ASTRONOMIA La enesi dei pianeti -...

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La -~1~110.- ASTRONOMIA enesi dei pianeti Aer» di Douglas N.C. Lin Illustrazioni di Don Dixon La formazione dei pianeti, a lungo immaginata come un ordinato procedere verso una conclusione scontata, si sta invece rivelando sorprendentemente caotica IN SINTESI Appena dieci anni fa, le teorie Sulla formazione dei pianeti dovevano basarsi per forza su un unico esempio: I sistema solare. Ma da allora sono state scoperte decine di istemi planetari maturi e iolti altri ún via di formazion E nessuno è simile all'altro Il concetto di fondd della più accreditata teoria della formazione planet ria minuscoli grani si niscono formando corpi ch poi accumulano un inv lucro di gas — nasconde m Replici livelli di complessità. Un'interazione caotica tra meccanismi in competizione fra loro fa sì che i risultati finali siano estremamente diversificati. B enché, in termini cosmici, siano nulla più che frammenti insignificanti della gran- de narrazione dell'espansione cosmica, i pianeti sono la classe di oggetti più diversificata e complessa dell'universo. In nessun altro corpo celeste si osservano interazioni così intricate di processi astronomici, geologici, chimici e biologi- ci. In nessun altro luogo del cosmo potrebbe esi- stere la vita nelle forme che conosciamo. Ma no- nostante le grandi differenze che sussistono tra i pianeti del nostro sistema solare, gli astronomi si sono trovati del tutto impreparati di fronte alle scoperte degli ultimi dieci anni, che hanno porta- to all'identificazione di oltre 200 corpi planetari. L'incredibile diversità di massa, dimensioni, composizione e orbita di questi oggetti è una sfi- da continua per chi, come me, tenta di ricostruir- ne l'origine. Negli anni settanta, quando stavo terminando gli studi, si tendeva a pensare alla formazione planetaria come a un processo ordi- nato e deterministico: una catena di montaggio che trasformava dischi amorfi di gas e polvere in altrettante copie del sistema solare. Ora invece sta diventando sempre più chiaro che si tratta di un processo caotico, che ha esiti ben distinti per ciascun sistema planetario. I mondi che emergono da questo proces- so sono i superstiti di meccanismi tumultuosi e contrapposti di creazione e distruzione. Molti al- tri esplodono, sono scagliati tra le fiamme della loro stella appena nata o espulsi nello spazio in- terstellare. La nostra stessa Terra potrebbe avere dei «fratelli» perduti che vagano nell'oscurità del vuoto cosmico. Lo studio della formazione dei pianeti si col- loca all'incrocio tra astrofisica, planetologia, meccanica statistica e dinamica non lineare. In termini generali, le principali teorie in materia sono due. Nello scenario dell'accrescimento se- quenziale, minuscoli grani di polvere si aggre- gano formando nuclei solidi di roccia, che pos- sono attrarre enormi quantità di gas e diventare giganti gassosi come Giove, oppure diventare pianeti rocciosi come la Terra. Il principale di- fetto di questo scenario è che il un processo è molto lento, e il gas può disperdersi prima della sua conclusione. Lo scenario alternativo è quello dell'instabilità gravitazionale, secondo il quale i giganti gassosi si formano in maniera molto rapida al momento della frammentazione del disco protoplaneta- .4% rio di gas e polvere: un processo che riproduce, in miniatura, la formazione delle stelle. Questa ipotesi è ancora controversa, perché presuppone l'esistenza di condizioni fortemente instabili che non è detto si verifichino realmente. Inoltre gli astronomi hanno osservato che tra i pianeti più massicci e le stelle più leggere vi è una sorta di «terra di nessuno»: i corpi di dimensioni inter- medie sono molto rari. Questa netta separazione implica che i pianeti non siano semplicemente minuscole stelle, ma abbiano un'origine comple- tamente diversa. Benché il dibattito sia tutt'altro che concluso, la maggior parte degli scienziati ritiene che lo scenario dell'accrescimento sequenziale sia il più plausibile. Pertanto in questo articolo mi concen- trerò su di esso. UN PIANETA GIGANTE in via di formazione attrae gas dal disco che circonda una stella neonata. 62 LE SCIENZE 479 luglio 2008 www.lescienze.it LE SCIENZE 63

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La-~1~110.-

ASTRONOMIA

enesi dei pianetiAer»

di Douglas N.C. LinIllustrazioni di Don Dixon

La formazione dei pianeti, a lungo immaginata comeun ordinato procedere verso una conclusione scontata,si sta invece rivelando sorprendentemente caotica

IN SINTESI• Appena dieci anni fa, le

teorie Sulla formazione deipianeti dovevano basarsiper forza su un unicoesempio: I sistema solare.Ma da allora sono statescoperte decine di istemiplanetari maturi e iolti altriún via di formazionE nessuno è simile all'altro

• Il concetto di fondd della piùaccreditata teoria dellaformazione planet riaminuscoli grani si nisconoformando corpi ch poiaccumulano un inv lucro digas — nasconde m Replicilivelli di complessità.Un'interazione caoticatra meccanismi incompetizione fra loro fa sìche i risultati finali sianoestremamente diversificati.

B

enché, in termini cosmici, siano nulla piùche frammenti insignificanti della gran-de narrazione dell'espansione cosmica, i

pianeti sono la classe di oggetti più diversificatae complessa dell'universo. In nessun altro corpoceleste si osservano interazioni così intricate diprocessi astronomici, geologici, chimici e biologi-ci. In nessun altro luogo del cosmo potrebbe esi-stere la vita nelle forme che conosciamo. Ma no-nostante le grandi differenze che sussistono tra ipianeti del nostro sistema solare, gli astronomi sisono trovati del tutto impreparati di fronte allescoperte degli ultimi dieci anni, che hanno porta-to all'identificazione di oltre 200 corpi planetari.

L'incredibile diversità di massa, dimensioni,composizione e orbita di questi oggetti è una sfi-da continua per chi, come me, tenta di ricostruir-

ne l'origine. Negli anni settanta, quando stavoterminando gli studi, si tendeva a pensare allaformazione planetaria come a un processo ordi-nato e deterministico: una catena di montaggioche trasformava dischi amorfi di gas e polvere inaltrettante copie del sistema solare. Ora invecesta diventando sempre più chiaro che si tratta diun processo caotico, che ha esiti ben distinti perciascun sistema planetario.

I mondi che emergono da questo proces-so sono i superstiti di meccanismi tumultuosi econtrapposti di creazione e distruzione. Molti al-tri esplodono, sono scagliati tra le fiamme dellaloro stella appena nata o espulsi nello spazio in-terstellare. La nostra stessa Terra potrebbe averedei «fratelli» perduti che vagano nell'oscurità delvuoto cosmico.

Lo studio della formazione dei pianeti si col-loca all'incrocio tra astrofisica, planetologia,meccanica statistica e dinamica non lineare. Intermini generali, le principali teorie in materiasono due. Nello scenario dell'accrescimento se-quenziale, minuscoli grani di polvere si aggre-gano formando nuclei solidi di roccia, che pos-sono attrarre enormi quantità di gas e diventaregiganti gassosi come Giove, oppure diventarepianeti rocciosi come la Terra. Il principale di-fetto di questo scenario è che il un processo èmolto lento, e il gas può disperdersi prima dellasua conclusione.

Lo scenario alternativo è quello dell'instabilitàgravitazionale, secondo il quale i giganti gassosisi formano in maniera molto rapida al momentodella frammentazione del disco protoplaneta-

.4%

rio di gas e polvere: un processo che riproduce,in miniatura, la formazione delle stelle. Questaipotesi è ancora controversa, perché presupponel'esistenza di condizioni fortemente instabili chenon è detto si verifichino realmente. Inoltre gliastronomi hanno osservato che tra i pianeti piùmassicci e le stelle più leggere vi è una sorta di«terra di nessuno»: i corpi di dimensioni inter-medie sono molto rari. Questa netta separazioneimplica che i pianeti non siano semplicementeminuscole stelle, ma abbiano un'origine comple-tamente diversa.

Benché il dibattito sia tutt'altro che concluso,la maggior parte degli scienziati ritiene che loscenario dell'accrescimento sequenziale sia il piùplausibile. Pertanto in questo articolo mi concen-trerò su di esso.

UN PIANETA GIGANTE

in via di formazione attrae

gas dal disco che circonda

una stella neonata.

62 LE SCIENZE

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LE SCIENZE 63

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Granelli di polvere cosmicaAnche i grandi pianeti hanno umili origini: all'inizio sono grani di polvere

di dimensioni micrometriche (ceneri di stelle defunte) contenuti in un

disco di gas in rotazione. La temperatura del disco diminuisce al crescere

della distanza dalla giovane stella, definendo un «limite della neve» oltre

il quale l'acqua è presente in fase solida. Nel sistema solare questo limite

segna la frontiera tra i pianeti rocciosi interni e i giganti gassosi esterni.

OI grani collidono, si aggreganoe si accumulano.

OI grani più piccoli sono trascinati dai motidel gas, ma quelli di dimensioni superioria un millimetro avvertono una forza centripetae si muovono su una traiettoria a spirale versoil centro del sistema.

OIn corrispondenza del limite della neve,le condizioni locali fanno sì che la forzacentripeta inverta la propria direzione.I grani tendono ad accumularsi e si fondonofacilmente in corpi più grandi, i planetesimi.

La polvere discende suuna traiettoria a spirale

'

_

Disco di gas e polvere

L'ascesa degli oligarchiMiliardi di planetesimi grandi poco più di un chilometro, formatisi nello stadio 2, si

aggregano in corpi denominati embrioni planetari, di grandezza intermedia tra la Luna

e la Terra. Gli embrioni, che sono relativamente pochi, dominano le rispettive zone orbitali,

formando una «oligarchia» che compete per aggiudicarsi la materia rimasta.

Alcuni corpi, soggetti a un accrescimento particolarmente rapido, perturbano le orbite degli altri oggetti.

Gli embrioni esauriscono la materia prima e cessano di crescere.

I planetesimi collidono e si uniscono.

i planetesimi hanno inglobato quasi tutta la polve-re presente all'inizio. Questi oggetti sono di diffici-le osservazione, ma gli astronomi possono dedurnel'esistenza dai resti delle loro collisioni.Punto finale: sciami di «mattoni» grandicirca un chilometro, i planetesimi

3 Lo sviluppo di embrioniplanetari

Tempo: 1-10 milioni di anniLa superficie craterizzata di Mercurio, della Luna

e degli asteroidi non lascia dubbi sul fatto che neisistemi planetari nascenti gli scontri siano conti-nui. Le collisioni tra planetesimi fanno sì che essisi aggreghino o si frammentino. L'equilibrio trafusione e distruzione porta a una distribuzione di

LE SCIENZE 65479 luglio 2008

III collasso di una nubeinterstellare

Tempo: O (punto iniziale della sequenzFdella formazione planetaria)

Il sistema solare fa parte di una galassia compo-sta da circa 100 miliardi di stelle, inframmezzate anubi di gas e polvere che in gran parte sono i restidi generazioni stellari trascorse. In questo conte-sto, «polvere» significa frammenti microscopici dighiaccio d'acqua, ferro e altre sostanze solide chesi sono condensate negli strati esterni delle stel-le, relativamente freddi, e sono state espulse nellospazio interstellare. Una nube abbastanza freddae densa può collassare per effetto della gravità eformare un ammasso stellare: questo processo im-piega da 100.000 anni ad alcuni milioni di anni.

Intorno a ogni stella neonata ruota un disco dimateria residua, che è l'ingrediente essenziale perla genesi dei pianeti. I dischi appena formati sonocostituiti in gran parte da idrogeno ed elio. Nelleloro regioni interne, calde e dense, i grani di polve-re sono vaporizzati; nelle zone periferiche, più fred-

64 LE SCIENZE

randosi. I grani intercettano la luce stellare e rie-mettono radiazione infrarossa di lunghezza d'ondainferiore, in modo che il calore raggiunge anchele regioni più oscure nell'interno del disco. Gene-ralmente temperatura, densità e pressione del gasdiminuiscono con la distanza dalla stella. A causadell'interazione tra pressione, velocità di rotazionee gravità, il gas orbita intorno alla stella un pocopiù lentamente di quanto farebbe un corpo indi-pendente posto alla stessa distanza.

Di conseguenza, i grani di polvere più grandi diqualche millimetro tendono a essere più veloci delgas, ma quest'ultimo esercita un effetto di frena-mento che li costringe a percorrere una traiettoria aspirale diretta verso la stella. Più grandi sono i gra-ni, maggiore è la loro velocità di discesa. Un fram-mento del diametro di un metro può dimezzare lapropria distanza dalla stella in circa l000 anni.

Avvicinandosi al centro del sistema, i grani siriscaldano, e a un certo punto l'acqua e altre so-stanze volatili evaporano. La distanza alla qualeciò avviene, il cosiddetto «limite della neve», si col-loca tra 2 e 4 unità astronomiche (UA) dalla stella,e nel sistema solare cade tra le orbite di Marte edi Giove. Il limite della neve divide il sistema pla-netario in una regione interna, povera di sostanzevolatili e occupata da corpi rocciosi, e una esterna,ricca di sostanze volatili, dove i corpi sono preva-lentemente ghiacciati.

In corrispondenza del limite, le molecole d'acquache si formano tendono ad accumularsi sui grani:questo fenomeno dà origine a effetti a cascata. Essoproduce una discontinuità nelle proprietà del gasin corrispondenza del limite della neve, a livellodel quale si verifica un abbassamento di pressio-ne. L'equilibrio delle forze fa sì che il gas aumentila propria velocità di rivoluzione intorno alla stellacentrale. Di conseguenza i grani che si trovano nel-le vicinanze avvertono un effetto non di frenamen-to, ma di spinta, che li accelera e interrompe la loromigrazione verso l'interno. Via via che arrivanodalle regioni esterne del disco i grani si accumu-lano in corrispondenza del limite della neve, chediventa, in pratica, un banco di neve.

Così ammassati, i grani collidono e si accre-scono. Alcuni oltrepassano il limite della neve eproseguono la loro discesa, ma durante l'attraver-samento si ricoprono di una fanghiglia contenentemolecole complesse, che li rende più appiccicosi.In alcune regioni la polvere è così densa che l'at-trazione gravitazionale collettiva dei grani riescead accelerarne la crescita.

I grani di polvere si aggregano così in corpi deldiametro di alcuni chilometri, i «planetesimi». Altermine di questa fase della formazione planetaria

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de e rarefatte, le particelle di polvere si conservanoe crescono via via che il gas condensa su di esse.

Sono state individuate molte giovani stelle cir-condate da simili dischi. Le stelle di età compresatra 1 e 3 milioni di anni hanno dischi ricchi di gas,mentre quelle di oltre 10 milioni di anni sono cir-condate da dischi più tenui, perché buona parte delgas è stata spazzata via dalla giovane stella o daastri brillanti vicini. Questo arco di tempo delineal'epoca della formazione dei pianeti. La massa de-gli elementi pesanti in questi dischi è grosso modoconfrontabile con quella dei corpi planetari delsistema solare: indizio significativo che i pianetisono effettivamente originati da dischi simili.Punto finale: stella neonata circondata dagas e microscopici grani di polvere

I II disco si riorganizzaTempo: circa 1 milione di anni

I grani di polvere del disco protoplanetario sonorimescolati dal gas circostante e collidono l'unocon l'altro, a volte rimanendo uniti, a volte sepa-

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L'AUTORE

DOUGLAS N.C. LIN, nato a New York

e cresciuto a Pechino, ha

frequentato la McGill University

a Montreal e si è specializzato

a Cambridge prima di entrare

nel corpo docente dell'Università

della California a Santa Cruz.

È fondatore e direttore del Kavli

Institute for Astronomy

and Astrophysics dell'Università

di Pechino.

—111111.101~1.111

non bilanciatadi tollisione

Un momento chiaveLa nascita di un gigante gassoso come Giove è il momento chiave della

storia di un sistema planetario: se un pianeta simile riesce a formarsi

modella tutto il resto del sistema. Ma perché questo accada, un embrione

deve accumulare gas più velocemente di quanto si muova verso il centro.

Le onde che un pianeta gigante provoca nel gas vicino si oppongono alla suaformazione. Queste onde esercitano sul corpo forze di torsione non bilanciate,che lo rallentano e fanno sì che il raggio della sua orbita diminuisca.

Embrione Gas

La gravità del pianeta attrae gas, ma questo non può depositarsi finché non si èraffreddato. E possibile che, prima che ciò avvenga, il pianeta inizi a seguire unatraiettoria a spirale diretta verso la stella. La formazione di un pianeta gigante puòconcludersi con successo solo in una minoranza di sistemi.

dimensioni, in cui i corpi piccoli rappresentano lamaggior parte dell'area superficiale del sistema informazione, e i più grandi la maggior parte dellamassa. Inizialmente le orbite possono essere ellit-tiche, ma col tempo l'attrito del gas e le collisionitendono a renderle circolari.

In una prima fase, il processo di accrescimentotende ad autorinforzarsi. Più grande è un planetesi-mo, più intensa è la sua gravità e più velocementeingloba gli oggetti più leggeri. Quando ha raggiun-to una massa simile a quella della Luna, però, eser-cita una gravità così forte da perturbare la materiasolida circostante e deviarne la maggior parte pri-ma di collidere con essa. Questo tende a limitarel'accrescimento. Emerge così una «oligarchia»: unapopolazione di embrioni planetari di masse similiche competono per i planetesimi rimasti.

La zona controllata da ogni embrione è una fa-scia ristretta centrata sulla sua orbita; quando haassimilato la maggior parte dei planetesimi resi-dui in quella zona, il suo accrescimento si arresta.Per semplici ragioni geometriche, l'ampiezza dellazona e la durata della fase di accumulo aumen-tano con la distanza dalla stella. Alla distanza di1 UA, gli embrioni raggiungono una massa paria 0,1 masse terrestri in circa 100.000 anni. A unadistanza di 5 UA, acquisiscono una massa 4 voltemaggiore di quella della Terra in alcuni milioni dianni. Gli embrioni possono raggiungere dimensio-

ni ancora superiori nei pressi del limite della neveo dei margini di lacune nel disco, dove tendono aconcentrarsi anche i planetesimi.

La crescita oligarchica riempie il sistema di unnumero eccessivo di aspiranti pianeti, solo alcu-ni dei quali completeranno il processo. I pianetidel nostro sistema solare possono sembrare moltolontani tra loro, ma in realtà non potrebbero esserepiù vicini. Inserire un altro pianeta di massa simi-le a quella della Terra nella regione occupata daipianeti terrestri vorrebbe dire destabilizzarli tutti.Lo stesso vale per altri sistemi. Se vedete una tazzadi caffè piena fino all'orlo, pensate che qualcunone ha versato troppo, rovesciandone una parte;sembra improbabile colmarla esattamente senzasprecare una goccia. Allo stesso modo, è verosimi-le che i sistemi planetari contengano più materiaall'inizio che non al termine della loro formazione.I corpi vengono espulsi finché il sistema non rag-giunge una configurazione equilibrata.Punto finale: una «oligarchia» di embrioniplanetari di massa compresa tra quellalunare e quella terrestre

4 Nascita di un gigante. Tempo: 1-10 milioni di anni

Probabilmente all'inizio Giove era grande comela Terra, ma poi ha accumulato circa 300 mas-se terrestri di gas. Una crescita così spettacolare è

dovuta al concorso di vari effetti La gravità di unembrione attrae gas dal disco, ma questo, nellasua caduta, libera energia e deve raffreddarsi perpotersi depositare. La velocità di crescita è quindilimitata dall'efficienza del raffreddamento: se ètroppo lento, la stella potrebbe disperdere il gas deldisco prima che l'embrione abbia l'opportunità disviluppare un'atmosfera densa. Il principale collodi bottiglia del trasferimento di calore è il flussodi radiazione negli strati esterni dell'atmosfera informazione, che è determinato dall'opacità del gas(dipendente soprattutto dalla sua composizione) edal gradiente di temperatura (dipendente in primoluogo dalla massa iniziale dell'embrione).

Secondo i primi modelli, un embrione deve ave-re una massa critica pari a circa dieci volte quelladella Terra per consentire un trasferimento di ca-lore abbastanza rapido. Embrioni così grandi pos-sono formarsi presso il limite della neve, dove inprecedenza si era accumulata materia, e potrebbeessere per questo che Giove è situato appena al dilà di questo limite. Ma embrioni di grandi dimen-sioni possono nascere anche altrove, se il discocontiene più materia di quanto si pensasse un tem-po. In effetti sono state osservate molte stelle condischi più densi rispetto alla stima tradizionale, ein simili casi il trasferimento di calore non poneproblemi insormontabili.

Un altro elemento che sembra ostacolare la for-mazione di giganti gassosi è che l'embrione tendead avvicinarsi alla stella seguendo una traiettoria aspirale. In un processo chiamato migrazione di tipoI, l'embrione provoca un'onda nel disco di gas, chea sua volta influenza gravitazionalmente l'orbitadell'oggetto. L'onda segue il corpo come la scia diuna barca. Il gas ai lati, che è più lontano dalla stel-la, ha un moto più lento di quello dell'embrione, etende a trattenerlo e rallentarlo. Viceversa, il gas sullato interno dell'orbita è più veloce, ed esercita unaspinta in avanti che accelera l'embrione. Dato chela regione esterna è più grande, il suo effetto è pre-dominante, e fa sì che l'embrione perda energia e sisposti verso la stella di alcune unità astronomichenell'arco di un milione di anni. Questa migrazionetende ad arrestarsi presso il limite della neve, dovel'effetto del gas da frenante diventa propulsivo, esi oppone al decadimento dell'orbita dell'embrio-ne. Questo meccanismo potrebbe dare un'ulteriorespiegazione della posizione di Giove.

La crescita degli embrioni, la loro migrazionee l'esaurimento del gas avvengono quasi simulta-neamente: vince chi ha più fortuna. In effetti, èpossibile che varie generazioni di embrioni inizinoil processo di trasformazione in giganti gassosi, masiano poi costretti a migrare prima di averlo portato

a termine. Sulla loro scia arrivano altri planetesimi

provenienti dalle regioni esterne del disco, che ri-petono il processo finché la formazione di un gi-gante gassoso ha successo o l'esaurimento del gasla impedisce definitivamente. Sono stati individuatipianeti di massa simile a Giove solo intorno al dieciper cento circa delle stelle di tipo solare studiate. Inuclei di questi pianeti potrebbero essere i rari su-perstiti di molte generazioni di embrioni planetari.

L'equilibrio tra i vari processi dipende dalla do-tazione iniziale di materia del sistema. Quasi unterzo delle stelle ricche di elementi pesanti ha pia-neti di massa gioviana. Presumibilmente i dischidi queste stelle erano più densi e capaci di dareorigine a embrioni di grandi dimensioni, che pote-vano superare senza intoppi il collo di bottiglia deltrasferimento di calore. Viceversa, intorno a stellepiù piccole o povere di elementi pesanti si formanomeno pianeti.

Una volta avviato, l'accrescimento procede avelocità sorprendente. Nell'arco di appena 1000anni, un batter di ciglia sulla scala astronomica,un pianeta gioviano può acquisire anche metàdella sua massa finale. Così facendo, dissipa unatale quantità di calore che per un breve periodoriesce a essere più luminoso della stella. Si stabi-lizza quando è diventato abbastanza massiccio dainvertire il senso della migrazione di tipo I: ora èil pianeta che modifica il moto del gas nel disco,e non viceversa. Il gas interno all'orbita si muovepiù velocemente dell'oggetto, cosicché la gravità diquest'ultimo tende a frenarlo e a farlo cadere versola stella: ossia, lontano dal pianeta. Il gas esternoall'orbita è più lento, e di conseguenza viene ac-celerato e sospinto verso la periferia del disco: dinuovo, lontano dal pianeta. Quest'ultimo, perciò,crea una lacuna nel disco e interrompe il proprioapprovvigionamento di materia prima. Il gas tentadi occupare nuovamente la lacuna, ma le simula-zioni indicano che il pianeta lo impedisce se la suamassa è superiore a circa una massa gioviana auna distanza dalla stella di 5 UA.

Questa massa critica è dipendente dal tempo.Quanto più precoce è la formazione di un pianeta,tanto più esso può ingrandirsi, poiché ha a dispo-sizione gas in abbondanza. Può darsi che Saturnoabbia accumulato una massa inferiore a quella diGiove semplicemente perché si è formato qualchemilione di anni più tardi. Gli astronomi hanno no-tato che vi è una carenza di pianeti nell'intervallotra 20 masse terrestri (la massa di Nettuno) e 100masse terrestri (quella di Saturno): potrebbe essereun indizio sulla cronologia della loro formazione.Punto finale: presenza (o assenza)di un pianeta di massa gioviana

COME SI SPIEGAGIOVE?Tra tutti gli stadi della formazione

planetaria, la nascita del primo

gigante gassoso rimane per certi versi

il più enigmatico. Un mistero è il fatto

che il nucleo di Giove è molto piccolo

o addirittura inesistente: comunque di

massa assai inferiore a quella critica

che si riteneva necessaria perché

il gas in caduta si raffreddasse e si

depositasse. È possibile che fossero

attivi altri meccanismi di

raffreddamento, come la dissipazione

di calore in un disco in miniatura

che circondava il proto-Giove.

In alternativa, può darsi che i flussi

interni del gas abbiano eroso il nucleo

iniziale di Giove.

Un altro problema è che, secondo

i calcoli teorici, il proto-Giove avrebbe

dovuto migrare verso il centro

del sistema più velocemente di quanto

riuscisse ad accumulare gas. Il suo

moto deve essere stato rallentato

da qualche fattore, per esempio

differenziali di pressione del gas,

flussi gassosi, turbolenza o interazioni

gravitazionali tra gli embrioni.

66 LE SCIENZE

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LE SCIENZE 67

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Come abbracciare una stellaIn molti ma un pianeta gigante che poi si avvicina alla stella, seguendo una

traiettoria a spirale, fino quasi a precipitare dentro di essa. Questo accade perché il gas de

disco perde energia a causa dell'attrito interno e cade verso il centro, trascinando il

pianeta con sé. Alla fine quest'ultimo arriva così vicino che la stella può esercitare una

forza di torsione sulla sua orbita, stabilizzandola.

1101111.11,11pr

• Gigante gasso

primo gi

prepara l'ri. La

lacuna ch i comporta

come un fo o che la

materia proveniente dalle

regioni periferiche del sistema

• non è in grado di attraversare

essa si accumula quindi

presso il margine esterno della

lacuna, dove può aggregarsi

formare un nuovo pianeta.

M Le migrazioni diun gigante gassoso

Tempo: 1-3 milioni di anniStranamente, molti dei pianeti extrasolari sco-

perti seguono orbite vicinissime alla loro stella.Questi pianeti del tipo «Giove caldo» non possonoessersi formati nelle loro attuali posizioni, se nonaltro perché a simili distanze dalla stella centrale lezone di approvvigionamento sono troppo piccoleper contenere materia a sufficienza. La loro pros-simità alla stella sembra legata a una sequenza dieventi in tre fasi che, per qualche motivo, non si èverificata nel sistema solare.

Il primo passo è la formazione di un gigantegassoso nella parte interna del sistema planetario,presso il limite della neve, quando il disco contie-ne ancora una considerevole quantità di gas. Ciòrichiede un'elevata concentrazione di materia allostato solido nel disco. Nella seconda fase, il piane-ta gigante deve spostarsi fino alla sua posizioneattuale. Ciò non può avvenire con una migrazionedi tipo I perché essa agisce su embrioni che nonhanno ancora accumulato molto gas. Deve inve-ce verificarsi una migrazione di tipo II. Il piane-ta gigante in via di formazione crea una lacunanel disco e blocca il flusso di gas trasversale allapropria orbita. Così facendo, deve opporsi allatendenza all'espansione del gas turbolento delleregioni adiacenti del disco. Il gas non cessa maidel tutto di invadere la lacuna e la sua diffusioneverso la stella centrale costringe il pianeta a per-dere energia orbitale. Il processo è relativamentelento, dato che impiega alcuni milioni di anni perspostare un pianeta di qualche unità astronomica;è per questo motivo che la posizione di partenzadell'oggetto deve trovarsi nel sistema planetariointerno, affinché quella finale sia vicinissima allastella. Migrando verso il centro del sistema, esso egli altri pianeti trascinano con sé eventuali plane-tesimi ed embrioni residui, e forse danno origine a«Terre calde» in orbita stretta.

Nella terza fase, qualcosa deve bloccare la mi-grazione prima che il pianeta precipiti nella stella.Il campo magnetico stellare potrebbe spazzare viail gas vicino all'astro e formare una cavità tuttointorno a esso; in assenza di gas, la migrazio-ne cessa. In alternativa, è possibile che il pianetageneri effetti di marea sulla stella e che questa, asua volta, eserciti una forza di torsione sull'orbitaplanetaria. Questi meccanismi di salvaguardia po-trebbero non essere operanti in tutti i sistemi, ed èprobabile che molti pianeti terminino la loro corsacollidendo con la stella.Punto finale: un pianeta gigante in orbita

(«G inve caldo»)

TAPPE DELLACOSTRUZIONEDI MONDIIn base alle datazioni radiometriche

delle meteoriti e all'osservazione

di dischi intorno ad altre stelle,

i planetologi hanno ricostruito

una cronologia approssimativa

della formazione dei pianeti.

0-100.000 anni. La stella si forma

al centro del disco e dà inizio

alla fusione nucleare

100.000-2 milioni di anni (Ma).

I grani di polvere si assemblano

in embrioni di massa intermedia

tra quelle della Luna e della Terra

2 Ma. Si forma il primo gigante

gassoso, che allontana i planetesimi

della prima generazione

10 Ma. Il gigante gassoso favorisce

la formazione di altri pianeti giganti,

nonché di pianeti terrestri; a questo

punto la maggior parte del gas è

scomparsa

800 Ma. La risistemazione dei pianeti

prosegue, e può durare fino

a un miliardo di anni dopo l'inizio

del processo

6 Nuovi arrivi tra i giganti. Tempo: 2-10 milioni di anni

Se un gigante gassoso riesce a formarsi, facili-ta la nascita di altri corpi dello stesso tipo. Quasitutti i pianeti giganti conosciuti hanno «fratelli»di massa confrontabile. Nel sistema solare, Gioveaiutò Saturno a formarsi molto più velocementedi quanto avrebbe potuto fare da solo. Diede unamano anche a Urano e Nettuno, che in sua assenzaforse non avrebbero mai raggiunto le dimensioniattuali: alla loro enorme distanza dal Sole la for-mazione dei pianeti è così lenta che il disco si sa-rebbe dissipato molto prima della conclusione delprocesso, dando origine a corpi di piccola taglia.

L'entrata in scena di un gigante gassoso ha di-versi effetti positivi. Al margine esterno della la-cuna che crea si accumula materia, per gli stessimeccanismi che ne avevano provocato la concen-trazione in corrispondenza del limite della neve:una differenza di pressione fa sì che il gas accelerie dia impulso ai grani di polvere e ai planetesimi,interrompendone la migrazione da regioni piùlontane del disco. Un altro effetto della presen-za del primo gigante gassoso è che la sua gravitàtende a scagliare i planetesimi vicini verso le zonepiù periferiche del sistema, dove possono formarenuovi pianeti.

I pianeti di seconda generazione hanno originedalla materia che il primo gigante gassoso racco-glie per loro. Il fattore tempo è critico, e modestedifferenze nella scala temporale possono tradursiin esiti sostanzialmente diversi. Nel caso di Urano

e Nettuno, l'accumulo di planetesimi fu addirittu-ra eccessivo. Gli embrioni divennero enormi, conmasse 10-20 volte maggiori di quella terrestre, equesto ritardò l'inizio dell'accumulo di gas fino aquando ne rimase ben poco da inglobare. Questicorpi conclusero il processo di formazione avendoacquisito solo due masse terrestri circa di gas. Nonsi tratta dunque di giganti gassosi, ma di gigantidi ghiaccio: in realtà, questo potrebbe essere il piùcomune tipo di pianeta di grandi dimensioni.

I campi gravitazionali dei pianeti di secondagenerazione introducono nel sistema un'altra com-plicazione. Se questi corpi sono troppo ravvicinati,le loro interazioni reciproche e quelle con il discogassoso possono catapultarli in nuove orbite, for-temente ellittiche. Nel sistema solare tutti i pianetihanno orbite quasi circolari e sono abbastanza di-stanziati da essere protetti dalle reciproche influen-ze. In altri sistemi planetari, però, la norma sono or-bite ellittiche, che in alcuni casi sono in risonanza,ovvero il rapporto tra i periodi orbitali è espressoda numeri interi piccoli. Che questa fosse la situa-zione originaria è improbabile, ma potrebbe essereinsorta naturalmente per effetto della migrazionedei pianeti e della loro interazione gravitazionale.La differenza tra questi sistemi e il nostro può sem-plicemente essere la dotazione iniziale di gas.

La maggior parte delle stelle si forma in un am-masso, e più della metà fa parte di un sistema bi-nario. Il piano in cui i pianeti hanno origine puònon coincidere con il piano dell'orbita stellare. Intal caso la gravità della stella compagna modifica

e distorce rapidamente le orbite planetarie, gene-rando sistemi non planari come il nostro, ma sferi-ci: come api che ronzano intorno all'alveare.Punto finale: un gruppetto di pianeti giganti

7La genesi dei pianeti

i di tipo terrestreTempo: 10-100 milioni di anni

Si prevede che i pianeti di tipo terrestre sianopiù comuni dei giganti gassosi. Infatti, mentre lagestazione di un gigante richiede un preciso equi-librio tra effetti contrastanti, la formazione dei pia-neti rocciosi dovrebbe essere meno complessa. Tut-tavia, finché non si scopriranno terre extrasolari,sarà possibile studiare solo il nostro sistema.

I quattro pianeti terrestri - Mercurio, Venere,Terra e Marte - sono composti in gran parte damateria a elevato punto di ebollizione, come ferroe rocce silicatiche. Ciò indica che hanno avuto ori-gine all'interno del limite della neve e che le loroposizioni non sono variate molto nel tempo. Inquesta regione del disco gassoso gli embrioni pla-netari potevano acquisire materia fino ad arrivarea circa 0,1 masse terrestri, non molto più di Mer-curio. Perché l'accrescimento proseguisse, le orbitedegli embrioni dovevano intersecarsi, in modo daconsentirne la collisione e la fusione. Ciò avvennetramite un meccanismo piuttosto semplice: dopola scomparsa del gas, gli embrioni gradualmen-te destabilizzarono a vicenda le proprie orbite, lequali, nell'arco di alcuni milioni di anni, divenneroabbastanza ellittiche da incrociarsi.

Più difficile da spiegare è in che modo il siste-ma sia riuscito a stabilizzarsi nuovamente e i pia-neti terrestri abbiano assunto le loro attuali orbitequasi circolari. Una ridotta quantità di gas residuoavrebbe potuto produrre un simile effetto; ma sene fosse rimasto molto avrebbe anzitutto impeditola destabilizzazione delle orbite. Una possibilità èche, quasi al termine della formazione planetaria,fosse sopravvissuto ancora un numero non trascu-rabile di planetesimi. Nei successivi 100 milioni dianni, i pianeti inglobarono una parte di quei pic-coli corpi, scagliando gli altri nel Sole. I pianetitrasferirono i loro moti casuali ai planetesimi con-dannati e si collocarono in orbite quasi circolari.

Un'altra ipotesi è che l'influenza della gravitàdi Giove abbia costretto i pianeti terrestri in via diformazione a migrare, mettendoli in contatto connuova materia. Questo effetto sarebbe stato parti-colarmente intenso in specifiche posizioni di riso-nanza, che col tempo si spostarono verso l'internodel sistema via via che l'orbita di Giove assumevala conformazione definitiva. Le datazioni radiome-triche indicano che gli asteroidi si formarono pre-

RECORDPLANETARIEcco i detentori dei record tra

i sistemi planetari extrasolari,

al marzo 2008. La massa dei pianeti

è approssimativa a causa

dell'ambiguità delle misurazioni.

Stella ospite più massiccia

HO 13189 (4,5 masse solari)

Stella ospite più leggera

GJ 317 (0,24 masse solari)

Orbita planetaria più stretta

OGLE-TR-56b (0,0225 UA)

Orbita planetaria più ampia

PSR B 1620-26b (23 UA)

Pianeta più massiccio

NGC 4349 No 127b (19,8 masse

gioviane)

Pianeta più leggero

PSR 1257+12b (0,02 masse terrestri)

68 LE SCIENZE

479 luglio 2008

www.lescienze.it

LE SCIENZE 69

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Le meteoriti non sono solamente rocce provenienti dallo spazio, ma veri e

propri fossili: rappresentano l'unica documentazione concreta dell'origine .

del Sistema solare accessibile ai planetologi. Gii studi,osi ritengono che

abbiano origine dagli asteroidi, i quali sono frammenti di planetesimi che

non sono mai stati inglobati in un pianeta in via di formazione, e sono rimasti

nel sistema solare come materia residua. La composizione delle meteoriti

rispecchia ciò che deve essere accaduto sui loro corpi d'origine.

Un aspetto interessante è che recano le tracce di antichi effetti .

gravitazionali di Giove. Le meteoriti ferrose e rocciose provengono

evidentemente da planetesimi che sono andati incontro a un processo di

fusione, durante il quale il ferro . e le rocce siliqatiche si sono separati: il

primo, più pesante, è affondato nel centro del corpo, mentre le seconde si

sono concentrate negli strati esterni. Gli scienziati ritengono che il

riscaldamento sia stato prodotto dal decadimento di un isotopo radioattivo,

l'alluminio 26, che ha un tempo di dimezzamento di 700.000 anni.. ••

Probabilmente questo isotopo venne disseminato nella nube protosolare

da un'esplosione di supernova o da una stella vicina, nel qual caso

-la prima generazione di planetesimi del sistema solare doveva contenerne'

in abbondanza.

Tuttavia le. meteoriti ferrose e rocciose sono molto rare. La maggior parte di

questi oggetti è costituita invece da condruli, granuli sferoidali di dimensioni

Millimetriche che precedono nel tempo la formazione dei planetesimi e non

si conservano durante la fusione. Sembra quindi che una frazione rilevante

degli attualiasteroidi non sia composta dalla stessa materia della prima •

. generazione di planetesimi, eliminataiiresurnibilmente per opera 'di Giove.

I planetologi stimano che un tempo la zona oggi occupata dalla fascia •

principale degli asteroidi contenesse unequantità di materia mille volte

superiore a quella attuale, I pochi granuli che riuscirono a sfuggire alla

stretta di Giove é quelli che raggiunsero in seguito la fascia degli asteroidi si

aggregarono in nuovi planetesimi. Ma a questo punto restava poco alluminio

26 radioattivo, per cui questi corpi non subirono mai una fusione completa.

La composizione isotopica dei condruli delle meteoriti permette di datarli a

circa due milioni di anni•dopo l'inizio della formazione del sistema solare. La

consistenza vetrosa dei condruli fa pensare che, prima di essera incorporati

nei planetesimi, abbiano subito un brusco riscaldamento che li fuse

parzialmente e quindi si siano raffreddati. Le onde che favorirono la

migrazione primordiale dell'orbita di Giove devono aver dato luogo a fronti

d'urto che possono spiegare il repentino riscaldamento.

Emissari dal passato

Ragionamenti non circolariNel sistema solare interno gli embrioni planetari non possono crescere inglobando gas, ma

devono collidere l'uno con l'altro. Perché ciò avvenga le loro orbite devono intersecarsi,

cosa che presuppone una perturbazione delle traiettorie, originariamente circolari.

Subito dopo la formazione, gli embrioni hanno orbite circolari o quasi, che non si intersecano.

Interazioni gravitazionali tra gli embrioni, o con un pianeta gigante, perturbano le orbite.

Gli embrioni si aggregano in un pianeta di grandezza simile alla Terra, che può assumere nuovamenteun'orbita circolare rimescolando il gas restante e disperdendo i planetesimi residui.

cocemente (4 milioni di anni dopo il Sole), seguitida Marte (10 milioni di anni più tardi) e dalla Terra(50 milioni di anni dopo), come se un'onda d'urtoprodotta da Giove stesse spazzando il sistema so-lare. Se non fosse stata contrastata, la sua influen-za avrebbe spinto tutti i pianeti terrestri all'altezzadell'orbita di Mercurio. Come riuscirono a evitarequesta sorte? Forse divennero troppo massicciperché l'effetto gravitazionale di Giove riuscisse asmuoverli troppo, oppure furono espulsi dalla suasfera di influenza a causa di colossali impatti.

La maggioranza dei planetologi non ritiene peròche Giove abbia avuto un ruolo decisivo nella for-mazione dei pianeti rocciosi. Gran parte delle stelledi tipo solare non ha corpi confrontabili con Giove,eppure intorno a esse orbita materia ricca di pol-vere, indicativa della presenza di planetesimi e diembrioni planetari che potrebbero assemblarsi inoggetti di tipo terrestre. Un quesito importante, acui le indagini dovranno dare risposta nel prossimodecennio, è quanti sistemi planetari abbiano corpisimili alla Terra, ma non giganti come Giove.

Per il nostro pianeta, un momento cruciale fucirca 30-100 milioni di anni dopo la formazionedel Sole, quando un embrione della grandezza diMarte entrò in collisione con la proto-Terra e neespulse enormi quantità di detriti che, riaggregan-dosi, diedero origine alla Luna. Un impatto cosìcolossale non è sorprendente, data la quantità dimateria che intasava il sistema solare primordiale,e anche molti pianeti di tipo terrestre in altri siste-mi potrebbero avere grandi satelliti. I giganteschiimpatti ebbero anche l'effetto di spazzare via la ra-refatta atmosfera primitiva. L'atmosfera terrestre dioggi deriva in gran parte da gas che erano intrap-polati nei planetesimi originari, e che in seguitofurono emessi in superficie dal vulcanismo.Punto finale: i pianeti di tipo terrestre

8 Grandi pulizie. Tempo: 50 milioni-1 miliardo di anni

A questo punto il sistema planetario è quasiultimato. Alcuni effetti continuano a introdurrepiccoli aggiustamenti: la disintegrazione dell'am-masso stellare, che può destabilizzare gravitazio-nalmente le orbite dei pianeti; le instabilità interneche si sviluppano dopo che la stella ha eliminatogli ultimi resti del disco gassoso; e la continua di-spersione dei planetesimi residui da parte dei pia-neti giganti. Nel sistema solare, Urano e Nettunospinsero i planetesimi verso l'esterno, nella fasciadi Kuiper, oppure verso il Sole. Giove, con la suagravità più intensa, li scagliò nella nube di Oort, aimargini estremi della sfera di influenza gravitazio-nale del Sole. La nube di Oort potrebbe contenere

una quantità di materia equivalente a 100 pianeticome la Terra. Di tanto in tanto, un planetesimodella fascia di Kuiper o della nube di Oort transitanella regione più interna del sistema solare, dandoorigine a una cometa.

Nel disperdere i planetesimi, gli stessi piane-ti modificano un po' la propria posizione; questoeffetto spiegherebbe la sincronia tra le orbite diNettuno e di Plutone. È possibile, per esempio, cheun tempo Saturno orbitasse più vicino a Giove eche poi si sia spostato: questo processo potrebbespiegare il cosiddetto bombardamento tardivo, unperiodo, verificatosi circa 800 milioni di anni dopola formazione del Sole, in cui gli impatti sulla Luna(e presumibilmente sulla Terra) furono particolar-mente intensi. In alcuni sistemi, grandiose colli-sioni tra pianeti già formati potrebbero verificarsianche nelle fasi di sviluppo più avanzate.Punto finale: la configuraziune definitivadi pianeti e comete

Nessun progetto grandiosoPrima che si scoprissero i pianeti extrasolari,

il sistema solare era l'unico esempio disponibileper lo studio. Sebbene ci abbia fornito un'enor-

me quantità di informazioni sulla microfisica diprocessi importanti, ha anche limitato la nostravisione di come possano svilupparsi altri sistemiplanetari. La sorprendente diversità evidenziatanei pianeti extrasolari durante l'ultimo decennioha ampliato radicalmente i nostri orizzonti teorici.Abbiamo finalmente capito che questi corpi sonogli ultimi superstiti di una sequenza di formazio-ne protoplanetaria, migrazione, distruzione edevoluzione dinamica incessante. Il relativo ordineche regna nel sistema solare non rispecchia alcungrandioso progetto.

I teorici hanno rivolto la propria attenzione nonpiù a proporre scenari che spieghino i residui dellaformazione del sistema solare, ma a costruire teo-rie dotate di capacità predittive da verificare confuture osservazioni. Finora sono stati individuatisoltanto pianeti di massa simile a quella di Gioveintorno a stelle di tipo solare. Con una nuova ge-nerazione di strumenti si cercheranno pianeti didimensioni terrestri che, come indica lo scenariodell'accrescimento sequenziale, dovrebbero esserecomuni. Forse i planetologi hanno appena iniziatoa intravedere la diversità dei mondi che esistononell'universo. •

ho. LettureTowards a Deterministic Model ofPlanetary Formation. Ida S. e LinD.N.C., in <Astrophysical Journal», Vol.604, n.1, pp. 388-413, marzo 2004.

Planet Formation,Theory,Observation and Experiments. KlahrH. e Brandner W. (a cura), CambridgeUniversity Press, 2006.

L'elenco più aggiornato delle scopertedi pianeti extrasolari è consultabileall'indirizzo: http://exoplanet.eu .

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479 luglio 2008

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