Astrofisica Stellare: Capitolo 3

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Capitolo 3 Materia e radiazione in condizioni stellari 3.1. Il quadro fisico Per procedere all’integrazione numerica delle equazioni dell’equilibrio stellare ` e necessario disporre di opportune valutazioni quantitative sul comportamento fisico della materia stel- lare, comportamento che nelle equazioni appare attraverso le tre relazioni P = P (ρ, T ) κ = κ(ρ, T ) ε = ε(ρ, T ) In tutti e tre i casi ` e altres ` i da assumersi, anche se non esplicitata, la dipendenza dalla composizione chimica della materia. Le tre funzioni dovranno evidentemente coprire tutto il campo di valori di ρ e T che ci attendiamo nelle strutture stellari. Stante la complessit` a delle relative valutazioni, equazione di stato e opacit` a vengono in genere fornite al programma evolutivo sotto forma di acconce tabulazioni che riassuono i risultati dei calcoli. In questo capitolo esamineremo nell’ordine le tre relazioni, al fine di identificare l’intervento dei vari possibili meccanismi fisici, delineando le generali vie di approccio a tale problematica. 3.2. Equazione di stato I contributi alla pressione provengono dai tre componenti del plasma stellare: ioni, elettroni e radiazione elettromagnetica. La pressione totale sar` a la somma dei contributi dovuti a tali componenti P = P i + P e + P r con ovvio significato dei simboli. Si assume in ci` o trascurabile il contributo di moti collettivi (convezione, turbolenza), la cui quantit` a di moto pu` o peraltro giocare un ruolo non trascurabile nel caso delle atmosfere stellari. 3.2.1 Il gas perfetto Per ci` o che riguarda la componente particellare (ioni ed elettroni), in molti casi la materia stellare si comporta con buona od ottima approssimazione come un gas perfetto. Ricordiamo che per un gas perfetto di particelle libere e tra loro non interagenti, vale l’equazione di stato 1

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Capitolo Terzo del libro "Astrofisica Stellare" di Vittorio Castellani.Info e copyright qui:http://snipurl.com/astellare

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Capitolo 3

Materia e radiazione in condizionistellari

3.1. Il quadro fisico

Per procedere all’integrazione numerica delle equazioni dell’equilibrio stellare e necessariodisporre di opportune valutazioni quantitative sul comportamento fisico della materia stel-lare, comportamento che nelle equazioni appare attraverso le tre relazioni

P = P (ρ, T )κ = κ(ρ, T )ε = ε(ρ, T )

In tutti e tre i casi e altresi da assumersi, anche se non esplicitata, la dipendenza dallacomposizione chimica della materia. Le tre funzioni dovranno evidentemente coprire tutto ilcampo di valori di ρ e T che ci attendiamo nelle strutture stellari. Stante la complessita dellerelative valutazioni, equazione di stato e opacita vengono in genere fornite al programmaevolutivo sotto forma di acconce tabulazioni che riassuono i risultati dei calcoli. In questocapitolo esamineremo nell’ordine le tre relazioni, al fine di identificare l’intervento dei varipossibili meccanismi fisici, delineando le generali vie di approccio a tale problematica.

3.2. Equazione di stato

I contributi alla pressione provengono dai tre componenti del plasma stellare: ioni, elettronie radiazione elettromagnetica. La pressione totale sara la somma dei contributi dovuti a talicomponenti

P = Pi + Pe + Pr

con ovvio significato dei simboli. Si assume in cio trascurabile il contributo di moticollettivi (convezione, turbolenza), la cui quantita di moto puo peraltro giocare un ruolonon trascurabile nel caso delle atmosfere stellari.

3.2.1 Il gas perfetto

Per cio che riguarda la componente particellare (ioni ed elettroni), in molti casi la materiastellare si comporta con buona od ottima approssimazione come un gas perfetto. Ricordiamoche per un gas perfetto di particelle libere e tra loro non interagenti, vale l’equazione di stato

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P = nkT

ove n e il numero di particelle per unita di volume e k la costante di Boltzman. Per lanostra miscela di ioni ed elettroni varra quindi

P = Pi + Pe = (ni + ne)kT

Tale relazione puo essere facilmente portata nelle due variabili ρ, T (proprie delleequazioni di equilibrio), osservando che per un gas composto da particelle di massa ”m”si ha n = ρ/m. Poiche nel gas stellare la massa e essenzialmente quella degli ioni, potremocoaı porre

Pi = kµiH

ρT

dove µi e il peso molecolare degli ioni e H la massa dell’atomo di idrogeno. Il contributodegli elettroni viene introdotto attraverso l’artificio di definire un peso molecolare medio perelettrone µe = ni/ne (= ni/Z in caso di ionizzazione completa). Si ha cosi

Pe = kµeH ρT

e, in totale

Pgas = kµiH

ρT + kµeH ρT = k

µH ρT

avendo posto 1/µ = 1/µi + 1/µe.Si noti come la valutazione della pressione degli elettroni richieda una valutazione dello

stato di ionizzazione delle specie atomiche presenti (→ A3.1). Negli interni stellari e peraltroin generale lecito assumere la completa ionizzazione almeno delle due specie atomiche atom-iche piu abbondanti H e He. Troveremo infatti che stelle di sequenza principale hanno tipichetemperature centrali dell’ordine di 10−30 106 K, cui corrisponde una radiazione largamentecomposta da fotoni di energia media kT ∼ 1keV (raggi X duri). Poiche l’energia di ioniz-zazione dell’idrogeno e di soli 13.6 eV tale elemento sara completamente ionizzato. Cosi epure per l’He, i cui potenziali di prima e seconda ionizzazione risultano pari rispettivamentea 24.49 eV e 52.17 eV.

H e He saranno quindi completamente ionizzati nella maggior parte della materia stel-lare, ecettuate solo le parti piu esterne ove la temperature scendono a valori di 103 − 104

K. Ioni di atomi piu pesanti sono invece in grado di conservare gli elettroni piu interni an-che a temperature elevate. L’energia di ionizzazione di un atomo idrogenoide (che ha cioeconservato un solo elettrone) risulta infatti pari a W = Z2m4

e/2h2. Per il Ferro si ha cosiW ∼ 9keV , ed i nuclei di Fe saranno in grado di conservare in parte i loro elettroni piuinterni anche a temperature dell’ordine della diecina di milioni di gradi.

Nel caso di ionizzazione completa e talora utile ricavare il numero di particelle per unitadi volume dalle abbondanze in massa di idrogeno, elio ed elementi pesanti X, Y e Z. Perqueste tre componenti il numero di nuclei ed il numero di elettroni si ottiene facilmente dallerelazioni

nH = X/H → ne = X/HnHe = Y/4H → ne = Y/2HnZi = Xi/AiH → ne = XiZi/AiH

dove con Xi indichiamo l’abbondanza in massa dell’ i-mo elemento pesante di numeroatomico Ai e carica Zi. In totale si avra dunque

n = (2X +3Y

4+ Σ

Xi

Ai+ Σ

XiZi

Ai)

ρ

H

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Trascurando ΣXi/Ai (Xi << 1, Ai ≥ 12) ed osservando che Zi/Ai ∼ 1/2 (cio e esattoper C, N, O, Ne che sono tra i maggiori contributori a Z) si ottiene infine

n ' (2X +3Y

4+

Z

2)

ρ

H

da cui per il peso molecolare medio (ρ/µH = n)

µ =1

(2X + 3Y4 + Z

2 )

Da queste relazioni si riconosce come, in prima approssimazione, il peso molecolare mediosia essenzialmente governato dalla ionizzazione di H e He, con un contributo solo marginaledei metalli (Z ≤ 10−2).

3.2.2 Interazioni coulombiane e degenerazione elettronica

Per la componente particellare (ioni, elettroni) si puo agevolemente verificare entro qualilimiti l’energia cinetica predomina sulle interazioni coulombiane, condizione necessaria perpoter assimilare il sistema ad un gas di particelle libere approssimanti un gas perfetto.Indicando con ”d” la distanza media tra le particelle, per un gas di ioni con carica Ze lacondizione si traduce ad esempio nella relazione

kT >> Z2e2/d = ECoul

Se Ni e il numero di ioni per unita di volume, si ha anche

Ni(= ρ/µH) ∼ 1/d3

dove µ e il peso molecolare degli ioni e H la massa dell’atomo di idrogeno. Se ne ricava

d ∼ 1/N1/3 ∼ (µH/ρ)1/3

e la condizione si traduce nella relazione

T/ρ1/3 >>Z2e2

k

1(µH)1/3

da cui

ρ << 4 10−14µT 3Z6gr/cm3

condizione in genere ben verificata nelle strutture stellari. Per temperature T∼ 107 K(combustione dell’idrogeno, Z=1) si ottiene ρ << 4.107gr/cm3, per T∼ 108 (combustionedell’elio, Z=2) ρ << 109gr/cm3, cioe valori di densita che superano ampiamente quantoavremo occasione di verificare nella larga generalita delle strutture stellari. Le condizioniper un sensibile intervento di correzioni coulombiane (alte densita, basse temperature) ap-pariranno solamente nel caso di stelle di piccola massa o di nane bianche, per le quali saranecessario introdurre nell’equazione di stato opportuni termini di correzione coulombiana.Quando ECoul ∼ kT il gas inizia a solidificare e per ECoul > kT gli ioni sono forzati in unastruttura solida sino a cristallizzare (Fig. 3.1).

E’ facile infine riconoscere che se sono trascurabili le interazioni ione-ione, lo sono an-che quelle ione-elettrone ed elettrone-elettrone. Cio e immediato per Z=1, mentre per Zmaggiori la diminuzione del prodotto delle cariche interagenti prevale sulla contemporaneadiminuzione delle mutue distanze.

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Fig. 3.1. Mappatura schematica delle condizioni del plasma stellare al variare dei parametritemperatura-densita con schema delle traiettorie evolutive delle condizioni centrali di strutturestellari .

Analoghe considerazioni consentono di investigare entro quali limiti il gas di particellesi puo considerare libero da effetti quantistici, imponendo in questo caso che la distanzamedia tra le particelle risulti molto maggiore della lunghezza d’onda associata alle particellemedesime λ = h/p, dove p=mv rappresenta il momento delle singole particelle.

Per ioni ed elettroni, dall’equipartizione dell’energia si ha

miv2i = mev

2e

da cui si ricava immediatamente

mivi

meve=

ve

vi

che mostra come la quantita di moto degli ioni sia sempre molto maggiore di quelladegli elettroni e, conseguentemente, che saranno in ogni caso gli elettroni ad entrare perprimi in regime quantistico. Con considerazione del tutto analoghe a quelle gia svolte per leinterazioni coulombiane, dalla condizione

λ = h/p << d

osservando che kT ∼ mev2e e, quindi, p2 ∼ mekT , si ricava facilmente

ρ1/3 << (µH

Z)1/3 (mekT )1/2

h

ρ << 10−10T 1/2gr/cm3

Ove cio non si verifichi, si manifestano effetti quantistici ed il gas di elettroni vienedefinito quantisticamente degenere. E’ immediato riconoscere come queste condizioni sulladensita siano piu stringenti di quelle per le interazioni coulombiane.In effetti la degenerazioneelettronica giochera un ruolo determinante in molte strutture stellari.

3.2.3 Equazione di stato del plasma stellare

Se alla pressione del gas aggiungiamo il contributo portato dalla radiazione, ove nonintervengano fenomeni di degenerazione elettronica e risultino trascurabili le interazionicoulombiane, otteniamo l’equazione di stato per il plasma stellare

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Fig. 3.2. La linea del piano log T, log ρ lungo la quale la pressione di degenerazione eguagliaquella degli elettroni liberi. La linea a tratti segnala l’instaurarsi di degenerazione relativistica.

P =k

HρT (

1µi

+1µe

) +a

3T 4

Gli effetti della degenerazione elettronica sono di rendere il gas di elettroni piu incom-primibile di un gas perfetto. Gli elettroni sono infatti fermioni (cioe particelle a spin sem-intero) per i quali vale il Principio di esclusione di Pauli per il quale non piu di due elettronipossono occupare un identico stato energetico. Ne segue, ad esempio, che nel limite T → 0 ungas di elettroni possiede energia e quantita di moto, quest’ultima implicando una pressionenon prevista dalla trattazione classica.

Si puo porre

Pe = Pe + Pe,d

ove con Pe ePe,d si indicano rispettivamente la pressione di un gas perfetto di elettroni e ilcontributo della digenerazione. Pe,d puo essere calcolato sulla base del comportamento quan-tistico di un gas di Fermi (→ A3.2). La Figura 3.2 mostra l’intervento della degenerazionenel piano ρ, T , riportando in particolare la linea di transizione lungo la quale Pe,d = Pe,come definita dalla relazione

ρ/µe = ne = 2.4 10−8T 3/2cm−3

In caso di completa degenerazione (Pe,d >> Pe) la pressione del gas e data dai solielettroni degeneri (Pe > Pi), dipendendo in tal caso solo dalla densita secondo la relazione(c.g.s.)

Pg = Pe = 10.00 1012(ρ/µe)/3

Per altissime densita (ρ ≥ 107) la degenerazione spinge gli elettroni in livelli energeticicosi alti che l’energia non e piu trascurabile rispetto all’energia della massa a riposo (mec

2)rendendo necessaria una trattazione relativistica. In tal caso per la quantita di moto si avrape = mev/(1− v2/c2)1/2 (∼ mev se v << c), e per la pressione si ha

Pg = Pe = 6.58 1014(ρ/µe)4/3

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Fig. 3.3. Assorbimento della radiazione al variare della lunghezza d’onda da parte di un atomo neu-tro di Pb. Le varie discontinuita corrispondono all’energia di ionizzazione dell’elettrone sull’orbitapiu interna (K) e degli elettroni nella successiva shell L.

3.3. L’opacita ed i meccanismi di interazione radiazione materia

Dalla definizione di opacita usata nell’equazione del trasporto discende che i contributiall’opacita proverranno da tutti quei meccanismi di interazione tra radiazione e materia ingrado di estrarre fotoni dal flusso di radiazione uscente dalla stella, isotropizzandoli. Accantoai meccanismi di assorbimento (con riemissione isotropa), quali ad es. l’effetto fotoelettrico,dovranno quindi essere considerati anche il contributo degli scattering elastici o anelastici.

Ricordiamo che l’opacita κρ e definita come l’inverso del cammino libero medio del fotone,rappresentando quindi la probabilita di interazione per unita di percorso. Ne segue che, ingenerale, in presenza di diversi meccanismi di interazione la probabilita totale di interazionesara direttamente ricavabile come somma delle probabilita relative di ciascun processo

κ = Σκi

I possibili meccanismi di interazione radiazione-materia sono riassumibli in quattro cat-egorie:

→ Scattering eletronico: diffusione di fotoni da parte degli elettroni liberi presenti nelplasma stellare. Alle energie stellari e in genere valida l’approssimazione di scatteringisotropo non relativistico (Scattering Thomson). Alle alte energie intervengono fenomeniquantistico-relativistici (Scattering Compton).

→ Processi bound-bound (bb): assorbimento del fotone da parte di un elettrone legato(bound) ad un nucleo con passaggio dell’elettrone ad orbite ad energia superiore. Si trattadunque di processi di eccitazione.

→ Processi bound-free(bf): assorbimento del fotone da parte di un elettrone legato cheviene liberato (free=libero) e portato nel continuo, secondo un processo altrimenti noto comeEffetto Fotoelettrico o Fotoionizzazione.

→ Processi free-free (ff): assorbimento di un fotone libero ma nel campo di un nucleo.Si puo facilmente verificare che l’assorbimento di un fotone da parte di un elettrone liberoed isolato resta proibito dalle leggi di conservazione di energia e quantita di moto. Il pro-cesso diventa possibile in presenza di un terzo corpo (il nucleo) che partecipi al bilancio diconservazione.

Gli ultimi tre processi implicano un assorbimento solo come atto iniziale: gli elettroniassorbiti ritorneranno in equilibrio termico riemettendo energia sotto forma di radiazione

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Fig. 3.4. Mappatura nel piano T, ρ dell’efficienza relativa dei vari meccanismi di opacita.

isotropa, ed il risultato netto di tali interazioni sara quindi di estrarre fotoni dal flusso diradiazione uscente.

La valutazione dettagliata delle probabilita di interazione per gli eventi bb e bf e cer-tamente tra le piu onerose procedure affrontate dal calcolo astrofisico. Tale calcolo richiedepreventivamente una dettagliata conoscenza non solo del grado di ionizzazione ma anchedella distribuzione degli elettroni nei vari livelli (gradi di eccittazione), la valutazione delleprobabilita di interazione per le varie frequenze della radiazione e infine l’esecuzione diun’opporuna media (media di Rosseland → A3.4) sullo spettro della radiazione. Cio implicain generale la considerazione di milioni di righe di assorbimento dovute agli atomi nei varistati di ionizzazione. Il calcolo diventa ancor piu oneroso alle basse temperatura a causa delcontributo degli spettri rotazionali delle molecole presenti.

Nel secondo dopoguerra un vasto programma di ricerca sull’opacita fu iniziato per motivistrategici dai laboratori di Los Alamos. Sulla base di tale lavoro, ripreso e perfezionatoin altre istituzioni, oggi sono disponibli tabulazioni di opacita radiativa per varie misceledi elementi in funzione dei parametri di stato ρ e T . Nel calcolo di strutture stellari talitabulazioni sono ormai d’uso generale, sostituendo antiche approssimazioni analitiche. E’peraltro opportuno discutere con qualche dettaglio l’efficienza dei vari meccanismi di opacitaal fine di ricavare indicazioni generali sul loro intervento nel calcolo delle strutture stellari.

Per cio che riguarda lo scattering Thomson, anche classicamente (→ A3.3) si trova chela probabilta di interazione tra la radiazione e una particella di carica e e massa m e datada

σT =8π

3(

e2

mc2)2 =

3r20

dove r0 = 2.82 10−13 cm e il raggio classico della particella, cioe il raggio attribuibilealla particella se tutta la sua massa fosse di origine elettromagnetica. Poiche tale probabilitava come 1/m2 e subito visto che i nuclei danno un contributo allo scattering trascurabilerispetto a quello degli elettroni.

Ricordando che l’opacita corrisponde alla probabilta di interazione per unita di superficiee per unita di percorso risulta quindi

κT = σTne

ρ

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Fig. 3.5. Andamento dell’opacita radiativa al variare della temperatura per assunti valori delladensita.

Fig. 3.6. L’intervento della degenerazione elettronica induce un crollo dell’opacita totale κT allealte densita.

Poiche σT = 0.66 10−24, ne = (X + Y/2 + Z/2)ρ/H = (1/2 + X/2)ρ/H e H =1.66 10−24gr, si ricava infine

κT ∼ 0.2(1 + X)

che mostra come l’opacita per scattering Thomson non dipenda dalla densita ma solodall’abbondanza in massa di idrogeno. Notiamo infine che in presenza di degenerazioneelettronica la probabilita d’interazione tendera a diminuire, per divenire proibiti tutti quegliscattering che porterebbero gli elettroni in stati gia occupati. Ad alte energie, in regime discattering Compton (hν ≥ mec

2), occorrera inoltre tener conto che lo scattering non e piuisotropo ed i fotoni tendono ad essere preferenzialmente scatterati in avanti.

Ove siano presenti elettroni legati (materia non completamente ionizzata) i processi bb ebf dominano sullo scattering Thomson. Di qui la grande importanza degli elementi pesantinel determinare l’opacita della materia stellare, nonostante la loro relativamente scarsa ab-bondanza, con contributi determinanti in regioni dove ormai H e He sono completamenteionizzati. Per i processi bf (effetto fotoelettrico) notiamo in particolare che ad ogni statolegato dell’elettrone corrisponde una ben precisa energia di estrazione (ionizzazione)Wi. Perogni possibile ionizzazione esiste quindi per i fotoni una energia di soglia hν = Wi al di sottodella quale il processo e proibito. Come conseguenza l’opacita presenta un caratteristicoandamento con picchi corrispondenti alle varie ionizzazioni (Fig. 3.3).

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L’interazione free-free puo infine essere riguardata come il processo inverso della ben notaradiazione di frenamento (Braemstrahlung) dove un elettrone emette un fotone nel campodi un nucleo. Il principo del bilancio dettagliato assicura che in condizioni di equilibriotermodinamico le velocita di reazione diretta ed inversa devono essere eguali. Si trova cosi

κff α Z2neniT7/2 α

Z3ρ

A2T−7/2

che con il termine Z3 mostra ancora una critica dipendenza dalla presenza di elementipesanti.

A fianco dei meccanismi bb, bf e ff occorre anche tener conto dei fenomeni di emissionestimolata che, aggiungendo fotoni al flusso, diminuiscono in pratica le singole opacita di unfattore 1− ehν/kT (Coefficienti di Einstein). In totale per ogni frequenza ν si avra

κ(ν) = κT + (κbb + κbf + κff )(1− ehν/kT )

che verra mediata sulla distribuzione di fotoni tipica di ogni temperatura per fornirel’opacita κ(ρ, T ) tabulata per le varie assunte miscele.

La Figura 3.4 riporta una mappatura nel piano (ρ, T ) delle regioni in cui dominano i varimeccanismi di opacita, mentre la Fig. 3.5 riporta esempi dell’andamento dell’opacita, evi-denziando le ingenti variazioni collegate all’efficienza dei vari meccanismi.Ricordiamo infineche in caso di degenerazione elettronica diviene efficiente il trasporto elettronico. In pienadegenerazione κc << κr e il trasporto e dominato dalla conduzione (κ ' κc) (Fig. 3.6).

3.4. Generazione di energia

Nelle equazioni dell’equilibrio la condizione di conservazione dell’energia interviene at-traverso il coefficiente ε, inteso come bilancio energetico per grammo di materia e persecondo. I meccanismi che possono contribuire a tale bilancio sono tre, cui e d’uso far cor-rispondere i tre distinti coefficienti:

→ εg : Trasformazioni termodinamiche della materia,→ εN : Produzione di energia per reazioni di fusione nucleare,→ εν : Perdita di energia per produzione di neutrini.

Il coefficiente di produzione di energia risulta ovviamente definito come somma dei reltivicontributi:

ε = εg + εN − εν

.3.4.1 Il bilancio termico della materia

Al primo meccanismo corrisponde il calore assorbito o prodotto a causa delle trasfor-mazioni termodinamiche subite dalla materia stellare. Di norma indicato, ma impropria-mente, come produzione di energia gravitazionale, in esso deve essere compreso non solo illavoro delle forze di pressione ma anche le variazioni di energia interna del plasma stellare. Ilbilancio termico per grammo di materia e immediatamente fornito dal primo principio dellatermodinamica che con formulazione intensiva puo essere scritto

dQ = dU + pd(1/ρ)

dove U rappresenta l’energia interna per grammo di materia e 1/ρ e il volume corrispon-dente. Introducendo l’entropia per grammo di materia S si ricava

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Fig. 3.7. L’energia di massa per nucleone al variare del numero di nucleoni (numero atomico) innuclidi stabili.

εg = −dQ

dt= −T

dS

dt= −T [(

dS

dP)T

dP

dt+ (

dS

dT)P

dT

dt] = EP P − CP T

I coefficienti EP e CP delle derivate temporali sono facilmente ricavabili nel caso diuna miscela di gas perfetto e radiazione (→ A2.4). Nel caso generale essi vengono calcolatiassieme all’equazione di stato e forniti anch’essi sotto forma tabulare. Si noti come la presenzadelle derivate temporali implichi che laddove εg non sia nullo l’integrazione di una strutturastellare richiede precise informazioni sulla passata storia temporale di P e T lungo tutta lastruttura della stella.

3.4.2 Energia Nucleare

Ad alte temperature due o piu nuclei leggeri possono arrivare in contatto, fondendosi performare un nucleo piu massiccio con un rilascio di energia (”Q” della reazione) dato dalladifferenza tra le masse iniziali e quelle dei prodotti di reazione secondo la nota relazioneE = mc2. E’ subito da notare al proposito che in natura la massa media per nucleonedecresce al crescere del numero atomico A dall’idrogeno sino al nucleo del ferro, per risalireprogressivamente per A ancora maggiori. Se ne ricava che per il Fe e massima l’energia dilegame per nucleone (Fig. 3.7), cioe l’energia che occorre fornire ai nucleoni per portarliallo stato libero e, quindi, alle masse caratteristiche dei nucleoni liberi. Ne segue anche chereazioni di fusione nucleare sono esoenergetiche sino alla formazione di Fe. La fusione di duenuclei di Fe, ad es., richiederebbe invece l’assorbimento dell’energia necessaria per portare inucleoni alla maggiore massa. Si comprende cosı come per elementi pesanti, quale l’Uranio,risultino esoenergetiche non le reazioni di fusione ma quelle di fissione, cioe di rottura delnucleo in due o piu frammenti.

L’energia ceduta da una reazione si presenta sotto forma di energia dei prodotti direazione. Se osserviamo una tipica reazione di fusione di interesse stellare (fusione di dueprotoni (p) in un nucleo di deuterio (D))

p + p → D + e+ + νe

troviamo l’energia rilasciata sotto forma di energia cinetica dei prodotti di reazione enella produzione dell’elettrone positivo. Quest’ultima particella e destinata ad annichilarsicon un elettrone negativo

e+ + e− → 2γ

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cosi che la produzione del positrone corrisponde, come bilancio netto energetico, allaproduzione di due γ di energia complessiva pari all’energia delle masse a riposo degli elettroniannichilati (2mec

2) piu l’energia cinetica delle due particelle.Il γ ed il deutone D vengono rapidamente termalizzati, cedendo cosı la loro energia alla

struttura. Questo non avviene per il neutrino elettronico νe, particella debole il cui camminolibero medio e ben superiore alle dimensioni stellari. L’energia Q∗ acquisita dalla strutturae quindi fornita dal Q della reazione meno l’energia (media) portata dal neutrino. Ove sianoto il numero N di reazioni nucleari che avvengono per unita di tempo e di volume, ilcoefficiente di energia nucleare sara fornito, per ogni prefissata reazione, dalla relazione

εN =N

ρQ∗ erg gr−1sec−1

3.4.3 Termoneutrini

Ad alte temperature e densita, a fianco della produzione di neutrini nelle reazioni nuclearidivengono efficienti meccanismi di produzione di neutrini direttamente a spese del contenutotermico del plasma stellare, cui nel seguito daremo il nome di termoneutrini. La teoria delleinterazioni deboli fornisce il quadro di tali interazioni quali provengono anche dalla provataesistenza di correnti neutre:

e− + (Z,A) → e− + (Z,A) + νe + νe (bramstrahlung)

γ + e− → e− + νe + νe (fotoproduzione)

γ → e+ + e− → νe + νe (da coppie)

dove tra i processi di bramstrahlung e da comprendere anche l’interazione elettrone-elettrone.E’ facile riconoscere come tali processi rappresentino l’analogo di noti processi che coin-

volgono elettroni e fotoni, ove si ammetta in uscita una coppia neutrino-antineutrino al postodi fotoni.

e− + (Z,A) → e− + (Z,A) + γ (bramstrahlung)

γ + e− → e− + γ (scattering)

γ → e+ + e− → γ + γ (creazione e annichilazione di coppie)

A densita elevate diviene inoltre efficiente un altro e piu complesso canale di produzione ditermoneutrini: i neutrini da oscillazione di plasma. Per delinearne il meccanismo, ricordiamocome un fotone non possa decadere direttamente in una coppia di neutrini non potendosiconservare energia e quantita di moto. Da qui l’intervento nei processi di braemstrahlunge di fotoproduzione di un ulteriore particella. Fotoni in un gas ionizzato, quale e l’internostellare, possono interagire anche con i modi di oscillazione del plasma (la cui quantizzazioneconduce al concetto di plasmoni) scambiando quantita di moto e divenendo in grado diprodurre coppie di neutrini.

La teoria delle interazioni deboli consente di valutare l’efficienza dei vari processi, giun-gendo cosı a valutare l’energia depositata in questi neutrini. Si noti come in questi fenomeni,che definiremo di termoproduzione, i neutrini giocano un ruolo differente da quanto gia esam-inato nel caso dei neutrini da reazioni di fusione nucleari. Nella fusione infatti i neutrinisemplicemente ”taglieggiano” l’energia prodotta nella fusione, diminuendone l’efficienza cheresta peraltro positiva. Nella termoproduzione il neutrino sottrae invece energia direttamentedalla struttura stellare, realizzando un meccanismo di raffredamento che ha fondamentaliripercusisioni nella storia evolutiva di molte strutture stellari.

La figura 3.8 riporta una mappatura nel piano ρ, T dell’efficienza relativa dei vari pocessidi produzione.

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Fig. 3.8. Regioni del piano ρ, T di predominio dei diversi processi di produzione di termoneutrini.E’ mostrata, a tratti, la linea lungo la quale l’Energia di Fermi (Ef ) eguaglia l’energia termica, chedelimita la regione di degenerazione elettronica.

3.5. Reazioni nucleari

Le reazioni nucleari ricoprono un ruolo fondamentale nell’evoluzione delle strutture stellari,non solo per costituire un importante componente della generazione di energia ma anchedeterminando l’evoluzione della composizione chimica della materia stellare. Conviene quindiesaminare in qualche maggior dettaglio lo scenario in cui si colloca tale meccanismo fisico.

All’inizio del XX secolo Rutherford, studiando la deflessione di un fascio di particellecariche da parte di una sottile lamina metallica, concluse che in un atomo le cariche positivesono raggruppate in una microscopica regione centrale, il nucleo, di raggio dell’ordine di10−13− 10−12 cm, circondato da una nuvola di elettroni negativi con dimensioni dell’ordinedi 10−8 cm. Se l’attrazione coulombiana rende ragione della collocazione degli elettroni, fuchiaro che sui nucleoni (protoni e neutroni) doveva agire una forza che dominando sulla repul-sione coulombiana riusciva a mantenere le particelle del nucleo in una configurazione stabile.Forze che fu conseguentemente indicata come interazione forte. Operativamente indicheremocome raggio di un nucleo proprio la distanza cui comincia a manifestarsi la interazione fortecome deviazione dal comportamento coulombiano nelle esperienze di scattering di particellecariche su un nucleo.

Un nucleo e quindi un insieme isolato di nucleoni sotto il controllo della forza forte.Insieme isolato sia per il caratteristico comportamento dell’interazione forte che si annullaal di la’ di un caratteristico ”range” di azione, sia per la repulsione coulombiana che incondizioni normali impedisce che due nuclei possano avvicinarsi sino al raggio di azionedelle forze forti. Particelle sufficientemente energetiche possono peraltro giungere a superaretale repulsione coulombiana. Se e quando cio avviene, i nucleoni di due nuclei venuti incontatto ”forte” formano per definizione un nucleo composto, cioe un insieme di nucleonisotto il comune controllo delle forze forti.

Non necessariamente il nucleo composto ammettera configurazioni stabili. Ove cio siverifichi, il nucleo composto (creato in uno stato eccitato) potra decadere nel suo stato fon-damentale, emettendo sotto forma di un quanto γ l’energia in eccesso, come data dall’energiacinetica delle particelle interagenti e dalla variazione dell’energia di legame dei nucleoni primae dopo l’interazione. Piu in generale il nucleo composto tendera a decadere in una serie didiversi possibili canali di decadimento, con probabilita che dipendono dal particolare insiemedi nucleoni e dall’energia da essi posseduta. Sara cosı possibile che il nucleo composto si sud-divida in due o piu frammenti, che emetta un nucleone singolo, una particella α, ecc. . Potrain particolare ridecadere nei componenti iniziali, realizzando cosı uno scattering nucleare,

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simile come risultato ma sostanzialmente diverso dallo scattering coulombiano nel quale nonsussite interazione nucleare e formazione del nucleo composto. Si noti che i possibili canalidi decadimento del nucleo composto possono dipendere anch’essi dall’energia: ad esempiosolo fornendo al nucleo composto energie superiori all’energia di legame dei nucleoni sarapossibile che il nucleo si frammenti nei suoi singoli componenti (evaporazione del nucleo).

In un generico processo di collisione nucleari tra due particelle i e j, il numero np di eventiche, per unita di volume e per unita di tempo, conducono ad un prodotto finale ”p” vienecorrelato alla densita delle particelle interagenti ed alla loro mutua velocita V attraverso unarelazione che e definizione della sezione d’urto σp

np = NiNjσp(V )V

dove Ni e Nj indicano rispettivamente il numero di particelle interagenti per unita divolume. E’ facile verificare come tale relazione rappresenta l’estensione formale di quantobanalmente ricavabile nel caso di particelle assimilabili a sferette. Essendo NiNj il numerodi possibili coppie di particelle per unita di volume, σp(V )V si configura come la probabilitaper coppia di particella che avvenga il processo ”p”.

Nel caso di particelle di varia velocita e immediata l’estensione della relazione precedentealla piu generale relazione

dnp = NiNj(V )σp(V )V dV

dove NiNj(V )dV rappresenta il numero di coppie di particelle che hanno tra loro mutuavelocita tra V e V+dV, e dnp e il contributo di tali particelle al processo in esame.

Nel caso di reazione di fusione particelle cariche, che e quello che piu direttamente ciinteressa, la probabilita di reazione puo essere ulteriormente esplicitata entrando nel meritodei meccanismi fisici ad esso inerenti. Ricordando che si ha formazione di nucleo compostoquando le particelle giungono alle distanze dell’interazione forte, una reazione nucleare puoessere pensata procedere in due successivi e distinti passi

1) Le particelle giungono a interagire forte, superando la repulsione coulombiana,2) Il nucleo composto cosı formatosi decade nel canale prescelto.

Essendo questi due accadimenti tra loro indipendenti, la probabilita P di reazione saradata dal prodotto delle due rispettive probabilita

P = σ(V )V = PCPN

ove con PC e PN indichiamo rispettivamente la probabilita (coulombiana) di formazionedel nucleo composto e la probabilita (nucleare) di decadimento del nucleo composto nelcanale prescelto.

In tale scenario, le regole della fisica ci consentono di valutare PC . Al proposito e da con-siderare che alle temperature tipiche degli interni stellari l’energia delle particelle interagentie in ogni caso inferiore all’altezza della barriera coulombiana ( 3.9). In altre parole le reazioninucleari sono classicamente proibite. In simili condizioni e peraltro noto che la meccanicaondulatoria predice che la barriera di potenziale non rappresenta un confine rigido per lapresenza di particelle: la funzione d’onda si attenua all’interno della barriera, ma esiste unprobabilita, piccola ma finita, che una particella superi la zona classicamente proibita pergiungere ad interagire nuclearmente (effetto tunnel).

Tale probabilita risulta in particolare proporzionale al fattore di penetrazione di Gamow

PC α1

E1/2exp(−2πZiZje

2

hV)

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Fig. 3.9. Una particella che a grande distanza da un nucleo bersaglio possegga una energia cineticaE non puo classicamente oltrepassare la distanza Rc, alla quale tutta l’energia cinetica iniziale sie trasformata in energia potenziale nel campo elettrico. Grazie all’effetto tunnel quantistico unafrazione di particelle riesce invece a raggiungere la distanza rn alla quale intervengono le interazioninucleari

Ne segue che la barriera coulombiana gioca un ruolo determinante, abbassando di unfattore exp (−ZiZj) la probabilita di reazione al crescere del numero atomico delle particelleinteragenti. Tale andamento esponenziale risulta dominante su tutti gli altri fattori, ed inesso risiede il motivo per cui l’energia di soglia delle reazioni nucleari cresce al crescere di Z.

Il caso della materia stellare, nella quale le particelle interagenti sono ambedue termaliz-zate, puo essere ricondotto all’analisi precedente. Si puo infatti mostrare che se le particellei e j hanno ambedue una distribuzione di velocita di Maxwell Boltzmannm, anche la dis-tribuzione delle mutue velocita e una maxwelliana, e per il numero di coppie N(V)dV convelocita mutua V = |Vi − Vj | tra V e V+dV si ha

N(V ) = NiNj(2π

)1/2 V 2µ3/2

kT 3/2e−

µV 2

2kT = NiNjn(V )

dove µ = AiAj/(Ai + Aj) e la massa ridotta tipica dei problemi dei due corpi.Il numero di reazioni per unita di volume ed unita di tempo sara in definitiva fornito da

n =∫ ∞

0

N(V )PCPNdV = NiNj

∫ ∞

0

n(V )PCPNdV

Trascurando il contributo di PN , da ricavarsi da opportune esperienze di laboratorioe che fuori da eventuali risonanze e funzione lentamente variabile, e istruttivo esaminarel’andamento della funzione integranda n(V )PC nelle tipiche situazioni stellari.

Assumendo, come verificheremo nel seguito, che il Sole sia sorretto dalla combustione diidrogeno, l’evidenza geologica che assegna al Sole un’ eta superiore ai 4 miliardi di anni, sitraduce nell’evidenza di una lunga vita media dei protoni a fronte delle reazioni di combus-tione e, di converso, di una probabilita di reazione fortemente ridotta. La grande quantitadi energia emessa dal Sole e quindi figlia non tanto della velocita delle reazioni ma delgrandissimo numero di particelle coinvolte.

Come illustrato in figura 3.10, cio corrisponde ad una situazione in cui la citata fun-zione integranda e non nulla solo in un ristretto intervallo di energie nel quale la coda adalte energie della maxwelliana interseca il limite inferiore della probabilita di penetrazionecoulombiana. L’andamento dell’integrando in tale regione prende il nome di picco di Gamow

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Fig. 3.10. Andamento schematico delle due funzioni, l’integrale del cui prodotto regola la velocitadelle reazioni nucleari. La curva a tratti mostra l’andamento del prodotto, che raggiunge un massimoall’energia di Gamow EG

e l’energia del suo massimo viene indicato come energia di Gamow. Si noti come al cresceredi ZiZj la probabilita coulombiana si sposti a maggiori energie: al fine di fornire un anal-ogo contributo energetico la maxwelliana si dovra anch’essa spostare verso maggiori energie,richiedendo cioe maggiori temperature.

Nella usuale notazione astrofisica si usa porre

n =NiNj

1 + δij< σV >

ove < σV > rappresenta l’integrale sulle velocita ed il fattore 1+δij (δij=0 per i=j, =1 peri=j) viene introdotto per generalizzare la formula al caso di particelle identiche per il qualeil numero di coppie risulta N2

i /2. Il valore di < σV > viene fornito, per ogni reazione, comefunzione della temperatura in base a valutazioni teoriche e sperimentali sull’andamento dellesezioni d’urto nucleari. La sperimentazione e alle energie di interesse astrofisico e peraltroresa difficoltosa dalla bassa efficienza delle reazioni e quindi dal basso numero di eventi attesidai limitati campioni di materia gestibili in un laboratorio. Tali esperienze vengono quindirealizzate tipicamente in laboratori sotterranei, quali i Laboratori Nazionali del Gran Sassodell’INFN, per quanto possibile schermati dal fondo di segnali prodotto dalla radiazionecosmica.

Aggiungiamo che nelle valutazioni complessive occorrera infine tener anche conto dellapresenza nel plasma stellare di elettroni liberi la cui carica elettrica negativa tende a scher-mare i campi elettromagnetici dei nuclei, favorendo le reazioni nucleari (electron screening).

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Approfondimenti

A3.1. Eccitazione e ionizzazione: formule di Boltzmann e di Saha. Ionizzazioneper pressione.

In accordo con i risultati della meccanica statistica all’equilibrio termodinamico la popolazionerelativa di due stati separati da un’energia ∆E resta regolata dalla nota formula di Boltzmann

n1

n 0=

g1

g0e−∆E/kT

dove g0,1 rappresentano la degenerazione dei rispettivi stati, cioe il numero di stati quanticisovrapposti nel medesimo livello energetico. Nel caso di un generico atomo, r-volte ionizzato, laformula di Boltzman regola la popolazione dei diversi stati eccitati, ricordando che in assenzadi campi magnetici ( trascurabilita dell’effetto Zeeman) ad ogni stato con momento angolare Ji

corrispone una degenerazione data da gi = 2Ji + 1. Se quindi indichiamo con Ei l’energia dieccitazione del livello ”i”, cioe l’energia che occorre fornire per portarvi un elettrone dallo statofondamentale, il popolamento relativo di due qualunque stati eccitati j e k dello ione sara fornitodalla

nj

nk=

gj

gke−(Ej−Ek)/kT

Sommando su tutti i possibili stati j si ricava che la frazione di ioni nello stato eccitato k e datadalla relazione

nk =gke−Ek/kT

G

doveG = g0 + g1e

−E1/kT + g2e−E2/kT + .....

prende il nome di funzione di partizione dello ione. Formule analoghe varranno per ogni specieatomica e per ogni grado di ionizzazione.

Un qualunque ione isolato ha peraltro infiniti livelli eccitati, e la funzione di partizione diverge.Nel caso reale gli elettroni liberi si trovano nel campo di ioni ed elettroni. L’energia di elettronelibero nel plasma stellare diminuisce allora di un fattore −e2/RD ove RD e il cosiddetto raggio diDebyee con esso diminuisce l’energia di ionizzazione. A causa di tale abbassamento del continuo ilnumero di livelli diventa finito e viene evitata la divergenza delle funzioni di partizione.

Analoghe considerazioni possono essere applicate ai processi di ionizzazione. Dal bilancio ener-getico del prodesso di ionizzazione di uno ione Ar r volte ionizzato

Ar → Ar+1 + e

si puo ricavare (equazione di Saha)

nr+1ne

nr=

Gr+12

Gr(2πmekT

h2)3/2e−χr/kT

dove χr rappresenta l’energia necessaria per estrarre un altro elettrone dall’atomo r-volte ioniz-zato.

Al crescere della densita il raggio di Debye diminuisce e cresce l’abbassamento del continuo.Calcoli dettagliati mostrano che a densita dell’ordine di 103gr/cm3 gli atomi di idrogeno finisconol’essere totalmente ionizzati: tale fenomeno prende il nome di ionizzazione per pressione.

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Fig. 3.11. Schema del meccanismo di ionizzazione per pressione. Atomi sufficientemente distantisi comportano come buche di potenziale isolate (1) che ammettono tutta una serie di livelli legatiper gli elettroni. Avvicinandosi gli atomi (2) le buche di potenziale tendono a fondersi, abbassandoil livello del continuo e distruggendo gli stati legati a energia superiore.

A3.2. Degenerazione elettronica. Equazione di stato di un gas di Fermi

La teoria cinetica dei gas, cosıcome sviluppata nella meccanica statistica, mostra come il concetto ditemperatura sia indissolubilmente connesso col concetto di equilibrio termico.Il principio fondamen-tale e che per ogni prefissato insieme di N particelle contenute in un volume V e di assgnata energiatotale E tutte le possibili configurazioni microscopiche compatibili con le assegnate condizioni sonoequiprobabili. Ne segue che il macrostato che finisce con il realizzarsi e quello cui corrisponde lamassima probabilita, cioe il maggior numero di microstati. E’ questo quello che noi chiamiamoequilibrio termico. L’obiettivo primario della meccanica statistica e dunque quello di valutare tuttii diversi possibili stati microscopici corrispondenti ad una assegnata energia totale E delle particelledel sistema. E’ noto come su questa base si giunga alla nota distribuzione di Maxwell-Boltzmannper la velocita delle particelle a prefissata temperatura T.

La considerazione della natura quantistica delle particelle introduce, salvando il principio,notevoli modifiche al calcolo classico delle configurazioni microscopiche. Dal principio di indeter-minazione di Heisenberg (∆px∆x = h) si ricava che il numero di stati permessi per una particellacontenuta in un volume V e con quantita di moto p compresa tra p e p + dp e dato da

∆N =1

h34πp2dpV = g(p)dpV

dove g(p) rappresenta la densita degli stati. La distribuzione delle particelle in tali possibilistati deve essere valutata con l’ulteriore avvertenza che la meccanica quantistica opera su particelleindistinguibili, il che implica che non si devono considerare distinti due stati se due particelle si sonosolo scambiate di posto. Tale distribuzione dipende infine da proprieta globali delle particelle che,in natura, appartengono ad una delle due classi:

Fermioni: particelle a spin (momento angolare intrinseco) semiintero, quali elettroni, protoni eneutroni,

Bosoni: particelle a spin intero o nullo, quali fotoni, mesoni, nuclei di He3.

Per le particelle a spin semiintero sussiste l’ulteriore condizione (principio di esclusione di Pauli)secondo la quale uno stato non puo essere occupato da piu di una particella, da cui discende che nonpiu di due elettroni (con spin opposto) possono occupare uno stato di moto, talche g(P ) = 8πp2/h3.Se ne trae la statistica di Fermi-Dirac, secondo la quale, detta n(p)dp la densita di elettroni tra p ep + dp,

n(p)dp =2

h34πp2dpP (E)

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Fig. 3.12. Il valore del parametro α al variare di ρT−3/2/µe

Fig. 3.13. Mappatura nel piano ρ/µe, T del valore del parametro di degenerazione Φ = -α

dove l’indice di occupazione P (E) di uno stato e dato da

P (E) = 1/(eα+E/kT + 1)

e dove, per ogni assunto valore della densita di elettroni ne e e della temperatura T , il valore diα resta determinato della condizione ∫

n(p)dp = ne

Poiche ρ = neµeH, il valore di α resta fissato per ogni coppia di valori T, ρ/µe (Fig. 3.12, 3.13).Si noti come in ogni caso P (E) ≤ 1 come vuole il principio di esclusione di Pauli. Al crescere dine decresce α, che da valori grandi e positivi (gas classico) raggiunge grandi valori negativi (gasdegenere). Nel caso di gas classico P (E) << 1 per tutte le energie. Nel caso completamente degenereα << 0 e

P (E) = 1 per E/kT < |α|

P (E) = 0 per E/kT > |α|

cioe tutti gli stati sono occupati sino all’energia E = |αkT |, che prende il nome di energia diFermi. In tale caso

ne =

∫n(p)dp =

3h3p3

max

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Fig. 3.14. Il rapporto 2/3 F3/2/F3/2, che rappresenta la correzione di degenerazione alla pressionedi gas perfetto, in funzione del parametro α.

che mostra come al crescere di ne cresce l’energia massima raggiunta dagli elettroni. Tale ac-cadimento e subito compreso osservando che in degenerazione completa tutti gli stati ad energiaminore sono occupati, e ove si spingano altri elettroni nell’unita di volume essi devono andare adoccupare stati ad alta energia. Si comprende anche come al crescere di ne si giunga infine a spingeregli elettroni ad energie relativistiche anche a basse temperature.

Nel caso generale, ed in approssimazione non relativistica, si ha E = p2/2me da cui

ne =

∫n(p)dp =

h3

∫ ∞

0

p2dp

eα+p2/2mekT + 1

con la sostituzione x = p2/2mekT si ottiene

ne =4π

h3(2mekT )3/2

∫ ∞

0

x1/2dx

eα+x + 1=

4π(2mekT )3/2

h3F1/2(α)

dove F1/2(α), come definito dalle precedenti relazioni, prende il nome di funzione ”1/2” diFermi. Come gia ricavato per il caso del gas perfetto (→ A2.1), la pressione elettronica discende dalmomento trasportato, da cui

Pe =1

3

∫ ∞

0

pven(p)dp =8π(2mekT )3/2

3h3kTF3/2(α)

con analoga definizione della funzione di Fermi F3/2. Per α →∞, F3/2/F1/2 → 3/2 e quindi inassenza di degenerazione si ritrova l’equazione di stato di un gas perfetto di elettroni Pe = nekT

Per la pressione del gas si puo quindi porre

P = Pi + Pe =k

µHρT +

8π(2mekT )3/2

3h3kTF3/2(α)

Ricordando che ne = ρ/µeH si ottiene infine

P = Pi + Pe =k

µHρT [1 +

µ

µeΦ(α)]

dove Φ(α) = 2/3(F3/2/F1/2 rappresenta il contributo addizionale portato alla pressione dalladegenerazione elettronica . Per ogni coppia di valori ρ, T e possibile ricavare il valore di α e per ogniα ottenere P dalle correnti tabulazioni di F1/2 e F3/2 (Fig.3.14).

In letteratura e frequentemente utilizzato il parametro di degenerazione Ψ = −α. Si puomostrare che ΨkT fornisce il potenziale termodinamico di Gibbs per elettrone. Per Ψ < −4 ilgas di elettroni ha un comportamento classico, −4 < Ψ < 4 rappresenta la zona di degenerazioneparziale, mentre per Ψ > 4 nel gas domina la pressione di degenerazione.

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Notiamo infine che la presenza di degenerazione elettronica modifica anche il comportamentotermodinamico che abbiamo studiato nel caso di una miscela di gas perfetto e radiazione (→ A2.1).Utilizzando la stessa linea di ragionamento adottata in quella occasione, dovremo portare

Tds = dU − P

ρ2dρ

nella forma

TdS = CP dT − EP dP

ricordando pero che ora

ρ = ρ(Ψ, T )

P = Pe(Ψ, T ) + Pi(ρ, T ) + Pr(T ) = P (Ψ, T )

Con una lunga serie di passaggi e sostituzioni e possibile ottenere dΨ in funzione diP, T, ρ, Ψ, dP, dT , e utilizzando la formula di ricorrenza per le funzioni di Fermi

dFn(Ψ)

dΨ= nFn−1(Ψ)

si ottiene infine

CP =P

ρT(HP

ρkT

(4− 3β/2)2

L(Ψ)− 15

4β)

EP =1

ρ(HP

ρkT

(4− 3β/2)

L(Ψ)− 3

2)

dove

L(Ψ) =1

µi+

2

µe

F1/2(Ψ)

F−1/2(Ψ

e β = PG/P = (Pi + Pe)/P essendo P, come di consueto, la pressione totale. Al limite di nondegenerazione (Ψ → −∞) L(Ψ) tende a 1/µi + 1/µe e le relazioni precedenti si riconducono allecorrispondenti formule per un gas non degenere.

Nel caso di completa degenerazione e facile ricavare direttamente le relazioni tra pressione edensita. Nel caso non relativistico per la quantita di moto si ha p = meve, da cui

Pe =

∫ pmax

0

pven(p)dp =

∫ pmax

0

p2

me

8πp2

h3dp =

15

p5max

meh3

e poiche

ne =8π

3

pmax3

h3

ricordando che ne = ρ/µeH si ricava infine

Pe = (3

8π)2/3 h2

5meH5/3(

ρ

µe)5/3

.Nel caso relativistico

p =meve

(1− v2e/c2)1/2

da cui ve =pc

[(mec)2 + p2]1/2

dalla quale, con percorso analogo al caso precedente non relativistico

Pe =1

8(3

π)1/3 hc

H4/3(

ρ

µe)4/3

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21

A3.3. Interazione radiazione elettrone libero: lo Scattering Thomson

Le leggi di conservazione proibiscono che un fotone venga assorbito da un elettrone libero.Nell’ipptesi di elettrone a riposo ed energie non relativistiche si dovrebbe ad esempio richiedere:

hν =1

2mev

2 hν

c= meV

che ammette solo la non-soluzione v = 2c. Un fotone pero puo essere deflesso scatterato e, nelcaso piu generale Effetto Compton, le leggi di conservazione:

hν + mec2 = hν′+ mc2

hν/c = mv + hν′/c

forniscono l’atteso valore di ν′ per ogni angolo di deflessione. Al limite non relativistico di basseenergie l’effetto Compton si riduce allo scattering Thomson, la cui efficienza puo essere calcolataanche classicamente.

La forza agente su un elettrone a riposo in un campo di radiazione elettromagentica in cui ilcampo elettrico e descritto dalla relazione

E = E0sinωt

si avra F = eE = mea. L’accelerazione dell’elettrone risulta quindi pari, istante per istante, a

a = F/me = eE0sinωt/me

Dalle leggi classiche dell’elettromagnetismo e noto che una carica accelerata irradia una potenza

P =2

3

e2a2

c3=

2

3

e4E20sin2ωt

c3m2e

Nel contempo, la potenza trasportata per unita di area dall’onda incidente e’ data dal modulodel vettore di Pynting

S = | c

4πE ∧H| = c

4πE2

0sin2ωt

Un elettrone diffonde quindi una frazione della potenza incidente

σT = P/S =8π

3(

e2

mec2)2

In termini di fotoni σT rappresenta quindi la probabilita che un fotone sia diffuso da un elettrone,e neσT sara la probabilita che un fotone sia diffuso da ne elettroni nell’unita di volume.

A3.4. La media di Rosseland

L’equazione del gradiente radiativo e stata in precedenza ricavata sotto l’assunzione di un camminolibero medio comune per tutti i fotoni o, in altra parole, di una opacita indipendente dalla frequenzadella radiazione caso grigio. Discutendo i meccanismi di opacita si e peraltro gia indicato come taleassunzione sia in generale lungi dall’essere verificata. Per ogni prefissata frequenza ν della radiazionepotremo definire λ(ν) come il cammino libero medio dei fotoni con frequenza compresa tra ν e ν+dν,una corrispondente opacita κ(ν) = 1/ρλ(ν), restando valida per ogni frequenza la relazione

dP (ν)

dr= κ(ν)ρcΦ(ν)

dove P (ν)dν e Φ(ν)dν rappresentano il contributo alla pressione ed al flusso della radiazioneportato dai fotoni con frequenza compresa tra ν e ν + dν. Indicando inoltre con E(ν) la densita dienergia radiativa nello stesso intervallo di frequenza, si avra

P (ν) =E(ν)

3e sara possibile porre in relazione il flusso totale con la densita di energia tramite la relazione

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Φ =

∫ ∞

0

Φ(ν)dν =c

∫ ∞

0

1

κ(ν)

dE(ν)

drdν

Per il noto teorema della media potremo definire κ attraverso la relazione∫ ∞

0

1

κ(ν)

dE(ν)

drdν =

1

κ

∫ ∞

0

dE(ν)

drdν

dove κ prende il nome di media di Rosseland dell’opacita, ricavando

Φ =c

1

κ

dE

dr

e da E = aT 4 si ricava infine una relazione per il gradiente radiativo del tutto analoga a quantoricavato nel caso grigio, ma con l’intervento di κ al posto di κ. Poiche in equilibrio termodinamicola E(ν) = B(ν, T ) per la media di Rosseland si avra

1

κ=

∫∞0

1κ(ν)

dE(ν)dr

dν∫∞0

dE(ν)dr

dν=

∫∞0

1κ(ν)

dB(ν,T )dr

dν∫∞0

dB(ν,T )dr

dν=

∫∞0

1κ(ν)

dB(ν,T )dT

dTdr

dν∫∞0

dB(ν,T )dT

dTdr

dν=

∫∞0

1κ(ν)

dB(ν,T )dT

dν∫∞0

dB(ν,T )dT

Page 23: Astrofisica Stellare: Capitolo 3

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Origine delle Figure

Fig.3.1 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare, ZanichelliFig.3.2 Clayton D.D. 1983, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-HillFig.3.3 Clayton D.D. 1983, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-HillFig.3.4 Hayashi C., Hoshi R., Sugimoto D. 1962, Progr. Theor. Physics, Suppl 22.Fig.3.5 Ezer D., Cameron A.G.W. 1963, Icarus 1, 422.Fig.3.6 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare, ZanichelliFig.3.12 Clayton D.D. 1983, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-HillFig.3.14 Clayton D.D. 1983, ”Principles of Stellar Evolution and Nucleosynthesis”, McGraw-Hill

(Version 3.2)