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IL FANUM VOLTUMNAE E I SANTUARI COMUNITARI DELL’ITALIA ANTICA Atti del XIX Convegno Internazionale di Studi sulla Storia e l’Archeologia dell’Etruria a cura di Giuseppe M. Della Fina estratto

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Una riflessione sul ruolo dei santuari nello sviluppo del commercio e della politica interna e internazionale nell'Etruria e nel Lazio antichi

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Il fanum voltumnae e I santuarI comunItarI dell’ItalIa antIca

atti del XIX convegno Internazionale di studi sulla storia e l’archeologia dell’etruria

a cura di Giuseppe m. della Fina

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IsBn 978-88-7140-493-6

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Finito di stampare nel mese di novembre 2012 presso Arti grafiche La Moderna - Roma

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a n n a l Id e l l a F o n d a z I o n e

p e r I l m u s e o « c l a u d I o F a I n a »

volume XIX

orvIetonella sede della FondazIone

edIzIonI Quasar2012

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“comitia utriusque populi longe diversa ratione facta sunt. romani au-xere tribunorum militum consulari potestate numerum; octo, quot nun-quam antea, creati, m’. aemilius mamercus iterum l. valerius potitus tertium ap. claudius crassus m. Quinctilius varus l. Iulius Iulus m. postumius m. Furius camillus m. postumius albinus. veientes contra taedio annuae ambitionis quae interdum discordiarum causa erat, regem creavere. offendit ea res populorum etruriae animos, non maiore odio regni quam ipsius regis. Gravis iam is antea genti fuerat opibus superbia-que, quia sollemnia ludorum quos intermitti nefas est violenter diremis-set, cum ob iram repulsae, quod suffragio duodecim populorum alius sa-cerdos ei praelatus esset, artifices, quorum magna pars ipsius servi erant, ex medio ludicro repente abduxit. Gens itaque ante omnes alias eo magis dedita religionibus quod excelleret arte colendi eas, auxilium veientibus negandum donec sub rege essent decreuit; cuius decreti suppressa fama est veiis propter metum regis qui a quo tale quid dictum referretur, pro seditionis eum principe, non uani sermonis auctore habebat. romanis etsi quietae res ex etruria nuntiabantur, tamen quia omnibus conciliis eam rem agitari adferebatur, ita muniebant ut ancipitia munimenta essent: alia in urbem et contra oppidanorum eruptiones uersa, aliis frons in etru-riam spectans, auxiliis si qua forte inde uenirent obstruebatur.”.

Il brano di livio (v 1), riferito al 403 a.c., è ben noto e ampia-mente commentato; questo mi esime da una sua analisi, salvo il sot-tolineare come esso offra ulteriori indizi per comprendere la profonda attenzione sociopolitica sottesa a uno strumento storiografico appa-rentemente semplice e seriale come quello dell’annalistica romana1:

1 cfr. CheriCi 2010, p. 207 ss.

armando cherIcI

“asylum aperIt”: consIderazIonI sul fanum voltumnae e suI santuarI emporIcI tra

relIGIone, commercIo e polItIca

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notevole è la capacità di enucleare, registrare e giustapporre singoli fatti percepiti dall’anonimo cronista come utili a descrivere situazioni particolari e insieme dinamiche generali. È vero che gli eventi sono segmentati nel loro svolgersi anno dopo anno - né poteva esser di-versamente in un archivio nato dalle tabulae dealbatae - ed è vero che questo impedisce talvolta di leggere immediatamente i processi di medio e lungo periodo, eppure l’annalistica - e livio - dimostrano di saper cogliere e sottolineare anno per anno alcuni elementi nodali la cui sinergia con fatti precedenti e successivi diviene poi chiara anche per coloro che, come noi, leggano tali notizie dopo millenni.

Roma e veio: risposte diverse a istanze non diverse

livio inizia il v libro con l’estrema sintesi di un contrasto mor-tale, quello tra roma a veio. per sottolineare tale contrapposizione l’autore nota opportunamente l’esito diametralmente opposto degli annuali comizi tenutisi nelle due città: quasi un contrappunto con il sapore del vezzo letterario - e quindi forse l’analogia che si viene a creare tra i due sistemi elettorali è forzata - ma sono molti, poi, gli elementi che collimano in un percorso storico coerente, tali da farci considerare il passo una piccola miniera di dati suscettibile di ulterio-re approfondimenti.

veio sembrerebbe aver tenuto almeno per qualche lustro2 e co-munque fino al 403 comizi annuali, del tipo di quelli romani visto che a essi sono comparati; ma alla fine del V sec. le discordie interne - che nei comizi ovviamente si acuiscono - provocano a veio una frattura in quello che doveva esser allora il corso prevalente nella gestione del potere politico per il populorum etruriae animus: se tale inter-pretazione è corretta, il brano c’informerebbe che il cammino ammi-nistrativo che roma aveva intrapreso da circa un secolo, quello delle magistrature elette annualmente, era stato similmente sviluppato non solo a veio ma in tutta etruria, o almeno in tutte quelle realtà politiche che avevano dato vita - da quanto tempo? - a momenti di riunione federale quali i concilia presso il fanum voltumnae.

la reazione di chiusura verso veio delle altre città etrusche, che livio registra nel concilium del 403, può senz’altro aver avuto come elemento pregresso di frattura l’atteggiamento arrogante tenuto dal futuro re veiente quand’egli, in uno dei precedenti concilia, rappre-sentava la propria città probabilmente ancora come figura elettiva; l’isolamento di veio tradisce comunque che in seno alla federazione

2 livio (Iv 17-19) fa cenno a un rex veiente per il 437 a.c.

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etrusca una realtà politica che fosse tornata al modello monarchico o di una magistratura a vita (di tipo tirannico?), era sentita costituire un precedente pericoloso e quindi da isolare, questo probabilmente per-ché l’iterazione annuale di un appuntamento elettorale doveva sclero-tizzare anche nelle altre città una situazione di conflittualità interna, quella stessa che livio delinea del resto poche righe dopo per roma, nel discorso di appio claudio crasso, quella stessa che già aveva de-terminato la disgrazia politica di spurio cassio vecellino (485 a.c.), e determinava quella di spurio melio (400 a.c.) e di marco manlio capi-tolino (390 a.c.). Il nuovo re di veio non costituisce quindi un incidente politico isolato, si colloca in una casistica - condivisa con altre città - di figure che, avendo detenuto o detenendo una carica elettiva, innescano il timore di aspirare al regnum per forza economica, prestigio, potere clientelare (il futuro rex veiente partecipa alla riunione del fanum con suoi personali artifices che a lui, e non alla città rispondono3).

a confermare tale quadro di diffusa instabilità, ricordiamo che a caere uno zilach - posto che tale carica abbia solo valenza elettiva - è presente nelle lamine di pyrgi, ma chi la detiene, tefarie velianas, è detto “re” nel testo fenicio, ed è in carica già da tre anni, e ringrazia di questo una dea; ancora nel pieno Iv sec. il tarquiniese aulo spurinna, quale magistrato annuale (praetor) spodesta un re di caere4, e seda una rivolta servile ad arezzo5, delineandoci dunque un potere elettivo non sostenuto dall’intera base di coloro che aspirano a un ruolo politi-co, come pure avviene a roma, segnata dalle lotte patrizio-plebee.

Com’è noto, dal 444 a.C. l’Urbe cerca di alleggerire la conflittualità interna con la creazione dei tribuni militum consulari potestate, una carica che sarà longeva anche se nata come transitoria, interlocuto-ria. non riconosce ancora alla plebe il diritto di accedere alla massima magistratura annuale (il consolato), ma di fatto ne crea i presupposti dissimulandone il potere in un ruolo nato in seno alla gestione dello

3 sulla reale natura di tali artifices mi permetto di rimandare alle mie ri-flessioni in CheriCi 1994b. nel suo ampio seguito, il futuro re di veio sottolinea una sostanziale diversità rispetto al resto dell’assemblea: gli elementi che prendono parte ai ludi sono quasi tutti a lui legati, come se egli fosse accompagnato da una “corte” che i delegati delle altre città non hanno, o per diversa estrazione sociale dei delegati stessi, o per il loro appartenere a realtà politiche che hanno assunto un diverso modo di rappresentare il potere: nell’uno e nell’altro caso è evidente che l’isolamento di veio non viene tanto da un atteggiamento del suo rappresentante, quanto forse da una linea politica della città, difforme da quella prevalente nelle altre città del concilium. Il fatto poi che la celebrazioni dei ludi dipendesse, nell’ultimo decennio del v sec., dall’apporto di un singolo rappresentante, sembrerebbe tradire che i ludi stessi appartenessero a una ritualità superata nelle altre compagini politiche afferenti al concilium, che infatti non hanno personale atto a prendervi parte.

4 Torelli 1975, p. 70 ss.5 città cui la gens sembra esser collegata da rapporti matrimoniali: CheriCi

1989, p. 30 ss.

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sforzo bellico, settore vitale e critico per le entità politiche dell’epoca. nel v sec. infatti, il completo maturarsi della gestione dell’economia e del territorio basata sui poli urbani e sulle colture di pregio e d’impian-to fa sì che le città debbano dotarsi di un apparato militare svincolato dalla logica delle scorrerie stagionali, e questo porta inevitabilmente a un allargamento della base politica: nel 403 roma vede infatti una recrudescenza della conflittualità interna, indotta dal prolungamento della guerra contro veio reso possibile dall’istituzione di uno stipendio militare che consente di chiamare e mantenere in armi anche coloro che censuariamente - e quindi politicamente - ne erano esclusi6. come sottolinea livio, roma decide di mantenere anche per il 403 la carica del tribunato militare con potestà consolare, aumentandone anzi il nu-mero; è anch’esso un segnale di pressione politica: con più eletti viene diminuito il potere del singolo tribuno, operazione che prelude alla pri-ma nomina, tre anni dopo, di un plebeo a tale carica (liv. v 12).

pur nell’asprezza delle lotte interne, dunque, roma lavora anno per anno a un lento accomodamento che ne mantiene inalterate, o ne accresce, le capacità di risposta esterna; veio - controparte che affronta pressioni militari analoghe - si mostra politicamente immo-bile, rinuncia a una risposta politica (nel caso di un tiranno) o torna al passato (nel caso di un rex): nell’uno e nell’altro caso prepara la pro-pria fine, perché non risolve le conflittualità interne, decreta il pro-prio isolamento politico e si presenta dunque, nello scontro con roma, sempre più debole. Il finale successo dell’Urbe, nello scontro con Veio come in tutta una serie di confronti, fino alle riforme di Mario, non sta quindi tanto nella genialità militare, ma soprattutto nella capacità di trovare - pur con crisi drammatiche - una composizione alle istanze politiche interne, cosa che le permette - tra l’altro - di avere una leva militare sempre efficiente, congrua, partecipe.

Volsinii e il Fanum, mercato, fiera e clavus anni: una dimensione po-litica

dato il corso politico sopra tratteggiato non è forse casuale che acquisisca un ruolo di spicco nell’etruria del v sec. proprio volsinii,

6 l’appannaggio della guerra, dunque, veniva a esser sempre meno una pre-rogativa di rango - o gestito con truppe personali o gentilizie - e sempre più un impegno cittadino, condiviso, inevitabile terreno di trattativa politica su cui chi gestiva il potere doveva progressivamente cedere campo a chi poteva offrire manodopera militare in cambio di riconoscimenti politici: un percorso che a roma si concluderà con mario. sottolineo che una delle ragioni prime della inarrestabile progressione militare roma-na è l’aver saputo gestire tale rapporto tra inevitabili scontri interni, ma in una forza continua e priva di crisi senza ritorno.

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città che, nella regolarità isonomica delle necropoli e dei corredi e nell’integrazione di gentes allotrie7, aveva già da tempo dimostrato un buon dinamismo sociale ed economico, una buona capacità di adat-tare la propria struttura politica al farsi avanti di forze slegate dai precedenti sistemi di potere, di sangue o di appartenenza. È, questa, un’apertura al cambiamento presente o già tentata anche in altre cit-tà etrusche (basti pensare alle regolari “lottizzazioni” che nella ne-cropoli di caere s’inseriscono nel tessuto delle tombe a tumulo), ma a volsinii tale fenomeno sembra esser durevole e progressivo, sembra seguire nelle grandi linee le tappe dei cambiamenti istituzionali atte-stati per roma anche se, al contrario che nell’urbe, tali trasformazio-ni porteranno infine a un’insanabile frattura interna e - nel 264 - alla distruzione della compagine urbana8.

esisteva un’assemblea federale precedente a quella del fanum vol-tumnae? non lo sappiamo - ma forse una risposta possiamo darla più sotto -, certo è che volsinii per captare o per far nascere in un proprio santuario una riunione politica di stampo federale, doveva aver avuto per un buon lasso di tempo una politica ben marcata e consona a quella prevalente in etruria in un’età di trasformazioni qual è il v sec., consona all’animus di città disposte ad accettare un fatto probabilmente nuovo - o comunque esterno - come un’assemblea federale. e infatti volsinii è l’entità urbana che, nell’accennata pianificazione delle sue necropoli e nell’isonomia dei suoi corredi rifiuta senz’altro la figura di un personag-gio egemone, con ampia corte personale, quale il superbo rappresentante di veio che proprio a volsinii viene censurato con l’isolamento politico; ed infatti è Volsinii la città che - credo significativamente - ha, come Roma protorepubblicana, la cerimonia del clavum pangere.

le date mi aiutano a proporre un’interpretazione “politico-ammi-nistrativa” per tale cerimonia.

sul rito del chiodo di nortia come su quello celebrato a roma nel campidoglio mancano fonti adeguate per darne una sicura inter-pretazione. viene posto solitamente in relazione con Fortuna, o con momenti apotropaici relativi a pestilenze o altre calamità pubbliche9. Questo è forse vero per la roma medio- e tardorepubblicana, quando il rito ha ormai perso la sua cadenza annuale, si è forse sovrapposto e confuso con un rito formalmente affine, è comunque divenuto un fatto straordinario, come tale affidato a uno specifico dittatore.

7 rendeli 1993.8 CheriCi 1999, p. 194 ss.9 Werner 1963, pp. 27 ss., 248 ss.; heurgon 1964; MoMigliano 1969, p. 279

ss.; aigner ForesTi 1979; Bunse 1998, p. 48 ss.; Colonna 2010, p. 277 s. cito per com-pletezza la serie di chiodi infissa in un albero riscontrata ad Alba Fucens: liBeraTore 2004, p. 121 s.

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vorrei far notare però come la cerimonia del clavum pangere pos-sa aver costituito la sanzione netta e pubblica di un prima e un dopo temporale, di un ritmo annuale tassativo10 che ben si attaglia alle esigenze di magistrature elettive che, al contrario di quelle a vita, non possono e non devono avere i margini incerti di un interregno, ma hanno bisogno di un chiaro e puntuale limite cronologico che se-gni la fine di un mandato, e l’inizio del nuovo. Potrebbe dar corpo a questa proposta il fatto che tale rito sembrerebbe esser stato adottato a roma proprio con l’inizio della magistratura consolare: la sua legge istitutiva viene affissa da Marco Orazio Pulvillo nel tempio di Giove capitolino, da lui stesso inaugurato con l’avvento della repubblica11; la cerimonia ha luogo nel tempio stesso e viene compiuta dal massimo magistrato annuale12 alle idi di settembre, cioè proprio nel giorno in cui in origine s’insediavano i nuovi consoli13, nel giorno in cui nel 509 viene dedicato lo stesso tempio di Giove, nella data della festa an-nuale del dio, nel momento centrale dei più antichi e importanti ludi dell’urbe, i ludi Romani o magni.

Il settembre non ha peraltro una collocazione casuale nella di-visione più antica dell’anno solare: con il settembre la città si chiu-de in se stessa, perché è l’ultimo mese valido per gestire le attività esterne al suo territorio (guerra, navigazione14, commercio di ampio raggio); con il settembre iniziano infatti in Grecia i calendari delle città maggiormente legate al grande commercio: da atene ai centri grecoinsulari e microasiatici15; a settembre inizia l’anno finanziario romano16. Inoltre: le idi di settembre cadono alla luna piena prece-dente il solstizio d’autunno17, offrono quindi una data certa e da tutti identificabile per raccordare l’anno solare con la serie dei mesi lunari cui sono legate calende, idi e none, quindi i giorni che scandivano il ritmo interno dei mesi e, con esso, quello delle attività economiche e

10 CheriCi 2006a, p. 14 ss. del resto, lo stesso gesto fatale di athrpa - atropos nel noto specchio etrusco a Berlino (etrsp 3, p. 168 ss. tav. 176) sancisce una cesura, un confine, un prima e un dopo.

11 un passo di livio, inserito nel discorso con cui appio claudio accusa i tribu-ni licinio e sestio di adfectatio regni (“quorum annos in perpetua potestate tamquam regum in capitolio numeratis” vI 41, 3) potrebbe far pensare a una simile notazione degli anni anche in età regia, ma la frase sembrerebbe piuttosto confermare che, anche per i tribuni, esisteva in campidoglio una forma evidente di registrazione annuale della successione delle cariche.

12 MoMigliano 1969, p. 280, 403 ss.13 dion. vI 49, 2; dal 493 il giorno d’insediamento è spostato alle calende.14 vegeT. Iv 39.15 darsagl s.v. calendarium.16 conosciamo però tale data solo da una fonte tardoimperiale: Cod. theod. XI

1, 5.17 Il momento del solstizio era facilmente riscontrabile in un qualunque tem-

pio, altare o recinto “inaugurato” (CheriCi 2006a, p. 21 ss.)

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politiche di una società organizzata18. Infine: credo particolarmente significativo che l’immagine del chiodo come momento certo da cui far partire la durata di una carica istituzionale sia presente in cicerone: “ex hoc die clavum anni movebis” (ad att. v 15, 1)19.

fiera, egemonia politica e tregua

com’è noto, sono 4 i passi liviani in cui il fanum voltumnae è esplicitamente indicato quale sede dell’assemblea federale etrusca, coprenti un periodo che va dal 434 al 389 a.c.

com’è noto, tale assemblea si riuniva in concomitanza con una grande fiera - probabilmente annuale, o comunque a bassa frequen-za - con giochi e celebrazioni religiose, così come avveniva per le as-semblee anfizioniche greche, o per quelle concomitanti con i grandi giochi panellenici: istmici, olimpici, delfici, nemei20; come per la pan-

18 Il calendario primitivo sia etrusco che romano si basava sul mese lunare per quel che riguardava la divisione minuta del tempo: le basi su cui calibrare il com-puto dei giorni erano la luna piena e il novilunio, la “settimana” era lunare, e variava tra i sette e gli otto giorni. da qui l’esigenza annuale di raccordare la serie dei mesi lunari con l’anno solare, pena la sfasatura del calendario annuale su quello del lavoro dei campi (che esiodo preferisce determinare con l’osservazione delle costellazioni) e la non sovrapponibilità del calendario di comunità diverse. L’istituzione di una fiera obbligava certo questo raccordo (tra calendario lunare e calendario solare, come tra ca-lendari diversi), e lo facilitava insieme: la quantità di giorni dedicati a essa permetteva l’arrivo di chi avesse un calendario “sfasato”, il compiersi di un determinato sacrificio azzerava su una data certa i calendari di tutti i convenuti. non escluderei che anche talune macroscopiche sfasature in accordi internazionali, come la fine anticipata - nel 415 a.c. - della tregua di otto anni stipulata tra roma e gli equi, sia dovuta al mancato raccordo calendariale tra le due comunità: troverebbe in tal modo una compiuta inter-pretazione un cenno di livio altrimenti non chiaro: gli equi interrompono la tregua “velut anniversariis” (Iv 45, 4).

19 cfr. MoMigliano 1969, p. 282; Pina Polo 2011, p. 36 s. aggiungo in nota che l’altra data nodale dell’anno solare, il solstizio, è sentita nel mondo romano come un “vertere metas” (luCr. v 616), in quanto segna il repentino invertirsi del corso del sole, ove i due punti solstiziali sono le metae della spina attorno a cui corre il suo carro; e il volgere dell’anno, annus vertens, è accostato a vertumnus / voltumna in un noto passo di properzio (el., 4, 2, 11-18; cfr. duMezil 1977, pp. 160 s., 300 s.; CrisToFani 1985a); avremmo quindi, per i due dèi volsiniesi nortia e voltumna, un comune riferirsi al volgere dell’anno, al governo degli appuntamenti calendariali che ben si attagliano alla gestione di un santuario e di una fiera federale. In tale suggestione potrebbe inserir-si anche la definizione varroniana di Vertumno “deus Etruriae princeps” (l.l., v, 46): colon na (1999) e Briquel hanno fatto notare come “princeps” non debba necessariamen-te significare “principale”; potrebbe indicare un dio “dell’inizio” (suggerirei cronologico), così come lo stesso Varrone definisce Giano (cfr. CaPdeville 1999; Briquel 2003).

20 herMann 1836, p. 21 ss.; BüChensChüTz, 1869 p. 474 s.; de sensi sesTiTo 1984, p. 47 ss.; MCinerney 2009, p. 191 ss. (tutti con fonti); vedi in particolare: herod. vI 3; soPh., trach. 638; Ps. arisT., De mirab. ausc. 96; skyMn. 640; sTraB. vI 280, X 486; CiC., tusc. 5.3, 9; liv. XXXII 33; vell. PaT. I 8; PluT., arat. 28, 4; dion. Chry. XXvII 528, lXXvII 4; Paus. vII 24, 2; vIII 33, 2; X 32, 9, 14, 15; aThen. XII 541a; iusT. 13, 5.

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hvguri" del tempio di diana sull’aventino o per le feriae latinae sul monte cavo.

I brani all’inizio e alla fine della serie liviana ci offrono ulteriori elementi. per il 434 a.c. lo storico ricorda: “ea res aliquanto exspecta-tione omnium tranquillior fuit. itaque cum renuntiatum a mercatori-bus esset negata veientibus auxilia” (Iv 23, 5); per il 389 “hinc volsci, veteres hostes, ad extinguendum nomen Romanum arma ceperant; hinc etruriae principum ex omnibus populis coniurationem de bello ad fanum voltumnae factam mercatores adferebant” (vI 2, 2).

In ambedue i casi le notizie di quanto deciso dal concilium etru-riae vengono riportate all’urbe da un’identica fonte, fonte senz’altro ritenuta attendibile: i mercatores; probabilmente romani, sono co-munque soliti frequentare la fiera volsiniese operando ad ampio rag-gio, toccando almeno roma e volsinii.

Il fatto che dei mercanti portino notizie fresche in merito a deci-sioni politiche sembra esser considerata cosa normale nei due brani, lasciando intendere che spesso le grandi fiere erano momento e sede deliberativi e che quanto deciso era d’immediato pubblico dominio.

Vorrei sottolineare che sia nel 434 che nel 389 la fiera si svolge in un palese clima prebellico, nell’uno e nell’altro caso il possibile esito dell’assemblea concomitante può esser una guerra contro roma: nel 434 tale guerra non viene dichiarata, cosa che invece avviene nel 389. ma sia nel primo che nel secondo caso i mercanti - romani o comunque in rapporto con roma - possono tranquillamente raggiungere volsi-nii, come altrettanto tranquillamente possono lasciarla per recarsi o ritornare, immediatamente dopo, in una città nemica, facendosi tra l’altro latori di notizie di notevole peso strategico.

credo che tale evidenza possa consentirci di supporre che la pan-hvguri" del fanum voltumnae godesse, al pari delle fiere anfizioniche e panelleniche21, al pari di quelle sul monte cavo o sull’aventino, di una sorta di tregua sancita da accordi congiunti22, che garantiva il successo della fiera stessa consentendo un ampio concorso di merca-tores; tregua che probabilmente proteggeva gli stessi emissari politici che al concomitante concilium si recavano.

In cosa poteva consistere, su cosa si reggeva tale tregua? In una situazione politico-economica evoluta, come quella della

Grecia contemporanea ai fatti presi in esame, poteva esser un accor-do tra le varie città a consentirla e a garantirla, pur se non manca-

21 Thuk. v 49, vIII 10; Xen., Hell. Iv 7, 2; aisChin. 2, 133; sTraB. II 3, 4; vIII 3, 13; Polyain. VIII 25; simili tregue caratterizzeranno anche le fiere del medioevo europeo: huvelin 1897, p. 360 ss.; id. 1953.

22 per le Feriae latinae: “ejkeceiriva" ei\nai pa'si pro;" pavnta" ejnomoqevthse” (dion. hal. Iv 49, 1).

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vano incidenti. ma qui ci troviamo in una realtà sicuramente meno strutturata di quella greca, da un punto di vista economico, politico, giuridico, e comunque in una realtà ai margini del territorio etrusco: la dislocazione fa del fanum voltumnae una sorta di santuario empo-rico di terraferma, affacciato - o comunque prossimo - a un mare fatto di genti non etrusche, e mercanti allotri ci sono del resto attestati dalle fonti sopra citate, e merci di natura o qualità non immediata-mente reperibile nel territorio sono ipotizzabili per la stessa cadenza annuale del mercato. La fiera volsiniese potrebbe svolgere in altre parole anche il ruolo mercantile di una di quelle ajgorai; periferiche che conosciamo in ambito ellenico, fatte per incentivare gli scambi tra città e popolazioni confinanti23 ma non ancora collegate da rapporti statuali e/o da reti stradali. Da tale posizione periferica la fiera trae peraltro forza e peculiarità, essendo cerniera tra economie altrimenti non dialoganti, ma proprio per tale posizione è ancor più importante la tutela che deve esser garantita a merci e persone, transitanti per realtà politiche e socio-economiche non omogenee, ove sono possibili situazioni di pericolo, azioni di prelievo delle merci, per pedaggio o per rapina.

È questo un orizzonte non rischiarato dalle fonti antiche, ma è un orizzonte reale, perché il convergere in un punto marginale all’etru-ria propria di importanti delegazioni politiche, come di carovane di mercanti con le loro merci costose, o copiose, o comunque particolari24, doveva trovare delle forme di garanzia non solo nel luogo fisico della fiera, ma anche nell’itinerario per essa e da essa, in territori non sot-toposti al diretto controllo di volsinii.

Nell’assenza di fonti dirette e specifiche, o nella estrema parzia-lità e frammentazione di esse, è il porsi domande che può aiutare a meglio delineare - con tutta la prudenza del caso - tale orizzonte.

Quale ambiente, naturale, antropico e politico, dovevano affron-tare i mercanti e gli emissari politici che giungevano alla panhvguri" del fanum voltumnae, così durevolmente e copiosamente da decre-tarne il successo?

la media valle del tevere risulta ben percorribile: da qui scendo-no già dall’inizio del v sec. carichi di frumento destinati a roma (trat-tati su quale mercato?)25, non altrettanto pervia doveva esser un’am-pia area contigua, a sud del territorio volsiniese: quella zona cimina che ancora alla fine del IV sec. era “invia atque horrenda … nulli ad eam diem ne mercatorum quidem adita” (liv. IX 36, 1-6), dove sono

23 salvo venire abbandonate con il progredire ed estendersi della rete commer-ciale: gloTz 1926 p. 113; sTek 2010, p. 65; cfr. deMosTh. XXIII, 37, 39.

24 visto che erano destinate a una mercato a bassa frequenza.25 Colonna 1985, p. 106 ss.; CheriCi 1994a, p. 373 s.

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ancora i mercatores i soli che s’immaginava potessero aprire un per-corso, e dove saranno poi due romani “pastorali habitu” a penetrarla senza suscitare sospetti in chi abitava ai suoi margini.

l’asse vallivo chiana - arno, verso il nord, sembra battuto in profondità, almeno dal v al III sec., da ricchi mercanti volsiniesi: nel santuario di pieve a sòcana in casentino, in un punto nodale per i transiti appenninici, sono attestati in quest’epoca ben 4 grandi dischi-donario in pietra del tipo rinvenuto a orvieto (palazzo del popolo) e a monte melonta26; e l’interesse per i valichi e l’adriatico27 è confermato dalla presenza, nella stipe del Falterona, del raffinatissimo bronzetto di guerriero - probabilmente volsiniese, alto un piede - ora la British museum28 nonché poi di sestanti della serie ovale, con la clava, pure attribuiti a volsinii29. Già dalla fine del VI sec. questo robusto asse naturale nord-sud, confermato dal rapporto con chiusi adombrato nella notizia pliniana di un porsenna “rex” di volsinii30, doveva rami-ficarsi con un collegamento addirittura carreggiabile tra Chiusi e Pe-rugia: solo così possiamo spiegare il trasporto in quest’ultimo centro del sarcofago dello sperandio31, manufatto che per ingombro, fragilità e peso doveva esser necessariamente collocato su un carro o su una treggia, perché impossibile da someggiare, e quindi impossibile da trasportare in una mulattiera, cioè in un tracciato che è poco più di un sentiero. Questo implica l’esistenza tra i due centri di una traccia viaria che è forse precoce chiamare strada, ma che era comunque con-tinua e adattata alla ruota o alla treggia, nel primo caso di larghezza tale da accogliere l’asse minima di un carro aggiogato, quindi almeno 4 piedi32.

26 CheriCi 2002.27 ricordo che nell’emporio misto di adria abbiamo iscrizioni di vI-v sec. in

alfabeto di tipo volsiniese.28 attribuito a fabbrica volsiniese: CrisToFani 1985b, nr. 4.6.29 aMBrosini 1997, p. 213, fig. 2; CheriCi 2002, p. 582. s’inserirebbe in tale

quadro di progressione verso il nord il c.d. marte di ravenna, sulla cui provenienza vedi però Cagianelli 2002, p. 330 ss.; Colonna 2003.

30 sul quale: CheriCi 1994a; Colonna 2000.31 volendo immaginare che il sarcofago sia stato realizzato a perugia da mae-

stranze chiusine, il problema del trasporto non viene meno, anzi si aggrava: la pietra in cui il monumento è realizzato è di provenienza chiusina, dovremmo dunque imma-ginare il trasporto di un monolite sbozzato di peso ben maggiore di quello del prodotto finito.

32 riterrei probabile che il trasposto di un oggetto così pesante, ingombrante e fragile, si sia avvalso anche di un tratto sul trasimeno: il fronte collinare di città della pieve mal si presta a immaginarvi una carrareccia; la riva sud del lago è troppo scoscesa per pensare a un percorso carreggiabile adatto a un trasporto così impegnativo, la riva nord era quasi sicuramente interessata da ampi tratti paludosi, presenti ancora all’epoca dell’impresa annibalica e difficilmente bonificabili dato l’incostante perimetro del lago, privo di emissari naturali e quindi soggetto a repentini sbalzi in funzione delle piog-ge. Per traspostare il sarcofago poteva esser sufficiente una zattera, di poco pescaggio

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ma, subito a sud di tale percorso trasversale, il fronte collinare a oriente di orvieto doveva risultare impervio, cioè privo di vie, visto che an-cora in età tardoimperiale la strada tra orvieto e spello, stante il dettato del noto rescritto, appariva ardua e saltuosa33, e ancora nel XIX sec. la via naturale più diretta, quella per todi lungo il corso del tevere, era del tutto impraticabile34: doveva però esistere almeno una mulattiera già dal v sec.: per tale via deve esser stato trasportato il marte di todi, riconducibile a bottega volsiniese e someggiabile sia per peso35 che per ingombro.

pur in presenza di aree impervie, i contatti con l’ampio quadran-te “italico”, quello est, non sono affatto episodici. È noto come l’ono-mastica orvietana testimoni una cospicua integrazione di elementi alloctoni e non etruschi36, e come i materiali archeologici parlino di precoci rapporti con l’adriatico37, identificando un probabile ganglio in pieno Appennino, a Colfiorito - nella cui necropoli le importazioni sono o di area adriatica, o di ambito volsiniese38 - e da qui nella valle del chienti39. ancora nella seconda metà del Iv sec. a.c. i ceti egemo-ni delle giogaie appenniniche sembrano avere in orvieto un punto di riferimento, culturale e commerciale, come dimostrarebbe la possibile origine volsiniese della testa bronzea di cagli40.

senz’altro più intensi erano ovviamente i contatti con l’etruria, rispetto alla quale però il mercato e la sede federale volsiniesi han-no l’anomalia di esser totalmente eccentrici, a indiretta conferma del fatto che la fiera di Voltumna aveva la sua ragion d’essere e di pro-sperare da un lato su un momento di egemonia politica della città,

e mossa da pertiche, data la scarsa profondità presso le rive. per comprendere il proble-ma della viabilità e della sua natura, anche in un territorio saldamente controllato da una città, basti osservare che quasi due millenni dopo, nell’affresco del Buon Governo nel palazzo pubblico di siena, fuori delle mura di quel centro - che pure aveva nel com-mercio un cardine economico - non vediamo carri, ma muli carichi di merce.

33 di diverso avviso in questo convegno s. sisani, alla cui relazione rimando.34 davies 1875, p. 256.35 peso stimabile in poco meno di un quintale. data la qualità della fattura,

soprattutto la politezza e cura del prodotto finito, sarei portato a credere che il bronzo sia stato fuso in una bottega ben attrezzata, quindi nel luogo di origine dell’artefice, piuttosto che immaginare una realizzazione direttamente a todi, con una fonderia espressamente realizzata: un modus operandi senz’altro possibile, ma proprio di pro-duzioni di minor peso tecnologico, quali quelle coroplastiche.

36 rendeli 1993; Colonna 2000, p. 283.37 Colonna 1980.38 BonoMi Ponzi 1997, pp. 62, 136, 146. credo sia interessante considerare qui

anche la diffusione del gentilizio nurtines, nortinus, nurtins tra Bolsena e Bevagna, nonché la sostanziale omonimia tra il centro umbrosabellico di nursia / norcia, e la dea volsiniese nortia, che nei codici è riportata come norcia / nurscia per liv. vII, 3, come nursia / nurscia per iuven., sat. X 74 ss., come norcia / nursia / nurscia per TerTull., apol. 24, cfr. FaBreTTi 1867, cc. 1249, 1261.

39 sToPPoni 2005. 40 naso 2000, p. 247; opta per una produzione perugina o falisca Baldelli

1986, p. 10.

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dall’altro proprio sulla connotazione frontaliera ed emporica, sulla possibilità di contatto con realtà non etrusche che volsinii, per la sua collocazione, riusciva a captare.

con quale sicurezza e sotto quale protezione si muovevano dun-que i mercanti e le loro merci nel lungo cammino da e per la panhvguri" del fanum voltumnae? e, soprattutto per la parte non etrusca, su quali viabilità o percorsi? Sottolineo che in una fiera annuale si vanno a vendere e/o a comprare merci abbondanti e ben diverse da quelle del baratto quotidiano e del mercato propriamente “nundinale”, cioè a più fitta cadenza: vi si scambiano beni accumulati o prodotti in un anno, acquisibili con controvalori accantonati nel tempo: merci di pro-venienza non locale, di natura, valore, quantità o qualità estranee alla realtà quotidiana, merci quindi ancor più appetibili per un’azione predatoria e bisognose quindi di una via sicura.

Per il traffico da e per una fiera annessa a un santuario esisteva certo una protezione divina, che poteva varcare frontiere politiche, lin-guistiche e culturali, per il rispetto che le società antiche potevano tribu-tare a ciò che apparteneva o era destinato a un dio41, ancorché straniero e incognito, sive deus sive dea. sicurezza all’insieme delle merci poteva esser data quindi dalla visibile presenza tra di esse di oggetti o bestiame chiaratamente destinati all’offerta o al sacrificio42, buoi ben strigliati o vasi e arredi prestigiosi, che possiamo immaginare “marcati” come sacri, agghindati con infulae, quindi riconoscibili come sacre offerte anche da chi non parlava la lingua del gruppo straniero che attraversava terre di altri popoli, di altri clan. ma tale possibile protezione “sacra” è tutta da provare e comunque non impediva che, in piena età storica, nella stessa Grecia quindi in un tessuto economico ben evoluto e ramificato, i viaggi di pellegrini e mercanti per i santuari fossero comunque insicuri43, così come la roma regia deve intervenire per proteggere i propri mercatores nella vicina panhvguri" del lucus feroniae44.

la prolungata tenuta della tregua e la garanzia dei gruppi era garantita - almeno in un contesto politicamente evoluto - soprattutto dal peso politico della città, o della realtà politica, che quella fiera gestiva, o che da quella fiera traeva vantaggi45.

41 Nel 394 l’ambasceria romana recante il cratere d’oro destinato a Delfi, de-cima della conquista di veio, viene catturata dai pirati liparesi, e liberata anche per il rispetto al dio cui l’offerta era destinata (diod. XIv 93, 7; liv. v 28, 4; PluT., Cam. 8; cfr. per altre valutazioni CheriCi 2006b, p. 548 s.), i contatti dell’Urbe con Delfi erano comunque resi possibili per il tramite di caere, che aveva con il centro sacro rapporti istituzionali (d’agosTino - CerChiai 1999, p. 119, con bibl.).

42 come il toro bianco per il monte cavo.43 BüChensChüTz 1869, p. 520 s., con fonti.44 liv. I 5, 30; dion. hal. III 32.45 dillon 1997, p. 1 ss.; cfr. kendriCk PriTCheTT 1991, p. 259.

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volsinii dunque, a cavallo tra vI e v sec., si confermerebbe come una realtà di notevole peso politico in etruria, in grado di assicurare una protezione, diretta o mediata, alle carovane di mercatores, di sa-cerdoti, di emissari politici che vi convergevano.

una proposta interpretativa che può trovar conferme allargando il nostro sguardo sui modi e sulle conseguenze del formarsi di un mercato - sia a bassa che ad alta frequenza - nelle società antiche. la letteratura - anche se non specifica per la realtà indagata - è vasta e riconducibile a due scuole di pensiero: il razionalismo economico di a. smith e di K. marx, il taglio sociologico di m. Weber e di K. polanyi. nell’una e nell’al-tra analisi il mercato e il luogo del mercato - l’ajgorav greca, il forum roma-no - sono identificati come centri e motori sinecistici46 nei quali l’economia “urbana” di scambio si sostituisce a quella autarchica familiare, del clan, della gens, del villaggio, o a quella dei principes, fatta di chiusi rapporti tra omologhi. La grande fiera annuale amplifica l’aspetto “sinecistico”: è luogo potenzialmente federale perché richiama mercanti di altre realtà politiche ed economiche, svincolati da rapporti che non siano quelli del profitto. Ma una fiera di tal genere non nasce in un giorno, e si può evol-vere solo in un ambiente politico solido, durevole, che si sia emancipato dalla economia dei principes o dei clan, dall’economia mossa dai rapporti reciproci tra i maggiorenti, secondo le linee dell’ospitalità privata, degli scambi di doni, delle visite collettive47; un ambiente che abbia superato anche l’economia autarchica, aperta semmai solo allo scambio con il vici-no, con il confinante, di tipo esiodeo48.

A una grande fiera annuale giungono elementi che si muovono se-condo le linee di una ospitalità pubblica. È un giro di boa che sancisce definitivamente l’avvento di una mentalità e di una economia che, mi si consenta un termine moderno, potremmo dire “borghese”: è il ceto dell’isonomia della Cannicella e del Crocefisso del Tufo a provocare una fiera annuale e a fare di un santuario un porto emporico, collocato come tutti i porti emporici fuori città, e sulle rive della “terraferma” etrusca.

Mercato e comitium, fiera e concilium: valori economici e politici

Come diviene una fiera annuale occasione di assemblea federa-le?49 Il percorso ci è chiarito dalla natura e dall’evoluzione politica

46 cfr. sTraB. vIII 3, 13.47 Quale poteva esser la carovana del futuro rex veiente, accompagnato da una

tale schiera di artifices da metter in crisi giochi e cerimonie dell’intera assemblea con il loro venir meno.

48 hes., erg. 342-367.49 Sempreché il percorso evolutivo non sia inverso: dall’assemblea alla fiera.

nell’estrema reticenza delle fonti non è possibile escludere una tale ipotesi, anche se

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del luogo del mercato. In un’economia svincolata dagli orizzonti più antichi sopra delineati nascono l’ajgorav e il forum (prima inestistenti perché inutili): luoghi di scambio ma anche d’incontro tra persone di diverso rango, ma libere; tali ambienti divengono quindi inevita-bilmente anche luoghi di giustizia, di discussione, di disputa politi-ca. tale evoluzione politica era percepita già nell’odissea, che infatti rappresenta un mondo che si va evolvendo rispetto a quello dell’Ilia-de: i ciclopi non hanno ajgorav, quindi non hanno né senato né leggi50.

sono processi di lungo periodo quelli che stiamo percorrendo: la stretta connessione tra luogo e momento del mercato e luogo e mo-mento per amministrare una società ormai stratificata ed evoluta ci è confermato ancora mezzo millennio dopo nel diritto di roma. al 287 a.c. datano due leggi tra loro complementari, che sono un’ulteriore tappa nella conquista di spessore politico da parte delle classi subal-terne: la lex Hortensia de nundinis e la lex Hortensia de plebiscitis. la seconda riconosce valore di legge alle decisioni della plebe51, la prima dichiara i giorni nundinali dies fasti, essendo fino ad allora considerati nefasti: in questo modo il pretore può amministrare giu-stizia, con evidente vantaggio per la plebe rurale che approfitta del mercato per recarsi in città. non solo: la moderna ricerca storica ha osservato come la disputa normativa avvenisse anche sul fatto che tali dies fasti fossero anche dies comitiales, vi si potessero cioè tenere concilia e comitia, cui la plebe rurale sarebbe altrimenti difficilmente intervenuta. non è questo il luogo - né ho le competenze - per entrare in una tenzone interpretativa che ha opposto mommsen a huvelin52, quello che qui interessa è sottolineare il valore politico dei mercati ad alta frequenza, cioè delle nundinae, valore che ci è confermato dal fatto che ancora sotto l’impero con nundinum s’indicava la durata in carica dei consoli53: e qui è tentante il richiamo a quanto detto sul clavus di nortia. tre nundinae (cioè un trinundinum) dovevano in-tercorrere tra una convocazione e l’altra di un’assemblea politica, tra una rogatio e la sua discussione, tra la chiusura delle candidature e le elezioni: si dava così il tempo anche alla plebe non urbana di prender visione della proposta, di conoscere i candidati e di programmare la presenza alle eventuali votazioni. ancora: dichiarato un fallimento, si facevano le parti per i risarcimenti dopo tre nundinae, avendo avuto

i possibili paralleli storici ed etnografici, nonché quanto abbiamo sopra accennato in merito alla forza di cambiamento insita nell’economia di scambio porta a ritenere che sia questa a facilitare il costituirsi di un’assemblea politica, e non viceversa.

50 “toi'sin d∆ ou[t∆ ajgorai; boulhfovroi ou[te qevmiste"” (IX, 112).51 gell. Xv 27, 6.52 huvelin 1897, p. 90 ss.53 laMPrid., vit. alex. 28, 43; voPisC., vit. tacit. 9.

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in tal modo i creditori tempo di dichiarare le proprie spettanze54. È evidente che le nundinae - i mercati che nel mondo etrusco-romano ricorrevano ad intervalli di 8 giorni, seguendo il mese lunare - erano l’unico appuntamento per raccogliere in un luogo e in un momento certo tutti i liberi che avessero o aspirassero ad avere ruolo non solo economico, ma anche e soprattutto politico, sia che abitassero in cit-tà, sia - e soprattutto - che abitassero nel territorio: e tale appunta-mento era facilmente identificabile basandosi sulle idi, cioè sul giorno che per gli etruschi e per i romani era quello del plenilunio. essendo ogni decisione, atto o assemblea scandita su tre nundinae, almeno una parte dell’iter cadeva dunque nel giorno del plenilunio, cioè - non essendo ancora affidabile il calendario solare - in un giorno certo e programmabile anche per coloro che non avevano quotidiano contatto con la città e che, avendo certezza della data, “nundinas et concilia-bula obire soliti erant”55.

tutto questo è ricostruibile per roma, realtà per la quale abbia-mo le fonti: nelle grandi linee possiamo proporlo anche per l’etruria, che a roma dà molti degli elementi calendariali sopra descritti; rileg-giamo in proposito un noto passo di macrobio (sat. I 15, 12-17):

“Ideo autem minor pontifex numerum dierum qui ad nonas superessent calando prodebat, quod post novam lunam oportebat nonarum die popu-lares qui in agris essent confluere in urbem accepturos causas feriarum a rege sacrorum sciturosque, quid esset eo mense faciendum. unde qui-dam hinc nonas aestimant dictas, quasi novae initium observationis, vel quod ab eo die semper ad Idus novem dies putantur: sicut apud tuscos nonae plures habebantur, quod hi nono quoque die regem suum saluta-bant et de propriis negotiis consulebant. Iduum porro nomen a tuscis, apud quos is dies Itis vocatur, sumptum est. Item autem illi interpre-tantur Iovis fiduciam. Nam cum Iovem accipiamus lucis auctorem, unde et Lucetium Salii in carminibus canunt et Cretenses Δiva th;n hJmevran vo-cant, ipsi quoque romani diespitrem appellant, ut diei patrem. Iure hic dies Iovis fiducia vocatur, cuius lux non finitur cum solis occasu, sed splendorem diei et noctem continuat inlustrante luna: quod semper in plenilunio, id est medio mense, fieri solet: diem igitur, qui vel nocturnis caret tenebris, Iovis fiduciam Tusco nomine vocaverunt: unde et omnes Idus Iovis ferias observandas sanxit antiquitas. alii putant Idus, quod ea die plena luna videatur, a videndo vidus appellatas, mox litteram v detractam: sicut contra, quod Graeci ijdei'n dicunt, nos v littera addi-ta videre dicimus. nonnullis placet Idus dictas vocabulo Graeco, oi|on ajpo; tou' ei[dou", quod eo die plenam speciem luna demonstret. sunt qui aestimant Idus ab ove Iduli dictas, quam hoc nomine vocant tusci, et omnibus Idibus Iovi immolatur a flamine. Nobis illa ratio nominis vero

54 gell. XX 1, 49.55 liv. vII 15, 13.

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propior aestimatur, ut Idus vocemus diem qui dividit mensem. Iduare enim etrusca lingua dividere est”.l’amministrazione della giustizia avviene quindi anche in etru-

ria su base nundinale, quando la gente della campagna è solita veni-re in città. la cadenza di tale appuntamento si basa sulle idi - che i romani mèdiano dagli etruschi - e quindi sulla luna piena, sul primo quarto (le none) e sulla luna nuova (le calende): essendo la lunazione di 29 giorni e 12 ore, questo portava a una inevitabile sfasatura di un giorno solare (24 ore) ogni 2 mesi lunari (12 ore + 12 ore), da cui il fatto che le none e le idi possano cadere rispettivamente il giorno 5 e 13 o il giorno 7 e 15 del mese solare, come viene annunciato il giorno delle calende (da cui il nome del calendario)56.

La fiera annuale, o a bassa frequenza, non fa che amplificare il pendolo cronologico del mercato ad alta frequenza, quello nundinale: se questo ha la cadenza delle settimane del mese lunare, la fiera ha quello dell’anno solare, e permette dunque - tra l’altro, e fatto im-portantissimo - di raccordare i calendari lunisolari delle diverse co-munità da cui provengono i mercanti, da cui provengono, nel caso di concilia, gli emissari politici.

se, come dimostra ancora all’inizio del III sec. la complementari-tà delle leges Hortensiae, il mercato è luogo e momento della parteci-pazione politica, dell’amministrazione condivisa e pubblica della giu-stizia, questo non può evolversi in una città ancora legata a prìncipi, aristocrazie, oligarchie. né mancava lo spazio, in una città che pren-deva forma, per separare i luoghi del mercato da quelli della riunione di giustizia e/o politica: se tali funzioni convergono nell’ajgorav greca o nel foro romano, con il bouleuthvrion e la curia che vi si affacciano, significa che la città ha identificato nel commercio uno dei punti e mo-menti unificanti dell’insieme dei liberi, e la cosa si riproporrà in forme analoghe ove si riproporranno analoghe dinamiche socie-economiche, come nelle città del medioevo: il palazzo della ragione o il palazzo pubblico dell’Italia comunale saranno sempre contigui alla piazza del mercato, e l’affresco del Buon Governo nel palazzo pubblico di siena riassume bene l’immagine di una città forte, in grado di garantire la sicurezza del territorio e dei commerci che a lei fanno capo e da cui trae ricchezza, da cui trae forza la classe sociale che quella città e quel territorio fanno vivere in quella forma57. certamente, in epoche così

56 FlaManT 1984.57 Ove non cambi il contesto territoriale, le risposte a esigenze affini sono

spesso simili tra loro, anche a distanza di secoli: per ciò che riguarda il nostro ar-gomento, da un punto di vista macrostorico la vera svolta epocale dopo quella della rivoluzione neolitica, la svolta che determina risposte concretamente diverse, non è la caduta dell’Impero romano, ma la prima rivoluzione Industriale. I santuari e le fiere dell’Italia e dell’Europa medioevale sono in gran parte sovrapponibili a quanto si

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diverse, cambiano gli scenari, la qualità e la quantità degli attori, ma non la trama e i non casuali nessi causali.

perché quindi una città accolga non solo un mercato, ma anche una fiera, una panhvguri" (cioè, etimologicamente, una pa'n-ajgorav, un grande mercato), ci vuole un duraturo potere dei ceti “medi” e mercan-tili, e questo è il caso di volsinii, che - torniamo a dire - ha nelle sue necropoli la negazione delle chiuse e ostentatorie logiche aristocrati-che, e percorrerà infatti tutte le tappe della progressiva conquista del potere da parte dei ceti subalterni. un percorso testimoniato nella loro progressione dalle fonti58, un percorso che - come a roma - avrà avuto i suoi momenti di crisi e di conflittualità interna, forse leggibili nelle molteplici trasformazioni, abbandoni e distruzioni che lo scavo del fanum al campo alla Fiera sta portando alla luce59.

Una realtà urbana che sostenga mercati e fiere non può infatti impedire un progressivo evolversi della propria società. l’istituzione di una fiera permette di superare tutta una serie di ostacoli economici e concreti che nell’antichità rallentavano la redistribuzione della ric-chezza, delegandola ai rapporti tra prìncipi, o alle guerre60 e davano alla merce - e quindi alla capacità di produrla - un valore non ogget-tivo, non “di mercato”.

La fiera rende possibili, certi e sicuri i luoghi e i momenti, i pe-riodi, gli appuntamenti di mercato, come i modi e le vie per giungervi; i mercanti possono quindi intraprendere il loro cammino autonoma-mente, con percorsi dapprima ramificati in quella periferia da dove loro stessi hanno origine, transitando quindi in un territorio meno incerto, di cui conoscono lingua e possibili propensioni ostili; nella certezza del periodo in cui si svolge la fiera, i trasporti si possono poi concentrare in convogli, e concentrandosi nell’avvicinarsi al centro mercantile gli itinerari possono esser resi certi e sicuri dalla realtà urbana che la fiera stessa bandisce.

Il mercato e la fiera concretizzano un vero guadagno, diretto e immediato, nell’atto del vendere, mentre nell’economia del dono il “guadagno” è indiretto, è insito nelle conseguenze dell’atto (creazio-

muoveva intorno alla panhvguri" del fanum voltumnae: il dio locale viene sostituito dal santo locale, ma le forme e le dinamiche esterne ed interne rimangono le stesse.

58 CheriCi 1999, p. 202 ss.59 vedi qui la relazione stopponi. ringrazio la prof.ssa stopponi per avermi

in più occasioni fatto partecipe della molteplicità di situazioni emerse nello scavo di campo alla Fiera. a lei e alla prof.ssa c. Giontella sono debitore di molteplici stimoli e informazioni. a claudia dedico queste pagine.

60 nel primo e nel secondo trattato roma / cartagine guerra e commercio sono del resto considerati insieme (Pol. III 22, 4-13; 24, 3-13), ancora alla metà del Iv sec. bottino di guerra e regole commerciali sono accomunate negli accordi tra città greche: Meiggs-leWis 2004, nr. 42.

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ne o consolidamento di legami), non si avvera né si esaurisce nell’at-to in sé.

Il mercato e la fiera identificano un luogo specifico destinato allo scambio, luogo assente nell’economia del dono, nell’economia autar-chica e chiusa.

Il grande mercato annuale comporta l’innescarsi dei primi mec-canismi di concorrenza: merci di diversa provenienza si concentrano e possono esser quindi messe a confronto, sia come qualità che come prezzo: processo impossibile in scambi di scala minore.

venditori e acquirenti possono emanciparsi dalle norme del baratto e - rispettivamente - possono capire l’entità e il tipo della domanda e dell’offerta di merci diverse in un contesto diverso dal proprio, adeguandosi anno per anno alla richiesta o alla proposta migliore.

le merci acquistano per la prima volta un valore dettato non dal-la necessità (di vendere come di comprare), dal caso, dalla unicità (della domanda e/o della offerta) o dalla ostentazione, ma dalla legge della domanda e dell’offerta: la fiera innesca quindi - seppur in forme primordiali - quella che diverrà la moderna economia di mercato.

La fiera provoca anche un evolversi da un punto di vista del di-ritto, come del definirsi degli attori economici: nelle comunità “primi-tive” il diritto è collettivo (anche là dove esista un principe, visto che esso si colloca al di fuori della società) e si manifesta verso il singolo in forme repressive, raramente distributive, cioè non emana regole che salvaguardino un interesse diverso da quello collettivo (o da quello del principe); il mercante si pone di fronte alla fiera, e alla comunità che la bandisce, come individuo: se prima lo scambio era svolto tra prìncipi o tra aristocratici, cioè tra individui “altri” e isolati, autoreferenziati rispetto al gruppo, adesso è la comunità che accoglie il singolo, dando inevitabilmente veste economica, giuridica, politica a una entità, l’indi-viduo, prima non percepita61. nell’economia del dono gli attori possono servirsi di intermediari di rango inferiore, ma gli attori stessi sono di pari rango: il rapporto è all’insegna della reciprocità, si può estendere orizzontalmente, come poi con le tesserae hospitales, non verticalmen-te. lo stesso accade nell’economia redistributiva innescata dalla razzia o dalla guerra, ove - in estrema sintesi - tutto si basa su parametri di età (nelle società primitive), su un capo militare62 (nelle società pre- e

61 Sono, queste, dimensioni filosofiche purtroppo non esplorabili visto il nau-fragio della letteratura etrusca, ma forse non è un caso che nelle pitture del ceto “bor-ghese” di Tarquinia troviamo la figura del phersu, personaggio mascherato che darà poi al latino la parola “persona”: il concetto di individuo (individuo-maschera) trovereb-be quindi una sua attestazione nella società tardoarcaica tarquiniese.

62 Moreno 2011.

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protourbane), e/o sul sistema di accesso ai ranghi della milizia (nelle prime società urbane).

lo scambio di mercato non si basa più su legami sociali o politici tra gli attori dello scambio medesimo, ed emancipa l’economia dagli steccati sopra delineati; la fiera contribuisce ad abbattere steccati tra società contigue o anche lontane; l’ospitalità della fiera è pubblica, non privata.

la garanzia del mercato e delle sue transazioni, la protezione dei mercanti, anche stranieri, è il riflesso di un bisogno oggettivo di una comunità urbana che sullo scambio mercantile, sul transito di beni materiali - che, vedremo, possono esser anche greggi -, sulla certezza e regolarità di tali eventi, fonda evidentemente una parte importante della sua economia e quindi del suo peso politico.

Dai punti sopra evidenziati, è chiaro che il formarsi di una fie-ra, di un mercato emporico, velocizza l’evoluzione delle premesse so-ciali, politiche, economiche che quel mercato hanno creato, e questo trasforma profondamente, anno per anno, la società ospite ma anche le realtà socioeconomiche che alla fiera afferiscono, soprattutto se a fianco di essa si celebra una qualunque forma assembleare.

asylum

ma torniamo alla domanda, su quali margini di sicurezza poteva contare chi da realtà esterne e lontane si recava al fanum voltum-nae?

la storia più antica di roma ci offre modelli forse applicabili an-che alla realtà volsiniese. È noto come la traccia fossile di un im-portante transito di persone e armenti captato dal guado dell’Isola tiberina ci sia tradita dal mito di ercole e caco: già l’analisi anti-ca aveva intuito che la storia del passaggio di ercole, dell’uccisione di caco e della fondazione del culto dell’ara massima erano basati sull’interesse della prima comunità romana per i traffici e per la loro protezione63, protezione che appare dapprima affidata al dio, il dio delle vie erculee64.

l’analisi storica antica sembra anche registrare il progressivo depotenziarsi dell’ancestrale protezione divina, e la necessità di so-stituirle qualcosa di più concreto. servio, commentando il brano vir-giliano sull’asylum romuleo (ad aen. vIII 342), annota:

63 sul culto: Torelli 2010, p. 309 s., con bibl.64 ps. arisT., de mirab. ausc. 85; Coarelli 1988, p. 109 ss.; BoneTTo 1999, p.

291 ss.

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“asyluM reTuliT postquam hercules migravit e terris, nepotes eius ti-mentes insidias eorum quos avus adflixerat, Athenis sibi primi asylum, hoc est templum misericordiae, collocarunt unde nullus posset abduci, quod etiam statius (theb. XII 498) dicit, ut ‘herculeos fama est fundasse nepotes’. Ideo ergo ait ‘quod romulus acer asylum retulit’, hoc est fecit ad imitationem atheniensis asyli: quod ideo romulus fecit, ut haberet advenas plures cum quibus conderet romam. ergo ‘retulit’ aut restituit aut nominavit. Iuvenalis ‘et tamen ut longe repetas longeque revolvas nomen, ab infami gentem deducis asylo’. sane hoc non ad euandri per-sonam adplicatur, quod ipse aeneae retulerit.” l’archetipo dell’asylum romuleo, quindi, è messo in relazione a

ercole e alla protezione erculea che, scomparso l’eroe, doveva esser diversamente confermata e garantita. atene - città mercantile - crea così un asylum, e su quel modello ne crea uno romolo.

ma cosa indicava realmente la parola asylum? perché l’asylum si può collocare nella tradizione erculea, in particolare nella tradizione della lotta positiva dell’eroe contro ciò che rende insicuro un territo-rio, contro forze negative che dopo la sua morte potrebbero ripresen-tarsi, come detto nel passo di servio?

Per rispondere analizziamo le fonti per le fiere anteriori o con-temporanee a quella volsiniese. tarquinio il superbo organizza il cul-to di Giove laziale sul monte cavo, e la relativa panhvguri": in linea con le esigenze di un potere di tipo dinastico siamo ben lontani da roma, pressoché nulle sono quindi le ripercussioni di tale realtà sulla gestione politica interna, mentre importante è l’impatto sull’econo-mia e sulla “politica estera”: la dislocazione è fortemente decentrata, la fiera è una ajgorav periferica strategicamente posta - come sottoli-nea dionigi di alicarnasso65 - in un punto centrale tra latini, ernici e volsci, sulle vie della transumanza attive già dall’età del bronzo, di cui il Monte Cavo è riferimento geografico66.

a questi elementi “strutturali” che fanno del luogo un crocevia naturale, tarquinio aggiunge importanti elementi politici, sovra-strutturali: un sistema di alleanze, un’assemblea, una tregua, il tutto sancito da precisi accordi congiunti. se sul monte cavo transitavano e s’incontravano prima le greggi transumanti, adesso gli accordi ga-

65 Tarkuvnio" lambavnwn iJero;n e[gnw koino;n ajpodei'xai ÔRwmaivwn te kai; Lativnwn kai; ÔErnivkwn kai; Oujolouvskwn tw'n ejggrayamevnwn eij" th;n summacivan, i{na sunercovmenoi kaq∆ e{kaston ejniauto;n eij" to;n ajpodeicqevnta tovpon panhgurivzwsi kai; sunestiw'ntai kai; koinw'n iJerw'n metalambavnwsin. […] e[nqa poihvsontai th;n suvnodon ejn mevsw/ mavlista tw'n ejqnw'n keiv-menon o[ro" uJyhlovn, o} th'" ∆Albanw'n uJpevrkeitai povlew", ejn w|/ panhguvrei" t∆ ajna; pa'n e[to" a[gesqai kai; ejkeceiriva" ei\nai pa'si pro;" pavnta" ejnomoqevthse qusiva" te suntelei'sqaikoi-na;" tw'/ kaloumevnw/ Latiarivw/ Δii; kai; sunestiavsei", tavxa" a} dei' parevcein eJkavsthn povlin eij" ta; iJerav, kai; moi'ran, h}n eJkavsthn dehvsei lambavnein. aiJ de; metascou'sai th'" eJorth'" te kai; th'" qusiva" povlei" triw'n devousai penthvkonta ejgevnonto (Iv 49, 1-2).

66 enea nel lazio, p. 93; BarToloni 1987, p. 197.

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rantiscono una sicurezza nuova, politica, a soggetti economici diversi e più evoluti: non solo pastori ma anche mercanti, pellegrini, emissari politici. Gli accordi reciproci, le leggi scritte integrano e permettono di superare la naturale sicurezza offerta nei secoli precedenti dai gruppi transumanti, organizzati in modo da proteggere se stessi e le proprie greggi dalle minacce dell’uomo e della natura, possibili veicoli non solo di animali e prodotti della pastorizia, ma anche di altre merci, come di mercanti, artigiani, che alla carovana di pastori si potevano accodare sfruttando i prevedibili appuntamenti, i regolari passaggi di un gruppo che, a date precise, compie uno stesso percorso nei due sensi, assicurando agli scambi un itinerario certo, un minimo di sicu-rezza e una regolarità semestrale: dall’età del bronzo siamo passati all’età del ferro, e ci affacciamo all’età storica, a una rete di scambi dettati dalla pendolarità del bestiame si passa a una rete fissata da reciproci accordi sottoscritti e garantiti dalla divinità, ma anche dal peso politico, economico, militare delle parti.

le forme della protezione “politica” sono precisate per il santua-rio e la panhvguri" di diana sull’aventino67: servio tullio esprime un potere diverso da quello dinastico dei tarquini, il suo stesso nome lo dichiara contiguo a classi non (ancora) egemoni, la sua riforma per l’accesso alla milizia pone regole che non sono quelle del sangue o dell’appartenenza, ma sono di esclusiva natura economica. Il santua-rio-mercato che roma promuove è in rapporto con dinamiche inter-nazionali, con la colonizzazione ionica che da poco ha fondato marsi-glia68 avendo prima toccato la foce del tevere69; ed è collocato subito alle porte della città, in un luogo che da allora sarà particolarmente caro alla plebe: leggi scritte sanciscono qui un iJero;n a[sulon.

“leggi scritte” greche di un secolo dopo chiariscono il ben imma-ginabile valore mercantile di una parola - a[sulo" / asylum - che ha evoluto poi significati per noi fuorvianti: l’ajsuliva non è originaria-mente, o almeno non è soltanto, una protezione religiosa o politica

67 Toiau'ta diexelqw;nsunebouvleuen aujtoi'" iJero;n a[sulon ajpo; koinw'n ajnalwmavtwn ejn ÔRwvmh/ kataskeuavsasqai, ejn w|/ quvsousiv q∆ aiJ povlei" sunercovmenai kaq∆ e{kaston ejniauto;n ijdiva" te kai; koina;" qusiva" kai; panhguvrei" a[xousin, ejn oi|" a]n oJrivswsi crovnoi", kaiv, ei[ ti gevnoito provskrousma aujtai'" pro;" ajllhvla", ejk tw'n iJerw'n tou'to dialuvsontai, tai'" a[llai" povlesin ejpitrevyasai ta; ejgklhvmata diagnw'nai. diexiw;n tau'ta te kai; o{sa a[lla e{xousin ajgaqa; bouleuthvrion ejgkatasthsavmenoi pavnta" e[peise tou;" ejn tw'/ sunedrivw/ parovnta": kai; meta; tou'to kateskeuvasen ejx w|n a{pasai sunhvnegkan aiJ povlei" crhmavtwn to;n th'" ∆Artev-mido" newvn, to;n ejpi; tou' megivstou tw'nejn th'/ ÔRwvmh/ lovfwn iJdrumevnon Aujentivnou: kai; tou;" novmou" sunevgraye tai'" povlesi pro;" ajllhvla" kai; ta\lla ta; peri; th;n eJorth;n kai; panhvgurin, o}n ejpitelesqhvsetai trovpon, e[taxen (Iv 26, 3-4).

68 lo xoanon era modellato sul tipo della diana efesia, come pure quello dei massalioti. sul santuario, oltre a dionigi: sTraB. Iv 1, 5; cfr. aMPolo 1970; gras 1987.

69 iusT. XlIII 3, 4 ss.

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sulle persone, ma una protezione concreta sulle persone e soprattutto sulle loro cose, sui loro possessi, com’è chiaro nell’etimologia: alfa pri-vativo + radice “sul-” di sulavw, saccheggiare, spogliare70. la copiosa documentazione epigrafica greca - offerta da “leggi scritte” che possia-mo immaginare analoghe a quelle del tempio sull’aventino - dimostra che il valore della parola è, ancora in età postarcaica, quello etimolo-gico, l’ajsuliva era la “non saccheggiabilità”, una garanzia mercantile che la città - per potenziare il proprio mercato - concedeva a entità urbane come a singoli commercianti che, in virtù di essa, saranno protetti non solo nel porto, nell’ajgorav ospitanti, ma ovunque li spinge-ranno i rispettivi giri commerciali: perché sarà la vastità di quei giri a rendere importante la città che garantisce l’ajsuliva “alla persona e alle cose, e in pace e in guerra”, presenti o in viaggio71, e che in tal modo crea intorno a sé un circuito commerciale tanto più imponente quanto maggiore sarà la sua capacità di federare altre realtà econo-miche, di proteggere con un intervento diretto - anche in luoghi lonta-ni - il mercante che, anche lontano ma dotato di tale “patente”, si trovi in difficoltà72: un recente studio di d.t. engen - cui rimando - mi esi-me dall’analizzare qui l’ampia documentazione storica ed epigrafica greca, come le dinamiche sottese alla sigla di tali accordi, all’insegna dell’ “Honor and Profit”73.

a questo punto è forse possibile proporre una nuova interpre-tazione per un noto brano di livio (I 8, 5), parallelo al commento di servio sopra discusso.

romulus, “ne vana urbis magnitudo esset, adiciendae multitudinis cau-sa vetere consilio condentium urbes, qui obscuram atque humilem con-ciendo ad se multitudinem natam e terra sibi prolem ementiebantur, locum qui nunc saeptus escendentibus inter duos lucos est asylum ape-rit. Eo ex finitimis populis turba omnis, sine discrimine liber an servus

70 kendriCk PriTCheTT 1991, p. 116 ss. 71 […] k[ai; ajsulivan ei\]/[n]ai aujtw'i kai; toi'" crhvma[si aujtoi' kai; aj]/niovnti kai;

ajpiovnti […] (IG II2 12; engen 3; 411 a.c.); […] ei\n[ai de; ajsulivan kai;] / aujtoi'" kai; crhvma[si toi'" touvtwn: to;] / de; yhvfisma tovde aj[nagrayavtw oJ gram]/[m]ateu;" oJ th'" bolh'[" ejn sthvlhi liqivn] / hi kai; kataqevtw ej[n ajkropovlei […] (IG II2 81; engen 8; ante 378-7 a.c.); […] ajsulivan kai; a[ujtoi']/[" kai; c]rhvmasin ka[i; pol]/ [evmou o[]nto" kai; eij[rhvnh]/[" […] (IG II2 286; engen 2010, nr. 10; ante 336-5 a.c.). tali accordi erano riportati su stele esposte nell’agorà o nei luoghi sacri: di tale natura doveva esser quella, in caratteri arcaici, ancora visibile presso il tempio di diana al tempo di dionigi di alicarnasso (Iv 26, 5). Credo significativo far notare che decreti in tutto analoghi, nei contenuti, nelle formule giuridiche come negli atti concreti, fossero emanati a tutela dei mercanti delle grandi fiere dell’Europa medioevale: “[…] recipientes in nostra proteccione, custodia, commenda, et guidatico speciali omnes et singulos homines et milites ad dictas nun-dinas venientes, in veniendo et stando et redeundo cum omnibus rebus et mercibus eorum […]” (Burns 2001, p. 283, doc. 730).

72 engen 2010, p. 183 ss.73 engen 2010, passim, cfr. nrr. 1, 3, 8, 10, 24 (dalla fine del V sec. a.C.).

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esset, avida novarum rerum perfugit, idque primum ad coeptam magni-tudinem roboris fuit”.come già notato da chi ha commentato il brano74, la necessità

romulea di popolare la città poteva aver risposta nella semplice acco-glienza di fuoriusciti75, qui invece viene descritta la creazione di uno spazio sacro a cielo aperto, un tevmeno", un recinto che le fonti ci dicono bordato da muretti e/o da vegetazione. se in esso - come sembrereb-be doversi intendere dando al termine asylum il significato (poi) pre-valente - trovavano protezione reietti di altre comunità, è legittimo domandarsi come potessero poi concorrere all’accrescimento di roma persone che oltre i confini di quei muri e di quelle siepi non sarebbero più state tutelate. e, volendo immaginare che fosse il solo ingresso nel tevmeno" a emancipare tali individui, è ben strano - tenendo conto della mentalità romana - che non si conservi traccia della nuova ve-ste giuridica che acquisivano tali elementi, essendo ormai fuori dalla propria comunità di origine. È certo possibile rispondere che la nostra documentazione storica ha ben più ampie lacune, ma forse possiamo dare al brano un’altra intepretazione, che ha il beneficio di alcuni possibili appigli esterni.

l’asylum, così come lo cita servio, in rapporto con ercole e con la sua protezione, è forse più vicino alla realtà storica di quello descritto da Livio, che forse è influenzato dal significato recensiore del termine: un luogo che offre asilo ed emancipa non sembra esser esistito a roma fin dopo la morte di Cesare76, studi specifici sull’asylum e sull’ajsuliva hanno evidenziato che solo in età ellenistica i termini in questione assumono valenze giuridico-religiose di affrancamento della persona, secondo un istituto che non è più quello originario, commerciale77, e solo in età imperiale abbiamo l’istituzione di asyla che riempivano i templi di schiavi e reietti, dando però i problemi sopra accennati: la protezione era limitata all’area de tempio o del tevmeno", e molte situazioni imposero l’intervento dell’autorità centrale78. a suggellare la nostra - moderna - interpretazione salvifica dell’asylum romuleo ha pensato poi sant’agostino79, che vede in quanto creato da romolo un segno divino di quello che sarà poi la roma cristiana, un asilo che

74 vernole 2002, p. 147.75 su tale interpretazione, da ultimo: BelTraMi 1998, p. 94 ss.76 dio. Cas. XlvII 19.77 kendriCk PriTCheTT 1991, p. 125; rigsBy 1996; BederMan 2004, p. 126.78 “crebrescebat enim Graecas per urbes licentia atque impunitas asyla sta-

tuendi; complebantur templa pessimis servitiorum; eodem subsidio obaerati adversum creditores suspectique capitalium criminum receptabantur, nec ullum satis validum imperium erat coercendis seditionibus populi flagitia hominum ut caerimonias deum protegentis” (TaC., an. III 60).

79 De civ. dei I 34.

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tutti accoglie. non escluderei che livio, in assenza di fonti ulteriori, abbia “interpretato” e completato la notizia della creazione romulea di un asylum dando al termine il valore emancipatorio corrente alla sua epoca.

ma quest’area delimitata, nel cuore della città romulea, nella val-letta tra l’arx e il capitolium, ospita forse quello che più manca a una città nuova, nata sul guado tiberino, per diventar grande: lo spazio per il mercato. suggestive sono le parole con cui Glotz descrive le ajgorai; delle prime città greche: un luogo delimitato, neutrale e sacro ove i membri di differenti villaggi o clan si possono incontrare per transa-zioni pacifiche, scambi, arbitrati80; ajgorav qew'n eJstiva81 quindi, protetta dagli dèi, in un mondo in cui la sola fonte del diritto è la comunità di sangue e di culto, e uccidere, rapire, rapinare l’estraneo è un atto ono-revole82: xevno", lo straniero, ha lo stesso formante di kteivnw, uccido, e nel latino delle origini hostis equivale a peregrinus (var. l.l. v, 3; CiC. De off. I 12, 37).

Forse l’asylum romuleo non è nient’altro che il primo foro, il pri-mo luogo di mercato, quando ancora la valle del Foro romano non è drenata, ed è interessata dalla necropoli; del resto, a romolo è fatta risalire la periodizzazione delle nundinae83 e numa poi - cui la tradi-zione affida il compito di dar veste istituzionale e religiosa all’Urbe - sancirà precise garanzie per uno sviluppo economico che si basi sulla proprietà privata e sul mercato, tributando un culto a terminus - a tutela della proprietà immobiliare - e a fides - a tutela delle transa-zioni commerciali -, e fides avrà il suo tempio poco sopra l’asylum.

perché, già nell’antichità, si è trasformato così radicalmente il concetto di “asilo”? perché nel mondo ellenistico e romano-imperiale la necessità di una garanzia di protezione fisica, materiale, assicurata dai trattati commerciali precedenti viene meno: il territorio e il mare sono ormai sufficentemente sicuri, i singoli trattati commerciali ven-gono accorpati nel più generale ed esteso ius nundinarum, che passe-rà ad assicurare, soprattutto nei mercati di confine, una immunitas di altro genere: quella fiscale84.

torniamo quindi al fanum voltumnae e all’epoca dei suoi con-cilia: trattati congiunti di tutela, di ajsuliva dovevano funzionare per l’etruria, per roma, cioè per quelle realtà urbane che avevano scelto il modello di sviluppo mercantile ed accettavano una grande fiera alle

80 gloTz 1926, p. 113.81 arisT. ael. I 441.82 huvelin 1897, p. 338.83 MaCr. I 16, 32; dion. hal. II 28, vIII 58, X, 1; altre fonti attribuiscono la

cosa a servio tullio o ai primi consoli84 de lighT 1995.

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loro porte, e con essa la via di una progressiva - seppur conflittua-le - evoluzione dei rapporti sociali, economici e politici interni. e qui possiamo forse azzardare una risposta a quanto ci siamo chiesti in precedenza: esisteva una riunione o una panhvguri" federale prima di quella del fanum voltumnae? Forse no. Se la fiera sostituisce con l’ospitalità pubblica, con l’asylia, quello che era il rapporto di ospita-lità tra maggiorenti, se la fiera offre a garanzia uno statuto federale tra le città che a quella fiera mandano mercanti ed emissari politici, è ancora l’annalistica romana che - annotando dettagli significativi - ci fa capire che nei decenni precedenti l’attestazione dei concilia volsi-niesi qualcosa era sostanzialmente cambiato. Alla fine del VI sec. i tarquini cacciati da roma non si rivolgono a una lega, si muovono tra le singole città, dove trovano ascolto e ospitalità evidentemente sulla base di relazioni personali, come si addice ai re (liv. II 6); un secolo più tardi saranno invece dei meccanismi federali a isolare il re di veio. lo scontro che deriva dal primo appello dei tarquini (cui rispon-dono veio e tarquinia) prevede ancora un duello eroico individuale, quello dei capi: arrunte tarquinio si scontra con Bruto. I tarquini poi si rivolgeranno ancora a una singola città e a un singolo personaggio, porsenna; e per porsenna colonna ha proposto un potere dittatoriale che ben s’inserirebbe nella nostra proposta di veder volsinii giungere precocemente alla destrutturazione di forme di potere monarchiche e/o aristocratiche e al formarsi di un nuovo ceto politico, quello che so-sterrà il formarsi della grande fiera federale del fanum voltumnae.

il pendolo della transumanza

torniamo alla collocazione del fanum: il quadrante etrusco e quello romano potevano garantire il successo della panhvguri", pro-teggere il cammino e la permanenza di mercanti e delegati politici attraverso trattati condivisi, attraverso istituti giuridici quali quelli dell’asylum (se vogliamo dar per buona la mia proposta). ma per il mondo appenninico su cui il mercato del fanum voltumnae si affac-ciava, quali tutele e quali meccanismi di transito funzionavano? non possiamo immaginare che una fiera così decentrata e prospera non fosse nata anche per captare i prodotti e gli scambi di quel mondo così vicino e così diversamente strutturato. possiamo immaginare che da quel mondo provenissero carovane transumanti, responsabili tra l’altro dei tracciati tratturali che fanno di Colfiorito un longevo snodo

85 sensi 1984, p. 225 e passim; BonoMi Ponzi 1997, p. 15; cfr. anche quiliCi 1987; quiliCi - quiliCi gigli 2002; sensi 2007; CheriCi c.s.

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commerciale: santa maria di plestia prospera nel medioevo proprio come santuario legato alla transumanza, con fiera annuale85.

se il clavus annalis di nortia avesse come a roma un rapporto con le idi di settembre, potremmo avere un indizio cronologico per animare di greggi transumanti e di mercanti la grande conca pianeg-giante, ricca di acque, del campo alla Fiera: la luna dell’equinozio di autunno - data ben identificabile anche per le comunità che non hanno un calendario solare - cade proprio nel periodo della demonti-cazione: dall’appennino le greggi scendono verso il mare, sull’uno e sull’altro versante. dal XvI sec. d.c., cioè da quando le registrazioni doganali ci danno sicure notizie su transiti e percorsi, sappiamo che dai monti sibillini e dal maceratese le greggi scendevano al “3° capo di maremma”, quello più meridionale, passando dai monti martani e dall’orvietano ed entrando in toscana nella zona di castell’azzara: nel lungo iterarsi di tale contatto si formerà in maremma un’impor-tante razza ovina, la vissana prima, la supervissana poi (da visso, nell’alta valnerina)86.

Per scendere nel tempo occorrerebbero specifiche ricerche di ar-chivio. ove queste siano compiute in profondità non sembrano man-care le conferme alla nostra ipotesi: in appena 15 anni (dal 1347 al 1362) attraversano i monti martani a Firenzuola, toccano il colle di todi, proseguono quindi per orvieto e la maremma laziale, circa 600.000 capi87. a orvieto le rendite della dogana del bestiame sono cospicue, e consentono tra l’altro, all’inizio del sec. XvI, il costoso restauro di ponte Giulio, sul paglia88; forse significativo il fatto che ancor oggi la località vicina al campo alla Fiera rechi il nome di Ga-belletta. la traccia toponomastica (soprattutto quella di campo alla Fiera, sul sito che - con ogni probabilità - fu quello della panhvguri") non testimonia necessariamente - e ovviamente - una diretta connes-sione tra eventi e funzioni antichi ed eventi e funzioni medioevali o moderne; testimonia però che la natura dei luoghi, inserita nelle di-

86 sCheuerMeier 1980, vol. 1, fig. 2 (Fig. 2); PaCi 1988; goBBi 1988; Calzolai - MarCaCCini 1994, p. 97 s.; Massaini 2005, p. 256 ss. credo opportuno precisare che i percorsi tratturali in questa parte di appennino erano ben diversi dal tratturo magno della grande transumanza tra l’abruzzo e la puglia: i boschi erano attraversati con semplici piste, talvolta limitate da pietre (Fig. 3). Faccio notare poi come, nella sua semplicità primordiale, le forme esteriori della transumanza non siano cambiate se non con l’avvento della motorizzazione: una foto del 1925 scattata dallo scheuermeier ad amelia, a un gregge di ritorno dalla maremma, con il vergaro e i pastori, con il carro di appoggio, propone la stessa immagine del rilievo della transumanza, da sulmona (Fig. 1) (antiche genti 1994, nr. 733). ringrazio l’amico moreno massaini per aver con-diviso con me la sua profonda conoscenza sulla transumanza appenninica.

87 zeri 1990, p. 86.88 Prinzivalli 1857, p. 47; FuMi 1922, p. 326; cfr. anche archivio storico comu-

ne di acquapendente, dpl 1/36.

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namiche di transito della regione, ha prodotto esiti affini ove si siano presentate condizioni socioeconomiche affini. Nel caso particolare: in una economia ancora essenzialmente agricolo-pastorale quale quella del centroitalia preindustriale, in un territorio di passaggio tra cli-mi e manti erbosi e forestali diversi, in una zona di confine tra stati diversi (ove si ripopola l’urbs vetus), in un’area pianeggiante lungo una via, servita da sorgenti e “protetta” da una città (quale campo alla Fiera), è rinata e ha prosperato una fiera annuale, si è ripresen-tato un passaggio transumante, analoghi a quelli che la distruzione della città e la sua ricollocazione (volsinii novi) avevano provato a smantellare89.

torniamo al possibile paesaggio economico antico, sotto la rupe: come sopra accennato, dobbiamo superare l’idea che le greggi tran-sumanti portassero soltanto prodotti derivati dalla pastorizia. ac-codarsi a tali periodiche carovane - composte dai pastori e dai loro famigli - era una sicura opportunità di viaggio e di contatti per qua-lunque commerciante e qualunque artigiano: il vergaro - il capopasto-re - conosceva l’itinerario, sapeva se si attraversavano luoghi perico-losi, clan o popolazioni ostili, sapeva proteggere da attacchi persone animali e cose viaggiando il gruppo sempre armato90, assicurava il so-stentamento, conosceva che cosa popoli, piccoli o grandi insediamenti, mercati lungo la via offrissero o chiedessero in fatto di merci come di competenze artigianali. Assicurava infine il ritorno con percorso inverso, attraverso le stesse piste, attraverso gli stessi luoghi, con periodica regolarità: un ritorno “protetto” che poteva certamente inte-ressare il mercante che avesse fatto buoni affari, o poteva consentire all’artigiano che avesse trovato una nuova realtà in cui aprir bottega, di mantenere i contatti con l’ambiente di provenienza.

l’economia di volsinii, almeno nel momento in cui il fanum è sede federale, può sfruttare quindi a ovest il bacino di un mondo ur-banizzato, ove i traffici sono protetti da trattati garantiti dalla politi-ca, dall’accordo che sta alla base dell’esistenza stessa del concilium, a est i transiti transumanti del mondo ancora non urbanizzato dei

89 Infatti, come sembra di poter affermare leggendo le fonti, l’intervento roma-no del 264 viene sollecitato dalle aristocrazie possidenti insediate nelle campagne, del tutto estranee all’economia sempre più fiorente - basti pensare al bottino di M. Fulvio Flacco - e all’evoluzione politica “mercantile”, “borghese” della città sulla rupe: sradica-re l’insediamento urbano era quindi un servizio e una garanzia per le aristocrazie fau-trici dell’intervento romano, e un servizio per roma, che eliminava così un importante polo economico tiberino (CheriCi 1999).

90 Abbiamo visto come alla fine del IV sec. due romani attraversino la Selva cimina, per non destar sospetti, “pastorali habitu, agrestibus telis, falcibus gaesisque binis armati” (liv. IX 36).

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gioghi dell’appennino. di volsinii le fonti ci fanno conoscere due dèi, voltumna e nortia, entrambi legati allo scorrere del tempo. Il raccor-darsi di tempo e luogo sono alla base di un’assemblea federale, come di una fiera.

È un quadro, quello che ho proposto, che cerca di ricomporre un mosaico di cui restano pochissime tessere; ho creduto d’intravveder-ne un disegno dando risposte verosimili a domande reali; ma il caso dell’asylum romuleo evidenzia la nostra difficoltà anche nell’interpre-tare fonti apparentemente chiare, … nomina nuda tenemus.

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Fig. 1 - sulmona, chiesa di s. maria pietraluna, rilievo della transumanza (I sec. a.c.).

Fig. 2 - amelia, 1925, gregge transumante di ritorno dalla maremma (da sCheuerMeier 1980).

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Fig. 3 - ricostruzione di un sentiero di transumanza in am-biente boschivo, in uso nell’Appennino Centrale fino al secon-do dopoguerra (dis. l. dell’uomo).

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