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Settimanale di politica, cultura ed economia realizzato dal Centro di Studi e iniziative culturali “Pio La Torre” - Onlus. Anno 4 - Numero 45 - Palermo 13 dicembre 2010 ITALIANI malgrado tutto ISSN 2036-4865

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ITALIANI malgrado tutto

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Settimanale di politica, cultura ed economia realizzato dal Centro di Studi e iniziative culturali“Pio La Torre” - Onlus. Anno 4 - Numero 45 - Palermo 13 dicembre 2010

ITALIANImalgrado tutto

ISSN 2036-4865

GerenzaASud’Europa settimanale realizzato dal Centro di Studi e iniziative culturali “Pio La Torre” - Onlus. Anno 4 - Numero 45 - Palermo, 13 dicembre 2010Registrazione presso il tribunale di Palermo 2615/07 - Stampa: in proprioComitato Editoriale: Mario Azzolini, Mario Centorrino, Gemma Contin, Giovanni Fiandaca, Antonio La Spina, Vito Lo Monaco, Franco Nicastro, Bianca Stan-canelli, Vincenzo Vasile.Direttore responsabile: Angelo Meli - In redazione: Davide Mancuso - Art Director: Davide MartoranaRedazione: Via Remo Sandron 61 - 90143 Palermo - tel. 091348766 - email: [email protected] giornale è disponibile anche sul sito internet: www.piolatorre.itLa riproduzione dei testi è possibile solo se viene citata la fonteIn questo numero articoli e commenti di: Maurizio Ambrosini, Nando Dalla Chiesa, Melania Federico, Antonella Filippi, Enzo Gallo, Salvo Gemmellaro, An-tonio Ingroia, Franco La Magna, Giuseppe Lanza, Salvatore Lo Iacono, Antonella Lombardi, Vito Lo Monaco, Federica Macagnone, Davide Mancuso, FilippoPassantino, Francesco Renda, Francesca Scaglione, Gilda Sciortino, Maria Tuzzo, Liu Xiaobo.

Il crepuscolo del BerlusconismoVito Lo Monaco

Non sappiamo che incidenza avrà la riuscita manifestazione

del Pd dell’altro ieri sul voto di sfiducia di domani al go-

verno Berlusconi. Certa è la speranza che essa ha susci-

tato nel popolo del Pd al quale ha ridato la fiducia nel suo futuro,

minacciato, più che dal centrodestra, dai dissidi interni ai propri

gruppi dirigenti.

In questo momento, in Italia si respira aria da fine impero, con la

crisi globale del capitalismo (il nuovo mondo barbaro) già dentro i

suoi confini. Eppure, mentre appare chiaro l’esaurimento di una

fase storica, quella del Berlusconismo, non lo è altrettanto quello

del centrodestra, soprattutto per l’incerta coesione del centrosini-

stra.

I fenomeni corruttivi dilaganti nella vita del Paese, dalla P3 agli af-

fari sospetti delle ex-Partecipazioni Statali, dal controllo dei media

al tentativo di assoggettare tutti i poteri “terzi”- dalla Corte Costi-

tuzionale alla Magistratura- sino alla compra-

vendita dei parlamentari, sono stati colpi di

maglio alle strutture della democrazia repubbli-

cana che, nonostante tutto, hanno retto come

hanno dimostrato le opposizioni politiche, le

manifestazioni sindacali, del popolo antimafia,

del popolo viola, del Pd.

È solo la fine del Berlusconismo o anche quella

del sistema politico nato dalla Resistenza?

Con Tangentopoli, dopo il crollo del muro di

Berlino, si materializzò la crisi dei partiti di

massa del dopo fascismo, a seguito di un lungo

periodo di incubazione che attraversò la crisi

del centro sinistra storico e la fine del Craxismo,

vero progenitore del Berlusconismo, del suo populismo e delle sue

pulsioni autoritarie. Quella crisi generò la vittoria dell’antipolitica

di Berlusconi, sorprendendo i gruppi dirigenti della sinistra che non

seppero cogliere nel Paese i mutamenti, sociali, economici e

anche culturali, questi ultimi preparati a loro volta dall’esaltazione

dell’individualismo e del rampantismo, da un decennio di soap, se-

rial, Grande Fratello, in stile Mediaset e copiate passivamente

dalla Rai lottizzata. Inoltre non aver voluto o potuto bloccare con

norme rigorose il conflitto di interessi di Berlusconi, ha favorito i

poteri forti, la corruzione, le trame oscure, ma non tanto segrete,

con la mafia e con il suo terrorismo stragista. Tangentopoli fu av-

viata da una magistratura coraggiosa ma supplente del potere po-

litico inadatto ad autoriformarsi. Infatti, non poté cancellare i

fenomeni corruttivi intriseci alla classe dirigente politica, aprendo

involontariamente la strada all’antipolitica.

Pure oggi, di fronte alla crisi del Berlusconismo, si manifesta il

ruolo supplente della Magistratura, sinora indipendente, ep-

però, se non c’è un centrosinistra convincente, quale sarà lo

sbocco istituzionale e politico?

Quanto potrà reggere l’equilibrio precario della nostra demo-

crazia, in bilico tra una Costituzione pensata per una repubblica

parlamentare e una costante tensione autoritaria della classe

dirigente in senso lato, compresa quella imprenditoriale alla

Marchionne?

La Costituzione è stata pensata per un paese di produttori, (per-

ciò fondata sul lavoro e sulla funzione sociale della proprietà),

non di consumatori indistinti, ma comunque ineguali. Dopo se-

dici anni di Berlusconismo un’esigua minoranza sociale pos-

siede la maggior parte della ricchezza del paese, creata dalla

maggioranza dei produttori sempre più impo-

veriti.

Bersani di fronte alla folla speranzosa di

piazza S.Giovanni, ha potuto facilmente pren-

dere atto della crisi e del fallimento del centro

destra che non ha saputo affrontare la crisi

globale del sistema capitalistico come ha

fatto la maggior parte dei paesi europei. Anzi

ha indebolito il Welfare, i redditi e i consumi

delle famiglie accrescendo le fasce di povertà

e di disagio sociale; ha diviso ulteriormente il

paese, non solo tra Nord e Sud, attizzando i

localismi e le xenofobie per deviare l’atten-

zione sociale dalla crisi reale.

La compravendita dei parlamentari e la corruzione non fanno

ben sperare nella capacità di reazione positiva dei “nominati”

delle Camere.

Il Parlamento è già in crisi di credibilità per ospitare collusi, in-

dagati e condannati per mafia e per corruzione; è stato svuotato

dalle leggi ad personam e dal ricorso continuo e generalizzato

alla decretazione d’urgenza; ha avuto sinora un’opposizione di

centrosinistra quasi pudica nel ricorso alla mobilitazione popo-

lare a sostegno della sua azione di opposizione.

Il Paese ha bisogno, dunque, di scrollarsi d’addosso quella

parte di classe dirigente più compromessa per ripensare la sua

unità e un rinnovato patto sociale per il suo futuro.

Come? Con un nuovo Risorgimento? Con una nuova Libera-

zione?

Il Paese ha bisogno discrollarsi di dossoquella parte di classedirigente più compro-messa per ripensarela sua unità e un rin-novato patto socialeper il futuro

Gilda Sciortino

Erano 127.310, al 31 dicembre 2009, gli immigrati presenti inSicilia, con un incremento dell’11% rispetto all’anno prece-dente e un’incidenza del 2,5% sul totale dei residenti. Que-

sto, contro la media italiana del 7%. I nati da genitori di altranazionalità, per esempio, hanno rappresentato il 12,4% del totaledelle nascite, a fronte di una media italiana del 13,5%, con una ri-levanza di minori stranieri, sul totale dei residenti non autoctoni,pari al 19,8% e inferiore nel Mezzogiorno solo al Molise e alla Pu-glia. La fascia di età più presente tra i migranti è quella compresatra i 18 e i 39 anni, praticamente il 48,8% del totale degli stranierie il 4,2 % della popolazione complessiva con la stessa età anagra-fica. Ad avere, poi, meno di 18 anni é il 2,8% degli immigrati, men-tre lo 0,3% del totale è rappresentato dagli over 65.Ecco, dunque, parte dei dati raccolti, elaborati e restituiti dal “Dos-sier Caritas/Migrantes”, che quest’anno festeggia la sua ventesimaedizione, confermandosi strumento ecclesiale utilizzato da tutti co-loro che lavorano in un contesto interculturale - esperti del settore,del mondo accademico e di quello scientifico - in attesa di rilevare,a partire da esso, il quadro del fenomeno nella sua complessità.“Siamo partiti nel ’90 con 500mila migranti presenti in tutta Italia.Secondo la stima del nostro Dossier - afferma Santino Tornesi, di-rettore dell’Ufficio regionale per le migrazioni della Conferenza epi-scopale siciliana -, oggi gli stranieri regolarmente presenti nelnostro paese sono circa 4 milioni e 900mila. In Sicilia, dicevamo,sono poco più di 127mila. Questo sempre secondo i dati dell’Istat.Se aggiungiamo a questi le domande ancora da registrare, arri-viamo a 163mila e 600, praticamente il 2,5% della popolazione si-ciliana, il 3% di tutti quelli presenti sul territorio nazionale. E’ tantoper una regione che non ha delle grandi opportunità lavorative. Lanostra è, però, una realtà in cui gli stranieri si trovano bene e ri-spondono favorevolmente a quelli che sono i bisogni di un mercatooccupazionale relativo a determinati comparti lavorativi. Devoanche dire che non ci sono delle vere novità rispetto agli anni pre-cedenti, a parte il fatto che questa immigrazione diventa semprepiù stabile, più strutturale. E’ diventata funzionale al nostro paese,che ne ha veramente bisogno, quindi bisognerebbe pensare adelle politiche migratorie rispondenti a questo tipo di necessità”.E allora, sorge spontanea la domanda: se non ci sono particolarinovità, a cosa serve l’ennesimo rapporto?“Per consolidare questa presenza - prosegue Tornesi - , per direche ha bisogno di interventi. Ma anche per dimostrare che la co-noscenza allontana dalla paura. E poi, perché il Dossier non ri-guarda soltanto i numeri relativi alle presenze. Si occupa, infatti,anche dell’ambito medico, di quello scolastico, dell’inserimentodell’immigrato nel tessuto lavorativo del nostro Paese. Oggi, oltreal lavoro subordinato, gli stranieri cominciano a diventare lorostessi imprenditori, a offrire lavoro agli altri connazionali e, a volte,anche agli italiani. Questo succede al nord come al sud. In pro-vincia di Ragusa, per esempio, ci sono degli immigrati che hannorilevato le serre di primizie. A Vittoria, in modo particolare, i tunisinidiventano già essi stessi imprenditori, anche perché gli italiani nondesiderano più lavorare in quel settore. Preferiscono studiare, an-dare all’università. La presenza dei migranti tunisini prima, quelladegli albanesi subito dopo, sfrutta questo tipo di attività lavorativa,prendendo le serre in gestione e poi acquistandole. A Palermo,poi, c’è tutta l’imprenditoria etnica del centro storico, che funziona

molto bene”.Se torniamo alla realtà di Vittoria, alle serre in cui lavoranoquasi autonomamente gli stranieri, potremmo fare un azzardoe dire che si potrebbe anche avere un loro affrancamento dallacriminalità locale?“Certamente questo può aiutare, affinché non siano più soggettia quel tipo di sfruttamento lavorativo. E’ chiaro che continuanoa esistere delle Rosarno anche in Sicilia. Penso ad Alcamo nelperiodo della raccolta dell’uva, ma anche a Cassibile con le pa-tate. Quello che diciamo è che la situazione comincia a cam-biare e sicuramente il protagonismo imprenditoriale dei migrantiaiuta a far si che loro stessi si rendano conto che, a parte il la-voro subordinato, c’è l’opportunità anche da noi di creare occu-pazione e di avere una stabilità”.Si parla tanto di seconde generazioni e delle enormi difficoltàche hanno i più giovani a essere riconosciuti cittadini, come co-loro che sono nati in questo stesso Paese da genitori italiani.Che tipo di valutazione si è fatta in merito?“Per quanto riguarda il dato nazionale, le “seconde generazioni”sono già oltre 570mila, su una presenza di minori di quasi unmilione (980mila), e costituiscono un ottavo dei residenti stra-nieri. Teniamo conto che in sociologia la presenza dei migrantisi divide in diverse categorie. Non si parla ormai solo di G2, maanche di Generazione 1.5, ossia di coloro che hanno trascorsoun periodo di socializzazione nel loro paese, dove hanno vis-suto anche parte della loro vita scolastica, e poi sono arrivatiqui. Chiaramente tutta la “seconda generazione” ci chiede diessere aiutata, soprattutto per quanto riguarda la determina-zione della cittadinanza. E’ chiaro e legittimo che si senta di-scriminata a livello istituzionale, nonostante abbia fatto tutto il

In Sicilia il 2,5% della popolazione è immigrataUn terzo proviene da Romania ed Albania

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La metà degli stranieri ha tra i 18 e i 39 anniAppena lo 0,3% ha un’età superiore ai 65

percorso richiesto dal legislatore”.Una sezione del rapporto si occupa proprio della scuola e del-l’istruzione degli immigrati, anche perché, come affermano glistessi relatori, “l’inserimento di alunni stranieri nelle scuole italianeè la sicura spia di un investimento molto importante da parte deigenitori, quello sul futuro formativo dei propri figli”. Nell’anno sco-lastico 2009/2010, gli iscritti nelle scuole siciliane sono stati17.985, con ciò portando al 2,1% la presenza degli stranieri sultotale della popolazione scolastica.“In appena un anno - si continua a leggere - gli studenti figli di ge-nitori migranti sono aumentati di circa 1.600 unità, e più di uno su3 è nato in Italia. Il picco di iscrizioni si registra alla scuola primaria(7.054), mentre alle secondarie di secondo grado si supera laquota 3.000. Il maggior numero di alunni stranieri si ha a Palermocon 4.059 iscritti, subito dopo a Catania con 3.226, quindi a Mes-sina con 2.750 giovani studenti. La maggiore incidenza la fa regi-strare la provincia di Ragusa con il 4,8%, restando comunquelontano dal dato nazionale del 7,2%. Il paese più rappresentato èla Romania con 4.399 alunni, concentrati soprattutto a Catania,Palermo, Messina e Agrigento. Scoperte, dal punto di vista dellapresenza di alunni romeni, sono Ragusa e Trapani che, rispettiva-mente con 831 e 829 alunni, vedono come prima nazionalitàquella tunisina, anche perché presente da quasi 4 decenni sul ter-ritorio. Nutrita la presenza di studenti di origine marocchina adAgrigento, Caltanissetta, Enna, Messina e Siracusa; di maurizianie cinesi a Catania; di albanesi a Ragusa e Messina; di cinesi, ben-galesi e srilankesi a Palermo; infine, di polacchi a Siracusa.E’ chiaro che i maggiori problemi per gli immigrati sorgono primadi tutto se e quando manca loro il lavoro, indispensabile per otte-nere il permesso di soggiorno. Il Dossier Caritas/Migrantes nonpoteva sottrarsi dall’esaminare il problema, partendo dai dati fornitidagli archivi Inail, che ci dicono che la Sicilia, nel corso del 2009,ha visto la presenza di 90.756 lavoratori nati all’estero (+ 4.634 ri-

spetto al 2008). L’incidenza di questi ultimi arriva, così, all’8,2%(+ 0,3% sempre in relazione al 2008). Il 20.7% è costituito dacittadini immigrati assunti da poco.Inoltre, sia tra gli occupati netti sia tra i nuovi assunti, ci sono ledonne, balzate al 36.8% nel 2009 (nel 2008 il dato era dello0.6%). Per le prime assunzioni, sono proprio queste ultime arappresentare la parte più consistente, con il 40.2% del totale.A essere maggiormente rappresentate sono la Romania con22.660 impiegati, la Germania con 11.312 lavoratori (che po-trebbero, però, essere cittadini italiani nati all’estero e tornati inpatria), e la Tunisia (10.054). Il più alto numero di occupati si re-gistra a Catania (16.724, il 6.8% sul totale della provincia), se-guita da Ragusa (15.369, con un’incidenza del 16.8% sulcomplessivo provinciale, comunque superiore alla media na-zionale) e da Palermo (15.178, pari al 5.6%). Le province diTrapani e Agrigento sfiorano entrambe il 10% (9.279 per laprima e 7.081 per la città che ospita la Valle dei Templi). Mes-sina, Siracusa ed Enna superano, invece, l’8%, rispettivamentecon 13.035, 8.216 e 2.500 occupati, mentre i 3.824 lavoratori diCaltanissetta rappresentano il 7,2% degli iscritti all’Inail. Le pro-vince in cui si effettuano più assunzioni, legate soprattutto allavoro stagionale, sono quelle di Ragusa e Trapani, venendosubito dopo Catania.Un aspetto che il Dossier valuta ogni anno, e che non va asso-lutamente sottovalutato se si vuole capire un po’ di più questofenomeno, è quello relativo all’invio delle rimesse in patria, di-retta conseguenza del lavoro e della capacità di risparmiare.Dal 1995 al 2009 gli stranieri residenti in Sicilia hanno inviatopiù di un miliardo e cento milioni di euro, oltre 223 milioni deiquali solo nell’ultimo anno di riferimento, dato pari al 3,3% ditutte le rimesse che prendono il volo dall’Italia. Cifre in progres-siva crescita, che testimoniano la reale propensione all’econo-mia che gli stranieri residenti nell’Isola riescono ad attuare. Il

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L’equazione errata immigrazione-criminalitàCalano del 9,5% i reati commessi da stranieri

flusso più ingente di denaro parte da Catania (quasi 78 milioni dieuro, con un incremento di oltre 20 milioni in un solo anno). Se-guono Palermo, che sfiora i 48 milioni, e Messina, con poco più di31 milioni. Le province di Ragusa e Siracusa si distinguono peravere aumentato di 2 milioni le quote inviate nelle rispettive patrie.La nazione verso cui viaggia più denaro è la Romania con quasi63 milioni di euro, seguita dalla Polonia con circa 6 milioni. Tra ipaesi extracomunitari si distinguono Cina (35 milioni), Bangladeshe Sri Lanka (rispettivamente 13 e quasi 12 milioni), Marocco e Tu-nisia (9,5 e 8,5 milioni). Importante per loro tutto questo, perchédall’Italia possono “veramente” dare una grossa mano di aiuto, dalmomento che, vista l’assenza di politiche nazionali e internazionalidi aiuto allo sviluppo, proprio le rimesse rappresentano un’impor-tantissima occasione di crescita dell’economia locale. Non è pos-sibile, infine, evitare di parlare di criminalità. La visione dellapresenza degli immigrati oggi è, per certi aspetti, positiva perché,nonostante il tentativo da più parti di fare sempre terrorismo sul-l’argomento, gli stessi relatori della Caritas chiedono di evitare ec-cessivi allarmismi sulla sicurezza. Anche i dati sostengono questoorientamento, dicendoci che, nel triennio 2005/2008, mentre la po-polazione straniera residente in Sicilia aumentava del 53,7%, ledenunce verso i migranti diminuivano addirittura del 9,5%. Unatendenza evidenziata fortemente nelle province di Agrigento,Enna, Palermo e Trapani, mentre nel resto dell’Isola l’aumento èsempre risultato abbastanza contenuto. Gli esposti verso i romeni,per esempio, sono cresciuti in misura fortemente inferiore rispettoall’incremento dei residenti (174,7% contro il 947, 7%) e lo stessosi è verificato per i marocchini (15,5% vs 29.0%), mentre perquanto riguarda i tunisini l’andamento è stato inverso (32,7% con-tro il 5,1%). Diminuite le denunce anche per i cinesi (- 36,9%) afronte di un sensibile aumento dei residenti (+ 56,8%), mentre pergli albanesi il dato è stato superiore a quello dei residenti (44,9%contro 15,6%). Se, poi, andiamo a vedere quali sono i tipi di reatocommessi dagli stranieri in Sicilia, scopriamo che quelli più fre-quenti registrati nel 2008 riguardano il patrimonio (21,7%), la per-sona (13,9%, di cui 1,9% di tipo sessuale).Rilevanti anche quelli contro le cose (5,8%), connessi alla droga(4,5%) e di tipo associativo (3,0%). Nel triennio 2005/2008, afronte di una sensibile diminuzione delle denunce per reati controil patrimonio (-17,2%) e di tipo associativo (- 6,3%), sono molto

aumentate quelle contro la persona (+ 45,6%), contro le cose(+33,1%), di tipo sessuale (+91,3%) e relative alle sostanze stu-pefacenti (+8,5).Dati e statistiche a parte, quello che preme ribadire a chi ha re-datto questo ampio e articolato volume è che la famosa equa-zione “immigrazione = criminalità”, più volte ripetuta dai mezzidi informazione ma anche da gran parte del mondo politico, èmolto spesso infondata. Risulta anche irresponsabile riproporlasempre, sino allo sfinimento, visto che inevitabilmente generaun clima di perenne ansia e conflitto tra nuovi cittadini e autoc-toni. “Si può dire ciò che si vuole - commenta Mario Affronti,presidente della SIMM, la Società Italiana di Medicina delle Mi-grazioni - ma la verità è che, se si riesce a capire che gli immi-grati sono una forza per il nostro Paese, si capirà anche cheproprio da loro potrà arrivare l’aiuto per uscire dalla crisi. Quelloche dico sempre io è: “cosa avremo fatto se non ci fossero statiloro?”. Lo sciopero dell’anno scorso, che ripeteremo ben pre-sto, dimostra che se non ci fossero questi 5 milioni di persone,praticamente il 7% della popolazione, il “sistema Italia” crolle-rebbe sicuramente. Dico, poi, che è anche venuto il tempo, pernoi cattolici, di svegliarci. Alle ultime “Settimane Sociali”, che sisono svolte a Reggio Calabria, abbiamo chiesto con forza trecose: la cittadinanza ai minori nati in Italia, il voto amministrativoe una legge che faciliti i ricongiungimenti familiari. Sono propo-ste molto concrete, sono le proposte della Chiesa italiana e ivescovi devono accettarle. Non ci può essere una cultura del-l’altro, se non si rispettano i diritti. L’Italia sta purtroppo semprepiù sviluppando una netta opposizione all’immigrazione - il 50%del Paese è già contro gli stranieri -, vivendo al contempo unacrisi economica talmente forte, che si deve rendere conto cheforse ce la potremmo fare solo con il contributo di questi citta-dini giunti da ogni parte del mondo. La Sicilia è, poi, messa ma-lissimo perché di migranti ne ha pochi e perché ladisoccupazione è molto forte. Con le applicazioni della leggeBossi/Fini, inoltre, molti stranieri hanno perso il posto di lavoroe famiglie intere che avevano investito tutto, andando al nord,sono dovute tornare in Sicilia, ricadendo nell’irregolarità. E que-sto, nonostante occupassero una nicchia economica talmenteimportante, da fare da traino alla nostra economia”.Una situazione, dunque, anche generalizzata che, però, nondeve farci deporre le armi e aspettare che la bufera passi. In-tanto, perché non passerà così facilmente e velocemente. Epoi perché, se vogliamo veramente andare verso un futuro incui tutti abbiano la possibilità di esprimere liberamente la pro-pria individualità, qualunque essa sia, dobbiamo rimboccarci lemaniche e chiederci cosa ognuno di noi può fare, non solo pernoi stessi ma anche e soprattutto per gli altri. Perché solo attra-verso la condivisione, solo attraverso il volere affrontare in-sieme percorsi di vita anche lunghi e tortuosi, si può pensare diarrivare a costruire una società in cui nessuno debba guardarsialle spalle, ma dove sia bello e appagante conoscere chi arrivadall’altra parte del mondo e ha scelto la nostra terra per mettereradici. Anche perché solo attraverso la conoscenza, che vuoldire cultura, che vuol dire abbattimento di ogni barriera, si puòcrescere ed evolvere. Un obiettivo ambizioso, al raggiungi-mento del quale veramente tutti possiamo dare il nostro piccolocontributo.

Morire cercando la via della salvezzaOltre 15.000 le “vittime della frontiera”

Èda venti anni che lungo i confini dell’Europa si continua amorire. Le cause sono soprattutto i naufragi, ma anche gliincidenti stradali, le morti di stenti nel deserto come tra le

nevi dei valichi montuosi, le esplosioni nei campi minati in Grecia,gli spari dell’esercito turco o le violenze della polizia in Libia. Pro-tagonisti di questa strage perpetua sono solo poveri cittadini mi-granti, sulle cui cifre e della cui situazione ha sempre ampiamenteparlato Fortress Europe, rassegna stampa che dal 1988 “fa me-moria delle vittime della frontiera”, per esempio dicendoci che lemorti documentate sono 15.566, tra cui si contano 6.513 dispersi.Nel Mar Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico, per esempio, sonoannegate 10.989 persone, ma metà delle salme non sono maistate recuperate. Nel Canale di Sicilia, dal 1994 al 2009 hannoperso la vita almeno 4.204 persone, 3.076 delle quali rimaste di-sperse, seguendo le rotte che vanno dalla Libia, dalla Tunisia edall’Egitto in direzione delle isole di Lampedusa, Pantelleria, Maltae della costa sud orientale della Sicilia, ma anche dall’Egitto e dallaTurchia verso la Calabria. “Negli ultimi anni - scrive Gabriele DelGrande, l’ideatore e curatore di Fortress Europe - i passeur nonmettono più i loro uomini al timone: la guida delle barche è, così,affidata a caso a uno dei passeggeri, spesso senza che questiabbia nessuna esperienza di mare. I pescatori, invece, per non ri-schiare l’arresto e il sequestro delle navi, sempre più difficilmenteprestano soccorso in mare. Dal maggio 2009, poi, con l’entrata invigore dell’accordo con la Libia, tutte le imbarcazioni fermate inacque internazionali vengono respinte verso Tripoli. Da allora, ilnumero degli sbarchi in Sicilia si è drasticamente ridotto”.Lungo le rotte che vanno dal Marocco, dall’Algeria, dal Sahara oc-cidentale, dalla Mauritania e dal Senegal alla Spagna, puntandoverso le isole Canarie o attraversando lo stretto di Gibilterra, sonomorte almeno 4.534 persone, di cui 2.322 risultano disperse.Nell’Egeo invece, tra la Turchia e la Grecia, ma anche dall’Egittoalla Grecia, hanno perso la vita 1.369 migranti e, anche tra questi,si contano parecchi dispersi. Nel caso specifico, 824.I migranti solitamente viaggiano nascosti nella stiva o in qualchecontainer, non più solo su imbarcazioni di fortuna, ma anche sutraghetti e mercantili, per esempio tra la Grecia e l’Italia. Come lacronaca ci mostra ormai da tempo, le condizioni di sicurezza re-

stano bassissime. Prova ne sono le 153 morti accertate per sof-focamento o annegamento. E’ ovvio che, per non sollevare ul-teriore polvere su un fenomeno, che vede i trafficantiabbandonare a se stessi gruppi di centinaia di persone in pienodeserto, la maggior parte dei decessi non vengono resi noti. Neparleranno, sempre che ce la faranno, coloro che arriverannoa destinazione, dopo mesi e mesi di viaggio.Rispetto, per esempio, ai gravi episodi di violenze contro i mi-granti, verificatisi in Libia, nel 2006 “Human rights watch” e“Afvic” hanno accusato Tripoli di arresti arbitrari e torture neicentri di detenzione per stranieri, tre dei quali sarebbero statipurtroppo finanziati proprio dall’Italia. Nel settembre 2000, aZawiyah, nel nord-ovest del Paese, vennero uccisi almeno 560migranti nel corso di alcune sommosse razziste.Quando, poi, tentano di superare le frontiere, i “fuggiaschi” ven-gono uccisi dalla polizia che sta a guardia dei confini. Sotto glispari frenetici e sempre eccessivi, sino a oggi sono stati am-mazzati 265 migranti, 37 dei quali soltanto a Ceuta e Melilla, ledue enclaves spagnole in Marocco; 50 in Gambia; 105 in Egitto,di cui 67 alla frontiera con Israele; altri 32 lungo il confine turcocon l’Iran e l’Iraq. Infine, 41 persone sono morte assiderate,viaggiando nascoste nel vano carrello di aerei diretti negli scalieuropei, mentre altre 33 hanno perso la vita tentando di rag-giungere l’Inghilterra, dentro i camion che si imbarcano da Ca-lais per Dover o sotto i treni che attraversano il tunnel dellaManica. Una drammatica realtà, questa, davanti alla quale nonpossiamo girare la faccia e fare finta che non succeda nulla. E’un grido d’allarme che chiama in causa l’Europa, i governi afri-cani e le società civili delle due sponde del “Mare di Mezzo” (èquesto il titolo dell’ultimo libro di Gabriele Del Grande).“Dimenticare, rimuovere, rassegnarsi alla normalità di questidrammi - afferma il professore Fulvio Vassallo Paleologo - sa-rebbe come lasciare morire ancora una volta le persone vittimedell’immigrazione irregolare. Ancora peggio sarebbe ritenere,come pure qualcuno sembra fare, che queste terribili storie pos-sano avere un effetto pedagogico sui “candidati” all’emigra-zione clandestina”.

G.S.

6 13dicembre2010 asud’europa

Solo parole nella lotta alla clandestinità

Il governo vanta successi nella lotta anti-clandestini. Ma con seisanatorie in ventidue anni e i decreti-flussi che funzionano comesanatorie mascherate, l'Italia detiene il primato europeo delle

regolarizzazioni di massa. Primato rafforzato dall'attuale governo.All'ostilità verso gli immigrati irregolari urlata a gran voce e inocu-lata nella coscienza dei cittadini corrisponde una tolleranza di fatto.Forse servirebbe una politica meno enfatica e più responsabile:difficile ottenerla in tempi normali, figuriamoci quando si profilanoall'orizzonte le elezioni.Nel corso dell’estate il ministro Maroni ha più volte espresso sod-disfazione per i successi riportati sul fronte della lotta anti-clande-stini: diminuzione dell’88 per cento degli sbarchi in un anno. Anchegiornali poco simpatetici con il governo come La Repubblicahanno ripreso il dato, liquidando in poche battute le obiezioni dichi, come la Caritas, aveva sollevato dubbi sull’efficacia della stra-tegia adottata. Cerchiamo di vederci più chiaro e di misurare l’im-patto della collaborazione con la Libia.

DA DOVE ARRIVANO GLI IMMIGRATIInnanzitutto, sugli sbarchi ha ragione Roberto Maroni, salvo im-maginare una manipolazione dei dati da parte del Viminale: al-meno per ora sono davvero drasticamente diminuiti. Il fatto stessoche i passatori siano costretti ad adottare nuove strategie, comel’impiego di insospettabili barche da diporto, oppure a battere rottepiù lunghe e complicate, sembra mostrare che la chiusura dellarotta Libia-Lampedusa sta producendo i risultati desiderati. Il risul-tato potrebbe essere provvisorio, perché nel passato i trasportatoridi immigrati hanno saputo escogitare nuove rotte.Resta il problema spinoso dell’accesso dei richiedenti asilo allaprotezione umanitaria che le nostre leggi e le convenzioni inter-nazionali offrono loro, ma né il governo né la maggioranza del-l’opinione pubblica sembrano inclini a distinguere tra rifugiati eimmigrati clandestini. Il fatto che in concomitanza con gli sbarchisiano diminuiti i richiedenti asilo viene presentato come un suc-cesso, mentre dovrebbe suscitare qualche interrogativo sul nostroimpegno in difesa dei diritti umani.Altri dubbi sorgono se si considera l’efficacia della strategia adot-tata, a partire dalla sua premessa: l’asserita coincidenza tra sbar-chi e immigrazione irregolare. In realtà, soltanto una modestaminoranza degli immigrati che finiscono nel calderone della cosid-detta clandestinità arriva dal mare, mentre la maggioranza entrain maniera regolare, perlopiù con un visto turistico, o per attività ar-tistiche, sportive, e così via. Un’altra quota si infiltra con documentifalsi, altri ancora con mezzi diversi, come gli ingressi via terra, at-traversando a piedi le montagne o nascosti in un taxi o su un ca-mion. Le aree di provenienza dei migranti in condizione irregolaresono ben più ampie dell’Africa e le rotte dei più non attraversanoil Mediterraneo: dall’Europa dell’Est, che negli ultimi anni forniscei contingenti più numerosi di nuovi immigrati, non si arriva viamare; dall’America Latina neppure; dall’Estremo Oriente solo inqualche caso, attraverso la Turchia.La coerenza stessa delle politiche di chiusura, ed è un terzo pro-blema, è compromessa dalla politica dei visti: sono stati recente-mente aboliti per il Brasile e per tutta l’area balcanica, Albaniaesclusa. Difficile che queste scelte non producano immigrazioneirregolare. Nessuno ne parla, benché viados, trafficanti di droghee mafie balcaniche possano fornire un ricco materiale alle preoc-

cupazioni per la sicurezza.

I DATI SUI RIMPATRIC’è poi il problema della repressione e dei rimpatri. Anche aquesto riguardo il governo ha vantato successi, esibendo unaumento delle espulsioni: circa 24mila nel 2009 contro le18mila del 2008. Altre fonti parlano in realtà di 14mila espul-sioni, sempre difficili da distinguere dai rimpatri volontari. Ma inogni caso l’effettiva incidenza di questi dati va raffrontata conl’entità del fenomeno. Per l’immigrazione irregolare, disponiamodi stime, della Fondazione Ismu, che parlano di oltre 500milaunità, e di un dato certo, quello della sanatoria dello scorso set-tembre: 295mila domande, riferite però al solo settore dome-stico-assistenziale. Se alla fine della lunga procedura, circa250mila immigrati avranno ottenuto un permesso di soggiorno,il risultato sarà che gli irregolari sanati avranno superato di oltredieci volte quelli espulsi. Se gli espulsi fossero stati 14mila, e isanati arrivassero a 280mila, ci troveremmo con un rapporto di1 a 20. Difficilmente le cose potrebbero andare in un altromodo: come ha documentato Francesca Padula sul Sole24Ore, il nostro paese dispone in tutto di 1.800 posti nei centridi identificazione ed espulsione; un po’ cresciuti rispetto a dueanni fa, ma sempre largamente insufficienti rispetto alla dichia-rata volontà di lotta senza quartiere all’immigrazione “clande-stina”. Le politiche proclamate, in definitiva, non corrispondonoalle politiche praticate. Queste parlano di sei sanatorie in ven-tidue anni, di cui le ultime due promosse da governi di centro-destra. Oltre ai decreti-flussi, che funzionano come sanatoriemascherate. L’Italia detiene il primato europeo delle regolariz-zazioni di massa, e l’attuale governo l’ha rafforzato. Abbiamodunque da un lato un’ostilità urlata a gran voce, occasional-mente praticata e inoculata diffusamente nella coscienza deicittadini, dall’altro una tolleranza praticata di fatto, per carenzadi mezzi e per convenienze di vario genere. Forse servirebbeuna politica meno enfatica e più responsabile, ma se è difficileottenerla in tempi normali, figuriamoci quando si profilano al-l’orizzonte le elezioni.

13dicembre2010 asud’europa 7

Maurizio Ambrosini

L’80% degli immigrati felice in ItaliaCrescono i lavoratori regolari

L’80% degli immigrati residenti in Italia è soddisfatto dellacittà in cui abita e il 67,9% dichiara di vivere molto bene nelnostro Paese. Aumentano, poi, i proprietari di casa, il 21%

del campione (32% tra i cinesi) preso in considerazione (1000 in-terviste personali e altrettante via web), e coloro che vivono in fa-miglia (61%, dato che arriva al 78% nel caso dei cinesi). Gliimmigrati sono, inoltre, maggiormente desiderosi di imparare e ar-ricchire le proprie conoscenze rispetto agli italiani (lo dichiara il36,4% degli stranieri contro il 29% degli italiani) e ambiscono sem-pre di più a ottenere successo e denaro. A rivelarlo é un’indaginedel Gpf, l’Istituto di ricerca e consulenza sul cambiamento culturalee gli stili di vita, presentata qualche tempo fa nel corso del “MoneyGram Award 2010”, il premio all’imprenditoria immigrata in Italia.Duemila le unità, dicevamo, su cui la ricerca si è basata, che cifanno capire come l’integrazione passi anche e soprattutto attra-verso i consumi.“I gusti dei cittadini stranieri si stanno sempre più avvicinando aquelli degli italiani - leggiamo nell’indagine -, con l’89% che con-suma abitualmente pasta secca e il 67% quella fresca ripiena. Il65% dei consumatori, poi, compra succhi di frutta, il 63% bibitegassate, il 46% birra. Dato, quest’ultimo, che balza al 58% per lepersone provenienti dall’Europa dell’Est e al 55% per i latinoame-ricani. La maggior parte si rivolge, per i propri acquisti, alla grandedistribuzione: il 79% fa la spesa al supermercato, il 45% al di-scount, il 41% all’ipermercato e il 30% al piccolo supermercato vi-cino casa. Rispetto ai mezzi di trasporto, aumentano i possessoridi automobili (41%, dato che sale al 45% nel caso degli africani)e di moto (14%, 18% nel caso dei latinoamericani e 17% per gliasiatici). Il 90% legge i giornali (in particolare quelli in lingua) e il70% lo fa almeno una volta a settimana. “Gli immigrati sono piùaperti e pronti al rischio - sottolinea la curatrice della ricerca, Ma-rilena Colussi - e hanno una maggiore capacità di adattamento ri-spetto agli italiani”.Adattamento a parte, quando la crisi arriva, colpisce senza faremolte distinzioni. O quasi. Ma sono soprattutto i lavoratori stranieria risentirne maggiormente rispetto ai loro colleghi italiani. Come senon bastasse, poi, la congiuntura economica negativa ha messofine a quel progressivo e continuo miglioramento che, a partiredall’inizio del millennio, aveva caratterizzato le condizioni di vita edi lavoro degli immigrati.Secondo i dati Istat relativi al IV trimestre 2009, è maggiormentecresciuto il numero degli occupati stranieri, a fronte di una forte ri-duzione degli italiani, ma anche i disoccupati e gli inattivi. I lavo-ratori di altra nazionalità sono, inoltre, aumentati rispetto allostesso periodo dell’anno precedente, facendo segnare un +35mila tra gli uomini e un + 67mila tra le donne.L’Unioncamere, poi, ci dice che nel 2009 sono calate anche le pre-visioni delle imprese relativamente alle assunzioni non stagionalidi lavoratori immigrati: 92.500, quando soltanto un anno primaerano poco meno di 172mila, ancor più lontani dalle 235.800 del2007. Prevalgono sempre professioni di livello medio - basso, conun buon 57% del totale, e, nonostante la crisi, aumenta il numerodi aziende individuali di imprenditori stranieri. Nel 2009 sono state37.645 le ditte individuali, aperte da persone nate al di fuori deiconfini dell’Unione europea.“I dati dell’Istituto nazionale di statistica sono drammatici – lancial’allarme Laura Zanfrini, docente di Sociologia economica all’Uni-

versità Cattolica di Milano, e responsabile del settore Lavorodell’Ismu, l’Istituto per gli studi sulla multietnicità, che ogni annoproduce un rapporto di carattere nazionale sulle migrazioni. –.Indicano un peggioramento netto molto più evidente sugli stra-nieri che sugli italiani. In questo senso, la situazione della no-stra nazione è perfettamente in linea con il trend che si registraa livello europeo e, più in generale, nei paesi a sviluppo avan-zato, dove la crisi degli anni 2008 e 2009 ha interrotto quellache era la tendenza a un notevole miglioramento della condi-zione occupazionale degli stranieri, registrata dall’inizio del mil-lennio”. In Italia gli stranieri, soprattutto gli uomini, sonoconcentrati nei settori più esposti alla congiuntura. Molti, infatti,sono quelli occupati in edilizia e nell’industria manifatturiera,ma anche nelle piccole imprese, che in questa recessione sonostate particolarmente colpite. Per non parlare degli imprenditoristranieri, che molto spesso erano titolari di imprese deboli, conuna struttura finanziaria non particolarmente forte, quindi estre-mamente esposti alla crisi. Nel nostro Paese, inoltre, non sonostate risparmiate neppure le donne. Se, infatti, all’inizio l’impattosi è avvertito soprattutto sulla componente maschile, in quantole donne lavorano in settori, come quello della cura, menoesposti alla congiuntura economica, gli ultimi dati Istat parlanoanche di un peggioramento nei tassi di disoccupazione femmi-nile sulla componente immigrata. Tutto ci fa dire che la crisi hainteressato allo stesso modo gli ambiti in cui le donne trovanooccupazione. Paradossalmente, la situazione appare più dram-matica al Nord che al Sud.“Mai come in una situazione critica e congiunturalmente difficile– afferma, in conclusione, la Zanfrini - diventa ancora più impor-tante vigilare, affinché gli immigrati non siano discriminati. In-fatti, se “emarginati e pagati di meno”, i lavoratori stranieripossono diventare veramente concorrenziali, rischiando in que-sto modo di generare le famose guerre tra poveri. Paradossal-mente, nel momento in cui si verifica un’emergenzaoccupazionale, cala anche l’attenzione sulle politiche per l’inte-grazione e di lotta alla discriminazione. Eppure, dovrebbe ac-cadere esattamente il contrario”.

G.S.

8 13dicembre2010 asud’europa

Pascal, il posteggiatore con la laurea in tasca

Pascal Wolber ha 50 anni ed è originario di Abidjan, in Costad’Avorio. A prima vista è uno straniero come tanti altri,pronto a sobbarcarsi le inumane fatiche per sbarcare il lu-

nario e rimanere in questo Paese. Impressione avvalorata dal fattoche fa il posteggiatore, tipologia di lavoratore a cui in pochi chie-derebbero mai un pensiero su un determinato argomento. Eppure,nulla togliendo a tanti altri come lui, Pascal ha qualcosa in più.Cosa? Una “semplice” laurea in medicina, conseguita nel suopaese di origine e qualche settimana fa riconosciuta anche dal-l’Italia, dopo aver discusso la tesi su “Malattie infettive e migra-zioni”, con il professore Giuseppe Montalto come relatore e ildottore Mario Affronti come correlatore. Un lavoro meticoloso cheha tracciato un profilo di salute della popolazione immigrata nelnostro Paese, dimostrando il ruolo dei fattori di rischio determinantinel condizionare la salute degli stranieri, come anche quello dellemalattie infettive nella nosologia delle patologie dei migranti.“Sono arrivato a Palermo nel 2002 – racconta Pascal, mentre at-tende fremente di entrare nell’aula magna della Facoltà di Medi-cina e Chirurgia -, ma all’inizio non avevo alcuna conoscenzadella lingua e ho dovuto aspettare un po’ per ambientarmi. Nel frat-tempo, ho fatto di tutto, anche le varie raccolte nei campi, aspet-tando di percorrere quella strada che mi avrebbe portato aottenere l’equipollenza della laurea. In questa impresa mi ha aiu-tato il dottore Affronti, nel cui ambulatorio ero venuto all’inizio perbanali motivi di salute”.Quello che viene naturale da chiedere è come mai, laureatosi inCosta d’Avorio e avendo lì un lavoro come medico generico, abbiadeciso di andare via, alla stregua di migliaia di stranieri che fug-gono dalla miseria e dalla morte.“I miei erano problemi politici - prosegue il racconto il neolaureato,al quale ora spetta decidere in qualche ramo della medicina pro-vare ad operare – perchè sostenevo la classe dirigente ora al po-tere. Non ero ben visto dagli avversari e i professionisti erano iprimi a essere presi di mira. Ho, così, dovuto decidere di fare i ba-gagli e partire. Ho purtroppo lasciato lì la mia famiglia, ma nonavevo scelta”. AdAbidjan Pascal ha la moglie, che fortunatamentelavora, con la quale si sente spesso. Preferisce, però, che non loraggiunga sino a quanto non si sarà del tutto stabilizzato.“Ovviamente ne sento la mancanza e ogni volta che le parlo mi

viene voglia di tornare indietro. Mi faccio, però, forza e dicoanche a lei che dobbiamo essere coraggiosi. Fortunatamente,anche rispetto al nord, la vita in Sicilia è molto più semplice, siadal punto di vista economico sia dal punto di vista umano. Fa-cendo il posteggiatore riesco per il momento a mantenermi,avendo anche una certa libertà di movimento, che sino ad oggimi ha permesso di studiare, ma non è sufficiente per vivere di-gnitosamente in due. Spero di potere mettere a frutto la mialaurea anche qui, magari riuscendo un giorno a fare il gastro-enterologo. Dipende, però, sempre dalle disponibilità economi-che. I soldi ci vogliono sia per vivere sia per coltivare unapassione come la mia. Sono, però, fiducioso”.E speriamo che questa fiducia possa essere ben risposta nonsolo nei confronti del suo futuro, ma anche in chi, oggi, quindinel presente della vita di Pascal, può dargli una mano. Magarifacilitandogli l’ingresso alla scuola di specializzazione, regnonon sempre di chi merita, ma spesso di coloro che sono “figlidi”. Ovviamente le cose possono cambiare. Si spera anche avantaggio di chi non ha amicizie o parentele di un certo tipo,ma ha dalla sua talento e capacità.

G.S.

13dicembre2010 asud’europa 9

“Impresa etnica”, promozione dell’impresa no profit rivolta ai cittadini migranti

Sipuò considerare una vera e propria esperienza pilota di in-tegrazione e di lotta all’esclusione sociale, rivolta ai cittadinimigranti attraverso la promozione dell’associazionismo, del-

l’impresa profit e non-profit e del lavoro autonomo. E’ “Impresa et-nica”, l’iniziativa del comitato territoriale di Catania dell’Arci,realizzata in sinergia con l’Associazione interculturale di migranti“Ghezà” e con partner quali l’Ufficio “Progetto Immigrati” del Co-mune di Catania, l’Associazione “Performazioni” e la Società “SanVincenzo de’ Paoli”.Il progetto, che ha già ricevuto il sostegno dell’UNAR, l’Ufficio Na-zionale Antidiscriminazioni Razziali, ha come obiettivo la valoriz-zazione della presenza immigrata a Catania attraverso azionimirate alla consapevolezza e allo sviluppo delle risorse individualie collettive proprie delle diverse comunità straniere del territorio,in una prospettiva di crescita civile ed economica dell’intera citta-

dinanza. E’ sostanzialmente dedicato ai migranti che voglionocreare impresa o far nascere un’associazione.Il progetto si svilupperà in un primo momento attraverso l’alter-narsi di seminari e laboratori su impresa e differenze di genere,organizzazione creativa, laboratori, teatro sociale e diritti del la-voro, a cura dell’associazione “Performazioni”. “ConfCoopera-tive” si occuperà della formazione mirata a trasmettere lecompetenze necessarie per creare e gestire un’impresa, fa-cendo conoscere gli elementi generali di organizzazione azien-dale. Gli incontri si svolgeranno con cadenza bisettimanalenella sede dell’associazione “Ghezà”, al civico 21 di via Politi,a Catania. Per informazioni e iscrizioni, bisogna rivolgersi al-l’Arci, recandosi direttamente nella sede di piazza Carlo Alberto47, oppure chiamando il tel. 095.8207675.

G.S.

A Palermo un ambulatorio per i clandestiniUn appoggio per chi non ha tutela medica

Non conosce sosta l’ambulatorio di “Medicina delle Migra-zioni” del Policlinico, diretto dal dottore Mario Affronti, alquale da anni si rivolgono tutti quegli immigrati irregolari e

clandestini, che diversamente avrebbero serie difficoltà anche percurare un semplice mal di testa. In tutto, 1.758 i pazienti seguiti dal2003 al 2009 dal team medico del quale fanno anche parte il dot-tore Angelo Tagliavia, ovviamente gli infermieri, una serie di tiroci-nanti provenienti spesso da Scienze della Formazione, e glispecializzandi, ovviamente studenti di Medicina, che consideranoquesta struttura una vera palestra di vita, non solo dal punto divista medico ma anche umano, un avamposto di solidarietà nelquale oltre al corpo si cura anche l’anima. Veramente, senza al-cuna retorica. Oltre 500 i day hospital e più di 2mila le prime visitea cui ricorrono ogni anno gli irregolari clandestini. L’83,4% delcampione considerato é di età compresa tra i 20 e i 50 anni. Trale donne, poi, più della metà degli accessi in day hospital è permotivi legati alla riproduzione, mentre tra gli uomini il 13% per ma-lattie dell’apparato digerente, il 10% per malattie infettive, il 9%per problemi osteomuscolari e un altrettanto buon 9% per trauma-tismi. Disomogenea la loro distribuzione sul territorio, con l’87,2%residente al centro-nord, il 9,1% al sud e il 3,7% nelle isole. I primicinque paesi di provenienza sono la Romania (20,5%), l’Albania(11,3%), il Marocco (10.4%), la Cina Popolare (4,4%) e l’Ucraina(4%). Dati, questi, elaborati e inseriti nella tesi su “Malattie infettivee migrazioni”, sostenuta dall’ivoriano Pascal Wolber, che da unpaio di settimane è un laureato in Medicina anche per lo Stato Ita-liano. L’indagine condotta in occasione della tesi rileva anche iltipo di occupazione e il livello di istruzione dei cittadini che si rivol-gono all’ambulatorio. Il 45% ha una licenza media, il 32% un di-ploma o una laurea, il 19% possiede un’istruzione di tipoelementare, il 4% è analfabeta. L’occupazione più frequente èquella di cura della casa e di assistenza agli anziani. Seguono ilcommercio, la ristorazione e l’edilizia, con un tasso di disoccupa-zione che si attesta sul 34,1%.Una realtà, dunque, quella dell’ambulatorio di via del Vespro, chegli immigrati presenti in maniera irregolare sul nostro territorio con-siderano una vera e propria salvezza, l’ancora di salvataggio dicoloro che sono senza permesso di soggiorno. Tra l’altro, Mario Af-fronti è una figura di riferimento importante per la comunità immi-grata di Palermo, conosciuto da tutti sin dai tempi in cui, con ilprofessore Mansueto, gestiva l’ambulatorio del Centro sociale“Santa Chiara”, struttura diretta con grande sensibilità e aperturamentale da don Baldassare Meli. La bella notizia è che ci sonotutte le più buone intenzioni di riaprirlo, questa volta offrendo unservizio di prevenzione ad ampio spettro. Una sorta di tuffo nelpassato, che fa sempre bene. Tornando alle cifre, vediamo che idati dimostrano chiaramente come questi ambulatori per immigratie clandestini abbiano assolto al loro compito. Rivelando, però,anche una certa fragilità sociale perché, se i traumatismi sfioranoil 10%, allora vuol dire che abbiamo un problema di mancata tutelasul posto di lavoro. Se, poi, consideriamo che, diminuiscono tra ledonne italiane le Interruzioni volontarie di gravidanza, mentre au-mentano quelle tra le donne straniere, allora ciò ci deve fare an-cora di più aprire gli occhi sul fatto che queste ultime non sonotutelate perché costrette ad abortire per lavorare.“Se noi valutiamo non solo i dati del nostro ambulatorio, ma anchequelli delle Sdo, le Schede di dimissioni ospedaliere in tutta Italia- spiega il dottore Affronti -, riusciamo a tirare delle conclusioni im-

portanti. Quello che io dico è che la legge ha funzionato perché,accogliendo anche gli irregolari clandestini, ha sdoganato al-cune situazioni che, altrimenti, sarebbero state pericolose perla nostra popolazione, come la tubercolosi, dimostrando che indefinitiva non hanno tutti questi problemi di salute. Quel 10% diricoveri in day hospital per malattie infettive ci fa, infatti, capireche è solo una questione di eccessivo allarmismo”.Grazie ad ambulatori come questo, gli irregolari e clandestinipossono essere assistiti, ottenendo dal personale medico l’Stp,il codice che identifica lo Straniero temporaneamente presente,e che consente loro di essere assistiti alla stregua degli italiani.Ai romeni viene, invece, assegnato l’Eni, altro codice per gli Eu-ropei non identificati, che garantisce assistenza a tutti coloro iquali provengono dai Paesi dell’Est, entrati nel 2007 nella Co-munità Europea, guadagnandone il decadimento di ogni diritto.Almeno dal punto di vista sanitario. Come dire: “Volevi la bici-cletta? Adesso pedala”.“Tutto questo è molto importante, solo che adesso bisogna an-dare oltre, perché anche gli ambulatori come il mio stanno di-ventando un po’ dei ghetti. I pazienti si trovano molto beneperché da noi ci sono i mediatori culturali e rendiamo più acces-sibili i nostri servizi. Non si è, però, ancora ben capito che que-ste realtà devono essere a bassissima soglia, presidi in cui ilclandestino, proprio a causa dei motivi di intolleranza che sistanno creando in Italia, si deve sentire accolto. In tutti i sensi.E’ proprio quello che tenterò di fare come presidente della “So-cietà Italiana di Medicina delle Migrazioni”, portando avanti unavera e propria battaglia anche rispetto al fatto, per esempio,che i bambini non hanno il pediatra, e questo è veramente pa-radossale perché lede i diritti dei minori a livello internazionale”.Ma c’è anche un altro problema. E’ attraverso ambulatori comequesto che oggi si conosce il vero bisogno di salute degli immi-grati: l’assistenza primaria. Bisogno, però, sconosciuto dal no-stro assessorato alla Salute.“Questo lo dico perché è uscita una proposta di piano sanitarioregionale, riguardante i migranti, che non ha né capo né coda.Non c’è scritto nulla - aggiunge il presidente della SIMM -, in-vece dovrebbe prevedere le azioni che chi ci governa vuole

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Dal semplice mal di testa alle malattie infettiveOltre duemila i pazienti curati in sei anni

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mettere in campo per tutelare il benessere dei migranti. Necessitàche l’assessore pensa si risolvano nel combattere le malattie in-fettive, per esempio l’Aids. Sono veramente dispiaciuto del fattoche dopo venti anni - io mi occupo di queste persone dall’87 - dob-biamo ancora esser noi a fare “advocacy” per gli immigrati, chenon rappresentano se stessi perché il sistema li vuole così: sotto-messi. In tutto questo, anche gli operatori sanitari dovrebbero fareun passo in più. Perché non è grave se l’Stp non lo conoscono icomuni cittadini, ma è terribile e ingiustificabile se a essere igno-ranti in materia sono gli addetti ai lavori. Per affrontare queste te-matiche globali, è necessario una formazione un po’ diversa, nonpiù sbilanciata sugli aspetti tecnici o tecnologici. Oggi il mediconon riesce più a relazionarsi con il paziente perché non conoscel’ermeneutica sanitaria, l’antropologia, la sociologia, se vuoi la fi-losofia, come anche le tematiche della salute globale. Io devo es-sere a conoscenza del fatto che, quando curo la tubercolosi, nonmi posso limitare a fare la ricetta, seduto dall’altro lato del tavolo,mentre chi mi sta davanti non ha neanche i soldi per mangiare.Sapendo, per esempio, che la tubercolosi è la malattia della po-vertà, dobbiamo considerare dove abitano - molti dei nostri risie-dono da Biagio Conte - andare sul posto, dire a tutti come stannole cose, farlo isolare. Noi questi interventi di medicina pubblica lifacciamo continuamente. Nel frattempo, però, si foraggia la sanitàprivata, che funziona molto bene perché, non avendo anestesia erianimazione, non può registrare casi di malasanità. Credo che cisia uno squilibrio eccessivo”. Gli ambulatori come quello del Poli-clinico nascono a partire dal 2003, quando ci si è resi conto che lalegge istitutiva dei servizi per l’assistenza agli irregolari e clande-stini in Sicilia funzionava a macchia di leopardo. In particolare, aquell’epoca, ce ne erano solo due nell’Isola: questo e un altro aCatania. In seguito a una serie di riunioni tenute per un anno aCaltanissetta, dall’agosto di 7 anni fa è stato un fiorire di strutturedel genere un po’ in tutte le province: a Palermo questo del Poli-clinico e un altro al Civico, diretto dal professore Gulisano, poi gliambulatori dedicati dei distretti 13 e 14, quindi “Emergency” e lacomunità di Biagio Conte, questi ultimi due convenzionati. Fortu-natamente sono tutti in rete. Fondamentale per dare risposte con-crete ed efficaci. Da allora, però, di strada se ne è fatta tanta,soprattutto per fare capire che non c’è evoluzione della speciesenza condivisione. Certo, ancora oggi questo concetto va ripetuto

ad alta voce e scandendo le parole molto chiaramente, ma inmolti casi le barriere sono state abbattute. Si è soprattutto fattoin modo che gli immigrati clandestini uscissero allo scoperto,avvicinandosi a strutture come quella di cui abbiamo parlatoper condividere una realtà, quella che vivono ogni giorno, fattadi dolori, umiliazioni, di nostalgia per la terra di origine abban-donata. Perché, forse è bene ricordarlo a chi continua a direche gli immigrati sono il pericolo numero da abbattere per tor-nare a essere una nazione felice, nessuno lascia casa propria,affrontando un viaggio che ha solo delle incognite, per venire apatire ulteriori sofferenze. Forse anche altri, oltre a noi, hannodiritto a garantire un futuro ai loro figli, che non sia contraddi-stinto da guerre, violenza, povertà, in una parola dal nulla.E forse anche noi dovremmo pensare che una parola buona eun gesto di affetto non costano nulla, ma riempiono il cuore didonne, uomini e bambini, che differiscono da noi solo per il co-lore della pelle, cominciando a capire che il cielo sotto cui dor-miamo è lo stesso per tutti e che le stelle brillano con la stessaintensità in Italia come in Africa, Sri Lanka o Romania. Pratica-mente in ogni parte del mondo. Ma è veramente così tanto dif-ficile da capire?

G.S.

A Palermo Master su “Viaggi internazionali e tutela della salute”

Ogni giorno più di 2 milioni di persone usufruisce dell’aereo.L’espansione dei traffici, specie aerei, rimpicciolendo ilmondo e dilatando oltre misura la frequentazione di zone

di alta endemia, configura possibili scenari di una patologia da im-portazione, nei confronti della quale il settore sanitario deve esserepreparato. E’ tenendo ben presente questa realtà che la Facoltà diMedicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Palermo ha at-tivato il Master di II livello in “Viaggi internazionali e tutela della sa-lute”, il cui obiettivo é costruire la capacità di operare in Paesipoveri e progettare piani di azione per uno sviluppo sostenibiledelle risorse umane, promuovendo l’eccellenza dell’apprendi-mento dell’insegnamento della sanità pubblica, soprattutto per glioperatori locali. Il Master si rivolge sostanzialmente agli operatorisanitari - medici, biologi, infermieri, farmacisti - in possesso di unalaurea del vecchio ordinamento o titolari del nuovo diploma uni-

versitario di primo livello della stessa Facoltà, laureati inScienze Biologiche o in Farmacia. Gli stranieri dovranno dimo-strare di possedere un certificato della rappresentanza diplo-matica italiana all’estero (dichiarazione di valore), un diplomauniversitario in Scienze Infermieristiche, d’Ostetrica, di Tecnicodi Laboratorio o d’Infermiere Professionale, come anche il di-ploma di maturità quinquennale e l’iscrizione al relativo CollegioProfessionale. L’ammissione al corso, la cui durata è di unanno accademico, è riservata a soli 15 allievi che, alla fine, do-vranno obbligatoriamente predisporre la stesura di un progettod’intervento, di ricerca o di servizio, che verrà discusso e valu-tato da una commissione nominata dal Collegio dei Docenti.Chi è interessato, deve chiamare il tel. 091.6552981 o scrivereall’e-mail [email protected].

G.S.

Aumentano imprese e lavoratori stranieriRicerca Cna: In Sicilia 1200 nuove aziende

In Sicilia aumentano i lavoratori e gli imprenditori stranieri. Gliimmigrati trovano lavoro nelle campagne come braccianti du-rante la vendemmia o per la raccolta di pomodori, in città come

colf o badanti, a volte riescono ad aprirsi una propria attività. Neiprimi 5 mesi dell'anno, la Cna ha calcolato 1.198 nuovi imprendi-tori stranieri: oltre 6 mila in totale. Molti gestiscono ristoranti, ne-gozi telefonici, pub, attività artigianali.Sutha, 32 anni nato a Jaffna in Sri Lanka, è proprietario di un risto-rante indiano, dove lavorano altre tre persone. A Palermo è arri-vato a 12 anni, insieme a uno zio. Da quando aveva 15 anni halavorato come domestico, poi nel 2007 ha investito su se stesso.«Avevo messo un pò di soldi da parte - racconta - sono riuscito aottenere un prestito e ho rilevato l'attività da un palermitano».Le imprese gestite da stranieri nell'isola sono concentrate perl'85,7% nel settore commerciale, per il 3,9% in quello dei servizi;il 3,5% ha avviato un'attività in agricoltura e il 3,1% nell'edilizia.Medeelia, 52 anni, è commerciante, gestisce un negozio di pro-dotti alimentari per asiatici; viene da Manila nelle Filippine. «Holasciato il mio paese nel 1988, ero già laureata e sposata con trefigli piccoli - ricorda - Sono arrivata a Palermo con un permesso disoggiorno, poi c'è stata la sanatoria della legge Martelli e sono ri-masta». Anche lei, come tanti immigrati, ha cominciato come do-mestica. «È stata dura, ma sono riuscita ad integrarmi - dice -Grazie all'aiuto del mio datore di lavoro, sono riuscita ad avviare ilnegozio».Tre anni fa ha aperto anche un ristorante, che gestisce uno deisuoi figli. «Per ottenere la licenza sono passati più di dieci mesi -continua - pagavamo l'affitto a vuoto e le rate del mutuo per la ri-strutturazione del locale. È stato un periodo terribile, abbiamo ri-schiato di non farcela».Nel 2009 l'Inail ha registrato in Sicilia 90.756 lavoratori stranieri,4.634 in più rispetto al 2008. Il 20,7% dei nuovi assunti proven-gono dall'estero e le donne straniere con un lavoro sono il 36,8%.E’ sempre più numeroso l'esercito di imprenditori stranieri anchenel resto d’Italia, non conosce crisi, risiede soprattutto al Nord edè 'rosà per più del 18%.Sono 213.300, al 31 maggio scorso, i titolari di azienda con citta-dinanza straniera presenti nel nostro Paese, pari al 3,5% dell'im-

prenditoria nazionale, percentuale che raddoppia e sale al 7,2%restringendo il campo alle sole imprese artigiane, cuore delmade in Italy. Ma se si considerano anche le altre figure socie-tarie di queste imprese, il numero di persone che ruota intornoall'imprenditoria che parla idioma straniero sale di 177mila, aquasi 390.000 persone. Si tratta quasi esclusivamente di ditteindividuali, per il 50,2% artigiane, dove la presenza femminileè tutt'altro che irrilevante: le aziende con titolare donna sonoinfatti più di 18 su 100 (18,3%), e le straniere mostrano parte-cipazioni decisamente altre tra i soci (36,1%) e nella media ditutte le figure societarie (21,6%).Rispetto ai primi cinque mesi del 2009, dice la Cna, i titolari diimpresa stranieri sono cresciuti di 25.800 unità: un avanza-mento che non conosce crisi.Nei primi cinque mesi del 2010, nonostante il permanere delforte stato di difficoltà per il sistema produttivo, le imprese ge-stite da immigrati sono cresciute infatti del 13,8%, rispetto allostesso periodo del 2009, una variazione che migliora di tre de-cimi di punto quella precedente.

12 13dicembre2010 asud’europa

Maria Tuzzo

Concorso letterario dell’associazione “Primo marzo 2010” sulla mixitè

“Verso il Primo Marzo 2011 - Sulle ali di un racconto!” è iltema dell’iniziativa lanciata dal comitato “Primo marzo2010”, il movimento nato il 29 novembre del 2009, per

iniziativa di quattro donne, due bianche e due nere (Nelly Diop,Daimarely Quintero, Stefania Ragusa e Cristina Seynabou Seba-stiani), che ha sin da subito riunito italiani, migranti, seconde ge-nerazioni: tutti accomunati dal rifiuto del razzismo e della culturadell’esclusione. Il primo obiettivo è stato l’organizzazione di unagrande manifestazione non violenta, indirizzata a far comprendereall’opinione pubblica quanto sia determinante l’apporto dei mi-granti alla tenuta e al funzionamento della nostra società. Mes-saggio arrivato immediatamente ad almeno 300mila persone, chelo scorso 1 marzo si sono ritrovate nelle piazze italiane.Visto che, attraverso un semplice tam tam partito da Facebook, siè riusciti a colorare l’Italia di giallo e a fare scendere in piazza tuttequeste persone per dire “NO al razzismo e alle politiche di esclu-sione, SI a un’Italia multiculturale e arcobaleno”, pensando al 1°

marzo 2011 si è voluto proporre qualcosa di diverso, in più ri-spetto al primo evento. In collaborazione con la casa editrice“Compagnia delle Lettere”, nata dall’esperienza “Mangrovie” econ una forte vocazione alla letteratura migrante, si è deciso diinvitare scrittori e giornalisti, professionisti o dilettanti, italiani estranieri, a inviare dei brevi testi sul concetto di mixité e sullanecessità di andare oltre le parole che dividono, per trovarnealtre, nuove, che uniscano. Nessun concorso o gara letteraria.I testi, spediti entro il 31 dicembre in formato digitale, all’[email protected] o [email protected], saranno selezionati e raccolti in un volume, che vedrà laluce alla vigilia di questo prossimo grande appuntamento. Im-portante che non superino le 10 cartelle e che ogni autore alle-ghi una breve biografia, oltre a un recapito telefonico e di postaelettronica. Il ricavato dei diritti d’autore andrà a finanziare il la-voro del comitato “Primo Marzo”.

G.S.

In Sicilia regolarizzati 7.727 clandestiniA Catania respinto un terzo delle richiesteFilippo Passantino

13dicembre2010 asud’europa 13

ARagusa poco più del 90 percento delle domande di regola-rizzazione di colf e badanti extracomunitari è stato accolto.Ma gli immigrati attivi a Catania sembra che possano gioire

decisamente meno. Solo un terzo delle pratiche avviate nella cittàetnea è andato a buon fine. Nell’Isola lo scenario relativo alle pra-tiche di regolarizzazione dei lavoratori migranti si rivela molto dif-ferente da provincia a provincia.A delinearlo sono i dati del ministero dell’Interno sull’ultima sana-toria per gli immigrati. Si evince che in Sicilia coesistono provincein cui il gran numero di istanze di emersione raggiunge un buonfine con altre in cui le pratiche rigettate sono all’ordine del giorno.E in questo caso i motivi dello stop sono tra i più disparati possibili.Secondo le informazioni fornite dal Viminale e aggiornate al 2 no-vembre scorso, la campagna 2010 di regolarizzazione ha condottoin Sicilia alla stipula di 7.727 nuovi contratti di lavoro, che coinci-dono con le pratiche accolte. Si tratta del 71,31 percento delle12.249 domande presentate. Nel Meridione, invece, sono stati resivalidi oltre 40 mila accordi, che corrispondono al 61,8 percentodelle oltre 65 mila richieste presentate. Gli immigrati regolarizzatial Sud valgono il 19,6 percento del totale nazionale. La Sicilia è laseconda regione nel Meridione in cui si concentra il più alto nu-mero di contratti firmati. Seguono in graduatoria la Puglia e la Ca-labria rispettivamente con 6.510 e 5.429 contratti sottoscritti percolf e badanti. La leadership, invece, spetta alla Campania, dovesono stati censiti oltre 20 mila accordi che hanno potuto benefi-ciare della sanatoria.In Sicilia non mancano dunque i primati, ma quasi sempre nega-tivi. Tra le province, quella di Catania, vanta, per esempio, il recorda livello nazionale per il numero di pratiche che non vanno a buonfine: secondo il Viminale appena il 33,9 percento delle domandeviene accolto dalle questure di competenza. Sono oltre mille leistante rigettate, alle quali si sommano 8 rinunce, su un totale di3.100 domande presentate. In nessuna delle province meridionalii contratti di colf e badanti stipulati superano il 90 percento delle ri-chieste effettuate.Meglio di tutti sembrano cavarsela gli immigrati della provincia diRagusa che vanta una percentuale di regolarizzazione dell’87,5percento. Seguono Caltanissetta e Messina rispettivamente con

l’82,2 percento e con l’81,4 percento di contratti definiti. Tra leprovince capoluogo di regione nel Meridione non spicca Pa-lermo, che fa registrare il 60,8 percento di regolarizzazioni. Undato che a Bari risulta superiore del 20 percento. I numeri fornitidal ministero, però, mettono in evidenza un altro lato della me-daglia.Da questi si può evincere che almeno 12.249 lavoratori extra-comunitari clandestini hanno svolto finora le mansioni di colf ebadanti in Sicilia. Un numero che, comunque, si rivela esiguo inrapporto a quello delle presenze dei migranti nell’Isola. Il dos-sier della Caritas sull’immigrazione, aggiornato al 31 dicembre2009, rivela che vivono in Sicilia oltre 127 mila immigrati. Undato in aumento dal momento che nel rapporto dell’anno pre-cedente erano state registrate 114.632 presenze. Il capoluogone ospitava circa 23.800.Si tratta di numeri che assegnano alla Sicilia la seconda posi-zione nella graduatoria delle regioni meridionali che ospitanopiù migranti. Anche in questo caso la leadership spetta allaCampania, dove ne vivono oltre 147 mila.

Seminario sulla “lingua come luogo di incontro” alla Scuola per stranieri

“Lalingua come luogo di incontro” è il tema del ciclo di se-

minari di formazione permanente sull’insegnamento del-

l’italiano agli stranieri e le politiche di

inclusione/esclusione sociale, che si sta svolgendo nei locali della

“Scuola di Lingua italiana per Stranieri” dell’Università degli Studi

di Palermo, in collaborazione con il “Master in didattica dell’italiano

lingua seconda e straniera”.

Rivolti a docenti, studenti, volontari di centri per migranti e rifugiati,

gli incontri vogliono mettere in evidenza il fatto che, in un momento

in cui tutti i segmenti del sistema-istruzione stanno attraversando

grandi difficoltà e incertezze, mettere in rete risorse, esperienze e

progetti risulta veramente di vitale importanza.

La didattica rivolta ai bambini, la certificazione di italiano come lin-

gua straniera e le scuole di insegnamento dell’italiano a migranti

adulti sono stati alcuni dei temi dibattuti nell’arco delle scorse

settimane, con l’obiettivo di fare incontrare e confrontare i cor-

sisti con vari esperti, invitati per consolidare e allargare la rete

interistituzionale costruita negli ultimi anni, grazie alla quale

centinaia di giovani universitari hanno effettuato significativi ti-

rocini formativi nelle scuole di Palermo.

Il programma terminerà con tre giornate, dal 13 al 15 dicembre,

dedicate all’Italiano all’estero, a cui parteciperannoAntonia Ru-

bino, dell’Università di Sidney, e Rossana McKeane Pagliolico,

dell’Ateneo universitario di Liverpool.

Per ulteriori informazioni, si può visitare il sito Internet www.ita-

stra.unipa.it o chiamare il tel. 091.23869601.

G.S.

14 13dicembre2010 asud’europa

Le donne straniere che arrivano nel Sud Italia possono per-dere alcuni diritti con l’emigrazione nel nostro paese. A par-lare di “trasferimento dei diritti delle donne” è Clelia Bartoli,

docente di Diritti Umani alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Univer-sità di Palermo, riportando nel suo ultimo volume, dal titolo “EsilioAsilo”, una serie di studi e storie su donne migranti e richiedentiasilo in Sicilia.“Fino alla politica dei respingimenti nel Mediterraneo - scrive l’au-trice -, il canale di Sicilia è stato la porta del diritto d’asilo per l’Italia.E sono molte le donne straniere rimaste nell’Isola sia per le occu-pazioni nel lavoro domestico e nella cura agli anziani, sia perchésposano uomini siciliani. Dal punto di vista del lavoro, si assisteanche alla “femminilizzazione” di alcune comunità, come quelladei Tamil, che a Palermo hanno la rappresentanza più numerosad’Europa e i cui uomini fanno lavori tradizionalmente appannaggiodelle donne. Le famiglie siciliane accettano la presenza maschilein casa perché percepita come docile e innocua. Alle donne stra-niere si chiedono, invece, impieghi che hanno a che fare con la

cura e la relazione, facendo del sentimento una merce di scam-bio”.Le storie “al femminile”, raccolte nel libro dagli studenti delcorso di Diritti Umani che si tiene a Trapani, abbattono sicura-mente molti stereotipi. E’ il caso di Nayadi, figlia di una doppiaemigrazione: quella dalla Sicilia all’Argentina e quella di segnoopposto.“Nayadi è nata a Buenos Aires da un italiano e un’argentina. E’una donna di mezza età, da oltre trent’anni in Italia - si legge an-cora -, che, adolescente, è stata costretta a seguire il padre ea scontrarsi con l’arretratezza delle zie trapanesi e di una men-talità che considerava le donne poco di buono, se puntavano arealizzarsi fuori dalle mura domestiche. Altrettanto difficile è lacondizione di Ramona, polacca per la quale l’arrivo nella peri-feria meridionale dell’Europa non ha voluto dire emancipazionee diritti, ma un’involuzione della sua condizione di donna. Ap-prodata in Sicilia per amore, si ritrova a vivere in un contestoanti-moderno. Una ragazza autonoma che si laurea in patria eche deve scontrarsi con un doppio pregiudizio: quello della fa-miglia del compagno siciliano che le sconsiglia di lavorare equella di chi la vede prostituibile soltanto perché straniera”.Marie Ange Bisseur è, invece, una mauriziana che fa la media-trice culturale a Palermo. Aveva 20 anni quando è arrivata, nel1985, per seguire il fidanzato emigrato in cerca di lavoro, sfi-dando i genitori che non volevano vederla partire. I suoi figlisono nati in Italia e, dopo venticinque anni, non tornerebberopiù alle Mauritius. Come, del resto, la maggior parte dei ragazzi,nati da genitori migrati in Sicilia decenni fa, che in questa terrahanno ormai la loro vita, avendo fatto amicizie, frequentandola scuola, essendosi relazionati con una realtà non sempreospitale con coloro che sono ancora oggi considerati “diversi”.E che, nonostante siano ormai parte attiva di un meccanismoanche economico, nega loro molti diritti, primo tra tutti la citta-dinanza. Paradossale, nel 2010, ritrovarci ancora a parlare didiritti “dovuti” a cittadini, ai quali, invece, si chiede solo di rispet-tare dei doveri. Uno tra tanti, quello di pagare le tasse, a cuinon possono in alcun modo sfuggire, viste le luci implacabili diriflettori continuamente puntate su di loro.

G.S.

Guida multilingue per l’aiuto alla crescita di un figlio

Èredatta in cinese, ucraino, inglese, francese, spagnolo, ita-liano e arabo la nuova guida multilingue, dal titolo “Tu e iltuo bambino da 1 a 5 anni ”, realizzata dalla Federazione

italiana medici pediatri per migliorare la conoscenza sulla crescitadei minori, con uno sguardo particolare rivolto ai piccoli stranieri eai loro genitori, questi ultimi spesso spinti proprio dai loro figli a in-tegrarsi. “Oggi in Italia quasi un neonato su 5, nato in alcune areedel nostro Paese, è extracomunitario - afferma Giuseppe Mele,presidente della Fimp - e, all’inizio del 2009, i minorenni stranierierano quasi un milione. Una realtà multietnica che, nonostante siada tempo un dato di fatto, non è sempre accompagnata da ade-guate politiche di integrazione. Anche il mancato inserimento all’in-terno di un contesto sociale, talvolta per scarsa conoscenza, puòlasciare delle cicatrici in questi bimbi”.

La guida, che si avvale anche del patrocinio dell’Unicef e di Raisegretariato sociale, offre alle mamme, italiane e straniere indi-stintamente, uno strumento per orientarsi nelle fasi fondamen-tali della crescita dei loro piccoli, considerando con attenzionelo sviluppo del linguaggio, l’importanza della lettura, la nutri-zione corretta, la sicurezza e la salute. In una società multiet-nica e multiculturale come quella in cui ormai viviamo le sfidesono tante.Il volume, oltre a essere distribuito negli studi pediatrici, può es-sere richiesto inviando un’e-mail all’indirizzo di posta [email protected]. Cliccando sulla voce “Intercultura” delsito www.leggerepercrescere.it, si può, nel frattempo, scaricaregratuitamente l’opuscolo in italiano.

G.S.

“Esilio Asilo”, quando con l’immigrazionele donne perdono alcuni diritti fondamentali

Sono sempre di più le donne straniere che ricorrono al-l’aborto. Nel 2008 hanno rappresentato il 33% delle interru-zioni totali (40.224 nel 2007, secondo la relazione prodotta

nel 2009 dal ministero della Sanità), contro il 10% del ’98, con untasso di abortività di 3 o 4 volte superiore alle italiane. Coloro chehanno vissuto in precedenza un’esperienza del genere sono il27%, percentuale che purtroppo raggiunge il 37% per le donnestraniere. Una vera emergenza troppo sottotaciuta, una dramma-tica realtà che va fatta conoscere.Fu, per esempio, la trasmissione “Le Iene” a denunciare, lo scorsogennaio, una serie sospetta di aborti clandestini a Chinatown. Unavera e propria “clinica degli orrori”, che operava in via Paolo Sarpie che, subito dopo la notorietà mediatica, per sfuggire alla poliziasi spostò a Quarto Oggiaro. Non parliamo, dunque, di realtà al difuori dei confini del nostro Paese, ma dietro l’angolo di strade dellacittà più “trendy” d’Italia. Milano, tanto per intenderci. E così, vienefuori che nella comunità cinese, di aborti se ne ha almeno uno algiorno, praticati ovviamente da persone senza scrupoli, capaci disfruttare le condizioni economiche non certo floride di questedonne che, prive di permesso di soggiorno, preferiscono rischiarela vita pur di non ritrovarsi a perdere il lavoro perché il “bagaglioingombrante” è costituito da una vita innocente, sacrificabile alposto della madre di turno. Il ricorso all’aborto da parte delle donnestraniere segue, però, sempre comportamenti differenti per nazio-nalità e cultura di provenienza, anche a causa dei diversi approccie accessi alla procreazione responsabile e alle interruzioni di gra-vidanza nei rispettivi Paesi di origine. Chi, dunque, pensa che nel2010 gli aborti clandestini non esistano più, sbaglia di grosso.Certo, diminuiscono rispetto agli anni scorsi, ma rimangono unarealtà di cui tenere conto. Nel 2006, l’Istituto Superiore di Sanitàstimava in 20mila il numero delle Ivg praticate al di fuori di ospedalio strutture pubbliche adeguatamente preparate. La relazionesull’applicazione della legge 194, quella che disciplina l’interru-zione volontaria di gravidanza, contenente i dati definitivi del 2008e quelli provvisori del 2009, ci dice che l’anno scorso sono state ef-fettuate 116.933 Ivg, con un decremento del 3.6% rispetto al datodefinitivo del 2008 (121.301 casi) e un altro decremento del 50.2%rispetto al 1982, anno in cui si è registrato il più alto ricorso a que-sto tipo di operazione (234.801).La tendenza storica alla diminuzione dell’aborto in Italia diventaancor più evidente se si scorporano i dati relativi alle donne italianerispetto a quelli delle straniere. Le motivazioni principali della co-stante diminuzione del ricorso all’aborto sembrano, però, esseresoprattutto culturali. Prima di tutto, la tenuta delle reti di rapporti fa-miliari, caratteristica del nostro paese, quindi l’esistenza diffusa diun volontariato attivo nel sostegno alle maternità difficili, sono i fat-tori che hanno sicuramente pesato nel calo delle Ivg.Il tasso di abortività in Italia rimane, però, fra i più bassi tra i paesioccidentali. Particolarmente inferiore ad altre realtà è quello rela-tivo alle minorenni. Per quanto riguarda queste ultime, nel 2008 èstato di 7,2 per 1.000, con valori più elevati nell’Italia settentrionalee centrale, ma inferiori agli altri Stati dell’Europa Occidentale.“Siamo in un paese a bassa natalità, ma anche a basso ricorsoall’Ivg - leggiamo nella relazione presentata al Parlamento dal mi-nistro della Salute, Ferruccio Fazio - e insieme un paese con limi-tata diffusione della contraccezione chimica. Altre nazioni -Francia, Gran Bretagna e Svezia, tanto per citarne alcuni - hannotassi più elevati, a fronte di una contraccezione chimica più diffusa

e di un’attenzione accentuata verso l’educazione alla procrea-zione responsabile. In generale, si tengono in considerazionenon soltanto i classici fattori di prevenzione (educazione ses-suale scolastica, diffusione dei metodi anticoncezionali, facilitàdi accesso alla contraccezione di emergenza), ma anche ele-menti culturali più ampi”. Le condizioni economiche, comunque,non sembrano essere la causa determinante nella scelta di pro-seguire o meno una gravidanza. Quasi la metà degli aborti è,infatti, operata su donne che posseggono un lavoro: il 48,6% frale italiane, il 46,7% fra le straniere. Solo l’11,9% di quelli fra ita-liane e il 22% fra straniere è praticato nei confronti di donne di-soccupate o in cerca di prima occupazione. Richieste le Ivg inpercentuali poco differenti fra coniugate e nubili, senza distin-zione di nazionalità. Fra le italiane, inoltre, quasi la metà delleinterruzioni volontarie di gravidanza viene richiesta da donnesenza altri figli, mentre fra le straniere senza prole la percen-tuale è di un aborto su tre. Cresce, poi, il numero di operatoriche dice “No”. Se nel 2005 i ginecologi obiettori erano il 58,7%,nel 2006 sono saliti al 69,2%, nel 2007 al 70,5%, fino ad arri-vare nel 2008 al 71,5%. Gli anestesisti sono passati dal 45,7%del 2005 al 52,6% del 2008, mentre il personale non medicoera il 38,6% nel 2005 e il 43,3% nel 2008. Il boom di ginecologiobiettori si è avuto in Lazio (85,6%), Basilicata (85,2%), Cam-pania (83,9%), Molise (82,8%), Sicilia (81,7%) e Veneto(80,8%). Anche la pillola abortiva, regolarmente in commercioin Italia dal dicembre 2009, merita un attimo di considerazione.E’ stata impiegata per 3.853 casi in alcune regioni, che hannofornito i dati sul suo uso solo su base volontaria. Nel 2005 laRu486 è stata usata in Piemonte e Toscana per 132 casi; nel2006 in Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Marche e Trentoper 1.151 casi; nel 2007 in Emilia Romagna, Toscana, Marche,Puglia e Trento per 1.010 casi; nel 2008 e 2009 nelle stesse ul-time aree, con 703 casi e 857 casi. Il primo caso in Sicilia di in-terruzione di gravidanza con il nuovo metodo farmacologico siè avuto lo scorso il 31 maggio all’ospedale “Trigona” di Noto,nel reparto di Ginecologia e Ostetricia diretto da Salvatore Mor-gia, già allineato alle procedure emanate dall’Assessorato re-gionale alla Sanità e, pertanto, scelto dalla Direzione generaledell’Asp di Siracusa come centro pilota di tutta la provincia.

G.S.

13dicembre2010 asud’europa 15

Sempre più donne straniere abortisconoLoro il 33% delle interruzioni di gravidanza

Storie di sofferenza, carcerazione e omofobiatra i premiati del Premio “Anello Debole” 2010

Una tragica vicenda di violenza domestica, la sofferenza dei“bambini stregoni” in Congo, la vita dei braccianti africani inCampania, il grido di libertà di un carcerato. E poi, le deli-

cate testimonianze dei familiari di pazienti in coma e una satiradell’omofobia dentro una famiglia “normale”. Sono questi i temidelle sei opere, quattro delle quali inedite, vincitrici della sesta edi-zione del Premio “L’Anello Debole”, promosso dalla Comunità diCapodarco di Fermo in seguito a un’idea di Giancarlo Santal-massi, per dare un degno riconoscimento ai migliori programmigiornalistici radiofonici e televisivi, ma anche ai cortometraggi chesi sono distinti per avere affrontato con qualità e sensibilità tema-tiche di forte contenuto sociale e sulla sostenibilità ambientale.Grazie al Premio, poi, i giovani autori che non riescono a trovarespazio nei media hanno l’opportunità di dare visibilità ai loro lavori.Complice la collaborazione con il “Corriere della Sera”, che que-st’anno ha inserito sul suo sito i 18 video finalisti.Ma andiamo ai vincitori. “Ritratto 03. Paola”, di Jonathan Zenti(Suoni Quotidiani/Audiodoc), in concorso per la sezione “Radio”,si è aggiudicato sia il premio speciale della Giuria di qualità sia ilprimo premio assoluto. Si tratta di un’opera inedita che nascenell’ambito del progetto “Ritratti”, un lungo collage di storie comunie allo stesso tempo straordinarie, per riflettere sull’Unità d’Italia aldi fuori delle celebrazioni. Vincitore assoluto per la sezione “TV”,è stata l’opera inedita di Stefano Liberti (Procon CommunicationGroup), dal titolo “L’inferno dei bimbi stregoni”. Il reportage, giratoa Kinshasa nel maggio 2009, racconta il fenomeno dei bambiniche vengono accusati di stregoneria e sono mandati in stradaspesso dalle loro stesse famiglie. Commissionato da Rai1, non èmai andato in onda a causa della drammaticità delle immagini.Tra i 18 video finalisti “Sassi tra gli ulivi”, di Laura Silvia Battagliae Barbaro Urbano, in concorso sempre nella categoria “Tv”, è statoacquistato da RaiNews 24 solo dopo essere stato trasmesso daCorriereTv. Il premio speciale della Giuria di qualità, invece, è an-dato a “L’altro tempo” di Anna Carini, opera trasmessa su Rai Trenella rubrica “Racconti di vita”. Il servizio è ambientato nella Casadei risvegli “Luca De Nigris” di Bologna, dove si impara a vivere inun altro tempo: quello lento, quasi immobile del coma. Nella se-zione “Corti della realtà”, il video “Campania d’Africa” di FrancescoAlesi, anch’esso inedito, ha messo tutti d’accordo, aggiudicandosi

sia il premio della Giuria sia quello assoluto. E’ stato girato aCastel Volturno, la città con la più alta percentuale di africani inEuropa, le cui vite vengono raccontate in maniera inusuale at-traverso fotografie e interviste. Per la sezione “Corti di fiction”,premiato “In my prison”, di Alessandro Grande (Gem Produ-zioni), opera trasmessa al Roma Fiction Fest. E’ ambientato incarcere, dove un detenuto trova una soluzione originale persfuggire all’angoscia che lo spinge verso la violenza o l’autodi-struzione. Il Premio speciale della Giuria di qualità è stato, in-fine, assegnato a “Di spalle”, di Mario Parruccini, anche questaun’opera inedita contro l’omofobia. Dal 2005, anno della suanascita, “L’Anello Debole” ha ricevuto in totale 717 opere: diqueste, 671 sono state ammesse al concorso e 339 sono stateselezionate per la votazione finale. Tra i partecipanti di questianni, giornalisti di tutte le testate Rai e Mediaset, di Sky, La 7,Radio 24 e di molte altre radiotelevisive regionali, insieme a nu-merosi autori audio-video italiani e internazionali, in concorsocome singoli o in rappresentanza delle principali organizzazioninon profit. Tutti i video finalisti di questa e delle passate edizionisono on line sul sito www.premioanellodebole.it.

G.S.

16 13dicembre2010 asud’europa

“Natale è tradizione”, spettacoli dei pupi a Borgo Vecchio

“Natale è tradizione” è il titolo della quarta edizione dellamanifestazione di opera dei pupi e cantastorie, pro-mossa sino al 30 dicembre al Teatrino “Carlo Magno”

della famiglia Mancuso, al civico 17 di via Collegio di Maria, (allespalle dell’hotel President - nei pressi del Porto di Palermo), alBorgo Vecchio. Tutti spettacoli che si adattano a un pubblico ete-rogeneo di grandi e di piccoli, trovando la loro massima espres-sione nella Storia dei Paladini di Francia di Giusto Lo Dico. Il costodi ogni rappresentazione è di 6 euro, tranne quella del 16 dicem-bre, quando l’ingresso sarà gratuito e si potrà assistere all’operadei pupi di Coppola e, subito dopo, a “U cunto” di Saverio CelanoLo Monaco. Il 17 e 18, i cantastorie Vito Santangelo e FortunatoSindoni racconteranno le vicende di “Orlando Pazzo”, quelle diSalvatore Giuliano e dell’Unità d’Italia, ma anche la storia forse

più particolare “Dalla Barunissa a Lorena Bobbit”. Il 19 dicem-bre ci saranno in scena “I Cunti” di Salvo Piparo, quest’ultimoaccompagnato dalla chitarra di Totò Fundarò, mentre il 23 e 24si potrà finalmente godere l’Opera dei Pupi dei Figli d’arte Man-cuso che, in occasione della speciale ricorrenza festiva, narre-ranno “La nascita di Orlandino”. “Vi cuntu e vi cantu a Barunissadi Carini” e “ I vuci ri Palermu” di Celano, con Giana Guaiana ela sua chitarra, saranno gli spettacoli proposti il 26 e 28 dicem-bre. La conclusione della manifestazione, il 29 e 30, sarà affi-data, agli stessi Mancuso con “La morte di Alfonso d’Asia”. Permaggiori informazioni si può visitare il sito Internet www.mancu-sopupi.it. Per mettersi in contatto direttamente con gli artisti, sideve chiamare il tel. 091.8146971 o il cell. 347.5792257.

G.S.

“Vucciria in Piazza” di Stefano Piazzasguardo ironico e paradossale su Palermo

Unviaggio nell’anima di una città a partire da un quadro, laben nota “Vucciria” di Guttuso, che l’ha resa celebre nelmondo. Una narrazione che si può considerare un puzzle

tra tessere del passato e del presente, tra i ricordi dei tempi chefurono e l’osservazione delle nuove dinamiche della società. Sipotrà vedere alle 21.30 del 16 e 30 dicembre, all’Agricantus, “Vuc-ciria in Piazza”, l’ultimo spettacolo di Stefano Piazza, diretto daErnesto Maria Ponte. Uno sguardo ironico e paradossale su Pa-lermo, con una piece che, riprendendo la tradizione del raccontopopolare, guarda in chiave ironica agli stereotipi legati ai palermi-tani. Tutto diviene pretesto per riflettere e capire un mondo che avolte sembra troppo “storto”, ma di fronte al quale spesso non sipuò non sorridere.E’ un teatro di ricerca, quello in cui il giovane artista mischia la co-micità con squarci poetici, fondendo la tradizione del dialetto conla satira sulla modernità. Attento a tutti i cambiamenti, Piazza lianalizza, proponendo battute che prendono di mira tutti gli aspetti:la politica, i rapporti interpersonali, la televisione, il calcio. Lo spet-tacolo è una serie di monologhi forti e di duelli verbali, che sugge-risce un nuovo utilizzo della parola, del parlato dialettale. Il risultatoè uno spettacolo esilarante, che lascia un sorriso spesso amaro,ma sempre con un ritmo serrato e travolgente.Il palcoscenico è bianco e nero, come una vecchia foto tirata fuoridal baule dei ricordi. Sullo sfondo, la celebre tela del pittore paler-mitano. In oltre un’ora e trenta di monologhi e canzoni, accompa-gnato dalle note del bravo chitarrista Toni Greco, l’artista offre unaperformance condita di autoironia: quella che pratica con abilitàchi abita realtà difficili come quelle del Meridione.Il viaggio si conclude con l’ennesima suggestiva narrazione: unmercato, un bambino che cerca di esplorare il mondo. Il piccoloosservatore, stordito dalla confusione, intravede tra quella moltitu-dine due figure e cerca di seguirle. Forse le avrebbe raggiunte, senon fosse stato bloccato dalla madre che lo riporta a casa. I dueuomini continuano a camminare tra la folla: sono due specialistidella narrazione. Uno usa le parole, l’altro la tela e i pennelli. Sono

Leonardo Sciascia e Renato Guttuso.

Un colpo di scena? Per nulla, visto che la ricerca che contrad-

distingue il lavoro di Stefano Piazza la troviamo continuamente

tra le origini e le tradizioni della Sicilia di entrambi i personaggi:

odori, sapori, profumi visti con l’occhio ingenuo di chi, in modo

disarmante e forse senza saperlo, evidenzia il confine labile tra

il reale e l’assurdo di questa nostra amara terra, definita dallo

stesso Sciascia “irredimibile”. Utilizzando lo stile del racconto

delle storie siciliane, inoltre, l’artista illustra caratteristiche e luo-

ghi del nostro territorio a lui cari, con questo omaggio a Guttuso

che va ben oltre la scelta del titolo dello spettacolo e il racconto

di quel tempo, in cui il capoluogo siciliano visse un periodo ma-

gico della vita culturale italiana. La “Vucciria” fa parte di quel

tempo, purtroppo anche per questo storico mercato ormai tra-

montato.

13dicembre2010 asud’europa 17

Sabato e domenica “Mercatino di Natale” in via Ruggero Settimo a Palermo

Come ogni anno, c’è la possibilità di trasformare questo fre-netico periodo dell’anno in un’occasione per fare qualcosadi buono per chi è meno fortunato.

L’opportunità è data dal “Mercatino di Natale”, promosso, sabato18 e domenica 19 dicembre, dall’”Associazione Siciliana Immu-nodeficienze Primitive” Onlus che, attraverso la vendita di oggettirealizzati e offerti anche da diverse aziende siciliane, potrà alimen-tare e incrementare le tante attività e i servizi solitamente offertialle famiglie e ai piccoli pazienti affetti da malattie di origine gene-tica legate al sistema immunitario.I volontari sostengono in modo particolare il reparto di Oncoema-tologia pediatrica dell’Ospedale dei Bambini “G. di Cristina” di Pa-lermo, dove viene effettuata la diagnosi e la cura delleimmunodeficienze primitive al fine di migliorare l’assistenza e im-

plementare la ricerca scientifica. Al mercatino, che si svolgeràdalle 10 alle 21 di entrambe le giornate in via Magliocco, all’an-golo con via Ruggero Settimo, contribuiranno anche quest’annoi bambini della scuola elementare “Tomaselli” di Palermo, conoggetti realizzati con le loro stesse manine. Inoltre, grazie a ungemellaggio con i carabinieri, questi ultimi saranno presenti conun proprio stand per l’effettuazione dell’alcool test.Ci saranno ovviamente anche alcune mamme dei piccoli rico-verati nella struttura ospedaliera palermitana, disposte a rac-contare la loro storia e a consigliare la strada migliore dapercorrere per garantire un’assistenza di qualità ai bambini af-fetti da queste patologie.

G.S.

Insegnanti siciliani con le armi spuntatecontro i casi di abuso sull’infanziaFederica Macagnone

18 13dicembre2010 asud’europa

“Gli insegnanti, pur rivestendo un ruolo fondamentalenell’educazione delle nuove generazioni sono spessoimpreparati a riconoscere i segnali del disagio e a ge-

stire le situazioni di sospetto abuso”. È uno dei dati più significativiestratti dalla ricerca "Gli insegnanti di fronte all'abuso: analisi dellivello di percezione e conoscenza dell'abuso sull'infanzia nelleScuole siciliane" realizzata da Telefono Arcobaleno, e presentataa Palermo, nel corso di un convengo, in occasione della GiornataMondiale per i Diritti all’Infanzia. La ricerca, curata da DanielaCorso e Marika La Rosa (TelefonoArcobaleno) e Flavio Verrecchia(EseC), ha coinvolto un panel di oltre 4500 insegnanti delle scuolematerne, elementari e medie di tutte le province siciliane. L’analisiconoscitiva, effettuata con il sostegno della Regione Siciliana econ il coordinamento del Dipartimento Regionale della Famiglia edelle Politiche Sociali, si pone l’obiettivo di colmare un fabbisognoformativo visto che, dati alla mano, una percentuale significativa diinsegnanti non ha una piena conoscenza del problema e delle op-portune azioni da attivare per la tutela dell’infanzia.Il lavoro prende le mosse dalla consapevolezza che la protezionedel bambino vittima di abuso è possibile solo a partire da una tem-pestiva rilevazione dei segnali di disagio e da una corretta ge-

stione delle situazioni sospette. Gli insegnanti, infatti, trovandosiad essere testimoni di situazioni a rischio, sono chiamati adover svolgere una funzione protettiva nei confronti dei minoricoinvolti. Dalla ricerca è emerso che soltanto un numero ridottodi docenti possiede una formazione specifica sul tema o ha ap-profondito l’argomento attraverso la consultazione di testi spe-cialistici: la conoscenza dell’abuso, nella maggior parte degliintervistati, passa attraverso i mass-media risultando, quindiinadeguata rispetto alla complessità della tematica in que-stione. Ancor più difficoltosa risulta essere la segnalazione delsospetto ai servizi competenti che sono in grado di attivare ilcorretto percorso di accertamento della situazione e di tutelareil minore coinvolto: soltanto il 35% degli insegnanti, infatti, ha di-chiarato di avere segnalato ai servizi sociali territoriali le situa-zioni di sospetto abuso incontrate nel corso della propriacarriera lavorativa. Molto spesso queste situazioni sono stategestite all’interno della scuola senza riuscire ad avviare alcuntipo di accertamento dell’abuso, impedendo, in tal modo, di in-tervenire in maniera efficace. Dai dati si evince che la maggiorparte degli intervistati ha una scarsa conoscenza degli obblighidi legge inerenti la professione di insegnante: soltanto il 34,5%dei docenti, ha dichiarato di essere a conoscenza della qualificadi pubblico ufficiale attribuito all’insegnante e del conseguenteobbligo di segnalare i casi di sospetto abuso.A margine del convegno Telefono Arcobaleno ha lanciato lacampagna nazionale “Proteggere i Bambini: un impegno dagrandi” che ha l’obiettivo di sensibilizzare la collettività rispettoal dovere di tutti gli adulti di tutelare l’infanzia offrendo strumentiper l’emersione e la prevenzione delle situazioni di abuso. “Lacampagna – spiega Giovanni Arena, presidente dell’Organiz-zazione – ha l’obiettivo di fare in modo che ogni bambino abbiaal suo fianco un adulto responsabile, disposto a dare voce allasofferenza dei più piccoli e a essere veramente “grande”. Solocosì, si possono rompere quei silenzi che nascondono e perpe-tuano gli abusi”Nell’ambito della campagna verranno realizzate dei momenti diconfronto sul tema rivolti a genitori, insegnanti ed educatori everrà promossa, per favorire l’emersione delle situazioni diabuso, la Linea Nazionale contro l’abuso 800 025777, il serviziodi helpline di TelefonoArcobaleno che, recentemente, ha apertouna nuova sede operativa a Palermo.

Sbloccati fondi per le coop agricole che gestiscono beni confiscati

Èstata firmata la convenzione fra l’Ircac e l’Assessorato re-gionale alle risorse agricole che consentirà all’Istituto di in-tervenire in favore delle cooperative agricole che hanno

fatto richiesta di accedere ai contributi in conto interessi su finan-ziamenti per il consolidamento di passività onerose esistenti alladata del 31 dicembre 2009.A dare questa possibilità alle cooperative era stata una norma re-gionale, l’art.10 della legge 13/2009, che stabiliva la possibilità diaccendere mutui decennali per consolidare i debiti contratti dandoinoltre , per le cooperative, priorità a quelle che gestiscono e col-tivano terreni confiscati alla mafia.La convenzione, firmata dal Commissario straordinario dell’Ircac

Antonio Carullo e dalla Dirigente generale dell’assessorato al-l’agricoltura Rosaria Barresi, sblocca gli interventi in favoredelle imprese agricole cooperative che hanno già presentatodomanda agli ispettorati provinciali agrari nei termini previstidalla legge Finanziaria e cioè entro il 31 ottobre 2010.Per i contributi in conto interessi nei confronti di queste coope-rative, il Fondo unico dell’Ircac sarà incrementato di 5 milioni dieuro.Con la convenzione, l’Ircac si impegna a costituire un’appositastruttura dotata di personale adeguato, che è stata insediata, acui le cooperative faranno diretto riferimento. La convenzione èvalida per tre anni e potrà essere rinnovata.

Legambiente: ecco l’Italia che cade a pezziIn Italia in 4 milioni vivono in zone a rischio

13dicembre2010 asud’europa 19

Salvo Gemmellaro

Se l'Italia perde pezzi ogni giorno a causa di frane e alluvioni,la colpa «nel 99% dei casi» è dell'uomo: che ha «violen-tato» il territorio costruendo case nelle aree golenali dei

fiumi, deviando torrenti per far posto al cemento, trasformando pic-coli corsi d'acqua in discariche, beneficiando di condoni e sanato-rie. L'ennesima fotografia di un paese che si sgretola alle primepiogge e dove si fa poco o nulla per prevenire i disastri, arriva da'Ecosistema rischio 2010', il rapporto diLegambiente e Dipartimento della Prote-zione Civile che fa il punto sulla fragilitàdel territorio italiano e sulle misure presedalle amministrazioni comunali per ridurrei rischi.Ed è un quadro tutt'altro che positivo: 3,5milioni di italiani vivono e lavorano in zonea rischio frane ed alluvioni, nell' 82% deglioltre duemila comuni che hanno parteci-pato all'indagine sono presenti abitazioniin aree golenali, in prossimit… degli alveie in aree a rischio frana. E ancora: nel54% dei territori comunali vi sono nellestesse aree fabbricati industriali e in trecomuni su dieci (31%) ci sono interi quar-tieri a rischio. In due comuni su dieci, in-vece, sono addirittura gli ospedali e lescuole ad essere stati costruiti in aree dipericolo. Solo il 22% delle amministra-zioni comunali, dice ancora il rapporto,svolge in modo positivo il lavoro di mitiga-zione del rischio mentre quasi un'ammi-nistrazione su 2 (43%) non fapraticamente nulla per prevenire frane ealluvioni.Unica nota positiva, si fa per dire, è che il76% dei comuni ha un piano d'emergenza in caso di pericolo: manel 51% dei casi si tratta di piani non aggiornati negli ultimi dueanni.Perchè accade tutto ciò? «L'eccessivo consumo di suolo - diconoLegambiente e Protezione Civile - l'urbanizzazione diffusa e cao-tica, l'abusivismo edilizio, l'alterazione delle dinamiche naturali deifiumi, l'estrazione illegale di inerti, la cementificazione degli alvei,

il disboscamento dei versanti collinari e montuosi, contribui-scono in maniera determinante a sconvolgere l'assetto idraulicodel territorio e determinano un'amplificazione del rischio, cheinteressa praticamente tutto il territorio nazionale». Cose chesono sotto gli occhi di tutti. «Qualche giorno fa ero a Nocera In-feriore - dice il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli - emi sono state fatte vedere delle abitazioni costruite nelle vasche

borboniche, cioè nelle zone diespansione del fiume previste pro-prio dall'uomo» già un secolo fa. Si-tuazione identica a decine di realtàsparse per l'Italia. Per questo, ac-cusa Gabrielli, non solo «è irrespon-sabile» ma è anche «criminale»costruire in certe aree del paese.Case, ospedali, scuole, «realizzati, espesso consentiti, grazie a sanatoriee condoni, che hanno dato alla gentee alle amministrazioni la legittima-zione» a fare ciò che non andavafatto.Per uscire da questa situazione cisono soltanto due strade: da un latoun intervento massiccio - la «vera“grande opera” che serve all'Italia»,dice Legambiente - per mettere in si-curezza l'esistenze e bonificare fiumie torrenti, «il tallone d'Achille delpaese»; dall'altro una assunzione diresponsabilità da parte degli stessicittadini e delle amministrazioni, chedevono essere consapevoli di viverein un paese dove il rischio deve es-sere considerato accettabile. Il che

significa capire che o si fanno interventi per mettere in sicu-rezza gli edifici pubblici e privati oppure, se questi si trovano inaree a rischio, si delocalizzano. Una pratica per il momento sco-nosciuta agli italiani visto che solo il 6% dei comuni che si tro-vano in aree a rischio ha intrapreso iniziative didelocalizzazione e solo il 3% ha fatto lo stesso per insediamentie fabbricati industriali.

E la Coldiretti denuncia: frane da colata di cemento sul 25% dei campi

L'Italia frana anche perchè il 25 per cento delle campagnenegli ultimi 40 anni sono state abbandonate o coperte dal ce-mento. Èquanto emerge da uno studio della Coldiretti in rife-

rimento al rapporto «Ecosistema a rischio 2010» di Legambientee Protezione civile. Un territorio grande come due volte la regioneLombardia per un totale di cinque milioni di ettari equivalenti - sot-tolinea la Coldiretti - è stato sottratto all'agricoltura, che interessaoggi una superficie di 12,7 milioni di ettari con una riduzione del 25per cento negli ultimi 40 anni.Il rapido processo di urbanizzazione e cementificazione selvaggiaed il progressivo abbandono del territorio non è stato accompa-gnato - continua la Coldiretti - da un adeguamento della rete discolo delle acque ma ora necessario intervenire per invertire una

tendenza che mette a rischio la sicurezza idrogeologica di tuttoil Paese, come dimostrano i fatti recenti.I cambiamenti climatici che si manifestano con un aumentodella frequenza di eventi estremi, la maggiore intensità delleprecipitazioni e la relativa impossibilità di assorbire l'enormequantità di acqua che cade in pochi minuti, rappresenta se-condo la Coldiretti un mix micidiale che impone una più attentapolitica della prevenzione. In altre parole - sostiene la Coldiretti- se si continua a «consumare» campagna, sostituendola conzone cementificate e, contestualmente non si creano le condi-zioni perchè l'acqua possa defluire il risultato non può che es-sere l'aumento dei rischi per frane ed alluvioni analizzato dallaProtezione civile e da Legambiente.

Gli ultimi giorni di Paolo BorsellinoAntonio Ingroia

Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino, di Giorgio Bongiovanni e Lo-renzo Baldo (Aliberti editore www.alibertieditore.it pp. 363 €16,50), racconta il dolore e la solitudine di un uomo fino all'estremosacrificio. Nel testo viene riportata l'anticipazione del documentomultimediale contenuto nel fascicolo delle nuove indagini sullestragi del '92 che la procura di Caltanissetta si appresta a deposi-tare: la ricostruzione in 3D della strage di via D'Amelio. Attraversoquesta moderna tecnica gli investigatori intendono rappresentarein ogni dettaglio la scena dello scoppio dell'autobomba, anche permostrare la precisa traiettoria tracciata dal blocco motore della 126imbottita di tritolo: dal punto dell'esplosione, fino al luogo esatto incui è stato rinvenuto. Pubblichiamo la prefazione al libro di AntonioIngroia.

Non è il primo libro dedicato a Paolo Borsellino e non saràl’ultimo. Almeno lo spero. Perché la copiosa letteratura chesi è formata spontaneamente intorno

alla sua vicenda umana e professionale testi-monia il crescere di interesse per la figura diquesto eroe moderno della nostra democra-zia. Un vero modello di vita da proporre ai no-stri giovani, davvero alternativo rispetto aimodelli devianti spesso imposti dall’imperantesemplicismo mediatico, tutti imperniati sullafurbizia, la prevaricazione, l’indifferentismoetico e l’egoismo morale. E non solo. Perchél’abbondanza della letteratura sulla morte diPaolo Borsellino attesta anche quanto sia ur-gente l’aspettativa di verità, inappagata lasete di giustizia, diffusa l’esigenza di chia-rezza su una vicenda ancora troppo oscura,gravida di ombre, schiacciata dai buchi neridei silenzi e dei depistaggi istituzionali.Il principale merito di questo bel libro di duegiornalisti franchi e coraggiosi come GiorgioBongiovanni e Lorenzo Baldo è quello di es-sere riuscito a essere diverso dagli altri, daitanti libri – anche pregevoli – dedicati al tema.Perché non è un libro come gli altri. In primoluogo, perché non sposa tesi precostituite oipotesi più o meno congetturali. Certo, non è del tutto imparziale.Perché è un libro partigiano, nel senso che fa le sue scelte dicampo. Ma sono scelte di campo chiare, le stesse di Paolo Borsel-lino. Sta dalla parte della Verità e della Giustizia. A qualsiasi costo.In secondo luogo, perché lo fa con uno stile originale e complesso.Perché usa lo stile narrativo, ma non è solo il racconto drammaticodegli ultimi giorni di vita di Borsellino. Usa lo stile del reportagegiornalistico, ma non è soltanto un’inchiesta giornalistica. È l’unoe l’altro. È la cronaca appassionata degli ultimi giorni di Borsellino.Giorni drammatici, dalla strage di Capaci, dove Borsellino perdeva,nello stesso momento, l’amico più grande e il collega più prezioso,fino a via D’Amelio, suo tragico epilogo, attraverso un itinerarioirto di ostacoli, sempre più in salita. Una specie di calvario di ini-ziazione, alla fine del quale Borsellino forse trova la verità dellastrage di Capaci o ci arriva così vicino da rimanere vittima di quellastessa scoperta. Ma il libro è anche una preziosa e aggiornataguida per il lettore fra le più importanti informazioni e acquisizionisulla verità di quella stagione stragista.

È per questo motivo, per questa struttura, che nella prima partedel libro funziona bene il racconto in forma narrativa, che ripro-duce molto efficacemente l’atmosfera da tragedia greca diquella vicenda umana, con quel senso immanente di morte chetrasuda dalle pagine, attorno a temi eterni come il sacrificio, ilmartirio, la verità, l’altruismo etico.E quando la storia sembra finire, con la tragica morte di Borsel-lino, ecco che ricomincia, riprende il suo cammino sulle gambedi altri uomini. Perché è questa la novità del libro. Prima il rac-conto di quei giorni, che non è quasi mai narrazione individuale,in soggettiva, ma è storia corale, attraverso i testimoni, i fami-liari, gli amici, i colleghi più cari di Borsellino che raccontano imomenti più intensi di quelle giornate di passione, e che da te-stimoni e da cittadini si propongono come prosecutori dell’operadei caduti di cui hanno raccolto il testimone. Ed esaurito il rac-conto, inizia la vera propria inchiesta giornalistica, che ha il me-

rito di essere l’ultimo e il più aggiornatoquadro dello stato delle indagini su quellastrage, terribile e ancora oggi oscura. Con isuoi depistaggi, deviazioni dalla verità, dubbi,ombre e buchi neri. Tutte vicende non ancoraconcluse, alcune delle quali mi vedono prota-gonista, o testimone dei fatti accaduti nel1992, accanto a Paolo Borsellino – il miomaestro, il magistrato col quale ho iniziato lamia carriera di pubblico ministero antimafia –o come investigatore che oggi si trova a inda-gare su vicende collaterali, ma verosimil-mente collegate alla strage. Per esempio lacosiddetta trattativa che si sarebbe sviluppatafra Stato e mafia proprio a cavallo delle duestragi palermitane. Senza poter entrare, perovvie ragioni di riserbo investigativo, nel me-rito delle vicende narrate nel libro, non possonon rilevare quanto minuziosa, precisa, di-staccata e obiettiva sia la ricostruzione deifatti e delle inchieste ancora aperte che quiviene fatta, parlando di tutti i misteri: dalla trat-tativa, alla scomparsa dell’agenda rossa diBorsellino, ai dubbi sul luogo dal quale venne

premuto il telecomando dell’autobomba, ai retroscena dellafalsa collaborazione di Vincenzo Scarantino, fino ai tanti so-spetti sui depistaggi istituzionali su cui sta indagando l’autoritàgiudiziaria di Caltanissetta.Insomma, una storia aperta che non ha, non può ancora avereuna sua conclusione fin quando non verrà scoperta tutta la ve-rità su una delle stragi di mafia più anomale della storia dellanostra Repubblica, e che perciò trova la spiegazione più plau-sibile della sua anomalia nella sua matrice verosimilmente nonsolo mafiosa, come sospettammo tutti fin dalla stessa sera dellastrage. Un’intima consapevolezza di tanti che ora sembra di-ventare concretezza investigativa, e forse si appresta a trasfor-marsi in certezza probatoria.Un importante contributo alla chiarezza in un momento digrande confusione nel nostro Paese, all’emergere della veritàin una fase molto delicata della storia d’Italia. Con l’augurio checoloro che quella Verità la vogliono fortemente riescano a pre-valere sui Nemici della Verità e della Giustizia.

20 13dicembre2010 asud’europa

Il volto nuovo dell’Antimafia al nordNando Dalla Chiesa

Al vecchio tifoso ricorda un po’ Salvatore Bagni in gioventù.Ma il ragazzo, ventitre anni, non fa il calciatore. La sua par-tita è un’altra. Si è messo in testa di smuovere coetanei e

adolescenti contro i clan saliti in tolda di comando nelle zone go-vernate dalla Lega. Massimo Brugnone è una nemesi storica perla mitologia lumbard. Nato a Busto Arsizio, provincia di Varese,ma con un bel corredo da terrone: il padre è di Termini Imerese,direttore alle poste, la madre tarantina, cancelliere in tribunale,due classici pubblici impiegati “venuti da giù”. E in più rappresentaun’associazione che odora di Calabria: “ammazzateci tutti”, nataper rabbia e sfida dopo che a Locri, era il 2005, i clan ucciseroFrancesco Fortugno, vicepresidente del consiglio regionale cala-brese. Ci voleva lui per fare quel che i leghisti purosangue nonhanno mai fatto. Portare, per esempio, gli studenti del liceo scien-tifico di Busto Arsizio, il “Tosi”, ad assistere al processo alla ‘ndran-gheta. “Bad Boys” si chiama. “E perché non dovrei farlo? E’ giustoo no che i giovani sappiano come funzionano le istituzioni? E ilfunzionamento della giustizia non è importante per capire comela Repubblica fa rispettare le sue leggi?”. Vaglielo a dire ai parentidei (presunti) boss e dei loro (presunti) affiliati…Si erano abituatiad agire in silenzio, qui, con una bella pletora di sindaci e asses-sori pronti a giurare che la mafia non esiste. E ora non solo gli ar-riva addosso la magistratura che da Reggio Calabria a Milanomette clan e appalti sotto tiro, ma incomincia pure la rivolta civile.Ragazzi che si mobilitano per andare a vedere come vengono pro-cessati gli imputati di associazione mafiosa. Con quei parenti chein Lombardia spesso intervengono nelle trasmissioni tivù, scrivonoai giornali, regolarmente ospitati, per proclamare l’innocenza deicongiunti e puntare l’indice contro chi crede più ai carabinieri cheai loro giuramenti. “Sì, i parenti se la prendono con noi, ci insul-tano, ci accusano di considerare tutti già colpevoli prima che sifaccia il processo. L’altro giorno mi ha affrontato la moglie di Vin-cenzo Rispoli, il capo dei calabresi di Lonate Pozzolo. Si è anchelamentata dal fatto che i familiari dei mafiosi non ricevono aiutidallo Stato. Li ricevono anche i tossicodipendenti, ha detto, e noiperché no? Mi ha augurato di passare tutto il male che sta pas-sando lei. Ma noi vogliamo sentire bene le accuse. Vogliamo sen-tire avvocati e testimoni”. Già, i testimoni sono una specie a parte,qui. Mica per niente Ilda Boccassini ha dovuto denunciare silenzie reticenze dei famosi imprenditori del nord.Massimo è uno di quei giovani che da un po’ di tempo a questaparte stanno smuovendo la palude, il grande e pacifico accordoche assegna Busto Arsizio alla mafia siciliana dei gelesi e l’asseLonate Pozzolo- Legnano ai calabresi. Ma non si ferma alla pro-vincia di Varese. L’altro giorno è andato anche vicino Lodi, dai ra-gazzini delle terze medie di Graffignana. Si porta dietro i lorodisegni come un trofeo, per dimostrare che è possibile svegliarele coscienze. “Diceva Borsellino della mafia: la gioventù le ne-gherà il consenso. Ecco, io immagino l’umanità fatta di pallinebianche, nere e grigie. Le grigie sono la maggioranza. Le bianchesono in gran parte tra i giovanissimi, bisogna che rimangano bian-che salendo con l’età”.Ha una passione per la legge, e mica per niente è iscritto a giuri-sprudenza a Milano. Si è scaricato le 790 pagine di ordinanza di

custodia cautelare dell’operazione Infinito e ne fa materia di di-vulgazione, perché almeno i giovani smettano di vivere comeAlice nel paese delle meraviglie. Parla secco, davanti alla follachiamata a Lonate da un gruppo trasversale di consiglieri uniti“per la legalità”. In paese il quaranta per cento dei residenti ar-riva da Cirò Marina e qui non se ne vede uno tranne il vicesin-daco, perché è meglio non dare nell’occhio, meglio restare acasa. La giacca blu, tiene le mani come aggrappate al micro-fono mentre snocciola i nomi e cita Vincenzo Rispoli, il frutti-vendolo, il boss locale; mentre invita gli onesti a mettersiinsieme, i suoi coetanei ad “andare oltre senza aspettarsi nulla,perché oggi abbiamo tutti i mezzi per crearci un’informazioneda soli ed essere di esempio per i più piccoli”. Avverte che si stalasciando solo Fabio Lonati, commerciante-imprenditore usu-rato, e poi preso a calci sul torace e costretto letteralmente amangiarsi le cambiali. “Qui dentro”, dice, “magari qualcuno losapeva e ha taciuto”. Parla asciutto, ma ha lo sguardo gentile.E qualche impennata di durezza. Difficile per lui accettare cheil sindaco di Desio sia andato a chiedere al prefetto di Milano didire che Desio non è la città messa peggio tra Brianza e din-torni. Si chiama Mariani quel sindaco. La maggioranza dei suoiconsiglieri si è appena dimessa, provocando il commissaria-mento del comune. “Ammazzateci tutti” da Locri ci tiene a ri-cordare alle autorità lombarde che combattere la mafia è unloro dovere, altro che far le vittime e i piangina, come si dicenella fertile pianura del Po. Massimo spiega di non sentirsi rap-presentato dagli adulti, che molti quarantenni che si definisconogiovani neanche immaginano che cosa passi a lui nel sanguequando sente parlare dei trionfi di violenza e di silenzio dei clan.Be’, se mai si andrà a votare, i partiti ci pensino. E candidino iMassimi che in tutta Italia trascinano la meglio gioventù. Che il“largo ai giovani” sia rivolto a loro invece che ai portaborse delPalazzo

(Il Fatto Quotidiano)

13dicembre2010 asud’europa 21

22 13dicembre2010 asud’europa

Movimenti civici e big societyGiuseppe Lanza

Lamobilitazione dei movimenti civici di Palermo con l’obiettivodi arrestare il degrado della città e di promuoverne uno svi-luppo umano e sostenibile costituisce un evento di grande

rilievo culturale, sociale e politico perché è il segnale che esistonodelle minoranze critiche e profetiche che avvertono la sofferenzadi una cittadinanza mortificata non solo dalle disfunzioni dei servizima dalla percezione dell’abbrutimento e del disamore di unaclasse politica cinica e incapace di concepire la città come luogodella bellezza, della reciprocità,degli incontri e dell’agire comuni-cativo. Un disastro che prima di essere finanziario, economico, ur-banistico, organizzativo, è etico e spirituale e concorre adabbassare sempre più la soglia dello spirito pubblico dei cittadiniLa mission dichiarata “per una società responsabile e solidale”conferma anche la consapevolezza nei promotori che il problemadella vità di una città non è più risolvibile affidandosi solo al "pila-stro politico” magari ricorrendo alla revoca di vecchie deleghe po-litiche o scegliendone di nuove o addirittura mobilitandosidirettamente con le liste civiche. Anche nelle realtà più fortunate diPalermo, dove il rendimento delle istituzioni pubbliche non rag-giunge l’inefficienza indecente delle nostre amministrazioni, si fasempre più strada l’idea che il potere e la struttura verticale dellasocietà giungono ad un punto di saturazione nel quale gli elementiche compongono il sociale si disgregano e debbono riaggregarsisecondo forme diverse che assegnano alla società civile un inso-stituibile protagonismo.Nel mondo anglossone è in corso un ambizioso esperimento po-litico volto a ridisegnare i confini fra pubblico e privato. Meno Stato,più società: una formula che ha ispirato il programma di Obama esoprattutto quello di Cameron. Il leader britannico ha vinto le ele-zioni promettendo di delegare poteri e responsabilità dal centroalla periferia e dalla pubblica amministrazione ai corpi intermedidella società. Scuola, sanità, servizi sociali saranno il primo e piùimportante terreno di questa doppia devoluzione. L'idea di creareuna «Big Society» e limitare l'intervento dello Stato nella sfera so-ciale non è certo nuova e affonda anzi le sue radici in quell'éspritd'association già decantato da Tocqueville quasi due secoli fa..

Concretamente, promuovere la «Big Society» significa dar re-spiro alle comunità locali, alle associazioni e ai movimenti divaria natura, alla filantropia, alle imprese senza fini di lucro. Si-gnifica incoraggiare risposte innovative ai bisogni, più in lineacon le caratteristiche dei territori e capaci di mobilitarne capa-cità e risorse.Non manca chi vede in queste strategie la foglia di fico per va-nificare il welfare, il che impone una vigilanza democratica chenon ignori però i presupposti finanziari dello stato sociale, mala vera scommessa è quella di restituire ai cittadini la sovranitànella progettazione e nella gestione della cittàriequilibrando iruoli tra il “pubblico” della statualità e il “pubblico “dei corpi in-termediLa formula Big society di Cameron è in sostanza non dissimileda quella del Terzo settore o del Terzo pilastro, che in Italia hatrovato una guarentigia costituzionale col riconoscimento delprincipio di sussidiarietà ..Protagonista di questa trasforma-zione è la società civile, la cittadinanza attiva composta dai ge-nerosi e dai capaci, dalle persone responsabili, che costituiscela vera risorsa cui affidarsi, alla quale concedere credito e spa-zio per costruire un nuovo welfare efficiente accessíbile a tutti,senza gravare eccessivamente sul bilancio pubblico, in gradodi produrre beni sociali che possano indurre certezza e sicu-rezza nella gente.Nella vicenda siciliana solo la “una società solidale e responsa-bile” può giocare un ruolo significativo perché l'intermediazioneregressiva operata dal ceto politico ha fatto degenerare le duepiù potenti forze della modernità, l’efficienza di mercato e l’uni-versalismo statalista, in privatismo tornacontistico e in statali-smo clientelare, realizzando una paradossale alleanza che harafforzato da un lato l'ottusità di un localismo vocato al nanismo,dall'altro la radicalizzazione del familismo amorale sfociato nellamafiosità.Ecco allora che se il problema per un verso è quello di miglio-rare il rendimento delle istituzioni municipali,per altro versoesso si connette con la necessità di mobilitare tutte le organiz-zazioni della società per candidarle ad un protagonismo di sus-sidiarietà orizzontale che si faccia carico in sinergia con unNuovo Comune non solo della prestazione dei tradizionali ser-vizi di welfare, ma anche di una imprenditorialità sociale cheproduca le utility (trasporti, ambiente, scuole,sanità, arte,ecc)I soggetti a cui fare riferimento sono le famiglie - ancora oggigrande ammortizzatore sociale "di fatto" - le associazioni - dasempre dedicate alla socialità e alla assistenza e che più di re-cente sono all'origine del Terzo settore - i territori fatti di cam-panili e municipi, dove si radica il senso di identità e di italianità- le piccole e medie imprese e il lavoro artigiano - le banche ele fondazioni locali. Soggetti da coinvolgere innanzitutto nel pro-getto. «Stiamo capovolgendo il governo, - ha detto Eric Pickles,ministro inglese degli Enti locali -. Invece di imporre diktat dal-l'alto chiediamo alla gente di dirci che cosa dobbiamo fare permigliorare le loro vite. In futuro ci saranno molti referendum a li-vello locale per sapere cosa pensano i cittadini dell'orario diapertura dei negozi del numero di poliziotti per le strade o su,come trasformare edifici pubblici in disuso”.Ma poi anche nell‘attuazione del progetto attraverso la messaa lavoro dell’intero corpo sociale

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A Palermo con l’obiettivo di fermare il degradoe di favorire uno sviluppo umano e sostenibile

In Inghilterra diverse Big society communities si sono offerte volon-tariamente per sostenere l’esperimento sociale di Cameron . Nell’Eden Valley, nel nord dell'Inghilterra, verrà costruito e gestito dallacomunità un nuovo impianto di generazione di energia rinnovabilee i residenti del luogo si occuperanno anche di ampliare l'accessoalla banda larga e di aprire un nuovo centro sociale. La città di Li-verpool punta sulla cultura, reclutando volontari per allungare gliorari di apertura di musei, gallerie e biblioteche e organizzandoattività culturali nelle zone depresse. A Sutton, vicino Londra, lacomunità gestirà la rete di trasporto loca le per renderla più con-sona alle esigenze della gente e creerà progetti di integrazioneper i giovani. Il progetto più delicato è però il trasferimento speri-mentale del controllo delle finanze locali. Il comune di Windsor ten-terà per primo la parcellizzazione del budget e la sua gestionelocale, addirittura “strada per strada” Secondo Cameron è giustoche siano le persone direttamente interessate a decidere comedebbano essere ripartite le risorse invece di un ufficio a centinaiadi chilometri di distanza.La filosofia della big society anche in Inghilterra affronta grossiproblemi di fattibilità,che proiettati in Italia e In Sicilia si ingiganti-scono per diventare quasi insuperabili.Ma questa consapevolezza pratica non deve portarci al pessimi-smo,ma piuttosto ad un sano realismo che contestualizzi il possi-bile realizzabile .In in ogni caso non può portarci rinunciare aimplementare l’ immaginario sociale dei cittadini “solidali e respon-sabili”. Al riguardo ci sembra importante quanto scritto MaurizioFerrera sul Corriere della sera (3 settembre 2010).” Pur ricono-scendo i meriti e le promesse del progetto, è bene tuttavia non la-sciarsi prendere dall'entusiasmo. Per essere efficace, la delega dipoteri e responsabilità alla società civile presuppone infatti tre con-dizioni che gli Inglesi danno per scontate, ma che tali non sono inaltri Paesi, soprattutto nel nostro. La prima condizione è la dispo-nibilità di una cultura politica e di un capitale sociale caratterizzatida elevato «civismo»: diffuso rispetto delle regole, fiducia inter-soggettiva, attivismo associativo e così via. La seconda condizioneè la presenza di organizzazioni intermedie orientate alla risolu-zione dei problemi collettivi e non solo interessate alla «cattura»

di vantaggi corporativi. La terza condizione e la presenza di unoStato efficiente e «capacitatore». La creazione di una società ci-vile ben funzionante non dipende (solo) da scelte filosofico-an-tropologiche sulla natura delle persone e della società, ma daun'agenda puntuale dì riforme istituzionali che deve essere ela-borata e attuata dal governo. A soli tre mesi dal suo insedia-mento, Cameron sta per creare una «Big Society Bank» conuna dotazione iniziale di 3oo milioni di curo, al fine di «accen-dere la miccia» e Incanalare l'associazionismo nelle giusta di-rezione.Tracciare nuovi confini fra Stato e società è un compito urgenteanche per il nostro Paese, soprattutto dopo la crisi. Ma abbiamocapacità e strumenti adatti per questo compito? Gli attori socialisono davvero interessati? E, soprattutto, la politica è pronta afarsi indietro, limitandosi a regolare e «capacitare»? Senza ri-sposte chiare e affermative a questi interrogativi, la «Big So-ciety» è destinata in Italia a restare tema da convegno osemplice slogan comunicativo.

Laboratorio di arteterapia organizzato dalla Gestalt di Palermo

Sisvolgerà per tutta la giornata di giovedì 16 dicembre, al-

l’Unità operativa “Isil” di via Gaetano La Loggia 5, la se-

conda edizione degli “Incontri creativi: femminile e

maschile”, laboratorio integrato di arteterapia, psicodramma ana-

litico e psicoterapia della Gestalt, promosso dall’Associazione Me-

diterranea di Psicodramma “Art Therapy Italiana-Sicilia”, e

dall’Istituto di Psicoterapia della Gestalt. Un’iniziativa, organizzata

sulla scia della “Giornata Internazionale contro la violenza sulle

donne” per riflettere sul tema della lotta contro la violenza sulle

donne attraverso un’esperienza integrata, nata dall’incontro di tre

metodologie, che fanno del processo creativo lo strumento di let-

tura delle trasformazioni individuali e sociali. La proposta di fare un

breve viaggio sullo stesso tema, con tre laboratori differenti,

punta a stimolare la riflessione sulle diverse possibilità di tra-

sformare e valorizzare l’incontro tra maschile e femminile. Que-

st’anno, poi, il contributo di 10 euro richiesto a titolo di rimborso

spese, sarà devoluto al progetto “Adotta una mamma a di-

stanza, dona un sorriso al suo bimbo”, promosso dall’Ong pa-

lermitana “Accademia psicologia applicata”. Alla fine dei

laboratori, intorno alle 19, la poetessa e attrice Francesca Gua-

jana offrirà una performance teatrale di poesia, dal titolo “Non

chiudere gli occhi!”.

Per ulteriori informazioni e iscrizioni, si deve chiamare dalle 18

alle 20 il cell. 329.3330515 o il 328.4787228.

Il discorso che non potrò leggereLiu Xiaobo

La poltrona del vincitore era vuota ma nella sala campeggiava unsuo grande ritratto. Così a Oslo è stato assegnato venerdì scorsoil Premio Nobel per la Pace 2010 al dissidente cinese Liu Xiaobo,che sta scontando nel suo paese una condanna a 11 anni di car-cere. Il riconoscimento è stato consegnato a Liv Ullman che rap-presentava simbolicamente il dissidente. La Stampa ha anticipatoun brano del volume che raccoglie gli scritti dell'attivista cineseche verrà pubblicato da Mondadori il prossimo anno. Eccolo.

L’atto di accusa (numero 247 [2009]della Prima Corte popo-lare intermedia di Pechino) mi imputa di aver commesso ilcrimine di «incitamento alla sovversione dell’ordine dello

Stato» basandosi su 310 caratteri estratti da sei articoli e dalla«Carta 08», citati quali prova della mia violazione del comma 2dell’articolo 105 del codice penale. Non ho obiezioni rispetto ai fattielencati nell’atto di accusa, tranne per l’imprecisione dell’afferma-zione «dopo aver raccolto la firma di più di 300 persone». I sei ar-ticoli sono stati effettivamente scritti da me, come è vero che hopartecipato alla «Carta 08», ma ho raccolto solo 70 firme circa, enon più di 300, perché le altre non sono state raccolte da me. Vi-ceversa, rispetto all’accusa che mi viene mossa mi dichiaro inno-cente. Nel periodo di oltre un anno in cui sono stato privato dellalibertà, negli interrogatori della polizia, della pubblica accusa e deigiudici mi sono sempre dichiarato innocente. Qui parlerò della miainnocenza su diversi piani: in relazione agli articoli della Costitu-zione cinese, alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomodelle Nazioni Unite, alle mie posizioni sulla riforma politica, alletendenze della storia e ad altri punti.

1) La crescente presa di coscienza dei diritti dell’uomo, le semprepiù frequenti difese dei diritti civili, la promozione del progressodel governo cinese nella concezione dei diritti umani sono solo al-cuni dei risultati più importanti che la politica di riforma e aperturaha conseguito. Nel 2004 il Parlamento cinese ha emendato la Co-stituzione introducendovi la frase «lo Stato rispetta e garantisce i

diritti umani», facendo della garanzia dei diritti umani un princi-pio costituzionale del governo legittimo dello Stato. I diritti del-l’uomo che lo Stato deve rispettare e garantire sono regolatidall’articolo 35 della Costituzione, e il diritto di espressione èuno dei fondamentali. Con la manifestazione delle mie diverseopinioni politiche ho esercitato, da cittadino cinese, il diritto allalibertà d’espressione sancito dalla Costituzione, e non solo nonpotrei subire restrizioni politiche e privazioni arbitrarie, ma anzidovrei ricevere il rispetto dello Stato e la protezione della legge.Per questo l’accusa che mi viene mossa ha violato i miei dirittifondamentali di cittadino cinese, ha infranto la legge costituzio-nale dello Stato cinese, è un tipico esempio di reato di opinione,è il perdurare dell’antica inquisizione letteraria nella Cina con-temporanea, e dovrebbe essere moralmente censurato e pu-nito come violazione della Costituzione.

2) In base ad alcune frasi estratte dai miei articoli sono accu-sato di «incitamento alla sovversione dell’ordine dello Stato, alrovesciamento del sistema socialista attraverso la diffusione dinotizie false, denigrazioni e altri metodi». Questa è un’accusapriva di fondamento. «Diffondere notizie false» è contraffare,fabbricare notizie del tutto infondate, diffamare le persone. «De-nigrare» è calunniare il prestigio e la dignità degli altri creandonotizie dal nulla. Entrambe le azioni hanno a che fare con laverità o la falsità dei fatti, con la reputazione e l’interesse di altrepersone, mentre i miei sono commenti critici, espressione delmio pensiero e dei miei punti vista, giudizi di valore e non giudizidi fatto. Non ho causato danno ad alcuno. Quindi la diffusionedi notizie false e la denigrazione non hanno nulla a che vederecon le mie affermazioni. In altre parole, criticare non è diffon-dere notizie false, né tantomeno opporsi è denigrare.

3) In base ad alcuni passaggi della «Carta 08» sono accusatodi vilipendio del partito di governo, di «incitamento alla sovver-sione dell’ordine dello Stato». Ho il sospetto che questa accusasia basata su frasi estrapolate dal contesto, non prenda in con-siderazione l’intero messaggio della «Carta 08» e ignori il pun-todi vista complessivo espresso in tutti i miei articoli. In primoluogo, le «tragedie nel campo dei diritti umani» menzionatenella «Carta 08» sono fatti realmente accaduti nella storia dellaCina contemporanea: il «Movimento contro la destra» ha defi-nito erroneamente «destrorsi» più di 500.000 persone, il«Grande balzo in avanti» ha provocato la morte per cause nonnaturali di oltre 10 milioni di persone, la «Rivoluzione culturale»ha creato una grande catastrofe nazionale, il «4 giugno» è statoun evento sanguinoso in cui molte persone sono morte e moltealtre sono state arrestate. Questi sono avvenimenti universal-mente riconosciuti come «tragedie nel campo dei diritti umani»,e in effetti hanno compromesso lo sviluppo della Cina, «hannointralciato lo sviluppo stesso del popolo cinese e vincolato ilprogresso della civiltà umana». Per quel che riguarda l’abroga-zione della prerogativa del partito di detenere il monopolio delpotere, si tratta solo della richiesta al partito di governo di at-tuare una riforma che restituisca il governo al popolo, co-

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“Il reato di opinione di cui sarei colpevolenon esiste nella nostra Costituzione”

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struendo in definitiva lo Stato libero «del popolo, governato dal po-polo, a favore del popolo». In secondo luogo, i giudizi espressi ele tesi politiche proposte nella «Carta 08» hanno come obiettivo alungo termine la creazione di una repubblica federale, libera e de-mocratica, e indicano 19 provvedimenti per una riforma gradualee pacifica. Sono le diverse storture dell’attuale e claudicante ri-forma che spingono a chiedere al partito di governo di attuare unariforma che cammini su due gambe, in cui cioè economia e politicaavanzino insieme in sincronia (...). In sintesi, gradualità, pace, or-dine, controllo e interazione dall’alto verso il basso e dal bassoverso l’alto sono le parole chiave della mia riforma politica per la

Cina, poiché in questo modo i costi sono bassi e i risultati alti.

Conosco l’opinione comune e fondamentale del cambiamento

politico: una trasformazione sociale ordinata e controllata è mi-

gliore di una senza ordine e controllo. Persino l’ordine di un cat-

tivo governo è migliore del disordine dell’anarchia. Per questo

mi oppongo a una gestione politica dispotica e monopolista, ma

assolutamente senza «incitare alla sovversione dell’ordine dello

Stato». In altre parole, l’opposizione non equivale alla sovver-

sione. 4) In Cina c’è la massima «chi perde in orgoglio guada-

gna in modestia» e un proverbio occidentale contiene il monito

«il superbo non sfuggirà alla punizione divina».

Conosco i miei limiti, quindi so bene che le mie affermazioni

non sono perfette, né del tutto corrette. In particolare negli ar-

ticoli di commento a fatti appena accaduti non ci sono argo-

mentazioni rigorose, sono sfoghi scritti sull’onda dell’emotività.

Le affermazioni erronee o le conclusioni che tengono conto solo

di alcuni aspetti, senza basarsi sulla visione complessiva dei

fatti, sono inevitabili, ma tali affermazioni, pur avendo dei limiti,

non hanno nulla a che fare con il commettere un crimine e non

possono assolutamente essere considerate prove di reato. Dal

momento che il diritto alla libertà di parola comprende non solo

il diritto di esprimere opinioni corrette, ma anche quello di espri-

mere opinioni errate, devono essere ugualmente garantiti sia il

diritto di esprimere opinioni giuste e punti di vista della maggio-

ranza sia quelle sbagliate e quelli della minoranza.

Una vita all’opposizione, ora è in carcere per “sovvversione”

LiuXiaobo, il dissidente cinese al quale è stato conferito il pre-mio Nobel per la pace, sta scontando una condanna ad 11anni di carcere per «istigazione alla sovversione». Liu, che

già aveva trascorso lunghi periodi in galera, è stato accusato diessere tra i promotori di Carta08, il documento favorevole alla de-mocrazia che è stato firmato da oltre duemila cittadini cinesi. Liuera stato arrestato alla fine del 2008 ma la condanna gli fu inflittanel giorno di Natale del 2009, probabilmente nella speranza di ri-durre la copertura dei mezzi d' informazione occidentali. Nato nel1955 nella città industriale di Changchun, nel nordest della Cina,Liu era un giovane e brillante professore universitario di letteraturaquando scoppiò il movimento studentesco del 1989 e fu tra gli in-tellettuali che si schierarono con i giovani, partecipando con i diri-genti studenteschi Wang Dan e Wùer xi alla fondazione dell'Federazione Autonoma degli Studenti che fu la struttura dirigentedelle proteste. Più volte, Liu partecipò al fianco degli studenti aifalliti tentativi di dialogo con le autorità. La situazione su piazzaTiananmen, occupata dagli studenti democratici, precipitò tra lafine di maggio e l' inizio di giugno, quando fu chiaro che i riformistidel Partito Comunista, guidati dal segretario Zhao Ziyang, eranostati sconfitti e che il leader supremo Deng Xiaoping aveva sceltala via della repressione. Il primo giugno Liu, insieme al popolarecantante taiwanese Hou Dejan, aderì allo sciopero della fame pro-

clamato dagli studenti. Nelle ore e nei giorni successivi LiuXiaobo, secondo Andrew J. Nathan e Perry Link, autorevoli si-nologi e responsabili della pubblicazione del libro The Tianan-men Papers - che rimane la ricostruzione più completa di queidrammatici avvenimenti -, si adoperò per cercare di convincerei giovani ad evacuare la piazza prima dell' intervento dell' eser-cito. Non ebbe successo, e il 4 giugno i soldati dell' Esercito diLiberazione Popolare sgombrarono la piazza con la forza, uc-cidendo centinaia di persone. Pochi giorni dopo Liu Xiaobo, ac-cusato di essere una delle «mani nere» che secondo il PartitoComunista Cinese manovravano gli studenti fu arrestato e tra-scorse 18 mesi in prigione dopo essere stato condannato come«controrivoluzionario». Nel 1995 fu condannato a tre anni in uncampo di «rieducazione attraverso il lavoro» per aver diffusoarticoli critici verso il governo. Scontata la pena, gli fu vietato dicontinuare ad insegnare. L'ex-professore continuò a criticare ilregime autoritario con saggi e articoli che venivano pubblicatiall' estero e diffusi clandestinamente in Cina. Negli anni prece-denti al suo arresto, Liu era diventato uno dei principali punti diriferimento per gli dissidenti cinesi e gli attivisti dei gruppi inter-nazionali per i diritti umani. È sposato con Liu Xia, anche lei un'insegnante, che è di fatto finita agli arresti domiciliari dopo l'an-nuncio del Nobel, l'8 ottobre. La coppia non ha figli.

Carta08, il documento che fa paura alla CinaOmaggio degli intellettuali alla ceca Carta77

26 13dicembre2010 asud’europa

Carta08, il documento che è costato 11 anni di prigione alpremio Nobel per la pace 2010 Liu Xiaobo, è stato voluta-mente modellato sul documento diffuso nel 1977 da un

gruppo di intellettuali cecoslovacchi tra cui un altro premio Nobel,lo scrittore ed ex-presidente ceco Vaclav Havel.I firmatari di Carta77 si impegnavano a «battersi individualmentee collettivamente per il rispetto dei diritti umani e civili nel nostroPaese e nel resto del mondo». Il documento chiedeva la fine delregime a partito unico allora in vigore nella Cecoslovacchia, partedella sfera d' influenza dell'Urss e l' instaurazione di un sistemapienamente democratico basato sul rispetto delle leggi.«Il popolo cinese - è scritto su Carta08 - comprende molti cittadiniche vedono chiaramente che la libertà, l' uguaglianza e i dirittiumani sono valori universali dell' umanità e che la democrazia eun governo costituzionale sono le istituzioni fondamentali per pro-teggere questi valori».Decine di intellettuali hanno partecipato alla stesura di Carta08, inun processo che si è protratto per mesi. Il documento è stato resopubblico alla fine del 2008 con 303 firme di scrittori, avvocati, gior-nalisti, accademici e cittadini ordinari. In quel periodo la polizia ci-nese ha fermato e interrogato tutti i firmatari iniziali. Il documento,nelle poche ore nelle quali è rimasto accessibile su Internet, haraccolto oltre duemila firme.L' unico ad essere trattenuto fu Liu Xiaobo che nel 2009 fu accu-sato di «incitamento alla sovversione del potere dello Stato e a ro-vesciare il sistema socialista» per il ruolo avuto nell' elaborazionedi Carta08.Un altro dei firmatari della Carta, l' intellettuale Xu Youyu, ha scrittoche lanciando il documento, «l' intento di Liu Xiaobo era quello diriaffermare, dato che il governo ha riconosciuto la Dichiarazioneuniversale dei diritti dell' uomo e che ha firmato la Convenzione in-ternazionale sui diritti civili e politici, che queste sono le norme cheregolano l' interazione tra il popolo cinese ed il governo cinese».

Nonostante questi impegni, si legge ancora su Carta08, «...larealtà che chiunque può vedere è che in Cina ci sono molteleggi ma non un modo di governare basato sulla legge; c' è unaCostituzione ma non un governo costituzionale; l' elitè al poterecontinua ad aggrapparsi al suo potere autoritario e a respingerequalsiasi movimento verso un cambiamento politico».Secondo Nicholas Becquelin, attivista del gruppo umanitarioHuman Rights Watch, la reazione delle autorità cinesi indicache Carta08 è stata considerata «diversa» e «più grave» di altriprecedenti pronunciamenti dei dissidenti. All' inizio, aggiungeBecquelin, Pechino era preoccupata dalle reazioni che avrebbepotuto suscitare l' arresto di Liu.«Comunque - conclude - la risposta diplomatica internazionaleè stata sorprendentemente debole».

Dal Dalai Lama a San Suukyi, i premi che irritano i governi

Nobel per la pace, o meglio contro l'oppressione. Il riconosci-mento al dissidente cinese Liu Xiaobo, che Pechino ha de-finito «un'oscenità », non è stato il primo premio ad irritare

un governo per l'esplicita volontà del Comitato norvegese di ac-cendere i riflettori sulla violazione dei diritti umani in un determi-nato Paese: dal Dalai Lama ad Aung San Suu Kyi, all'iranianaShirin Ebadi, premiati per il loro impegno e le loro azioni non vio-lente in favore della libertà e dei diritti dell'uomo, fondamenti dellapace tra le nazioni.Anche nel 1989 al Nobel conferito al Dalai Lama, leader spiritualedei buddhisti del Tibet, per la sua ricerca di «soluzioni di pace» indifesa «dell'eredità storica e culturale del suo popolo», la rispostadella Cina non si fece attendere: Pechino definì il premio frutto di«un complotto dell'Occidente» e accusò il Comitato di «interferiredeliberatamente negli affari interni della Cina». Ancora oggi il DalaiLama, che vive in esilio in India, viaggia per il mondo occidentaleper promuovere la causa dei tibetani, ed è diventato il simbolodella lotta per l'autodeterminazione dei popoli. Fu invece accoltonel silenzio della giunta militare birmana, il Nobel conferito nel1991 ad Aung San Suu Kyi, la leader del movimento di opposi-

zione 'Lega per la Democrazià, all'epoca già agli arresti domi-ciliari da due anni, e tornata alla libert… solo qualche settimanafa. Oslo riconobbe «il suo impegno per la democrazia» e il suo«coraggio civile» con cui «con metodi pacifici combatte controun regime caratterizzato dalla brutalità ». Ambigua invece lareazione di Teheran al premio Nobel alla giurista iraniana ShirinEbadi, nel 2003 (l'anno in cui il mondo si aspettava il premio aGiovanni Paolo II), salutato dalle inattese «congratulazioni» delgoverno riformista di Mohammad Khatami, dettate forse più daun orgoglio nazionalistico che da un reale riconoscimento deisuoi meriti. Il regime degli ayatollah sottolineava infatti «l'onoreper la comunità delle donne iraniane e delle donne musul-mane», esprimendo la speranza che le opinioni della militanteper i diritti umani «soprattutto in difesa di donne e bambini sianoprese in considerazione all'interno come al di fuori dell'Iran».Da allora però Ebadi ha denunciato di subire minacce e perse-cuzioni, anche dalle autorità iraniane, ma è sempre rimasta inprima fila per difendere i diritti umani, al fianco dei manifestantianti-Ahmadinejad o di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donnacondannata prima alla lapidazione poi all'impiccagione.

Pechino risponde e lancia il Premio ConfucioLa denuncia: nuova ondata di arresti in Cina

13dicembre2010 asud’europa 27

Al Comitato norvegese, che ha assegnato il Nobel per la

Pace al dissidente Liu Xiaobo, la Cina risponde lanciando

il «Premio Confucio per la Pace» e conferendolo all'ex vi-

cepresidente di Taiwan Lian Chen. «È una risposta pacifica al Pre-

mio Nobel per la pace 2010, che spiega la visione della pace che

ha il popolo cinese», affermano gli organizzatori.

LA cerimonia di consegna a Pechino, un giorno prima di quella

nella quale, a Oslo, il premio Nobel per la pace è stato consegnato

a una poltrona vuota, sulla quale c’era una fotografia del dissi-

dente. Liu Xiaobo, professore di letteratura che compirà 55 anni il

28 dicembre, è stato condannato l'anno scorso a 11 anni di pri-

gione per aver contributo a scrivere e a diffondere Carta08, un do-

cumento che propone l'instaurazione in Cina di un sistema politico

democratico. L'idea di un «Nobel alternativo» rispecchia la nuova

assertività della Cina sulla scena internazionale ed è stata lanciata

tre settimane fa da un privato cittadino, un imprenditore, dalle co-

lonne del quotidiano populista Global Times. Il presidente del Co-

mitato per il premio Confucio, Tan Changliu, ha affermato che si

tratta di «un'organizzazione non governativa» e che la giuria che

ha assegnato il premio è composta da cinque persone, senza for-

nire altri dettagli. Il premio, ha aggiunto, è accompagnato da un

assegno di 15 mila dollari e ha l'obiettivo di «promuovere la filoso-

fia» confuciana nel mondo. Lian Chen, che oggi è presidente ono-

rario del Kuomintang, il Partito nazionalista favorevole alla

riunificazione di Taiwan con la Cina, è stato preferito agli altri can-

didati, che erano il presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen

(Mahmoud) Abbas, l'ex presidente sudafricano Nelson Mandela, il

fondatore della Microsoft, Bill Gates, il poeta cinese Qiao Damo e

il Pachen Lama, il numero due della gerarchia del buddhismo tibe-

tano che è stato scelto dal governo di Pechino.

Un portavoce dell'ufficio di Lian Chen a Taipei ha detto alla rete

televisiva Cnn di «sapere chi è Confucio» ma di «non sapere nulla

del premio».

Se la presenza del vincitore alla cerimonia è stat sino all’ultimo

giorno incerta, è invece sicuro che nè Liu Xiaobo, che è in prigione

nella provincia settentrionale del Liaoning, nè alcun membro della

sua famiglia sono potuti andare ad Oslo venerdì scorso. La moglie

Liu Xia è agli arresti domiciliari da due mesi - come una quarantina

di altri dissidenti e amici della famiglia - e ai tre fratelli del premio

Nobel non è stato consentito di lasciare la Cina. Alla cerimonia,

nel corso della quale uno scritto di Liu Xiaobo è stato letto dall'at-

trice Liv Ullman, hanno partecipato alcune decine di esuli cinesi.

Il Comitato per il Nobel ha annunciato che 19 Paesi - tra cui Iran,

Russia, Pakistan e Arabia Saudita - hanno declinato l'invito a pre-

senziare alla cerimonia, aderendo al boicottaggio lanciato da Pe-

chino.

Secondo i gruppi umanitari, una nuova ondata di arresti o di limi-

tazioni della libertà di persone «pericolose» è stata lanciata

negli ultimi giorni dalle autorità cinesi. A Hohot, nella Mongolia

Interna, la moglie e il figlio di Hada, un dissidente mongolo che

sarebbe dovuto uscire di prigione proprio il 10 dicembre dopo

aver scontato 15 anni di prigione, sono stati fermati dalla poli-

zia. Il gruppo umanitario Human Rights Watch (Hrw) ha affer-

mato in un comunicato che «un utente di Internet, Mou Yanxi,

è stato condannato a due anni in un campo di lavoro di lavoro

per aver diffuso sul sito web Twitter un messaggio di solidarietà

con Liu Xiaobo». «Un altro, Dai Dongping, è stato accusato di

crimini contro la sicurezza dello Stato per aver diffuso su Inter-

net una foto dell' occupazione da parte degli studenti di piazza

Tiananmen, nel 1989», ha aggiunto Hrw.

Amnesty International (Ai) sostiene che a più di 200 persone,

tra cui l'artista Ai Weiwei e l'avvocato Mo Shaoping, è stato im-

pedito di lasciare la Cina per impedire loro di partecipare alla

cerimonia di Oslo. L'avvocato democratico Teng Biao, interpel-

lato dall'ANSA, ha affermato di essere stato «invitato» dalla po-

lizia a non concedere interviste.

“Donne bellissime” protagoniste della storianel nuovo libro di Gemma Mannino ContinFrancesca Scaglione

Un’analisi dell’universo “donna” da ieri ad oggi con l’intrec-

cio di storie che hanno contribuito a portare avanti e

spesso vincere delle piccole grandi rivoluzioni culturali. Le

donne al centro del nuovo libro di Gemma Mannino Contin, a par-

tire dal titolo "Amiche mie, donne bellissime. Storie e leggende si-

ciliane", mostrano il reale contributo delle donne nel cambiamento

della Sicilia e anche quanto le loro vicende pubbliche e private ab-

biano dato a questa terra.

Amiche mie, donne bellissime è un omaggio alle donne di Sicilia,

che hanno insegnato a rispettare e a rispettarsi e nonostante ogni

cosa a non arrendersi mai, ad andare avanti a schiena dritta e con

le loro idee, decise e pronte a combattere tutte le battaglie culturali

che hanno dovuto affrontare.

Donne che rappresentano degli esempi nel mondo della cultura,

della politica, del lavoro.

L’altra metà del cielo e l’altra metà della terra, così vengono defi-

nite le donne. In realtà leggendo il libro si percepisce quanto quello

femminile, sia un vero e proprio universo, con cui uomini, figli, ma-

riti, fratelli, amanti e con cui la politica, quella con la P maiuscola

devono fare i conti.

Un universo che è al tempo stesso il detentore delle tradizioni,

della conoscenza antica di quella che è la famiglia e di storie sulla

famiglia, esercitando la trasmissione di tutto questo tra le genera-

zioni, ma sono anche l’elemento nuovo ed innovativo della società,

probabilmente perché stanno di fatto fuori dai meccanismi del po-

tere e forse questo le ha mantenute nuove e fresche nella loro di-

mensione. L’universo delle donne rappresenta l’elemento di

freschezza, di speranza, di innovazione, di diversità da quello che

è l’universo conosciuto, quello sotto il quale siamo costretti a ri-

manere e in qualche modo a subire.

Donne raccontate nella loro vita, come Elvira Sellerio, che devono

avere indubbiamente la capacità di scontrarsi ogni giorno

anche con le incomprensioni del mondo, avendo la forza di re-

stare ferme sulle proprie idee, non sempre comprese come tali

e qualche volta interpretate come semplici velleità. Queste dif-

ficoltà emergono e si notano anche nei rapporti non sempre fa-

cili che le donne hanno avuto a sinistra, con il PCI. In alcune

pagine e nel racconto dell’esperienza di Anna Grasso, si leg-

gono appunto le difficoltà che hanno queste donne a fare rico-

noscere il loro lavoro e ruolo di donne in un sud che non è al

passo con lo spirito del tempo, perché mentre in Sicilia il centro

dello scontro è rappresentato dalle lotte contadine, dall’occu-

pazione dei feudi, le sinistre erano concentrate sulle fabbriche,

sugli operai e quindi c’era già una difficoltà a far riconoscere

questo specifico caso meridionale, e all’interno di questo meri-

dione così difficile da gestire c’erano le donne che venivano

non considerate alla pari molte volte neppure dai loro compa-

gni. La sinistra e il PCI, con cui l’autrice stessa afferma di aver

avuto un rapporto critico, sono stati, malgrado tutto, per molti

versi in grado di raccogliere spinte innovative e diversità, non

sempre riuscendo poi a trasferirle del tutto al loro interno, ma in

ogni caso sono stati in qualche modo l’elemento di coagulo di

riconoscimento di cosa le donne facevano, con il loro lavoro

quotidiano, specialmente all’interno dei quartieri.

Quello che oggi la sinistra sconta e paga, secondo l’autrice, è

da un lato l’aver perso questa caratteristica di elemento di ag-

gregazione, ma soprattutto i vari pezzi di questa sinistra non

hanno più i punti di riferimento sul territorio, nei posti di lavoro,

nei quartieri.

Rispetto ad allora, quando persino spendere era considerato

un gesto di potere e dunque riservato ai soli uomini, sono cam-

biate tante cose, tant’è che per le nuove generazioni le cose

che possiedono, in termini di beni e diritti, sono viste come un

fatto naturale, dimenticando le lotte che ci sono state dietro e

che hanno permesso alle donne stesse di ottenere questa con-

dizione.

Oggi molto è cambiato, manca forse quell’elemento di proget-

tualità che univa le donne nel battersi per un’idea, per i diritti. Il

valore della memoria è ottimisticamente visto quasi come una

“memoria genetica” che appartiene alle donne di oggi, al di là

di ricordare tutti i fatti accaduti nella nostra storia, anche se, ri-

costruire quello che è stato, può certamente aiutare ad ottenere

quella consapevolezza che specialmente nelle ultimissime ge-

nerazioni tende a sparire, nella scontata quotidianità di una vita,

in apparenza, con nulla per cui lottare. Raccontare queste sto-

rie straordinarie, per l’autrice, vuol dire riproporre un pezzo di

quella memoria, di idee ed esperienze che hanno contribuito a

cambiare tutto, ritenendo necessario e soprattutto doveroso

che “queste donne meravigliose, avessero un pezzo su una pa-

gina scritta, e non un vuoto su una pagina bianca”.

28 13dicembre2010 asud’europa

Il difficile decollo del Teatro di CanicattìSandra Milo lascia in polemica con il sindacoEnzo Gallo

Sarà una “farsa” a caratterizzare l’affacciarsi del secondoanno di apertura per il ritrovato Teatro Sociale di scuoladell’architetto Ernesto Basile di Canicattì nel cuore della

provincia di Agrigento. Sembra lontano anni luce quel 20 dicembredello scorso anno quando si accesero ufficialmente le luci della ri-balta, anche dei media nazionali, sul recuperato Teatro Socialeche rivedeva schiudersi il sipario dopo circa 40 anni di oblio edabbandono. L’inaugurazione dello scorso anno alla presenza dellemassime autorità provinciali, di esponenti nazionali dello spetta-colo e della cultura ebbe una vasta eco che catapultò Canicattìall’attenzione positiva del pubblico. Non sembra neanche vero chesiano cadute nel vuoto le promesse e gli impegni solenni assuntidal sindaco Vincenzo Corbo e dal neo direttore artistico e consu-lente Salvatrice Elena Greco più nota come Sandra Milo. Sonoproprio loro i protagonisti, involontari o inconsapevoli non sap-piamo, di questa “farsa” forse anche pirandelliana visto che il Tea-tro Sociale venne inaugurato proprio con Marta Abba e “Seipersonaggi in cerca d’autore”. Ormai è divorzio tra l'attrice nazio-nal popolare ed il comune di Canicattì che con determina di Vin-cenzo Corbo nell’ottobre di un anno fa e sino al 30 novembre 2010aveva nominato Sandra Milo consulente del sindaco per la pro-grammazione della stagione del Teatro sociale. Un nome altiso-nante quello di Sandra Milo scelto per rilanciare le sorti di unastruttura strappata all’oblio e all’abbandono. La Milo oltre a met-terci la faccia aveva profuso sforzi personali rilevanti. Si era gettataa capofitto in quella che riteneva “un’esaltante scommessa in unacittà di cui sono innamorata –dice la Milo- e a cui mi sento in ma-niera viscerale legata”. Tanta passione ha generato altrettanta de-lusione e forse acredine. La “Sandrocchia nazionale” infatti neigiorni scorsi ha mandato una lettera di fuoco al Comune di Cani-cattì (cosi recita la lettera), e, solo, per conoscenza al sindacoCorbo, dopo che le sarebbe stato chiesto conto dell’attività svolta.La richiesta reiterata via lettera, l’ultima volta il 30 ottobre scorso,dal dirigente Domenico Ferrante per consentire all’amministra-zione comunale di liquidare alla Milo il compenso stabilito per lasua consulenza, non è piaciuta alla poliedrica artista soprattuttoperché oltre ad una relazione su quanto svolto, a detta della Milo,“si chiedeva di sapere pure a che punto fosse la programmazionedella stagione teatrale 2010-2011”. La richiesta nonostante l’inca-rico fosse stato conferito solo per la stagione 2009-2010. La Milonella risposta scritta a mano, sicuramente di getto, ed inviata alcomune si è detta "offesa sia moralmente che professionalmenteanche dai continui silenzi del sindaco che a lungo ho cercato dicontattare e a cui -scrive la Milo- avevo presentato, depositandoloin segreteria il 15 gennaio 2010, un primo e circostanziato pro-gramma di stagione teatrale con compagnie nazionali a prezziconcorrenziali". Poco più di 60 mila Euro più IVA rispetto ad unbudget annunziato, ed oggi si scopre non speso al 30 novembre2010, di 30 mila Euro. Per il sindaco Corbo “le richieste della si-gnora Milo sono infondate e pretestuose. L’incarico di esperto pre-vedeva la consegna di un programma ed anche l’individuazione dieventuali risorse e sponsor per realizzarlo. Ad oggi la signora –conclude il sindaco- nulla ha presentato e nulla ha a pretendere e

non mi pare opportuno coinvolgere soggetti estranei all’incaricoe all’amministrazione”. Corbo inoltre sostiene che “la signoraMilo nulla ha anticipato per spese da noi autorizzate e parlanole carte”. Nella vicenda entrano anche imprenditori locali e na-zionali che però non hanno avuto rapporti diretti ed ufficiali conl’amministrazione comunale. Dell’incarico a Sandra Milo si èpiù volte interessato il consiglio comunale che comunque nonsi è detto mai soddisfatto delle risposte dell’amministrazione.Proprio come la Milo che oltre a pretendere le scuse del sin-daco Corbo e dei suoi collaboratori per "l'insensibilità e la ne-gligenza dimostrata" dice di vantare dei crediti. Ancora la Milonon ha deciso se rivolgersi ad un legale per il risarcimentodanni all'immagine ma anche di natura patrimoniale ed econo-mico dicendo di aver anticipato le somme necessarie per l'inau-gurazione di un anno fa e per allestire il programma con tantodi compagnie e date già fissate. Sicuramente il futuro rappre-senta delle potenziali “sceneggiate” non all’interno del TeatroSociale ma in aule di tribunale. Una vicenda triste ed umiliantesu cui sarebbe bene calare il sipario ed emigrare verso Agri-gento, Caltanissetta o Racalmuto dove i teatri cittadini gestiticome fondazione o istituzione stabile mettono su con puntualitàun ricco programma di spettacoli di vario genere che finisconoper richiamare il pubblico attento e competente delle grandi oc-casioni. La prova provata per l’amministrazione Corbo che chigli aveva suggerito, assieme ai suoi assessori, di dare unaveste autonoma alla nuova gestione della struttura non avevatorto ma aveva visto lontano. Chissà che l’esperienza non gliconsenta di mettere giudizio. Proprio per evitare nuovi scivolonil’associazione culturale “La Città invisibile” presieduta da Al-berto Tedesco consiglia di “dare vita al più presto ad un Teatrostabile di Canicattì affidando la gestione dell’ente stabilmentead un comitato cittadino di saggi ed esperti da individuare –scrive il presidente- tra i cittadini più rappresentativi del mondodella cultura e delle arti, che si facciano carico di curare, colle-gialmente, le modalità di gestione del Teatro sociale di Cani-cattì”.

13dicembre2010 asud’europa 29

Dal teatro della Kalsa al grande schermoMistretta e Parrinello rilanciano «Ninnarò»

Dalla Kalsa al cinema. «Ninnarò», l'opera natalizia di Rosa

Mistretta e Vito Parrinello, è ora un film documentario di-

retto da Vincenzo Pirrotta, e prodotto dall'Associazione

Piccoli Teatri del puparo Enzo Mancuso. Protagonista Filippo

Luna, l'umile Turidduzzu, con Rosa e Vito, ma anche con i figli

Elisa e Giovanni, accompagnati dalla Compagnia di Canto Popo-

lare del Teatro Ditirammu e dalle musiche di Giuseppe Milici. La

genesi dello spettacolo è nota: nel 1998 Rosa Mistretta e Vito Par-

rinello, sostenuti dalle indagini antropologiche di Nino Buttitta e di

Elsa Guggino con il Folkstudio, mettevano in scena con il loro Tea-

tro Ditirammu, «Ninnarò, il presepe raccontato», una rappresenta-

zione della storia della nascita di Gesù. Lo spettacolo prendeva

spunto da antichi canti del Natale popolare siciliano e aveva come

protagonista un personaggio, conosciuto da Pirrotta, a Bisacquino:

Turidduzzu, ingenuo sacrestano contastorie che accendeva le

nove candele per nove giorni, ripercorrendo la Novena natalizia.

Oggi il documentario ricostruisce l'evoluzione di quello spettacolo

che da allora, ogni Natale, è stato riproposto nello storico tea-trino della Kalsa.Il montaggio alterna interviste agli interpreti a scene tratte dallaprima regia di Mimmo Cuticchio, quando Pirrotta era Turid-duzzu, ad altre riprese dagli spettacoli più recenti con Luna/Tu-ridduzzo. Il film mostra nelle repliche più antiche Elisa eGiovanni (con il suo tamburino) ancora bambini e già sullescene, ma inizia con un cambio generazionale affidato alla pic-cola Noa, figlia di Elisa. E basta la sua domanda a nonna Rosa:chi è Ninnarò? perché scattino i ricordi e parta l'omaggio allanascita di Gesù, alla notte santa, quando per Maria e Giuseppe«un c'era postu»: il tutto raccontato attraverso le parole e i ticdel cuntastorie e il teatro delle ombre. E c'è l'incontro di Lunacon il vero Salvatore Sciurba, l'attore e il suo personaggio, striz-zando l'occhio a Pirandello. E qui una nota triste perché Turid-duzzo è scomparso lo scorso 2 dicembre: aveva appenacomprato l'abito da indossare per l'anteprima di ieri sera. Pir-rotta: «Era un personaggio straordinario, un puro, un ingenuo.E Ninnarò è un atto di fede». Vito Parrinello ricorda due mo-menti magici: «Quando sono venute a trovarci Pamela Villoresied Elsa Guggino». La Villoresi era presente anche ieri:«Quando ero impegnata a Palermo, avevo affittato una casa invia Torremuzza e la vita di quel piccolo teatro mi incuriosiva.Diventai amica dei Parrinello: hanno voluto che fossi qui anchein questa occasione, trascinandomi giù da Pisa. “E ccasugnu”», conclude. «Con lo spettacolo teatrale - dice FilippoLuna - da anni rinnovo un'esperienza emotiva forte, che mi hafatto anche scoprire e gustare la lingua e il canto siciliani. L'in-nocenza del personaggio arriva alle corde più profonde del pub-blico». Il film ha avuto il sostegno di Sensi contemporanei, diSicilia Film Commission e di Cinesicilia, usufruendo di un fortecontributo di 295 mila euro: 195 per il documentario, il resto perle attività parallele previste dal contratto, come la realizzazionedel libro di tavole a fumetti con cd, «Teatro di Carta» (Pietro Vit-torietti ed.) e l'organizzazione di workshop in nove scuole sici-liane.

30 13dicembre2010 asud’europa

Antonella Filippi

Svelato a Catania l’inedito “Agatae” di Modigliani

L’inedito “Ritratto di Agatae” di Modigliani, il disegno mai pub-

blicato sinora che raffigura la santa patrona della città di Ca-

tania, è stato svelato oggi, nel municipio di Catania, nel

corso della conferenza stampa di presentazione di “Modigliani, ri-

tratti dell’anima” la mostra in programma al Castello Ursino di Ca-

tania dall’11 dicembre all’11 febbraio 2011. Un evento senza

precedenti per la città etnea che, grazie alla presenza di que-

st’opera - definita come una fra le poche immagini del cristiane-

simo rivisitato, periodo brevissimo nella produzione di Modigliani

dedicato all’iconologia della santità - lega per sempre la sua storia

a quella dell’artista toscano. La mostra è organizzata dal “Modi-

gliani Institut Archives Légales, Paris-Rome”, in collaborazione

con il Comune di Catania e la galleria Side A del collezionista

Giovanni Gibiino, coordinatore in Sicilia delle opere dell’artista

livornese.

Ha il patrocinio del Ministero dei Beni Culturali .

Il “Ritratto di Agatae” nasce nel 1919, durante gli anni parigini

di Modigliani e viene scoperto per caso, da un collezionista di

documenti antichi, molti anni dopo l’acquisto di un lotto in una

prestigiosa casa d’aste internazionale. Era sul retro di una let-

tera, a lungo piegata in diverse parti e quindi impossibile da ve-

dersi, scritta da un prelato di Noto (Sr).

13dicembre2010 asud’europa 31

Sicilia, “Mai più terra di silenzi”

Si è tenuta lo scorso 4 dicembre, al centro culturale Biotos di Pa-lermo la presentazione del libro di Roberto Tagliavia, Mai più terradei silenzi – Incontri con Francesco Renda e la partecipazione diAntonio Riolo. Proponiamo qui uno stralcio dell’intervista dellagiornalista Lidia Tilotta allo storico Renda realizzata nell’occa-sione.

Perché ha deciso di dare il suo contributo a questolibro?Oggi viviamo in una situazione storica in cui vi sonoparecchie voci distinte e separate una dall’altra. Non esiste

una voce comune. Con questo libro vogliamo far sentire la voce ditre persone diverse con l’augurio che ad esse si aggiungano altrevoci: nel consenso e nel dissenso. Lo scopo è quello di suscitareuna discussione.

Ne libro Lei recupera una vecchia proposta di federalismoLa proposta è di attuare un federalismo costituito da cinque grandiregioni: Nord, Centro, Sud, Sicilia, Sardegna.Potrebbe sembrare un’affermazione di chi ha perso il senso dellaragione, e non è detto che si realizzerà, però vogliamo che suscitiun interesse. Nei miei studi ho scoperto che nell’1860 quando sichiese l’autonomia per la Sicilia, la richiesta fu di dividere l’italia ingrandi divisioni territoriali tra le quali la Sicilia, la Lombardia e la To-scana.

La nostra Isola è stata la culla della civiltà, la prima adavere un Parlamento, la prima a rivendicare un’autonomiama in questi anni siamo rimasti indietro. Cosa abbiamosbagliato?In effetti si può parla di due deficienze. Una nostra e una delloStato. Abbiamo un potenziale enorme, un potere legislativoquasi statale ma che non abbiamo saputo utilizzare. Tuttaviase consideriamo è esistita una questione meridionale e che laSicilia fa parte del Sud allora entra in campo la responsabilitàdella politica nazionale.

Vi sono delle responsabilità della sinistra siciliana?Considero la sinistra come parte della società e quindi se la so-cietà va male non è possibile che la sinistra vada bene. Quelloche dovremmo fare è riuscire a far sentire la voce siciliana fuoridalla Sicilia. Se si parla a Milano si ascolta a Palermo ma se siparla a Palermo non si ascolta a Milano. Noi dovremmo impa-rare a parlare agli italiani in modo che le cose che diciamo con-vincano il resto del Paese che corrispondono anche al lorointeresse.

Qual’è la sua valutazione del nuovo governo Lombardo?Senza dubbio la particolare situazione siciliana ha messo incrisi il berlusconismo e la destra siciliana. In Sicilia la destra èall’opposizione. Questo è un fatto importante. Tuttavia mi sonopermesso di osservare che tutto dipende da cosa fa la sinistranon da cosa fa Lombardo, perché da Lombardo possiamo at-tenderci questo e altro ma dal Pd e dalla sinistra dobbiamo ot-tenere una capacità di politica di governo. Un senso diresponsabilità che, per la verità, non vedo ancora. Non ab-biamo un’autorità della sinistra che proponga una sua strategia,un suo programma.

È una situazione simile a quella del Governo MilazzoSono due situazioni diverse. Il milazzismo è un fatto storico.Un’esperienza tutta particolare che non corrisponde alla situa-zione attuale. Ci auguriamo che quella odierna finisca bene.

Un messaggio di saluto ai lettori del libroOgnuno di noi si senta sicuro delle proprie ìdee, dei propri sen-timenti e soprattutto, continui ad essere una persona civile.

Nel 2005 fa l’approdo a Einaudi e “Cordiali saluti”, primo successo

Si chiama “Cuochi per una notte” l’iniziativa che il WigwamClub “Mare Dentro” organizza dalle 20.30 alle 23.30 di oggi,lunedì 13 dicembre, in Piazzale Funivia, a Erice. Un’inizia-

tiva che punta a dare merito alle cucine di tutto il mondo, abbi-nando alla bontà dei piatti quella delle buone azioni. Una partedell’incasso della serata sarà, infatti, devoluta in beneficenza persostenere il progetto per la costruzione di una Scuola Artigiana inBurkina Faso, promosso dall’associazione “Bayty Baytik”. Sa-ranno tre i personaggi che si cimenteranno nella preparazione diun piatto che, con i suoi ingredienti, possa essere espressione,storia e cultura del nostro territorio. Personalità che nella vita sonodei gourmet, ma giornalmente svolgono altri compiti. Ognuno diloro sarà accompagnato da un ristoratore, che lo aiuterà nella pre-

parazione. Gourmet d’eccezione saranno, dunque, MimmaAr-gurio, segretario provinciale della Cgil, Pino Maniaci, giornalistadi Telejato, Walter Santarossa, giocatore del Trapani Basket.Ospite d’onore, non poteva certo mancare, sarà MammaAfrica,vincitrice del “Cous Cous Fest 2009”. La scelta del piatto piùgustoso sarà affidata alla giuria, composta dal sindaco di Erice,Giacomo Tranchida, il presidente Nazionale Wigwam Circuit,Efrem Tassinato, dallo scrittore Giacomo Pilati, e dalla Direttricedel Conservatorio Scontrino di Trapani, Lea Pavarino.La serata, presentata daAlessandro Galioto e Laura Lombardo,sarà allietata da danze, musica e tanto spettacolo. I biglietti sipossono richiedere, chiamando il cell. 388.7061986.

G.S.

Dieci passi verso la legalità

32 13dicembre2010 asud’europa

Èstato presentato nell’aula magna della Corte d’Appello del

Tribunale di Palermo, dal procuratore della Repubblica di

Caltanissetta- Sergio Lari- che ne ha anche curato la Pre-

fazione, e dal giornalista Umberto Lucentini, il libro di Mario Conte

e Flavio Tranquillo “I dieci passi. Piccolo breviario sulla legalità”. Il

volume, edito da “add Editore”, prende le mosse da un processo

celebrato nel 2009 dal giudice Conte, «Addiopizzo quarter», che

ha inflitto pene per complessivi 150 anni ai 23 imputati, condannati

a pagare multe per una cifra che supera i 70.000 euro e risarci-

menti per quasi 400.000 euro. Dal particolare processuale il focus

si allarga su altri orizzonti, a partire dalla magistratura e dall’infor-

mazione per arrivare alla vita quotidiana e alla società civile. I dieci

passi, che evocano i cento passi di Peppino Impastato, sottendono

le parole chiave- dialogo, mafia, legalità, giudice, processo, so-

cietà, soldi, sport, informazione, dovere- che fanno sempre più

parte del dibattito mediatico e del glossario quotidiano per spie-

gare con semplicità la complessità dei nodi cruciali. In poco più di

230 pagine l’obiettivo dei due autori è quello di fornire, partendo

da fatti processuali specifici, una chiave di lettura dei dubbi,

delle difficoltà, delle tecniche di chi, quotidianamente, è in prima

linea per cercare di estirpare quel cancro sociale che è la mafia.

L’intervistatore, Tranquillo, si fa portavoce dei più frequenti

dubbi e deficit di conoscenza del cittadino con l’ambizione di

cercare di realizzare un “breviario” che abbia come finalità ma-

nifesta l’educazione preventiva alla legalità. L’intervistato,

Conte, fornisce con oculatezza le risposte attraverso gli stralci

della sentenza del processo da lui celebrato. Partendo da cita-

zioni di giudici, giornalisti, filosofi, uomini impegnati nella lotta

alla mafia, ma anche di collaboratori di giustizia, le interviste

delineano il quadro che aiuta il lettore a guardare tale comples-

sità con gli occhi di chi comprende il fenomeno nella miriade di

sfaccettature.

I due autori si sono conosciuti in occasione di una delle partite

di pallacanestro che la Nazionale Basket Magistrati organizza

ogni anno in ricordo delle vittime della strage di via Capaci che

ha segnato l’ultimo respiro del giudice Giovanni Falcone e della

moglie Francesca Morvillo e degli agenti della scorta: Antonio

Montinari, Vito Schifani, Rocco Dicillo. Mario Conte è Gup

presso il Tribunale di Palermo e ha celebrato diversi processi di

mafia, tra cui Addiopizzo quarter ed Eos.

È, inoltre, particolarmente impegnato nella trasmissione della

cultura della legalità ed incontra gli studenti nelle scuole. Flavio

Tranquillo, invece, è un giornalista di Sky Sport che ha seguito

da radiocronista prima e telecronista poi, tutti i più importanti

avvenimenti cestistici degli ultimi trent’anni in Italia, Europa e

Usa.

Due personaggi professionalmente differenti, che compiono in-

sieme dieci passi e che hanno nella loro vita un life motive co-

mune: la passione per lo sport e tifano entrambi per la squadra

della legalità sperando di fare canestro nella lotta alla criminalità

organizzata attraverso l’educazione dei giovani.

Nasce a Palermo il punto Informagiovani

Nasce nel capoluogo siciliano un progetto che sintetizza ilrapporto tra diritto di cittadinanza e condizione giovanile.L’Informagiovani, per l’appunto, con il contributo della Fon-

dazione Giovanni e Francesca Falcone e con la collaborazionedel Programma «Gioventù in Azione»- Servizio Volontario Euro-peo, il Centro per la Giustizia Minorile Sicilia, l’Associazione ApritiCuore e Lapis Palermo.Lo sportello Informagiovani offre diversi servizi, attraverso la rea-lizzazione di una banca dati on-line, una rete territoriale di distri-buzione di materiale informativo, le attività di animazioneterritoriale. È dotato di alcuni sportelli aperti al pubblico, realizzatiin collaborazione con enti pubblici e privati attenti ai diritti dei gio-vani, ma vuole anche muoversi per la città, incontrando i giovani

nei loro luoghi di vita quotidiani: nelle scuole, nelle facoltà uni-versitarie, ma anche nelle piazze e nei bar. Le informazioni acui è possibile accedere sono di carattere locale, nazionale e in-ternazionale.È possibile, inoltre, ricevere informazioni su diverse associa-zioni che operano all’estero in diversi ambiti di intervento eavere informazioni, nonché partecipare ad attività di volonta-riato internazionale. I collegamenti con le Università e con larete nazionale dell’Informagiovani, rendono più facile accederealle informazioni sulle università italiane, sulle borse di studio inItalia e all’estero, i concorsi, gli stage e i corsi di perfeziona-mento.

M.F.

Melania Federico

13dicembre2010 asud’europa 33

Salvatore Lo Iacono

Ci sono scrittori a cui servono anni, fatti di versioni infinite elimature, ricerche: Manzoni e le sue “risciacquature” inArno, o Joseph Heller col suo “Comma 22”, per cui servi-

rono otto anni di lavoro. Poi ci sono altri autori rapidi e super pro-lifici, inarrestabili fucine, Pirandello e D’Annunzio, o Simenon, maanche Pavese nell’immediato dopoguerra, per non parlare de “Ilgiocatore” che Dostoevskij – inseguito dai creditori – scrisse inventisei giorni, o di “Sulla strada”, pronto in tre settimane, battutoa macchina da Kerouac in un rotolo di carta per telex. Leggendavuole che il filosofo Sinesio di Cirene – natonell’anno 370, certamente alieno ai ritmi e almondo dell’editoria moderna – abbia scritto digetto in una notte febbrile “Il libro dei sogni” (116pagine, 12 euro), gioiellino del catalogoArchinto.La stessa editrice nel 2002 aveva recuperato, inun’altra collana, un testo di Sinesio di Cirene,“Elogio della calvizie”: disimpegnato esercizio distile che si contrapponeva a un testo di due se-coli prima, “Elogio della chioma” di Dione diPrusa. Le argomentazioni retoriche del calvo Si-nesio? La calvizie s’addice alla divinità, è il puntodi contatto tra uomini e dei; gli uomini si differen-ziano dagli animali, che sono coperti di peli, equesto è indice di integrità morale: hanno pochicapelli sacerdoti, filosofi e uomini saggi, al con-trario di adulteri, effeminati e ignoranti.Sinesio, ad Alessandria discepolo di Ipazia –eroina della laicità, massacrata con grosse con-chiglie taglienti da fanatici cristiani – visse nel-l’Africa greca tra il quarto e il quinto secolo. Figliodi una famiglia patrizia di Cirene, apparteneva alla classe dei “cu-riales”, amministratori che a titolo gratuito si dovevano occuparedella manutenzione delle opere pubbliche, di amministrare la giu-stizia e di esigere tasse. A queste funzioni, assolte con compe-tenza ed equilibrio, Sinesio univa a un’abile capacità dialettica eindubbie doti letterarie.Uomo di sterminata cultura, gentiluomo di campagna e amantedella caccia, sintetizzò in sé le tendenze filosofiche e religiose diquel tempo, il neoplatonismo, il cristianesimo che si consolidava,anche nel confronto con le istanze pagane. Interessato a scienza,matematica e forse anche all’alchimia, filosofo neoplatonico, ma-

rito di una cristiana, Sinesio – che una trentina d’anni fa il poetaMario Luzi immortalò nel dramma teatrale “Il libro di Ipazia” –aderì gradualmente alla Chiesa tra riluttanza e ambiguità, finoa diventare inaspettatamente vescovo di Tolemaide, carica vis-suta tra lacerazioni e tormenti, sempre perduto nel sogno d’ar-monia della ragione che governa le cose terrene e l’afflatoleggero di quelle divine.Sinesio inviò “Il libro dei sogni” – saggio di una certa influenzanell’antichità – anche ad Ipazia, spiegandole in forma epistolare

che l’opera era «voluta e vagliata dalla divinità,ed è come un’azione di grazie alla facoltà dellafantasia. In essa si indaga su tutta la parte im-maginativa dell’anima e si tratta di alcuni altripunti dottrinari non ancora toccati dalla filosofiagreca». Nel mondo greco il sogno era collegatoa una dimensione etica e religiosa, specie comemezzo di comunicazione privilegiato tra gli dei ei mortali, in particolare quelli di alto rango.Più che occuparsi del sogno in sé, Sinesio in-daga l’energia psichica da cui esso emana. Il cu-ratore Nicola Montenz chiarisce nell’introduzioneal testo che per il filosofo di Cirene i sogni sonola «più importante tra le forme di divinazione,perché provengono dall’intimo di ogni individuo»e ogni singolo deve occuparsi di interpretarequelli che fa: tanto che il filosofo sottolinea l’uti-lità di un diario personale che registri i fenomenionirici di ciascuno.Perché si manifesti quello che avviene nel-l’anima, però, è necessaria anche l’immagina-

zione, che per Sinesio – da buon neoplatonico – non è altroche lo spirito di cui l’anima si riveste al momento di abbando-nare le sfere celesti per scendere a incarnarsi. “Il libro dei sogni”di Sinesio non è un manuale di onirocritica, né semplicistica-mente il testo di un Sigmund Freud ante-litteram, anche se puòconsiderarsi per certi versi un vero e proprio trattato teorico dipsicologia antica. Che spiana la strada a una nuova concezionedel sogno, non inteso come evento soprannaturale, ma comemezzo di elevazione spirituale e anche prodotto di leggi fisiolo-giche e psichiche, oggetto di quella che sarà, nei secoli suc-cessivi, una ricerca scientifica.

“Si riparano bambole”, Pizzuto tra Proust e Tomasi di Lampedusa

Amezzo secolo esatto dalla prima pubblicazione, la casa edi-trice Bompiani riporta in libreria “Si riparano bambole” (265pagine, 11 euro) del palermitano Antonio Pizzuto, scrittore

che intensificò la sua produzione dopo essere andato in pensioneda questore. La ristampa, a cura di Gualberto Alvino, comprendeanche una nota di Gianfranco Contini, celeberrimo critico e spon-sor dell’autore siciliano: righe estasiate, quelle di Contini, che pa-radossalmente rischiano di fare ombra al testo. Nella produzionedi Pizzuto “Si riparano bambole” spicca per la leggibilità, all’oppo-sto di molte altre sue opere – che finiscono in modo ricorrentesotto la lente di ingrandimento dei filologi – un’anima che oscilla traProust e Tomasi di Lampedusa, e l’immagine di una Sicilia diafanasullo sfondo – tanto che la dedica del libro è «alle dilette Palermo,

Erice e Castronuovo di Sicilia». Nel protagonista del romanzo,Pofi (che finirà per fare l’ispettore), è in parte trasfigurato l’au-tore, senza che questo significhi che il romanzo è autobiogra-fico.È il racconto di una vita nell’unico lungo flash-back di un ricordo,tra dissolvenze di fotogrammi montati quasi con stile cinemato-grafico. La scrittura ha un andamento lento e minuzioso, chesolo a tratti incalza e sorprende con qualche sussulto ed è –come spesso capita, nei libri di Pizzuto – impreziosita da neo-logismi, arcaismi, espressioni straniere, ma anche greche e la-tine. È un anti-saga familiare, alla fine, quella che appare agliocchi del lettore. Un libro da leggere e rileggere.

S.L.I.

Sinesio di Cirene e la rivoluzione del sogno:da evento soprannaturale a prodotto psichico

Promesse e “riparatori di destini” di Bajani“Ecco perché non c’è futuro senza memoria”

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Andrea Bajani è una delle boccate fresche della narrativa ita-liana d’oggi. Come Pietro Grossi e Alessandro Piperno, èuno degli scrittori nati negli anni Settanta che ha qualcosa

di dire, una cura certosina nella ricerca di uno stile ed un suo per-corso coerente. Bajani ha un ottimo rapporto con la Sicilia, che nelrecente passato gli ha anche attribuito due noti riconoscimenti,come il premio Mondello a Palermo e quello Brancati a ZafferanaEtnea. La pubblicazione del suo nuovo romanzo “Ogni promessa”(252 pagine, 19,50 euro), per Einaudi, è stata l’occasione per untour promozionale nell’Isola, a cominciare dalla li-breria palermitana Kursaal Khalesa, dove Bajani èstato introdotto dai giornalisti Adriana Falsone eMario Valentini. Bajani si è mostrato particolar-mente predisposto al confronto con i lettori ac-corsi: durante la serata palermitana, nienteseriosità e molto brio in quanto ha detto, pur infar-cito di citazioni tra Auster, Sontag e Derrida.Presentando la sua ultima “creatura” lo scrittorepiemontese ha parlato di una storia di “riparatori didestini”, personaggi che provano a «ricomporrequalcosa di rotto, a caricarsi addosso i ricordi deglialtri». L’assunzione del carico dei pesi altrui, haspiegato l’autore di “Ogni promessa”, non si limitaal racconto e all’evolversi delle vite dei perso-naggi, ma si riflette anche nelle parole utilizzate:«Diventa un atteggiamento, anzi la postura dellascrittura, in questo mio romanzo c’è, passatemi iltermine, una forma di “infardellamento” della scrit-tura». Oltre a ciò fortissima è l’empatia con quantoviene raccontato, come succedeva con il prece-dente romanzo, “Se consideri le colpe” (altro libro nel catalogo Ei-naudi), in cui una madre abbandonava il figlio per trasferirsi inRomania. Dopo le presentazioni alcuni lettori lo consolavano, di-cendogli che erano dispiaciuti per sua madre; ma Bajani tranquil-lizzava tutti con un «Mia mamma non ha mai messo piede fuori daCuneo…». Anche con i personaggi di quest’ultima storia sem-brano esserci affinità elettive: «Non cercano la felicità, forse lapace, magari imboccano strade sbagliate, ma almeno vanno daqualche parte…». Il romanzo che ha appena pubblicato, chiarisceBajani «è una storia di persone, ma soprattutto di vuoti e di as-senze, che talvolta condizionano la vita ancor più delle cose che

succedono. Un figlio che non arriva (quello che succede a dueprotagonisti del libro, Pietro e Sara, ndr), ad esempio, è qual-cosa che non succede e però ha un peso determinante nell’esi-stenza di una coppia, che nel caso specifico si separa. Oppureil nonno Mario, reduce della seconda guerra mondiale che hapartecipato all’invasione dell’Unione Sovietica ed è riuscito atornare in Italia, in un certo senso è rimosso e occultato dallasua famiglia, in particolare dalla figlia Giovanna, madre di Pie-tro. Quest’assenza condizionerà il nipote, che partirà per la

Russia, cercando di ricostruire un senso, di ca-ricarsi addosso i ricordi e i dolori del nonno, dellamadre, e di Olmo, un altro reduce della guerra,una sorta di doppio del nonno, che abita nellacasa in cui Pietro viveva da ragazzino. Questimiei personaggi hanno qualcosa di scassatonelle loro vite, come tutti nelle nostre famiglie im-perfette, sono cose che nel tempo si spaccano,si rompono, ma queste persone di cui raccontosono pronte a fare qualcosa con i cocci. Cercanoinsomma di provare a costruire qualcosa, di dareuna forma alla propria vita, insomma di provarea fare un buon uso del dolore». In questo stal’essenza di “Ogni promessa”, nel viaggio inRussia di Pietro o nel tentativo di Giovanna,dopo la morte del padre, di riscattare il loro man-cato rapporto, prendendosi cura di Olmo. Bajanispiega anche il fascino che hanno esercitato sudi lui alcuni esponenti del Modernismo inglesedei primi decenni del Novecento. «In un mondoche fra i conflitti mondiali e la crisi del 1929 era

andato in frantumi, Woolf, Conrad e Joyce con le loro operecercavano di tenere assieme tutto quello che andava a pezzi».La promessa del titolo del suo romanzo, ha chiarito l’autore, è«l’idea, in un mondo in cui conta solo il presente, che esista unfuturo, un’idea che comporta anche l’assunzione di responsa-bilità del passato. La memoria è assunzione di responsabilitàanche del futuro. È importante ricordare da dove si viene, in unperiodo in cui ci inducono a dimenticare, in cui vogliono trasfor-mare la festa della Liberazione in festa della Libertà e c’è chipropone di far cantare “Giovinezza” a Sanremo…».

S.L.I.

Nel 2005 fa l’approdo a Einaudi e “Cordiali saluti”, primo successo

Il suo primo libro a diventare un piccolo cult solo con il passapa-rola tra i lettori è stato, circa cinque anni fa, “Cordiali saluti” (Ei-naudi), la storia di un uomo che, per mestiere, scrive lettere di

licenziamento. Prima di allora, però, Andrea Bajani aveva già pub-blicato altre due storie: l’ormai introvabile “Morto un papa”, pressoPortofranco (casa editrice piemontese-abruzzese, ora fallita), e“Qui non ci sono perdenti” (Pequod).Classe 1975, Bajani è anche autore teatrale (ha collaborato conl’affabulatore Marco Paolini), conduttore radiofonico, autore di al-cune antologie di racconti, e collabora con i quotidiani L’Unità e LaStampa. L’approdo allo Struzzo gli ha dato maggiore visibilità e gliha consentito di raggiungere un pubblico più vasto. Con la casaeditrice di via Biancamano ha pubblicato nel 2006 il reportage “Mi

spezzo ma non m’impiego” (su lavoratori atipici e precari, ritrattitra ironia e amarezza da chi ha vissuto tutto in prima persona)e nel 2007 il romanzo “Se consideri le colpe”, tradotto in Fran-cia, con cui ha ottenuto i premi Mondello, Brancati e Recanati.Prima di “Ogni promessa” si era cimentato ancora con il repor-tage: “Domani niente scuola”, su scuola e adolescenti, osser-vati nel corso di tre gite di classe, quelle di liceali torinesi,fiorentini e palermitani (del liceo Cannizzaro, contattato graziealla scrittrice palermitana Vanessa Ambrosecchio).Romano di nascita, Bajani ha vissuto gran parte della propriavita tra la provincia di Cuneo e la città di Torino, dove risiede at-tualmente.

S.L.I.

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TFF 28: Un grande festivalper una città “cinefila”Franco La Magna

Acosa servono i festival cinematografici? Innanzi tutto ad as-solvere la più essenziale delle funzioni di critica estetica: farvedere i film. Ovviamente, primi tra tutti, quelli privi di distri-

buzione o dall’incerta circuitazione. Ma altresì a far conoscere (eaiutare) nuovi autori; ad un recupero della memoria; a favorirescambi culturali ed aprire molte finestre sul mondo e tanto, tantoaltro… non esclusa (in tempi di vacche magre come quelli correnti)l’opportunità di dare un lavoro più o meno stabile e più o menostagionale. Tutto questo è il Torino Film Festival, nato quasi in sor-dina 28 anni fa ed oggi uno dei festival più conosciuti ed apprezzatial mondo, affermatosi prepotentemente nel ricchissimo, maspesso scomposto e poco originale, puzzle delle kermesse cine-matografiche (nella sola Italia oltre 400!) proliferate negli ultimi de-cenni.Archiviata l’edizione TFF numero 28 (26 novembre – 4 dicembre)con la proclamazione dei vincitori, lungo elenco diligentementecompitato dall’ inappuntabile ed entusiasta direttore artisticoGianni Amelio (di cui si attende la riconferma ufficiale per il pros-simo biennio), il dato che più balza agli occhi è – si potrebbe diremore solito – l’incremento degli spettatori e conseguentementedei biglietti venduti. Secondo dati ufficiali, la partecipazione delpubblico, ormai pienamente fidelizzato – con circa 65.000 ingressinelle 11 sale e una percentuale d’incasso superiore del 11%, ri-spetto allo scorso anno – ha fatto realizzare un introito di 180.000euro. Il vincitore del Concorso Internazionale di lungometraggi(premio 25.000 €) – l’americano “Winter’s Bone” (2010) di DebraGranik, dramma violento, intimista e potente di una diciassettennedalla famiglia scompaginata, irrimediabilmente segnata da unpadre svanito nel nulla, una madre catatonica e fratellini a cui lagiovane donna è costretta a badare – dovrebbe farcela a varcare,insieme a qualcun altro, la soglia “proibita” delle sale italiane. Maper tanti altri la ria sorte distributiva resta drammaticamente in-certa. Ed è questo il vero punto dolente: riuscire a far circuitarefilm d’indubbio valore artistico, strappandoli al “ghetto” (che perfortuna esiste!) del circuito d’essai, delle proiezioni semiclande-stine, dei festival, per “subire” il giudizio del grande pubblico, fre-quentatore delle sale cinematografiche. Ma la miope, interessatae spietata mannaia della “censura di mercato”, liquida spesso fret-tolosamente ed impietosamente opere che potrebbero ottenereun’attenzione meno “specialistica”, spingendole verso i marginid’una dolorosa invisibilità, praticamente condannandole a morte.Tra gli altri riconoscimenti degni di nota quello al Miglior Documen-tario Italiano (€ 10.000) assegnato a “Bakroman” (2010) di Gian-luca e Massimiliano De Serio, reportage sui minori della capitaledel Burkina Fasu che hanno deciso di autogestirsi (nella linguamoré il titolo significa “ragazzo di strada”), senza attendere mira-coli istituzionali; l’antropologico “Il popolo che manca” (2010) diAndrea Fenoglio e Diego Mometti, ricerca sulle comunità montanee rurali del cuneese, ex-aequo all’italo-francese “Les champs bru-lants” (2010) di Stefano Canapa e Catherine Libert, road-moviesulle strade italiane alla ricerca di quel che resta del cinema indi-pendente e storia dell’incontro di Beppe Gaudino (autore dellostraordinario “Giro di luna tra terra e mare”) ed Isabella Sandri.La sezione “Italiana Corti” ha registrato l’affermazione di “Archipel”(2010) di Giacomo Abruzzese, coproduzione anglo-palestinese-italiana, a cui vanno 10.000 €. Altri premi a “Lecon de Tenebres”(2010) di Sarah Arnold e “Mammaliturchi” (2010) di Carlo MicheleSchirinzi; premio “Fipresci” (stampa internazionale) al giallo-esi-

stenziale canadese “Small Town Murder Songs” (2010) di EdGass-Donnelly. Proclamato, infine, miglior documentario inter-nazionale l’americano “Let Each one go where he may” (2009)di Ben Russell, che incassa il “Premio Cult” (20.000€), film “chesovverte i cliché del cinema etnografico…che affascina e pro-voca”. Quasi tutti destinati (nella più ottimistica delle ipotesi) acircuiti alternativi o ad altri festival. Ma per coloro che al Festivaltorinese vanno per godere delle retrospettive (e che tale riten-gono essere il piatto forte della grande kermesse piemontese),anche quest’anno nessuna delusione. Una vera e propria ab-buffata, con la più ricca tavola mai ammannita al mondo, haproposto quella dedicata al grande John Huston (circa 50 film,molti dei quali proiettati alla presenza di alcuni dei familiari) e alsemimisconosciuto e scioccante regista russo (in Italia) VitalijKanevskij.Assolvendo un’opera di necessario recupero storico da unaparte ed un’imprescindibile “funzione originaria” dall’altra (mo-strare l’inedito per renderlo edito), il TFF conferma dunque lesue “naturali” vocazioni antiglamour, senza tappeti rossi e pas-serelle di scosciatissime starlette sbrilluccicanti e politici ma-neggioni. Funzione del resto già ampiamente codificata nelletante sezioni, a partire dal “Concorso”, quindi da “Festa mobile”,“Rapporto confidenziale”, “Onde”; fino al documentarismo (“Ita-liana.doc” e “Italiana corti”), al “regionalismo” di “Spazio Torino”e alle aperture internazionale (il Premio “Fipresci” della stampainternazionale, vinto dal giallo-esistenziale canadese “Smalltown murder songs” di Ed Gass-Donnelly); agli omaggi (Cha-brol e Corso Salani, morto quest’estate). Circa 2300 gli accre-diti, oltre 500 dei quali giornalisti.Straordinarie infine le anteprime europee: il francese “ContreToi” (2010) di Lola Doillon e l’americano “Hereafter” (2010) diClint Eastwood. Nell’ultima serata nella gremitissima grandesala del cinema “Ambrosio 1” doppia proiezione (rigorosa-mente, come tutti i film, in lingua originale) dell’attesissimo“Hearafter” (2010), mélo-spiritualista del sempre grande ClintEastwood, ex loser e poi ispettore dal grilletto facile, rivelatosimetteur en scène dall’animo delicato e profondo.Nelle sale italiane già il 5 gennaio, dopo l’usuale abbuffata deicinepanettoni natalizi. Anche questo sgangherato divertisse-ment, nel bene e nel male, è cinema che piace.

Realizzato con il contributodell’Assessorato Regionaledei Beni Culturale e dell’Identità Siciliana.Dipartimento dei Beni Culturali edell’Identità Siciliana