Atti 8 Convention RSPP e ASPP - Assolombarda.it · Relazione “La responsabilità penale,...

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Pagina 1 di 43 Area Salute e Sicurezza sul Lavoro Atti della 8^ Convention degli RSPP e ASPP “Servizio di prevenzione e protezione, professionalità, modello di gestione: oltre l’approccio sanzionatorio” Milano, 20 gennaio 2011

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Area Salute e Sicurezza sul Lavoro

Atti della

8^ Convention degli RSPP e ASPP

“Servizio di prevenzione e protezione,

professionalità, modello di gestione: oltre l’app roccio sanzionatorio”

Milano, 20 gennaio 2011

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Indice

1. Elaborazione dei dati dei questionari compilati dai RSPP e ASPP in occasione

della 8^ Convention per indirizzare i gruppi di lav oro della mattina (coordinati dai

Proff. Marco Frey e Francesco Bacchini e dalla Dr.s sa Mariarosaria Spagnuolo)

1.1 Principali elementi emersi ........................................................................................3

1.2 Analisi dei dati..........................................................................................................4

1.3 Conclusioni ............................................................................................................24

1.4 Allegato - Questionario di indirizzo per i gruppi di lavoro della mattina della 8^

Convention RSPP e ASPP ..........................................................................................25

2. Relazione “La responsabilità penale, professiona le, civile del RSPP:

attribuzione di incarichi, deleghe e posizioni di g aranzia” del Prof. Tullio Padovani,

Università degli Studi e Scuola Superiore S. Anna d i Pisa .......................................28

3. Sintesi relazione Dr. Giulio Benedetti - Sostitu ito Procuratore presso il Tribunale

di Milano - “I principi di imputabilità giuridica d ell’attività di RSPP” (a cura del

Prof. Francesco Bacchini).......................... ..................................................................39

3.1 Posizione di garanzia.............................................................................................39

3.2 Posizione di garanzia del RSPP ............................................................................40

3.3 Ruolo e responsabilità del RSPP...........................................................................41

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1. Elaborazione dei dati dei questionari compilati dai RSPP e ASPP in occasione della 8^ Convention per indirizzare i gru ppi di lavoro della mattina (coordinati dai Proff. Marco Frey e Frances co Bacchini e dalla Dr.ssa Mariarosaria Spagnuolo)

Durante l’ottava Convention RSPP e ASPP del 20 gennaio 2011, è stato consegnato ai partecipanti un questionario finalizzato a raccogliere, dai diretti interessati, alcune informazioni per meglio comprendere in che misura si sia evoluto il loro specifico ruolo aziendale. In questi anni, del resto, vi sono state numerosi aggiornamenti normative che hanno coinvolto molteplici aspetti non solo di tipo tecnico ma, soprattutto, di natura organizzativa e gestionale. Poiché un’indagine analoga era stata effettuata nel 2003, in occasione della Convention “Prevenire gli infortuni. Una strategia comune RSPP e RLS per prevenire gli infortuni e far funzionare il sistema di gestione della sicurezza”, si sono potute sviluppare delle riflessioni partendo proprio dalla sintesi elaborata allora, che aveva evidenziato la differenza tra la percezione aziendale di chi sia il RSPP (fig. 1) e ciò che il RSPP vorrebbe essere (fig. 2). Convention 2003 - fig. 1 IL RSPP NELLA VOSTRA ORGANIZZAZIONE E’ CONSIDERATO

fig. 2 VOI PENSATE CHE IL RSPP DEBBA ESSERE

L’indagine svolta in occasione dell’8^ Convention offre la possibilità di esaminare ulteriori aspetti connessi non solo alla percezione del ruolo del Servizio di prevenzione e Protezione (vista soggettivamente dall’interno e dall’esterno), ma anche al funzionamento del SPP nel contesto organizzativo aziendale, nonché ai bisogni ed alle aspettative. I questionari compilati (v. in allegato il testo “in bianco”) sono stati in totale 125. 1.1 Principali elementi emersi Dai dati raccolti si possono sintetizzare alcune conclusioni.

• I RSPP sono prevalentemente interni e collocati in staff con il datore di lavoro o funzioni direttive; questo dato è in linea con lo spirito del Legislatore che ha voluto il SPP direttamente in connessione con il datore di lavoro (artt. 17 e 33, D.Lgs. n. 81/2008).

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• RSPP e ASPP dedicano la maggior parte del loro tempo alla propria funzione. Questo elemento conferma che, rispetto al passato, i ruoli del SPP si stanno imponendo come strategici e, quindi, da svolgere in modo tendenzialmente esclusivo.

• In riferimento alla percezione in azienda del RSPP, rispetto al 2003, si può ricavare che il ruolo prevalente, seppure in maniera inferiore che in passato, è quello di esperto delle tematiche di salute e sicurezza. In seconda posizione emerge la natura gestionale di “coordinatore di competenze”, anche se con diverse sfaccettature.

• Il RSPP, invece, si considera prevalentemente un gestore, in linea con quanto emerso già nel 2003 e con quanto previsto dalla normativa.

• Elaborando le risposte dei questionari relative allo sviluppo professionale, inoltre, si evidenzia un forte bisogno di crescita culturale, di condivisione di “expertise”, di acquisizione di maggiore consapevolezza e “autorevolezza” dell’operato dei RSPP.

Da tutto ciò, emerge un ruolo percepito come importante, una diffusione in tutte le realtà aziendali, una forte identificazione delle persone nel loro ruolo, la voglia di crescere insieme e il bisogno di garantire che le interpretazioni e le esperienze positive possano diventare patrimonio comune. Tenendo conto di queste elaborazioni, soprattutto legate al possibile sviluppo professionale, emerge una chiara richiesta di strumenti di aggregazione, sia reale, sia virtuale, che consenta la crescita dei RSPP e degli ASPP. Per soddisfare questo bisogno, Assolombarda sta ragionando in merito alla realizzazione di una Community che possa coinvolgere e aiutare i RSPP e gli ASPP delle imprese associate nello svolgimento delle proprie funzioni. 1.2 Analisi dei dati Una prima analisi riguarda le dimensioni delle aziende rappresentate dai diversi soggetti compilatori. Da questa emerge, come indicato nel grafico 1 sotto riportato, le medie aziende (con un numero di dipendenti compreso tra 50 e 250) sono le più rappresentate con una percentuale pari al 32%. Le imprese con un numero di dipendenti compreso tra i 250 ed i 500 si collocano al secondo posto tra le presenze, con una percentuale pari a 24%, subito seguite dalle piccole imprese (con meno di 50 dipendenti) con 23%. Percentuali molto inferiori sono riferibili alle classi di imprese con oltre 500 dipendenti.

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23%

< 50 dip.

50 > 250 dip.

250 > 500 dip.

da 500 oltre 1000 dip.

non identificabili

0,8%3,2%4,8%

8,0%

28,8%

54,4%

RSPP interno

ASPP

Altro

Consulente

RSPP esterno

Non risponde

Grafico 1- Dimensioni aziendali

Grafico 2 - Lei è Il grafico 2 mostra come i partecipanti siano quasi esclusivamente RSPP interni, o ASPP. Una percentuale pari all’8% è composta da “altre figure” tra cui è possibile individuare: 3 addetti all’ufficio personale, 1 assistente di direzione, 1 coordinatore H&S, 1 tecnico di produzione, 2 RLS ed un responsabile del sistema di gestione salute e sicurezza. Pochi i consulenti e pochissimi gli RSPP esterni (solamente 5), il cui numero estremamente limitato fa comprendere come per le imprese partecipanti alla Convention la scelta di personale interno dedicato alla sicurezza e igiene sul lavoro sia ormai percepito come un orientamento caratterizzante.

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45%

6%9%

10%

30%

In staff diretto al datoredi lavoro

In una funzione che sioccupa anche diAmbiente, Qualità, ecc.Alle dipendenze dellaDirezione del Personale

Alle dipendenze dellaDirezione Tecnica

Altro

8,7%

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1,7%

5,2%

10,4%

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4,3%

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14,8%

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7,8%

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7,0%

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0,0% 5,0% 10,0% 15,0% 20,0% 25,0%

percentuale di risposte

no risp.

100%

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75%

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10%

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Grafico 3 - Come SPP, dove siete collocati nell’org anizzazione aziendale?

Interessante risulta anche l'analisi della collocazione organizzativa. Il grafico 3 evidenzia come all’interno dell’organizzazione aziendale la maggior parte degli RSPP siano collocati in staff diretto con il datore di lavoro. Come è noto questa è la collocazione da molti considerata come auspicabile perchè rispecchia lo spirito della legislazione per cui l'RSPP è il braccio operativo del datore di lavoro e consente di operare come un organo di staff caratterizzato da una legittimazione da parte del vertice ad operare in uno spirito di trasversalità e di responsabilizzazione della linea. Coerente d'altronde con questa prospettiva è anche la seconda risposta fornita nel questionario. Un’altra elevata percentuale infatti comprende gli RSPP collocati in una funzione che si occupa anche di ambiente e qualità (tipica struttura che spesso opera come un organo di staff). Una percentuale minore (6%) individua invece degli RSPP così distribuiti: 1 in amministrazione e 3 nei servizi generali. Grafico 4 - Quanto del vostro tempo dedicate al SPP ?

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percentuale di risposte

100%

100% - 50%

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La domanda relativa al tempo dedicato al servizio di prevenzione mostra in generale un impegno rilevante da parte degli RSPP e degli ASPP. Il grafico 4 mostra come il 24,3% dei partecipanti alla convention RSPP dedichi tutto il suo tempo al SPP (100%). Una percentuale pari invece al 14,8% dedica la metà del tempo (50%) al SPP. Per meglio analizzare la percentuale di tempo dedicata al SPP è utile suddividere le percentuali in macro raggruppamenti come evidenziato nel grafico 5 sotto riportato. Grafico 5 – tempo dedicato al SPP analizzato in bas e a macro raggruppamenti Dal grafico possiamo osservare che poco più di un quarto il 29% dedica meno del 50% del proprio tempo al servizio, il 14% la metà esatta del proprio tempo, il 27% dedica tra il 50 e il 100%, il 22% il 100%.

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25%

16%

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< 50% 50% 50% - 100% 100%

25%

25%

50%

Appare a questo punto di particolare importanza proseguire nell’analisi del dato al fine di identificare quali figure possono essere collegate a questi macro raggruppamenti. A tal fine, nei grafici sotto riportati vengono confrontati i dati della domanda 3 e della domanda 1. Grafico 6 - RSPP interno Grafico 8 - RSPP esterno

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17%66%

70%

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44%

11%20%

25%

Grafico 9 - ASPP

Come si può osservare la percentuale dei full-time resta sostanzialmente invariata per le principali figure (esclusi i consulenti e la categoria altro che non presenta full-time), crescendo solo leggermente, 27%, per gli RSPP). La principale differenza riguarda la distribuzione delle altre risposte. Infatti il tempo dedicato superiore al 50%, vede ASPP e RSPP esterni presentare valori nettamente inferiori a quelli degli RSPP interni. Ciò corrobora ulteriormente la lettura precedente inerente al forte impegno degli RSPP interni nelle aziende del campione.

Grafico 10 - CONSULENTE Grafico 11 - ALTRO

Un’ultima analisi, utile per contestualizzare al meglio il dato ricavato, consiste nel confrontare le risposte con le dimensioni aziendali indicate in premessa:

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53%

10%

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16%

50%

22%

31%

13%

6%

50%

< 50 dip 50 - 250 dip. 250 - 500 dip. da 500 ad oltre 1000 dip.numero dipendenti aziedali

< 50 % 50% 50% -100% 100%

Grafico 12 – tempo dedicato al SPP in relazione all e dimensioni aziendali Osservando il grafico appaiono subito evidenti due considerazioni: • nelle aziende al di sotto dei 250 dipendenti la percentuale maggiore indica che il

tempo dedicato al SPP è inferiore al 50%; • nelle aziende con un numero di dipendenti compreso tra i 500 ed i 1000 la percentuale

maggiore (50%) indica che al SPP viene dedicato il 100% del tempo. Infine, nelle aziende con un numero di dipendenti compreso tra 250 e 500 dipendenti la percentuale più alta (50%) è associabile ad un valore di tempo dedicato compreso tra 50% ed 100%, subito seguita dal 22% che indica un tempo dedicato pari al 100%.

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59%non sono presentipresenti

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81%

<50 50 > 250 250 > 500 da 500 oltre 1000numero dipendenti aziendali

non presente presente

Grafico 13 - Come è composto il SPP?

Sono presenti ASPP: Dal grafico osserviamo come in oltre metà (59%) delle aziende sono presenti ASPP. Confrontando questo dato con le dimensioni aziendali, come riportato nel grafico sotto, notiamo come nelle aziende con oltre 1000 dipendenti sono sempre presenti (100%) ASPP, mentre nelle altre tipologie dimensionali di azienda la presenza di ASPP è sempre prevalente rispetto all’assenza. Grafico 14 – Presenza ASPP in relazione alle dimens ioni aziendali

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5%

2%

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3%

3%

2%

28%

0% 5% 10% 15% 20% 25% 30%

percentuale di risposte

5%

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9%

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27%

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27%

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13%

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22%

<50 50 > 250 250 > 500 da 500 oltre 1000numero dipendenti aziendali

100% 100% - 50% 50% 50% - 20% < 20%

Grafico 15 - Se sono presenti ASPP, tempo della quo ta parte dedicata Osservando la percentuale di tempo dedicata dagli ASPP notiamo che le percentuali maggiori sono individuabili tra chi dedica tutto il tempo (28% di risposte), chi dedica il 10% del tempo (15% di risposte) e chi dedica il 50% del tempo (13% di risposte). Per poter confrontare questi dati con le dimensioni aziendali sono state create le seguenti macro categorie: tempo dedicato 100%, tempo dedicato 100% - 50%, tempo dedicato 50%, tempo dedicato 50%- 20%, tempo dedicato inferiore a 20%. Grafico 16 – Tempo dedicato al SPP in relazione al le dimensioni aziendali

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non sono presenti

presenti

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50%

63%

38%

<50 50 > 250 250 > 500 da 500 oltre 1000numero dipendenti aziendali

non presenti presenti

Grafico 17 - Sono presenti SPP di gruppo Dal grafico osserviamo come in oltre metà (59%) delle aziende è presente il SPP di gruppo. Confrontando questo dato con le dimensioni aziendali, come riportato nel grafico sotto, notiamo come il SPP di gruppo sia presente prevalentemente in aziende di grandi dimensioni. Grafico 18 – Presenza di SPP di gruppo in relazione alle dimensioni aziendali

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2 1 3 4 5 7 9 10 6 15 21numero aziende servite

24%

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9% 9% 9%

6% 6% 6% 6%

3% 3% 3% 3% 3%

0%

5%

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15%

20%

25%

2 6 1 3 4 5 9 10 12 7 11 15 25 40Numero componenti del Servizio

Grafico 19 - Numero di aziende servite Grafico 20 - Numero di componenti del SPP Nei due grafici n. 19 e n. 20 si illustra rispettivamente il numero delle imprese servite, in cui prevalgono i piccoli numeri (in particolare le 2 imprese servite), con solo due casi in cui l’SPP di gruppo supporta più di 10 imprese (rispettivamente 15 e 21). Correlato a questo dato è quello inerente al numero dei componenti del servizio, che vanno dall'unica persona, al caso più ricorrente in cui sono due, alle diverse configurazioni sino ai 40 addetti dell'azienda più grande.

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53%

18%7%

22%

non risponde contatto diretto contatto tramite altra figura aziendale sia contatto diretto che con altra figura aziendale

77%

12%

12%

71%

26%

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37%

52%

11%

46%

8%

46%

<50 50 - 250 250 - 500 da 500 oltre 1000numero dipendenti aziende

contatto diretto contatto tramite altra figura aziendale sia contatto diretto che con altra figura aziendale

Grafico 21 - Quale modalità viene utilizzata per in teragire con il Datore di Lavoro

Nel grafico 21 si analizza la modalità di interazione con il vertice, in cui prevale il contatto diretto. Risulta interessante anche per questa domanda paragonare le risposte con le dimensioni aziendali. Grafico 22 - Modalità usata per interagire con il D atore di Lavoro in relazione alle dimensioni aziendali

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14%

30%

14%

42%

in occasione della riunione periodica ogni volta che necessario sia in occasione della riunione periodica che ogni volta che necessario non risponde

38%

21%

14%

7% 7% 7%

3% 3%

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10%

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35%

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DELEG. S

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DIRET R

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DIRET P

RODUZ

DIRET S

ERV. GENER

ASPP

DIRIG

ENTE

Grafico 23 - Se il contatto avviene tramite un’altr a figura aziendale specificare quale Tra i soggetti che svolgono una funzione di intermediazione prevale, come era prevedibile, il delegato alla sicurezza o, nel caso in cui la risposta sia stata data da ASPP, l'RSPP. La funzione che si colloca al terzo posto è quella delle risorse umane, seguita a pari merito da responsabile della qualità, direttore della produzione e direttore dei servizi generali. Gli incontri con il datore di lavoro avvengono prevalentemente sia durante la riunione periodica che ogni volta che diviene necessario. Grafico 24 - Modalità con cui vengono effettuati gl i incontri

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20%

10%

70%

<50 50 - 250 250 - 500 da 500 oltre 1000numero dipendenti aziendali

in occasione della riunione periodica ogni volta che necessario sia in occasione della riunione periodica che ogni volta che necessario

Grafico 25 - Incrociando questi dati con le dimensi oni aziendali si ottiene quanto segue:

Numeri di incontri all’anno Per quanto riguarda questa voce solamente dieci aziende hanno dato risposta, come riepilogato nella seguente tabella: Modalità di interazione Numero

incontri/anno Numero dipendenti aziendali

Ogni volta che è necessario 40 < 50 In occasione della riunione periodica ed

ogni volta che è necessario 15 < 50

Ogni volta che è necessario 10 250 - 500 Non specificato 5 250 - 500

In occasione della riunione periodica ed ogni volta che è necessario

4 50 - 250

In occasione della riunione periodica 2 250 - 500 Non specificato 1 250 - 500

/ Mai 250 - 500 / Mai 250 - 500 / mai > 1000

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52%

4%

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5%

10%

4%

Coordinatore di competenzeEsperto delle tematiche di sicurezzaTecnico operativoCoordinatore di competenze e esperto delle tematiche di sicurezzaCoordinatore di competenze e tecnico operativoEsperto delle tematiche di sicurezza e tecnico operativoCoordinatore di competenze, esperto delle tematiche di sicurezza e tecnico operativonon risponde

Grafico 26 - Nella vostra organizzazione l’RSPP è c onsiderato prevalentemente

Molto interessante risulta la risposta su come venga considerato l'RSPP all'interno dell'organizzazione. Come si può osservare nel grafico n. 26, prevale la concezione di un esperto di tematiche di sicurezza (52%). Risposta pragmatica, ma probabilmente non proiettata così chiaramente verso una configurazione manageriale di coordinatore di competenze (22%), che anche nella precedente indagine del 2003 mostrava un maggior gradimento da parte degli RSPP (anche se poi smentito dalle caratteristiche del ruolo effettivamente svolto). Nel 10% delle risposte le due configurazioni, esperto e coordinatore, sono state considerate congiuntamente, di fatto evidenziando che per essere coordinatore è necessario anche essere considerato esperto (professional). Decisamente più contenute risultano le altre risposte, tra cui l'accezione “tecnico operativo”.

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43 27 29 19

33 31 32 23

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26 24 23 44

0 20 40 60 80 100 120

Competenze gestionali

Competenze tecniche

Competenze di comunicazione

Competenze giuridiche

Grafico 27 - Quale ritenete che sia la natura preva lente delle competenze del SPP? [in ordine di importanza da 1 a 4] Correlata alla precedente domanda è quella inerente alla natura prevalente delle competenze. Come si può osservare nel grafico prevalgono al primo posto le competenze gestionali, seguite da quelle tecniche, di comunicazione e giuridiche. Di fatto queste risposte rafforzano il ruolo gestionale (e in qualche misura manageriale) che la procedente risposta sembrava mettere in qualche modo in secondo piano. Per poter avere un quadro più generale dell’andamento delle risposte è necessario classificare le stesse secondo una media ponderata, come riportato nel grafico successivo.

Primo posto Secondo posto Terzo posto Quarto posto

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2%

21%

54%

23%

non risponde Allocato presso il SPP per spese di funzionalità

Nelle spese generali dell'azienda Identificabile presso le funzioni responsabili di processi correlati

primo posto secondo posto terzo posto quarto posto

Grafico 28 – Quale ritenete che sia la natura preva lente delle competenze del SPP [media ponderata] Grafico 29 - Per le esigenze del SPP, il budget è Il budget, come si osserva nel grafico n. 29 è prevalentemente allocato nelle spese generali dell'azienda, a prescindere dalle dimensioni della stessa.

Competenze gestionali Competenze tecniche Competenze di comunicazione Competenze giuridiche

2,3

2,5

2,7

2,8

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1%

18%

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8%8%

21%

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intranet

riunioni dedicate

comitati/gruppi di lavoro

reporting

comunicazioni puntuali

audit

altro

13%

70%

10%

7%

25%

50%

25%

31%

34%

34%

25%

63%

6%

6%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

<50 dip. 50 > 250 250 > 500 da 500 ad oltre 1000numero dipendenti aziendali

Allocato presso il SPP per spese di funzionalità Nelle spese generali dell'azienda Identificabile presso le funzioni responsabili di processi correlati Non risponde

Grafico 30 – Collocamento del budget per esigenze S PP in relazione alle dimensioni aziendali

Grafico 31- Strumenti operativi, Interazioni con al tre funzioni aziendali prevalentemente tramite Nella categoria altro ricadono solamente due risposte, identificabili in:

- contatti diretti con i soggetti interessati - sorveglianza operativa

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40 53 23 10 16 4

22 28 41 14 11 1

22 13 37 19 24 1

27 14 20 21 31 4

10 11 2 55 39 0

2 3131 104

0 20 40 60 80 100 120 140 160

internet/banche dati

formazione obbligatoria

convegni/seminari

riviste dedicate

iscrizione a news letter tematiche

altro

0%0%

26%

6%6% 44%

18%

intranet

riunioni dedicate

comitati/gruppi di lavoro

reporting

comunicazioni puntuali

audit

altro

Grafico 32- Strumenti operativi, Interazioni con al tre funzioni aziendali prevalentemente tramite (risposte pure)

Se consideriamo solo le risposte pure, senza sovrapposizioni, avremo una distribuzione comunque molto simile a quanto sopra riportato. La differenzia più importante consiste nel fatto che gli audit non vengono mai utilizzati come unico strumento di interazione. Grafico 33 - Principali strumenti di crescita profe ssionale [mettere in ordine di importanza da 1 a 6]

Il grafico sopra riportato permette di osservare un riassunto della metodologia di classificazione adottata dai partecipanti della convention in base ad ogni singola voce proposta. Per poter avere un quadro più generico dell’andamento delle risposte è necessario classificare le stesse secondo una media ponderata, come riportato nel grafico successivo.

Primo posto Secondo posto Terzo posto Quarto posto Quinto posto Sesto posto

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primo posto secondo posto terzo posto quarto posto quinto posto sesto posto

Grafico 34 – Principali strumenti di crescita profe ssionale [media ponderata] Nella categoria “altro” il 38% colloca i consulenti, il 14% colloca i colleghi. La restante 48% è suddiviso equamente tra le seguenti categorie: associazione di categoria, collegamenti internazionali, confronto con altre realtà, confronto con altri operatori, confronto con altri RSPP, confronto con altri ASPP, formazione di gruppo, incontri professionali, passaparola, pubblicazioni/libri.

Internet/banche dati Formazione obbligatoria Convegni/seminari Riviste dedicate News-letter tematiche Altro

2,3

2,5

2,6

3,6 3,9 5,7

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Grafico 35 - Ulteriori forme utili allo sviluppo pr ofessionale

In riferimento alla domanda sulle “ulteriori forme di sviluppo professionale”, le risposte al questionario evidenziano un generale bisogno di aggregazione. Questa esigenza si declina in due modalità: • una maggiore interazione che possa favorire il confronto e il dialogo fra “addetti ai lavori” (networking 16%, strumenti condivisi 25%, focus group 22%); • la condivisione di esperienze professionali e di ruolo (associazione professionale 26%, partecipazione a web community 25%), aspettativa tipica di una figura professionale, voluta dalla legge, che sta lentamente affermandosi nelle organizzazioni aziendali. 1.3 Conclusioni L’8^ Convention RSPP e ASPP è stata una ulteriore occasione di messa a punto per gli interventi che Assolombarda porterà avanti nei prossimi anni per meglio supportare le imprese rispetto alla tematica della tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Questo è stato possibile grazie al contributo prezioso dei RSPP e ASPP delle aziende associate e, in particolare, dei membri del Gruppo di Lavoro Sicurezza si Assolombarda che hanno attivamente partecipato e animato la giornata di studio. Si ringraziano il Prof. Marco Frey dell’Università Bocconi, Scuola Superiore S. Anna di Pisa ed il Prof. Francesco Bacchini dell’Università Milano Bicocca, per il loro supporto nell’indirizzo dei lavori della Convention e nell’elaborazione dei questionari.

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1.4 Allegato - Questionario di indirizzo per i gruppi di lavoro de lla mattina della 8^ Convention RSPP e ASPP

Nome e Cognome: …………………………………………………….

Azienda: …………………………………………………………………

1. Lei è:

� RSPP interno

� RSPP esterno

� ASPP

� Consulente

� Altro: ………….

2. Come SPP, dove siete collocati nell’organizzazione aziendale?

� In staff diretto al Datore di lavoro

� In una funzione che si occupa anche di Ambiente, Qualità ecc.

� Alle dipendenze della Direzione del Personale (RU)

� Alle dipendenze della Direzione Tecnica

� Altro: ……………………….

� Se SPP esterno, specificare la Funzione referente: ……………………….

3. Quanto del Vostro tempo dedicate al SPP: ….. %

4. Come è composto il SPP? [E’ possibile barrare più caselle]

� Sono presenti ASPP Se presenti: Tempo della quota parte dedicata: ….. %

� SPP di Gruppo (nel caso di aziende con più Unità produttive o Gruppi di società) N. aziende servite: …….. N. componenti del Servizio: ….

5. Come e quanto interagite con il Datore di Lavoro? [E’ possibile barrare più caselle]

� Contatto diretto

� Contatto tramite altra figura aziendale Se sì, specificare: ………………………………

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� In occasione della riunione periodica

� Ogni volta che è necessario

� N. incontri/anno: ……

6. Nella vostra organizzazione l’RSPP è considerato prevalentemente:

� Coordinatore di competenze

� Esperto delle tematiche di sicurezza

� Tecnico operativo

7. Quale ritenete che sia la natura prevalente delle competenze del SPP: [mettere in

ordine di importanza da 1 a 4 con riferimento alla Vostra organizzazione]

� Competenze gestionali

� Competenze di comunicazione/relazionali

� Competenze giuridiche

� Competenze tecniche

8. Per le esigenze del SPP, il budget è:

� Allocato presso il SPP per spese di funzionalità

� Nelle spese generali dell’Azienda

� Identificabile presso le funzioni responsabili di processi correlati (es. manutenzione, acquisti, produzione ecc.)

9. Strumenti operativi:

Interazioni con altre funzioni aziendali prevalentemente tramite:

� Intranet

� Riunioni dedicate

� Comitati/Gruppi di Lavoro

� Reporting

� Comunicazioni puntuali

� Audit

� Altro: ……………………….

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10. Principali strumenti di crescita professionale [mettere in ordine di importanza da 1 a 6 con

riferimento alla Vostra organizzazione]

Come mi aggiorno:

� Internet/Banche dati

� Formazione obbligatoria

� Convegni/Seminari

� Riviste dedicate

� Iscrizione a newsletter tematiche

� Altro: ……………………….

11. Quali ulteriori forme possono essere utili al mio sviluppo professionale [E’ possibile barrare più caselle]

� Networking

� Condivisione di strumenti operativi (es. linee guida)

� Focus group

� Associazione professionale

� Consultazione di siti Internet e/o partecipazione a web community

� Altro: ……………………….

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2. Relazione “La responsabilità penale, professiona le, civile del RSPP: attribuzione di incarichi, deleghe e posizioni di g aranzia” del Prof. Tullio Padovani, Università degli Studi e Scuola Superiore S. Anna di Pisa Si riporta la trascrizione della relazione del Prof. Padovani disponibile anche in formato mp3 sul sito Internet di Assolombarda, alla pagina: http://www.assolombarda.it/fs/201112615422_148.mp3 <<Grazie per l’invito che mi sollecita a parlare di un argomento direi particolarmente interessante, nel quadro della riforma della sicurezza del lavoro perché oltre a riproporre il tema centrale nell’ambito del nuovo diritto della prevenzione antinfortunistica del servizio di prevenzione e protezione essendo il nuovo sistema incentrato, come tutti sappiamo, non sulla neutralizzazione parcellizzata dei pericoli di volta in volta individuati negli apparati produttivi, era questa la filosofia di base dei decreti antinfortunistici del ’55 -’56, ma piuttosto sulla gestione del rischio attraverso procedure organizzative adeguate a eliminarlo o a ridurlo al minimo, quindi il servizio di prevenzione e protezione in questa nuova prospettiva, nuova si fa per dire ormai si è affermata nel nostro ordinamento per effetto dell’influenza comunitaria dell’Unione europea fin dal 1994 ma in realtà anche prima. Ed entrerei subito in media stress, come si dice, in modo da tratteggiare a grandi linee quali sono i problemi che il servizio di prevenzione e protezione pone nel quadro delle responsabilità penali; quindi il protagonista è ovviamente non tanto il servizio in sé, perché non sono i servizi che finiscono davanti ai giudici, ma il responsabile di questo servizio. Il servizio di prevenzione e protezione è delineato dall’art. 31 del d.lgs. del 2008 come un servizio necessario, il datore di lavoro organizza il servizio di prevenzione e protezione all’interno dell’azienda ed è diretto da un responsabile il quale deve possedere, come tutti sapete, requisiti di capacità e di professionalità delineati dall’art. 32. Il responsabile del servizio di sicurezza e di prevenzione e protezione è di nomina necessariamente datoriale, cioè deve essere designato direttamente dal datore di lavoro con l’esercizio di un potere che la legge gli affida e che non è delegabile, quindi risale alla sua responsabilità diretta come chiaramente precisa l’art. 17, lett. b). Voi mi potreste essere maestri sul definire i contenuti della funzione assegnata al responsabile del servizio di prevenzione e protezione e al servizio in generale e probabilmente mi potreste insegnare anche molte altre cose, non so quindi se io potrò dirvi qualche cosa che voi non conosciate. Cercherò, però, di mettere in ordine le nozioni prospettandovele dal punto di vista del penalista, cioè dal punto di vista di chi arriva quando purtroppo i buoi sono scappati dalla stalla, ed è difficile riportarveli, quando ormai è successo qualcosa che sarebbe stato mille volte meglio che non succedesse. E allora con l’occhio del penalista prima di tutto ci si chiede guardando alla figura del responsabile, che cosa sia giuridicamente questa figura, cioè che ci sta a fare nell’azienda in termini di posizione giuridica. La giurisprudenza direi corale, unanime, ha sfoderato dal taschino una “pargoletta” con la quale lo ha etichettato in modo assolutamente costante. È un ausiliario del datore di lavoro; definizione in sé non scorretta, ma di genere. Di genere nel senso che si pone un po’ nella definizione di un “gatto” dicendo semplicemente: è un animale; beh, insomma, non è sbagliato però non aggiunge niente che ci consenta di capire che cos’è il gatto. Perché anche i dirigenti sono ausiliari dell’imprenditore, in qualche misura anche i preposti se leggiamo la definizione dell’art. 2, alla lett. d) e alla lettera e), non la leggiamo insieme

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ma voi di certo la conoscete, scopriamo che si tratta di soggetti che per l’appunto rappresentano le orecchie, gli occhi, le braccia, le mani del datore di lavoro a seconda delle circostanze e comunque cooperano con lui. Quindi dire che è un ausiliario è dire sostanzialmente niente di significativo, non si coglie la peculiarità della funzione; io direi che guardando al dato normativo non si può non essere colpiti dalla circostanza che sia il datore di lavoro a doverlo nominare e che la sua presenza sia indispensabile in ogni azienda sia pure in forme diverse; c’è il caso limite dello stesso datore di lavoro che svolge le funzioni di responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Si tratta, quindi, ed è un primo approccio ritengo più puntuale di quello formulato dalla giurisprudenza, di una articolazione organica della funzione datoriale, un’articolazione organica nel senso che le funzioni del datore di lavoro sono viste normativamente come insieme, è un insieme che comincia con la definizione di imprenditore all’art. 2082, nell’ambito del diritto della prevenzione contro gli infortuni, le funzioni del datore si articolano organicamente in una funzione specifica che è quella del servizio di prevenzione e protezione. Quindi il datore di lavoro deve organizzare questo momento essenziale dell’attività prevenzionistica che è un momento a lui direttamente riferibile. In effetti, che sia così si comprende bene facendo capo ai dati normativi che costituiscono le colonne portanti della figura: la nomina del responsabile non è delegabile, quindi il datore di lavoro se la deve per forza assumere in proprio. Non può dire a qualcuno che magari ne sa più di lui: scegli tu per me, in nessuna forma, può farlo, diciamo di fatto, ma quando ha ricevuto il consiglio, l’indicazione, se ne assume per intero la responsabilità, non può delegarla. E poi la circostanza, pure essa evidenziata dalla norma, che il datore di lavoro possa svolgere direttamente i compiti di prevenzione e di protezione, salvo i casi che riguardano aziende di determinate dimensioni, quindi vi sono circostanze nelle quali il datore di lavoro, per la complessità della struttura aziendale, non può normativamente provvedere di persona all’espletamento di tali compiti ma come regola può, assumendone la professionalità e le competenze, ovviamente, quindi è tenuto a frequentare i corsi che lo qualificano anche per questa funzione. E del resto qual è poi, ed è il terzo indice normativo, il contenuto della funzione di protezione e prevenzione svolta da questo servizio diretto da questo responsabile? È quello delineato dall’art. 33 e cioè in pratica, se vogliamo usare un’espressione sintetica, la valutazione dei rischi e tutto ciò che ruota intorno alla valutazione dei rischi. La valutazione dei rischi è compito in delegabile di chi? Del datore di lavoro. In base all’art. 17, comma 1, lett. a), non può delegare ad alcuno la valutazione dei rischi e la redazione del relativo documento di valutazione. Quindi è evidente come il responsabile del servizio di prevenzione e protezione rappresenti per così dire una parte organica della funzione complessa datore di lavoro, sta dentro di lui, al punto che egli può direttamente eseguirla, svolgerla, attuarla. Da questa prospettazione normativa e da questo inquadramento, direi che comincia a scaturire qualche conseguenza sul piano delle responsabilità riferibili al responsabile del

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servizio di prevenzione e protezione. Qual è il raggio della sua responsabilità e mi riferisco essenzialmente alla responsabilità penale essendo un penalista di questo mi occupo e del resto credo si tratti della responsabilità destinata a suscitare le più vive preoccupazioni, per le altre c’è sempre un rimedio, per quello penale non sempre c’è. Se è vero come è vero che il responsabile del servizio è un’articolazione organica della funzione datoriale, la conseguenza è che non è titolare di alcuna posizione di garanzia, come in effetti non è titolare di alcuna posizione di garanzia in proprio, e questo perché i suoi compiti afferriscono alla posizione di garanzia del datore di lavoro, la posizione di garanzia c’è ma è del datore di lavoro di cui il responsabile è una sorta di angelo custode, di coscienza critica, di nume tutelare, chiamiamolo come vogliamo, ma comunque è una parte del datore di lavoro. Il fatto che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione non sia titolare di una posizione di garanzia autonoma è pacifico in giurisprudenza, anzi la giurisprudenza continua a ribadirlo da quando ha fatto la comparsa questa importante figura nel sistema della prevenzione antinfortunistica, cioè dal d.lgs. 626. E quindi la giurisprudenza continua a ribadire che non c’è sanzione per le violazioni commesse dal responsabile nell’esercizio delle attività che deve svolgere nel quadro dei compiti affidategli. Nessuna responsabilità contravvenzionale, cioè legata alla violazione dei vari precetti, sono centinaia e centinaia, compresi nell’ambito del decreto legislativo, perché si tratta di precetti la cui sanzione determina quello che i penalisti definiscono una fattispecie di reato proprio cioè a soggetto vincolato, datore di lavoro, dirigente, preposto, medico competente, per cui non c’è la qualifica, non c’è l’autore del reato, non c’è la responsabilità. Il discorso è diverso per i delitti, e continuo a riferirmi alla giurisprudenza sostanzialmente unanime, per i delitti il problema si complica, perché i delitti conseguenti alla inosservanza di regole cautelari non sono reati propri, cioè non esigono una qualifica particolare, sono reati comuni, l’omicidio colposo punisce chiunque cagioni per colpa la morte di una persona, quindi il responsabile può essere attratto in quest’orbita di responsabilità non direttamente in base a quella disposizione del codice penale, l’articolo 40 capoverso, secondo cui non impedire un evento che sia un obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo perché l’obbligo di impedire l’evento il responsabile del servizio di prevenzione e protezione non ce l’ha mai se no sarebbe un soggetto titolare di una posizione di garanzia. L’art. 40 che sanziona tanto il fare quanto il non fare avendo l’obbligo giuridico di impedire non lo può riguardare direttamente proprio perché non è titolare di una posizione di garanzia dalla quale possa scaturire un obbligo di impedire l’evento però la responsabilità colposa si sviluppa anche sul piano concorsuale e più precisamente sul piano della cooperazione colposa. La cooperazione colposa si realizza quando più soggetti interagiscono nella causazione di un evento con colpa a ciascuno rispettivamente riferibile. Nel caso del responsabile del servizio può ben darsi che si possa riscontrare da parte sua l’inosservanza dei compiti che gli sono stati affidati, per esempio non ha valutato il rischio che poi in concreto è risultato determinante per la causazione di un certo evento lesivo. In questo caso, risponderà al datore di lavoro, ma risponderà anche il responsabile perchè ha violato una regola cautelare che avrebbe consentito all’autore principale del fatto di attivarsi per impedirlo.

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Insomma, detto in parole povere, se il responsabile sottopone al datore di lavoro tutti i rischi significativi il datore di lavoro è in condizione di provvedere, se non glieli sottopone evidentemente risulta più difficile, anzi per lo più impossibile. E da questo punto di vista, la responsabilità del titolare del servizio di prevenzione e protezione può addirittura essere esclusiva, cioè alla fine diventare esclusiva perché la colpa del datore di lavoro viene esclusa dall’assorbente presenza della sua, del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, negligenza imprudenza, imperizia, o inosservanza di regole cautelari. E anche in questo la giurisprudenza è piuttosto precisa, perché, senza soffermarmi sulle decisioni che pure sono anche piuttosto numerose, possiamo tranquillamente rinvenire…ecco questa ad esempio del 23 aprile 2008, può assumere anche un carattere esclusivo, salto la lettura di tutto il resto, ma ci si riferisce per l’appunto a questo concorso di colpa del responsabile del servizio insieme con il datore di lavoro che in concreto può essere immune da questa colpa perché nessuno ha rappresentato questo rischio. Naturalmente, ci sono delle condizioni perché il responsabile possa trovarsi a rispondere; in primo luogo e sintetizzo in termini estremamente schematici, l’infortunio che si è verificato deve dipendere causalmente proprio dall’omessa valutazione di un rischio. A volte vi è sì l’omissione nella valutazione del rischio, ma l’infortunio non dipende in realtà da questa omessa valutazione, ma dall’inosservanza di procedure e regole che pure erano state determinate in ambito aziendale la cui osservanza avrebbe impedito il verificarsi dell’evento stesso. Quindi la circostanza che a monte vi fosse un’omessa valutazione risulta causalmente non significativa a fronte di un sistema normativo aziendale che di quel rischio in concreto teneva conto di fatto. Mi è capitato un caso recentissimo, che si è risolto favorevolmente, proprio sulla considerazione che un certo rischio legato a una complessa operazione di carico di mezzi su un traghetto, operazione che vista dall’esterno può sembrare semplice, ma che in realtà ha la sua delicatezza e complessità, non era stata valutata nell’ambito del documento prescritto dalla legge, ma vi era tuttavia in azienda una procedura sia per l’imbarco che per lo sbarco che risultava estremamente analitica ed esaustiva, se fosse stata osservata non importava che ci fosse anche nel documento, perché c’era già tutto lì. In questo caso, quindi, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione sta fuori gioco perché la sua inosservanza dell’obbligo di attuare con diligenza la ricerca dei rischi e la loro indicazione è risultato causalmente non efficiente. Naturalmente, ed è l’altra condizione, oltre a essere causalmente efficiente questa omissione, bisogna anche che si sia effettivamente verificata, e cioè bisogna che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione davvero non l’abbia segnalato perché non è compito suo provvedere all’attuazione, non avendo per definizione, il responsabile del servizio, poteri di carattere gestionale, organizzativo, di controllo e di esecuzione. Quindi può solo sottoporre con diligenza, puntualità e precisione al datore il quadro che gli risulta e confidare sull’attuazione da parte del datore di lavoro che a questo punto ha una posizione di garanzia esclusiva, perché è una posizione di garanzia nutrita anche delle indicazioni corrette, puntuali e precise fornitegli dal responsabile.

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Quindi, in definitiva, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è una figura il cui rischio penale è in qualche modo a rimorchio del datore di lavoro, ma nell’ambito rigorosamente circoscritto dei compiti di valutazione, progettazione e proposta che sono i compiti delineati dall’art. 33. Il responsabile non è responsabile se l’inosservanza si è verificata in sede di attuazione, in sede di esecuzione, per mancato controllo, per inefficienza nel trasferire dalla prospettazione progettuale, programmatica, dall’indicazione di principio sul terreno operativo quel che egli aveva ritenuto di dover segnalare, individuare. Quindi una figura che si salva, per così dire, un soggetto che si salva sol che svolga con accuratezza i propri compiti, però svolgerli con accuratezza non è un’impresa da poco. Non è un’impresa da poco perché la ricerca del rischio è una specie di universo in espansione, cioè se raggiunto un limite si pensa che quel limite sia un confine, invece non è un confine, ma soltanto un punto di passaggio verso una nuova linea di confine, che non è una linea di confine, e così via. Spesso gli infortuni che ci si trova a trattare rappresentano davvero una sfida alla valutazione. Purtroppo è questo il compito arduo rimesso al responsabile del servizio quello di elaborare con una puntualità e una precisione estreme tutti i possibili nuclei e aree di rischio che intervengono nell’azienda, aiutato, devo dire, dallo stesso tessuto normativo perché il tessuto normativo è un tessuto costruito su aree di rischio. I titoli del d.lgs. sono grandi aree di rischio, dentro queste aree di rischio c’è una caterva di rischi specifici. Voglio dire che in qualche modo uno è preso per mano perché comma dopo comma di rischi possibili ne trova un’infinità e trasferendoli sul piano della realtà operativa aziendale certamente può essere sostenuto nella ricerca. Ma al di là delle difficoltà del compito che peraltro io non posso contribuire a dissipare, non ho altro che indicazioni da parte del medico che vede malati gravi e dice: non vi dovete ammalare. Vi do indicazioni per uno stile di vita sano però non posso essere io a condurre questo stile perché non sono io nella vostra realtà operativa. Il problema che viceversa acquista un certo rilievo, non per tutti, ma per molti, vedo dalla giurisprudenza, dei responsabili del servizio di prevenzione, è rappresentato dal fatto di cumulare in sé anche la funzioni di delegato per la sicurezza, cioè investito di poteri che vanno oltre ai compiti dell’art. 33 e si riferiscono ad aspetti organizzativo gestionali, di controllo, di vigilanza; insomma si tratta di un dirigente al quale è stato affidato anche il compito di provvedere alla messa in opera, alla corretta distribuzione, al controllo circa l’attuazione delle diverse misure di sicurezza. In linea di principio, come sapete, non è escluso che il responsabile del servizio cumuli anche altre funzioni. La legge non vieta né potrebbe vietare che il responsabile sia, in quanto come accade di norma dipendente del datore di lavoro e quindi dirigente, sia investito anche di altri compiti. Non sono molte le imprese che possono permettersi di dislocare un dirigente per questa unica funzione. La legge peraltro avverte all’art. 31, comma 2, che il responsabile del servizio e gli addetti al servizio debbono disporre di mezzi e di tempo adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati. Quindi una delega che caricasse sulle spalle del responsabile compiti ulteriori, rispetto a quelli assunti come responsabile del servizio, troppo pesanti per

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assicurare il corretto adempimento delle funzioni istituzionalmente proprie del servizio di prevenzione e protezione risulterebbe certamente “distonica”. E dico distonica per non dire poi che all’atto pratico potrebbe rivelarsi fonte di addebito di colpa sia per il datore di lavoro sia per i responsabili; il datore di lavoro perché ha caricato di troppi pesi il suo collaboratore e il collaboratore perché ha accettato di farsi caricare senza far presente che i compiti primari, quelli del servizio di prevenzione e protezione, esigono un tempo che deve essere sufficiente per assicurare l’espletamento corretto di questi compiti. Il contemperamento non si può fissare in termini rigidi, è un contemperamento che va ricercato caso per caso. Però è di regola, io per lo meno nella mia esperienza vedo che la situazione si riproduce in un gran numero di casi, il responsabile del servizio è anche un soggetto delegato, delegato di stabilimento, di una funzione di staff, delegato anche ad attuare misure di sicurezza, non sarà un dirigente operativo impegnato nella produzione però ha anche compiti legati operativamente alla sicurezza. Questa eventualità riporta il tema nell’ambito della delega di funzioni, la delega di funzioni che ha subito uno scossone normativo, all’art. 16. La delega di funzioni era un istituto di matrice giurisprudenziale e improvvisamente si è scoperta rivestita dei panni di una norma che non è esattamente la stessa cosa perché istituto di matrice giurisprudenziale significa istituto dotato di un grado flessibilità che la norma ovviamente non assicura e non intende assicurare, perché la norma vuole assicurare certezza di fronte a possibili oscillazioni negli orientamenti giurisprudenziali. È venuta così fuori questa disposizione dell’art. 16 che in sintesi può essere tradotta in questi termini: il legislatore del 2008 si è trovato di fronte a diversi orientamenti precedenti in materia di delega perché c’era l’orientamento che diceva che la delega deve essere scritta, deve risultare da atto certo, deve essere puntuale, deve essere un atto notarile in buona sostanza; c’era l’orientamento che diceva: ma no, non occorre che sia scritta, basta che sia provata in modo certo, ma non occorre che abbia una forma sacramentale, quindi qualunque mezzo di prova, anche testimoniale, può servire a dimostrare che in effetti vi è stato questo trasferimento di poteri; ciò che conta è che il trasferimento sia effettivo. Vi era anche un altro orientamento, schematizzando proprio brutalmente, secondo il quale la delega non serve se l’azienda è organizzata in modo tale da assicurare ripartizioni di compiti, definizioni di poteri e precisazione delle autonomie funzionali tali da assorbire la delega -nel caso dell’azienda con organigramma e mansionario estremamente puntuali. Ma di che delega stiamo a parlare? Diceva la giurisprudenza; sembrerebbe che il legislatore intervenga come una sorta di arbitro in questo conflitto e dica: ragazzi è finita la pacchia, adesso vi dico io come si fa la delega. E vi dico che si fa come se fosse un contratto notarile rogato con tutti i crismi della legalità. Insomma, non si dice ci vuole il notaio, ma la data deve essere certa, deve essere scritto, definito, insomma tutto quello che c’è scritto nell’art. 16; tanto per non sapere né leggere né scrivere, vi dico anche che la delega può avere anche una delega ulteriore da parte del delegato, quindi una subdelega, ma lì ci si ferma, il discorso si chiude con la prima subdelega, dopo di che il circuito si chiude. Sembrerebbe, quindi, una sorta di ricezione selettiva. Il legislatore ha fatto una scelta, ha detto: queste erano le tesi in campo e adesso io vi dico quali seguiremo di qui in poi.

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Ma se le cose stessero così, ci sarebbe veramente da mettersi le mani nei capelli, non parlo per me, ovviamente, ma per tutti quelli che passano, perché il discorso sarebbe estremamente preoccupante, ma prima di dire perché è preoccupante, vorrei, proprio a volo di uccello, ricordare a me stesso, ma non solo a me stesso, come era la situazione precedente. Perché la situazione precedente aveva delle caratteristiche sue proprie che danno ampio conto del perché la giurisprudenza si muoveva in modo così diversificato. Era un muoversi diversificato, badate bene, che non determinava alcun contrasto tanto è vero che in materia di deleghe, nonostante l’apparente difformità esistente tra i vari filoni giurisprudenziali, non c’è mai stata una decisione delle sezioni unite, cioè non si è mai ritenuto che esistesse un conflitto, mai in 30 anni; strano eh, se veramente ci fossero stati tutti questi orientamenti plurimi, mai. Perché la situazione non è come se l’è rappresentata il legislatore del 2008, che forse aveva un’idea un po’ distorta del passato che si lasciava alle spalle. In precedenza, semplifico estremamente, le posizioni di garanzia coinvolte nell’attuazione delle misure antinfortunistiche erano due: datore di lavoro e dirigente. Costantemente i decreti legislativi del ’55 e del ’56 dicono sempre: il datore di lavoro e il dirigente, nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze; quindi, il datore di lavoro non è mai solo, ha sempre al proprio fianco, nelle disposizioni normative, il dirigente. La legge dice: guarda che queste misure devono essere attuate dal datore di lavoro e anche dal dirigente. Poi si vede in concreto chi dei due la dovesse attuare. Allora che cosa succede di fronte a un tessuto normativo di questo tipo dove peraltro non è definita la figura del datore di lavoro, non è definita la figura del dirigente, perché penalisticamente si è dovuti andare accattando nell’ambito del diritto del lavoro, che è un diritto peraltro estremamente ricco, quindi capace di cedere generosamente anche quote di nozioni in suo possesso, si è andati mendicando e elaborando una nozione di dirigente che comprendeva anche i quadri, per dire. Ma che cosa succedeva in concreto? Succedeva che, in realtà, le situazioni a cui i tre orientamenti di fondo, cui ho fatto cenno, si riferivano, erano situazioni diverse. Vi erano situazioni nelle quali ciò di cui in concreto si discuteva era se quel soggetto fosse un dirigente; stava lì, nel reparto, nel piccolo stabilimento, nell’opificio, tutti si riferivano a lui, ma era davvero un dirigente? Inquadramento lavoristico labile, assunzione fatta così, senza una definizione precisa, con mansioni al ribasso; in questi casi la giurisprudenza dice: ma non mi fai mica fesso a me; tu, datore di lavoro credi ora di cavartela, dicendo andate a cercare il pulcino, ma io vado a cercare il pollastro, se il pollastro non mi dimostra che il pulcino è cresciuto e cioè tira fuori una delega vera, tira fuori un documento che mi provi un trasferimento di funzioni che io non vedo, non vedo se non per segni molto labili. In questi casi la delega di funzione serviva a supplire alla mancanza di una identificazione preventiva dello stesso dirigente messo in gioco; e, quindi, ecco che la giurisprudenza che dice: forma scritta, data certa, poteri definiti, per forza perché non c’è altro. Vi è, invece, il filone in cui che si tratti di un dirigente è chiaro, c’è uno stabilimento grande, c’è un soggetto che come dirigente dirige, ma ciò di cui si discute è l’ampiezza dei poteri, il grado di autonomia; allora la giurisprudenza dice: bene, quello è un dirigente, sicuramente inquadrato per tale, con poteri dirigenziali evidenti, ma questi poteri includevano anche quelli coinvolti nella violazione antinfortunistica di cui stiamo parlando?

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E lì si ammetteva quella prova, diciamo con mezzi diversi, che determinasse la certezza che quel dirigente era stato investito anche di quelle funzioni. E vi erano infine i casi in cui l’azienda suddivisa in distinti settori, rami, servizi, con una normativa interna di organizzazione piena, esaustiva, eccetera, e lì la giurisprudenza abbondante diceva: ma quale delega, ma non mi serve; anzi, diceva espressamente che l’esigenza della delega è superata ed assorbita dalla predeterminata suddivisione dei servizi, delle attribuzioni dei compiti. Sono parole testuali della giurisprudenza, ma non di 100 anni fa. La giurisprudenza del ’97, ’98, del 2000, del 2004, quindi roba recente, che coesiste con tutte le altre, coesiste pacificamente, perché il conflitto non è mai stato rilevato, nessuno ha mai detto: andiamo alle sezioni unite perché si è sempre detto che ci vuole lo scritto, io invece ora non lo vedo e quindi risolvo alle sezioni unite. Mai stato. E allora, vedete, l’obiettivo era sempre lo stesso: stabilire se un certo soggetto fosse un dirigente dotato dei poteri sufficienti per adempiere alla pretesa antinfortunistica. Sempre la stessa tematica con strade diverse a seconda del contesto, della situazione di fatto. Adesso arriva l’art. 16. l’art. 16 dice: “qua ci vuole la prova scritta, con queste caratteristiche, c’è un solo caso di subdelega”. Mah, ci troveremmo per la prima volta nel diritto penale in un caso di prova legale. Cioè io posso provare la delega in un modo solo: in penale. Cioè la responsabilità penale, personale e legata alla effettività, viene improvvisamente trasformata in un dato formale. Non c’è la delega? Eh, se non c’è la delega allora casca il palco. Ma non solo sarebbe un caso di prova legale, sarebbe anche un caso di disciplina irrazionale, perché il legislatore vincola la catena delle deleghe a due soltanto: delego uno e chi è stato delegato delega un altro. Morale della favola: io sono l’amministratore, c’è un direttore generale, nomino un direttore generale per i miei diversi stabilimenti e il direttore generale a sua volta delegato nomina il direttore di stabilimento che investe dei poteri necessari ad adempiere nei vari stabilimenti secondo il grado di autonomia conferito ai precetti antinfortunistici e lì ci fermiamo. Ma lo stabilimento può avere 5000 operai come è capitato a me l’altro ieri. L’altro ieri una grandissima azienda italiana con uno stabilimento di oltre 5000 operai e si pretendeva che il dirigente dello stabilimento facesse tutto lui perché i dirigenti dei reparti, reparti di 700-880 operai, eh, quelli stavano oltre, si trattava di un caso riferito a prima dell’entrata in vigore dell’articolo del 2008, la subdelega non era stata ritenuta rilevante in sede di merito, per fortuna in cassazione lo è stata. Come è logico che sia perché che cosa deve fare il direttore dello stabilimento con 5000 dipendenti? Non deve subdelegare perché se subdelega risponde lo stesso. In un meccanismo così fatto si infiltra come una sorta di autentico elemento di irrazionalità aggiuntiva. La norma dell’articolo 299 che dice che l’esercizio di fatto delle funzioni è equiparato ai fini della responsabilità alla designazione formalmente ineccepibile. Per cui la subdelega di terzo grado sarebbe rilevante come esercizio di fatto ma sarebbe rilevante non per esonerare il delegante ma per impestare il delegato. Cioè il delegato si vede gravato del peso senza che questo peso a lui attribuito scarichi chi glielo ha posto in modo continente e pertinente sulle spalle.

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Ma è possibile che sia questo quel che il legislatore ha inteso realizzare ed è possibile che sia logico ritenere che se l’attribuzione dei poteri è effettiva è reale, certa, essa non debba escludere la responsabilità di chi ha conferito questi poteri se non sono rispettati questi requisiti di forma. Ma perché? Visto che i requisiti di forma non sono regole cautelari, non sono regole che servano a prevenire l’infortunio. Ciò che serve a prevenire l’infortunio è l’effettività dei poteri conferiti, la reale autonomia del soggetto designato, non la forma utilizzata; perché la forma utilizzata non garantisce che poi i poteri siano esercitati nel modo corretto, non garantisce che funzioni il meccanismo, non sono regole cautelari e in penale avremmo questi requisiti di forma. In diritto penale un caso, diciamo, che più aberrante non si può. E io devo dire la verità mi meraviglio, mi stupisco, che nel momento in cui questo testo partiva non sia intervenuta da parte degli imprenditori un dire: ma che state facendo? Che sta succedendo? Ma vi siete resi conto di che sistema state mettendo in piedi? In realtà, però, questo sistema non l’hanno messo in piedi. Perché i sistemi che non si legano al sistema non sono in piedi, o meglio, stanno in piedi nel sistema, cioè bisogna che trovino il loro spazio nel sistema che non è lo spazio che il legislatore pensava forse di affidare loro, ma è uno spazio diverso. E andando molto per le spicce, perché il tempo scorre inesorabile, io vi dico come la penso: l’art. 16 prevede la delega di funzioni da parte del datore di lavoro e poi da parte del delegato del datore di lavoro. in un sistema in cui non si può riconoscere che esistano prove legali in cui non si può concepire che attuare questo meccanismo sia la condizione necessaria per esonerare da colpa il datore di lavoro. E allora bisogna in realtà interrogarci sul fatto che nel nuovo sistema della prevenzione antinfortunistica il binomio che un tempo esisteva datore di lavoro-dirigente non c’è più. Cioè non esiste come prima una perfetta equiparazione tra il datore di lavoro e il dirigente in rapporto alle posizioni di garanzia per ciascuno di essi coinvolti nell’attuazione delle misure antinfortunistiche, non c’è più. Perché non c’è più? Non c’è più non solo perché esistono funzioni proprie del solo datore di lavoro che sono in delegabili e che comunque sono anche fuori dal meccanismo dell’art. 16 e abbiamo detto la valutazione dei rischi e abbiamo detto la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione. Questi sono compiti non delegabili, il datore di lavoro può soltanto sperare che vada bene perché se va male ne risponde. Poi ci sono situazioni, andiamo all’estremo opposto, in cui continua a sussistere questa corrispondenza geometrica: datore di lavoro-dirigente stanno sullo stesso piano e sono, per esempio, tutti gli obblighi di prevenzione categoriali indicati dall’art. 18 del decreto legislativo, obblighi del datore di lavoro e del dirigente e ce n’è un profluvio che sono indicati per categoria. E allora, a questo punto, uno si chiede: ma ci sono funzioni proprie del datore di lavoro che non sono tra quelle in delegabili, ma non sono tra quelle comuni ai dirigenti? E cioè: esiste un terzium genus? Esiste? La risposta è: si, esiste. E perché esiste? Perché il sistema sanzionatorio del testo unico è un sistema molto complesso, molto barocco, per certi versi, costruito per aree di rischio, luoghi di lavoro, disposizioni di

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prevenzione e protezione, e così via, per tutta la serie delle varie situazioni di rischio, movimentazione manuale, videoterminali, agenti fisici, sostanze pericolose, sono proprio aree di rischio. Mentre, invece, in precedenza erano fonti di pericolo; nel ’55-’56 erano in gioco fonti di pericolo, prospettiva totalmente diversa. Ora questi titoli hanno ciascuno un apparato sanzionatorio autonomo, non c’è soltanto l’apparato sanzionatorio generale del titolo I che è, appunto, destinato ai principi comuni; poi, il titolo II, luoghi di lavoro, il titolo III, uso della attrezzature, hanno sanzioni loro proprie. Ora hanno anche precetti loro propri e hanno precetti che sono a volte comuni, a volte riferiti al solo datore di lavoro, però quando si tratta della sanzione sono sempre sanzionati sia nei confronti del datore di lavoro, sia nei confronti del dirigente. C’è, quindi, una asimmetria tra il precetto e la sanzione. La sanzione è potenzialmente più vasta del precetto perché include i dirigenti nonostante i compiti siano definiti sul piano precettistica per aree che non sono comuni che non sono quelle dell’art. 18, che non corrispondono alla definizione normativa di dirigente dell’art. 2. Ebbene, questi compiti sono compiti esclusivi del datore di lavoro ma delegabili, perché non rientrano nella sfera di indelegabilità sancita dall’art. 17. Quindi, si tratta di quelle materie che dal punto di vista precettivo, sono riferite al solo datore di lavoro; ve ne è diverse, per esempio, in materia di luoghi di lavoro, come è logico che sia, dei luoghi di lavoro è il datore di lavoro che deve occuparsene. Però, non se ne deve occupare con la stessa intensità di mano propria richiesta per la valutazione dei rischi, o per la nomina del responsabile, perché questi compiti li può delegare come è dimostrato dal fatto che poi la sanzione può riferirsi anche al dirigente nei limiti delle sue attribuzioni. Ma queste attribuzioni gli vanno date perché se no il precetto il dirigente non ce l’ha, non ce l’ha sul groppone, perché la norma non glielo da. Quindi, l’art. 16 è una disposizione normativa che si insinua in una panoramica a tre spicchi: lo spicchio dell’indelegabilità, lo spicchio della comune pertinenza dei doveri e lo spicchio della esclusività di funzioni datoriali che sono, tuttavia, delegabili. Rispetto allo spicchio dove dirigente e datore di lavoro sono sullo stesso piano, secondo me non è cambiato nulla rispetto a prima, nulla e non deve essere cambiato nulla perché se si riterrà che sia cambiato ne vedremo delle belle, ne vedrete delle belle! Passerete giorni di inferno! Io l’insidia l’ho vista e siccome mi è parsa colossale ha agito in prevenzione per quanto io non sia un imprenditore, ma amante del diritto penale del lavoro e soprattutto di un minimo di razionalità per cui non ho mancato in due convegni organizzati dal Consiglio Superiore della Magistratura per erudire i giovani magistrati, c’era anche la simpatica e brillantissima lavorista bolognese che parlava di profili di responsabilità civile, in due circostanze io mi sono sforzato di illustrare queste tesi e di segnalare, c’erano anche magistrati di cassazione, che bisognava stare attenti a maneggiare la nitroglicerina perché se si agita un po’ troppo scoppia e fa saltare tutto quanto. Debbo dire la verità che lì per lì credo di averli non dico convinti perché è difficile, ma, insomma, di aver fatto breccia persino in qualche giudice di cassazione.

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Ma non mi illudo, anzi sono certo che le cose andranno per il peggio in base alla ben nota Legge di Murphy: se le cose possono andare male andranno male e questa può andare male sicuramente. E quindi bisogna stare attenti alle velette, bisogna stare molto attenti alle velette, vigilare, io metterò per iscritto queste cose in modo molto più diffuso e cercherò di fare nel mio piccolissimo una modesta battaglia che si opponga a quella che già vedo affermarsi come vulgata, vedo anche in molti valorosi penal-lavoristi, di giovane età, affermarsi tesi che risultano, direi, inquietanti senza che chi le prospetta se ne renda minimamente conto. L’art. 16, “ah, ci hanno fatto tanta bella certezza, guarda come siamo contenti adesso che sappiamo come si fa la delega!”, ma siamo diventati matti? Questo articolo 16 è una mina vagante ed è una mina di cui dovremo riparlare speriamo in bene, ma ne dubito, perché come sapete il destino è di procedere di male in peggio>>.

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3. Sintesi relazione Dr. Giulio Benedetti - Sostitu ito Procuratore presso il Tribunale di Milano - “I principi di imputabilit à giuridica dell’attività di RSPP” (a cura del Prof. Francesco Bacchini) Premessa Poiché il Dr. Giulio Benedetti non è potuto intervenire alla 8^ Convention RSPP e ASPP per importanti motivi d’ufficio, è stata elaborata una sintesi dell’intervento a cura di Francesco Bacchini, Professore Aggregato di Diritto del Lavoro Avanzato e Diritto delle Relazioni industriali e sindacali, Facoltà di Economia, Università di Milano-Bicocca. 3.1 Posizione di garanzia Nella disamina delle diverse posizioni di garanzia all’interno dell’organizzazione aziendale, la relazione del Dr. Benedetti, prendendo spunto dalla recente sentenza n. 38991/2010 della Corte di Cassazione, sottolinea e ribadisce alcuni principi fondamentali in base ai quali procedere nell’individuazione dei soggetti penalmente responsabili in materia di prevenzione e protezione dei lavoratori, in particolare per quello che riguarda i soggetti apicali delle imprese. Il disposto dell’art. 40 c.p., secondo il quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”, comporta necessariamente un ampio ventaglio dei soggetti che, nella struttura imprenditoriale, rivestono posizioni di garanzia nei confronti dei lavoratori, poiché molteplici sono i soggetti che, a seconda delle loro funzioni, incidono concretamente sulle attività svolte dai dipendenti, determinando le situazioni che potrebbero mettere a rischio l’integrità del bene giuridico “salute”. Affinché sorga una posizione di garanzia, infatti, occorre: che vi sia un bene giuridico da proteggere, il cui titolare non sia in grado di proteggere; che una fonte giuridica, anche negoziale, abbia la finalità della sua tutela; che tale obbligo gravi su più persone, dotate dei poteri impeditivi della lesione di quel bene giuridico. Pertanto, è proprio la concreta titolarità di poteri impeditivi dell’evento dannoso, il principale elemento fondante la posizione di garanzia rivestita da un soggetto nell’ambito di una organizzazione imprenditoriale, che graverà su chiunque, con la sua condotta, può incidere effettivamente sul decorso degli eventi in modo da condurlo verso una situazione innocua per l’integrità psico-fisica del lavoratore. Il principio di effettività così sancito opera, naturalmente, non solo in ordine alla suprema posizione di garanzia nell’impresa, cioè quella del datore di lavoro, ma anche per quella dei suoi collaboratori ai vari livelli della gerarchia aziendale, quali i dirigenti ed i preposti. Per quanto riguarda, la responsabilità dei soggetti apicali delle imprese, si riconosce come la sentenza commentata si inserisca nel solco di una interpretazione giurisprudenziale consolidata, per la quale gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni ed all’igiene del lavoro, posti dalla legge a carico del datore di lavoro, incombono su tutti i componenti del consiglio di amministrazione delle imprese e, quindi, su tutto il vertice strategico delle stesse. Si osserva, peraltro, come, nel caso di conferimento, da parte del consiglio di amministrazione, di una delega generale (nomina di un amministratore delegato) o specifica sulla sicurezza, comprensiva di poteri di deliberazione e di spesa, tale conferimento può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli altri

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componenti del CdA, ma non può escluderla completamente, poiché non possono, comunque, essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo in caso di mancato esercizio della delega, sulla scorta anche di quanto stabilito nell’art. 2392 c.c. In conseguenza di ciò, è da ritenere che in presenza di disfunzioni strutturali del complesso sistema di sicurezza aziendale, originati da radicati e profondi difetti aziendali e del processo produttivo e, quindi, espressione di una strategia e di un indirizzo politico aziendale, permane in ogni caso la responsabilità penale di tutti i componenti del CdA per eventi infortunistici a danno dei lavoratori. La posizione di garanzia del vertice aziendale, così come intesa in precedenza, porta a concludere che, succedendosi nel tempo vari soggetti a ricoprire le cariche aziendali e, quindi, in caso di successone di posizioni di garanzia, il comportamento colposo del garante sopravvenuto non è sufficiente ad interrompere il rapporto di causalità tra la violazione di una norma precauzionale messa in atto dal primo garante e l’evento, quando tale comportamento non abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente determinata (c.d. principio di equivalenza delle cause). 3.2 Posizione di garanzia del RSPP La titolarità di effettivi poteri impeditivi rispetto all’evento dannoso va riconosciuta anche in capo al professionista incaricato di ricoprire il ruolo di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, qualora lo stesso lo stesso sia stato munito dal datore di lavoro di disponibilità economica e di poteri decisionali autonomi per attuare concretamente la sicurezza sul luogo di lavoro. In tali evenienze, infatti, il RSPP svolgerebbe una funzione di garanzia e tutela dell’incolumità psico-fisica dei lavoratori del tutto simile a quella del datore di lavoro. La giurisprudenza, in applicazione di quanto previsto nel Testo unico (D.Lgs. n. 81/2008), afferma che non esiste alcuna responsabilità penale a carico del RSPP, in quanto tale, né per violazione dei vari precetti contenuti nella legislazione speciale di igiene e sicurezza sul lavoro e puniti con sanzione contravvenzionale, né per inosservanza dei compiti tipici del SPP stabiliti dall’art. 33 T.U.: il RSPP, in quanto tale, non è, infatti, contemplato dalla legge nell’elenco dei soggetti sanzionati per l’inadempimento dei primi, né la violazione dei secondi è provvista di sanzione penale. Tuttavia, come si è detto, l’attribuzione al RSPP, tramite delega, di poteri decisionali e di spesa in ordine alla gestione della sicurezza nell’impresa, oppure l’esercizio di fatto di poteri direttivi da parte del RSPP, ai sensi dell’art. 299 T.U., comporta l’assunzione per il RSPP dei medesimi obblighi prevenzionali fissati in capo al datore di lavoro e, in caso di loro violazione, delle stesse responsabilità penali, anche contravvenzionali, previste a carico del datore di lavoro.

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3.3 Ruolo e responsabilità del RSPP In base alla nuova impostazione della sicurezza sul lavoro, introdotta con il D.Lgs. n. 626/94 e confermata con il T.U. del 2008, la programmazione delle attività prevenzionali riveste uno speciale valore, assurgendo a misura generale di tutela, come stabilito attualmente nell’art. 15, 1° comma, lett. b) T.U. Proprio per dare concretezza ed efficacia all’attività di prevenzione, lo stesso legislatore aveva introdotto l’obbligo di creare, in ogni azienda o unità produttiva, un “servizio di prevenzione e protezione” (SPP), chiamato a coadiuvare il datore di lavoro nell’assolvimento dei suoi doveri in materia di igiene e sicurezza del lavoro. L’attuale definizione del SPP, quale “insieme delle persone, sistemi e mezzi, interni o esterni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori”, è contenuta nell’art. 2, lett. l), del T.U., mentre gli artt. 31-35 T.U. disciplinano i casi in cui è obbligatorio organizzare un SPP interno, i requisiti professionali degli addetti e responsabili del SPP, nonché i compiti specifici del SPP. La natura strumentale del SPP è chiaramente espressa dall’ultimo comma dell’art. 33, ove si afferma che “il SPP è utilizzato dal datore di lavoro”. L’impiego del verbo “utilizzare” caratterizza, quindi, il SPP come una struttura aziendale di cui il datore di lavoro si avvale, si serve, prende utilità, al fine di adempiere i vari precetti di prevenzione e sicurezza posti dalla legge. I compiti del SPP possono, quindi, essere ricondotti alla individuazione ed elaborazione delle misure preventive e protettive da adottare, alla elaborazione di procedure di sicurezza, alla formulazione di programmi di informazione e formazione per i lavoratori, alla informazione degli stessi, compiti, tutti, che delineano una tipica funzione di consulenza per il SPP ed il suo Responsabile, fondata su conoscenze tecniche ed organizzative, fornita al datore di lavoro (ma anche ai suoi collaboratori) per metterlo in condizione di operare quelle scelte aziendali che poi sarà proprio la gerarchia aziendale, a partire dal datore di lavoro, a dover adottare funzionalmente ed attuare quotidianamente. Il RSPP, quindi, non è colui che garantisce, che realizza la sicurezza in azienda, essendo, questo, un compito che spetta in via esclusiva al datore di lavoro e al dirigente, in quanto soggetti dotati dei poteri decisionali e di spesa ed organizzativi, per adeguare il sistema aziendale di sicurezza alla previsioni di legge. Da ciò discende una prima fondamentale conseguenza, cioè a dire che la creazione, da parte del datore di lavoro, del SPP, peraltro obbligatoria ax art. 31, 1° comma, T.U., e la nomina del suo responsabile, anch’essa obbligatoria ex art. 17 T.U., non esime lo stesso datore di lavoro dal rispondere di tutte le violazioni in materia antinfortunistica poste a suo carico dalla legge. In questo senso la giurisprudenza è univocamente orientata: si veda Cass. Pen. 15/01/2010 n. 1834, per la quale “il RSPP è in altri termini una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell’amministrazione dell’azienda, vengono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest’ultimo delle eventuali negligenze del consulente è chiamato comunque a rispondere”, e ancora Cass. Pen. 26/08/2010 n, 32357,ove si sancisce che “la nomina del RSPP non esclude, in caso di infortunio sul lavoro di un dipendente, la responsabilità penale del datore di lavoro. La figura del RSPP è qualificabile come consulente del datore di lavoro e non è titolare di

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alcuna posizione di garanzia rispetto all’osservanza della normativa di sicurezza sul luogo di lavoro: pertanto, la designazione del RSPP, anche se obbligatoria, non equivale a delega di funzioni utile ai fini dell’esenzione del datore di lavoro da responsabilità per la violazione della normativa antinfortunistica”. Proprio in quanto il RSPP è privo del potere di assumere iniziative idonee a neutralizzare le situazioni di rischio è, quindi, altresì privo della titolarità di una posizione di garanzia autonoma, partecipando soltanto di quella del datore di lavoro (in questo senso si veda Cass. Pen. 10/06/2009 n. 23929), non avendo previsto, il legislatore, a suo carico, alcuna sanzione penale contravvenzionale per violazione di precetti posti nel T.U., neppure per l’inadempimento degli specifici compiti previsti nell’art. 33 per il SPP. Tuttavia, l’assenza di una responsabilità contravvenzionale del RSPP (e degli eventuali Addetti) non significa esonero assoluto da qualsiasi responsabilità penale per tali soggetti. E’ vero, infatti, che il RSPP non è tenuto ad attuare le misure di sicurezza, ma di certo, in relazione alle specifiche competenze professionali discendenti dai requisiti previsti dalla legge (art. 32 T.U. e, prima, art. 8-bis D. Lgs. n. 626/94) ed agli specifici compiti elencati nell’art. 33 T.U., gli compete il fondamentale ruolo di consulente a supporto del datore di lavoro. Da ciò deriva un preciso profilo di responsabilità penale per il SPP, nella persona, in particolare, del suo responsabile, qualora si verifichino infortuni causalmente collegati alla violazione della normativa prevenzionistica. Occorre, dunque, distinguere nettamente il piano delle responsabilità prevenzionali, derivanti dalla violazione di norme di puro pericolo, come tutte le contravvenzioni contenute nel T.U., da quello delle responsabilità per reati colposi di evento, quando, cioè, si siano verificati infortuni sul lavoro o tecnopatie. Si riconosce, in effetti, che “in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il soggetto cui siano stati affidati i compiti del SPP (…) ancorché sia privo di poteri decisionali e di spesa, può, tuttavia, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio… ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare” (Cass. Pen. 15/02/2007 n. 15226) e che “l’assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l’inottemperanza alle stesse, e segnatamente la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza, nonché di informazione e formazione dei lavoratori, possa integrare una omissione sensibile tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa ignorata dal RSPP” (Cass. Pen. 15/01/2010 n. 1834). Le citate sentenze aggiungono, infatti, che “considerata la particolare conformazione concepita dal legislatore per il sistema antinfortunistico, con la individuazione di un soggetto incaricato di monitorare costantemente la sicurezza degli impianti e di interloquire con il datore di lavoro, deve presumersi che, ove una situazione di rischio venga dal primo segnalata, il secondo assuma le iniziative idonee a neutralizzarla”. Il principio ormai da tempo affermato dalla giurisprudenza, stabilisce, dunque, che il RSPP qualora, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, in tal modo, il datore di lavoro ad omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, risponderà insieme a questi dell’evento dannoso

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derivatone (omicidio colposo o lesioni colpose), essendo a lui ascrivibile un titolo di colpa professionale che può assumere anche un carattere esclusivo. Il titolo di colpa in forza del quale il RSPP è chiamato a rispondere penalmente del suo operato è individuato dalla giurisprudenza nella colpa generica e non specifica. Infatti, il RSPP è un soggetto che ha solo la responsabilità professionale rapportabile alle norme ed ai parametri degli artt. 1176 e 2236 c.c., non risultando destinatario per legge dell’osservanza dei precetti antinfortunistico-prevenzionali. Pertanto, pur avendo oggettivamente violato tali precetti, la condotta del RSPP non potrà mai essere caratterizzata da un titolo di colpa specifica. La giurisprudenza insegna , infatti, che “in tema di lesioni personali colpose, poiché il RSPP non risulta destinatario per legge dell’osservanza dei precetti prevenzionali, la condotta dello stesso, ancorché oggettivamente violatrice di taluno di essi e, come tale, foriera di responsabilità, non potrà mai essere caratterizzata da un titolo di colpa specifica e, quindi, il reato nei suoi confronti risulterà perseguibile (anche in caso di lesioni gravi e gravissime) solo a querela di parte” (Cass. Pen. 20/04/2005 n. 11351). L’individuazione di un profilo di colpa generica, piuttosto che specifica, in capo al RSPP rileva proprio in merito alla condizione di procedibilità, nei suoi confronti, del reato di lesioni personali colpose gravi e gravissime, poiché ex art. 590 ultimo comma c.p. tali lesioni sono procedibili d’ufficio quando derivano dalla violazione di norme di prevenzione degli infortuni sul lavoro. Stabilire, allora, quale sia il titolo di colpa imputabile al RSPP significa far dipendere o meno, nell’ipotesi di infortuni non mortali, l’esercizio dell’azione penale dalla proposizione o meno della querela. Tuttavia, si segnalano, in proposito, opinioni contrarie, le quali ritengono che pure il RSPP sia imputabile a titolo di colpa specifica, ciò risultando dal combinato disposto della violazione causativa dell’infortunio con la norma che fissa i compiti dell’RSPP, in passato art. 9 D.Lgs. n. 626/94 ora art. 33 T.U. (cfr. N. D’Angelo, Infortuni sul lavoro e responsabilità penale dopo le modifiche del Testo Unico, Maggioli Editore, II edizione 2009). Dibattuta in dottrina e giurisprudenza è, infine, la questione circa l’eventualità che il RSPP sia chiamato a rispondere, in concorso con il datore di lavoro, del reato contravvenzionale, previsto a carico di quest’ultimo, e relativo alla mancata valutazione del rischio, alla mancata redazione del DVR e al mancato aggiornamento di entrambi.