigetto che coinvolge forze estese della nostra società, e forse un sentire comune, verso una prospettiva di meritocrazia nelle organizzazioni, forse non solo quelle pubbliche. In genere, il principio della valutazione dei risultati, e quello conseguente

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di differenziare le retribuzioni in base al merito, viene accettato a livello superficiale, di primo enunciato: come opporsi a un principio tanto ragionevole? Ma quando si comincia a realizzarlo davvero, le resistenze diventano forti, non sono mai palesi e aperte, ma riescono in modo strisciante e tortuoso a svuotarne l’applicazione.La riforma è andata molto avanti nel tradurre i principi generali in norme, discipline, istituti contrattuali; ha operato forzature. Alla fine nel momento applicativo si scopre forse di avere corso troppo in fretta. I cedimenti non sono solo del Governo, ma coinvolgono pesantemente gli enti locali, le regioni, le università e le altre autonomie. E non vi è in questo particolare riflesso del colore plitico delle aministrazioni.Non siamo certamente ancora all’anno zero, ma sicuramente esiste una situazione a macchia di leopardo, molto eterogenea.

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Voglio toccare un punto solo molto importante della proposta di Turci e altri: la proposta di legge ha il suo significato,ma il punto centrale consiste a mio parere nella questione della trasparenza.Pietro Ichino queste cose le ha dette molto chiaramente, che è importante che i dati siano conosciuti, siano accessibili a tutti, ai cittadini, ai ricercatori, non siano tenuti segreti, questo è di grande importanza. Faccio un parallelo con un mondo che conosco, quello dell’Università. C’è una differenza fra quanto è avvenuto nel comparto Università e negli altri comparti, che abbiamo messo in luce con alcuni colleghi anche in un articolo su una rivista internazionale che compara la storia dei nuclei di valutazione in Italia tra i diversi contesti. Non è che l’Università sia gestita meglio di altri enti, perchè poi subentrano altri problemi. Ma nell’Università i nuclei di valutazione hanno comunque fatto un lavoro, slegato dalle retribuzioni, che non ha nessun effetto sulle retribuzioni, molto intenso. Ma, soprattutto i rapporti dei nuclei di valutazione sono accessibili, sono trasparenti, sono accessibili a tutti su Internet, perché lo prevede la legge.Ci sono poche differenze nella legge, fra l’università e le altre amministrazioni per quanto riguarda la valutazione. Ora si farà una agenzia di valutazione, ma già negli ultimi 10 anni c’è stato un progressivo affinamento, le tecniche e le metodologie impiegate sono molto avanzate.C’è anche un discorso europeo, ci si confronta con l’Europa. Ora abbiamo sui siti nazionali i risultati delle valutazioni che gli studenti stessi hanno fatto dei corsi e dei docenti. In una mia facoltà il Preside mi diceva: “Ma io sono perplesso, ci sono le schede di valutazione dei corsi, però non le faccio girare in facoltà, perché c’è la privacy, insomma non è giusto che...”Gli dico: “Ma guarda che se tu ti colleghi sul sito, trovi esposti i risultati della tua facoltà perché li abbiamo trasmessi al Ministero che li ha messi sul sito.”Quindi magari la gente non lo sa, ma questa cosa esiste, questa trasparenza in qualche misura funziona.E’ un aspetto che può dare un contributo, che consente ad altri di agganciarsi.I nuclei di valutazione dei Comuni e delle Amministrazioni Pubbliche invece esistono, ma sono centrati tutti sulle attività legate alle gestione dei contratti e alla gestione delle retribuzioni, dei dirigenti in particolare.Quindi i signori che compongono il nucleo di valutazione vengono chiamati in causa soprattutto per avallare le soluzioni sull’utilizzo dei fondi contrattuali, in assenza quasi totale di trasparenza. Nessuno conosce i loro referti se non i diretti interessati.I nuclei sostanzialmente aiutano a gestire le retribuzioni e lo fanno con delle modalità variegate, in alcuni casi anche serie, sicuramente. Sono però organismi che fanno capo agli organi dell’Amministrazione, che evidentemente non possono avere grande autonomia.Se i nuclei facessero dei referti sui servizi e questi fossero pubblici, ciò metterebbe in movimento le cose molto di più.Dei referti fatti da tecnici seri, in ottica di miglioramento, dovrebbero essere considerati seriamente, non solo dai cittadini, ma proprio dallo stesso mondo politico che esprime la sua voce sia a livello locale che a livello nazionale.Il discorso sull’eventuale agenzia lo vedrei soprattutto collegato alla trasparenza e ad una reimpostazione dei nuclei di valutazione, che credo non sarebbero da abolire, ma da rapportare ad un ruolo più chiaro che superi le ambiguità di oggi. C’è da chiedersi anche se un legame troppo stretto con le retribuzioni alla fine non diventi un elemento inquinante. E’ un punto che meriterebbe più attenta riflessione.

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On. Lanfranco Turci(Camera dei Deputati, primo firmatario della proposta di legge sull'Authorityvper l'impiego pubblico)

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Ringrazio di questa occasione e in particolare ringrazio Emidio Valentini, ringrazio il Comune di Rimini per l’occasione di poter presentare ad un pubblico qualificato, come quello presente e rappresentato in questo convegno, l’iniziativa legislativa che, come è stato ricordato, prende il via proprio in questi giorni, perché è di questi giorni la presentazione contemporanea alla Camera e al Senato.

Al Senato l’iniziativa è stata presentata dal collega Polito e parte con le firme dei massimi rappresentanti de L’Ulivo, cioè del gruppo composto dai DS e dalla Margherita. Alla Camera abbiamo seguito un percorso in parte diverso perché ci siamo mossi fin dall’inizio presentandolo con una partecipazione bipartisan, nel senso che tra i firmatari - proprio ieri sera abbiamo depositato il modulo definitivo – sono presenti sia parlamentari del centrosinistra, sia parlamentari dell’UDC, di AN e di Forza Italia.

Ci siamo mossi in questa direzione alla Camera anche perché siamo convinti che iniziative come questa più sono dotate in partenza di una base di consenso ampio e trasversale, più hanno qualche possibilità, fra le poche che naturalmente hanno, di giungere ad uno sbocco e ad una conclusione, considerando anche altri precedenti come le Leggi Bassanini che furono approvate a loro tempo con un voto trasversale in Parlamento e considerando anche che, in qualche modo, leggi come queste hanno l’ambizione di collocarsi su un terreno quasi istituzionale. Non le voglio paragonare alle riforme costituzionali vere e proprie per cui si teorizza, anche se poi non si riesce a praticare il metodo della ricerca preventiva dell’intesa fra le varie parti politiche; non voglio neanche confrontarle con la riforma della legge elettorale, su cui pure c’è una ricerca di tipo, appunto, bipartisan, ma i criteri della Pubblica Amministrazione della qualità, dell’efficienza, della trasparenza della Pubblica Amministrazione e le eventuali istituzioni di un’autority deputata a questo fine, si possono ritenere in quell’ambito di tematiche su cui un confronto preliminare e anche un eventuale consenso preliminare dell’uno e dell’altro schieramento, possano ritenersi del tutto fisiologici e non espressione di una qualche sorta di spirito compromissorio.

Detto questo, questa non è una proposta che avrà una vita facile, ne siamo pienamente consapevoli, perché non solo consensi hanno ottenuto i temi, che iniziarono a circolare con la polemica estiva del professor Ichino su Il Corriere della Sera. Tali temi hanno anche sollevato immediatamente forti reazioni, diffidenza e, in qualche modo, un atteggiamento che tende, preliminarmente, a bloccare il tutto con l’argomento “Si vuole istituire l’ennesima autority proprio mentre il Governo deve razionalizzare le esistenti...”.

È di ieri l’adozione di una proposta di legge del Governo proprio per riordinare le autority esistenti e “Voi andate a proporre un’ennesima autority”. Considerato che non tutte le autority godono di uguale stima e che è facile comunque mettere genericamente un discorso qualunquistico sulle autorità all’interno di un più generale discorso qualunquistico sulla Pubblica Amministrazione, sulla politica, sullo stato della cosa pubblica è evidente che questo diventa un filo di opposizione non fortemente argomentato, ma di facile presa nell’opinione pubblica e anche in quella parte di interessi politici e sociali tesi a non cambiare la situazione esistente.

Le premesse di queste iniziative di legge, lo ricordavo prima, hanno una loro origine in quella serie di articoli che il professor Ichino pubblicò in agosto, quindi fra l’altro in un momento non certo tra i più adatti per sollevare dibattiti pubblici che invece poi ebbero un riscontro enorme nel paese, nell’opinione pubblica, nelle polemiche che ne seguirono e in particolare nell’articolo che mi pare s’intitolasse: “Licenziare i fannulloni nella Pubblica Amministrazione.”

Ichino è partito da quello che, nel libro che ha pubblicato successivamente (in cui per altro sono pubblicate molte delle lettere arrivate a Il Corriere della Sera a seguito di questi articoli ha detto) ha riconosciuto lui stesso “Io ho sollevato un tema che potremmo definire politicamente scorretto, perché nell’abitudine al politicamente corretto che abbiamo importato dagli Stati Uniti, in generale, si usano parole più felpate, si usano linguaggi più morbidi, si dicono le cose con molte più perifrasi di quelle che non sono state utilizzate in quell’approccio giornalistico.” E tuttavia, quello che poteva sembrare ciò che qualche sindacalista definì un colpo di sole estivo, ha messo in moto una discussione molto forte.

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La cosa interessante e che ci tengo a sottolineare, è che nella massa di lettere di commento che sono arrivate in particolare alla direzione de Il Corriere della Sera, e poi anche per altri canali, ma soprattutto a Il Corriere della Sera, che ha tenuto aperto la questione pubblicando altri articoli, repliche e commenti, sono arrivate un migliaio di lettere; però mi è stato fatto notare che molte di quelle lettere venivano da dipendenti pubblici e molte esprimevano consenso al professor Ichino. Mentre ci si sarebbe aspettati la critica come solito attacco qualunquistico ai dipendenti pubblici identificati banalmente come nulla facenti – in realtà non era questo né lo spirito né la lettera di quell’articolo – lo spirito e la lettera sono stati compresi molto più ampiamente di quello che non ci si potesse aspettare, proprio andando a vedere le lettere che sono arrivate, andando a vedere i molti casi di lettere in cui dipendenti pubblici non solo esprimevano consenso con la tesi del professor Ichino, ma descrivevano, portavano testimonianze, di specifiche situazioni in cui quei dipendenti pubblici erano, in qualche modo, coinvolti per la loro attività di lavoro, in diverse regioni d’Italia, in diversi comparti della Pubblica Amministrazione.

Questo è un dato importante perché aiuta a capire che lo spirito, prima di questa polemica e poi dell’iniziativa di legge che ne abbiamo tratto, non è banalmente uno spirito contro la Pubblica Amministrazione e in particolare contro i dipendenti pubblici; tantomeno si può dire che l’iniziativa tenda a mettere sotto accusa magari l’usciere che fa una funzione inutile e che invece lascia fuori dalla discussione, o dal fuoco dell’attenzione, la dirigenza.

In verità, questa è un’iniziativa che vuole mettere una particolare attenzione sul funzionamento della Pubblica Amministrazione a tutti i livelli, senza pregiudizi a favore o disfavore di questo o quel pezzo della Pubblica Amministrazione o delle responsabilità interne alla Pubblica Amministrazione, con l’obiettivo, certo anche di andare a scoprire le sacche di inefficienza e anche di penalizzare le situazioni effettive e concrete di disimpegno, di assenteismo nella Pubblica Amministrazione; ma l’altra faccia della medaglia è, invece, la premiazione, il ripristino di criteri meritocratici, un’articolazione dei premi di produttività o della parte variabile del salario o degli stipendi legati ai rendimenti a tutti i livelli e quindi, in questo senso, anche un rilancio del prestigio dei dipendenti pubblici.

Perché i dipendenti pubblici che lavorano, e sono la grande maggioranza, sono danneggiati in due modi dai fenomeni e dai casi denunciati dal professor Ichino.Sono danneggiati in termini economici, perché come sappiamo, sostanzialmente, il trattamento salariale è indifferente ai livelli effettivi di impegno del lavoratore pubblico, la prassi è quella che, a rotazione, il 25% all’anno tutti ricevono alla fine quello che vogliamo chiamare premio di produttività o parte variabile del salario. Contemporaneamente, l’esistenza di sacche di inefficienza, alimenta un giudizio generico e qualunquistico sui dipendenti pubblici che colpisce anche la grande maggioranza dei dipendenti pubblici che fanno il loro lavoro correttamente. Lo spirito della legge va interpretato correttamente. Detto questo, sullo spirito dell’iniziativa, da quella che era la polemica estiva sui nulla facenti nella Pubblica Amministrazione, attraverso un lavoro fatto con diversi studiosi, in particolare l’estensore materiale di questa proposta di legge è il professor Mattarella che insegna diritto amministrativo all’Università di Siena, abbiamo costruito un progetto, naturalmente che va ben oltre quello che poteva essere un manifesto estivo, “licenziamo che non fa niente”. Per questo, teoricamente, non c’era neanche bisogno di una legge, basterebbe applicare la normale normativa disciplinare, che pur esiste ma non trova quasi mai applicazione nella Pubblica Amministrazione. Mi dicono che i casi di dipendenti pubblici negli ultimi dieci anni licenziati si contano sulle dita di una mano.

[…]

No, la prendo esattamente come un contributo. Comunque devo dire che sono stati pubblicati, dopo quella polemica, parecchie lettere,

parecchi articoli; grandi smentite, non ne ho viste. Ricordo ancora gli articoli su Il Corriere della Sera di Giannantonio Stella e di mi pare Rizzo, dei giorni scorsi che esponevano i casi famosi e clamorosi, che non sono stati assolutamente smentiti. Ma al di là di questo, non possiamo dire oggi che la prassi dell’attuazione delle normative disciplinari vigenti trovi un riscontro particolarmente diffuso nella Pubblica Amministrazione.

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Se è così, vuol dire allora che tutta la polemica estiva è infondata e non si capisce come tanta gente sia caduta in una trappola così chiaramente infondata come quella innescata dal professor Ichino.

Ora, dicevo però, che questo tema è diventato solo un tassello di un ragionamento più vasto, più ampio, che abbiamo cercato di costruire con questa proposta di legge ed è quindi sulla proposta di legge nel suo insieme che io vorrei, a questo punto, soffermarmi.Noi prevediamo l’istituzione di un’autority e questo so bene che solleva la discussione, appunto, per quello che ho detto e premesso in partenza. Naturalmente poi, come si vede dalla proposta di legge, siccome prevediamo la soppressione di tre altri organismi esistenti, dal punto di vista di impatto, se vogliamo stare al discorso l’autority costa e tutto il resto, la questione in sé si potrebbe facilmente bandire, mettere da parte perché non ha una particolare rilevanza. Si tratta di vedere se l’autority sia lo strumento giusto o meno, o se invece non debbano bastare i comitati interni come quello che c’è alla Presidenza del Consiglio dei Ministri o altri organismi come questi.

Noi abbiamo pensato all’autority perché pensiamo che ci sia bisogno per fare penetrare fino in fondo la cultura della valutazione nella Pubblica Amministrazione, che è il primo obiettivo di questa proposta di legge.

Per dare attuazione concreta a quei nuclei di valutazione già previsti dalla Bassanini, ma solo in parte realizzati nei vari comparti della Pubblica Amministrazione e in alcuni casi però assorbiti in una routine non particolarmente efficiente, c’è bisogno di qualcosa che abbia una propria e forte capacità anche istituzionale, che abbia una sua autonomia anche dalla politica corrente e dai possibili vincoli della politica e aiuti progressivamente a far penetrare nella cultura della Pubblica Amministrazione i criteri della valutazione, i criteri della meritocrazia e i criteri della trasparenza. Questi sono gli obiettivi dichiarati. Premetto subito, perché questa è un’accusa troppo facile se la proposta di legge si prestasse a questo, che nessuno di noi pensa che le cento persone in dotazione dell’autority nazionale siano quelle che controllano 3 milioni e trecentomila dipendenti, perché è stato detto anche da qualche sindacalista: ”Ma voi volete mettere lì cento persone con la pretesa di andare a controllare?” Non esiste...

Noi pensiamo che il compito dell’autority consista nell’effettiva attivazione dei nuclei di valutazione. La legge prevede espressamente l’autonomia dei nuclei di valutazione, cosa che in questo momento credo non sia particolarmente affermata. La legge prevede che l’autority aiuti a far penetrare nella prassi italiana anche le esperienze straniere.

Il professor Ichino dichiara di aver studiato tale esperienza soprattutto alla luce dei modelli offerti dai paesi nordici. L’esperienza oggetto dell’analisi consiste nelle verifiche puntuali dell’efficienza e della produttività dei singoli comparti e anche dei singoli dipendenti della Pubblica Amministrazione; soprattutto del rendiconto pubblico, dialettico dei risultati di queste valutazioni perché una delle previsioni di questa legge è che ogni nucleo di valutazione, insieme alla dirigenza dei vari comparti, renda conto pubblicamente, annualmente dei risultati di queste verifiche, di questo riscontro della produttività e dell’efficienza e ne dia conto in un dibattito pubblico con gli stakeholder della Pubblica Amministrazione, cioè con le categorie di cittadini, dei consumatori, nonché con il mondo degli studiosi, con la stampa specializzata a vario titolo interessati all’efficienza di questo o quel comparto della Pubblica Amministrazione.

Quindi il concetto e il criterio della pubblicità è l’altro elemento di fondo che noi abbiamo inserito in questa proposta di legge.

In sostanza, proviamo a prendere un esempio banale: prendiamo il servizio dei Vigili Urbani in una grande città o in una media città.

Se noi avessimo un nucleo di valutazione che non solo controlla con continuità, con periodicità il funzionamento di questo servizio e che quindi, su questa base, è anche in grado di intervenire per vedere eventualmente anche i carichi di lavoro, tutte le cose connesse, ma questo nucleo di valutazione rendesse conto anche pubblicamente, almeno una volta all’anno, alla cittadinanza, alle categorie interessate – possiamo metterci i commercianti forse come una delle prime categorie interessate, ma non sono gli unici, sono tanti i pezzi della cittadinanza interessati – al fatto che magari nelle grandi città si trovano i Vigili Urbani molto numerosi in centro, ma ci sono intere periferie che non vedono un vigile urbano; tutto questo diventa oggetto di un dibattito pubblico.

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Possiamo immaginare che il ritorno sia sicuramente un miglioramento della Pubblica Amministrazione attraverso l’input, non solo sull’organizzazione, ma sui politici e sui politici che devono rispondere a dei risultati, a delle azioni per cui sono stati eletti e di cui hanno per primi la responsabilità.

Ecco, questo è sostanzialmente lo spirito di questa legge. Siccome parliamo di una materia complicatissima, naturalmente la legge, oltre ad istituire l’autority, prevede tre deleghe legislative abbastanza articolate nei criteri, ma soprattutto che richiederanno un forte lavoro dell’esecutivo per tradurre in decreti legislativi questi principi. La prima riguarda la materia della valutazione del rendimento del personale e degli uffici pubblici; la seconda, ed è la più complessa, riguarda la materia della responsabilità dei dipendenti nelle pubbliche amministrazioni; la terza riguarda i criteri di retribuzione dei dipendenti pubblici, fra i quali segnaliamo in particolare che noi prevediamo che la parte legata al risultato nelle retribuzioni dei dirigenti non debba essere inferiore al 30% del trattamento complessivo.

Nella parte relativa alle responsabilità dei dipendenti pubblici, facciamo un’inversione abbastanza importante, secondo noi, in confronto alla normativa vigente. Mi dicono, poi lei mi correggerà come mi ha corretto prima per i dati della Sanità, che uno dei disincentivi all’applicazione della normativa disciplinare anche estrema, compresa quella del licenziamento dei dipendenti pubblici, è che il dirigente che eventualmente abbia deciso quel licenziamento, nel caso poi il giudice, per le ragioni più varie – a volte anche perché si è messo una mano sul cuore, come è successo in casi documentati – dice: “No, non possiamo licenziare quello anche se magari ha buttato la posta nel cestino perché comunque in fin dei conti è la prima volta, è un padre di famiglia...” quel dirigente, nel caso di reintegro del dipendente, potrebbe essere chiamato dalla Corte di Conti a ripagare gli anni di necessario rimborso dello stipendio perduto. Parliamo di anni perché come al solito la sentenza arriva dopo anni, non arriva dopo due settimane.

Noi invertiamo il meccanismo, noi diciamo che in questo caso la responsabilità dei dirigenti ci sarebbe solo in caso preciso di dolo, cioè se si dimostrasse che c’è stata una persecuzione nei confronti di quel dipendente pubblico. Se non c’è dolo, il dirigente anche se ha sbagliato, non può essere chiamato a rispondere personalmente, perché voi mettetevi nei panni di un dirigente – da quello che ho capito qui ci sono vari comparti della Pubblica Amministrazione – mettetevi in una situazione scomoda in cui prendendo questa misura ti crei la contrarietà dei sindacati, ti crei potenzialmente nel tuo comparto, nel tuo ufficio, nel tuo dipartimento una situazione di ostilità di una parte, almeno, dei dipendenti perché sentono in quella minaccia, una minaccia magari di tipo più generale. Magari ti trovi anche che il Sindaco, o l’Assessore, se parliamo di un Comune, o il Ministro o qualcuno, se parliamo di un qualche pezzo di Pubblica Amministrazione: “Ma scusa chi te l’ha fatto fare, perché dobbiamo disturbare le cose? Lasciamole un po’ quiete non movere.”

Ma qual è l’incentivo che ha oggi un dirigente ad utilizzare, con la necessaria fermezza, i criteri disciplinari? Il problema è se cambiamo questi meccanismi e anzi noi, in questa parte di delega, prevediamo invece che il dirigente sia chiamato a rispondere nel caso mantenga nel suo ufficio situazioni di soprannumero non giustificato, di personale non utilizzato, o non prenda le misure sui singoli dipendenti per cui esiste provata documentazione della necessità di misure.

La parte più ampia di questa delega legislativa riguarda quella che sia chiama valutazione del rendimento del personale dei pubblici uffici. Noi prevediamo che fra i criteri di questo decreto legislativo ci sia la valutazione di tutto il personale pubblico con periodicità definita, in via generale, per categorie di personale: “La definizione da parte delle autorità dei requisiti per il personale addetto al controllo di gestione e alla valutazione dei dirigenti” cioè qui occorre poi, a proposito di scuole, pensare anche che non è che valutatori si nasce, valutatori si diventa sulla base dello studio e delle esperienze, ma sulla base anche di formazione, di scuole e di tutto quello che occorre. “Definizione da parte delle autorità di indirizzi, requisiti, criteri di indipendenza per l’attività di valutazione degli uffici. Pubblicità e trasparenza delle valutazioni operate da ciascuna Amministrazione.”

Ecco che la questione famosa dei fannulloni si può ricondurre a tre lettere di questa delega: individuazione, da parte delle Amministrazioni, anche sulla base delle segnalazioni dell’Autorità, del personale in esubero; responsabilità erariale dei dirigenti degli uffici in caso di mancata individuazione delle unità in esubero.

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Secondo punto, di questo titolo che sto citando: “Individuazione nominativa, da parte dell’Autorità o delle Amministrazioni, delle unità di personale le cui prestazioni risultano di utilità minima o nulla per l’Amministrazione a causa di grave e colpevole inefficienza o incompetenza professionale; collocamento a disposizione delle unità di personale individuate ai sensi delle lettere h) e i) con mantenimento della componente fissa del trattamento economico ed esclusione degli aumenti retributivi. Da qui la successiva messa in mobilità di questo personale, o perché è in esubero o perché individuato come personale di non utilità e causa di grave e colpevole inefficienza.”

Questi sono alcune dei contenuti della proposta di legge che ho detto. Proposta di legge e memorandum, rapidamente. I sindacati hanno preso una posizione molto dura nei confronti della proposta di legge,

arrivando a dire che se il Governo in qualche modo avvalora o da una qualche via libera in Parlamento, qualche appoggio in Parlamento, alla prosecuzione dell’iter di questa proposta di legge, questo per i sindacati farebbe automaticamente decadere la loro firma al memorandum, cioè riterrebbero incompatibile l’accordo fra Governo e sindacati sul memorandum con l’avvio e la prosecuzione di queste proposte di legge in Parlamento. A parte il fatto che il Parlamento naturalmente è sovrano e fa le leggi che vuole, anche indipendentemente dal Governo, come è noto, ma questo diciamo vale più in principio che nella prassi concreta. Tuttavia, diciamo c’è un atteggiamento di forte resistenza.

Se allora guardo questa proposta di legge e leggo il memorandum, con tutte le riserve – io non sono uno specialista di Pubblica Amministrazione, l’ha detto prima Valentini, gliel’ho detto subito appena ci siamo conosciuti – l’impressione che ho di questo memorandum è che ci siano dosi di cogestione fra i sindacati e i dirigenti, francamente, difficilmente digeribili. Qui non c’è un atto che il dirigente possa assumere che in qualche modo non debba rientrare in una qualche contrattazione

Giustamente il professor Ichino, nella conferenza stampa che abbiamo fatto martedì a Roma, presentando la proposta di legge, ha detto: “E’ cogestione se c’è l’obbligo a contrattare; non è cogestione se c’è il dovere di informazione ma non l’obbligo di contrattare”. Sappiamo però che nei fatti, il più delle volte, quando si comincia ad informare, nasce un meccanismo da cui poi c’è la pretesa della contrattazione e dell’accordo.

E’ chiaro che informare è doveroso, il dirigente è responsabile del budget, ma è anche giusto che informi che il budget lo vuole utilizzare “così”, perché magari pensa sia più produttivo e pensa anche di avere un resto su questo budget, deve essere responsabile della utilizzazione delle risorse umane a sua dipendenza. Naturalmente è giusto anche che informi perché utilizza, però un conto, ripeto, informa...

Il testo di questo memorandum a me pare slittare molto sulla cogestione. Allora qual è il mio timore? E lo dico subito anche perché voglio parare una polemica che viene fatta, giustamente, ma sulla quale non mi sento... “Ma come? Ma voi politici che siete i primi responsabili della cattiva amministrazione, adesso venite a prendervela con i sindacati?” Attenzione. Premetto e chiudo perché lo dico in una parola, io sono convinto che lo spoils system che da prassi codificata per legge con la Bassanini, nei fatti è diventata una cosa per cui non c’è ramo dell’Amministrazione, fino al più piccolo, in cui non ci sia in qualche modo una nomina che non sia condizionata da interessi politici, e a volte anche peggio degli interessi politici, è chiaro che è la prima causa del disastro.

Quindi lo dico per non entrare in un’inutile polemica fra i politici virtuosi e i sindacati. Non è questo. Io sono convinto che bisogna recuperare davvero dei criteri di autonomia, che vuol dire prima di tutto di responsabilità nel bene e nel male della dirigenza della Pubblica Amministrazione.

Quindi voglio sgombrare il campo a tutto questo, ma questo non ci deve impedire di affrontare il tipo di argomenti che stiamo discutendo.

Concludo con un’immagine. Il professor Mattarella, presentando in un’altra occasione questa proposta, ha espresso un’immagine che in qualche modo mi pare forse possa dare l’idea.

Proviamo ad immaginare la Pubblica Amministrazione come un’automobile. I proprietari di quell’automobile, naturalmente, sono i cittadini. Diciamo che potremmo considerare i politici – il Governo, il Sindaco – il pilota di quell’automobile. Potremmo considerare la dirigenza e i dipendenti pubblici i meccanici, perché è un’automobile da corsa, che stanno sulla macchina come in un rally. Chi è l’autority? L’autority potrebbe essere quel passeggero che sta sull’automobile che informa i cittadini di come sta andando la macchina concretamente. In sostanza chiudiamo così: noi abbiamo cercato di fare un confronto con l’autority dell’antitrust.

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L’antitrust è l’autority che deve garantire sempre più la trasparenza del mercato, la concorrenza del mercato, colpire le posizioni di rendita. In questo senso aiuta i cittadini anche ad esercitare quella che nel mercato il cittadino può esercitare. Nel mercato il cittadino ha una via d’uscita, ha l’exit. Se non mi va bene il prodotto di quell’azienda, comunque comprerò le scarpe di un’altra marca, comprerò il vestito, l’automobile di un’altra marca. Fino a poco fa io compravo solo la Fiat... adesso, sappiamo tutti. Ma io non posso comprare il certificato da un altro ufficio, non posso comprare la prestazione sanitaria – forse qui c’è qualche elasticità di più – da un altro ospedale, e tante altre cose. Allora ho bisogno di usare la voce. Chi mi aiuta ad usare questa voce? Una delle funzioni di questa autority è quella di potenziare e dare la voce ai cittadini consumatori. Pur avendo trovato difficoltà nel mondo sindacale, abbiamo trovato grande attenzione a questa proposta nel mondo dei consumatori, nel mondo delle varie organizzazioni di utenti a cominciare dal Tribunale del malato e tante altre cose.

Ho finito, grazie.

[...]

Sarò breve, anche perché mi rendo conto che una delle ragioni delle difficoltà del dibattito di questa mattina, relativo alla proposta di legge è che non è ancora conosciuta, salvo appunto il dottor Gallozzi, naturalmente, cioè chi è proprio a Roma, dentro la cosa, al Ministero.

Valentini, che è sempre pieno di iniziative, se l’altro giorno fosse venuto a Roma e mi avesse chiesto i testi, al limite li avrei girati in e-mail e oggi avremmo potuto dare, non solo ai relatori, ma anche ai nostri partecipanti al convegno, il testo.

La proposta di legge ha già un numero, il numero 2080 e immagino che fra due o tre giorni, sul sito della Camera, sarà possibile trovarne il testo stampato esattamente.

La proposta è abbastanza complessa, vi assicuro che io stesso, che poi sono il primo firmatario, sono fortemente debitore al lavoro fatto dagli studiosi, dagli esperti, la Pubblica Amministrazione che hanno esteso questo testo. È chiaro che il dibattito dovrà continuare, non solo mi auguro quanto prima, ma voi sapete che le procedure parlamentari sono fatte anche per bloccare, non solo per far procedere proposte di legge; ma io sono convinto che il dibattito dovrà continuare in sede anche di addetti ai lavori, di studiosi della materia, di tecnici della materia, in sede culturale immediatamente, nei prossimi giorni e nelle prossime settimane.

Già questo convegno è un contributo, ripeto, anche senza la base di documentazione complessiva, ad approfondire le tematiche che la proposta di legge ha sollevato.

Sono anche molto contento che Valentini abbia proposto questa serie di iniziative successive perché non c’è dubbio: se non si fa cultura e cultura diffusa su queste cose, non si va lontano e anche la migliore legge lascia il tempo che trova, ammesso che riusciranno a fare le migliori leggi, di questo ne siamo tutti consapevoli.

Ora, devo dire in particolare – con molta gentilezza mi ha informato prima il dottor Cogliandro, al quale fra l’altro ho dato una copia della legge proprio mentre partiva – le valutazioni che io ho raccolto preparando questa proposta, proprio sul comitato tecnico scientifico, sono esattamente del tipo che egli ci ha ricordato. Sono di pieno apprezzamento, tant’è vero che il comma 6 dell’articolo 1 recita: “La banca dati di cui all’articolo 7, decreto legislativo n. 286 del 1999, è trasferita all’Autorità. Il Comitato tecnico scientifico e l’Osservatorio di cui commi 2 e 3, dello stesso articolo, sono soppressi. Le sue funzioni sono trasferite all’Autorità”. Trasferite. Mentre noi sopprimiamo il comitato anticorruzione, noi trasferiamo e non solo.

Qui si dice: “La soppressione produce effetti al momento della prima nomina dei componenti dell’Autorità. Fino a quel momento, le funzioni dell’Autorità sono svolte dal Comitato tecnico scientifico in carica”.

C’è proprio la preoccupazione di non disperdere, di non creare quella traumaticità che giustamente il dottor Cogliandro temeva, no? Mi pare che si evinca qual è la valutazione, almeno di quanti di noi hanno elaborato questa proposta, sull’operato di questo organismo. Detto questo, naturalmente, tutti i suggerimenti sono benvenuti.

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Devo dire che sono stati colti diversi aspetti nella proposta di legge: la trasparenza, la valutazione. Ma siamo in una fase in cui noi non pensiamo di aver scritto una proposta di legge di quelle che debba entrare ed uscire allo stesso modo. Noi saremmo contenti che alcuni dei principi ispiratori di questa proposta di legge si traducessero nella legge finale, poi sul testo ci si deve lavorare, ma è una legge complessa, è una legge di cui siamo pienamente consapevoli dei temi che tocca e di cui non abbiamo piena consapevolezza.Io mi auguro solo che in Parlamento si creino, e anche con l’appoggio del Governo, le condizioni perché si cominci a lavorare su questa proposta di legge.Quello che non è accettabile, ve lo dicevo prima che arrivasse il dottor Gallozzi, ma non era una polemica con il Ministero e neanche con il Ministro Nicolais, è questa specie di veto che pubblicamente i sindacati hanno posto. Anche l’altro giorno hanno detto al Ministro “Se tu in qualche modo avvalori questa proposta di legge, considera chiuso il memorandum”. Questo non è accettabile, non è accettabile per ovvie ragioni istituzionali, ma credo che sia anche sbagliato politicamente. Una cosa, una considerazione che è uscita in più passaggi e anche adesso da ultimo nelle valutazioni finali che faceva Valentini. Abbiamo un po’ marciato sul tema dei fannulloni, ma intendiamoci: sicuramente se non partiva quel tema, a cominciare da Il Corriere della Sera che poi è il più autorevole quotidiano italiano, non sarebbe stato dato quello spazio.Secondo: non avrebbe avuto quel risalto anche costruttivo e polemico insieme che c’è stato a cominciare, ritorno a dire, dalle più di mille lettere arrivate a Il Corriere della Sera, e che continuano ad arrivare, tant’è vero che mi dicono che se voi andate sul sito de Il Corriere della Sera trovate tutta la corrispondenza. Una parte è stata pubblicata su questo libro di Ichino, un’altra parte è disponibile su Lavoce.info che è il giornale on line degli economisti, di un gruppo di economisti che per altro riporta ancora il testo iniziale della proposta di legge con alcuni commenti e vedo che continua a pubblicare dibattiti anche tecnici su questa proposta di legge ancora in questi giorni e in questa settimane.Però badate, non è che il problema dei fannulloni viene fuori solo perché c’è bisogno “della lepre per far correre i cani”. Io penso che dovremmo tutti renderci conto che comunque, il malcontento del paese nei confronti della sua Pubblica Amministrazione è forte. Non è solo la Pubblica Amministrazione sotto tiro di un malcontento di un’opinione pubblica che complessivamente, diciamo pure, è sfiduciata e ha poca fiducia in quasi tutto.Andate a vedere i sondaggi che periodicamente pubblicano Mannheimer e tanti altri sondaggi di opinione, quante sono le istituzioni che continuano a salvarsi: il Presidente della Repubblica, i Carabinieri e la Chiesa. Non parliamo dei politici, non parliamo dei partiti, ma non parliamo neppure della Pubblica Amministrazione, è un disastro.Allora mettete pure tutto questo anche in un clima particolare, in una temperie particolare che sta attraversando il paese, di crisi anche politica, di incertezza degli sbocchi; questa tematica del declino che in qualche modo appesantisce ulteriormente gli umori dei nostri cittadini, tutto quello che volete, però, non c’è dubbio che la Pubblica Amministrazione, mediamente, per il suo livello di efficienza sia sotto tiro e tutto quello che abbiamo scritto anche come maggioranza e come Governo, a cominciare dal Documento di programmazione economica finanziaria, la stessa premessa di questo memorandum, parte della considerazione che oggi i problemi delle competitività del paese non si misurano solo sulla reale produttività della singola azienda, ma si misurano dalla produttività complessiva dei paesi e della Pubblica Amministrazione e i suoi tempi, le firme che ci ha ricordato il Presidente del CINECA Rinaldi e tutto il resto, e sono questioni che pesano enormemente su questa produttività.Allora è chiaro che non li risolve tutti questa proposta di legge. La semplificazione è decisiva, visto che ieri il Consiglio dei Ministri ha deciso di riprendere il tema anche dei tempi di apertura delle aziende a partire dalla proposta Capezzone.Insomma, sono delle cose che chiunque di noi, a cominciare dai dipendenti pubblici, quando si trovano di là dello sportello, magari per un altro comparto dell’Amministrazione, vivono loro stessi. Non è che quei dipendenti pubblici sono un’altra parte dei cittadini in generale, perché sono a loro volta anche utenti della Pubblica Amministrazione. Complessivamente è questa l’aria che tira, dobbiamo essere consapevoli, per cui devi anche usare un linguaggio che intercetti gli umori della gente, non per accarezzare il pelo al qualunquismo, ma comunque sia per capire che se non parli di problemi e di come li vive e li sente la gente, parli da solo. Fai un’accademia, fai un bel circolo di addetti ai lavori, ma le cose non cambiano.

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Io sono convinto che alla base di tutta questa situazione ci siano tante ragioni. Il discorso della spesa pubblica è solo un aspetto, perché complessivamente, come è stato ricordato noi abbiamo un numero di dipendenti che non è vero che è esorbitante in confronto agli altri paesi europei; ma non è neanche vero che siamo particolarmente al di sotto.Il vero problema è che complessivamente, se facciamo una media, l’efficienza che esprime il modello di organizzazione nostra è al di sotto mediamente di quello dei paesi ad esempio come il Venezuela. Noi dobbiamo guardare la Germania, la Francia, gli Stati Uniti, i paesi nuovi dell’Est e poi dobbiamo stare attenti ai nuovi arrivi, che significano Cina e India, con quello che comporta il cambiamento dello scenario mondiale e dei termini di comparazione. Qui c’è un ritardo grave, c’è un ritardo grave che prima di tutto fa capo alle classi politiche, alla classe dirigente, non è che fa capo all’insegnante fannullone, per riprendere la figura di Ichino, o qualche altra cosa di questo genere.Purtroppo, da questo punto di vista, la mia impressione è che le forze politiche abbiano addirittura peggiorato il loro rapporto con la Pubblica Amministrazione, non migliorato, perché dovunque andiate, con livelli diversi di gravità, voi trovate che il discorso del cattivo rapporto fra la politica e i dipendenti della Pubblica Amministrazione c’è. C’è perché c’è una penetrazione ancora più invasiva della politica in tutti i meccanismi della Pubblica Amministrazione e il concetto di autonomia della Pubblica Amministrazione sembra diventato così... Alla fine se c’è lo aggiungiamo come l’osso del macellaio, ma non è certo il punto di riferimento più importante nella concezione dell’uso del rapporto con la Pubblica Amministrazione. Lo spoils system, fosse solo quello dei vertici, va bene è un modello. Lo abbiamo addirittura preso dagli Stati Uniti pensando di fare una grande modernizzazione, ma il problema è che lo spoils system non dichiarato è ben più diffuso: arriva agli uscieri, arriva ai postini, arriva alle cose incredibili. Nella Sanità, io non sono mica sicuro che il meccanismo attuale per cui i manager dell’AUSL scelgono i primari avvenga in questo modo.Io ho fatto l’Assessore alla Sanità in questa Regione in anni lontani e complessivamente, da molti anni, abbiamo mediamente una sanità migliore di molte altre regioni e tuttavia non sono affatto convinto che il meccanismo attuale sia il migliore. Non sono affatto convinto.In generale, adesso, in Italia la nomina dei primari è un meccanismo che mi lascia molto perplesso, perché il Direttore Generale sceglie da un elenco generale e quando sceglie, il più delle volte, non è che sceglie sulla base della sua autonomia, parliamoci chiaro. Allora dobbiamo vedere tante cose.Io credo, quindi, che il problema delle responsabilità politiche - lo dico per riassumere la mia polemica questa settimana con i sindacati, l’ho detto prima tanto più che qui c’è il dottor Gallozzi che verrà dopo - non sia per mettere i politici bravi contro i sindacalisti cattivi. No. Quando mi fanno questa obiezione, prendo tutte le responsabilità delle politica, me ne faccio carico anche se la politica poi non è un ente collettivo, è fatta di politici, di partiti e di tante altre cose. Stamattina questo tema non è all’ordine del giorno perché non avevamo le rappresentanze sindacali a questo tavolo, ma con i sindacati si fanno i conti tutti i giorni, lo sa benissimo Gallozzi.Io penso che ci sia un problema, forse sbaglio giudizio, ma io questo lo discuto con i sindacalisti apertamente, non è che lo discuto quando non ci sono i sindacalisti; secondo me c’è un problema di eccesso di condizionamento delle organizzazioni sindacali sui meccanismi della Pubblica Amministrazione e sulle responsabilità dei dirigenti. Temo - ecco perché riprendo la domanda, finendo, perché l’avevo posto prima che arrivasse il dottor Gallozzi – che questo memorandum, per alcuni aspetti, apra degli spazi di cogestione molto pericolosi. Non vorrei che alla fine cominciamo un memorandum pieno di buoni propositi e anche di concetti innovativi e tutto il resto, poi però, i meccanismi che concretamente mettiamo in moto siano tali da darci ancora meno operatività su quegli obiettivi di quelli che dichiariamo.Io non so come devo interpretare, ma lei lo sa meglio di me, quindi porto la sua interpretazione, tutti quei passaggi, quei paragrafi nel memorandum a proposito del manager e dei suoi rapporti con le organizzazioni sindacali – sia sul budget, sia sul personale, su tante cose – mi lasciano fortemente perplesso. Non vorrei che alla fine aprissimo duemilacinquecento tavoli e non si andasse da nessuna parte.

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Il sindacato deve accettare di fare il suo mestiere. Io sono più favorevole al fatto che un sindacato dichiari lo sciopero in un dipartimento perché soggettivamente la valutazione data - prendo l’aggettivo del professor Rinaldi - la ritiene totalmente ingiusta, la ritiene clientelare, ritiene che sia stato premiato il cugino della moglie, non invece il migliore, e fa lo sciopero contro. Preferisco uno sciopero in cui il sindacato fa nettamente il conflitto e il contrasto, piuttosto che una mediazione in cui i tre bravi sono uno e mezzo di designazione sindacale e uno e mezzo di designazione del Direttore. Dovremmo andare a questa distinzione, sennò alla fine non si capisce più di chi è la responsabilità di che cosa.Preferisco un sindacato conflittuale che un sindacato cogestionale in questa cosa qui. Poi non sono per il conflitto, ma insomma si espliciti quando c’è un contrasto, quando c’è una valutazione diversa meglio che si espliciti apertamente.Poi ci saranno anche le mediazioni, naturalmente, ma meglio il conflitto esplicito. A proposito di responsabilità di dirigenti, questo nostro lavoro tende a responsabilizzare i dirigenti. Qualcuno ha detto che la proposta di legge indebolirebbe ulteriormente il manager. Discutiamo di come è articolato, com’è scritto. Ma non è questo il nostro obiettivo; casomai è di dare, con funzione autonoma del nucleo di valutazione, al dirigente un elemento autoverifica del suo stesso operato. Però, attenzione: bisogna dare responsabilità ai dirigenti per poterli poi chiamare a rispondere fino in fondo di quello che fanno.Tornando alla nomina e alla valutazione non obiettiva, ma soggettiva, perché le valutazioni sono soggettive se pure si spera non condizionate da pregiudizi e tutto il resto, io preferisco quando fatta una nomina, al di là delle possibili obiezioni dei sindacati, viene fuori che quella persona premiata si dimostra che è un incapace o è un infedele, voglio che risponda il dirigente che ha messo la firma sotto. Non che non si capisce chi risponde e di che cosa. Allora, a quel punto, il dirigente risponderà della firma che ha messo sotto, ma deve essere libero di fare questo, sennò non va così. Arriva il sindacato, poi arriva il politico, poi il sindaco, l’Assessore Regionale, poi arriva il parlamentare a cui vanno a chiedere se può mettere una parolina o se può parlare con il sottosegretario... Insomma, ragazzi... Ma di questo passo qui noi peggioriamo complessivamente l’immobilismo di questo paese, la sua capacità di innovare, la sua capacità di reagire tempestivamente alle sfide che ci siamo posti e buona parte si gioca proprio nella Pubblica Amministrazione.

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Cons. Eugenio Gallozzi(Direttore Generale Dipartimento Funzione Pubblica)

Innanzitutto buon giorno a tutti. Porto chiaramente il saluto del Ministro Nicolais e del nostro Capo Dipartimento, il dottor

Naddeo.Ringrazio per l’occasione che è stata data alla funzione pubblica, di partecipare a questo

convegno, anche in considerazione dell’apporto, della conoscenza del dottor Valentini, all’interno della nostra struttura.

Io, nonostante i capelli bianchi, sono arrivato in funzione pubblica un pochino più tardi, che significa 15 anni fa insomma, e all’epoca il dottor Valentini non era già all’interno della struttura, ma la fama del dottor Valentini era ben presente.

Io ho conosciuto il dottor Valentini, senza conoscerlo ancora di persona, all’interno della struttura proprio come la persona che aveva dato un apporto sostanziale, aveva incominciato a far ragionare sul pubblico impiego e sulle attività e le funzioni della Pubblica Amministrazione, con l’intelligenza e la necessità di affrontare tutta una serie di questioni in maniera nuova.

Da quei tempi, è passato molto tempo, però quello che lui ha seminato non è andato affatto perso. Se noi siamo qui oggi, è la dimostrazione che il suo lavoro è continuato, è proseguito e ha portato una serie di frutti.

Quello che è il panorama del pubblico impiego, come era stato rappresentato dal Consigliere Cogliandro in precedenza, anche io ho dei tempi sufficientemente contingentati e cercherò di attenermi, per cui cercherò di essere molto sintetico.

Il mio intervento essenzialmente vuole essere un intervento non tanto tecnico, ma un intervento con riferimento al dipendente pubblico, perché mi sembra che in questa fase, come è successo altre volte, perché non mi sembra che sia il primo momento in cui il dipendente pubblico viene tacciato come il famoso fannullone; diciamo che questa volta siamo venuti fuori in maniera sufficientemente sponsorizzata, siamo su tutti i giornali, le televisioni non fanno altro che parlare di noi. Il professor Ichino e Pasquali, hanno fatto il libriccino qui, che...

Ecco così, come nota non polemica, ma forse per, in qualche modo, rassicurare tutti noi: io ho visto, in più occasioni perché, come dire, per dovere di ufficio, mi consta e mi capita di dover partecipare anche a confronti pubblici eccetera, e mi sembra corretto sottolineare una certa diversità nell’affrontare lo stesso problema anche da parte dello stesso professor Ichino.

Proprio in occasione della presentazione del libro, eravamo lì alla saletta del Cenacolo, quando si sono incominciati a fare i ragionamenti che abbiamo sentito tutti, abbiamo letto tutti sui giornali, la premessa in quella sede - il convegno era organizzato dall’associazione dei giovani dirigenti, per cui sicuramente un ambito di appartenenti al modo pubblico - la prima considerazione che è stata fatta è stata quella di dire: siamo noi i primi a sapere bene che il modo pubblico non sono i fannulloni, nel mondo pubblico l’attività si svolge con correttezza, con voglia di fare, anzi in molti casi anche con un eccessivo senso del dovere, nel senso che, proprio in funzione dell’attività da svolgere, occorre prodigarsi più di quello che magari dovrebbe essere.

Però c’è “qualcuno” e noi abbiamo voluto evidenziare quel qualcuno.L’altra sera, mi sembra l’altro ieri, c’era “Otto e Mezzo” a LA7, c’era sempre il professor

Ichino, c’era anche Pasquali, e si è parlato delle stesse cose. Questa premessa non c’è stata, si è parlato solo dei fannulloni, guarda caso, è strano questo, sono le stesse persone, parlavano delle stesse identiche cose però c’è stata un’omissione, probabilmente non voluta, rispetto a degli aspetti che non mi sembrano secondari.

Comunque, sempre nell’ambito del dibattito, questa volta in considerazione della presentazione di un attimo di riflessioni sul memorandum che poi è stato sottoscritto una settimana e un giorno fa, perché era giovedì scorso.

In quella sede c’era il professore Dell’Aringa, mi sembrava un dibattito a LA7, c’era il professor Dell’Aringa che voi ricorderete tutti che è stato il Presidente dell’Aran, che interpellato sulle problematiche affrontate dal memorandum, faceva questa riflessione, che mi sembra una riflessione più che corretta e che, in qualche modo, io ritengo sia stata quella che abbia poi guidato la stesura del memorandum.

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Il memorandum di per sé stesso, in effetti, non è che dice delle cose nuove, propone degli istituti nuovi, quello che c’è sul memorandum sono tutte cose che noi abbiamo consolidato, abbiamo aggiustato, abbiamo modificato.

E questo dal ’93, quando c’è stato il famoso Decreto Legislativo 29, la prima “pubblicizzazione” dei dipendenti pubblici, ma io direi che molte cose risalgono ad ancora prima, addirittura l’83, la Legge Quadro sul Pubblico Impiego, cioè le modalità di contrattazione, all’epoca c’era il recepimento del DPR, c’era una forma più rigida, un momento diverso, però come dire...

In qualche modo questo a testimoniare che un processo, un percorso si è consolidato, cioè non credo ci siano più dubbi tra nessuno di noi del mondo pubblico, nel ritenere che la contrattazione è sicuramente la strada di disciplina del mondo pubblico, cioè non penso che ci sia nessuno che possa ritenere che ci siano dei momenti di ritorno, perché questo significherebbe allora ripensare veramente tutto il sistema, ma non mi sembra assolutamente che esista questa intenzione.

Già nel ’93, quando fu fatto il primo 29, una serie di elementi, di distinzioni furono introdotte, nell’individuare la dirigenza come momento fondamentale della gestione delle attività pubbliche rispetto a tutto il settore di competenza, perché allora nel momento in cui fu stabilita correttamente la distinzione tra il potere di indirizzo politico e controllo e le attività di gestione della dirigenza, furono individuati sostanzialmente i momenti sostanziali di un processo complessivo che inerisce il settore pubblico.

Allora già in quel momento erano state fatte una serie di considerazioni, erano state individuate una serie di modalità sulla base delle quali il dirigente doveva essere posto nella condizione di fare il dirigente.

Dal ’93 al 2003 sono passati 10 anni, ce ne abbiamo messi altri 6, va beh 2007 ormai, ancora non ci siamo, però siamo arrivati a scrivere un memorandum per ribadire alcuni concetti sostanziali, e cioè è vero, si è in qualche modo sottolineato, ma essenzialmente questo discorso mi sembra che non possa che essere riferito al settore centrale, per cui Amministrazioni centrali, un eccessivo proliferare di figure dirigenziali, questo è quello che emerge, ma non mi sembra questo il dato sostanziale.

Il dato sostanziale è l’individuazione nel dirigente dei compiti e delle attribuzioni proprie, che devono essere necessariamente gestite e svolte correttamente.

Quando in qualche modo questa non corretta individuazione dei quantitativi dei dirigenti deve essere eliminata, però quelle risorse in qualche modo, anche se non tutte, però parte di quelle risorse vengono riversate sulla struttura.

Riversare sulla struttura è dare la possibilità, nel caso di gestione corretta, di utilizzare i risparmi della struttura nei confronti del personale, significa obiettivamente mettere i mano al dirigente una delle leve che attualmente, obiettivamente non ha. Perché si parla molto di retribuzione differenziata, dare incentivi, ma obiettivamente, dai contratti che abbiamo fatto, i contratti che abbiamo visto, sicuramente per un problema di risorse scarse; per una serie di anomalie che si sono a poco a poco consolidate nel sistema, cioè noi abbiamo un sistema quadriennale normativo, biennale economico, ci troviamo alla fine ad avere un sistema quasi quinquennale normativo con i bienni infilati all’ultimo giorno utile, anzi un pochino di più rispetto a quello che sarebbe.

A quel punto, nel momento in cui io vado in contrattazione integrativa a dare le risorse che mi arrivano dal contratto nazionale, è chiaro che è tutto sfalsato, la produttività come riesco poi a gestirla.

Cioè in considerazione anche dei quantitativi economici che nel corso del tempo si sono a poco a poco determinati, anche la decentrata mi diventa una vera e propria modulazione del potere di acquisto, cioè non è vero che la parte di decentrata può essere utilizzata come dovrebbe solo come incentivazione alla produttività.

Nel momento in cui i differenziali economici fra inflazione reale e inflazione programmata, sono talmente diversificati, a quel punto poi io, sulla decentrata, mi trovo in effetti a rifare quella che dovrebbe essere un’operazione che fa solo il nazionale, per cui ho delle difficoltà concrete, oltre a difficoltà gestionali, sulla modalità.

Correttamente la Corte dei Conti mi rileva però che io non posso fare la pioggia, “un escamotage” è quello delle progressioni, che in qualche modo, per assurdo, vengono facilitate proprio dal blocco. Perché evidentemente nel momento in cui io blocco le assunzioni, il fondo però mi rimane, solo l’ultima Finanziaria mi ha in qualche modo bloccato i fondi delle singole Amministrazioni. Per cui a quel punto avevo i fondi che, per assurdo, mi lievitavano rispetto al personale, a quel punto potevo utilizzarli.

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Nel momento in cui io non avevo una corretta individuazione dei miei riferimenti dal punto di vista organizzativo, strutturale, necessità di personale, è lì che ho cominciato a scricchiolare, perché obiettivamente mi sono trovato in una condizione sufficientemente poco ragionata, diciamo così. È lì che una serie di riflessioni rispetto anche alla contrattazione integrativa nel memorandum vengono fatte. Oltretutto viene sottolineato, sempre in funzione del dirigente – lì si parla di Amministrazione ma poi, alla fine, evidentemente è il dirigente che deve... – come l’Amministrazione sia reale controparte del sindacato. Per cui serve una condivisione con il sindacato, questo secondo me è il passaggio sostanziale, nel rispetto dei singoli ruoli.

Questo rispetto non può che essere fatto esercitare dal soggetto che l’Amministrazione prepone a tutta la contrattazione, perché è evidente che il dirigente a quel punto si deve trovare nella condizione...

Ma per esercitare realmente le sue funzioni è chiaro che l’Amministrazione in generale deve metterlo nella condizione di esercitare correttamente le sue funzioni. Se io mi trovo a dover fare una contrattazione integrativa sui processi di riqualificazione e di sviluppo professionali eccetera, e non ho precedentemente a monte individuato correttamente le mie strutture, e conseguentemente le professionalità che io devo inserire all’interno delle strutture, e mi trovo con una serie di vuoti in organico, perché il blocco delle assunzioni poi mi ha determinato questa facilità di muovermi è evidente che a quel punto, di fronte a una spinta nella ricerca di salita del personale, se io non mi sono preparato prima e l’Amministrazione non mi ha messo in condizione di prepararmi, io come impatto in contrattazione obiettivamente ho nulla, perché di fronte all’obiezione: “Hai i soldi, hai i posti, perché non li fai passare?” Taccio.

[...]

Sul contrasto che poi nella sostanza si è venuto a determinare sulla proposta di legge, sono pienamente d’accordo con l’onorevole Turci. La stragrande maggioranza delle persone non sa che cosa dice la proposta di legge, questo è il primo problema. E non è problema da poco, perché nella proposta di legge io trovo una serie di elementi che sono nel memorandum, non vanno su una strada diversa. Il principio che sottostà ad entrambi i ragionamenti, è lo stesso. È il principio che serve all’Amministrazione, è il principio che va correttamente ad attribuire al dirigente la sua funzione.

Che cosa è successo fino ad adesso? Sostanzialmente: perché c’è stata un’alzata di scudi? Almeno così da lettore delle cose un po’ più addentro, perché il mio compito al Dipartimento della funzione pubblica è quello di Direttore delle funzioni sindacali, per cui la mancanza dei sindacati qui per me è un momento di svago...

Però quello che ho l’impressione che non volutamente si sia creato è in qualche modo la presentazione del fannullone, che siamo tutti convinti sia una provocazione, ci mancherebbe, siamo tutti convinti che se non posta in un certo modo non avrebbe trovato spazio, però la Pubblica Amministrazione, il mondo della Pubblica Amministrazione, gli appartenenti alla Pubblica Amministrazione, pur accettando la provocazione, soprattutto non per la stragrande maggioranza, ma per la totalità, tranne qualche eccezione, si sentono offesi, perché una serie di situazioni correttamente individuate, la necessità di rendere più efficienti i servizi, di rapportarsi con l’utenza in maniera più corretta, più funzionale alle necessità del mondo Italia, è una cosa condivisa da tutti. Non è che i pubblici dipendenti non vogliono questo, però essere stati presi di petto, in prima persona in quel modo, probabilmente ha creato una situazione sicuramente di antipatia.

La reazione del sindacato rispetto al disegno di legge che, per quello che dicevo prima, è conosciuto parzialmente, non poteva che essere di questo genere perché il sindacato, in qualche modo, tende correttamente a difendere gli interessi della categoria di appartenenza.Io apprezzo molto l’invito dell’Onorevole perché secondo me è importante trovare un terreno comune; obiettivamente possiamo, volendo, trovare le stesse identiche parole; nell’uno e nell’altro non sono diverse. Forse, in qualche modo l’ulteriore diffidenza, io ritengo ci sia perché alla fine il processo di valutazione è stato attuato parzialmente.

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Uno, perché io ritengo che, come qualsiasi situazione riferita alla categoria, nel momento in cui una categoria si sente attaccata, reagisce. La valutazione fatta fino ad adesso, portata avanti in un certo modo, non è stata vissuta all’interno della Pubblica Amministrazione per quello che realmente è e voleva essere. È stato un qualcosa visto come caduto dall’alto, che veniva gettato dall’alto, a cui il corpo ha reagito con l’anticorpo, cioè ha creato un sistema di valutazione esattamente per come stava scritto, perché io ritengo che qualsiasi Amministrazione ha il suo sistema di valutazione così come previsto dalla 286, ci mancherebbe. Il problema è che non serve a niente, perché l’anticorpo ha creato il modo di annullare quel sistema.

Il dubbio rispetto al ragionamento corretto del disegno di legge: un organo terzo, riesce ad eliminare questo dubbio di fondo dei soggetti?

Perché secondo me, se i soggetti non sono consapevoli che serve a loro essere valutati, perché è a loro che serve dare dimostrazione di quello che fanno, perché nel momento in cui vengono valutati e valutati correttamente, nessuno potrà dire che esistono i fannulloni, perché non lo sono, c’è una valutazione oggettiva. Anzi, più è oggettiva, non nel senso correttamente individuato, oggettiva dal punto di vista di una serie di elementi che comunque vengono posti, perché sono d’accordo anche io che la valutazione un po’ e deve essere soggettiva, deve essere trasparente, ma non può essere oggettiva, su questo ci mancherebbe. Però, fino a che non passa questo messaggio che deve essere forte e che secondo me è il punto di unione di tutte e due le considerazioni fatte, sia nel memorandum che nel disegno di legge, se non si riesce ad essere consapevoli di questo? Significa in qualche modo penalizzare il mondo del pubblico impiego, non difenderlo, perché io ritengo che ormai nel 2007 un pubblico impiego inteso come un pubblico impiego visto come quello di tanti anni fa, dove c’era una commistione strana di compiti, di attività, di situazioni nelle quali non c’erano distinzioni fra nessuno, era l’ufficio che faceva, non si sapeva nell’ufficio chi c’era che lo faceva, per cui c’era questa specie di “omertà generale” che non serviva all’ufficio, non serviva ai dipendenti, non serve assolutamente adesso, a maggior ragione.

Abbiamo fatto la 241, la 241 ha significato qualcosa, ha completamente scoperchiata questa strana situazione esistente nella quale si creava questo “tiriamo a campà tutti quanti, perché tanto non succede niente”.

Non è più così e non può essere.Nel 2007 il sistema Italia e il sistema Europa, non può assolutamente permettersi di avere una

Pubblica Amministrazione che non funziona, perché se noi come pubblici dipendenti non cambiamo il nostro approccio, o meglio continuiamo a cambiare, perché il cambiamento sicuramente c’è stato, è in corso, si sta approfondendo, si sta perfezionando, sta dando i risultati; non è vero che non sta dando risultati... Le file ci sono ancora, ci mancherebbe, ma fortunatamente abbiamo anche la tecnologia che ci dà anche una grossa mano e questo è un punto importante. Ecco, questo è un altro elemento che sottoporrei all’Onorevole, che è un ragionamento che ha portato l’altro giorno il Ministro Amato all’apertura di un master sul pubblico impiego all’Università La Sapienza.

La semplificazione che noi abbiamo in qualche modo caldeggiato all’interno della Pubblica Amministrazione, rispetto a tutta una serie di procedimenti, molte volte è stata l’eliminazione di una serie di passaggi, che non necessariamente erano passaggi che non servivano al sistema. L’esempio concreto che come Ministro degli Interni era capitato: il taxista che è stato ucciso all’aeroporto di Roma dall’altro soggetto che portava la macchina privata. Chiaramente per ottenere queste licenze bisogna avere tutta una serie di requisiti, tra cui chiaramente il casellario giudiziario pulito. Dall’indagine che poi la Procura ha iniziato è venuto fuori che tutte le dichiarazioni, perché chiaramente c’è la dichiarazione, sono tutta una serie di dichiarazioni false.

In questo caso non è che abbiamo semplificato, abbiamo spogliato lo Stato di una funzione che deve svolgere nei confronti dei cittadini, per la tutela dei cittadini. Non c’era la tecnologia che c’è adesso, però un ripensamento, anche rispetto a tutta una serie di cose, è opportuno farlo, perché fortunatamente abbiamo una tecnologia che ci consente anche di ottenere una serie di risultati.

Per cui io ritengo che sicuramente il pubblico dipendente sia un soggetto che si trova, non dico al guado perché il guado lo abbiamo superato, però ancora in una situazione certamente di non perfetta efficienza. Credo che sia importantissimo il fatto di condividere, di far passare questo messaggio, di cambiare rotta.

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Una Pubblica Amministrazione, per quella che era, non può più esistere, se così fosse nel giro di dieci, massimo quindici anni, non avremmo più pubblici dipendenti, perché lo Stato non può permettersi qualcosa di inefficiente o poco efficiente, su questo non ci sono dubbi. Però, secondo me, la cosa importante, il messaggio, la comunicazione importante che occorre dare è quella di far credere ai pubblici dipendenti, far capire ai pubblici dipendenti l’importanza del loro ruolo e come svolgerlo correttamente, cioè mettere quel qualcosa in più, creare delle strutture che siano in grado di farlo.

La preoccupazione all’intervento del soggetto esterno, quanto possa essere utile? C’è tutta una serie di elementi per rendersi conto che in qualche modo risolve tutta una serie di problemi, il collegamento politica-amministrazione eccetera che veniva evidenziato, è evidente che quel punto si riesce a tirarlo fuori. Ma è sufficiente? Solo il fatto che sia il soggetto esterno, che in qualche modo poi va verificato perché chiaramente non può il soggetto esterno... sarebbe folle... Infatti qualcuno che non aveva letto il disegno pensava che questo soggetto andasse a verificare negli uffici, faceva tutti gli uffici, andava lì... Che è una follia, ci rendiamo conto che non sarebbe un disegno di legge ma una follia scritta su carta.

Questo proprio a testimoniare la consapevolezza, la correttezza del disegno che è posto nelle istituzioni di questo tipo di autorità.

L’unico dubbio sostanziale è nel non renderlo totalmente chiaro e comprensibile, tale da ritenerlo un corpo esterno che possa aiutare, perché, secondo me, è un aiuto al pubblico dipendente come è un aiuto tutto questo tipo di ragionamento.

La preoccupazione che è venuta fuori in maniera forte, venuta fuori forte soprattutto nelle Amministrazioni, è quella della cogestione col sindacato rispetto a tutta una serie di passaggi. “Il dirigente – adesso vado a memoria, ma più o meno è quello che dice – gestisce il budget e l’organizzazione nell’ambito delle relazioni sindacali”.Ci preoccupa questo. Ma adesso, le stesse identiche cose, come vengono gestite? Nell’ambito delle relazioni sindacali.

[interventi fuori microfono]

Su questo chiedo scusa.“Nell’ambito delle relazioni sindacali...” significa nell’ambito delle previsioni contrattuali.

[interventi fuori microfono]

Io sono contento di questo tipo di critica, perché è importante affinché tutto il sistema funzioni come è stato congeniato; c’è una riorganizzazione, serve una riorganizzazione per l’Amministrazione, questo è l’elemento sostanziale di fondo. D’altra parte la Finanziaria non fa che prevedere tutta una serie di cose.

A fianco a questo, questo intervento fatto attraverso quelli che sono gli strumenti ordinari di questo tipo di intervento, sono i contratti collettivi. Al rinnovo abbiamo il quadriennio normativo di fronte, adesso. Allora, attraverso quegli strumenti andranno individuati tutta una serie di elementi, ma noi sappiamo tutti che fa comodo, ognuno da parte sua, evidenziare determinate cose.

Però, per esperienza, per conoscenza, noi sappiamo che il fatto di aver detto, nell’ambito delle relazioni sindacali e tutta questa serie di cose, bisogna vedere cosa succede con i contratti, perché questo poi va nei contratti. Allora, se ognuno, come correttamente deve essere, fa la sua parte, e una serie di elementi di distinzione rispetto ai ruoli c’è, però bisogna anche evidenziare quello.

Quando l’Amministrazione, nella sua veste di Amministrazione, partecipa alla contrattazione collettiva, che cosa significa? Non c’è coinvolgimento. In qualche modo si adombra che qualcosa di non giuridicamente previsto, ma di abitudine, succedeva e viene evidenziato anche questo. Allora, come dire, è evidente e sapete benissimo tutti che, nel momento che si scrive qualcosa insieme, ognuno cerca di metterci un pezzo suo, ognuno cerca di metterci un pezzo dall’altra parte, per cui ognuno cerca di evidenziare quelle parti che sono più...

Però, ecco io ritengo che alla fine, nel momento in cui...

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Dott. Stefano Vitali(Assessore Risorse Umane Comune di Rimini)

A me il compito anche un po’ di rappresentare gli 8.000 Comuni, indegnamente, è chiaro.Dal punto di vista politico poi, ci sono altri rappresentanti qua.

Ma perché credo che noi abbiamo, come paese, una serie di difetti, il primo è quello della comunicazione, perché basta che qualsiasi persona, in un ambiente conflittuale come quello italiano, dica il primo slogan populista, che si discute di quel problema esclusivamente in termini populistici, cioè o da una parte o dall’altra.

Io sono sempre stato abituato a parlare di grigi, non di bianchi e di neri, perché credo che il mondo, così come la Pubblica Amministrazione, sia pieno di tanti grigi, cioè di tante vie di mezzo, di tante quotidianità che sono diverse da quello che la discussione di oggi ci vuole dire, nella quale ci vuole fare portare.

Tant’è vero che le trasmissioni televisive ancora oggi riescono a fare audience se rientrano in quella categoria dei fannulloni, e non se riescono a riportare la discussione in termini di normalità.

La preoccupazione è che anche le leggi o le contrattazioni poi possano avere questo tipo di risultato, cioè il risultato di un discorso malato a monte.

Perché vedete una cosa, il problema qual è? È che noi ci troviamo, per esempio come Pubblica Amministrazione ormai adesso è diventato

l’unico interfaccia reale dei cittadini con le Pubbliche Amministrazioni, l’unico, per tanti motivi, per il fatto che comunque ci sono arrivate anche nuove responsabilità da parte dello Stato e abbiamo i contratti dei pubblici dipendenti più indietro rispetto a tutti quelli delle Pubbliche Amministrazioni.

Tant’è vero che noi dobbiamo utilizzare molto spesso il decentrato o l’accessorio per compensare, non per fare dei progetti meritocratici.

Io credo che già da questo punto di vista ci debba essere un salto di qualità da parte della discussione a tutti i livelli.

Perché la mia preoccupazione è che quando si parte sugli slogan, non si riesca poi a fare massa critica, cioè non si riesca poi a riprendere dei percorsi come quello che ha fatto il FEPA, in cui i vari pensieri, le varie macchie di leopardo sparse per il territorio diventavano idea e diventano percorso e diventano proposta allo Stato centrale.

Perché il problema è che noi non possiamo, in questa fase, pensare che si ci sia qualcuno che da sopra, magari senza avere mai avuto un’esperienza di Pubblica Amministrazione Locale, ci mandi un reticolato in cui dobbiamo valutate, fare valutazioni, che è talmente difficile che poi dopo tutti sono premiati o sono tutti bravi.

Secondo: è che comunque sia c’è un sistema di valutazione talmente complesso che la valutazione reale diventa impossibile e quindi anche la capacità di fare una sintesi del pensiero e della valutazione.

Quindi anche sistemi trasparenti e il più possibile capaci di leggere la realtà e su quelli premiare.

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Al di là di tutte le valutazioni che si possono fare, perché l’argomento è mostruosamente grande, io credo che da oggi debba nascere o debba partire rispetto alle Pubbliche Amministrazioni non dico il FEPA 2 perché guai anche sempre a dover ogni volta riguardare il passato, però debba nascere una volontà delle Pubbliche Amministrazioni di incontrarsi in un organismo, in qualcosa, in un’associazione, chiamatela come volete, per poter rappresentare le proprie specificità ai nostri interfaccia, che sono i sindacati, che è lo Stato, che è qualsiasi persona che da sopra tende se non a lanciarci dei messaggi che non possono, per forza di cose, essere uguali per tutti, perché un Comune dell’Emilia-Romagna non è come un Comune della Sicilia, o un Comune della Puglia, non è come un Comune della Toscana, cioè ognuno ha delle specificità diverse. Ma solamente, riuscendo a fare sintesi, riusciamo a fare anche un progetto reale, e soprattutto che vada verso le esigenze dei cittadini perché sono l’interfaccia della Pubblica Amministrazione e sono le persone alle quali noi dobbiamo rispetto e dobbiamo dare i servizi, ma soprattutto vada verso i pubblici dipendenti, che non è possibile che ogni volta noi dobbiamo massacrare di giudizi negativi, proprio perché sono quelli che forniscono servizi alla collettività.

Sempre di più nel futuro saranno quelli che garantiranno, molto più del privato, in questo mi spingo oltre, a dare una qualità nei servizi ai cittadini.

Quindi se non lavoriamo insieme per fare una sintesi da questo punto di vista, credo che continueremo a parlare di fannulloni, continueremo ad avere persone che probabilmente si fanno pubblicità con questi slogan, continueremo ad alimentare la comunicazione sballata che abbiamo in questo tempo, però sicuramente non faremo un servizio a nessuno.

Ci saranno alcuni Comuni che comunque saranno bravi e virtuosi e continueranno ad esserlo, però su 8.000 Comuni, se vogliamo fare un servizio al paese, è chiaro che qualcuno che ci aiuti a fare sintesi ci vuole.

Quindi la mia speranza è questa, è che possa nascere oggi un qualcosa che ci rappresenti, che ci metta insieme e che ci faccia lavorare.

Lo spirito di questo incontro di oggi era questo, lo abbiamo detto ieri, nato da un’arrabbiatura, nato da un senso anche di frustrazione sempre per questi giudizi negativi, però abbiamo anche una prospettiva e la prospettiva deve essere questa, non può essere altro che questa, se no continueremo ad avere delle brave persone che continueranno a fare dei bei discorsi, però non cambierà nulla. Io credo che questo paese abbia bisogno invece di un grande cambiamento e di una grande rivoluzione dal punto di vista organizzativo e non di personale, delle Pubbliche Amministrazioni.

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Cons. Giuseppe Cogliandro(Consigliere Corte dei Conti)

Analizzerò lo stato dell’arte del processo di pianificazione e del sistema di controllo interno nelle amministrazioni dello Stato.

Nell’esposizione utilizzerò l’ultimo rapporto, pubblicato nel marzo 2006, del Comitato tecnico-scientifico della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il controllo strategico di cui all’articolo 7 del decreto legislativo n. 286 del 1999 (del quale ero membro), scaduto con la fine della legislatura.

Il Governo Prodi, agli inizi di agosto dell’anno scorso, ha ricostituito il Comitato (nel quale sono stato confermato), modificandone, con decreto del Presidente della Repubblica n. 315 del 2006, la denominazione (Comitato tecnico-scientifico “per il controllo strategico”, in luogo della precedente dizione “per il coordinamento in materia di valutazione e controllo strategico”), la funzione (ora incentrata sulla pianificazione strategica, fermo restando il suo ruolo di coordinamento dei Servizi di controllo interno) e la composizione (da sei a quattro membri).

Il nuovo Comitato ha elaborato una bozza di linee-guida per la pianificazione strategica, che alcuni giorni fa è stata oggetto di discussione con i Servizi di controllo interno delle amministrazioni dello Stato.

Le linee-guida, modificate eventualmente alla luce delle osservazioni dei Servizi di controllo, saranno allegate alla direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, che è in corso di definizione e della quale è stata diffusa una prima versione (denominata “albero del programma”) qualche giorno prima della recente riunione del Consiglio dei Ministri nella Reggia di Caserta.

Scopo della direttiva del Presidente del Consiglio è di fissare, in conformità all’articolo 8 del citato decreto legislativo n. 286, gli indirizzi per la predisposizione delle direttive ministeriali per l’attività amministrativa e la gestione, previste dagli articoli 4 e 14 del decreto legislativo n. 165 del 2001. Queste norme stabiliscono che il Ministro definisce le strategie (obiettivi, priorità, piani e programmi), assegna le risorse ai dirigenti proposti ai centri di responsabilità e verifica la rispondenza dei risultati dell’attività amministrativa e della gestione agli indirizzi impartiti.

Ciò premesso passo ad illustrare, sulla base del rapporto del Comitato, lo stato dell’arte del processo di pianificazione strategica, mettendo in evidenza, i relativi punti di forza e i punti di debolezza.

I punti di forza riguardano:• l’articolazione netta del processo di pianificazione strategica in tre distinte fasi (formulazione con atto di indirizzo del Ministro delle priorità politiche; proposta, da parte dei responsabili dei centri di responsabilità amministrativa, degli obiettivi strategici, suddivisi in obiettivi operativi da tradursi in piani d’azione; emanazione della direttiva ministeriale per l’attività amministrativa e la gestione);• la riduzione del numero degli obiettivi, segno di una accresciuta consapevolezza del carattere selettivo della pianificazione strategica;• l’adozione di una terminologia comune;

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• un maggiore rispetto delle scadenze formali;• la messa a punto di un sistema di monitoraggio periodico.

Quanto ai punti di debolezza, quello di maggiore rilevanza riguarda il rapporto tra il processo di pianificazione strategica e quello di programmazione finanziaria.

Secondo la disciplina vigente (articolo 4-bis della legge 5 agosto 1978 n. 468; articolo 2 del decreto legislativo n. 279 del 1997; articolo 2, comma 4-quater, della citata legge n. 468) la ripartizione, attraverso la decisione di bilancio, delle risorse finanziarie tra le unità previsionali di base deve essere coerente con gli obiettivi e i programmi stabiliti in sede di pianificazione strategica.

Sin qui invece il raccordo è stato carente nella maggior parte dei ministeri, i quali hanno impostato il processo di formazione del bilancio dello Stato senza la previa fissazione delle linee direttive della pianificazione strategica, la quale - in contrasto con la legge e in dispregio della logica del sistema che impone la primazia della pianificazione, che è atto di indirizzo politico, sulla allocazione delle risorse, che ha natura strumentale - ha avuto inizio dopo l’approvazione legislativa del bilancio, smarrendo così la sua ragion d’essere.

Per dare soluzione al problema la precedente direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 dicembre 2004 ha stabilito che il processo di pianificazione strategica abbia inizio nel mese di febbraio dell’anno precedente a quello di riferimento, vale a dire prima dell’avvio del processo di formazione del bilancio dello Stato. Il principio, che non ha ricevuto che qualche sporadica applicazione, sarà ripreso e sviluppato con le linee-guida del Comitato

Il secondo punto di debolezza concerne la scarsa coerenza tra la pianificazione strategica e il programma di Governo. All’inizio della legislatura la coerenza è (dovrebbe essere) scontata, in quanto le direttive ministeriali devono (dovrebbero) ricavare le priorità politiche dal programma di Governo. In realtà, l’esperienza ha dimostrato che anche detta coerenza è talvolta assente. La questione si pone, comunque, in termini più stringenti per gli anni successivi, in quanto, nel corso della legislatura, normalmente cambiano le priorità politiche. Il rimedio dovrebbe rinvenirsi all’interno del meccanismo di pianificazione-controllo-ripianificazione.

Al riguardo, la citata direttiva del Presidente del Consiglio stabilisce che, sulla base degli esiti del monitoraggio intermedio, il Ministro, attraverso la direttiva annuale, deve dare contezza dello stato di realizzazione degli obiettivi contenuti nella precedente direttiva, specificando gli obiettivi raggiunti, quelli non raggiunti che si ritiene di abbandonare perché superati o non raggiungibili e quelli non raggiunti, totalmente o parzialmente, che si ritiene di riproporre o rimodulare con la nuova direttiva. Si tratta di un meccanismo sofisticato che, tuttavia, non ha ancora trovato attuazione.

Il terzo punto di debolezza attiene alla durata, prevalentemente annuale degli obiettivi strategici. E’ di comune percezione che un orizzonte temporale così breve non può consentire la realizzazione di obiettivi di rilevante valenza strategica. Occorre quindi porre in essere strumenti che consentano una pianificazione pluriennale, con aggiornamenti annuali.

Secondo il precedente Comitato tecnico-scientifico, una soluzione di carattere sistemico al problema potrebbe consistere nell’emanazione, da parte del Governo, subito dopo l’assunzione delle funzioni, di una direttiva contenente gli indirizzi per la predisposizione delle direttive ministeriali per l’intera durata della legislatura, recependo, con i necessari adeguamenti, il programma di Governo oggetto della fiducia delle Camere. La stessa direttiva dovrebbe essere aggiornata annualmente mediante direttive del Presidente del Consiglio, finalizzate a ridefinire, sulla base dei risultati conseguiti, gli obiettivi per il periodo residuo della legislatura, conformemente al meccanismo pianificazione-controllo-ripianificazione precedentemente illustrato.

Il quarto punto di debolezza riguarda la mancata definizione degli obiettivi comuni a diverse amministrazioni. Certamente, il carattere trasversale degli obiettivi è un fattore di complicazione per la definizione dello schema di pianificazione, richiedendo l’adozione di strumenti di raccordo tra le amministrazioni interessate. Sennonché, proprio tale carattere dimostra la rilevanza delle priorità politiche che ne sono sottese. Un ruolo importante in materia è demandato al Ministro per l’attuazione del programma di Governo, al quale spetta il compito di assicurare il coordinamento tra le varie amministrazioni nella definizione delle priorità politiche trasversali.

Anche il sistema di controllo interno presenta elementi positivi e negativi. Tra i primi viene in rilievo il controllo strategico che il precedente Comitato, con il rapporto del marzo 2006, aveva ritenuto a regime in otto delle amministrazioni dello Stato. Confidando che, nella nuova legislatura, la situazione non abbia subito arretramenti, per effetto delle nomine dei nuovi responsabili dei Servizi di controllo interno, resta il problema di rafforzare il controllo strategico nelle altre amministrazioni

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statali, non ancora a regime. Al riguardo, resta sempre valido il suggerimento del Comitato di migliorare le performances dei Servizi di controllo interno attraverso il bilanciamento tra soggetti interni e soggetti esterni all’amministrazione; tra professionalità giuridico-amministrative e professionalità economiche, organizzative e gestionali; tra utilizzazione di risorse che operano in modo continuativo e ricorso a consulenze esterne.

Quanto al controllo di gestione, esso era, sempre secondo il citato rapporto del Comitato, effettivamente funzionante solo in tre Ministeri. Occorre quindi intervenire per consolidare le esperienze positive registrate in queste amministrazioni e stimolare le altre a recuperare il ritardo, agendo sia sul piano dell’offerta, sia sul piano della domanda di controllo.

Sotto il primo profilo, ciò significa mettere a punto sistemi di controllo di gestione adeguati, ossia non troppo complessi, perché richiedono la disponibilità di forti competenze interne all’amministrazione, e non affidati in toto a consulenze esterne, in quanto questo può portare allo sviluppo di progetti sovradimensionati e determinare difficoltà per le strutture amministrative nell’utilizzazione autonoma dei risultati.

Sotto il secondo profilo, occorre attivare l’interesse dei responsabili dei centri di responsabilità alle informazioni generate dal controllo di gestione. In proposito, è il caso di ricordare che l’articolo 10 del decreto legislativo n. 286 attribuisce al Ministro il compito di vigilare sugli adempimenti organizzativi ed operativi che fanno capo ai dirigenti per l’esercizio del controllo di gestione.

Resta, infine, il punto di maggiore debolezza, rappresentato dalla valutazione del personale dirigenziale. Si tratta di un problema molto grave sul quale hanno espresso considerazioni critiche il Dipartimento della Funzione pubblica, la Corte dei conti e il Comitato tecnico-scientifico.

Il problema nasce dal fatto che la valutazione dei dirigenti è ancora in una fase sperimentale e, malgrado ciò, le amministrazioni dello Stato continuano a corrispondere alla dirigenza l’indennità di risultato. Secondo il Comitato, questa prassi è iniqua, comporta un aumento ingiustificato della spesa pubblica e rischia di pregiudicare l’intero sistema di controllo interno sui risultati. “Quando i dirigenti” - argomenta il Comitato - “ottengono una remunerazione di risultato, viene a cadere qualsiasi stimolo a migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi, in ultima analisi, all’attivazione stessa dei sistemi di controllo di gestione. In questo modo, vista la forte connessione esistente tra controllo di gestione e controllo strategico, si renderebbe di fatto impossibile il monitoraggio stesso della pianificazione, vanificando la stessa direttiva ministeriale” per l’attività amministrativa e la gestione.

Per risolvere il problema sono state avanzate due proposte: una parlamentare e una governativa. La prima è costituita dal disegno di legge Polito ed altri (Atto Senato 1233) contenente “Norme in materia di valutazione dell’efficienza e del rendimento delle strutture e dei dipendenti pubblici”. Di questa proposta ho acquisito il testo solo qualche minuto prima di incominciare a parlare e non ho avuto quindi il tempo di leggerla. Da notizie di stampa, confermate comunque dall’on. Turci, nel suo intervento, risulta che essa prevede l’istituzione dell’Autorità per la valutazione del personale e delle strutture pubbliche avente compiti di stimolo, indirizzo, supporto e, in qualche caso, di intervento in materia di valutazione.

La costituzione dell’Autorità comporta la soppressione dell’Alto Commissariato per prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione, previsto dall’articolo 1 della legge n. 3 del 2003, del Comitato dei garanti (che, ai sensi dell’articolo 22 del decreto legislativo n. 165 del 2001, deve esprimere un “parere conforme” sui provvedimenti sanzionatori adottati dalle amministrazioni a titolo di responsabilità dirigenziale) e del Comitato tecnico-scientifico.

La seconda iniziativa è stata presa dal Ministro della funzione pubblica e riguarda l’istituzione di una “Commissione per la valutazione della prestazione degli uffici”, composta da tre membri (un rappresentante del Ministero, un rappresentante dei sindacati e un rappresentante degli utenti), avente il compito di valutare, dall’esterno, i servizi (ma non il personale).

Sulla Commissione non dico nulla, perché gli elementi noti sono molto esigui per poter esprimere delle valutazioni e, comunque, perché si pone in una posizione eccentrica rispetto ai temi qui presi in considerazione.

Riguardo invece alla proposta parlamentare, esprimo, sia pure sulla base dei parziali elementi a disposizione, apprezzamento e critiche.

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L’apprezzamento deriva dal grande risalto, grazie all’efficacia dello slogan sui “fannulloni”, che l’iniziativa ha avuto sulla stampa, circostanza che potrebbe essere utile per superare la resistenza delle forze conservatrici, prevalentemente di matrice sindacale, che sinora hanno impedito di affrontare il problema.

Le critiche sono due. La prima è di carattere omissivo. Tra i compiti attribuiti al nuovo organismo manca proprio

quello di garanzia che è tipico di un organismo indipendente. Mi riferisco al fatto che in atto la valutazione del personale dirigenziale non è presidiata da alcun meccanismo che ne assicuri l’imparzialità. La relativa funzione potrebbe quindi essere attribuita all’Autorità, in aggiunta agli altri compiti previsti dal disegno di legge.

La seconda attiene alla prevista soppressione del Comitato dei Garanti, dell’Alto Commissario per la lotta alla corruzione e del Comitato tecnico-scientifico.

Mentre é ineccepibile la soppressione del Comitato dei garanti, che sinora non ha mai esercitato veramente le funzioni previste dalla legge (e lo dico con cognizione di causa, essendone stato il Presidente, nella sua fase di avvio), lo stesso non può dirsi per gli altri due organismi.

Appare anzitutto incomprensibile la soppressione dell’Alto Commissario per prevenzione della corruzione, dato che non esiste alcun nesso tra la valutazione dei dirigenti e la prevenzione della corruzione. Senza considerare che la proposta potrebbe anche ingenerare il sospetto che lo Stato rinunci scientemente a contrastare la corruzione.

[...]

Non meno ingiustificata sembra, però, la soppressione del Comitato tecnico-scientifico. Premetto che il fatto di farne parte non mi causa alcun disagio nel sostenere le ragioni del suo mantenimento in funzione. E’ vero che la mia posizione non è disinteressata, ma questo non fa venire meno la legittima pretesa che la mia critica sia valutata sulla base della serietà delle argomentazioni, senza pregiudiziali aprioristiche.

A sostegno della tesi invoco tre argomenti.Il primo è che il Comitato si occupa della pianificazione strategica. Non si vede quindi perché

debba essere sostituito da un nuovo organismo destinato ad operare nell’ambito della valutazione della dirigenza.

Il secondo è che il Comitato, da un lato, svolge attività di supporto – in posizione di sottoordinazione - alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e, dall’altro, esercita compiti di coordinamento, in posizione di sovraordinazione, nei confronti dei Servizi di controllo interno. E’ palese che dette funzioni non possono essere espletate dall’Autorità: non la prima perché l’Autorità è indipendente; non la seconda perché l’Autorità è esterna all’amministrazione (e quindi non può coordinare strutture amministrative).

Il terzo è che il Comitato ha lavorato bene. Su questo punto ci sono valutazioni positive dei Servizi di controllo interno (espresse in Convegni e con atti formali), del Sottosegretario di Stato del precedente Governo, dottor Gianni Letta (che, in occasione della presentazione dell’ultimo rapporto del Comitato, non solo ha espresso giudizi lusinghieri, ma si è rammaricato del fatto che il Governo di cui faceva parte non aveva sostenuto in misura sufficiente l’azione del Comitato), del nuovo Governo che, avendone confermato un componente, ha mostrato di voler assicurare la continuità con il vecchio Comitato, nonché, per finire, degli stessi presentatori del disegno di legge, che nella relazione illustrativa dichiarano che il Comitato “ha spesso ben operato”.

Ma se è così, allora la proposta parlamentare rischia di produrre effetti traumatici, provocando l’interruzione dell’attuale positivo processo di cambiamento, e quindi la distruzione dei risultati faticosamente conseguiti.

Nella seconda metà degli ’80, il Dipartimento della funzione pubblica realizzò il progetto FEPA (Funzionalità Efficienza Pubblica Amministrazione) che, come ha detto prima Emidio Valentini, che ne è stato il coordinatore, era un “insieme integrato di tecniche gestionali per l’innovazione organizzativa basato sull’interconnessione, la quale faceva delle diverse tecniche un sistema coerente in cui ciascuna parte interagiva con le altre, le influenzava e ne era influenzato”. Da quel progetto nacque una metodologia nota al mondo scientifico ed utilizzata da una società di consulenza che opera sul mercato. Nessun vantaggio ha invece saputo trarne l’amministrazione pubblica, la quale permise che gli esiti utili del progetto andassero perduti.

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C’è stato poi, nel decennio successivo, il fervido impegno di alcuni Ministeri e delle Scuole di formazione (in particolare, Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione e Scuola Superiore dell’Amministrazione dell’Interno), nonché di strutture informali (come la Conferenza dei Servizi di controllo interno delle Amministrazioni dello Stato, di cui chi scrive era il portavoce), per dare applicazione all’articolo 20 del decreto legislativo n. 29 del 1993, che introdusse il controllo interno, impegno totalmente vanificato dall’entrata in vigore del decreto legislativo 286 del 1999, che ne modificò in radice il sistema..

La nuova proposta parlamentare, disponendo la soppressione del Comitato, avrebbe l’esiziale effetto di distruggere per la terza volta un’esperienza applicativa che non va sopravvalutata, ma che, nondimeno, merita di essere consolidata e sviluppata, evitando l’ennesima ripartenza da zero.

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Prof. Mario Rinaldi(Università di Bologna - Presidente Cineca)

Mi hai mosso la lacrima, io a questo punto cosa posso fare? Tra l’altro il mio doveva essere un intervento tecnico sulla ICT, cioè information and

communications technology e questo intervento viene dopo una serie di interventi su iniziative politiche importanti, sulle conclusioni di consigli scientifici, sui risultati degli studi di insigni persone e il contributo dell’ICT si colloca in una dimensione diversa.

La ICT non è una cosa che ha bisogno del mio commento per dimostrare di essere una cosa grande: tutti sanno come è modificata la vita di tutti noi singoli e di tutte le strutture da 20, 25 anni in qua.

Basterebbe pensare ad Internet per dire come sia la qualità della vita e ricordo che una trentina di anni fa Negroponte, che è stato uno dei precursori della ICT, disse: “Questa non è una normale evoluzione tecnologica, questo è un cambiamento di epoca.”

Credo che possiamo tutti vedere che effettivamente è così che sta accadendo.La ICT però è importante, ma così come qualunque riforma non va in porto se non si usano

strumenti efficienti per attuarla, è anche vero che non c’è strumento innovativo che possa dare risultati se non ci sono adeguate riforme e adeguati supporti.

Allora consentitemi di parlare un po’, anche nel mio caso, un po’ per esperienza diretta, una voce che viene dall’esperienza: dopo le suggestioni dei principi generali io porto un po’ di grigiore delle applicazioni.

Il grigiore delle mie applicazioni deriva dal fatto di avere cercato per 11 anni, come Prorettore dell’Università di Bologna, di cercare di attuare delle innovazioni nella Pubblica Amministrazione che mi competeva e che era circa di 800 persone.

Al momento attuale non sono più nella Pubblica Amministrazione perché la struttura di cui parlava l’amico Valentini, cioè il CINECA, è un consorzio di 29 Università più il Consiglio Nazionale delle Ricerche, più il Ministero dell’Università, ma è un consorzio che è divenuto privato.

Divenendo privato che cosa è cambiato?È cambiato il fatto che si deve operare sul mercato, si deve operare in competizione e allora

l’efficienza è divenuta una cosa vitale, anche per il pagamento dell’IRAP che è tutt’altro che una cosa da poco.

Questo serve per dire che cosa? Che la ICT, cioè l’information and communications technology, fa poco se non si prendono

alcune decisioni importanti, che io ho vissuto sulla mia pelle e seguito a vivere.Vi sono troppe imposizioni di passaggi nelle operazioni, troppe richieste di firme, troppe

necessità di motivare l’esistenza di una particolare funzione o di un particolare organismo: i cosiddetti “visti” sono una maledizione, tolgono responsabilità a chi dovrebbe assumerne, perché “ha istruito la pratica”, cioè chi ha istruito la pratica dovrebbe essere responsabile di quello che ha fatto.

Invece l’attribuzione avviene a qualcuno che firma per ottemperare a leggi senza poter effettuare controlli, sia per competenza, sia per questioni di tempo.

Io ho firmato, durante la mia attività di Prorettore, una marea di carte, per esempio: il calcolo della pensione di un dipendente, io firmavo il calcolo della pensione di un dipendente. L’avevo calcolata io? Cosa ne sapevo?

Io potevo firmare le più grandi balle, i più grandi errori, le più grandi sciocchezze, ma non ero assolutamente in condizioni di poterle controllare.

Ha senso tutto questo?Alloro questo, secondo me, è un primo ragionamento da fare. Cosa sono tutte queste firme? Cosa significa: “Sentito il...”?Cos’è tutta questa assoluta stupidissima serie di procedure.Consentitemi allora un piccolo episodio del CINECA, al Comune al quale fa capo, che non

voglio nominare anche se tutti lo sanno, quando doveva fare un ampliamento delle proprie strutture.

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Contestualmente lì vicino c’era un’altra fabbrica, che tutti, credo, almeno per nome, la riconoscano, che era la fabbrica Hatù, e che era la famosa fabbrica di quelle particolari cose che servono e che era lì vicino e anche questa era diventata di proprietà inglese e dovevano chiedere un ampliamento.

Per ottenere questo ampliamento io ho perso qualche ora di vita. La fabbrica inglese ha detto: “Basta, io prendo questa azienda, non mi interessa niente che sia

a Bologna dal 1860, io la trasferisco a Barcellona, perché per me questi tempi, questi passaggi tra Vigili del Fuoco, Assessorati, Commissioni Urbanistiche eccetera, mi fanno perdere ogni mese una marea di denari e io mi trasferisco a Barcellona dove mi fanno i ponti d’oro.”

La famosa azienda bolognese che ho nominato è andata a Barcellona e a Bologna non c’è più.300 povere donne che lavoravano lì hanno cominciato la via crucis tra il Prefetto, il Questore eccetera, poi alla fine tutto è arrivato...Questa è la verità. Queste firme e queste controfirme sono una cosa terribile, importante.Come si risolve, come si affronta questo problema? Si affronta con la responsabilità.Allora la responsabilità come si ottiene? Possiamo mettere la ICT, la information and communications technology, ma se non si

stabilisce a che cosa serve diventa un puro fatto di immagine, non una sostanza delle cose.Così come quando si parla di dirigenza, si parla di trasparenza.Se si vogliono ottenere dei risultati da questo punto di vista, è evidente, allora io me lo

riscontro personalmente.Quando si devono fare le contrattazioni aziendali, le contrattazioni aziendali che sono

naturalmente il contrasto fra due presunti interessi, ma nell’ambito della Pubblica Amministrazione non ci sono dividendi da ripartire da parte di una proprietà che vanno in contrapposizione alla retribuzione dei dipendenti, lì l’interesse dovrebbe essere comune.

Come si fa a responsabilizzare? Evidentemente il primo ragionamento è che la responsabilizzazione è, questo è stato detto ampiamente più volte prima, la valutazione dei meriti.

Sulla valutazione dei meriti però, qui è uno dei punti che vediamo continuamente, nessun discute, siamo tutti d’accordo, il merito va premiato, è come dire: “Sia lodato Gesù Cristo, sempre sia lodato.” Non c’è problema da questo punto di vista.

Però quando poi di dice: “Allora valutiamoli questi meriti!” Come facciamo?Trasparenza e oggettività.Trasparenza d’accordo, oggettività è ridicolo, che vuol dire oggettività? Oggettività no!Nella mia struttura il dirigente deve essere in condizioni di valutare soggettivamente la

competenza e la capacità delle persone.La valutazione delle persone non è un processo lineare secondo cui si fanno delle somme di

punteggi e salta fuori il dirigente, ma non è così: c’è una componente, in termini matematici si chiama processo non lineare, c’è una valutazione che è in gran parte soggettiva, in gran parte soggettiva, ma non arbitraria, in gran parte soggettiva e il dirigente sarà poi giudicato lui, sulla base dei collaboratori di cui ha saputo contornarsi ai quali ha dato merito, ai quali ha dato sbocco.

Ricordiamoci che c’è una soggettività anche per il fatto... una volta, quando io studiavo questi problemi, si faceva un discorso di questo genere: il dirigente Fiat all’Olivetti non andrebbe bene e viceversa, non è un dato oggettivo, era così.

Il dirigente Fiat all’Olivetti non lo volevano e viceversa perché erano due mondi, due filosofie aziendali, due criteri che erano totalmente diversi.

La soggettività ci deve essere: in un ufficio che funziona in un certo modo, c’è un dirigente che ha opinioni e modi di lavorare diversi da altri.

Ho dovuto dire queste cose, però adesso dico tre, quattro parole sull’ICT.Però l’ICT, seguito a dire, è una cosa grandissima, ma non funziona se... diventa solo

faccenda di immagine, un puro orpello, se non c’è dietro la sostanza delle cose che è quella che inevitabilmente ne porta una valorizzazione.

La struttura che presiedo indegnamente, cioè il CINECA, è una struttura, una grossa struttura, è il più grosso centro di calcolo italiano, l’ottavo o il nono in Europa e circa il quarantesimo al mondo, è una struttura che opera sul mercato, opera al servizio della ricerca, e questo è un punto.

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Poi opera al servizio del trasferimento di tecnologie telematiche, in particolare sulla Pubblica Amministrazione, oltre che sulle Università, sui privati, laddove viene chiesta.

In più fa altre cose, ma che qui non interessano. Siccome torniamo al punto di partenza di prima, cioè non si attuano riforme se non c’è uno

strumento efficiente, anche il sistema FEPA, NTG eccetera, di cui si è ampiamente parlato, è un sistema al quale il CINECA ha contribuito per cercare di renderlo, dal punto di vista informatico, uno strumento facile, utile, amichevole, che possa essere utilizzato con facilità, non una cosa... che possa essere utilizzato con facilità e interessando, in modo tale da potere fare uscire l’utilità di queste cose.

Questo è un primo aspetto.Ma c’è un altro aspetto, che per un minuto ancora voglio sottolineare, cioè prendiamo in

esame un dato che secondo me è estremamente significativo: la ICT è tradizionalmente ritenuta un’attività di elaborazione dati e di elaborazione di testi, ma l’utilità della ICT, a parte questa che è ovvia, database e via dicendo, sta divenendo sempre più un’altra attività.

Prendiamo in esame un dato, che è il dato secondo cui il tempo che la Pubblica Amministrazione, ma anche la privata, tutti, devono dedicare ai sistemi, alle attività di coordinamento e di monitoraggio, è diventato la massima parte, il massimo compito quasi, di tutte le persone.

La ICT, da questo punto di vista è capace di risolvere il problema dell’interactive capability, in maniera assolutamente nuova, in maniera assolutamente efficiente.

Quella parte sempre più consistente di tempo, che deve essere dedicata al coordinamento, al monitoraggio, alle interrelazioni e via dicendo, la ICT la risolve brillantemente e in maniera molto convincente.

Le interazioni di ogni tipo vengono rese rapide ed efficienti e meno costose, sono interazioni che stanno alla base del funzionamento delle organizzazioni, alle interazioni tipiche dei processi di intermediazione, delle interazioni nelle attività di formazione e di ricerca, nella sanità e via dicendo.

È uno degli aspetti della cosiddetta società basata sulla conoscenza ed è anche un grande strumento di trasparenza.

Quando si parlava prima di trasparenza, di possibilità di effettuare controllo sulla Pubblica Amministrazione, la ICT è evidentemente uno strumento fondamentale; consente non solo di fornire dei dati, ma di fornire quelle elaborazioni che consentono ai dati di diventare informazioni, perché i dati non servono a niente: quando mi danno un metro cubo di carta piena di numeri, io non so che cosa farmene se uno non me l’ha elaborata. Dal dato si deve passare all’informazione, e qui la ICT ha un discorso fondamentale.

Ecco allora, non stiamo...

[…]

...strumenti del controllo di qualità nel mondo privato e non si capisce perché non possa essere uno strumento del tutto analogo da applicare nella Pubblica Amministrazione.

Se si vuole la partecipazione, l’intensificazione, una posizione anche etica, se si vuole che il senso di appartenenza e tutte queste cose vengano sviluppate e siano indispensabili, se si vogliono fare veramente dei salti di efficienza, allora dal punto di vista strettamente tecnico occorre, tramite l’IRP, superare la tradizionale organizzazione in sistemi informativi diversi e i relativi database, diversi per le varie funzioni aziendali, quindi anche della Pubblica Amministrazione.

Sono sempre stati organizzati in modo tale da garantire l’efficienza della singola funzione, questo deve cambiare, devono cioè essere organizzati in maniera unitaria in modo da poter scambiare quelle informazioni che sono assolutamente necessarie e indispensabili per dare un significato alle funzioni di tutti. La cosiddetta organizzazione per processi che deve superare l’organizzazione per funzioni e su questo punto la ICT può dare un contributo immenso. L’IRP, che possiamo anche chiamare in maniera diversa, ma nel settore si usa questa terminologia, ha anche il grande merito di favorire il senso di appartenenza aziendale, dato che con la disponibilità dei dati, oltre agli ovvi vantaggi legati alla più ampia conoscenza, si intensifica il coinvolgimento delle persone e dei reparti, nella complessiva conduzione e si crea la possibilità di riscontrare come le proprie eventuali azioni abbiano influenza su altre funzioni.

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Questo della separatezza dei settori è uno dei problemi più grossi e che può essere ampiamente superato dall’utilizzazione della ICT. La ICT, non sta a me dirlo, è una cosa ben nota; è effettivamente un grande, immenso potenziale strumento di grande efficienza e di grande possibilità di progresso. Naturalmente, quello che conta è che questa ICT può essere o un orpello o semplicemente una collanina da indossare o può essere una struttura vera. Questo però dipende ancora una volta, come è giusto, dalla volontà politica di utilizzarla. Dott. Emidio Valentini Avevo anticipato che mi sarei preso qualche minuto in più evitando i commenti nel passaggio da un relatore ad un altro.Ma avete potuto constatare la pacatezza, la chiarezza espositiva dei relatori.E quindi evito anche i commenti a conclusione Mi limito sinteticamente ad evidenziare la comune constatazione

a) della non contrapposizione fra Autority e Memorandum;b) del riconoscimento che i contenuti del disegno di legge sull'autority hanno fatto giustizia dell'enfasi (peró necessaria) data al fannullonismo;c) del comune obiettivo circa la misura delle attività, il monitoraggio e valutazione della produttività (efficienza ed efficacia), la trasparenza; d) del forte consenso sulle iniziative del dopo convegno, di cui vi dò una sintesi Obiettivi comuni alle iniziative

Sostegno culturale-metodologico per l'attuazione della trasparenza gestionale ( monitoraggio, misurazioni e indicatori, benchmarking, controllabilità ) “ necessaria” per avere efficienza, efficacia ed etica nelle Amministrazione pubbliche

a) - Costituzione ASTAP-Associazione onlus per la trasparenza gestionale nelle amministrazioni pubbliche (dovrebbe trasformarsi poi in Fondazione) (Vedere allegato n. 4 pag.109) Associazione per la promozione, ricerca, realizzazione e diffusione di cultura, metodiche, tecniche e proposte normative per la trasparenza nelle attività gestionali, ed in particolare nell’efficienza, efficacia ed etica delle Amministrazioni pubbliche. L’Associazione ha soprattutto l’obiettivo di “monitorare” l’attuazione della trasparenza gestionale nelle Amministrazioni pubbliche, nei modi previsti dal suo statuto e renderli noti a tutte le istituzioni interessate. b) - Progetto di formazione standard, sulla trasparenza gestionale, da attuare in maniera decentrata, in collaborazione con le Universitá locali (Vedere allegato n. 3 pag. 107)

c) - Pubblicazioni di carattere eminentemente pratico sugli obiettivi dell’Associazione

Grazie a tutti e arrivederci a presto per dare questo nuovo contributo al nostro Paese

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ALLEGATO n. 1

Camera dei Deputati I Commissione - Giovedì 17 maggio 2007

Modernizzazione delle Amministrazioni pubbliche. C. 2161 Governo (testo base) e abbinate(C. 590 Lucchese, C. 1505 Pedica, C. 1588 Nicola Rossi, C. 1688 La Loggia e C. 2080 Turci).

EMENDAMENTI

ART. 1.Al comma 1, premettere la seguente lettera:0a) All'articolo 1, comma 1, sostituire la parola: «criteri» con la seguente: «principi», e dopo le parole «di efficacia,» aggiungere le seguenti: «di imparzialità». ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

NORME IN MATERIA DI VALUTAZIONE DELL'EFFICIENZA E DEL RENDIMENTO DELLE STRUTTURE E DEI DIPENDENTI PUBBLICIArt. 9-bis.(Istituzione dell'Autorità per la valutazione del personale e delle strutture pubbliche).1. È istituita l'Autorità per la valutazione del personale e delle strutture pubbliche, di seguito denominata «Autorità». L'Autorità è organismo indipendente che opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione; è dotata di autonomia organizzativa e contabile nei limiti del proprio bilancio. È organo collegiale costituito dal presidente e da quattro membri, nominati con decreto del Presidente della Repubblica tra esperti in materia di disciplina e gestione dell'impiego pubblico e privato. Non possono essere nominate persone che rivestono incarichi pubblici elettivi, o cariche i n partiti politici o in organizzazioni sindacali ovvero che hanno rapporti continuativi di collaborazione o di consulenza con le predette organizzazioni, né persone che hanno rivestito simili incarichi o cariche o avuto simili rapporti nei tre anni precedenti alla designazione. Il presidente è scelto tra persone di notoria indipendenza che hanno ricoperto incarichi istituzionali di grande responsabilità e rilievo.2. Il presidente e due componenti sono designati dal Governo e le designazioni sono previamente sottoposte al parere delle competenti Commissioni parlamentari. In nessun caso le nomine possono essere effettuate in mancanza del parere favorevole espresso dalle predette Commissioni a maggioranza dei due terzi dei componenti. Un componente è designato dalla delegazione regionale presente in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. Un componente è designato dalla delegazione degli enti locali presente in seno alla Conferenza Stato-città ed autonomie locali.3. Il presidente e i membri dell'Autorità durano in carica quattro anni e possono essere riconfermati una sola volta. Essi rimangono comunque in carica fino all'entrata in carica dei successori. Essi non possono esercitare, a pena di decadenza, alcuna attività professionale o di consulenza, né possono essere amministratori o dipendenti di enti pubblici o privati, né ricoprire altri uffici pubblici di qualsiasi natura. All'atto dell'accettazione della nomina, il presidente e i membri sono collocati fuori ruolo, se dipendenti di pubbliche amministrazioni o magistrati in attività di servizio; se professori universitari di ruolo, sono collocati in aspettativa senza assegni ai sensi dell'articolo 13 del decreto del

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Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382, e successive modificazioni. Il personale collocato fuori ruolo o in aspettativa non può essere sostituito.4. Al presidente dell'Autorità compete una indennità di funzione non eccedente, nel massimo, i due terzi della retribuzione spettante al primo presidente della Corte di cassazione. Ai membri compete un'indennità di funzione non eccedente, nel massimo, i due terzi di quella spettante al presidente.5. L'Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all'interno della pubblica amministrazione, istituito dall'articolo 1 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, e successive modificazioni, è soppresso. Il suo personale è trasferito all'Autorità.6. Il Comitato dei garanti, di cui all'articolo 22 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, è soppresso. Le sue funzioni sono attribuite all'Autorità.7. La banca dati di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, è trasferita all'Autorità. Il comitato tecnico scientifico e l'osservatorio di cui ai commi 2 e 3 del medesimo articolo 7 del decreto legislativo n. 286 del 1999 sono soppressi. Le loro funzioni sono trasferite all'Autorità. La soppressione produce effetti all'atto della prima nomina dei componenti dell'Autorità. Fino a tale data, le funzioni dell'Autorità sono svolte dal comitato tecnico scientifico in carica.8. L'Autorità definisce con propri regolamenti le norme concernenti l'organizzazione interna, il funzionamento e la gestione finanziaria, sulla, base dei princìpi di efficienza, efficacia, proporzionalità, trasparenza e contraddittorio. Essa individua, con propria deliberazione, i contingenti di personale di cui avvalersi, entro un limite massimo di venti dipendenti oltre a quelli degli organi soppressi di cui ai commi 5, 6 e 7. Alla copertura dei relativi posti si può provvedere per trasferimento interno alla pubblica amministrazione o tramite concorsi pubblici. Nei limiti delle disponibilità di bilancio, l'Autorità può avvalersi di ulteriori esperti nella forma del rapporto di collaborazione autonoma.9. L'Autorità svolge le funzioni di valutazione previste dall'articolo 9-ter della presente legge a favore delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni. Ai sensi dell'articolo 118 della Costituzione, l'Autorità svolge le sue funzioni di indirizzo e di supporto anche a favore delle regioni e degli enti locali. L'attività dell'Autorità è volta a garantire il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle disposizioni della presente legge e dei decreti legislativi emanati in attuazione degli articoli 9-ter e 9-quater. L'Autorità può altresì valutare il rendimento del personale degli altri organismi di diritto pubblico, definiti ai sensi dell'articolo 3, comma 26, del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.10. L'Autorità promuove la conoscenza e la diffusione delle tecniche più efficaci e delle migliori esperienze attuate a livello internazionale nel campo della valutazione dell'efficienza e della produttività delle pubbliche amministrazioni.11. L'attività di valutazione dell'Autorità è basata sul principio della massima trasparenza. I risultati della sua attività sono pubblici. L'Autorità pubblica i risultati della sua attività di valutazione e assicura la disponibilità, per le associazioni dei consumatori o degli utenti, per i centri di ricerca e per ogni altro osservatore qualificato, dei dati sui quali è basata tale attività, affinché essi possano essere oggetto di autonoma elaborazione e valutazione. Nel sito INTERNET dell'Autorità sono resi pubblici i commenti e le proposte inviati da parte di associazioni dei consumatori e degli utenti, di studiosi e di osservatori qualificati, di giornalisti specializzati e di sindacati sui risultati dell'attività di valutazione. Sul medesimo sito sono altresì pubblicate eventuali segnalazioni e informazioni inviate dai cittadini.Art. 9-ter.(Delega al Governo in materia di valutazione del rendimento del personale delle pubbliche amministrazioni).1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per adeguare la disciplina dei controlli interni, di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, e successive modificazioni, e per disciplinare il sistema di valutazione del rendimento del personale delle pubbliche amministrazioni, nonché le misure conseguenti alla valutazione stessa.2. Nell'adozione dei decreti legislativi previsti, dal comma 1, il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:

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a) valutazione di tutto il personale pubblico con periodicità delimita in via generale, per categorie di personale;b) definizione, da parte dell'Autorità, di requisiti per il personale addetto al controllo di gestione e alla valutazione dei dirigenti;c) definizione, da parte dell'Autorità, di indirizzi, requisiti e criteri di indipendenza per l'attività di valutazione degli uffici e del personale da parte delle pubbliche amministrazioni, con modalità che assicurino la pubblicità e la partecipazione delle pubbliche amministrazioni e degli interessati;d) obbligo delle pubbliche amministrazioni di adeguare le attività di valutazione previste dalla legislazione vigente in materia agli indirizzi, requisiti e criteri definiti ai sensi della lettera c), evidenziandone il rispetto nel pubblicare i risultati dell'attività;e) pubblicità e trasparenza delle valutazioni operate da ciascuna pubblica amministrazione; pubblicazione sistematica e periodica validazione, da parte dell'Autorità, dell'attività di valutazione svolta dalle medesime amministrazioni; disponibilità per le associazioni dei consumatori e degli utenti, per i centri di ricerca e per ogni altro osservatore qualificato di tutti i dati sui quali si basa la valutazione stessa, affinché essi possano essere oggetto di autonoma elaborazione e valutazione; confronto periodico tra valutazioni operate dall'interno della pubblica amministrazione e valutazioni operate dall'esterno;f) possibilità per l'Autorità di segnalare ai servizi ispettivi delle pubbliche amministrazioni la situazione o il rendimento di determinati uffici o strutture, anche sotto il profilo della congruità delle strutture alle funzioni, o di singoli dipendenti, anche a seguito della segnalazione di qualunque soggetto pubblico o privato; possibilità per l'Autorità di pronunciarsi, in occasione di tali segnalazioni, sul curriculum del dirigente preposto alla struttura; tempestiva comunicazione dei risultati dell'attività conseguentemente svolta dai servizi ispettivi all'Autorità, ai vertici politici e ai dirigenti dei relativi uffici o strutture nonché agli uffici di controllo interno delle pubbliche amministrazioni;g) possibilità per l'Autorità di avvalersi dei servizi ispettivi delle pubbliche amministrazioni e degli uffici di controllo interno delle pubbliche amministrazioni, di ricevere e di rivolgere quesiti al personale in servizio e di procedere a ispezioni;h) individuazione, da parte delle pubbliche amministrazioni, anche sulla base delle segnalazioni effettuate dall'Autorità ai sessi della lettera f), del personale in esubero; responsabilità erariale dei dirigenti degli uffici in caso di mancata individuazione delle unità in esubero;i) individuazione nominativa, da parte delle pubbliche amministrazioni, delle unità di personale le cui prestazioni risultano di utilità minima o nulla per l'amministrazione stessa, a causa di grave e colpevole inefficienza o di incompetenza professionale;l) collocamento a disposizione delle unità di personale individuate ai sensi delle lettere h) e i), con mantenimento della componente fissa del trattamento economico ed esclusione degli aumenti retributivi;m) mobilità del personale collocato a disposizione, sua riqualificazione e sua destinazione ad altra pubblica amministrazione, entro un ambito territoriale definito e nel rispetto della qualificazione professionale, con risoluzione del rapporto in caso di rifiuto;n) attribuzione agli uffici, nei quali risulta esservi personale in esubero ai sensi della lettera h), di una quota del risparmio ottenuto, da utilizzare per incentivare il personale residuo o per migliorare il funzionamento degli uffici stessi;o) attribuzione delle indennità di risultato esclusivamente sulla base della valutazione;p) organizzazione di un confronto pubblico annuale sull'attività di valutazione compiuta da ciascuna pubblica amministrazione, con 1a partecipazione di associazioni dei consumatori e degli utenti, di studiosi qualificati e di organi di informazione; disponibilità permanente sul sito INTERNET dell'Autorità dei dati relativi al confronto pubblico;q) previsione di modalità di partecipazione delle associazioni dei consumatori e degli utenti agli organi di valutazione e alla loro attività;r) limitazione della responsabilità dei membri dell'Autorità, per le decisioni in materia di valutazione, al dolo o alla colpa grave;s) coordinamento delle disposizioni vigenti in materia di valutazione del rendimento del personale con quelle vigenti in materia di controllo di gestione e di valutazione dei dirigenti.Art. 9-quater(Delega al Governo in materia di responsabilità dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni).

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1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per adeguare la disciplina legislativa della responsabilità disciplinare, erariale e dirigenziale dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in conformità ai seguenti princìpi e criteri direttivi:a) limitazione della responsabilità civile dei dirigenti amministrativi, per la decisione di avviare il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, all'ipotesi di dolo;b) comunicazione delle decisioni, adottate ai sensi dell'articolo 9-ter, comma 2, lettera i), alle competenti procure regionali della Corte dei conti, ai fini della valutazione della responsabilità degli interessati e dei dirigenti dei relativi uffici;c) segnalazione alle pubbliche amministrazioni, da parte dell'Autorità, di fatti dai quali può sorgere responsabilità disciplinare dei rispettivi dipendenti;d) segnalazione alle procure regionali della Corte dei conti, da parte dell'Autorità, di fatti dai quali può sorgere responsabilità erariale dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, anche sulla base dell'esame delle relazioni delle sezioni di controllo della medesima Corte;e) rilevanza dei risultati negativi della valutazione, condotta in conformità alle disposizioni adottate ai sensi dell'articolo 9-ter della presente legge, ai fini della responsabilità dirigenziale di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni;f) rilevanza, ai fini della responsabilità dirigenziale di cui all'articolo 21 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, del comportamento dei dirigenti che, a fronte di fatti che appaiono rilevanti sul piano della responsabilità disciplinare, fanno decorrere i termini per l'avvio del procedimento disciplinare.Art. 9-quinquies(Retribuzioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni).1. Per i dirigenti delle pubbliche amministrazioni, la componente della retribuzione legata al risultato deve essere fissata in una misura non inferiore al 34 per cento della retribuzione complessiva.2. In mancanza di una valutazione corrispondente agli indirizzi, requisiti e criteri definiti in materia dall'Autorità, è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di corrispondere ai propri dirigenti la componente della retribuzione legata al risultato. Il dirigente che contravviene al divieto di cui al presente comma con dolo o colpa grave risponde per il maggior onere conseguente.3. È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di corrispondere al dirigente il trattamento economico accessorio nel caso in cui risulta che egli, senza adeguata giustificazione, non ha avviato il procedimento disciplinare nei confronti dei dipendenti individuati ai sensi dell'articolo 9-ter, comma 2, lettera i).4. È fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di attribuire aumenti retributivi di qualsiasi genere ai dipendenti di uffici o strutture che sono stati individuati ai sensi dell'articolo 9-ter, comma 2, lettera h), per grave inefficienza, improduttività o sovradimensionamento dell'organico».9. 01.Turci, Angelo Piazza. ................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. «Capo IIIMISURE FINALIZZATE ALL'ATTUAZIONE DELLA TRASPARENZA GESTIONALEArt. 17-bis.(Trasparenza gestionale nelle amministrazioni pubbliche).1. Le Amministrazioni pubbliche devono adottare tecnologie e metodologie finalizzate alla realizzazione della trasparenza gestionale delle proprie attività e strutture.Art. 17-ter.(Delega al Governo in materia di trasparenza gestionale).1. Il Governo è delegato ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per la realizzazione della trasparenza gestionale nelle Amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 17-bis.

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2. Nell'adozione dei decreti legislativi previsti dal comma 1, il Governo, per tutte le amministrazioni pubbliche, si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi:a) progettazione ed attuazione del monitoraggio quantitativo, sistemico e permanente del piano delle attività e prodotto istituzionali, del piano delle attività e prodotti processo esteso alle posizioni di lavoro, del piano dei centri di costo, del piano dei conti e del piano degli indicatori di gestione;b) individuazione, quantificazione e monitoraggio della produttività del lavoro (rendimento del personale) a partire dalle posizioni di lavoro, dei costi delle attività e dei prodotti istituzionali di cui al piano del punto a), dei costi delle attività e dei prodotti processo di cui al piano del punto a), della qualità delle attività e dei servizi resi;c) adozione di un meccanismo di valutazioni delle prestazioni imperniato su piani annuali di produttività cui collegare gli effettivi fabbisogni di personale e i budget interni;d) disciplina di sistema di valutazione del rendimento del personale delle pubbliche amministrazioni, nonché le misure conseguenti alla valutazione stessa;e) sviluppo di un proficuo collegamento tra i sistemi di controllo interno e le azioni di miglioramento della qualità e delle prestazioni attraverso il monitoraggio, la valutazione e la rendicontazione strutturata del miglioramento continuo;f) creazione di condizioni di misurabilità, verificabilità e incentivazione della qualità dei servizi e delle funzioni pubbliche».17. 01.Turci, Angelo Piazza.

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ALLEGATO n. 2

CHANGE MANAGEMENT - Come vincere la sfida del cambiamento in azienda

Gianfranco Rebora - Eliana Minelli

.. anche altre tematiche, come quella delle diverse età presenti in azienda, che sfociano in un approccio all'organizzazione che assume un significato maggiore e più ampio nel senso del management della diversità (Rebora, 2oo5). Soluzioni come la Piattaforma di Change Management rivelano un potenziale forte anche di fronte al problema di gestire una sempre più complessa e differenziata demografia aziendale, che pone l'esigenza di attraversare con ponti sociali le differenze di genere, età, background etnico, culturale, professionale che le moderne organizzazioni proiettate su una scala competitiva mondiale si trovano inevitabilmente a fronteggiare.

7.12 I ClRCUlTl E LE RETI EMERGENTIAlcune delle situazioni che abbiamo esaminato si prestano a chiarire un'altra importante manifestazione degli agenti del cambiamento.I process owner di Italcementi (e i loro assistenti), i change agents senior e junior di Iveco, gli alti potenziali della Regione Lombardia, i bracci destri del San Gerardo sono tutte figure accomunabili dal fatto di costituire una rete, o un circuito, di ruoli diffusi in tutta I'organizzazione e dai quali ci si aspetta per il futuro una crescita di capacità professionale e di influenza che si qualifichi proprio nell'accompagnare e sostenere i processi del cambiamento.Le reti o i circuiti di ruoli di questo tipo sono composti da persone che assumono un profilo tra loro simile, che si presentano accomunati da modelli culturali di riferimento, da schemi cognitivi e di comportamento, non di rado generati o rafforzati da processi formativi o da esperienze operative condivise, o comunque riflettenti gli stessi contenuti. Tia i ruoli compresi nella rete si stabiliscono così nessi e legami di vario tipo, per lo più tesi a rafforzarre e amplificarne I'influenza nell'ambito dell'organizzazíone e anche rivolti a facilitare lo svolgimento dei compiti assegnati a ciascuno di loro (v. anche Tichy, 1983).L'afferrnazione progressiva di circuiti di questa natura può essere quindi favorita e anche programmata da una leadership di più alto livello, oltre che dagli sforzi dei diretti partecipanti. Tale modalità si presta alla diffusione e amplifìcazione di un processo di cambiamento imperniato su agenti diffusi negli strati intermedi dell'organizzazione e che in modo graduale e quasi "naturale" assumono via via responsabilità anche formali di maggior rilievo.Il "legante" di tali reti e circuiti è di solito costituito non solo dall'evidente interesse personale che i singoli hanno a parteciparvi ma da valori e cultura condivisi, con risvolti al tempo stesso di tipo etico e di tipo professionale, tendenti cioè ad affermare sia una funzione socialmente positiva, che una logica e un metodo operativo professionalmente validi e praticamente iricisivi di fronte ai problemi di cambiamento affrontati.L'attivazione di circuiti emergenti di rilevante entità è prassi largamente utilizzata per il rinnovamento delle burocrazie pubbliche di diversi paesi, attraverso il sistematico inserimento di giovani funzionari, selezionati e preparati nell'ambito di intensi processi di formazione progettati per questo scopo. Com'è noto, qualcosa del genere avviene in Francia, con I'Ecole nationale d'administration i cui diplomati vengono inseriti in modo programmato nelle carriere direttive delle più importanti amministrazioni; essi formano un'élite, che esprime una propria identità, una cultura "forte", valori e linguaggi comuni; ciò consente di stabilire dei nessi e dei legami durevoli e una grande facilità di comunicazione e di rapporto fra coloro che hanno questa provenienza e che sono destinati tra l'altro a progredire in breve tempo verso posizioni di elevata responsabilità. Essi costituiscono quindi un circuito che può efficacemente mobilitarsi per attivare cambiamenti, sia all'interno di singoli enti che nel tessuto dei rapporti interaziendali.Qualcosa di analogo si verifica anche in Giappone, dove i ministeri di maggior prestigio inseriscono ogni anno nelle proprie struture i laureati meglio classifìcati delle università più importanti del paese,

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utllizzando sistemi selettivi e formativi che garantiscono anche in questo caso la formazione di un'élite coesa, che costituisce nel tempo una vera e propria rete di rapporti assai rilevante anche sul piano organizzativo.Anche in Italia è esistito qualcosa del genere. Un progetto del Dipartimento della Funzione pubblica, denominato "Funzionalità ed Efficienza della Pubblica Amministrazione", coinvolse alla metà degli anni Ottanta diverse centinaia di funzionari delle amministrazioni più diverse, soprattutto enti locali. Questo attivò una rete di contatti alimentata da seminari di lavoro e scambio di informazioni, che manifestò la capacità di durare nel tempo al di là dell'esistenza formale del progetto, che terminò all'inizio degli anni Novanta.Col tempo molti di questi funzionari assunsero responsabilità più rilevanti e tennero comunque vivo il contatto e l'interscambio tra loro. Nel gennaio del 2oo6 un convegno, organizzato da Emidio Valentini, l'iniziatore del Fepa ormai in pensione, ha radunato un numero elevato dei primitivi partecipanti testimoniando la potenzialità e vitalità dell'attivazione di circuiti o reti di questo tipo, quando promossi con sensibilità per i processi interattivi e non solo per i contenuti tecnici. Naturalmente, le reti e i circuiti emergenti, come e più delle altre modalità presentate di diffusione degli agenti di cambiamento, comportano anche dei rischi, oltre ai vantaggi evidenziati. Esiste infatti la possibilità che si sviluppino nel loro ambito forme di irrigidimento, o di comportamento opportunistico, di perdita di contatto con le fìnalità e i valori di fondo, fìno a determinare nel tempo la loro conversione in fattori d'inerzia organizzaliva, oppure di devianza rispetto agli scopi istituzionali.Ma questo fa parte della difficoltà e dell'incertezza insita nel processo di cambiamento istituzionale e organizzativo; e corrisponde ai rischi di degenerazione e scadimento con i quali il fenomeno stesso della leadership nell'ambito dei sistemi sociali deve comunque misurarsi.

7.13 LE COSTELLAZIONI Dl RUOLIAnche le costellazioni di ruoli emergono dalle ricerche sul processo d'innovazione nelle organizzazioni complesse come un fattore importante, complementare all'impulso della leadership nello sviluppare energia e tensione verso il cambiamento e nel canalizzare le spinte dell'ambiente esterno.Un'opportuna combinazione o costellazione (Normann, 1978) di ruoli distinti consente di calibrare gli apporti al processo di cambiamento evitando sbilanciamenti rischiosi, abbreviando i tempi, consentendo una più tempestiva percezione e correzione degli inevitabili errori. Alcuni di questi apporti hanno dei connotati che li ricollegano direttamente alla leadership generale del processo, come avviene per la regia del cambiamento e per la tutela degli spazi di azione dei soggetti portatori di idee innovative.Questi ultimi possono essere in molti casi operatori dei livelli gerarchici intermedi o inferiori, oppure persone o gruppi esterni.Possono diventare agenti del cambiamento solo se inseriti in una costellazione di questo tipo e tutelati da un leader, che trova in tal modo un supporto di idee, di conoscenze e di esperienze che da solo non riuscirebbe ad attivare e che gli consentono quindi di meglio svolgere la sua funzione.Abbiamo già considerato come nel caso di Google la particolare formula del "governo a tre" non solo sfrutti pienamente la diversità di carattere, di stile comportamentale e di propensioni professionali dei suoi componenti, ma garantisca I'apertura di ampie possibilità di partecipare al processo innovativo per gli individui e i gruppi via via inseriti nell'organizzazione.Il concetto di costellazione di ruoli si presta anche a operare una sintesi della complessiva problematica degli agenti del cambiamento, richiamando all'esigenza che i diversi apporti siano tra loro coerenti, si completino e integrino in un disegno che abbia significato.Ciò deve essere considerato in termini dinamici e non statici, lasciando spazio a tensioni, disequilibri e conflitti come fattori necessari di stimolo e come generatori di energia.Se il primo avvio di un processo di cambiamento mette in evidenza sopratutto le qualità personali della leadership e la sua capacità di presentare agli altri soggetti "visioni di sintesi" del futuro che insieme può essere costruito, la sua successiva conduzione negli aspetti più dettagliati e specifici, tutta la parte più quotidiana e meno appariscente, sembra richiedere proprio una moltiplicazione e differenziazione degli agenti di cambiamento; essa deve dare luogo a ruoli fortemente orientati a interagire reciprocamente, moderando le rispettive unilateralità fino a generare una costruzione che sia qualcosa di diverso e di più della semplice sommatoria dei rispettivi apporti.

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Le ricerche richiamate distinguono in questo senso le figure tipiche di chi "genera le idee", produce cioè in un certo senso la materia prima del processo innovativo; chi agisce da "selettore", e quindi in sostanza esercita una funzione di critica verso la varietà d'ipotesi che viene generata, consentendo una maggiore e più pronta aderenza ai vincoli della realtà; chi "fa da tramite", o agisce come "perno di collegamento" rispetto agli ambienti esterni in cui si elaborano nuove conoscenze, metodi e approcci tecnici, oppure si sollevano bisogni; e infine chi assicura la conduzione di specifiche parti del progetto innovativo negli aspetti tecnici e operativi, anche di dettaglio, facendo in modo di risolvere gli immancabili problemi che via via si verificano, rischiando di far fallire o …

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ALLEGATO n. 3

Progetto Formazione standard “Trasparenza ed efficienza nelle Amministrazioni Pubbliche” Ente titolare e responsabile: ASTAP Obiettivo generale: Sostegno culturale-metodologico per l'attuazione della trasparenza gestionale (monitoraggio, misurazioni e indicatori, benchmarking, controllabilità) Obiettivi specifici - addestramento e realizzazione prototipi relativamente a: Trasparenza e monitoraggio Monitoraggio della produttivitá del lavoro Monitoraggio della produttivita del lavoro (rendimento risorse umane) Monitoraggio della produttivitá del lavoro e fabbisogni organici Monitoraggio della protuttivitá del lavoro e incentivi Monitoraggio della produttivitá economica e controllo dei costi Monitoraggio e verifica della qualitá dei servizi Monitoraggio di indicatori gestionali

Modalitá - L’addestramento e la realizzazione di prototipi saranno effettuati prevalentemene on line e personalizzati - La parte formativa sará contenuta e limitata a poche giornate, possibilmente in collaborazione con Universitá o qualificate scuole di formazione. - Dopo una fase iniziale di attuazione, la gestione del progetto può essere affidata, mediante apposita convenzione, direttamente alle Universitá e alle scuole di formazione - Logistica: a cura dell’Astap, in collaboraziome con Università e Scuole di formazione. Partecipanti: a) - Membri dei nuclei di valutazione e responsabili controlli di gestione b) - Dirigenti e funzionari delle Amministraioni pubbliche c) - Consulenti in sistemi gestionali d) - Neo laurati in discipline economico e scentifiche;

n.b.: il progetto di formazione sarà adattato a ciascuna delle quattro tipologie di partecipanti

Programma

Modulo n. 1 - Trasparenza e monitoraggio 1.1. Trasparenza: contenuti, ruolo, distinzioni, esemplificazioni 1.2. Monitoraggio : 1.2.1 - tipicizzazione, quantificazione, misura e rilevazione costante un fenomeno in periodi determinati di tempo 1.2.2 - nel tempo e nello spazio (benchmarking) 1.2.3 - Funzioni ed esemplificazini

Modulo n. 2 - Monitoraggio delle produttività del lavoro (rendimento)

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- piano delle attivita istituzionali (le attività il cui risultato sono prodotti istituzionali/finali); - piano delle unità organizzative, a partire dalla posizioni di lavoro; - piano delle attività processo (le attività il cui risultato sono i prodotti processi, pezzi

dei prodotti finali); - piano delle risorse umane, distintamente per qualifiche e profili contrattuali ed espresse

in ore;- misura delle attivitá istituzionali mediante quantificazione dei relativi prodotti/risultato; - individuazione del tempo medio di risorse umane utilizzate, nel periodo di riferimento,

per ciascuna unitá prodotto/processo e distinte per qualifiche e profili; - individuazione degli indici di produzione delle unità organizzative; - individuazione degli indici di produttivitá del lavoro (rendimento);- monitoraggio organico e definito dei dati contenuti nei vari piani, degli indici di

produzione e di produtività del lavoro

Modulo n. 3 - Monitoraggio della produttività del lavoro e programmazione Fabbisogni Organici Monitoraggio della Produtivitá ed incentivi - la verifica dei fabbisogni organici mediante valutazioni scostamenti di produttività

interni all’ente (con monitoraggio anche retroattivo, per almeno tre anni) - la verifica dei fabbisogni organici mediante comparazione indici di produttività, per

attività omogenee di enti tipologicamente omogeni (sulla base di medie ricavate da un sufficiente campione)

- variazioni di produttività e sistema incentivante

Modulo n. 4 - Monitoraggio della produttivitá economica e controllo dei costi - Piano dei costi delle risorse umane (monetizzazione del piano delle risorse umane di cui

al modulo n.1 e conseguente imputazione diretta alla posizioni di lavoro ed alle attività processo)

- Piano dei costi della altre risorse e loro imputazione alle unità organizzative di base - Individuazione dei costi per prodotto processo, per prodotto finale, per attività processo

e per attività istituzionale/finale, per tutte le unità organizzative e per l’ente - Individuazione Conto economico di ente e di centri responsabili di budget

- Monitoraggio organico e definito dei dati contenuti nei vari piani dei vari tipi di costi e dei conti economici

Modulo n. 5 - Monitoraggio degli indicatori.

- Parametri ed indicatori in generale - Parametri ed indicatori di contesto, di struttura e di gestione

- Indicatori semplici e composti

Nel caso di collaborazione con Università, ciascuna Università integrerà il progetto standard di cui sopra con tematiche ritenute opportune per la formazione necessaria per l’attuazione delle indicazioni e direttive in corso di messa a punto con i noti provvedimenti legislativi, ed in particolare per l’attuazione nelle pubbliche amministrazioni di:

a) adozione di un meccanismo di valutazioni delle prestazioni imperniato su piani annuali di produttivitá cui collegare gli effettivi fabbisogni di personale e i budget interni b) disciplina di sistema di valutazione del rendimento del personale delle pubbliche amministrazioni, nonché le misure conseguenti alla valutazione stessa

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c) sviluppo di un proficuo collegamento tra i sistemi di controllo interno e le azioni di miglioramento della qualità e delle prestazioni attraverso il monitoraggio, la valutazione e la rendicontazione strutturata del miglioramento continuo d) creazione di condizioni di misurabilità, verificabilità e incentivazione della qualità dei servizi e delle funzioni pubbliche

ALLEGATO n. 4

ATTO COSTITUTIVO DELL’ASTAP Associazione per la Trasparenza gestionale nelle Amministrazioni Pubbliche(onlus: associazione senza scopo di lucro)

STATUTO (da approvarsi a cura dell’Assemblea)

Art. 1E’ costituita un’associazione denominata ASTAP “Associazione per la Trasparenza gestionale nelle

Amministrazioni Pubbliche”, con sede a _________________________.L’Associazione è composta da persone fisiche e persone giuridiche.

Art. 2L’Associazione è apolitica e non ha finalità di lucro. L’Associazione si propone di promuovere la diffusione di cultura, di metodiche, di tecniche e di proposte normative tendenti alla trasparenza delle Pubbliche Amministrazioni con particolare riferimento alle attività gestionali ed ai loro livelli di efficienza e di efficacia.

Art. 3L’Associazione è a durata illimitata nel tempo ed è regolata a norma del Titolo I, Cap. III, artt. 36 e seguenti, del Codice Civile, nonché dal presente Statuto.L’associazione può organizzativamente articolarsi per Regioni e per Settori (Universitá e Ricerca, Enti locali, Sanita, ecc.) sulla base di propri regolamenti Tutti i partecipanti all’Associazione, sono tenuti a rispettare le norme del presente Statuto e degli eventuali conseguenti regolamenti, secondo gli indirizzi assunti dagli Organi dell’Associazione medesima.

Art. 4I principali valori di carattere generale dell’Associazione sono i seguenti:

• trasparenza istituzionale e gestionale;• centralità della persona e della dignità umana;• rispetto dell’etica professionale;• ricerca di un’eccellenza professionale;• alti livelli di responsabilità nella rappresentanza degli interessi comuni;• cultura della partecipazione.

Art. 5L’Associazione potrà dare la sua collaborazione ad altri Enti per lo sviluppo di iniziative che si inquadrino nei suoi fini. Essa dovrà tuttavia mantenere sempre la più completa indipendenza nei confronti degli organi di governo, delle Aziende pubbliche e private, delle Organizzazioni Sindacali.

Art. 6L’Associazione, al fine di realizzare gli scopi di cui all’art. 2, si adopererà per:

• promuovere la crescita culturale e professionale di quanti si occupano di Pubblica Amministrazione e in particolare di attività gestionali;

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• definire, diffondere, testimoniare le metodiche e le tecniche più consone a rappresentare, con massimi livelli di trasparenza, le attività e i servizi delle Amministrazioni Pubbliche;

• contribuire all’elaborazione di norme o leggi che possano favorire il clima di trasparenza fra pubbliche amministrazioni e cittadinanza;

• fornire ai soci idonea formazione, supporti e servizi di interesse comune per il conseguimento degli obiettivi sopra elencati;

• favorire l’inserimento dei soci in organismi rappresentativi pertinenti alle tematiche dell’Associazione;

• "monitorare" l’attuazione della trasparenza gestionale nella Amministrazioni pubbliche, nei modi previsti dal suo statuto e resi noti a tutte le istituzioni interessate

• sviluppare insieme alle istituzioni universitarie progetti di ricerca, di diffusione e di formazione riguardanti le nuove metodiche e le nuove tecniche di gestione.

Art. 7Gli Organi dell’Associazione sono i seguenti:

1. l’Assemblea dei Soci;2. il Consiglio Direttivo;3. il Presidente;4. il Collegio dei Revisori;5. il Collegio dei Probiviri;6. il Comitato dei Garanti;7. il Segretario;8. il Direttore.

Art. 8Possono far parte dell’Associazione le persone fisiche che svolgono funzioni manageriali o professionali nell’Area della Pubblica Amministrazione, le persone giuridiche che presenteranno domanda di iscrizione e verseranno una quota associativa stabilita, ogni tre anni dall’assemblea dei soci, su proposta del consiglio direttivo e previo parere del comitato dei garanti. Le persone giuridiche dovranno nominare un proprio rappresentante che assumerà il ruolo di socio iscritto all’Associazione. Sarà costituito un albo dei Soci iscritti che sarà puntualmente aggiornato a cura del Segretario.I soci che cessino di svolgere le funzioni in relazione alle quali sono stati ammessi, a causa di pensionamento o cambio attività, potranno mantenere la loro qualifica di Socio. La qualifica di Socio è persa per dimissioni, per mancato pagamento della quota associativa nei termini stabiliti dal Consiglio Direttivo, per radiazione a seguito di comportamenti gravemente lesivi del prestigio dell’Associazione o di gravi violazioni dello Statuto.La radiazione è deliberata dal Consiglio Direttivo a maggioranza assoluta, previa istruttoria del Collegio dei Probiviri.

Art. 9La quota associativa è fissata anno per anno dal Consiglio Direttivo. Essa ha carattere individuale.

Art. 10L’Assemblea dei Soci è sovrana e garantisce una corretta gestione dell’Associazione. Stabilisce i criteri di ammissione, delibera le eventuali modifiche dello Statuto ed approva il rendiconto economico/finanziario.A ciascun Socio spetta un solo voto. All’Assemblea compete l’elezione, nel proprio seno (?), del Consiglio Direttivo, del Segretario e del Direttore, nonché dei Collegi dei Revisori e dei Probiviri.Si riunisce in sessione ordinaria almeno una volta l’anno entro il mese di Aprile, e in sessione straordinaria ogni volta che il Consiglio Direttivo ne ravvisi la necessità o lo richieda almeno un quarto dei Soci.Per l’elezione dei propri Organi l’Assemblea costituirà un apposito Comitato elettorale.L’Assemblea ordinaria e straordinaria è validamente costituita in prima convocazione quando siano presenti, fisicamente o per delega, almeno la metà degli aventi diritto. In seconda convocazione l’Assemblea è validamente costituita qualunque sia il numero dei presenti, fisicamente o per delega.

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Delle decisioni assembleari è redatto verbale a cura del Segretario, al quale deve essere data pubblicità mediante forme idonee.

Art. 12Il Consiglio Direttivo è nominato dall’Assemblea ed è composto da un numero di Membri determinato dall’Assemblea medesima fra i 5 e i 9 (?). Il Consiglio Direttivo dura in carica quattro anni ed i suoi Membri possono essere rieletti. La carica di Consigliere è gratuita e qualora il numero dei Consiglieri si riduca a meno di due terzi, il Consiglio Direttivo è considerato decaduto e deve essere rinnovato.I compiti del Consiglio Direttivo saranno declinati in un apposito Regolamento necessariamente deliberato dall’Assemblea.

Art. 13Il Presidente è nominato dal Consiglio Direttivo e dura in carica per l’intera durata del Consiglio. Parimenti è nominato dal Consiglio un Vice Presidente.Il Presidente ha la rappresentanza legale dell’Associazione e può agire in nome e per conto dell’Associazione medesima.

Art. 14Il Segretario, nominato dall’Assemblea o la sua nomina eventualmente delegata dall’Assemblea al Consiglio Direttivo, ha la responsabilità amministrativa dell’Associazione. Le sue funzioni sono eventualmente definite in termini particolari dal Consiglio Direttivo, anche in rapporto all’eventuale potenziamento dell’Associazione e della sua struttura organizzativa.

Art. 15Il Direttore, nominato dall’Assemblea o la sua nomina eventualmente delegata dall’Assemblea al Consiglio Direttivo, ha la responsabilità operativa e finanziaria dell’Associazione. Le sue funzioni sono eventualmente definite in termini particolari dal Consiglio Direttivo, anche in rapporto all’eventuale potenziamento dell’Associazione e della sua struttura organizzativa.

Art. 16L’Assemblea nomina, ogni tre anni, tre revisori dei conti. E’ così costituito il Collegio dei Revisori che cura il controllo della spesa e sorveglia la gestione amministrativa, riferendone all’Assemblea.Il Collegio dei revisori si raduna almeno due volte all’anno, una delle quali si terrà nel mese precedente l’approvazione del bilancio consuntivo e preventivo di esercizio da parte dell’Assemblea.

Art. 17L’Assemblea nomina il Collegio dei probiviri ogni tre anni, il quale è costituito da tre Membri.Tutte le eventuali controversie relative al rapporto associativo o al rapporto tra l’Associazione ed i suoi Organi sono devolute al Collegio dei Probiviri. E’ escluso il ricorso ad ogni altra giurisdizione.

Art. 18L’Assemblea nomina anche il Comitato dei Garanti, il quale è costituito da tre Membri. Il Comitato vigila e interviene per assicurare la piena applicazione dello Statuto, l’esercizio dei diritti dei Soci e l’adempimento dei correlativi doveri secondo quanto previsto dalle norme statutarie. Può disporre gli accertamenti che ritiene necessari per la formulazione del suo parere.Il Comitato può produrre un proprio regolamento che dovrà necessariamente essere approvato dall’Assemblea dei Soci.

Art. 19Le risorse economiche dell’Associazione sono costituite da:

• quote associative;• donazioni e lasciti;• rimborsi;• proventi di carattere produttivo derivanti da attività esercitate in base al presente Statuto;• ogni altro tipo di entrate legittime.

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Le risorse economiche dell’Associazione sono gestite previa adozione di uno specifico Regolamento.

Art. 20Lo scioglimento dell’Associazione è deliberato dall’Assemblea la quale eventualmente provvederà alla nomina di uno o più liquidatori.Gli eventuali capitali residui saranno devoluti in beneficenza.

Art. 21Per quanto altro non previsto dal presente Statuto valgono le norme di legge vigenti in materia.

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