Atlante Geopolitico

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ATLANTE GEOPOLITICO

TRECCANI

ISTITUTO DELLAENCICLOPEDIA ITALIANA

FONDATA DA GIOVANNI TRECCANIROMA

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©PROPRIETÀ ARTISTICA E LETTERARIA RISERVATA

ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANAFONDATA DA GIOVANNI TRECCANI

2011

isbn 978-88-12-00057-9

Impaginazione, prestampa e stampaMARCHESI GRAFICHE EDITORIALI S.p.A.

Printed in Italy

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PRESIDENTE

Giuliano Amato

CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE

Luigi Abete, Franco Rosario Brescia, Pierluigi Ciocca, Marcello De Cecco,

Ferruccio Ferranti, Paolo Garimberti, Giulio Ghetti, Fabrizio Gianni,

Luigi Guidobono Cavalchini Garofoli, Mario Romano Negri, Giovanni Puglisi,

Giuseppe Vacca

AMMINISTRATORE DELEGATO

Francesco Tatò

COMITATO D’ONORE

Francesco Paolo Casavola, Carlo Azeglio Ciampi, Giovanni Conso,

Rita Levi-Montalcini, Oscar Luigi Scalfaro

CONSIGLIO SCIENTIFICO

Enrico Alleva, Girolamo Arnaldi, Lina Bolzoni, Gemma Calamandrei,

Luciano Canfora, Juan Carlos De Martin, Emma Fattorini, Domenico Fisichella,

Emma Giammattei, Paolo Guerrieri, Elisabeth Kieven, Alberto Melloni,

Carlo Maria Ossola, Giorgio Parisi, Gianfranco Pasquino, Mariuccia Salvati,

Loredana Sciolla, Luca Serianni, Salvatore Settis, Piergiorgio Strata,

Gianni Toniolo, Giovanna Zincone

COLLEGIO SINDACALE

Gianfranco Graziadei, Presidente; Mario Perrone, Saverio Signori

Mauro Orefice, Delegato della Corte dei Conti

ISTITUTO DELLAENCICLOPEDIA ITALIANA

FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI

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DIRETTORE EDITORIALEMassimo Bray

Consulenza geografica e cartografica: Piergiorgio Landini

Coordinamento editoriale: Francesco M. Biscione

ATTIVITÀ TECNICO ARTISTICHE E DI PRODUZIONE

Art Director: Gerardo Casale

Progetto grafico e controllo impaginazione: Giuseppe De Gregori

Cartografia: Marina Paradisi; Paola Salvatori; Giuseppina Elia, Anna Olivieri, Aldo Testi

Produzione industriale: Gerardo Casale; Laura Ajello, Graziella Campus, Tiziana Picconi

Segreteria: Carla Proietti Checchi, Aurora Corvesi

DIREZIONE EDITORIALE

Pianificazione editoriale e budget: Maria Sanguigni; Mirella Aiello, Alessia Pagnano, Cecilia Rucci

Segreteria: Alessandra Sacchetti, Maria Stella Tumiatti

ISTITUTO PER GLI STUDI DI POLITICA INTERNAZIONALE

DIRETTORE SCIENTIFICOBoris Biancheri

CONDIRETTORE SCIENTIFICOSonia Lucarelli

Coordinamento scientifico: Enrico Fassi, Carlo Frappi

Redazione: Giancarlo Briguglia, Gabriele Giovannini, Anna Micara, Andrea Nasti,

Stefano Maria Torelli, Matteo Villa

Revisione testi: Renata Badii

CARTOGRAFIA TEMATICAVittorio Castelli (progettazione), Sabrina Messina, Cecilia Pagani

ATLANTE GEOPOLITICO TRECCANI

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Hanno collaboratoAntonio ArmelliniRosa BalfourBoris BiancheriAnna Bosco Erica BrandolinoValerio BrianiFranco BruniMario CaciagliGiampaolo Calchi NovatiFrancesco CalogeroAndrea CaratiBruno CarliMichela CeccorulliClaudio CerretiFurio CeruttiEnzo CiconteAntonio Maria CostaOsvaldo CrociMarta DassùGiuseppe DematteisLuigi De Paoli

Mario DeaglioMario Del Pero Donatella Della PortaEmidio DiodatoLuca EinaudiAldo FerrariLorenzo FioramontiAntonio Fiori Marcello FloresGiuseppe GabusiVincenzo GalassoMarzio GaleottiElisa GiunchiSerena GiustiCorrado GiustinianiAntonio GoliniUmberto GoriManlio GrazianoPietro Grilli di Cortona Tania GroppiPiero InnocentiNicola Labanca

Maria Laura LanzilloIgnacio Fernando LaraAndrea LocatelliSonia LucarelliFranca MainoPaolo ManciniAntonio MarchesiAlessandro MarroneCarlo MarsiliOreste MassariRaffaele MaurielloRoberto MenottiAntonio MissiroliAntonella MoriAntonio Maria MoroneLorenzo MoscaFederico NigliaMichele NonesEnzo PaceGianfranco PasquinoFabio PetitoLia Quartapelle

Rodolfo Ragionieri Riccardo RedaelliSergio RomanoRiccardo RovelliFarian Sabahi Silvana SalviniJanine Schall-EmdenVivien Schmidt Giuseppe SurdiValeria TalbotFrancesco TroianiLorenzo TrombettaCristian VaccariAugusto ValerianiArturo VarvelliSofia VenturaGianfranco ViestiAntonio VillafrancaStefano ZamagniVera ZamagniLoris ZanattaMarco Zupi

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Con questo Atlante Geopolitico l’Istituto della Enciclopedia Italiana arricchisce una produzionespecialistica di fondamentale rilevanza, che si affianca alle classiche opere di consultazione,focalizzando i processi di trasformazione degli assetti relazionali, sociali ed economici che ilmondo globale attraversa con sempre maggiore rapidità.

Dopo i tradizionali Atlanti generali (1973; 1995; 2002; quest’ultimo anche in versione digitale,2003), l’Atlante Storico Treccani dava inizio, nel 2007, a un progetto editoriale che per passaggisuccessivi arriva oggi a completarsi con la nuova opera. Già nel 2008, con l’Atlante GeograficoTreccani, alla dimensione temporale, che abbraccia l’evoluzione della civiltà mondiale nellacomplessa diversificazione di società umane, caratteri regionali, interdipendenze e correlazioni,si affiancava quella spaziale, peraltro rivisitata non solo nell’efficacia descrittiva della tecnicacartografica, ma anche e soprattutto nei contenuti e nelle finalità, con l’intro duzione di un’ampiasezione geotematica tesa ad interpretare le grandi questioni del rapporto fra ambiente e uomo.

A completare il progetto mancava dunque una sintesi del processo che, lungo la duplicecoordinata spazio-temporale, ha condotto ai cambiamenti epocali di fine secolo scorso, avviandouna nuova e straordinariamente complessa fase nei rapporti tra spazio geografico e processi discambio a dimensione planetaria. Vi sono coinvolti una molteplicità di attori sia politici, siaeconomici e sociali, in relazione tanto a problematiche generali quanto a tematiche specifichedella governance: dal cambiamento climatico agli approvvigionamenti energetici, ai conflitti,alle migrazioni, alle crisi economiche.

L’Atlante Geopolitico Treccani vuole, appunto, guidare il lettore nell’analisi degli scenari che,da un ventennio a questa parte, la globalizzazione – intesa come assetto territoriale ed economicoin continua evoluzione – pone di fronte allo sviluppo delle società umane. A tale scopo muove daquelle che ben si possono definire, nella consuetudine enciclopedica, grandi voci monografichesu problemi e temi di fondo e si definisce per giungere ad una approfondita disamina di tutte lesingole tessere del mosaico politico regionale, gli Stati. Tutto questo attraverso riflessioni criticheapprofondite, inusuale ricchezza di dati e cartografia tematica di indubbia efficacia.

Opera di sintesi, come si conviene ad un Atlante. Nel mondo dell’informazione continua ediffusa in rete, permane insostituibile la funzione di un apparato esaustivo di conoscenzaorganizzata e certificata, come quella garantita dalla collaborazione tra il nostro Istituto el’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI).

Una nuova sinergia di grande valore culturale attivata dall’Istituto della EnciclopediaItaliana, che, attraverso la proficua interazione fra le rispettive strutture di ricerca ed editoriali,offre ai lettori un prodotto realmente innovativo. È fonte di grande amarezza e di sincero doloreche, alla chiusura di questa ricca e stimolante impresa, non se ne possano condividere i risultaticon l’amico Boris Biancheri che di questo Atlante è stato l’autorevole Direttore scientifico,concorrendo alla sua progettazione e coordinandone la realizzazione.

Giuliano Amato

Presidente dell’Istituto della Enciclopedia Italiana

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PRESENTAZIONE

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I mezzi d’informazione riportano quotidianamente la nostra attenzione su un mondo com-plesso, nel quale dinamiche sociali, economiche e politiche di paesi diversi e lontani tra di lorosi intrecciano; siamo di fronte a un mondo estremamente veloce e interconnesso, nel qualeeventi che hanno luogo in una parte del globo tendono ad avere ripercussioni a migliaia di chi-lometri di distanza. Questa realtà, nella quale si possono percepire elementi di ‘società globale’,tuttavia, è assai articolata al suo interno.

Gli stati restano attori fondamentali della politica internazionale, della governance globale edei processi di integrazione regionale. La loro sovranità è però sfidata quotidianamente da pro-cessi che attraversano i loro confini senza che essi possano davvero controllarli (basti pensarealla possibile influenza di aziende private o singoli speculatori sugli andamenti delle borse fi-nanziarie internazionali); il loro ruolo è sempre più condiviso con attori non statuali e la lorocapacità di rispondere alle sfide globali è sempre più legata a quella di raggiungere collettiva-mente decisioni complesse (è il caso, per esempio, dei negoziati mondiali relativi al cambia-mento climatico). Non solo: la trasformazione della sovranità non tocca tutti gli stati allo stessomodo, tanto che si possono differenziare stati ‘post-moderni’ (come il sistema di governancedell’Unione Europea, inclusivo delle istituzioni comunitarie e dei suoi stati membri), stati ‘mo-derni’ (per esempio la Cina), e stati ‘pre-moderni’ (la Somalia). I primi sono caratterizzati dauna diffusione della sovranità sul territorio e da un governo su più livelli (locale, nazionale, re-gionale), nonché da un graduale annullamento della distinzione netta tra politica interna e po-litica estera. I secondi mantengono una sovranità di tipo tradizionale, con un governo unico esovrano su un territorio e una politica estera ispirata alla ‘ragion di stato’. Infine, ci sono gli stati‘pre-moderni’, nei quali non esiste un governo sovrano e riconosciuto su un territorio e unapopolazione, in grado di formulare una vera e propria politica estera. La complessità del si-stema internazionale contemporaneo, quindi, non si manifesta solo nell’aumento di rilevanzadi attori altri rispetto allo stato, ma anche nella presenza di attori statuali formalmente ugualima di fatto molto diversi per caratteristiche, modalità di funzionamento e di interazione.

Non solo: alla trasformazione della sovranità statale si aggiunge un mutamento della distri-buzione del potere nel sistema internazionale, con l’emergere di nuove potenze regionali (è ilcaso in particolare di Cina, India, Brasile e Sudafrica, ma ciò vale anche per altri attori regio-nalmente importanti come ad esempio la Thailandia, la Turchia o l’Iran), l’aumento di rilevanzadi attori non statuali, governativi o non governativi, l’emergere di processi di regionalizzazionee il proliferare di organizzazioni regionali.

Ove non bastassero la complessità generata dalla presenza di attori altri rispetto agli stati ela trasformazione degli equilibri di potere tra questi, nuove pressanti questioni sono entratenell’agenda della politica internazionale e richiedono con sempre maggior forza una gestioneglobale, negoziata e possibilmente consensuale dei problemi (si pensi al terrorismo a portata glo-bale, il cambiamento climatico, le armi di distruzione di massa, pandemie che si muovono a ve-locità un tempo sconosciute, o l’uso criminoso della rete internet). Per comprendere un mondocosì articolato occorre pertanto un’impostazione composita, sia dal punto di vista del focus

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INTRODUZIONE

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dell’analisi, sia da quello della prospettiva, che deve essere al tempo stesso storica, economica,giuridica, sociale, politica.

Alla luce di ciò, il lettore si chiederà perché qualificare come ‘geopolitico’ un atlante chemira a spiegare un mondo complesso e in rapido mutamento. Il termine potrebbe infatti appa-rire desueto, o quantomeno limitativo, rimandando a una disciplina sviluppata a inizio Nove-cento e i cui autori principali (Halford John Mackinder, Karl Haushofer, Alfred ThayerMahan, Nicholas J. Spykman – tra gli altri) si concentravano sulle correlazioni tra dimensionegeografica e politica nei rapporti tra stati. Tuttavia, l’impostazione geopolitica sposata in que-st’opera si rifà piuttosto agli sviluppi della disciplina che sono avvenuti dalla fine della Guerrafredda, quando si è assistito all’affermarsi di una concezione meno fisica dello spazio e al ten-tativo di analizzare il rapporto tra spazio e politica guardando anche agli attori non statuali e adimensioni quali quella culturale, strategica ed economica. Ponendoci in quest’ottica, quindi,è possibile apprezzare non soltanto la rilevanza della dimensione geografica per la politica esterae di sicurezza degli stati, ma anche il rapporto tra spazio e processi di scambio, confronto escontro tra una molteplicità di altri attori politici, economici e sociali, sia in generale che in re-lazione a temi specifici.

È in questa prospettiva che si è scelto di narrare il mondo che ci circonda, non negandoneartificialmente la complessità né fotografandola in modo acritico, ma alla luce della compren-sione dei vari attori della politica internazionale odierna e dei rapporti che questi intrattengonoin relazioni bilaterali e multilaterali. L’impresa è stata possibile grazie alla lunga tradizione distudi e ricerche su queste tematiche dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, alle competenzespecifiche e di lungo periodo dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI), al la-voro di un vasto numero di studiosi ed esperti che a vario titolo hanno contribuito alla riuscitadell’opera, primi tra tutti i ricercatori e i redattori delle due istituzioni quotidianamente impe-gnati nella realizzazione dell’Atlante.

Al fine di rendere intelligibile un mondo complesso come quello qui brevemente tratteggiatosi è organizzata l’opera in tre sezioni, che offrono prospettive diverse e interconnesse: una se-zione ‘Mondo e Tendenze’ su grandi questioni trasversali, una sezione ‘Stati’ che tratta detta-gliatamente tutti i membri delle Nazioni Unite, e una sezione ‘Organizzazioni internazionali’,nella quale sono analizzate le maggiori organizzazioni internazionali esistenti.

‘Mondo e Tendenze’ raccoglie diciassette capitoli di esperti che da anni si occupano deitemi trattati, letti in questa sede alla luce dell’indirizzo geopolitico dell’opera, nonché delle di-namiche di globalizzazione e frammentazione contemporanee. Il primo capitolo, di Boris Bian-cheri, offre proprio una riflessione sul rapporto tra le apparentemente antitetiche tendenze allaglobalizzazione e alla regionalizzazione. I restanti capitoli toccano in ottica geopolitica granditemi di interesse globale: il ruolo dell’Unione Europea nel mondo (Sonia Lucarelli), la crisieconomica (Mario Deaglio), i sistemi di welfare (Vincenzo Galasso), gli scenari energetici (LuigiDe Paoli), la sfida dei cambiamenti climatici (Bruno Carli), i rapporti Nord-Sud (GiampaoloCalchi Novati), i trend demografici (Antonio Golini), le migrazioni (Luca Einaudi), l’evolu-zione della guerra (Nicola Labanca), le armi di distruzione di massa (Francesco Calogero),l’evoluzione del rispetto dei diritti (Marcello Flores), la democrazia nel mondo (Pietro Grilli diCortona), i nuovi attori della politica internazionale (Donatella della Porta), i vecchi e nuovimedia (Paolo Mancini), le mafie (Enzo Ciconte) e infine le religioni (Enzo Pace). Ogni tema èaffrontato con un’attenzione alle dinamiche globali contemporanee, ma anche all’evoluzionestorica del fenomeno. I capitoli, corredati di carte tematiche, grafici e tabelle, offrono nel com-plesso un quadro il più possibile informativo e chiaro dei processi di trasformazione della po-litica internazionale contemporanea.

La sezione ‘Stati’ comprende tutti i membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite al mo-mento della predisposizione dell’opera, più alcuni paesi di particolare importanza geopolitica(Palestina, Taiwan, Città del Vaticano e Kosovo). Gli stati sono riportati in ordine alfabetico,con la sola eccezione dell’Italia, collocata in apertura della relativa sezione. Di ciascuno statosono fornite informazioni storiche utili alla comprensione della realtà contemporanea perquanto attiene sia alle dinamiche interne, sia alla sua politica estera. L’organizzazione delle

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schede è la stessa per ogni stato della stessa rilevanza, in modo da facilitare la comparazione.Oltre 70 indicatori sono stati utilizzati per gli stati più rilevanti, tutti sulla base delle fonti ri-portate nell’elenco che segue. Ogni stato è analizzato non soltanto per le proprie caratteristicheinterne (economiche, politiche, sociali, istituzionali), ma anche e soprattutto per il proprio ruolointernazionale, il rapporto con gli altri stati e organizzazioni internazionali, la propria colloca-zione geopolitica. Dalla trattazione è pertanto possibile comparare gli stati sulla base di nume-rose variabili (per esempio natalità, sviluppo, grado di apertura del sistema politico, ecc.), maanche comprendere le motivazioni storiche e contemporanee delle differenze che intercorronotra paesi diversi.

Analogamente, la sezione ‘Organizzazioni internazionali’ non include solo quelle a portataglobale, ma anche organizzazioni regionali, portato e arena dell’interazione regionale. La sele-zione, infatti, è stata effettuata sulla base della rilevanza internazionale e/o regionale della sin-gola organizzazione. Tra i criteri presi in considerazione sono stati utilizzati il principio dellarappresentatività geografica e della partecipazione alle attività delle Nazioni Unite in qualità diosservatori. Le organizzazioni internazionali sono elencate in ordine alfabetico sulla base delladenominazione ufficiale – privilegiando l’inglese nel caso di più lingue ufficiali – con le sole ec-cezioni del sistema delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea, collocate in apertura di sezione.

Valore aggiunto e indispensabile compendio alla trattazione sono gli oltre 700 grafici, 200carte tematiche e 400 box di approfondimento che corredano l’opera. In particolare, la carto-grafia tematica esula largamente dal canone classico della piccola scala: oltre ai planisferi, fon-damentali per la visione d’insieme dei dati e dei fenomeni trattati, è infatti presente un grannumero di carte regionali, a scala media e persino grande (si veda l’esempio di Israele), co-struite sulla ricca e pregevole base del recente Atlante Geografico Treccani, da cui sono tratteanche le carte generali poste all’apertura dei singoli stati. È possibile, in tal modo, approfondireanalisi che vanno dai mosaici etnico-religiosi alle localizzazioni produttive, agli assetti infra-strutturali e alla storia stessa del territorio, fornendo visioni di dettaglio davvero inusuali inopere di pur alta divulgazione.

Ci auguriamo che quest’opera, oltre a fornire informazioni e chiavi di lettura, stimoli gli in-terrogativi e le curiosità adeguate ad analizzare il sistema internazionale contemporaneo, ilquale, proprio perché complesso, necessita di essere guardato con la curiosità di chi ricerca do-mande oltre che risposte.

Boris Biancheri e Sonia Lucarelli

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MONDO E TENDENZE

Globalizzazione e regionalizzazione, di Boris Biancheri 3L’Unione Europea: laboratorio e attore nella politica globale, di Sonia Lucarelli 18Crisi economica e governance globale, di Mario Deaglio 37Sistemi di welfare in Europa e nel mondo, di Vincenzo Galasso 53Scenari energetici globali, di Luigi De Paoli 67La sfida dei cambiamenti climatici, di Bruno Carli 85Il Sud alla prova della globalizzazione, di Giampaolo Calchi Novati 101I trend demografici globali, di Antonio Golini 117Le migrazioni: sfida e risorsa del 21° secolo, di Luca Einaudi 129Vecchie e nuove guerre, di Nicola Labanca 145Le armi di distruzione di massa, tra sicurezza internazionale ed equilibri regionali, di Francesco Calogero 161Libertà e diritti tra stati e società globale, di Marcello Flores 177Democrazie e democratizzazioni, di Pietro Grilli di Cortona 193I nuovi attori della politica internazionale, di Donatella della Porta 211L’evoluzione della comunicazione: vecchi e nuovi media, di Paolo Mancini 223Le mafie: dall’Italia al mondo e ritorno, di Enzo Ciconte 238Le religioni nell’era globale, di Enzo Pace 255

STATI

Italia 273Afghanistan 290Albania 297Algeria 302Andorra 308Angola 309Antigua e Barbuda 312Arabia Saudita 313Argentina 322Armenia 332Australia 335Austria 344Azerbaigian 349Bahamas 353Bahrain 354

Bangladesh 355Barbados 359Belgio 360Belize 365Benin 366Bhutan 367Bielorussia 368Bolivia 371Bosnia-Erzegovina 374Botswana 380Brasile 381Brunei 392Bulgaria 393Burkina Faso 398Burundi 399

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SOMMARIO

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Cambogia 400Camerun 403Canada 407Capo Verde 416Ciad 417Cile 421Cina 424Cipro 437Colombia 442Comore 447Congo, Repubblica del 448Congo, Repubblica Democratica del 449Corea, Repubblica di 453Corea, Repubblica Democratica Popolare di 461Costa d’Avorio 465Costa Rica 469Croazia 470Cuba 473Danimarca 478Dominica 481Ecuador 482Egitto 485Emirati Arabi Uniti 495Eritrea 500Estonia 504Etiopia 507Figi 511Filippine 512Finlandia 515Francia 518Gabon 529Gambia 530Georgia 531Germania 535Ghana 547Giamaica 550Giappone 551Gibuti 562Giordania 563Grecia 567Grenada 573Guatemala 574Guinea 575Guinea-Bissau 576Guinea Equatoriale 577Guyana 578Haiti 579Honduras 582India 583Indonesia 594Iran 603Iraq 611Irlanda 617

Islanda 621Israele 622Kazakistan 630Kenya 636Kirghizistan 639Kiribati 640Kosovo 641Kuwait 647Laos 650Lesotho 651Lettonia 652Libano 656Liberia 663Libia 665Liechtenstein 672Lituania 673Lussemburgo 676Macedonia 677Madagascar 681Malawi 682Malaysia 683Maldive 687Mali 688Malta 690Marocco 694Marshall, isole 700Mauritania 701Maurizio 704Messico 705Micronesia 713Moldavia 714Monaco 718Mongolia 719Montenegro 723Mozambico 726Myanmar 730Namibia 734Nauru 736Nepal 737Nicaragua 740Niger 741Nigeria 743Norvegia 750Nuova Zelanda 754Oman 757Paesi Bassi 760Pakistan 769Palau 781Palestina 782Panama 787Papua Nuova Guinea 789Paraguay 791Perù 795

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2912

4158

4505

4478 46374807

3841

4102

4049

3052 3554

3905

3774

2912 3797

3342 2863

1738

1407

2216

2793

2241

541

635

1281

2248

1131

19281765

1955

33231979

883

1834

1236

1359

2706

2165

1019

836

1654

A r c i p e l a g o C a m p a n o

Ar

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To s c a n o

Sardegna

Corsica

Ischia

Sicilia

Cherso

I. Lunga

Stromboli 918PanareaSalinaFilicudi

Alicudi LipariVulcano

Isolad. Correnti

PianosaTremiti

GiannutriGiglioMontecristo

Capraia

Elba

Pianosa

PonzaPalmarolaVentotene

Capri

Gorgona

AsinaraMaddalena

Caprera

Tavolara

S. PietroS. Antioco

LevanzoMarettimoFavignana

Pantelleria

Ustica

Zannone

I s o l e E g a d i

Iso l e E o l i e o L i p a r i

S L O V E N I A

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T U N I S I AA L G E R I A

A U S T R I AS V I Z Z E R A

SANMARINO

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L i g u r i a

Piemonte

V. d’Aosta

Lombardia

Trentino--Alto Adige

Friuli--Venezia

Giulia

Veneto

Emilia-Romagna

Toscana

Marche

Abruzzo

Lazio Molise

Puglia

Basilicata

Campania

Calabria

Sicilia

Sardegna

Umbria

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Golfo di Napoli

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Bocche di Bonifacio

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Golfo diCatania

Golfo di Manfredonia

Golfodi Gaeta

Golfodi Salerno

Golfo di Genova

G. di Orosei

Golfodi Cagliari

G o l f od i Ta r a n t o

G o l f o d i

V e n e z i a

L’Aquila

Cuneo

Torino

AlessandriaAsti

Aosta

Biella

Varese

PaviaPiacenza

GenovaSavona

Imperia

La Spezia

Parma

CremonaMantova

LeccoBergamo

MonzaMilanoNovara

Brescia Vicenza

Verona PadovaVenezia

Treviso

Rovigo

VerbaniaComo

Bolzano

TrentoBelluno

PordenoneUdine

Gorizia

Trieste

Ferrara

RavennaBologna

ModenaReggionell’Emilia

ForlìRiminiCarrara

MassaLuccaPisa

Livorno

Pistoia

FirenzePrato

Ancona

FermoMacerata

Ascoli Piceno

Urbino

Pesaro

ArezzoSiena

GrossetoPerugia

Terni

Viterbo Rieti

Roma

FrosinoneLatina

ChietiPescara

Teramo

Caserta

Palinuro

Battipaglia

Gallipoli

Sibari

Otranto

Napoli

Benevento

Avellino

Salerno Potenza

CampobassoIsernia

FoggiaBarletta

TraniAndria Bari

Matera TarantoBrindisi

Lecce

Crotone

CatanzaroVibo Valentia

Cosenza

LocriCefalù

Augusta

Noto

Mazaradel Vallo

Marsala

Reggiodi Calabria

Catania

Siracusa

Messina

RagusaGela

Enna

Agrigento

Palermo

Caltanissetta

Trapani

OlbiaTempioPausania

Sassari

LanuseiTortolì

Cagliari

IglesiasCarbonia

Oristano

SanluriVillacidro

Lodi

Nuoro

Sondrio

Vercelli

Piombino

Albenga

Foligno

Fano

Cesena

Comacchio

Chioggia

Sora

Cassino

SulmonaTivoli

Civitavecchia

Volturno

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Secchia

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Marmolada

M. TricornoTriglav

M. Amiata

M. Falterona

M. Fumaiolo

M. Terminillo

La Majella

La Meta

Circeo

M. Argentario

Botte Donato

Etna

Madonie

M. Linas

M. Limbara

M. Cinto

M. Cimone

M. Pollino

Vesuvio

L. diComo

L. Maggiore

Lagod’Iseo

L. Trasimeno

L. diBolsena

L. diBracciano

Lagodi Garda

L. di Ginevra

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M a r e L i g u r e

LampedusaLampedusa

Isole PelagieLampione

Linosa

180 km900

273

Italia

SUPERFICIE301.000 km2

POPOLAZIONE59.870.000

DENSITÀ203,5 ab./km2

CAPITALERoma (2.743.796 ab.)

LINGUA UFFICIALEItaliano

UNITÀ MONETARIAEuro

CONFINITerrestri: 1.899 kmMarittimi: 7.600 km

MAGGIORI ORGANISMI INTERNAZIONALI DI APPARTENENZACE, CERN, ESA, EU, FAO, IAEA, IBRD,ICAO, ICCT, ICSID, IEA, IFAD, IFC, ILO,IMF, IMO, INTERPOL, IOM, ISA, ITU,MIGA, NATO, OECD, OPCW, OSCE,UFM, UN, UNIDO, UNESCO, UNWTO,UPU, WHO, WIPO, WMO, WTO

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Page 14: Atlante Geopolitico

Italia

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L’Italia costituisce il quarto stato dell’UnioneEuropea (Eu) in termini di popolazione e ric-chezza economica. In virtù della propriacollocazione geografica, inoltre, la penisola sipone all’intersezione di due aree regionali stra-tegicamente rilevanti: l’Europa continentale anord e il Mediterraneo a sud. La posizione geo-politica del paese ha così contribuito a pla-smarne le linee guida della politica estera. Inparticolare, quantomeno a partire dal secondodopoguerra, l’Italia ha seguito tre assi princi-pali, rivolti rispettivamente agli Stati Uniti, al-l’Europa e a quelli che un tempo erano defini-ti paesi del Terzo mondo.

Il rapporto con gli Stati Uniti si è definito apartire dalla ‘scelta occidentale’ dell’Italia,ossia l’ingresso nell’Alleanza atlantica nel 1949.Nelle relazioni con Washington la posizionestrategica del paese – posto esattamente sulconfine tra i due ‘blocchi’ – si tradusse in unarilevanza geopolitica destinata a perdurare pertutto il periodo della Guerra fredda. D’altraparte, la protezione garantita dall’alleato ame-ricano comportò l’installazione di basi milita-ri sul territorio della penisola e, cosa forse piùimportante, ricadute non trascurabili sulla po-litica interna – che si sostanziarono nell’esclu-sione del Partito comunista dalle coalizioni digoverno. Terminata la Guerra fredda, e sva-nita la minaccia sovietica, l’Italia ha mantenu-to negli Stati Uniti un partner fondamentale enella Nato la principale alleanza strategica,come testimoniato dalla partecipazione allemaggiori operazioni dell’Alleanza, in partico-lare l’attuale missione Isaf in Afghanistan e lapiù recente Unified Protector in Libia.

La seconda priorità nella politica estera ita-liana è testimoniata dalla propensione del pae-se a sostenere (seppur con alcuni limiti) il pro-getto di integrazione europea. L’Italia non è

solo tra i sei membri fondatori delle origina-rie comunità europee, ma vede nell’Eu lo stru-mento principale per amplificare la propriainfluenza internazionale. Nonostante alcuneinevitabili tensioni con Bruxelles, negli ulti-mi anni si è assistito a una sostanziale con-vergenza con le istituzioni comunitarie. Fan-no eccezione due brevi (ma acute) tensioni nel2009: la prima ha riguardato la politica dei re-spingimenti degli immigrati provenienti dal-la Libia, la seconda la richiesta presentata dal-l’Italia alla Commissione europea di rivederegli impegni comunitari relativi alla riduzionedelle emissioni nocive.

Per quanto concerne la terza linea d’azionedella politica estera, l’Italia ha sviluppato unaserie di rapporti bilaterali, in particolare con ipaesi del Mediterraneo, del Medio Oriente edei Balcani. In relazione ai vicini meridionali,la diplomazia italiana si è prodigata per rin-saldare i propri legami con la Libia, con la qua-le nel 2008-09 sono stati firmati importanti ac-cordi di natura commerciale, di cooperazionesui flussi migratori e sulle risorse energetiche,su cui gravitano però le incognite derivanti dal-la crisi libica del 2011. Altrettanto importan-te è l’asse con la Turchia, paese con cui l’Ita-lia intrattiene intense relazioni economiche(solo nel 2009 le imprese italiane si sono ag-giudicate appalti pubblici in Turchia per unvalore di 626 milioni di euro). L’Italia è unodei maggiori sostenitori dell’ingresso di An-

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Rep. Ceca

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Stati Uniti 90810

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L’Italia e la NATOMaggiori contributi alle missioni NATOin termini di effettivi (2011)

Dati: NATO

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La settima economia al mondoI primi 15 paesi al mondo in termini di PIL (2009)

Dati: WB (dati espressi in miliardi di dollari correnti)

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kara nell’Unione Europea e vede nel paese unimportante partner per la posizione strategicaa cavallo tra Europa e Asia.

Nei confronti del Medio Oriente, la politicaestera italiana ha mantenuto una posizione disostanziale equidistanza nella disputa israelo-palestinese (seppur con accenti diversi a se-conda del colore del governo in carica), che leha permesso di conservare rapporti amichevolitanto con Israele che con i paesi arabi. In oc-casione della crisi di Gaza a cavallo tra il 2008e il 2009, ad esempio, Roma ha sostenuto la le-gittimità dell’azione di Israele in quanto di-fensiva, riproponendo al tempo stesso l’idea diuna sorta di ‘Piano Marshall’ per la Palestina.Oltre al conflitto israelo-palestinese, l’Italia èstata attiva in Libano, dove ha assunto un ruo-

lo centrale all’interno della missione Unifil

II delle Nazioni Unite, e verso l’Egitto, concui ha avviato un rapporto privilegiato. Versoi Balcani, infine, la politica estera italiana è vol-ta alla promozione della stabilità, in particola-re al fine di stemperare le tensioni etniche enazionali (soprattutto in Kosovo e Serbia) ecombattere la criminalità organizzata. In que-sto teatro l’Italia ha mostrato un particolareinteresse nei confronti della Serbia e del Mon-tenegro, così come dell’Albania. Oltre ad es-sersi impegnata nel 2009 a dedicare sostanzio-si investimenti in questi paesi, l’Italia si è fattaportatrice della domanda di ingresso della Ser-bia nell’Eu.

Infine, l’Italia mostra un’elevata propen-sione al multilateralismo, come testimoniato

kara nell’Unione Europea e vede nel paese un lo centrale all’interno della missione Unifil

Quando Alcide De Gasperi e Carlo Sforza deci-sero di sottoscrivere, nel 1949, il Trattato per lacreazione dell’Alleanza atlantica, il maggioreostacolo non fu l’opposizione social-comunista,largamente scontata, ma quella di una parte del-la Democrazia cristiana (l’ala ispirata da Giu-seppe Dossetti) e di alcuni esponenti dei picco-li partiti democratici, molti dei quali sinceramenteconvinti che l’Italia avrebbe dovuto rifiutare lalogica dei blocchi e fare una politica estera neu-trale. De Gasperi riuscì a superare queste resi-stenze spiegando ai suoi compagni di partitoche l’Italia sarebbe entrata nell’Alleanza insie-me alle maggiori democrazie europee e che ilPatto atlantico sarebbe stato quindi un passag-gio necessario, quasi una sala d’aspetto, sullastrada dell’integrazione politica ed economicadel continente.

Per alcuni anni quindi l’Italia poté essere con-temporaneamente, senza troppe difficoltà, atlan-tica e europeista. La NATO, vale a dire l’America,garantiva la sua sicurezza, mentre l’Europa del-la CECA, della CED e del Mercato comune davasoddisfazione alle sue ambizioni federaliste ele garantiva una sorta di parità, nonostante lasconfitta, con gli altri maggiori paesi dell’Europaoccidentale. Questo doppio binario della politicaestera nazionale divenne ancora più facilmentepercorribile dopo la morte di Stalin, l’avvento diChrušcëv e il clima di prudente coesistenza pa-cifica che s’instaurò, con qualche sussulto, neirapporti fra i due blocchi. Con una politica che fudefinita ‘micro-gollista’ l’Italia poté comprare ilpetrolio russo, commerciare con l’Unione Sovie-tica e creare una fabbrica d’automobili a Togliat-tigrad, ma continuare a essere la maggiore delleportaerei americane nel Mediterraneo.

Il gioco divenne un po’ meno facile quando ilgenerale De Gaulle, nel 1966, ritirò la Francia dal-la struttura militare integrata del Patto atlanticoe dimostrò in tal modo che la NATO e l’integra-zione europea non erano due volti di una stessamedaglia. Anche a Washington, qualche annodopo (il presidente era Richard Nixon, il suo prin-cipale consigliere per la politica estera Henry Kis-

singer), l’Europa cominciò a essere percepita di-versamente. Per molti americani era un poten-ziale concorrente, per altri un terzo incomodo,per altri ancora un peso morto. Prima delle finedella Guerra fredda vi furono divergenze e scre-zi politici, come la costruzione di un gasdotto peril trasporto di gas sovietico in Europa occidenta-le all’inizio degli anni Ottanta. Dopo la fine dellaGuerra fredda i contrasti furono soprattutto eco-nomici, ma sempre più frequenti, con alcuni ri-corsi all’Organizzazione per il commercio mon-diale (WTO) e qualche memorabile decisione diBruxelles, come quella del commissario MarioMonti che nel 2001 bocciò, perché contraria aiprincipi della libera concorrenza, la fusione tradue grandi aziende degli Stati Uniti: General Elec-tric e Honeywell. Non è tutto. Mentre l’Europa siproponeva obiettivi ambiziosi (il mercato unico,la moneta unica, il Trattato costituzionale), laNATO aveva perduto la sua funzione originale edera alla ricerca di un ruolo. Ma restava pur sem-pre un simbolo dei rapporti euro-americani e ilprincipale legame organico esistente fra le duesponde dell’Atlantico.

La rottura della NATO e dell’Europa è stata sfio-rata nel 2003, quando gli Stati Uniti s’imbarca-rono, con l’invasione dell’Iraq, in una guerra cheera visibilmente disapprovata da Francia e Ger-mania, ma sostenuta dall’Italia e dalla Spagna. Iguasti sono stati riparati dopo la costituzione delgoverno Merkel in Germania e l’elezione di Ni-colas Sarkozy in Francia. L’Italia, nel frattempo,ha continuato a considerare la NATO, vale a diregli Stati Uniti, come un cardine indispensabile el’Europa come un obiettivo irrinunciabile dellapropria politica estera. Ma con qualche varia-zione d’accento, che è dipesa dalla composizio-ne dei suoi governi. Quelli di centro-sinistra so-no stati complessivamente più europei cheatlantici, quelli di Silvio Berlusconi più filo-ame-ricani che europei. Ma anche nel caso di Berlu-sconi la politica estera italiana ha avuto un altropolo: il rapporto con la Russia di Putin, che haperpetuato sotto altre forme il micro-gollismodegli anni della Guerra fredda.

La politica estera italiana: tra europeismo e atlantismodi Sergio Romano

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Page 16: Atlante Geopolitico

dall’appartenenza e dalla partecipazione atti-va all’interno delle principali istituzioni in-ternazionali, quali le Nazioni Unite, il G8, ilWto e le già citate Eu e Nato. In particola-re, per ciò che riguarda le Nazioni Unite, dicui il paese è il sesto contributore mondialecon quasi 219 milioni di dollari nel biennio2008-09, l’Italia si è impegnata nel difficileprocesso di riforma dell’organizzazione. Laproposta avanzata da Roma, che sulla que-stione si oppone tanto a grandi potenze comela Germania e il Giappone quanto a stati emer-genti come India e Brasile, è di incrementa-re il numero di seggi non permanenti all’in-terno del Consiglio di sicurezza.

Non diversamente, nell’ambito del G8, l’Ita-lia si è prodigata per mantenere viva l’orga-nizzazione quale vertice di comando dell’eco-nomia mondiale. Nel 2009 il paese ne hadetenuto la presidenza e ha dato ampia enfasial summit organizzato all’Aquila (pochi mesidopo il terremoto che ha distrutto parte dellacittà). Tuttavia, di fronte all’ascesa dei cosid-detti Bric (Brasile, Russia, India e Cina), pa-

re evidente che l’istituzione stessa sia destina-ta a cedere il passo verso forme alternative, co-me il G2 Usa-Cina, o il G20. Nonostante l’in-sistenza di Roma nel ribadire la centralità delG8 come concerto delle grandi potenze, è pro-babile che l’appello italiano sia destinato a ca-dere nel vuoto.

Evoluzione storico-politica

Dal 1946 l’Italia è una repubblica parlamenta-re. Le istituzioni principali comprendono il Pre-sidente della Repubblica, che riveste un ruoloistituzionale e di garanzia (sebbene a volte poli-ticamente rilevante), eletto dal Parlamento in se-duta comune assieme ai rappresentanti delle re-gioni; il Parlamento, bicamerale perfetto, formatoda una Camera dei deputati, composta da 630rappresentanti, e da un Senato, comprendente322 membri; il Presidente del Consiglio dei mi-nistri, nominato dal Presidente della Repubbli-ca, il quale è sovente il leader del partito che haottenuto più seggi alla Camera dei deputati. Ilmandato elettorale di deputati e senatori è di cin-que anni, mentre il Presidente della Repubbli-ca rimane in carica per sette. Infine, la costitu-zione sancisce la divisione amministrativa delpaese in 20 regioni e oltre 100 province.

La storia politica italiana del dopoguerra ècontraddistinta da un momento di cesura, al-l’inizio degli anni Novanta, che ha portato allatransizione dalla cosiddetta ‘Prima Repubbli-ca’ alla ‘Seconda Repubblica’. A trasformare ilsistema politico italiano furono innanzitutto lericadute interne dei mutamenti internazionali:a poco più di un anno dal crollo del Muro diBerlino il Partito comunista italiano (Pci), gui-dato dal segretario Achille Occhetto, venne in-fatti ufficialmente sciolto per dare vita al Parti-to democratico della sinistra (Pds). Sul pianointerno, furono invece l’operazione giudiziaria‘Mani pulite’ e i numerosi scandali che miseroin luce un sistema ampiamente corrotto a spin-gere verso un netto ricambio della classe diri-gente e dei principali partiti di governo: la De-mocrazia cristiana (Dc) e il Partito socialista(Psi) vennero ufficialmente sciolti, e nelle ele-zioni del 1994 emersero prepotentemente nuo-vi partiti e nuovi leader: tra questi, la Lega Norddi Umberto Bossi e Forza Italia di Silvio Ber-lusconi. Contestualmente, nel 1993, in seguitoa un referendum popolare, si riformò il si-stema elettorale, abrogando il principio pro-porzionale e sostituendolo con uno semi-mag-gioritario. Questa scelta era finalizzata a ridurreil numero dei partiti in Parlamento e assicura-re così maggiore stabilità alle coalizioni di go-verno: dal 1945 a oggi si sono infatti succedutipiù di cinquanta governi. Tuttavia, il nuovo si-stema elettorale non ha portato i risultati spe-rati e nel 2005 è stato reintrodotto il sistemaproporzionale, con una soglia di sbarramento eun premio di maggioranza: alla Camera il pre-mio consiste in almeno 54 seggi al partito cheottiene più voti, mentre al Senato la vittoria inuna data regione garantisce il 55% dei seggi di-sponibili per quella regione.

Italia

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Un sostenitore attivo del multilateralismoMaggiori finanziatori del bilancio generale delle Nazioni Unite (previsioni 2011)

Dati: UN

ORDINAMENTO DELLO STATO

SISTEMA POLITICORepubblica parlamentare

DIVISIONI AMMINISTRATIVE20 regioni, di cui 5 regioniautonome a statuto speciale

CAPO DI STATOGiorgio Napolitano (dal maggio 2006)

CAPO DEL GOVERNOMario Monti (dal novembre 2011)

COMPOSIZIONE DEL LEGISLATIVOParlamento bicamerale

UNIFICAZIONE17 marzo 1861

SUFFRAGIOUniversale, dai 18 anni

DATA DELLE ULTIME ELEZIONIElezioni politiche: 13-14 aprile 2008

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Persino individuare la data d’inizio del cammino delle riforme ap-pare difficile. Probabilmente, il merito del lancio, se fu tale, va at-tribuito al segretario socialista Bettino Craxi che nel 1978 dichia-rò indispensabile procedere a una non meglio precisata ‘Granderiforma’. Gli altri partiti politici risposero con grande titubanza. Laprima vera svolta avvenne nel novembre 1983 con la costituzionedella Commissione bicamerale per le riforme istituzionali presie-duta dall’onorevole Aldo Bozzi, liberale. Alla fine dei lavori, gen-naio 1985, il Parlamento non ne discusse neppure i risultati. Peranni le riforme fecero oggetto di dichiarazioni dei parlamentari percomparire sui mass media. Soltanto nel 1992 venne istituita unanuova Commissione parlamentare, detta De Mita-Iotti, poiché gui-data prima dal democristiano Ciriaco De Mita, poi da Nilde Iotti,già comunista ed ex presidente della Camera dei deputati. Anchei lavori di questa Commissione, terminati all’inizio del 1994, si con-clusero con un nulla di fatto.

Alcune significative riforme vennero conseguite dai cittadinicon referendum che abrogarono diversi ministeri, alcuni dei qua-li resuscitati con altro nome, il finanziamento statale dei partiti,reintrodotto sotto nuove forme, intere sezioni delle leggi eletto-rali vigenti. Dal canto suo, in tutta fretta, per evitare il referen-dum, nel 1993 il Parlamento introdusse l’elezione popolare di-retta del sindaco. La nuova legge elettorale, detta Mattarellum,con riferimento ironico al cognome del relatore, Sergio Matta-rella, dispose l’elezione di tre quarti dei parlamentari con un si-stema maggioritario in collegi uninominali e un quarto propor-zionale. Nel 1996 sembrò che potesse addirittura nascere ungoverno, con la guida di Antonio Maccanico, per dare vita a unarepubblica di tipo semi-presidenziale alla francese, con sistemaelettorale a doppio turno. Fallì. Il tentativo successivo, con unaCommissione presieduta da Massimo D’Alema, di giungere a unariforma organica sia della forma di stato, introducendo elemen-ti di federalismo, sia della forma di governo, rafforzando i pote-

ri del Presidente del Consiglio, si ebbe fra il 1997 e il 1998, ma ri-mase senza esito.

Più successo iniziale ebbe la maggioranza di centro-destra gui-data da Silvio Berlusconi, che approvò sia un’ambiziosissima ri-forma di 56 articoli della Costituzione, sia la reintroduzione di unalegge elettorale proporzionale, ma con soglia percentuale d’ac-cesso al Parlamento e con premio di maggioranza per il partito ola coalizione che ottengono più voti alla Camera e regione per re-gione al Senato. Vinte molto risicatamente le elezioni dell’aprile2006, il centro-sinistra chiamò l’elettorato a un referendum co-stituzionale che bocciò tutta la riforma costituzionale. Pure in se-guito sottoposta a referendum, la legge elettorale rimase in piediintatta a causa del non conseguimento del quorum del 50% piùuno dei votanti. Costantemente criticata dagli opinionisti, in par-ticolare del centro-sinistra, la legge elettorale che, grazie alle suelunghe e bloccate liste di candidati, consente ai capi-partito di sce-gliersi i parlamentari graditi e ai candidati di farsi cooptare, appa-re molto difficile da riformare.

Alla fine del 2010, anno quant’altri mai di conflitti politici e dimigrazioni parlamentari (la classica malattia italiana chiamatatrasformismo), le riforme istituzionali continuano a rimanere sul-lo sfondo, promessa o minaccia, entrambe difficili da tradurre inpratica. La Costituzione, autorevolmente difesa e interpretata dalPresidente della Repubblica Giorgio Napolitano, esibisce una stra-ordinaria elasticità, tanto da fare pensare che le riforme dovreb-bero essere indirizzate a migliorare la qualità della classe politi-ca piuttosto che a incidere sui meccanismi e sulle struttureistituzionali. Naturalmente, c’è molto da temere qualora una clas-se politica conflittuale e inadeguata riesca a trovare accordi su ri-forme costituzionali che ciascuno dei suoi componenti vorrebbeesclusivamente se avvantaggiano la sua parte politica. Le non-ri-forme appaiono di gran lunga preferibili a riforme forzate, parti-giane, malfatte.

Il difficile cammino delle riformedi Gianfranco Pasquino

PD Partito Democratico107

Italia dei Valori IdV12

Gruppo misto*20

Unione di Centro, SVP e Autonomie15

Lega Nord Padania26

Coesione Nazionale - Io Sud10

PdL Popolo della Libertà131

Senato della Repubbllica(aprile 2011)

PdL Popolo della Libertà228

FLI Futuro e Libertàper l'Italia

29

LN Lega Nord Padania59UdC Unione di Centro

36

IR Iniziativa Responsabile29

Gruppo misto*21

Italia dei Valori IdV22

PD Partito Democratico206

*(di cui 5 Alleanza per l'Italia,4 Movimento per le autonomie,

3 Liberaldemocratici,3 minoranze linguistiche,

6 indipendenti)

Camera dei deputati(aprile 2011)

La maggioranza di centro-destraComposizione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (aprile 2010)

Dati: Camera dei Deputati; Senato della Repubblica

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Il nuovo sistema elettorale è stato adottatonelle elezioni del 2008, che sono state vintedalla coalizione di centro-destra guidata daBerlusconi. Con 344 seggi alla Camera e 174al Senato, Berlusconi ha ottenuto un’ampiamaggioranza rispetto alla coalizione di centro-sinistra, formata dal Partito democratico (Pd)e dall’Italia dei valori (Idv), che hanno otte-nuto rispettivamente 246 e 132 seggi. Nel mar-zo del 2009 Berlusconi ha riunito in un solopartito, battezzato Il popolo delle libertà (Pdl),il proprio partito Forza Italia e l’alleato di de-

stra, Alleanza nazionale. La Lega Nord, purrimanendo parte della coalizione, ha deciso dirimanere un partito indipendente.

La campagna elettorale del centro-destra si èconcentrata principalmente sui temi della sicu-rezza, della lotta al crimine e dell’immigrazio-ne. Le iniziative realizzate da Berlusconi nei pri-mi due anni di governo sono state quindicontraddistinte dal tentativo di incrementare lemisure repressive del crimine e dare maggioristrumenti alle forze dell’ordine. All’interno delcosiddetto ‘pacchetto sicurezza’ è stata intro-

Italia

278

È uno scenario sbalorditivo, quello che gli esperti cisrotolano davanti agli occhi. Nel 2020 l’Italia, dacui un tempo partivano i bastimenti, potrebbe di-ventare il primo paese d’Europa quanto a numerodi immigrati. Già nel 2010 eravamo sul podio con-tinentale, dopo la Germania e poco dietro la Spa-gna, con i nostri cinque milioni di stranieri residen-ti. Al ritmo di 250.000 arrivi all’anno, che l’ISTAT

considera realistico, diventeranno sette milioni emezzo, escludendo gli irregolari. Vero che la Ger-mania già oggi ne conta poco meno di sette milio-ni, ma questo paese trasforma gli stranieri in citta-dini tedeschi a un ritmo superiore a noi, e inoltreper il futuro cerca lavoratori stagionali o manodo-pera molto qualificata.

Le fredde cifre non aiutano a cogliere in pieno lapiù sorprendente rivoluzione che abbia investitol’Italia repubblicana. Per rendere meglio l’idea, è co-me se, nel 2010, le quattro più importanti città ita-liane, Roma, Milano, Napoli e Torino, fossero stateinteramente abitate da stranieri. Per aggiungere poialla lista nel 2020, Genova e Palermo, Bologna e Fi-renze, Bari e Venezia. Ma quando è iniziato ad ac-cadere, tutto questo? E come mai non ce ne siamoquasi accorti?

Per comodità, il 1976 viene considerato l’anno disvolta tra esodi e ingressi. Perché consente il rife-rimento al 1876, anno della prima rilevazione uffi-ciale sugli espatri, e il calcolo conseguente, ufficia-lizzato dal nostro Ministero degli esteri, che nell’arcodi un secolo ben 27 milioni di italiani hanno lascia-to la penisola in cerca di fortuna all’estero. In real-tà, secondo alcune stime, l’inversione di segno sa-rebbe giunta quattro anni prima, nel 1972, con unsaldo positivo di 14.000 arrivi.

L’Italia è stata colta di sorpresa, perché i primi im-migrati sono arrivati quasi silenziosamente, e in luo-ghi del tutto appartati. Tra i primi, i pescatori tuni-sini di Mazara del Vallo, periferici, separati, con illoro lavoro lontano dalla terraferma. Uno di questi,Bezine Hachemi, ha raccontato la sua storia sui gior-nali: era giunto in Sicilia nel 1969, l’anno dell’’au-tunno caldo’, e vi aveva già trovato una decina dipaesani. Appartate sono le mura domestiche del-le famiglie agiate di Roma e Milano, dove negli an-ni Settanta approdano le prime colf, dalle Filippinee da Capo Verde. Appartati i campi dove lavoranoi primi raccoglitori di pomodori, studenti africaniche impegnavano l’estate per mantenersi all’Uni-versità. E anche i venditori di stoffe e di pelli che gi-

ravano per le spiagge, davano un’idea esotica, dilontananza e di separazione. Poi, piano piano, an-che l’industria comincia a impiegare lavoratori stra-nieri: nel novembre del 1977, il periodico Vita Nuo-va annuncia che a Modena la Fiat ha appena assunto50 egiziani per le fonderie.

Negli anni Ottanta e Novanta l’immigrazioneesplode, con la richiesta sempre più diffusa da par-te delle imprese e delle famiglie, per posizioni chegli italiani non vogliono più occupare. Dall’industriaconciaria all’edilizia, dalle pulizie negli uffici e neglialberghi ai servizi di ristorazione, alla cura degli an-ziani e dei bambini nelle famiglie. Nel primo de-cennio del nuovo secolo si assiste a una triplica-zione delle presenze (nel 2000 gli immigrati erano‘appena’ un milione e mezzo) e in un solo anno eper giunta di crisi, il 2010, un aumento di 388.000stranieri iscritti in anagrafe viene registrato dall’ISMU,l’istituto che, assieme alla Caritas, studia con at-tenzione gli immigrati del nostro paese.

Nel tracciare l’identikit degli ‘immigrati all’italiana’non si sfugge a tre aspetti essenziali: policentrismogeografico, religione prevalente cristiana e lavoro al-le dipendenze delle famiglie ben più che in tutti gli al-tri paesi d’Europa. Lo straordinario allungamento del-la vita, che pone in primo piano il problema della curadegli anziani e l’endemica carenza di servizi sociali,fanno sì che, a ore o a tempo pieno, circa un milionedi straniere vengano già impiegate nel lavoro dome-stico. Quanto alla religione, i fedeli di Allah sono astento un terzo e, quanto a provenienza geografica,nella scuola italiana se ne contano ben 180 differen-ti. Nel primo decennio del 2000, tuttavia, è cresciu-ta enormemente la presenza dei romeni. Tra iscrittiin anagrafe e non sono stimati in 1.200.000 e costi-tuiscono la prima nazionalità degli immigrati in Italia.

Rilevante è anche il numero dei titolari di impre-sa stranieri: 213.000 a maggio del 2010. Personevenute non soltanto a cercare lavoro, ma anche acrearne, mostrando una voglia di integrazione cheemerge da tanti altri segnali: ogni anno nascono inItalia quasi 100.000 bimbi stranieri; i matrimonimisti sono triplicati in tre lustri e ormai se ne con-ta uno ogni sette celebrati; i minori erano già unesercito di un milione nel 2010. Tutto questo poneall’Italia una doppia e complicata sfida: da un latogovernare e selezionare i flussi, dall’altro creare so-lide strutture di integrazione per un processo cheè ormai strutturale e contribuisce all’11% del pro-dotto lordo del nostro paese.

I ‘nuovi italiani’di Corrado Giustiniani

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dotta una serie di disposizioni, alcune delle qua-li invero assai controverse, quali l’introduzionedel reato di clandestinità, un trattato con la Li-bia in virtù del quale viene concesso all’Italia ildiritto di respingere le navi dei migranti, l’isti-tuzione delle ronde di comuni cittadini per ilpattugliamento del territorio e l’utilizzo dei sol-dati in affiancamento alle forze di polizia pergarantire l’ordine. Nel dicembre del 2010, in-fine, il Parlamento ha approvato la riforma delsistema universitario. Le modifiche introdottedalla legge hanno suscitato un’ondata di prote-ste tra gli studenti e i ricercatori, che hanno or-ganizzato manifestazioni (alcune sfociate in at-ti di violenza) nelle principali città italiane.

Nonostante i cospicui margini ottenuti nel2008, nel 2010 la maggioranza è entrata in cri-si per la tensione tra il leader del Pdl Berlu-sconi e il co-fondatore del partito, il presiden-te della Camera Gianfranco Fini. In parte perl’influenza (ritenuta eccessiva) della Lega Nordsulle scelte del governo, in parte per attriti per-sonali, dopo le elezioni amministrative del 2010Fini ha preso sempre più le distanze dal Pdl,fino a formare un gruppo parlamentare sepa-rato e poi un partito a sé stante, denominatoFuturo e libertà per l’Italia (Fli), che nel no-vembre 2010 ha sostenuto una mozione di sfi-ducia contro il governo che non è stata appro-vata per pochissimi voti.

Il 2011 si apriva quindi con una situazione diprofonda incertezza per la politica italiana; pe-raltro, le elezioni amministrative – in cui il Pdl

ha perduto la tradizionale roccaforte di Milano

– hanno manifestato un progressivo cambia-mento nelle scelte elettorali della popolazione.Ma sono state soprattutto le gravi tensioni fi-nanziarie nell’autunno 2011 a evidenziare co-me l’esiguità della maggioranza rendesse im-possibile il governo del Paese. Nel novembre2011, dopo il voto alla Camera dei Deputati sulrendiconto dello Stato, approvato per l’asten-sione delle opposizioni, Berlusconi si è dimes-so dalla carica di presidente del Consiglio.

Il 9 novembre 2011 l’economista Mario Mon-ti è stato nominato senatore a vita e il 13 dellostesso mese ha ricevuto dal presidente dellaRepubblica G. Napolitano l’incarico, accetta-to con riserva, di formare un nuovo governoper fronteggiare il grave momento di crisi fi-nanziaria ed economica, interna e internazio-nale. Il 16 novembre Monti ha presentato unesecutivo con una forte caratterizzazione “tec-nica”, privo di esponenti delle forze politiche,che nei giorni seguenti ha ottenuto una mag-gioranza parlamentare molto ampia.

Popolazione e società

Con 60 milioni di abitanti, l’Italia è il quartopaese più popoloso dell’Unione Europea do-po Germania, Francia e Regno Unito. La den-sità di popolazione è tra le più elevate del con-tinente, anche se la distribuzione sul territoriorisulta concentrata in alcune aree metropoli-tane. Nel corso degli ultimi anni la popolazio-ne è leggermente incrementata, principalmente

Italia

279

POPOLAZIONE

POPOLAZIONE URBANA 68,2%

POPOLAZIONE RURALE 31,8%

TASSO DI FECONDITÀ 1,41 figli per donna

SPERANZA DI VITA ALLA NASCITA82 anni

ETÀ MEDIANA 43 anni

TASSO DI MIGRAZIONE 5,6 su 1.000 abitanti

RIFUGIATI NEL PAESE54.965

La geografia dell’immigrazione

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in virtù dell’elevata immigrazione. Il tasso difecondità nel 2008 era pari a 1,41 figli per don-na, inferiore alla media europea (pari a circa1,5). Inoltre, disaggregando il dato per le soledonne italiane, tale valore scende a 1,33, men-tre per le donne straniere è di 2,05. Parallela-mente alla bassa crescita demografica si regi-stra un incremento nella vita media degliitaliani: se nel 2002 la speranza di vita alla na-scita era di 77,1 anni per gli uomini e 83 per ledonne, nel 2008 tale valore era cresciuto ri-spettivamente a 78,6 e 84 anni. Il risultato diquesti due fattori è l’invecchiamento relativodella popolazione: prendendo come indicato-re l’indice di vecchiaia, ovvero il rapporto trala popolazione di età superiore ai 65 anni e lapopolazione tra 0 e 14 anni, tale valore è cre-sciuto dal 127% nel 2000 al 144% nel 2008.

I flussi migratori registrano una tendenzapositiva: all’inizio del 2010 risultavano 4.235.059

stranieri legalmente residenti nel paese, a cui sistima vada aggiunto un altro milione di irrego-lari. Rispetto al 2007, quando figuravano pocomeno di tre milioni, l’incremento è pari al 32%circa. L’effetto dell’immigrazione sulla crescitadella popolazione è così duplice: oltre a portarenettamente in attivo il saldo migratorio, essa in-fluisce positivamente anche sul saldo naturale(ovvero la differenza tra nascite e decessi).

Un’osservazione più approfondita dei flus-si migratori mostra il sorpasso, a partire dal2008, dei migranti provenienti da paesiextracomunitari rispetto a quelli prove-nienti dall’Unione Europea. Questo dato è inparte dovuto alla regolarizzazione massicciadi immigrati presenti già da tempo in Italia(perlopiù collaboratrici domestiche e badan-ti), ma anche al rallentamento degli ingressidai paesi dell’Europa centro-orientale. Al-l’inizio del 2010, con 887.000 persone, la co-

Italia

280

L’Italia è fra i paesi con le maggiori disparità re-gionali. Il fenomeno non è certo raro; ma in Ita-lia presenta una particolare intensità e persi-stenza. Al Centro-Nord, il reddito è molto piùalto; il tasso di occupazione, soprattutto fem-minile, assai maggiore; lo stesso accade perquantità e qualità delle imprese.

Come si è prodotta questa situazione? Checonseguenze provoca per l’economia italiana?

La differenza di reddito fra le regioni del pae-se era assai minore all’Unità, quando erano tut-te prevalentemente agricole. È cresciuta moltocon i primi processi di industrializzazione, chesi sono concentrati nel “Triangolo Industriale”e poi diffusi verso il Nord-est e il Centro. Si è mol-to acuita durante il fascismo: al Sud la popola-zione è cresciuta notevolmente, ha visto chiusala strada dell’emigrazione ed è rimasta quasiesclusivamente legata all’agricoltura; le politi-che economiche e i grandi salvataggi degli an-ni Trenta hanno cristallizzato la geografia del-l’industria. Nel secondo dopoguerra, durante il‘miracolo economico’ le differenze di reddito sisono significativamente ridotte. Il Sud si è mo-dernizzato, ha ridotto un po’ il suo forte gap in-frastrutturale rispetto al resto del paese, ha vi-sto crescere l’industria. Questo è stato frutto diuna intensa e determinata politica pubblica na-zionale. Con la crisi petrolifera questa rincorsasi è arrestata: tutte le regioni hanno significati-vamente rallentato la crescita (quasi azzeratanell’ultimo decennio) ma le distanze sono rima-ste immutate. Spiegarlo non è difficile: ancoratroppo forte era (e rimane) la diversa conve-nienza nel “fare impresa” fra CentroNord e Sudin termini di dotazione di infrastrutture, dispo-nibilità di servizi pubblici e privati, presenza dilavoratori ben qualificati; distanza dai mercatidi sbocco, presenza di agglomerazioni produt-tive e connesse economie esterne. Negli ultimi35 anni le politiche economiche non sono riu-scite a mutare questo dato di fondo. Anzi, la

qualità delle politiche pubbliche, dalla fine de-gli anni Sessanta, si è notevolemente ridotta; alSud, in misura probabilmente più intensa chenell’intero paese. In particolare negli anni Ot-tanta, fino alla crisi fiscale del 1992, il Sud è sta-to parzialmente compensato da flussi di spesapubblica corrente, che ne hanno sostenuto i red-diti ma non promosso lo sviluppo.

Che conseguenze hanno queste forti disparitàregionali per lo sviluppo dell’Italia? Certamentene limitano il potenziale di crescita. Le regioni delSud dispongono di un patrimonio di risorse, in-nanzitutto umane, ma anche ambientali e cultu-rali, poco o male utilizzate. Il mancato utilizzo diqueste risorse limita il tasso di crescita dell’eco-nomia. Con una maggiore occupazione al Sud,non solo il reddito nazionale, ma anche il gettitofiscale e contributivo sarebbe ben maggiori. Maper ottenerlo è indispensabile uno sviluppo assaipiù ampio dell’impresa privata; e perché questosi possa realizzare occorre aumentare la conve-nienza del ‘fare impresa’ al Sud. La forte dispari-tà crea anche importanti flussi economici internial paese. La minore offerta al Sud fa sì ¬ da sem-pre ¬ che una quota rilevante dei suoi consumisia destinata a beni e servizi ‘importati’ dal Cen-tro-Nord, sostenendone l’economia. Al tempostesso, l’azione pubblica svolge una simmetricaazione redistributiva. Dato che, a norma di Co-stituzione, la tassazione è progressiva e la spesanazionale per servizi pubblici tendenzialmenteproporzionale alla popolazione, il bilancio pub-blico sposta implicitamente ¬ come ovunque nelmondo ¬ una parte del gettito fiscale dei cittadi-ni più ricchi delle regioni più ricche verso i citta-dini meno ricchi delle regioni meno ricche. Ciònegli ultimi anni ha suscitato accese discussionipolitiche: ma è il naturale portato di un paese uni-tario con forti disparità di reddito interne. Questiflussi potranno essere ridotti solo attraverso unforte sviluppo del sistema delle imprese al Sud, ela conseguente crescita dell’occupazione.

L’economia italiana fra Nord e Suddi Gianfranco Viesti

ISTRUZIONE E BENESSERESOCIALE

SCOLARIZZAZIONE 99%

NUMERO DI LAUREATI231.082 (2008)

STUDENTI UNIVERSITARI ALL’ESTERO35.500

STUDENTI UNIVERSITARI STRANIERI60.448

SPESA PER L’ISTRUZIONE/PIL 4,3% (2007)

INDICE DELLA DISUGUAGLIANZA DI GENERE (0-1)0,251 (9° su 169)

INDICE DI SVILUPPO UMANO (0-1)0,854 (23° su 169)

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Italia

281

SANITÀ

MORTALITÀ INFANTILE4 su 1.000 nati

MEDICI 3,7 su 1.000 abitanti

LETTI D’OSPEDALE 3,9 su 1.000 abitanti

INCIDENZA HIV0,4%

SPESA SANITARIA/PIL8,7%

Le mafie sul territorio italiano

munità straniera più cospicua era quella ru-mena, seguita da quella albanese (466.000),marocchina (431.000), cinese (188.000), ucrai-na (174.000), filippina (129.000) e indiana(105.000). La maggior parte della popolazio-ne straniera (87,5%) risiede nelle regioni cen-tro-settentrionali, in particolare in Emilia Ro-magna, Lombardia e Umbria. L’incrementodei residenti non italiani ha generato nel-l’opinione pubblica la percezione di una mag-giore insicurezza. Effettivamente, i dati rela-tivi alla criminalità confermano almeno inparte la correlazione tra immigrazione e cre-scita del numero dei reati commessi, nono-stante un significativo calo relativo agli omi-cidi. In particolare, la quota di detenuti non

italiani cresce anno dopo anno in modo piùche proporzionale rispetto alla crescita dellapopolazione immigrata.

La popolazione italiana si differenzia dal-la maggior parte degli altri paesi europei peruna disparità consistente nella dinamica deiredditi e una distribuzione territoriale diso-mogenea. In base alle rilevazioni Istat, il40% delle famiglie vive in condizioni di re-lativa agiatezza; il 35% non rileva problemieconomici, ma non riesce a risparmiare ostenta a sostenere le spese per il mutuo del-la casa; il 10% risulta potenzialmente vulne-rabile; il 5% affronta difficoltà nell’affronta-re le spese quotidiane e il 6,3% si trova incondizioni di deprivazione. In termini com-

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parativi, l’Italia è inoltre uno dei paesi eu-ropei in cui la proporzione di situazioni abasso reddito relativo è più elevata: il 20%delle famiglie dispone di un reddito inferio-re del 60% rispetto al valore mediano. Taledisparità si riflette su base territoriale nelledifferenze tra regioni del nord e del mez-zogiorno: mentre in Emilia Romagna, Lom-bardia, Veneto, Piemonte e Toscana il reddi-to medio familiare è superiore del 10-15%rispetto alla media nazionale, in Calabria, Si-cilia, Basilicata, Campania, Molise e Pugliaquesto risulta inferiore del 20-30%. Infine, laproporzione di famiglie a basso reddito, che alivello nazionale è pari al 18%, sale fino al 36%in Campania e Calabria e al 41% in Sicilia.

Per far fronte all’elevata incidenza delle si-tuazioni a basso reddito, l’Italia adotta poli-tiche distributive e redistributive in misuraanaloga agli altri membri dell’Eu. Rispettoagli omologhi, tuttavia, l’efficienza dei tra-sferimenti risulta minore: misurando il rap-porto tra percentuale del prodotto internolordo (pil) destinata alla spesa sociale (pen-sioni escluse) e riduzione della popolazionecon redditi insufficienti si osserva in Italiaun risultato pari al 17%, tra i peggiori in Eu-ropa insieme a Grecia e Spagna (per conver-so, a parità di spesa pubblica, i paesi scandi-navi raggiungono un risultato prossimo al70%). Il welfare italiano garantisce comun-que una varietà di servizi, che pongono il pae-

se nella media dei paesi più avanzati. Perquanto concerne ad esempio il servizio sani-tario nazionale, la densità di personale me-dico in rapporto alla popolazione (3,7 medi-ci e 6,8 infermieri ogni 1000 abitanti) e lapercentuale della spesa complessiva rispettoal pil (8,7%) si pongono di poco al di sopradella media europea.

Infine, occorre segnale un male endemicoche grava sulla società italiana: l’Italia è infat-ti terreno di incontro tra una serie di orga-nizzazioni criminali di stampo mafioso, lacui portata trascende i confini nazionali. Oltrealle forme autoctone quali la camorra, la ‘ndran-gheta, cosa nostra e la sacra corona unita, si so-no insediate ormai da anni forme analoghe diassociazione a delinquere di origine russa, ci-nese, albanese e nigeriana. Insieme, queste or-ganizzazioni svolgono una serie di attività il-lecite altamente remunerative, dal traffico diarmi al racket della prostituzione, fino allo spac-cio di stupefacenti.

Economia

Con un pil pari a 2113 miliardi di dollari nel2009, l’economia italiana risulta settima su sca-la mondiale e quarta in Europa. Nello stessoanno il pil pro capite ammontava a quasi30.000 dollari a parità di potere d’acquisto. L’at-tuale condizione è il risultato dell’eccezionalecrescita sperimentata in seguito al secondo do-poguerra, quando il paese passò da uno statodi semi-arretratezza e un’economia basata prin-cipalmente sull’agricoltura a un’economia in-dustrializzata e con un terziario avanzato.

Ad oggi, il peso dell’agricoltura sul pil è pa-ri soltanto al 2%. Inoltre, nonostante una nettadiminuzione nel primo decennio del secolo, laproduzione è frammentata in una miriade diaziende (perlopiù a conduzione familiare) di di-mensioni ridotte. Questo comporta, rispetto adaltri paesi europei, una minore redditività e unaserie di disfunzioni. Tra le piccole imprese, unapercentuale crescente (circa il 6% del totale)svolge attività collaterali alla produzione agri-cola, come l’agriturismo e la lavorazione di pro-dotti agricoli. Nel 2008, dopo tre anni di fles-sione, il settore ha registrato una crescita parial 2,4% e un incremento delle esportazioni del4,4%. Ciononostante l’occupazione è calata ri-spetto all’anno precedente del 3,1%, portandola quota degli occupati nel settore al 4% dellaforza lavoro complessiva.

Per quanto concerne il settore secondario, l’in-dustria rappresenta il 21, 6% del pil e dà lavoroa quasi cinque milioni di persone (cui si som-mano circa due milioni di lavoratori nel com-parto dell’edilizia). La composizione del settorecomprende più di un milione di aziende, di cuiil 95% è costituito da piccole e medie imprese,localizzate principalmente nelle regioni del nord.Dopo una relativa crescita nel 2006 e nel 2007,la crisi del 2008-09 ha comportato una contra-zione significativa, pari al 10,4% in due anni, digran lunga superiore alla media europea. A que-sta ha fatto seguito una riduzione nell’occupa-

Italia

282

0 10 20 30 40 50

India

Cina

Brasile

Messico

Russia

Corea del Sud

Italia

Giappone

Spagna

Francia

Germania

Regno Unito

Canada

Australia

Stati Uniti 46436

39231

37946

36496

36449

33655

32545

32443

31909

27168

18945

14337

10427

6838

3275

Un elevato benessere economicoIl PIL pro capite nelle 15 maggiori economie al mondo(2009)

Dati: WB (valori espressi in dollari USA correnti)

DATI MACROECONOMICI

PIL 2.113 miliardi di $

PIL PRO CAPITE PPA31.909 $

COMPOSIZIONE DEL PILPrimario 2%Secondario 27%Terziario 71%

INDICE DI POVERTÀ UMANA-229,8% (25° su 25 paesi OECD)

POPOLAZIONE ATTIVA25.211.836

DISOCCUPAZIONE7%

ADDETTI AI SETTORI DI ATTIVITÀPrimario 4%Secondario 30%Terziario 66%

RISERVE DI VALUTA STRANIERA E POSSESSO TITOLI DI STATO DI ALTRI PAESI 131,5 miliardi di $

RAPPORTO DEBITO/PIL115%

INDICE DI COMPETITIVITÀ GLOBALE (1-7)4,37 (48° su 139)

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zione proporzionalmente inferiore, pari al 3,5%(molte imprese sono infatti riuscite a contenereil numero dei licenziamenti facendo ricorso allacassa integrazione). L’Italia sembra essere usci-ta dalla fase recessiva dalla fine del 2009, ma lacrescita che ne è seguita resta molto debole.

Passando infine al settore terziario, esso ge-nera circa il 70% del pil occupando il 67% del-la forza lavoro. Rientrano in questa categoriale imprese commerciali, quelle turistiche e diservizi alle persone e alle imprese. Secondo lerilevazioni Istat, anche il terziario ha subitouna battuta d’arresto in seguito alla crisi: sep-pur limitata allo K0,3%, la contrazione del set-tore in Italia risulta in controtendenza rispet-to alla media europea, che ancora nel 2008registrava un +1,5%.

Per quanto concerne i flussi commerciali conl’estero, i principali partner commerciali sonogli stati europei e, in misura inferiore, gli StatiUniti. Nel 2009 il valore delle esportazioni haraggiunto la cifra di 405 miliardi di dollari, se-gnando un calo del 17,3% rispetto al 2007. Al-

Italia

283

zione proporzionalmente inferiore, pari al 3,5%

La crisi è cominciata nel 2007 sul mercato del cre-dito ipotecario statunitense, e si è allargata nel mon-do con un’accelerazione nell’autunno del 2008, do-po il fallimento di una grande banca internazionale.L’Europa è stata molto coinvolta nella crisi, che si èpropagata per la caduta della fiducia nei pagamentiinternazionali e nei rapporti interbancari. L’aumen-to dell’avversione al rischio ha bloccato il creditoalle imprese facendo crollare la produzione, l’occu-pazione e, soprattutto, il commercio internaziona-le, che per sua natura richiede molto credito.

La caduta delle esportazioni è stata la principa-le cinghia di trasmissione della crisi all’Italia, il cuisviluppo conta molto sul commercio internaziona-le. L’attività economica è precipitata nel 2009 estenta ancora a riprendere. Da questo punto di vi-sta, l’Italia ha sofferto della crisi anche più di altreeconomie europee. Hanno pesato anche le diffi-coltà strutturali che da anni rendono la crescita ita-liana lenta e fragile.

L’Italia ha invece limitato l’impatto diretto dellacrisi tramite le banche, che si sono mostrate più li-quide e solvibili che altrove in Europa. Il merito è diun sistema bancario prudente, che negli ultimi lu-stri si è ben riorganizzato, e di una vigilanza che laBanca d’Italia ha saputo mantenere severa e pro-attiva. Poiché non è stato lo stesso in altri paesi del-l’EU, l’Italia è particolarmente interessata al suc-cesso della riforma della vigilanza finanziaria europeaavviata nel 2011, che mira a rendere rigorosi e uni-formi i comportamenti delle vigilanze nazionali e amettere in comune le informazioni sui rischi pre-senti nei singoli stati membri.

Le peculiarità dell’Italia nella crisi si sono accen-tuate quando, nel 2010, è scoppiato ¬ col caso gre-co ¬ il problema dei ‘debiti sovrani’, cioè i debiti deigoverni, i titoli di stato che essi collocano presso gliinvestitori privati nazionali e internazionali. È unproblema globale, non certo confinato nell’area del-

l’euro. Ma in questa assume un profilo speciale, per-ché i paesi dell’area non hanno la possibilità di farstampare a una propria banca centrale la monetanecessaria a rimborsare i titoli in scadenza, anchea costo di creare inflazione. La moneta è creata dal-la Banca centrale europea, indipendente e sovra-nazionale. Il rischio teorico di insolvenza di un go-verno che non può creare moneta è maggiore.

Il problema dei debiti sovrani è una conseguenzadella crisi finanziaria che, facendo cadere l’attivitàeconomica, ha ridotto i ricavi fiscali e aumentato lespese pubbliche, dirette a sostenere imprese, ban-che e famiglie in difficoltà. Sono quindi aumentati ideficit pubblici, accumulati in stock di debiti crescentiche i mercati assorbono solo a tassi di interesse sem-pre più elevati, comprendenti un ‘premio’ per il ri-schio di insolvenza del paese. Questi tassi, che com-plicano la sopportabilità dei debiti, possono veniresasperati da violenti attacchi speculativi.

Avendo l’Italia, da decenni, uno dei debiti pub-blici più elevati in rapporto al PIL, non è certo estra-nea alle tensioni dei debiti sovrani nell’area dell’euro.Ma ci sono almeno due ragioni che, nel 2010, lehanno permesso di non risultare in prima fila fra ipaesi in pericolo. Intanto è riuscita a controllare l’au-mento del deficit pubblico durante la crisi, anche li-mitando gli aiuti agli operatori in difficoltà. In se-condo luogo, l’abbondanza del risparmio e dellaricchezza del settore privato e il suo grado di inde-bitamento minore che in altri paesi hanno consen-tito di far fronte al debito del settore pubblico sen-za ricorrere troppo a debiti con l’estero, che rendonopiù drammatico il problema dei debiti sovrani.

L’Italia è però interessata al successo dei modicon cui il problema è affrontato dall’EU, anche ri-correndo a meccanismi di solidarietà, dove i paesifinanziariamente più forti ‘aiutano’ quelli più in cri-si, e avanzando forse qualche passo verso la co-struzione di una finanza pubblica comunitaria.

L’economia italiana di fronte alla crisidi Franco Bruni

INVESTIMENTI E COMMERCIO

IMPORTAZIONI410,3 miliardi di $

MAGGIORI PARTNER IMPORTAZIONIGermania 16,7%, Francia 8,8%,Cina 6,5%, Paesi Bassi 5,6%,Spagna 4,3%

ESPORTAZIONI404,7 miliardi di $

MAGGIORI PARTNER ESPORTAZIONIGermania 12,5%, Francia 11,5%,USA 5,9%, Spagna 5,6%,Regno Unito 5,1%

ESPORTAZIONI PRODOTTI DI ALTA TECNOLOGIA 29,8 miliardi di $ (7% sul totale dei manufattiesportati)

IDE IN ENTRATA28.918 milioni di $

IDE IN USCITA33.891 milioni di $

RIMESSE IN ENTRATA3.139 milioni di $

RIMESSE IN USCITA12.716 milioni di $

AIUTI IN USCITA3.313 milioni di $

DOING BUSINESS 80° su 183

INDICE DI LIBERTÀ ECONOMICA (0-100)62,7 (74° su 179)

SPESA PER RICERCA E SVILUPPO/PIL1,1% (2006)

INFRASTRUTTURE

STRADE (2005)487.700 km

FERROVIE16.668 km

TRAFFICO AEROPORTUALE 31 milioni di passeggeri/anno

TRAFFICO MERCI PORTUALE 10,5 milioni di teu/anno

1000

1600

2200

2800

3400

4000

Spagna

Italia Francia

Regno Unito

Germania

20102009200820072006

Una crescita che stenta a ripartireConfronto tra l’andamento del PILnei maggiori paesi europei (2006-2010)

Dati: European Commission (valori espressi in miliardi di Euro)

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Page 24: Atlante Geopolitico

lo stesso modo, le importazioni sono calate del18,7%, per un valore assoluto di circa 410 mi-liardi di euro. La bilancia commerciale registracosì un deficit di 5,6 miliardi di euro. Questovalore è ampiamente inficiato dall’incrementonei prezzi delle materie prime, la cui incidenzasulle importazioni è passata in un anno dal 15,7%al 19,4%. Al netto dei prodotti energetici il sal-do import-export risulta in attivo.

A più di due anni dall’inizio della crisi, di-versamente dai vicini dell’Europa settentriona-le, l’economia italiana porta ancora i segni del-la recessione del 2008-09. Nel 2010, secondole stime dell’Oecd il tasso di crescita si è atte-stato a un mero 1% e secondo l’Istat la disoc-cupazione è salita allo 8,4%. Particolarmenteelevato è il tasso di disoccupazione tra i giova-ni, che alla fine dell’anno aveva raggiunto la ci-fra record del 28,9%. La principale sfida del go-verno consiste quindi nel ridurre il debito e ildisavanzo pubblico con misure restrittive, sen-za minare la fragile ripresa economica. Finora,per quanto il governo abbia gestito le finanzepubbliche con cautela e rigore, poco è stato fat-to per migliorare le prospettive di crescita nelmedio e lungo periodo, poiché permangono vin-coli strutturali alla produttività del paese, comead esempio un mercato del lavoro relativamen-te meno flessibile rispetto ai partner commer-ciali, una scarsa concorrenza nei servizi noncommerciabili, un’eccessiva frammentazionedella produzione in piccole e medie imprese eun’elevata pressione fiscale.

Per far fronte alle componenti di lungo pe-riodo della debole ripresa il governo ha discussouna serie di riforme per la liberalizzazione delmercato del lavoro e dei servizi, da includereeventualmente nel pacchetto di austerity delmaggio 2010. Tuttavia, trattandosi di misurealtamente impopolari, il governo ha preferitoescluderle dall’agenda politica e concentrarsisulle leve fiscali. Come gli altri paesi dell’areaeuro, anche l’Italia si è ripromessa di adottarepolitiche restrittive nel biennio 2011-12. Pergarantire la stabilità e prevenire eventuali at-tacchi speculativi è infatti necessario ridurre ildisavanzo pubblico, che nel 2009 e nel 2010ha superato il 5% del pil, e limitare il debitopubblico, che nello stesso periodo è passato dal115% al 118% rispetto al pil. Per stimolare lacrescita economica sarà tuttavia opportuno af-fiancare la politica macroeconomica a misuredi sostegno delle imprese italiane verso i mer-cati che sono stati meno toccati dalla crisi (inparticolare in Estremo Oriente). Nonostantel’economia italiana prima della crisi abbia te-stimoniato un maggior grado di internaziona-lizzazione, l’import-export si concentra sullearee geograficamente più prossime.

Energia e ambiente

Il consumo interno lordo di energia in Italiaammontava nel 2010 a oltre 176 milioni di ton-nellate equivalente di petrolio (mtep). Nono-stante una lieve flessione nell’ultimo biennio,questo valore conferma una tendenza positiva,che negli ultimi venti anni ha visto aumentareil fabbisogno energetico di quasi il 20%. Il set-tore che registra il consumo più elevato è quel-lo civile (34,9%), seguito dai trasporti (32%),quindi dall’industria (22,5%) e in misura mar-ginale dall’agricoltura (2,5%). Rispetto ai con-sumi di fonti energetiche primarie, il mixenergetico nazionale registra una netta pre-ponderanza di utilizzo di petrolio e gas. Con-

Italia

284

¬12 ¬10 ¬8 ¬6 ¬4 ¬2 0 2

RegnoUnito

Spagna GermaniaFranciaItalia

200

720

08

200

920

10

¬1,5

¬2,7 0,2

1,9 ¬2,8

¬2,7

¬3,3

0 ¬4,1

¬4,9

¬5,3 ¬7,5

¬3,3

¬11,2 ¬11,5

¬5,3 ¬8,0

¬5,0

¬9,8 ¬12

Il debito pubblico torna a crescereConfronto del rapporto deficit/PIL nei maggiori paesieuropei (2007-2010)

3

6

9

12

15

18

21

Regno Unito Spagna Germania FranciaItalia

Q32010

Q22010

Q12010

Q42009

Q32009

Q22009

Q12009

Q42008

Q32008

Q22008

Q12008

Q42007

Q32007

Q22007

Q12007

L’impatto della crisi sull’occupazioneConfronto tra i tassi di disoccupazione nei maggiori paesi europei (2007-2010)

Dati: EC (valori espressi in percentuale)

Dati: EC (valori espressi in percentuale)

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frontato con gli altri paesi industrializzati, que-sto mix energetico risulta sbilanciato: rispettoalla media Oecd, la dipendenza dal petrolio èdi diversi punti superiore, mentre l’utilizzo delcarbone e dei combustibili solidi.

L’Italia è un grande importatore di energia:secondo i dati del Ministero dello sviluppo eco-nomico, nel 2009 le importazioni al netto del-le esportazioni rappresentavano l’81% del-l’energia complessivamente consumata nelpaese. Particolarmente rilevante è l’ammonta-re di petrolio e gas importati, pari rispettiva-mente a 94.292 e 56.716 milioni di tonnellateequivalenti di petrolio (mtep), ovvero l’86,4%delle importazioni complessive. L’elevata di-pendenza dall’estero, in particolare da sta-ti che adottano una politica energetica aggres-siva (come la Federazione Russa), contribuiscea minare la sicurezza energetica dell’Italia. Aquesto si aggiungono altri due fattori di criti-cità: la considerevole quota di energia consu-mata dal trasporto su strada, specialmente perquanto concerne il petrolio (39.934 mtep, pa-ri al 54,4% dell’ammontare complessivo di que-sta risorsa), e l’impiego massiccio di gas natu-rale per la generazione di energia elettrica(23.769 mtep, ovvero il 42,9% dell’energia elet-trica complessivamente prodotta).

La necessità di diversificare l’approvvigio-namento delle fonti e riequilibrare il mix ener-getico nazionale ha portato alla redazione, nel2009, della Strategia energetica nazionale. Ol-tre a fornire una visione strategica di lungo pe-riodo, il documento indica una serie di obiet-tivi finalizzati a garantire la sicurezza energetica,tra cui: 1) la diversificazione delle aree di ap-

provvigionamento; 2) l’incremento dell’effi-cienza energetica tramite la razionalizzazionedei consumi; 3) la promozione dell’energia rin-novabile; 4) lo sviluppo della ricerca e la co-struzione di centrali nucleari. Quest’ultimopunto è stato definitivamente accantonato a se-guito del referendum popolare del giugno 2011,in cui la popolazione ha espresso la volontà diannullare tale norma e abbandonare i proget-ti di sviluppo nucleare. Sul fronte internazio-nale, la ricerca della sicurezza energetica si èriflessa sul rinnovato attivismo delle compa-gnie italiane, in particolare l’Eni, nella ricer-ca di nuovi fornitori.

Oltre alla sicurezza dell’approvvigiona-mento, le politiche energetiche del governosono finalizzate all’abbattimento delle emis-sioni nocive per l’ambiente. Rispetto ai datidei primi anni Ottanta, con la sola eccezionerelativa al metano e all’anidride carbonica, siregistra una sostanziale riduzione in diversesostanze inquinanti, quali gli ossidi di zolfo(K90%), gli ossidi di azoto (K30%), il monos-sido di carbonio (K50%) e i composti organicivolatili non metanici. L’anidride carbonica,principale responsabile dell’effetto serra, di-pende principalmente dalle centrali di produ-zione elettrica (33%), dai trasporti su strada(25%), dall’attività industriale (16%) e dal ri-scaldamento domestico (15%).

Per quanto concerne la lotta all’inquina-mento, l’Italia ha sottoscritto sia la Conven-zione quadro delle nazioni Unite sui cambiamenticlimatici (Unfccc) del 1992 sia il Protocollo diKyoto del 1997. In base agli obblighi assuntiin questa sede, nel periodo 2008-12 il paese siè impegnato a ridurre i gas serra dell’6,5% inequivalente di anidride carbonica rispetto al1990. Tale valore è tuttavia lungi dall’essererealizzato, poiché (contrariamente alla tendenzacomune agli altri paesi europei), le emissionihanno registrato un trend positivo fino al 2005.

Italia

285

ENERGIA E AMBIENTE

EMISSIONE CO2

456.054 kt

EMISSIONE CO2 PRO CAPITE 7,7 t

IMPRONTA ECOLOGICA¬3,8 ha globali/ab.

AREE PROTETTE (SUL TERRITORIO TOTALE)12,2%

INDICE DI PERFORMANCE AMBIENTALE (0-100)73,1 (18° su 163)

PRODUZIONE DI ENERGIA 26.940 ktep

CONSUMO DI ENERGIA 176.032 ktep

ENERGIA PRODOTTA USANDO FONTI RINNOVABILI 50,5%

ENERGIA IMPORTATA SUL CONSUMO TOTALE81%

PARTNER ENERGETICI PER IMPORTAZIONIGas:Algeria 32,7%, Russia 30,0%,Libia 13,2%, Paesi Bassi 10,8%Petrolio:Libia 24,2%, Iran 15,6%,Russia 15,5%, Azerbaigian 12,9%

Rinnovabili10,9%

Idroelettrico 53,7%

Geotermico 5,8%

Petrolio47,3%

Gas 34,6%

Combustibilisolidi

7,2%

Eolico efotovoltaico 7,9%

Rifiuti 5,9%

Biomasse 26,4%

La rilevanza del gas e del petrolioMix energetico italiano (2009)

0

10

20

30

40

50

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80

90

Energia elettricaCarboneGasPetrolio

200

820

07

200

620

05

200

420

03

200

220

01

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019

99

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819

9719

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90

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919

88

1987

198

619

85

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419

83

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219

81

198

0

La dipendenza energetica del paeseLa dipendenza dalle diverse fonti di energia (1980-2008)

Dati: IEA

Dati: EIA (valori espressi in %)

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Solo a partire dal 2006 tale tendenza è stata in-vertita. Ciononostante, si stima che il paese ec-cederà il limite previsto del 12%. Per far fron-te a questo problema, nel 2009 il governo hapubblicato un Piano di azione per l’efficienzaenergetica, mirato a ricalibrare il proprio mixenergetico in favore di tecnologie per la pro-duzione di energia a basso tenore di carbonio.

Nonostante i valori non del tutto incorag-gianti della qualità dell’aria, secondo l’Envi-ronmental Performance Index (Epi), la classi-fica stilata annualmente dall’Università di Yale,l’Italia si posiziona al 18° posto su scala mon-diale. Questo risultato, in linea con la perfor-mance degli altri paesi Eu, è dovuto al fattoche, oltre alle emissioni inquinanti, l’indice Epi

valuta una ventina di indicatori aggiuntivi, tracui la vitalità dell’ecosistema e l’impatto del-l’ambiente sulla salute degli individui – vociin cui il paese registra risultati molto positivi.

Libertà e diritti

Secondo il rapporto Freedom in the World diFreedom House, l’Italia è un paese libero. Co-

me la maggior parte degli stati democratici eindustrializzati, il punteggio assegnato per i di-ritti politici è 1. Dal 2009, però, il valore attri-buito alle libertà civili è sceso da 1 a 2. Sinte-tizzando i termini della questione, il paese haottenuto il miglior punteggio possibile in rela-zione al pluralismo politico, alla possibilità dipartecipazione al processo elettorale e al fun-zionamento dell’apparato governativo. Non al-trettanto si può dire, secondo l’organizzazioneamericana, in relazione alle libertà civili, ovve-ro libertà di espressione e di culto; diritti di as-sociazione; rule of law; diritti individuali.

Per quanto concerne la libertà di parola e distampa, essa è garantita costituzionalmente.Esistono molti quotidiani e periodici, la mag-gior parte dei quali su base locale, mentre leprincipali testate giornalistiche sono legate agrandi gruppi editoriali o ai partiti. Rimanetuttavia eccezionale e controversa l’influenzadel primo ministro Berlusconi sui media na-zionali, sia all’interno della tv di stato, sia tra-mite Mediaset, il gruppo privato da lui fonda-to e controllato dalla sua famiglia. Con pocheeccezioni, negli ultimi due anni si è assistito auna polarizzazione della stampa attorno a due

Italia

286

PARTECIPAZIONE E LIBERTÀ

POLITICAL RIGHTS SCORE (1-7)1, libero

CIVIL LIBERTIES SCORE (1-7)2, libero

VOTANTI ALLE ULTIME ELEZIONI elezioni politiche 2008: 80,5%

INDICE DI CORRUZIONE PERCEPITA (0-10)3,9 (67° su 178)

LIBERTÀ DI STAMPA (0-100)33, parzialmente libero

DETENUTI 92 su 100.000 abitanti

Solo a partire dal 2006 tale tendenza è stata in- me la maggior parte degli stati democratici e

OCEANO ATLANTICO

La geopolitica degli approvvigionamenti energetici (2010)

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Page 27: Atlante Geopolitico

posizioni estreme: alcune testate hanno assuntouna posizione di critica serrata all’operato e al-la vita privata del premier; altre si sono pale-semente schierate in difesa del Presidente delConsiglio. I rapporti tra governo e media so-no diventati particolarmente tesi nell’estate del2009, quando il giornale cattolico L’Avvenireha criticato apertamente la condotta morale delpremier nella vita privata. In tutta risposta, ilquotidiano il Giornale, di proprietà della fa-miglia Berlusconi, ha dato avvio a una cam-pagna volta a screditare il direttore dell’Av-venire, il quale alla fine è stato costretto alledimissioni. Nello stesso periodo, il gruppol’Espresso citò il premier per diffamazione, do-po che quest’ultimo aveva definito il quoti-diano La Repubblica sovversivo e aveva inci-tato gli sponsor al boicottaggio.

Ancora nel 2009, ha sollevato un intenso di-battito la proposta di legge volta a vietare lapubblicazione delle intercettazioni ambienta-li senza permesso del giudice. Dopo quasi unanno di polemiche, a giugno del 2010 la Ca-mera ha ratificato un emendamento che con-sente la pubblicazione di quelle intercettazio-ni che siano ritenute rilevanti dalla cosiddettaudienza filtro, oppure quelle utilizzate dal pub-blico ministero per motivare ordinanze caute-lari o decreti di perquisizione.

Passando alla libertà di religione, anch’essa ègarantita dalla costituzione. Sebbene la con-fessione cattolica sia dominante e la Chiesa cat-tolica goda di benefici particolari, non esisteuna religione ufficiale di stato. Il governo hafirmato accordi con diversi gruppi religiosi, aiquali fornisce aiuti in misura proporzionale al-la loro diffusione; rispetto ad altri paesi, man-ca però una legge generale sulla libertà di reli-gione. Inoltre, data l’influenza (non solo morale)del Vaticano nella vita pubblica del paese, al-

cune voci critiche si sono levate per affermareuna più netta e sostanziale separazione tra sta-to e chiesa. Questo tema non sembra però in-contrare il favore dell’opinione pubblica: ne èun esempio la reazione sostanzialmente nega-tiva a una sentenza della Corte europea dei di-ritti dell’uomo, che nel novembre del 2009 si èpronunciata contro l’esposizione dei crocifissinelle aule scolastiche.

Anche la libertà di associazione e il dirittodi sciopero sono garantiti dalla costituzione.Circa il 35% della forza lavoro è iscritta a unsindacato.

Per quanto concerne la rule of law, il sistemagiudiziario è imparziale e indipendente, ma sof-fre per la cronica lentezza dei processi. Esiste

Italia

287

30%

40%

50%

60%

70%

80%

90%

100%

Tasso di occupazione donne in coppia con figliTasso di occupazione donne in coppia senza figliTasso di occupazione donne nubili

Media nazionaleIsoleSudCentroNord-EstNord-Ovest

90

,4

90

81,7

55,8

68

,5

81

74,1

52,9

50,7

51,4

59,7

76

,6

69,1

81,1

66

,1 8

1,9

31,8

35

Una parità ancora lontanaTasso di occupazione femminile in rapporto alla condizione familiare (2009)

Dati: Conferenza nazionale della famiglia

La corruzione percepita, in Italia e nel mondo

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Page 28: Atlante Geopolitico

una tensione latente, che spesso emerge nel di-battito politico, tra la magistratura e il Pdl, inlarga misura per i numerosi processi giudizia-ri a carico di Silvio Berlusconi. La tortura è il-legale, ma alcune organizzazioni per i dirittiumani hanno accusato le forze dell’ordine diaver ecceduto in alcune circostanze nell’uso del-la forza, in particolare contro immigrati clan-destini. A partire dal 2009, le misure adottateall’interno del cosiddetto ‘pacchetto sicurezza’hanno introdotto una nuova fattispecie di rea-to, l’immigrazione clandestina. Per gli stranie-ri che entrano nel paese o si trattengono sulsuolo nazionale in violazione delle norme sul-l’immigrazione è prevista non solo l’espulsio-ne, ma anche la detenzione fino a sei mesi. Inol-tre, agli immigrati sprovvisti di permesso disoggiorno sono stati negati alcuni diritti di ba-se (come ad esempio quello di sposarsi).

La parità di genere è almeno formalmen-te garantita: l’indennità di maternità corri-sponde solitamente a cinque mesi di astensio-ne dal lavoro a stipendio pieno. Anche leopportunità di accesso all’istruzione e di in-gresso nel mondo del lavoro collocano il pae-se ai primi posti tra i paesi industrializzati. Cio-nonostante, il tasso di disoccupazione tra lemadri è significativamente più elevato rispet-to alle donne senza figli e ancor più rispetto al-le single: quasi il 20% delle donne lascia o per-de il lavoro alla nascita del primo figlio. Rimaneinoltre una notevole disparità di trattamento aparità di impiego rispetto agli uomini. Infine,la presenza femminile all’interno delle istitu-zioni politiche rimane limitata: alle ultime ele-zioni parlamentari, le donne costituivano soloil 21% dei deputati.

Un ultimo aspetto rilevante riguarda la cor-ruzione, un problema costante nella politicaitaliana, nonostante il colpo di spugna alla clas-se dirigente della Prima Repubblica portatodall’inchiesta ‘Mani pulite’, e indipendente-mente dal colore del governo in carica. Secondola classifica annuale stilata nel 2010 da Tran-sparency International, su 178 paesi l’Italia siclassifica al 67° posto. Tra gli stati Eu solo Gre-cia, Bulgaria e Romania hanno registrato ri-sultati peggiori.

Difesa e sicurezza

Analogamente a quanto accade negli altri gran-di paesi europei, l’Italia dedica alla politica didifesa una quota relativamente limitata del bi-lancio statale. A titolo esemplificativo, nel 2008l’Agenzia europea di difesa rilevava come l’am-montare complessivo delle spese nel settoredella difesa fosse pari a 22.631 miliardi di eu-ro, corrispondenti all’1,44% del pil. Nono-stante tale dato sia stato soggetto a una cospi-cua volatilità nel corso degli ultimi venti anni,l’Italia conferma la tendenza comune nel Vec-chio Continente a privilegiare altri settori dispesa, principalmente quelli legati al welfare.Questa allocazione delle risorse riflette i be-nefici dell’appartenenza alla Nato e, più in ge-nerale, all’assenza di minacce dirette al terri-

torio nazionale. Infatti, da una parte l’allean-za con gli Stati Uniti ha storicamente garanti-to la presenza dell’esercito americano sul suo-lo italiano; dall’altra, con il collasso dell’UnioneSovietica è venuta meno l’unica minaccia allefrontiere nazionali.

Il fatto che sia svanita la principale minac-cia militare all’integrità del paese non ha tut-tavia eliminato il bisogno di una capacità didifesa, ma ha imposto al contrario una pro-fonda revisione strategica. Principalmente inseguito alla fine della Guerra fredda, e in par-ticolare come reazione alla lezione appresa du-rante la prima Guerra del Golfo (1990-91), leForze armate italiane hanno avviato un si-gnificativo processo di riforma, che finora siè sostanziato nella sospensione a tempo inde-terminato della leva di massa. Il passaggio daun esercito di coscritti a uno di volontari hacomportato una cospicua contrazione nel nu-mero delle forze, che rispetto alla metà deglianni Novanta si sono più che dimezzate, e adun miglioramento qualitativo a livello di ad-destramento ed equipaggiamenti. Rimango-no tuttavia alcuni limiti, come testimoniatodall’ingente porzione di risorse destinate alpersonale (63%) e, per converso, dalla tra-scurabile quota riservata alla ricerca e svi-luppo (3,7%).

Parallelamente a questa tendenza, si è assi-stito a un accresciuto impegno in missioni in-ternazionali: se negli anni Ottanta l’Italia par-tecipava in media a non più di dieci missioniall’anno, negli ultimi anni questo dato è tri-plicato: alla fine del 2010 il paese era impe-gnato con circa 8600 soldati in 33 missioni in-ternazionali sparse in 21 paesi. Tra queste, lepiù importanti sono quelle in Afghanistan(Isaf), Kosovo (Kfor), Libano (Unifil II) eBosnia (Althea), il cui onere finanziario com-plessivo su base annuale si attesta attorno a 1,4miliardi di euro. A questi impegni si è ag-giunto nel 2011 quello relativo alle operazionidi ‘no-fly zone’ della Nato in Libia. La pre-senza italiana in questi contingenti multina-zionali è assai rilevante, poiché il paese costi-tuisce il principale contribuente in Libano (dovericopre anche la responsabilità per il comandomilitare), il secondo in Kosovo e il sesto in Af-ghanistan. In relazione alle Nazioni Unite, l’Ita-lia figura al nono posto in termini di persona-le impegnato in missioni di peacekeeping.

La ragione dell’attivismo italiano – e conse-guentemente della peculiare disponibilità adaccollarsi costi superiori alle proprie possibi-lità – sembra dipendere più da valutazioni po-litiche che non da considerazioni di sicurezza:il vantaggio principale in termini di interessenazionale consiste infatti nell’incrementare lavisibilità e il peso dell’Italia all’interno delleistituzioni internazionali. Sul fronte interno,nonostante la tradizionale polarizzazione deipartiti in Parlamento, la decisione di impe-gnarsi in missioni all’estero (solitamente edul-corate dall’eufemismo ‘missioni di pace’) rac-coglie solitamente un consenso bipartisan. Cosìè stato, seppur non senza polemiche e forma-lismi, anche per la partecipazione dell’Italia

Italia

288

NUMERI DELLA DIFESA

ETÀ E OBBLIGO DEL SERVIZIO MILITARE18-27 anni, volontario

PERSONALE IN SERVIZIO293.202

RISERVISTI41.867

IN SERVIZIO ATTIVO Terra 108.000Marina 34.000Aviazione 42.935Altri:Carabinieri 107.967, Paramilitari 142.933

IMPORTAZIONI DI ARMI (2002-09)2.539 milioni di $

MAGGIORI PARTNER COMMERCIALI PER IMPORTAZIONI DI ARMI(2002-09)USA 52,1%, Germania 30%,Regno Unito 12,3%

ESPORTAZIONI DI ARMI (2002-09)3.913 milioni di $

MAGGIORI PARTNER COMMERCIALI PER ESPORTAZIONI DI ARMI(2002-09)Perù 15,5%, Grecia 8,5%,Malaysia 5%, Pakistan 4,8%,Polonia 4,8%

SPESA MILITARE/PIL 1,7%

MISSIONI ALL’ESTERO (NUMERO DI EFFETTIVI)ISAF 2.795; UNIFIL 2.576; KFOR1.892; EUFOR 300; MFO 78

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alle operazioni in Libia. Ciò è giustificato dalfatto che la partecipazione italiana avvieneall’interno di contingenti multinazionali for-malmente legittimati dall’egida di istituzio-ni internazionali quali le Nazioni Unite, laNato e l’Unione Europea.

Queste missioni si caratterizzano per una bas-sa intensità di violenza: con l’eccezione del tea-tro afghano, infatti, raramente i soldati italia-ni si trovano coinvolti in massicci scontri afuoco. Tra le funzioni principali che il contin-gente italiano deve svolgere figurano: 1) la ri-costruzione fisica, politica e infrastrutturaledella zona interessata; 2) l’addestramento del-le forze di polizia locali; 3) le operazioni mili-tari per garantire la sicurezza e la stabilità.

Mentre in Kosovo e in Bosnia la dimensio-ne della sicurezza è relativamente marginale,in quanto il processo di stabilizzazione dei duepaesi sembra ormai concluso, in Libano e inAfghanistan la situazione è ben diversa. Nelpaese dei cedri la missione Unifil II è riusci-ta a garantire per più di quattro anni una so-stanziale cessazione delle ostilità, ma il quadropolitico del paese e della regione rimangonoaltamente instabili.

Ancora più evidente, in Afghanistan la mis-sione Isaf risulta ben lungi dall’aver raggiun-to gli obiettivi preposti. Al contrario, nono-stante l’incremento delle truppe americane, apartire dal 2009 gli insorti hanno ampliato ilproprio raggio d’azione e incrementato la fre-quenza degli attacchi. Il contingente italiano èschierato nella zona occidentale del paese, checomprende le province di Herat, Badghis, Fa-rah e Ghor. Dal primo dispiegamento di uo-mini sul campo al dicembre del 2010, le forzeitaliane hanno registrato 34 caduti, di cui 24per attacchi a fuoco o imboscate con ordigniimprovvisati. Oltre alle funzioni di stabilizza-zione e di supporto alla ricostruzione, l’Italiaè impegnata in Afghanistan all’interno dellamissione dell’Unione Europea Eupol Afgha-nistan, il cui obiettivo è l’addestramento e ilrafforzamento delle istituzioni di polizia in tut-te le aree del paese.

Infine, oltre alla partecipazione attiva allemissioni internazionali, negli ultimi anni l’Ita-lia ha mostrato un rinnovato interesse per leiniziative lanciate in seno alla Politica europeadi sicurezza e difesa, volte a dotare l’Eu di for-ze proprie per la gestione delle crisi.

Italia

289

alle operazioni in Libia. Ciò è giustificato dal Ancora più evidente, in Afghanistan la mis-

Le missioni italiane all’estero (2010)

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Page 30: Atlante Geopolitico

L’Afghanistan è stato sin dall’Ottocento alcentro degli interessi geostrategici delle piùgrandi potenze del sistema internazionale,soprattutto a causa della sua posizione geo-grafica, nel cuore dell’Asia centrale. Alle per-sistenti influenze esterne, che in più occa-sioni hanno preso la forma dell’ingerenza edell’occupazione militare, si aggiunge l’estre-ma frammentazione etnica del paese. Que-sta ha compromesso le capacità del governocentrale di controllare l’intero territorio na-zionale e ha ostacolato la formazione di unapparato amministrativo omogeneo e fun-zionante.

Prima conteso tra Impero coloniale britan-nico e Impero russo, durante la Guerra fred-da l’Afghanistan è stato teatro di un inter-vento militare da parte sovietica, che hainnescato una prolungata guerra di resisten-za all’occupazione (1979-89). Il ritiro del-l’Unione Sovietica è coinciso con lo scoppiodi una guerra civile, conclusasi solo parzial-mente con l’avvento al potere dei talebani nel1996. Il regime dei talebani, guidato dal mul-lah Mohammed Omar e caratterizzato dal-l’imposizione di regole sociali fortemente re-pressive, derivate dalla rigida interpretazionedei testi sacri islamici, ha dovuto fronteggia-re la resistenza guidata dall’Alleanza del Norddi Ahmad Massoud, con epicentro nel nord-est del paese. A seguito degli attentati terrori-stici dell’11 settembre 2001, il regime è statorovesciato dal successivo intervento milita-re statunitense, con l’operazione Enduring

Freedom. La rete terroristica di al-Qaida,responsabile degli attentati, aveva infatti lasua base principale proprio in Afghanistan egodeva dell’appoggio e della protezione deitalebani.

Deposto il regime talebano, con l’Accordodi Bonn del 2001 la comunità internaziona-le ha avviato un processo di stabilizzazionedel paese, in direzione della promozione diistituzioni democratiche, della ricostruzioneinfrastrutturale ed economica e del manteni-mento delle condizioni di sicurezza necessa-rie alla normalizzazione. A partire dal 2004-05 le truppe internazionali hanno tuttaviadovuto affrontare un movimento insurrezio-nale sempre più organizzato e violento, ingran parte composto proprio dai talebani.Parte di questi, in seguito all’intervento mi-litare, si sono ritirati nelle zone tribali a mag-gioranza etnica pashtun del Pakistan, da do-ve hanno riorganizzato la resistenza al riparodalle forze di occupazione. Altri, concentra-ti nelle province meridionali dell’Afghani-stan, dove risiedono i luoghi storici di pro-venienza dei talebani (come Kandahar), nonhanno mai abbandonato il paese e hanno con-tinuato a contrastare la presenza internazio-nale. Le forze internazionali inquadrate nel-la missione International Security AssistanceForce (dal 2003 sotto comando Nato) sonoprogressivamente cresciute in numero e, dal2006, sono distribuite sull’intero territorionazionale. Nel dicembre 2010 le truppe con-tano più di 130.000 soldati, la maggior par-

290

Afghanistan

Kunduz

Herat

JalalabadNili

Feyzabad

SharanFarah

Kandahar

P

A

K

I

S

T

A

N

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I N D I A

T U R K M E N I S T A N

UZBEKISTANT A G I K I S T A N

S i s t a n

R e g i s t a n

Daryacheh-yeHamun

Wa k h a nKarakoram

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P a m i r

Kuh-e Baba

Pa r o p a m i s o

S a f i d K u h

Toba-Kakar Ranges

Chagai Hills

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L

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A

Tirich Mir

4182Kuh-e Qeysar2143

Milkuh

Koh-i-Maran

Takht-i-Sulaiman

Pre Ghal

Kuh-eMalek Siah

6726

QullaiKarl Marx

SamiGhar

Seyah BandKoh

2859

3092

5143

2560

2462

3374

3535

1643

3513

7690

3277

Daqq-ePatargan

Namakzar

Hamun-eSaberi

Chaghcharan In

do

Jhel

um

Chenab

Helmand

Farah Rud

Hari Rud

Sutlej

Har

i Rud

Farah Rud

Helman

d

Kunar

Panj

Panj

Kunduz

Khash Rud

Arghan

dab

Arghastan

Mazar-e Sharif

Kabul

320 km1600

SUPERFICIE652.230 km2

POPOLAZIONE28.150.000

DENSITÀ43,2 ab./km2

CAPITALEKabul (2.536.300 ab.)

LINGUE UFFICIALIDari e pashto

UNITÀ MONETARIAAfghani

CONFINITerrestri: 5.529 kmMarittimi: 0 km

MAGGIORI ORGANISMI INTERNAZIONALI DI APPARTENENZAFAO, IAEA, IBRD, ICAO, ICCT, ICSID,IDA, IFAD, IFC, ILO, IMF, INTERPOL,IOM, ITU, MIGA, OIC, OPCW,SAARC, UN, UNIDO, UNESCO,UNWTO, UPU, WHO, WIPO, WMO

POLITICA E ISTITUZIONI

SISTEMA POLITICORepubblica presidenziale

DIVISIONI AMMINISTRATIVE34 province

CAPO DI STATO E DI GOVERNOHamid Karzai, (dal dicembre 2004)

COMPOSIZIONE DEL LEGISLATIVOStruttura bicamerale

INDIPENDENZA1919, dal Regno Unito

SUFFRAGIOUniversale, dai 18 anni

DATA DELLE ULTIME ELEZIONIelezioni presidenziali: 20 agosto 2009

0290-0296 AFGHANISTAN.qxp:Layout 1 26-01-2012 12:19 Pagina 290

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te dei quali (circa 90.000) fornita dagli StatiUniti.

Dal punto di vista politico-istituzionale, se-condo la Costituzione approvata nel gennaio2004 l’Afghanistan è una repubblica presi-denziale: le prime elezioni dirette tenutesi nelpaese (ottobre 2004) hanno decretato la vitto-ria di Hamid Karzai, rieletto anche nel 2009nonostante le accuse di gravi brogli. Il par-lamento afghano è bicamerale e, per legge –a segnalare la discontinuità con il passato re-gime –, almeno un sesto dei suoi componen-ti deve essere di sesso femminile. A dieci annidall’inizio dell’intervento, tuttavia, l’appara-to statale del paese è ancora molto debole, ilgoverno di Kabul fatica a esercitare la sua azio-ne politica su tutto il territorio nazionale (inparticolare nelle province meridionali e orien-tali, a forte presenza talebana) e le condizio-ni di sicurezza rimangono precarie. Nel com-plesso permangono forti fratture tra il governocentrale e le potenti figure tribali locali, cuisi somma un grado di corruzione fra i più al-ti al mondo, che riguarda tanto il governocentrale quanto i livelli amministrativi piùbassi. Inoltre, la stessa sopravvivenza eco-

nomica del paese, sia sul piano delle attivitàproduttive sia su quello istituzionale, dipendedagli aiuti internazionali.

Sotto il profilo delle relazioni internaziona-li, il governo afghano esercita formalmente unapolitica estera autonoma, ma è ovviamente con-dizionato dalla presenza di truppe straniere sulsuo territorio. I rapporti con gli Stati Uniti ei loro alleati si sono lentamente deteriorati, conil presidente Karzai che ha spesso espresso ilsuo risentimento di fronte alle accuse di cor-ruzione mossegli da Washington. Sul frontedei rapporti regionali, invece, le relazioni conil Pakistan sono tese, sia perché quest’ultimoha appoggiato in passato il regime dei taleba-ni, sia perché è accusato di non aver adottatomisure adeguate a smantellare le centrali in-surrezionali presenti sul proprio territorio. Lerelazioni con l’Iran, infine, sono controverse:da una parte, diversi membri dell’attuale go-verno sono stati ospitati dalla Repubblica isla-mica durante il regime talebano; dall’altra nonè possibile trascurare che gli Stati Uniti, pri-ma forza di occupazione del paese, sono for-temente sfavorevoli a un riavvicinamento traKabul e Teheran.

Afghanistan

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te dei quali (circa 90.000) fornita dagli Stati nomica del se, sia sul piano delle attività

Nel biennio 2002-2003, successivo all’inter-vento militare guidato dagli Stati Uniti, il pro-cesso di stabilizzazione in Afghanistan appari-va in via di conclusione: il numero di attacchi deitalebani si era ridotto e il totale dei soldati per-si dalla coalizione era sceso dai 70 del 2002 ai58 del 2003. La transizione politica, già avviata,aveva prodotto un’assemblea costituente a ot-tobre 2002. La nuova Costituzione del paese fuadottata nel gennaio 2004 da una grande as-semblea (la ‘loya jirga’) di 502 membri. Tutta-via, il livello di corruzione della classe dirigentedel paese, le drammatiche condizioni socio-eco-nomiche e la politica di eradicazione dei papa-veri da oppio, da cui dipende la vita di una gros-sa parte dei contadini del sud, alienarono granparte della popolazione. Ciò accadeva propriomentre la riorganizzazione della resistenza nelsud e sud-est dell’Afghanistan e nelle provinceautonome del Pakistan spingeva i civili a riallac-ciare forti legami con i talebani.

Dalla primavera del 2005 ad oggi lo sviluppodi un movimento insurrezionale sempre più ra-dicato, che ha adottato la tattica degli attentatisuicidi per poi affiancarle progressivamente unvero e proprio movimento di resistenza armata,ha costretto la comunità internazionale a torna-re a quei compiti di stabilizzazione che credevaultimati. Allo stesso modo, a simboleggiare il fal-limento della transizione politica sta oggi la trat-tativa del governo legittimo con alcune frangedei talebani, avviata dal presidente Karzai dal2007, prima in segreto e poi in maniera semprepiù ufficiale.

Gli Stati Uniti e la loro coalizione, entrati in Af-ghanistan per rimuovere i talebani, instaurare unnuovo governo legittimo e ritirarsi, sono finiti per

restare nel paese un decennio, impegnando unnumero di truppe sempre maggiore che non è pe-rò riuscito a migliorare in maniera sensibile le con-dizioni di sicurezza di vaste aree del paese. Nel2009, al contrario, i talebani sono stati artefici diuna delle ondate insurrezionali più violente di sem-pre riuscendo nell’intento di riconquistare il con-trollo di alcune zone contese nel sud del paese.Alla controffensiva della NATO del 2010, concen-tratasi nella provincia di Helmand, i talebani han-no risposto ritirandosi in maniera ordinata e sca-tenando per la prima volta una serie di attacchisuicidi nel nord.

La decisione degli Stati Uniti e degli alleati del-la NATO di iniziare il ritiro dal 2011, non è fondatasu un reale miglioramento delle condizioni delpaese. Il processo di trasferimento della gestio-ne della sicurezza alle forze armate afgane, chedovrebbe avvenire entro il 2014, rimane proble-matico. Sul fronte dell’ordine interno, perma-ne l’inaffidabilità delle forze di polizia (AfghanNational Police). Queste si distinguono per un al-to livello di corruzione, un uso diffuso di stupefa-centi e una scarsa reputazione. La popolazione ci-vile continua, infatti, a percepire la polizia nazionalecome fonte di abusi piuttosto che come garan-te della sicurezza. Sul fronte della lotta contro italebani, l’esercito nazionale (Afghan NationalArmy) ¬ su cui la comunità internazionale ha in-vestito molto e ha ottenuto discreti risultati ¬ ri-mane segnato da alcuni limiti: un equipaggia-mento insufficiente, livelli di addestramentoinsoddisfacenti e divisioni etniche. Tali limiti com-promettono l’autonomia dell’esercito, incapacefinora di condurre campagne militari senza la par-tecipazione delle truppe internazionali, e rendo-no lo scenario successivo al ritiro molto incerto.

2001-11: la transizione infinita

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POPOLAZIONE

POPOLAZIONE URBANA24,4%

POPOLAZIONE RURALE75,6%

TASSO DI FECONDITÀ6,6 figli per donna

SPERANZA DI VITA ALLA NASCITA42 anni

ETÀ MEDIANA 16,8 anni

TASSO DI MIGRAZIONE7,5 su 1.000 abitanti

RIFUGIATI ALL’ESTERO2.887.123

Popolazione, società e diritti

La popolazione afghana è molto giovane (l’etàmediana è di soli 16,8 anni) e tre quarti degliabitanti del paese vivono in zone rurali. L’ur-banizzazione non ha subito notevoli variazio-ni nel corso dell’ultimo ventennio: l’Afghani-stan è infatti un paese dove le consuetudini ele usanze tribali sono ancora fortemente radi-cate e in cui prevale perciò la tendenza a noninurbarsi.

La composizione etnica del paese, inol-tre, è tra le più eterogenee del mondo. Con cir-ca 12 milioni di persone, i Pashtun costitui-scono l’etnia più diffusa nel paese, benché nonsuperino il 40% dell’intera popolazione. A con-ferma del peculiare legame tra Afghanistan ePakistan occorre poi ricordare che ben 28 mi-lioni di Pashtun risiedono proprio in que-st’ultimo paese, sebbene qui rappresentinosoltanto il 16% della popolazione. Dietro aiPashtun figurano i Tagiki (25% degli afghani)e i popoli turcofoni (Uzbeki e Turkmeni, 12%).Segue una lunga lista di minoranze, concen-trate in alcune zone del paese: gli Hazara, inmassima parte sciiti, popolano il centro del-l’Afghanistan e di essi esiste una consistentediaspora in Iran (1,5 milioni di persone); i Ba-luci invece abitano nel sud del paese, a caval-lo con il Pakistan, e sono portatori di forti istan-ze indipendentiste.

Decenni di conflitti hanno avuto evidenticonseguenze sui movimenti della popolazioneafghana. L’invasione del 2001 ha provocato lafuga di 7,5 milioni di persone, due terzi deiquali verso il Pakistan e un terzo verso l’Iran.Più di 5 milioni di afghani hanno poi fatto rien-

tro nel paese nei successivi nove anni: i re-pentini sbalzi demografici hanno messo sottopressione le infrastrutture afghane, già caren-ti e fortemente danneggiate dalla guerra. Tut-tavia, secondo dati Unhcr, nel 2010 oltre 1,7

100 120 140 160 180 200 220 240 260

Tanzania

Senegal

Sudan

Etiopia

Ruanda

Costa d'Avorio

Mauritania

Myanmar

Kenya

Mozambico

Camerun

Uganda

Zambia

Nigeria

Sierra Leone

Rep. Dem. Congo

Somalia

Ciad

Angola

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In Afghanistan più che in AfricaI paesi con il più alto tasso di mortalità infantile nel mondo (2010)

Dati: WHO (su 1.000 nati)

La composizione etnica afghana (stime 2004)

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