Astrofisica Stellare: Capitolo 2

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Capitolo 2 Natura e struttura delle stelle 2.1. L’equilibrio delle strutture stellari La diffusa evidenza del fenomeno ”stella” testimonia che la formazione di stelle costituisce una processo spontaneo e naturale nell’evoluzione della materia nell’Universo. Ed in effetti il Sole, come tutte le altre stelle, indubbiamente altro non ` e che il prodotto di una aggregazione spontanea di materia diffusa sotto l’influenza della gravitazione. La storia dell’evoluzione di una stella sar` a dunque la storia della contrazione di una massa di gas sotto l’influenza del proprio campo gravitazionale (struttura autogravitante). Per affrontare un tale argomento conviene esaminare con qualche dettaglio la struttura di tali oggetti, al fine di compren- derne e di prevederne le principali caratteristiche. Ci` o pu` o essere fatto investigando in forma quantitativa le problematiche che vengono suggerite da pur semplici evidenze osservative. La prima di queste evidenze ` e che il Sole mantiene ed ha mantenuto per un lunghissimo tempo le sue dimensioni. La materia che costituisce il Sole, pur soggetta ad una intensa forza gravitazionale, non mostra di muoversi verso il centro di gravit` a con tempi scala meccanici, cio` e con i tempi tipici dei moti che si sviluppano sotto l’azione della forza gravitazionale. Per fissare le idee, possiamo valutare che alla superficie del nostro Sole, essendo massa e raggio del Sole M = 1.989 10 33 gr R = 6.960 10 10 cm, si ha una accelerazione di gravit` a g = GM/R 2 6.67 10 -8 1.99 10 33 / 4.84 10 21 2.74 10 4 cm/sec 2 circa 30 volte superiore che alla superficie della Terra. Poich´ e in un moto uniformemente accelerato S=gt 2 /2, un corpo alla superficie del Sole sul quale agisse liberamente la gravit` a percorrerebbe uno spazio pari al raggio del Sole in un tempo t = (2R/g) 1/2 2 10 3 sec 30 minuti. Si ricava cos ` i un ordine di grandezza dei tempi caratteristici sui quali opererebbe la gravit` a su scala solare. I 2 10 3 secondi ricavati assicurano che se sul Sole la forza di gravit` a fosse libera di operare, il Sole dovrebbe rapidamente modificarsi sotto i nostri occhi. Poich´ e ci` o non avviene, dobbiamo concludere che la forza di gravit` a` e contrastata ed annullata dalle forze di pressione generate nel gas, producendo una struttura che definiremo quasi stazionaria, perch´ e - come constateremo - pur se le forze di pressione annullano le forze di gravit` a la struttura ` e costretta sia pur lentamente ad evolvere. E’ facile tradurre le precedenti considerazioni in una relazione quantitativa. Assumendo la simmetria sferica della struttura solare - come suggerito dall’evidenza osservativa - il 1

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Capitolo Secondo del libro "Astrofisica Stellare" di Vittorio Castellani.Info e copyright qui:http://snipurl.com/astellare

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Capitolo 2

Natura e struttura delle stelle

2.1. L’equilibrio delle strutture stellari

La diffusa evidenza del fenomeno ”stella” testimonia che la formazione di stelle costituisceuna processo spontaneo e naturale nell’evoluzione della materia nell’Universo. Ed in effetti ilSole, come tutte le altre stelle, indubbiamente altro non e che il prodotto di una aggregazionespontanea di materia diffusa sotto l’influenza della gravitazione. La storia dell’evoluzione diuna stella sara dunque la storia della contrazione di una massa di gas sotto l’influenza delproprio campo gravitazionale (struttura autogravitante). Per affrontare un tale argomentoconviene esaminare con qualche dettaglio la struttura di tali oggetti, al fine di compren-derne e di prevederne le principali caratteristiche. Cio puo essere fatto investigando in formaquantitativa le problematiche che vengono suggerite da pur semplici evidenze osservative.

La prima di queste evidenze e che il Sole mantiene ed ha mantenuto per un lunghissimotempo le sue dimensioni. La materia che costituisce il Sole, pur soggetta ad una intensa forzagravitazionale, non mostra di muoversi verso il centro di gravita con tempi scala meccanici,cioe con i tempi tipici dei moti che si sviluppano sotto l’azione della forza gravitazionale. Perfissare le idee, possiamo valutare che alla superficie del nostro Sole, essendo massa e raggiodel Sole M = 1.989 1033 gr R = 6.960 1010 cm, si ha una accelerazione di gravita

g = GM/R2 ∼ 6.67 10−8 1.99 1033/ 4.84 1021 ∼ 2.74 104 cm/sec2

circa 30 volte superiore che alla superficie della Terra. Poiche in un moto uniformementeaccelerato S=gt2/2, un corpo alla superficie del Sole sul quale agisse liberamente la gravitapercorrerebbe uno spazio pari al raggio del Sole in un tempo

t = (2R/g)1/2 ∼ 2 103 sec ∼ 30 minuti.

Si ricava cosi un ordine di grandezza dei tempi caratteristici sui quali opererebbe lagravita su scala solare. I 2 103 secondi ricavati assicurano che se sul Sole la forza di gravitafosse libera di operare, il Sole dovrebbe rapidamente modificarsi sotto i nostri occhi. Poichecio non avviene, dobbiamo concludere che la forza di gravita e contrastata ed annullatadalle forze di pressione generate nel gas, producendo una struttura che definiremo quasistazionaria, perche - come constateremo - pur se le forze di pressione annullano le forze digravita la struttura e costretta sia pur lentamente ad evolvere.

E’ facile tradurre le precedenti considerazioni in una relazione quantitativa. Assumendola simmetria sferica della struttura solare - come suggerito dall’evidenza osservativa - il

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Fig. 2.1. Il bilancio della forza di gravita Fg e delle forze di pressione Fp per un generico elementodi materia di volume dV = dS dr.

bilancio tra le forze di pressione e quelle gravitazionali (fig. 2.1) per un generico elemento dimassa dm = ρdV = ρdSdr fornisce la relazione dell’equilibrio idrostatico

dP (r)dr

= −GMr(r)ρ(r)

r2dr (1)

dove P rappresenta la pressione totale operante nell’ambiente (quindi non la sola pres-sione del gas → A2.1 ), ρ la densita locale ed Mr la massa contenuta all’interno del genericoraggio r.

Questa equazione fornisce una prima relazione tra le tre grandezze incognite P, ρ ed Mr,assicurando che la pressione deve crescere con continuita muovendosi verso l’interno dellastella. In realta una delle incognite e solo formale, perche dalla definizione di Mr si ricavasubito l’equazione di continuita

dMr = 4πr2ρdr (2)

Aggiunta alla precedente, l’equazione di continuita forma un sistema di due equazionidifferenziali nelle tre indicate incognite. Dalla sola condizione di equilibrio non e dunquepossibile definire l’andamento delle variabili fisiche lungo la struttura, e cio non sorprendeperche la struttura medesima dipendera da come ρ e P sono tra loro collegate, cioe dall’equazione di stato che per ogni assegnata composizione della materia consistera in unarelazione del tipo

P = P (ρ, T ) (3)

E’ subito visto che l’introduzione dell’equazione di stato, se aumenta il numero delleequazioni aumenta anche il numero delle incognite, introducendo la nuova incognita ”tem-peratura” ( T(r) ). Come peraltro prevedibile, la distribuzione delle temperature e quindiun ingrediente essenziale nel determinare lo stato della struttura. Sara di conseguenza nec-essario, in linea del tutto generale, ricorrere ad opportune valutazioni delle leggi fisiche cheregolano la distribuzione delle temperature nella materia stellare, determinando l’andamentodel gradiente di temperatura dT/dr.

Notiamo che la presenza di un gradiente di temperatura implica la conseguente presenzadi un flusso di energia che tende a riequilibrare lo stato energetico dei diversi strati dimateria. Le interazioni particella-particella e fotone-particella tendono inevitabilmente aridistribuire l’energia, producendo un trasporto di calore verso le zone a minor temperatura.E’ peraltro noto come i possibili meccanismi per tale trasporto siano conduzione, convezione

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ed irraggiamento. Escludendo per il momento il caso della convezione, negli altri due casi siha - come regola generale - che il flusso di calore e proporzionale al gradiente

dT

dr= cost · φ (4)

relazione che puo essere letta come una delle tanti leggi di proporzionalita tra causa(dT/dr) ed effetto (il flusso φ), una sorta di legge di Ohm dove la costante rappresentala ”resistenza” al trasporto. La materia all’interno di una stella si trova in generale nellostato gassoso, cui corrisponde (ma con importanti eccezioni) una trascurabile efficienza deimeccanismo conduttivi. In tal caso si puo dimostrare (→ A2.2) che tra il flusso trasportatoper radiazione (dai fotoni) ed il gradiente di temperatura intercorre la relazione

dT

dr= − 3

4ac

κρ

T 3φ (5)

dove a= costante del corpo nero = 7.6 10−15 cm, c= velocita della luce e κ opacita pergrammo di materia e definita dalla relazione

κρ =1/λ,

con λ cammino libero medio dei fotoni: minore il cammino libero medio maggiorel’opacita.

Da tale del trasporto radiativo si ricava non solo che un gradiente di temperatura gen-era un flusso, ma anche che la presenza di un flusso implica un gradiente di temperatura.L’emergere di un flusso luminoso dalle strutture stellari e quindi indicazione che la temper-atura cresce dalla superficie verso l’interno, e che tale aumento deve continuare sinche lastruttura e percorsa da un flusso di energia uscente. Se ne trae anche la conseguenza che senelle zone centrali di una struttura stellare non vi sono sorgenti (positive o negative) di ener-gia, allora tali zone devono tendere ad una situazione isoterma. Un gradiente di temperaturaprodurrebbe infatti un flusso volto a riequilibrare le differenze di temperatura.

Nell’equazione del trasporto il flusso φ locale puo utilmente essere espresso, per ogni r,in termini della flusso energetico totale attraverso la superficie sferica di raggio r (Lr(r)=luminosita)

Lr = 4πr2φ

talche l’equazione del trasporto diventa, nel caso di trasporto radiativo

dT

dr= − 3

4ac

κρ

T 3

Lr

4πr2(6)

Abbiamo cosi una quarta relazione, che introduce l’ulteriore incognita Lr, cosi che intotale si hanno quattro equazioni che contengono le sei variabili r, Lr, P, T, Mr, ρ. Lacondizione su Lr e peraltro subito fornita dalla conservazione dell’energia

dLr

dr= 4πr2ρε (7)

dove ε rappresenta la produzione di energia per grammo di materia e per secondo. Larelazione precedente rappresenta il bilancio energetico, stabilendo che se l’energia totaleche fluisce attraverso la struttura subisce una variazione tra r e r+dr cio e’ dovuto allaproduzione o assorbimento di energia nella corrispondente massa dm = 4πr2ρdr. E’ proprioquesta diretta collegabilita al bilancio energetico che fa preferire l’uso della variabile Lr

nell’equazione del trasporto.Con questa ultima relazione si raggiunge un sistema di cinque equazioni (di cui quattro

differenziali) che legano i sei parametri r, Lr. P, T, Mr, ρ

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1. dP/dr → equilibrio idrostatico2. dMr/dr → equazione di continuita3. dT/dr → equazione del trasporto4. dLr/dr → conservazione dell’energia5. P = P(ρ, T) → equazione di stato

sistema che, con le opportune condizioni al contorno, puo essere risolto, ricavandol’andamento di cinque delle precedenti variabili in funzione dell’andamento della sesta vari-abile assunta come variabile indipendente.

Ripercorrendo le assunzioni operate concludiamo che il sistema di equazioni governaogni sistema a simmetria sferica, autogravitante, in equilibrio idrostatico e sinche si restinel campo di applicabilita della meccanica non relativistica (→ A2.3). Al variare della com-posizione chimica della materia stellare, le soluzioni si differenzieranno non per l’algoritmodelle equazioni fisico matematiche sin qui descritte, ma per il diverso comportamento fisicodella materia “depositato” in tali equazioni dalle tre relazioni

1. P (ρ, T ) → equazione di stato2. κ(ρ, T ) → opacita della materia stellare3. ε(ρ, T ) → produzione di energia

ove si e esplicitamente indicato come ci si attenda che non solo la pressione ma anchel’opacita e la produzione di energia dipendano dalle condizioni termodinamiche della materiaoltre che dalla non esplicitata composizione chimica della materia medesima.

2.2. La convezione ed il criterio di Schwarzschild. Overshooting.

Le equazioni dell’equilibrio di una struttura stellare discusse nel punto precedente sono statericavate sotto la condizione di assenza di trasporto convettivo. L’evidenza osservativa mostraperaltro che moti convettivi sono presenti alla superficie di molte stelle e, in particolare, allasuperficie del Sole. La trattazione dovra quindi essere estesa per tener conto anche di unatale evenienza. Conviene trattare tale problema in due passi successivi: questa sezione saradedicata alla identificazione delle regioni di una struttura stellare che risultano instabili permoti convettivi. Nella prossima sezione discuteremo il problema del trasporto convettivo alfine di ricavare le condizioni sul gradiente di temperatura richieste dalle le equazioni diequilibrio.

L’identificazioni delle regioni convettive riposa sul Criterio di Schwarzschild, che insostanza risulta una applicazione dell’antico principio di Archimede per il quale un corpoimmerso in un fluido riceve una spinta verso l’alto pari al peso del fluido spostato. Pergiungere alla formulazione di tale principio ricordiamo innanzitutto che in assenza di moticonvettivi il gradiente di temperatura resta determinato dal gia discusso gradiente radia-tivo (dT/dr)rad. Alla formulazione di tale gradiente sin qui adottata preferiremo nel seguitola parallela definizione (dT/dP)rad, subito ricavabile coniugando la prima con l’equazionedell’equilibrio idrostatico (dT/dP= dT/dr dr/dP). La ragione di tale preferenza e duplice.Innanzitutto dT/dP e una relazione tra grandezze termodinamiche, utilmente confrontabilecon le grandezze termodinamiche proprie del gas stellare. L’assunzione di dT/dP libera in-oltre la discussione dalla fastidiosa occorrenza di un dT/dR per definizione negativo (latemperatura cresce verso l’interno) che complicherebbe formalmente la discussione.

Partendo dunque dall’evidenza che in assenza di convenzione il gradiente di temperaturalocale deve essere pari a quello radiativo, possiamo domandarci se in tali condizioni la zonarisulta o meno stabile rispetto alla convezione. A tale scopo dobbiamo domandarci se piccolefluttuazioni “δR” nella posizione di un elemento di materia inneschino o meno un motoconvettivo. A seguito dello spostamento l’elemento variera la propria pressione adeguandola

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Fig. 2.2. In un ambiente a gradiente radiativo, se tale gradiente risulta maggiore di quello adia-batico (1) un elemento di materia che si sposti adiabaticamente dalla posizione iniziale si trova piucaldo dell’ambiente a minori pressioni (spostamento verso l’alto) o piu freddo a pressioni maggiori(spostamento verso l’interno). In tutti e due i casi l’elemento e’ stimolato a proseguire il moto in-nescando una instabilita convettiva. Nel caso in cui il gradiente radiativo risulti minore di quelloadiabatico (2) si manifesta invece una forza di richiamo che rende l’ambiente stabile.

a quella dell’ambiente con tempi scala meccanici. Gli scambi di calore avvengono invecesui piu lunghi tempi scala termodinamici, talche potremo assumere che l’espansione (seassumiamo uno spostamento verso l’alto, a pressione minore) o la compressione risultinoadiabatiche.

Dalla figura 2.2 si ricava immediatamente che se il gradiente locale (assunto come radia-tivo) e minore del gradiente adiabatico dT/dP, per uno spostamento verso l’alto l’elementorisulta piu freddo dell’ambiente, quindi piu denso e soggetto ad una forza di richiamo versola posizione originale. Analoghe considerazioni valgono per uno spostamento verso il basso.Se ne conclude che in tali condizioni la zona e stabile. Ripetendo il ragionamento nel caso diun gradiente radiativo maggiore di quello adiabatico si giunge invece alla conclusione che intal caso la zona e instabile, talche si giunge alla formulazione del Criterio di Schwarzschildche stabilisce che in una struttura stellare sono instabili per convezione tutti quegli stratiper i quali risulta

(dT

dP)rad > (

dT

dP)ad (8)

A tale formulazione viene talora preferita la forma logaritmica

∇rad > ∇ad (9)

dove ∇ = P/T dT/dP = dlogT/dlogP e ∇ad = 0.4 per un gas perfetto monoatomico(→ A2.4).

Si deve peraltro notare che, a rigor di termini, il criterio di Schwarzschild identificale zone in cui l’instabilta convettiva e stimolata ed all’interno delle quali sono attivi moticonvettivi con velocita che saranno determinate da complessi meccanismi legati anche agliscambi termici ed alla viscosita del mezzo. E’ cosi evidente che il frenamento di tali motideve avvenire nella zona formalmente stabile per convezione, laddove si manifesta una forzadi richiamo. Ne segue che oltre i limiti definiti dal criterio di Schwarzschild deve esistere unazona di penetrazione degli elementi convettivi, indicata come zona di overshooting (fig. 2.3).

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Fig. 2.3. Nella regione in cui e violato il criterio di stabilita di Schwarzschild un elemento diconvezione e soggetto a forze che ne favoriscono il moto. Il frenamento di tali elementi dovra quindiavvenire nelle zone di stabilita al bordo della zona precedente, producendo un rimescolamento dimateria che si estende al di la dei limiti formali di stabilita (overshooting).

Le dimensioni di tale zona sono un problema astrofisico ancora aperto. L’approccio”canonico” assume come trascurabili tali dimensioni, ma sull’argomento esiste un ampiodibattito e alcune valutazioni evolutive assumono tali dimensioni come un parametro liberoda determinare attraverso il confronto con le osservazioni.

Notiamo infine che la formulazione del gradiente radiativo, unita al criterio diSchwarzschild, consente di operare alcune previsioni generali sullo sviluppo della con-vezione nelle strutture stellari. Il valore del gradiente radiativo risulta infatti proporzionaleall’opacita ed al flusso di energia e se ne puo dedurre che alti valori di uno di questi dueparametri possano condurre il gradiente radiativo a superare quello adiabatico. L’opacitasale a valori estremamente elevati negli strati in cui l’idrogeno e in stato di ionizzazioneparziale, per il semplice motivo che i fotoni vengono facilmente catturati, ad esempio, pereffetto fotoelettrico da elettroni che sono gia in gran parte su stati eccitati (→ 3.3). Nesegue l’interessante previsione secondo la quale tutte le stelle con temperatura superficialesufficientemente minore della temperatura di ionizzazione dell’idrogeno debbano necessaria-mente sviluppare regioni convettive nelle zone piu esterne (inviluppi convettivi), che devonocontemporaneamente essere assenti nelle stella a piu alta temperatura superficiale. La tran-sizione si pone attorno a temperature effettive Te ∼ 10 000 K.

A fianco di tale ”convezione da opacita” si potra avere una ”convezione da flusso” chedipendera da quanto i meccanismi di produzione di energia dipendono dalla temperatura.E’ infatti subito visto che al crescere di tale dipendenza la produzione di energia si concen-tra sempre piu verso il centro della struttura, facendo crescere i flussi. Nel caso quindi dicombustioni nucleari con forte dipendenza dalla temperatura ci attendiamo la presenza dinuclei convettivi. Anticipiamo qui che ad esclusione della catena pp (∝ T 4) tutte le altrecombustioni nucleari hanno dipendenze estremamente elevate (CNO ∝ T 14; 3α ∝ T 22 conconseguente presenza di nuclei convettivi.

2.3. Trasporto radiativo e trasporto convettivo

Stabilito sotto quali condizioni ci si attende la presenza di moti convettivi, resta da stabilirnel’efficienza e, in particolare, il gradiente di temperatura che si realizza nelle regioni sedi ditali moti. E’ innanzitutto da rilevare come la convezione trasporti energia tramite il motociclico di materia che assorbe energia nelle zone inferiori, piu calde, per ricederla nelle zonesuperiori. Per ricavare un utile quadro di riferimento, possiamo semplificare il fenomenoassumendo che un elemento di convezione inizialmente in equilibrio con l’ambiente alla base

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Fig. 2.4. Un elemento di convezione che si innalzi adiabaticamente nell’ambiente per un tragitto lal termine del tragitto si portera ad una temperatura T1 = T0 + (dT/dP )ad∆P , circondato da unambiente a temperatura T2 = T0 + (dT/dP )amb∆P .

della zona convettiva si innalzi adiabaticamente per un tragitto “l” cedendo qui il calore ineccesso. Come ordine di grandezza di “l” possiamo assumere l’altezza di scala di pressione

HP =1P

dP

dr(10)

definita come il tragitto che vede diminuire la pressione di un fattore 1/e, assunto comeil tipico tragitto lungo il quale un elemento di convezione (in necessaria espansione) possamantenere una propria individualita.

E’ subito visto che, pur nell’ipotesi adiabatica che e la piu favorevole al trasporto, laconvezione puo trasportare calore solo se il gradiente ambientale sia maggiore di quelloadiabatico (superadiabatico). Solo in tal caso al termine del tragitto l’elemento risulterapiu caldo dell’ambiente circostante, in grado di cedere calore e di contribuire al trasportodell’energia. Tali semplici considerazioni mostrano che in una zona convettiva, dove - perdefinizione - il gradiente radiativo e maggiore di quello adiabatico, il gradiente effettivoe limitato dall’essere necessariamente maggiore del gradente adiabatico ma anche minoredel gradiente radiativo perche, per definizione di gradiente radiativo, l’esistenza di un talegradiente implica il trasporto radiativo dell’intero flusso energetico.

Il problema e pertanto quello di valutare il grado di superadiabaticita del gradiente locale.Per far cio ricorriamo ancora al precedente modello di convezione per notare che l’energiaceduta da un elemento di convezione sara pari a

δQ = CδT (11)

ove C rappresenta la capacita termica dell’elemento e δT la differenza di temperaturatra l’elemento e l’ambiente a fine tragitto. Quest’ultima grandezza e subito ricavabile come

δT =∫l

[(dT

dP)ad − (

dT

dP)amb]dP (12)

ove l’integrando e appunto il valore della superadiabaticita del gradiente ambientale.La capacita termica del gas all’interno di una stella e peraltro cosi elevata che, ove si

assuma che una sostanziale frazione della materia concorra al trasporto, per trasportare iflussi stellari si richiede di fatto una superadiabaticita microscopica (∼ 10−5), talche a tutti

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gli effetti pratici e in genere lecito assumere direttamente un gradiente ambientale pari aquello adiabatico.

Cio non e piu vero solo nelle zone piu esterne della struttura ove la marcata diminuzionedella capacita termica, conseguente alla diminuita densita della materia, genera un nonpiu trascurabile fabbisogno di superadiabaticita. In tal caso (convezione subatmosferica)manchiamo ancora di una teoria soddisfacente della convezione, ed e d’uso ricorrere ad unalgoritmo approssimato noto come (Teoria della ”Mixing Length” → A2.5).

E’ da notare che se il trasporto radiativo puo o meno essere attivo, il trasporto radiativo- in accordo alla (6) - in presenza di un gradiente di temperatura e sempre efficiente. Laconvezione puo quindi essere intesa come un meccanismo di troppo pieno che scatta quando lerichieste di gradiente per il trasporto radiativo superano la soglia del gradiente adiabatico,attivando un ulteriore canale di trasporto. E, in tale visione, il criterio di Schwarzschildstabilisce che in presenza di meccanismi di trasporto concorrenti si stabilisce il processo cheminimizza le richieste di gradiente.

In caso di convezione, l’efficienza relativa dei due canali di trasporto resta collegata alrapporto tra i gradienti. In particolare si ricava banalmente che:

∇rad >> ∇amb ∼ ∇ad → la zona e instabile per convezione ed il trasporto e essenzial-mente convettivo.

∇rad ∼ ∇amb > ∇ad → la zona e instabile per convezione ma il trasporto e essenzialmenteradiativo.

2.4. Le atmosfere stellari e la trattazione degli strati atmosferici

Si e gia indicato come l’analisi spettroscopica delle sorgenti stellari riveli nella grande mag-gioranza dei casi una distribuzione energetica largamente assimilabile ad uno spettro di corponero deformato dalla presenza di righe o bande di assorbimento.Cio mostra come nell’internodi una struttura stellare i meccanismi di interazione particella-particella e particella-fotonesiano cosi efficienti da mantenere l’equilibrio termodinamico, cosi che si possa definire unacomune temperatura per particelle e radiazione. Ovviamente cio implica che le particelleseguano una distribuzione di Maxwell-Boltzmann e i fotoni quella di corpo nero, assun-zione quest’ultima sulla quale riposa la formulazione del gradiente radiativo discussa nelleprecedenti sezioni.

Caratteristica necessaria della radiazione di corpo nero e di essere isotropa. L’esistenza inuna stella di un flusso uscente contraddice solo apparentemente tale condizione: l’anisotropianecessaria per rendere conto del flusso uscente risulta essere solo una trascurabile frazionedell’energia contenuta sotto forma di fotoni, talche l’equilibrio termodinamico puo consider-arsi pienamente realizzato. E’ evidente pero che tale condizione viene a cadere negli stratipiu esterni della struttura, dove per la bassa densita della materia diminuiscono le interazionie il flusso e di fatto un flusso netto uscente. Dunque l’equazione del trasporto radiativo nonpuo essere utilizzata e cio limita la validita dell’intero sistema di equazioni ai soli stratiinterni di una struttura, di cui gli strati piu esterni rappresentano una sorta di condizioneal contorno.

Per definire piu propriamente il ruolo di tali inviluppi stellari introduciamo la grandezzaτ = profondita′ottica, definita come la probabilita che ha un fotone di subire un’interazioneprima di lasciare la stella. E’ subito compreso che τ e in linea di principio correlabilealla profondita geometrica dei vari strati dell’inviluppo stellare, risultando τ= 0 al lim-ite esterno della struttura, crescendo poi al crescere della profondita degli strati. Possiamodefinire atmosfera di una stella la zona di inviluppo per la quale τ ≤ 1. Con tale definizionel’atmosfera di una stella e’ quella zona oltre la quale ”non possiamo vedere”, ovvero - con

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espressione piu corretta - oltre la quale non e possibile che ci giungano informazioni di-rette trasportate dai fotoni che, per definizione, subiranno almeno una interazione prima diemergere dalla struttura.

La nozione di atmosfera e quindi collegata a meccanismi di opacita, e si puo definire τattraverso la relazione

dτ = −dr

λ= −κρdr (13)

ove, per la gia data definizione di κ, κρ rappresenta l’inverso del cammino libero mediodel fotone e dunque la probabilitadi interazione per unita di percorso.

Le caratteristiche spettrali della radiazione osservata mostrano che una radiazione dicorpo nero proveniente dalla base dell’atmosfera (τ = 1), viene ”filtrata” nel passaggio at-traverso l’atmosfera, ove meccanismi selettivi di assorbimento o diffusione da parte degliatomi dell’atmosfera stessa estraggono fotoni dal fascio uscente, isotropizzandoli, in cor-rispondenza delle frequenze proprie delle possibili transizioni elettroniche. La valutazionedelle strutture atmosferiche e operazione estremamente complessa, per la quale e necessariovalutare nel dettaglio il trasporto radiativo nelle locali condizioni di anisotropia, tenendoconto della presenza di milioni di righe di assorbimento. Nella pratica dei calcoli di strutturestellari si preferisce ricavare da tali calcoli dettagliati la relazione funzionale

T = T (τ, Te) (14)

che con buona approssimazione risulta una funzione della sola temperatura efficace Te.Adottando tale funzione e possibile chiudere semplicemente il sistema di equazioni della

struttura atmosferica. Poiche dalla definizione di τ si trae ρ dr = - d τ / κ, la relazionedell’equilibrio idrostatico puo essere portata nella forma

dP = −GMρ

r2dr =

g

κdτ (15)

dove κ = κ (ρ, T) oltre che della composizione chimica dell’atmosfera e g=GM/R2

rappresenta l’accelerazione di gravita alla superficie della stella. Poiche massa e dimensionidell’atmosfera sono in ogni caso trascurabili rispetto a massa (M) e raggio (R) della stella elecito assumere Mr=M e r=R.

Gli strati atmosferici sono quindi descritti dalle tre relazioni

dP

dτ=

g

κ(ρ, T )(16)

T = T (τ, Te) (17)

P = P (ρ, T ) (18)

che regolano la distribuzione di P, ρ, T nell’atmosfera stellare al variare di τ (→ A2.4).L’integrazione di tali relazioni da τ = 0 sino alla base dell’atmosfera τ = 1 fornisce il valoredi P in tale punto, T e dato dalla (17), ρ dall’equazione di stato e R, M, L sono i valori diraggio, massa e luminosita della stella, costanti lungo tutta l’atmosfera.

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2.5. Le variabili naturali del sistema

A partire dalla base dell’atmosfera inizia il dominio di validita del sistema delle 5 equazioniche descrivono il comportamento fisico di una struttura stellare e che collegano tra loro le 6grandezze r, Lr, P, T, Mr, ρ. Notiamo peraltro che l’equazione di stato fornisce una relazionediretta tra P, T, ρ, diminuendo di uno i gradi di liberta del sistema. Il nucleo del sistemae cosi costituito dalle 4 equazioni differenziali dove considereremo come incognite P e T,ρ restando noto dall’equazione di stato non appena note P e T. Il sistema di 4 equazionie quindi in grado, con le opportune condizioni al contorno, di fornire quattro di questegrandezze in funzione della quinta assunta come variabile indipendente.

Nella formulazione sin qui adottata abbiamo assunto la variabile indipendente ”r”. Taleassunzioni, che ha radici ”antropocentriche” non e fisicamente tra le piu felici. Avvieneinfatti che talora ”r” non si presenti come una variabile naturale del sistema, nel senso chele grandezze fisiche in gioco hanno campi di escursione non significativamente collegati allacorrispondente escursione della coordinata radiale.

Al di la’ di questo, la coordinata radiale non e lagrangiana, nel senso che - al modificarsidella struttura - un fissato valore della coordinata radiale non corrisponde ad un determi-nato elemento di materia. Cio non avviene ove si scelga per variabile indipendente Mr cherisulta lagrangiana proprio nel senso che risulta collegata a determinati elementi di materia,indipendentemente da variazioni (espansioni o contrazioni) nella geometria della struttura,almeno sinche non siano presenti movimenti di materia (quali la convezione) all’interno dellastruttura stessa. Per tale motivo all’interno della struttura e d’uso utilizzare come variabileindipendente Mr.

E’ peraltro da notare che, causa la bassa densita delle regioni piu esterne, nelle zoneimmediatamente al di sotto dell’atmosfera la variabile Mr tende a saturare, raggiungendoasintoticamente il suo valore M = massa totale della struttura. Grandi variazioni della pres-sione restano percio contenute in variazioni percentualmente minime di Mr, che potrebberodiventare confrontabili con gli errori di arrotondamento delle cifre introdotti dai calcolatori.La grande precisione dei moderni calcolatori consente in genere di superare tale difficolta.Tuttavia alcuni programmi evolutivi preferiscono ancora prevenire tale pericolo adottandoper una breve regione al di sotto dell’atmosfera (ad esempio sino a Mr/M =0.97) la variabileindipendente P.

Riassumendo, l’intera struttura stellare risulta cosi matematicamente divisa in tre regionidi integrazione

1. Le zone atmosferiche (0 ≤ τ ≤ 1 : r = R,Mr = M,Lr = L): sistema di tre equazioni convariabile indipendente τ .

2. Eventuali zone subatmosferiche (1 ≥ Mr/M ≥ 0.97): sistema completo delle 5 equazioni,variabile indipendente P.

3. Le zone interne (0.97 ≥ Mr/m ≥ 0): sistema completo delle 5 equazioni, variabile in-dipendente Mr.

2.6. Metodi di calcolo

L’andamento delle variabili fisiche all’interno di una struttura stellare e dunque retto daun sistema di quattro equazioni differenziali che, integrato con l’equazione di stato, con-sente di ricavare l’andamento di cinque delle variabili in funzione di una sesta assunta comevariabile indipendente per ogni prefissato valore della massa M della struttura e per ogni pre-fissata distribuzione della composizione della materia all’ interno della struttura medesima.Notiamo subito che l’esistenza di quattro equazioni differenziali del primo ordine richiederal’individuazione di quattro opportune condizioni al contorno. Stante la complessita del sis-tema non esistono in generale soluzioni analitiche e la soluzione e ottenuta sulla base di

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tecniche di calcolo numeriche basate su metodi a differenze finite, ove cioe i differenzialisono approssimati con incrementi piccoli ma finiti, cosi che le relazioni differenziali vengonotrasformate in equazioni algebriche.

Prima di illustrare i due diversi metodi in uso per la soluzione di tali equazioni dis-cuteremo l’integrazione degli strati atmosferici, in quanto ingrediente di base che entranell’architettura di tutti e due i metodi cui abbiamo fatto riferimento.

2.6.1 Integrazione degli strati atmosferici

Ricordiamo che per gli strati atmosferici abbiamo stabilito la relazione differenziale (2.13)che, in termini di differenze finite puo essere scritta come

Pj+1 − Pj =g

κ(τj+1 − τj) (19)

ove, in accordo con il metodo delle differenze finite, l’intervallo di integrazione 0 ≥ τ ≥ 1e stato opportunamente suddiviso prefissando N valori τj della variabile indipendente (Nmesh) per j che va da 1 a N. Pj e il valore, da determinare, della variabile nel generico punto”j”. Accanto a questa relazione differenziale abbiamo le due ulteriori relazioni, qui ripetuteper comodita

T = T ( τ , Te )P = P ( ρ, T )

Tali relazioni consentono di ricavare l’andamento delle variabili P, ρ, T in un atmosferastellare per ogni prefissato valore della massa stellare M, quando siano assegnati due trai tre parametri R, L e Te il terzo restando determinato dalla relazione L = 4 π R2σ T4

e.Assegnando ad esempio, come d’uso, M, L e Te restano fissati g = G M/R2 e Te. Sotto talicondizioni, note le grandezze nel generico punto j la (19) fornisce il valore della pressionenel punto j+1

Pj+1 = Pj +g

κ(τj+1 − τj) (20)

la temperatura nello stesso punto j+1 e fornita dalla T(τ ,Te), dall’equazione di stato siricava allora la densita e, con essa, il valore di κ(ρ, T). Basta quindi fornire i valori per τ =0 (N = 1) (→ A2.6) per ricavare per ricorrenza l’andamento di P, ρ, T su tutto l’intervalloconsiderato.

Tale integrazione per tangenti (cfr. fig.2.5) risultera tanto piu accurata quanto piu piccoligli intervalli (passi ) della variabile indipendente. Nella pratica, tali passi possono esserecollegati alla condizione che la variabile dipendente lungo un passo non vari piu di unaprefissata percentuale, e la bonta dell’integrazione puo essere controllata verificando, adesempio, che un ulteriore dimezzamento dei passi non vari il risultato entro la richiestaprecisione. Sulla base di tale schema sono costruiti algoritmi di calcolo numerico (ad es. ilmetodo di Runge-Kutta) che, con l’introduzione di opportuni coefficienti di correzione basatisull’andamento della funzione gia integrata consentono di minimizzare il numero di passi perogni prefissata precisione.

2.6.2 Il metodo del fitting

Per ogni prefissato valore della massa totale M e per ogni scelta dei due parametri L eTe si possono quindi ricavare i valori di P e T (e quindi ρ) alla base dell’atmosfera, ove sonoquindi disponibili i valori di tutte e sei le variabili

r=R, Lr=L, P, T, ρ, Mr=M

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Fig. 2.5. Nell’integrazione per tangenti, noto il valore della derivata della generica variabile Y(X)nel mesh Xj si pone Yj+1= (dY/dX)j (Xj+1 - Xj), valutando cosi la variazione lungo la tangentedefinita dalla derivata in Xj , con un errore che diminuisce al diminuire dell’assunto ∆X.

che compaiono nel sistema di equazioni per l’equilibrio stellare. Supponendo di utilizzaresubito come variabile indipendente Mr, possiamo riscrivere le equazioni di equilibrio infunzioni della variazioni di tale variabile. Ponendo dr =dMr/4 πr2ρ e passando nuovamenteallo schema di differenze finite si ottiene

Pj+1 − Pj = −GMr,j

4πr4j

(Mr,j+1 −Mr,j) (21)

rj+1 − rj =Mr,j+1 −Mr,j

4πr2j ρ

(22)

Tj+1 − Tj = − 3κLr,j

64acπ2r4

1T 3

(Mr,j+1 −Mr,j) (23)

se (dT/dP)rad ≤ (dT/dP)ad, altrimenti

Tj+1 − Tj = −GMr,j

4πr4(dT

dP)ad(Mr,j+1 −Mr,j) (24)

Lr,j+1 − Lr,j = ε (25)

Analogamente a quanto gia discusso per l’integrazione atmosferica, se nel mesh Mr,j sononoti i valori delle variabili r, Lr, P, T, ρ (dall’equazione di stato), κ(ρ, T ) e ε(ρ, T ) sono notii valori di tutti i coefficienti a secondo membro delle relazioni precedenti, e per ogni assunto∆Mr = Mr,j+1−Mr,j le relazioni forniscono il valore delle variabili nel mesh j+1. Partendodal primo mesh, alla base dell’atmosfera, l’iterazione di tale procedura consente di spingerel’integrazione lungo tutta la struttura.

Perche il risultato possa rappresentare una stella occorre e basta che per Mr = 0 (centrodella struttura) risulti r = 0 e Lr = 0. In linea di principio si potrebbe pensare di identificarela soluzione variando opportunamente i valori di L e Te di partenza, sino a soddisfare lecitate condizioni centrali. Nella pratica cio non e consentito dalla eccessiva sensibilita dellesoluzioni a Mr = 0 dalle condizioni superficiali. Il metodo del ”fitting” (cioe del raccordo)supera questa difficolta procedendo ad una integrazione dall’ esterno a partire una coppiadi valori di prova L e Te, spingendo l’integrazione sino ad un prefissato valore della massaMr = MF ( massa di fitting) ottenendo in tale punto una quadrupletta di valori re, Le

r, Pe,Te, ove l’indice ”e” sta ad indicare che tali valori sono il risultato dell’integrazione esterna.

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L, Te → re(L, Te), Le (L, Te), Pe(L, Te), Te(L, Te)

ove si e evidenziata la ovvia dipendenza dei valori della quadrupletta dai due assuntivalori di prova L e Te. Si procede poi ad una integrazione dal centro imponendo in talepunto r = Lr = 0 e assumendo due valori di prova Pc e Tc ricavando nello stesso punto difitting un’altra quadrupletta di valori ri, Li

r, Pi, Ti,

Pc, Tc → ri(Pc, Tc), Lir(Pc, Tc), Pi(Pc, Tc), Ti(Pc, Tc)

e l’integrazione sara corretta solo quando le due quadruplette vengano a coincidere.In generale, le integrazioni basate sui parametri di prova forniranno al fitting valori non

concordanti, e porremo per tali discrepanze

re − ri = εr

Ler − Li

r = εL

P e − P i = εP

T e − T i = εT

Tenuto presente che i valori delle due quadruplette dipenderanno dai valori di provaassunti, rispettivamente, per L, Te e Pc, Tc, il metodo del fitting consiste nel valutarequali le variazioni da apportare ai 4 valori di prova per annullare le discrepanze tra le duequadruplette, o - nella pratica - perche le discrepanze (Pi - Pe)/Pi e simili scendano al disotto di una soglia di precisione tipicamente non maggiore di 10−4.

In approssimazione lineare, la variazione dei valori delle quadruplette puo essere espressain funzione delle derivate parziali dei valori medesimi rispetto ai relativi valori di prova. Cosi,ad esempio

∆P e = (∂P e/∂L)Te=cost∆L + (∂P e/∂Te)L=cost∆Te

e, corrispondentemente,

∆P i = (∂P i/∂Pc)Tc=cost∆Pc + (∂P i/∂Tc)Pc=cost∆Tc

Sulla base di simili relazioni, per la variazione delle discrepanze si ottiene

∆(re − ri) = (∂re

∂L)Te∆L + (

∂re

∂Te)L∆Te + (

∂ri

∂Pc)Tc∆Pc + (

∂ri

∂Tc)Pc∆Tc (26)

∆(Ler − Li

r) = (∂Le

r

∂L)Te∆L + (

∂Ler

∂Te)L∆Te + (

∂Lir

∂Pc)Tc∆Pc + (

∂Lir

∂Tc)Pc

∆Tc (27)

∆(P e − P i) = (∂P e

∂L)Te∆L + (

∂P e

∂Te)L∆Te + (

∂P i

∂Pc)Tc∆Pc + (

∂P i

∂Tc)Pc

∆Tc (28)

∆(T e − T i) = (∂T e

∂L)Te∆L + (

∂T e

∂Te)L∆Te + (

∂T i

∂Pc)Tc∆Pc + (

∂T i

∂Tc)Pc

∆Tc (29)

Imponendo che tali variazioni siano eguali ma di segno contrario alle discrepanze εi (i =1, 4), cosi da annullare le differenze delle due quadruplette al fitting, ove siano noti i valoridelle derivate si ottiene un sistema lineare di quattro equazioni nelle quattro incognite ∆L,∆Te. ∆Pc. ∆Tc e con termini noti -εi (i=1,4).

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I valori delle derivate parziali sono ricavati eseguendo quattro integrazioni, due dall’esterno e due dall’interno, a partire dai valori al contorno

L + δL, Te

L, Te + δTe

Pc, Tc + δTc

Pc + δPc, Tc

e ponendo per la generica variabile Xij (j=1, 4), Xe

j(j=1,4)

∂Xej

∂L∼

Xej (L + δL, Te)−Xe

j (L, Te)δL

(30)

e simili per le derivate rispetto alle altre tre condizioni al contorno. La soluzione delsistema di quattro equazioni lineari fornisce le quattro correzioni alle condizioni al contornosulla base delle quali operare una nuova coppia di integrazione esterno-interno. Poiche lalinearita del sistema delle correzioni e’ solo una approssimazione al primo ordine, la soluzioneviene in genere raggiunta attraverso una serie di iterazioni, sempre che le iniziali condizionial contorno non siano troppo distanti da quelle finali, risultando all’interno di quella cheviene definita l’area di convergenza.

2.6.3 Il metodo di Henyey

Un approccio alternativo alla soluzione del problema consiste nel adottare una soluzionedi prova, cioe assegnare in ogni punto un valore delle funzioni r(Mr), Lr(Mr), P(Mr), T(Mr),ed applicare un metodo che consente di correggere tali valori.

Possiamo riscrivere le equazioni dell’equilibrio sotto forma di differenze finite e portandotutti i termini a primo membro, ottenendo -ponendoci ad esempio nel caso di equilibrioradiativo, le quattro relazioni algebriche

(Pj+1 − Pj)/(rj+1 − rj)−GMr,jρj/r2j = 0

(Mr,j+1 −Mr,j)/(rj+1 − rj)− 4πr2j ρ = 0

(Tj+1 − Tj)/(rj+1 − rj)− (3/4ac)(κρj/T 3j )Lr,j/4πr2

j = 0(Lr,j+1 − Lr,j)/(rj+1 − rj)− 4πr2

j ε = 0

Poiche la soluzione di prova non soddisfa le equazioni di equilibrio, le quattro eguaglianzea zero non saranno verificate, ed ognuna delle quattro relazioni dara, per ogni coppia degliN mesh, una discrepanze

δi,j i = 1, 4; j = 1, N − 1

Occorre dunque operare sui valori di prova assegnati negli N singoli mesh in cui e statadivisa la struttura al fine di azzerare i 4N-4 δi,j cosi che le relazioni di equilibrio risultinosoddisfatte lungo tutta la struttura.

Notiamo al proposito che, avendo scelto come variabile indipendente Mr ed avendodunque prefissato il valore di Mr in opportuni mesh spaziati lungo la struttura, il gener-ico δi,j resta una funzione algebrica dei valori delle quattro variabili nei mesh j e j+1

δi,j = f(rj , Lr,j , Pj , Tj , rj+1, Lr,j+1, Pj+1, Tj+1)

di cui e possibile ricavare algebricamente i valori delle derivate parziali rispetto alle ottovariabili.

Per la dipendenza del generico δi,j dalle funzioni di prova potremo dunque scrivere perogni coppia di mesh e per ognuna delle 4 equazioni dell’equilibrio una relazione che lega lediscrepanze al valore variabili

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∆δi,j = ∂δi,j

∂rj∆rj + ∂δi,j

∂Lr,j∆Lr,j + ∂δi,j

∂Pj∆Pj + ∂δi,j

∂Tj∆Tj + ∂δi,j

∂rj+1∆rj+1 + ∂δi,j

∂Lr,j+1∆Lr,j+1 +

∂δi,j

∂Pj+1∆Pj+1 + ∂δi,j

∂rj+1∆Tj+1

imponendo che per ogni coppia e per ogni equazione δi, j subisca una variazione egualee di segno contrario alla discrepanza trovata, si ottiene in definitiva un sistema di 4N-4equazioni nelle 4N incognite

∆rj ,∆Lr, j, ∆Pj ,∆Tj (j=1,N)

Il bilancio tra numero di incognite e numero di equazioni mostra - come dovevamo at-tenderci - che la soluzione richiede l’intervento di quattro condizioni al contorno. Due diqueste si ricavano immediatamente osservando che al centro della struttura deve risultare erimanere r = Lr = 0, e quindi

∆r1 = 0,∆Lr,1 = 0

Restano dunque 4n-2 incognite. Le altre due condizioni risultano dall’imporre che l’ultimomesh (N) debba essere alla base dell’ atmosfera. Sappiamo infatti che le variabili fisiche allabase dell’atmosfera sono note non appena sia assegnata una coppia di valori L e Te. Perl’ultimo mesh devono valere dunque le ulteriori condizioni

rN = f1(L, Te)

Lr,N = f2(L, Te)

PN = f3(L, Te)

TN = f4(L, Te)

che aggiungono alle precedenti 4 nuove equazioni e due incognite (L e Te). In totaleabbiamo dunque un sistema di 4N equazioni in 4N incognite, che viene in genere risoltoper sostituzioni successive (→ A2.8), fornendo i valori delle correzioni da apportare in ognimesh alle funzioni di prova per verificare le equazioni dell’equilibrio. Avendo nuovamentelinearizzato il problema, la soluzione sara in genere raggiunta tramite una serie di iterazioni,sempre che le funzioni di prova siano assegnate all’interno di un’area di convergenza.

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Approfondimenti

A2.1. Energia interna, pressione della radiazione e pressione del gas perfetto.

Si e gia indicato (→ A1.1) come all’interno di una struttura stellare materia e radiazione sianoambedue da considerarsi termalizzate alla temperatura locale T In tali condizioni la densita e ladistribuzione in frequenza dei fotoni restano regolate dalle leggi del corpo nero, la densita di energiarisultando in particolare pari a U = aT 4. In tali condizioni e anche facile ricavare il valore dellapressione di radiazione, collegata -come nel caso delle particelle- al momento trasportato dai fotoni.

Se immaginiamo la radiazione intrappolata all’interno di un cubetto di volume unitario a su-perfici interne perfettamente riflettenti. Un generico fotone di energia E = hν e momento p = hν/cavra una direzione di moto definita dai tre coseni direttori

cx

c,cy

c,cz

cdegli angoli formati dal vettore velocita c con i tre assi delle coordinate. Nell’unita di tempo siavranno cx urti contro le due pareti perpendicolari all’asse x (Figura 2.6) ed in ogni urto verrascambiata una quantita di moto pari in modulo a 2(hν/c)cx/c. La somma (in modulo) dei momentiscambiati dal fotone con le 6 pareti del cubetto nell’unita di tempo risulta

2hν

c

cx

c+ 2

c

cy

c+ 2

c

cz

c= 2

c2(c2

x + c2y + c2

z) = 2hν = 2E

Se ne conclude che il gas di fotoni isotropi scambia nell’unita di tempo con ognuna delle pareti delcubetto una quantita di moto pari a

∆p = E/3

dove E e la somma delle energie dei singoli fotoni. Poiche ∆p = F∆t si ricava che il gas di fotoniopera sulla superficie unitaria una forza (la pressione) pari a

Pr = E/3

Per una distribuzione di corpo nero si ricava cosi il valore della pressione di radiazione

Pr =1

3U =

a

3T 4

Con considerazioni del tutto analoghe si ricava per un gas perfetto non relativistico

Pg =1

3Σmiv

2i =

2

3W

dove W = Σ 12miv

2i rappresenta la densita di energia cinetica. Poiche l’energia cinetica media per

molecola e pari a 32kT, Σ 1

2miv

2i = nkT dove n rappresenta il numero di particelle per unita di

volume. Si ritrova cosi l’equazione di stato del gas perfetto

Pg = nkT

Per un gas perfetto monoatomico W=U=3/2 kT. Nel caso piu generale U=N/2 kT, dove N e ilnumero di gradi di liberta delle particelle, e si ricava facilmente

Pg =2

NU

che, in analogia di quanto gia visto per la radiazione, pone in relazione la pressione con l’energiainterna per unita di volume.

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Fig. 2.6. Nell’urto elastico contro la parete un fotone di impulso hν/c inverte la componente xcedendo un impulso pari a 2 hν

ccosθ = 2 hν

ccxc

.

A2.2. Gradiente di temperatura e gradiente radiativo. Conduzione elettronica.

Se nel plasma stellare esiste un gradiente di temperatura (Fig. 2.7) la densita di fotoni cresce con latemperatura e si produrra un flusso netto di fotoni dalle maggiori verso le minori temperature. E’possibile porre in relazione il gradiente di temperatura con tale flusso, osservando che le interazionicon la materia tendono ad isotropizzare i fotoni del flusso, estraendoli dal ”fascio” direzionale e che,in tal modo, i fotoni devono cedere momento alla materia.

Il numero di interazioni subite da uno di questi fotoni in un tragitto dr e dato da dr/λ, dove λrappresenta il libero cammino medio del fotone. Se N e il numero di fotoni che attraversano nell’unitadi tempo l’unita di superficie, il momento trasferito nell’unita di tempo dai fotoni alle particellesara

dp = Ndr

λ

c=

Φ

λcdr

Poiche la pressione di radiazione altro non e che il momento trasportato per unita di superficie e ditempo, dp = dPr, e quindi

Φ

λcdr = dPr

Ove, come nel caso degli interni stellari, si possa assumere l’equilibrio termodinamico locale, Pr =a/3T 4 e si ottiene cosi

Φ = λcdPr

dr= λc

4a

3T 3 dT

dr

Poiche il cammino libero medio dei fotoni dipende dalla frequenza, ponendo λ = 1/κρ, doveκ rappresenta una opportuna media (media di Rosseland) sulla distribuzione energetica dei fotoni:1/κρ rappresenta la probabilita media di interazione per unita di percorso e κ prende il nome diopacita per grammo di materia. Si ha cosinfine

Φ =4acT 3

3κρ

dT

dr

che mostra come in condizioni di equilibrio termodinamico sussiste una necessaria proporzionalitatra gradiente di temperatura e flusso di energia trasportato dai fotoni.

In assenza di convezione, poiche in un gas il trasporto per conduzione e in genere molto pocoefficiente, la precedente relazione si trasforma in una relazione tra gradiente di temperatura e flussototale di energia. Cio pero non e piu vero nel caso di degenerazione elettronica, allorquando permotivi quantistici gli elettroni manifestano un comportamento collettivo (→ A3.2). In tal caso,

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Fig. 2.7. I fotoni che compongono il flusso di energia fluente tra due temperature T1 e T2 (T1 >T2) subiscono interazioni che li isotropizzano cedendo qunatita di moto alla materia

come avviene nei metalli, un gas di elettroni mal sopporta gradienti energetici, e la conduzioneelettronica diviene un meccanismo di grande efficienza.

Per il flusso di energia Φc trasportato dalla conduzione si puo ancora porre

Φc = CdT

dr

dove il valore di C resta definito per le varie condizioni fisiche del mezzo dalla teoria di un gaselettronicamente degenere. In presenza di conduzione elettronica e d’uso generalizzare, con sempliceartificio, la precedente formula del gradiente radiativo. Basta infatti definire una opacita conduttivaκc attraverso la relazione

C =4acT 3

3κcρ

per ottenere

Φr + Φc = −4acT 3

3ρ(

1

κr+

1

κc)dT

dr

Definendo come opacita totale 1/κT = 1/κr + 1/κc si ottiene la forma generalizzata

Φ =4acT 3

3κT ρ

dT

dr

che collega la totalita del flusso ”non convettivo” al gradiente locale di temperatura.

A2.3. L’equazione di Oppenheimer-Volkoff. Il raggio di Schwarzschild.

La formulazione newtoniana della gravitazione, cosı come inserita nella relazione dell’equilibrio idro-statico, non puo essere mantenuta per campi gravitazionali estremi, quando l’energia gravitazionaledelle particelle diventa non trascurabile a confronto dell’energia di massa E = mc2. Occorre in talcaso ricorrere al formalismo della relativita generale. Adottando la metrica di Schwarzschild, chegoverna il campo gravitazionale a simmetria sferica generato da una massa ”m”

ds2 = −(1− rg

r) d(ct)2 +

1

1− rg/rdr2 + r2(dθ2 + sin2θdΦ2)

dove

rg =2Gm

c2

si giunge a riscrivere l’equazione dell’equilibrio idrostatico e quella della conservazione della massanella forma generalizzata relativistica

dP

dr= −GMr

r2ρ (1 +

P

ρc2) (1 +

4πr3P

Mrc2) (1− 2GMr

rc2)−1

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19

Fig. 2.8. La relazione massa densita centrale per le strutture di stelle di neutroni, La curva Aindica la soluzione per un gas di neutroni liberi mentre le altre curve portano esempi di equazionidi stato piu elaborate.

dMr

dr= 4πr2ρ

dove Mr, massa contenuta all’interno del raggio ”r”. contiene il contributo non solo della massa ariposo delle particelle ma anche quello della loro energia.

Le strutture in cui si rende necessaria l’applicazione di un tale formalismo si collocano in qualchemaniera ai due estremi delle normali strutture stellari: stelle supermassive e stelle di neutroni.

Per cio che riguarda gli oggetti supermassivi (M ∼ 105 − 108M) e da notare che per i normalioggetti stellari esiste un limite superiore, a poco piu di 100 M, per la formazione di strutturestabili. Cio perche al crescere della massa il crescente contributo della pressione di radiazione finiscecol destabilizzare la stella. Al livello di supermassivita indicato intervengono pero due nuovi fattoriche consentono, almeno in linea di principio, strutture gravitazionalmente legate. Infatti il campogravitazionale efficace e enormemente accresciuto dall’equivalente in massa dell’energia e, nel con-tempo, i fotoni perdono energia nel propagarsi contro il campo gravitazionale, riducendo di moltogli effetti della pressione di radiazione.

Oggetti supermassivi sono stati nel passato invocati per giustificare l’emissione luminosa danuclei galattici, radiosorgenti e quasars. Per quanto tale ipotesi sia stata ormai abbandonata, e danotare che da una struttura di 105M nelle fasi iniziali di combustione di idrogeno si attendono∼ 1043 erg/sec, con temperature efficaci (→ 1.7.1)Te ∼ 6 104K. Il confronto con la luminosita delSole (∼ 1033erg/sec) rivela come in tali oggetti supermassivi il rapporto luminosita/massa risultidell’ordine di ∼ 105 volte di quello solare.

A causa delle elevatissime densita, anche stelle di neutroni che eventualmente si producanonell’esplosione di Supernovae sono caratterizzate da campi gravitazionali estremamente intensi, enecessitano quindi di un trattamento relativistico. Se si assume che i neutroni si comportino comeun gas di fermioni liberi (→ A3.2) per essi vale un equazione di stato del tipo

P = P (ρ) ∼ 41019ρ5/3

che, unita alle due precedenti relazioni, consente di definire la

struttura dell’oggetto (caso politropico→ A5.1). Se ne ottiene una relazione massa-densita cen-trale che raggiunge un massimo per M = 0.7M (Fig.2.8). E’ subito visto che strutture al disopra di tale limite non sono stabili: una fluttuazione della densita centrale porterebbe la stellafuori dall’equilibrio, innescando una contrazione e,di qui, un processo di collasso reazionato positi-vamente.

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20

L’approssimazione di un gas di fermioni appare peraltro inadeguata, perche a densita che rag-giungono e superano quelle nucleari interverranno certamente interazioni a molti corpi tra le par-ticelle. Equazioni di stato piu realistiche appaiono spostare il precedente limite sino a 2-3 M (Fig. 2.8. Al di sopra di queste masse non si trovano meccanismi in grado di fermare il collasso dellastruttura, che dovrebbe quindi procedere indefinitamente.

Al riguardo e facile verificare come l’equazione dell’equilibrio presenti una singolarita per

r =2GM

c2

E’ questo il cosiddetto raggio di Schwarzschild. Anche nell’approssimazione non relativistica si ver-ifica facilmente che, per ogni massa, a tale raggio corrisponde una velocita di fuga pari alla velocitadella luce. In generale si trova quando il collasso raggiunge il raggio di Schwarzschild i fotoni nonsono ulteriormente in grado di sfuggire dall’oggetto collassante, che quindi cessa di avere un talecanale di comunicazione elettromagnetica con il resto dell’Universo (diventando una buca nera).

A2.4. Termodinamica della materia in condizioni stellari. Il gradiente adiabaticoed il criterio di stabilita

Dalla usuale formulazione del primo principio della termodinamica, indicando con δQ il calorefornito ad un generico sistema termodinamico, si ha

δQ = dU + pdV

ove appare la variabile estensiva V = volume occupato dal sistema. Osservando che il volumeoccupato da 1 grammo di materia e pari a 1/ρ, si risale immediatamente ad una piu appropriataformulazione riguardante il bilancio termico per grammo di materia

δQ = dU + pd(1

ρ) = dU − P

ρ2dρ

ove l’energia interna U e’ ora da intendersi come riferita al grammo di materia e immediatamentericavabile dividendo per ρ le gia citate espressioni riguardanti l’energia interna per unita di vol-ume. Lo stato termodinamico resta cosi definito dalle tre variabili intensive T, P e ρ, fornendo unarappresentazione adeguata anche ad un generico fluido termodinamico non soggetto ad artificialidelimitazioni. Si noti che in tutte le precedenti relazioni la pressione P va intesa come pressionetotale, somma dunque delle pressioni parziali di gas e radiazione.

La termodinamica ci assicura anche che per trasformazioni reversibili, cioe per trasformazioniche si sviluppano lungo stati di equilibrio e nelle quali restano quindi definite istante per istante levariabili di stato, il calore assorbito o ceduto resta collegato alla funzione di stato S (entropia) dallarelazione δQ = TδS. Poiche questo e ovviamente il caso per le trasformazioni subite dal plasmastellare nel corso dell’evoluzione di strutture stellari in equilibrio, potremo in generale porre il primoprincipio della termodinamica nella forma

δQ = TδS = dU − P

ρ2dρ

Poiche S e funzione di stato, assumendo P e T come variabili indipendenti, il bilancio energeticodeve potersi portare nella forma

Tds = T [(∂S

∂T)P + (

∂S

∂P)T ] = CP dT − ET dP

conCP = T (dS/dT )P = (δQ/dT )P = calore specifico a pressione costanteET = T (dS/dP )T = (δQ/dT )P = calore specifico scambiato in una compressione isoterma.

Nel caso generale la valutazione di questi due coefficienti riposa su opportune e complessevalutazioni sullo stato energetico del sistema, che tengano nel dovuto conto non solo il grado diionizzazione, ma anche la distribuzione degli elettroni nei vari livelli eccitati, la presenza di eventuali

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legami molecolari etc. Stante la complessita dei relativi calcoli, questi dati vengono in genere fornitial programma assieme all’equazione di stato (→ A3.2) ed ai coefficienti di opacita (→ A3.3) sottoforma tabulare, per ogni assunta composizione della materia stellare e per una opportuna griglia divalori delle variabili di stato ρ e T .

Nel caso di una miscela di gas perfetto e radiazione, basta peraltro esplicitare la dipendenzadell’energia interna U dai parametri di stato e fare uso dell’equazione di stato per ricavare analiti-camente i valori di CP e ET . Scegliendo come parametri di stato P e T , il primo principio dellatermodinamica fornisce

TdS = (∂U

∂P)T dP + (

∂U

∂T)P dT − P

ρ2[(

∂ρ

∂P)T dP + [(

∂ρ

∂T)P dT ]

e quindi

CP = (∂U

∂T)P +

P

ρ2[(

∂ρ

∂T)P ]

EP = −(∂U

∂P)T +

P

ρ2[(

∂ρ

∂P)T ]

Poiche (→ 3.2)

P = Pg + Pr =k

µHρT +

a

3T 4

U = Ug + Ur =1

ρ(N

2Pg + 3Pr)

si ottiene, ad esempio, per ET

ET = (N

2Pg + 3Pr)

1

ρ2(

∂ρ

∂P)T −

1

ρ[

∂P(N

2Pg + 3Pr)T ] +

P

ρ2(

∂ρ

∂P)T

Osservando che per T = cost, dPr = 0 e dP = dPg si ha

(∂ρ

∂P)T = (

∂ρ

∂Pg)T =

µH

kT=

ρ

Pg

si ottiene infine

ET =1

ρ(N

2+ 3

Pr

Pg− N

2+

P

Pg) =

1

ρ(4

Pr

Pg+ 1)

Analogamente si ricava

CP =1

ρT(N + 2

2Pg + 20Pr + 16

P 2r

Pg)

Si noti che TdS = 0 definisce una trasformazione adiabatica. Ne segue che per una tale trasfor-mazione

(dT

dP)ad =

ET

CPo anche ∇ad =

dlogT

dlogP=

P

T

ET

CP

Se Pr << Pg, ∇ad = 2/(N + 2), pari quindi a 0.4 nel caso di un gas perfetto monoatomico(N=3) e a 0.3 nel caso di molecole biatomica (N=5). Piu in generale, e facile comprendere che ungas perfetto monoatomico realizza il massimo possibile gradiente adiabatico. In tal caso infatti, esolo in tal caso, tutto il lavoro assorbito in una compressione adiabatica va in energia cinetica delleparticelle e nel corrispondente innalzamento della temperatura. Ove esistano gradi di liberta interni(quali molecole, ionizzazioni, eccitazioni elettroniche) parte del lavoro sara ripartito tra questi, conconseguente minor innalzamento della temperatura.

Si noti infine che per Pr >> Pg, come tende ad avvenire in strutture stellari di massa moltogrande, ∇ad → 0.25. La radiazione tende quindi a diminuire il gradiente adiabatico, favorendo laconvezione. La radiazione dunque si comporta come un gas con 6 gradi di liberta, ed in effetti tale

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Fig. 2.9. Andamento dei gradienti (scala di destra) e del peso molecolare µ(scala di sinistra) infunzione della pressione P negli strati esterni di una stella di Popolazione II, 1.5 M in SequenzaPrincipale, log Te = 3.91. Il gradiente radiativo raggiunge il valore massimo 45. In superficie il pesomolecolare segnala la presenza di molecole di idrogeno.

comportamento corrisponde alle due direzioni di polarizzazione per ognuna delle tre direzioni dipropagazione del fotone. Da questa osservazione e facile giungere ad un criterio termodinamico perla stabilita di una struttura stellare. Per il teorema del viriale (→ 4.1) tale stabilita richiede

2T + Ω = 0

dove T e l’energia cinetica totale posseduta dalle particelle che compongono la struttura e Ω el’energia di legame.

La stabilita richiede quindi che meta dell’energia guadagnata in una contrazione sia trasferitaall’ energia cinetica delle particelle : dT = −dΩ/2. In un gas monoatomico, quindi con 3 gradi diliberta, tutta l’energia guadagnata dal gas va in energia cinetica, e resta quindi altrettanta energia(dΩ/2) per sopperire alle perdite per radiazione. In un gas con 6 gradi di liberta se meta dell’energiava in energia cinetica, altrettanta energia deve andare negli altri gradi di liberta del sistema. Nonresterebbe quindi energia disponibile per sopperire alle perdite per radiazione, e questo e chiaramenteincompatibile con la stabilita della struttura. Il predominare della pressione di radiazione portaquindi la struttura verso l’instabilita.

Tale criterio e sovente espresso in letteratura tramite γ = CP /CV = d(logP/dlogρ)ad = 1/(1−∇ad) = 1 + 2/N , con N gradi di liberta delle particelle. Per un gas perfetto monoatomico risultaγ = 5/3, per la radiazione γ = 4/3 e la stabilita richiede γ > 4/3.

A2.5. La teoria della mixing-length

Assumiamo che la convezione sia descrivibile come lo spostamento di elementi di convezione(”bolle”) che, iniziando il loro moto in equilibrio con l’ambiente, percorrano adiabaticamente untragitto ”l” per cedere infine l’eccesso di energia termica all’ambiente circostante. Il tragitto ”l”prende il nome di lunghezza di rimescolamento o mixing length. Se dT/dR e il gradiente dell’ambientein cui si muove la bolla, la differenza di temperatura tra bolla ed ambiente sara a fine tragitto

∆T = [(dT/dr)ad − (dT/dr)]l = [(dT/dP )ad − (dT/dP )](dP/dr)l

.

Poiche dP/dr e negativo, si riconosce immediatamente che vi sara trasporto di energia (la bollasara picalda) solo quando la zona e instabile per convezione, cioe dT/dP > (dT/dP )ad (Criterio diSchwarzschild → 2.2)

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Fig. 2.10. Come in figura 2.9, ma per una stella di 1.25 M, log Te = 3.83. Al diminuire dellatemperatura efficace affonda la zona convettiva e nelle regioni piu interne ( piu dense) il gradientelocale tende al gradiente adiabatico.

Poiche lo scambio di calore avviene a pressione costante, il calore scambiato al termine deltragitto sara MCP ∆T , ove M e la massa della materia a maggior temperatura. Ponendo che metadella materia partecipi al moto ascendente, si ricava per il flusso trasportato dalla convezione

Fc =1

2CP ρv[(

dT

dr)ad − (

dT

dr)]l

L’esistenza di un gradiente di temperatura implica peraltro anche un trasporto radiativo (→A2.2)

Fr = − T 3

κrho

4ac

3

dT

dr

cosı che per il flusso totale in regime di convezione si ricava

F = Fc + Fr =1

2CP ρv(

dT

dr)ad − (

1

2CP ρv − T 3

κrho

4ac

3)(

dT

dr)

da cui

dT

dr=

F − 12CP ρv( dT

dr)ad

T3

κρ4ac3− 1

2CP ρv

Si riconosce facilmente che per convezione inefficiente (CP ρv → 0) dT/dr → (dT/dr)rad mentreper convezione dominante (CP ρv →∞)) dT/dr → (dT/dr)ad.

Per valutare le velocita degli elementi di convezione possiamo osservare che per il principio diArchimede la forza agente sull’elemento sara

F = g∆ρV

dove g e la gravita locale, V il volume delle elemento e ∆ρ e la differenza di densita tra l’ambientee la bolla di convezione. Assumendo un gas perfetto (trascurando quindi variazioni del grado diionizzazione) ∆ρ/ρ = ∆T/T , dove per ogni tragitto parziale x (0 ≤ x ≤ l)∆T = [(dT/dr)ad −(dT/dr)amb]x. Applicando il teorema delle forze vive (lavoro = variazione di energia cinetica) siottiene cosi al termine del tragitto

1

2mv2 =

∫ l

0

g∆ρV dx =

∫ l

0

gρV∆/T

Txdx

da cui

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Fig. 2.11. Andamento della temperatura in funzione della pressione per il modello di figura 2.10per due diverse assunzioni sulla lunghezza di rimescolamento. All’aumentare di l aumenta l’efficienzadella convezione e diminuisce il gradiente di temperatura. In ogni caso le diverse soluzioni convergonoverso una comune soluzione interna.

v(l)2

2' g

1

T[(

dT

dr)ad − (

dT

dr)amb]

∫ l

0

xdx =g

T[(

dT

dr)ad − (

dT

dr)amb]

l2

2

Introducendo come valori medi lungo la traiettoria v = v(l)/2 e ∆T (l) = ∆T/2, osservando cheper l’equilibrio idrostatico si ha che

dT

dr=

dT

dP

dP

dr= − dT

dPgρ

si ricava infine

v = gl[Hµ

8kT(∇−∇ad)]1/2

che unita alla precedente relazione per il gradiente ambientale fornisce un sistema di equazioniche, per ogni assunto valore della mixing length consentono la determinazione di v e ∇amb.Quest’ultimo, in particolare, fornisce il valore del gradiente di temperatura locale in presenza diconvezione e, in quanto tale, viene sovente indicato come ∇conv

Non puo sfuggire l’estrema semplificazione del modello adottato, ove -ad esempio - viene trascu-rata la viscosita del mezzo e vengono trascurati gli scambi di energia lungo il tragitto degli elementidi convezione. Ancor piu pesante e l’assunzione di una convezione per ”bolle” a fronte dell’evidenzaosservativa (nel Sole) di una convezione per colonne, e quindi ”non locale”. La teoria della mixinglength e nondimeno utilizzata come un formalismo che conduce ad una ragionevole correlazionetra le varie quantita fisiche in gioco, fornendo relazioni che finiscono col dipendere dal parametrol che, di fatto, viene a regolare l’efficienza del trasporto convettivo. In tal senso l viene riguardatocome un parametro libero il cui valore va determinato non tanto con ulteriori valutazioni teoriche,quanto sulla base di un riscontro dei risultati ai risultati osservativo sperimentali. In questo quadrola versione semplificata della teoria, qui presentata come proposta da Demarque e Geisler, e nonmeno valida della piu sofisticata versione originalmente proposta da Erika Bohm-Vitense, nella qualeveniva ulteriormente elaborato il problema del tragitto non-adiabatico dell’elemento di convezione.

Nella pratica dei calcoli evolutivi e invalso l’uso di assumere una mixing length proporzionaleall’altezza di scala di pressione, HP

l = αHP

dove HP = dlogP/dr = (1/P )dP/dr e α e scelto tra 0.5 e 2 in base alla considerazione chedifficilmente un elemento di convezione puo conservare la propria individualita per tragitti molto

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superiori a quello per cui la pressione si riduce di un e-mo. In analogia con la precedente formu-lazione, la mixing length puo essere anche riferita a l’altezza di scala di temperatura o a quella didensita. Quest’ultima in particolare ha in passato goduto di una certa popolarita, perche elimina leinversioni di pressione che talora si manifestano con l’uso HP .

Le Figure 2.9 e 2.10 riportano a titolo di esempio l’andamento dei vari gradienti nelle zonesubatmosferiche di stelle di sequenza principale di varia massa. Al diminuire della massa stellareaumenta la densita degli strati subatmosferici, aumenta quindi la capacita termica della materie e,come mostrato nelle figure, il gradiente convettivo tende sempre piu verso il gradiente adiabatico.

E’ importante notare come l’incertezza sull’efficienza della convezione superadiabatica sitrasferisca in genere in un incertezza sui raggi stellari, ma non sulle rispettive luminosita. In partico-lare si puo mostrare che per inviluppi convettivi non troppo profondi le soluzioni per diversi valori dil finiscono per convergere ad un unica soluzione interna (Fig. 2.11), Si puo calibrare α richiedendo,ad esempio, che un modello solare riproduca il raggio (e la temperatura efficace) osservato. Si ricavacosi l ' 1.8. Nulla assicura peraltro che una tale calibrazione possa essere estesa a stelle con diversamassa e/o diversa composizione chimica. Ed in effetti giganti rosse di Pop.II richiedono diversi α.

Notiamo infine come la teoria della mixing length, nei limiti in cui si accettino le predizionisulla velocita, possa fornire anche indicazioni sulla consistenza dell’overshooting. Il tragitto deglielementi nella zona radiativa e infatti ricavabile dall’applicazione del teorema delle forze vive alleforze di frenamento che in tale zona si vengono a creare.

A2.6. Integrazione degli strati atmosferici

Si e gia indicato come l’integrazione degli strati atmosferici riposi sull’equazione dell’equilibrio idro-statico e sulla diponibilta di una relazione che fornisca l’andamento della temperatura al variaredella profondita ottica τ . Tale relazione, nel caso piu generale, si ottiene come risultato di complessimodelli di atmosfera, basati sull’integrazione dell’equazione del trasporto che collega, per ogni asseg-nata direzione l’intensita della radiazione all’opacita ed alla emissivita della materia, giungendo cosia fornire predizioni sulla struttura dell’atmosfera e sulle caratteristiche dello spettro della radiazioneemergente.

Per cio che riguarda la temperatura, si ottiene una soluzione semplice nell’approssimazione diatmosfera grigia, ove si assume che l’opacita sia indipendente dalla frequenza della radiazione. Intal caso si ricava:

T 4 =1

2T 4

e (1 +3

2τ)

quindi una T (τ, Te) che per τ = 23

fornisce T = Te. In generale le relazioni esatte non si discostano

sensibilmente dalla relazione di atmosfera grigia, che fornisce cosi un utile punto di riferimento. Nellapratica dei calcoli evolutivi vengono di frequente usate correzioni semiempiriche alla distribuzionedi temperature dell’atmosfera grigia. Tale, ad esempio, la relazione di Krishna-Swami.

E’ peraltro da notare che una tale trattazione (approssimazione di Eddington) assume implici-tamente una atmosfera in equilibrio radiativo. Cio e’ in genere ben verificato perche nell’atmosferaρ → 0 e, con ρ tende a zero il gradiente radiativo. Solo in strutture di piccolissima massa (pochidecimi di massa solare) le atmosfere risultano sede di estesi moti convettivi e, in tal caso, la relazioneT (τ) deve essere solo ricavata da acconci modelli di atmosfera.

E’ anche da notare che l’equazione dell’equilibrio idrostatico

dP

dτ=

g

κ

regola l’andamento della pressione totale P = Pg + Pr. Si ha dunque

dPg

dτ=

g

κ− dPr

Ma (→ A2.2)

dPr

dτ=

Φ

c=

σT 4e

c

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e ponendo gr = (κσT 4e )/c, si puo’ scrivere

dPg

dτ=

1

κ(g − gr) = geff/κ

dove geff = g − gr assume il ruolo di gravita efficace.Nella pratica dei calcoli, l’integrazione non puo partire da τ = 0, ove l’equazione presenta

una singolarita, implicando Pg = 0 e κ = 0. Per ogni assunto Te le condizioni iniziali vengonoimposte tramite un’iterazione che conduce ad una tripletta di valori Pg, T e τ tra loro compatibili.Assumendo un valore piccolo ma finito di Pg, si adotta inizialmente T = T (τ = 0) e, ricavandodalla coppia Pg e T un valore di ρ, si ricava quindi τ da

P/τ = geff/κ(ρ, T )Adottando tale τ si ottiene una nuova temperatura e quindi un nuovo ρ , un nuovo κ e, infine,

un nuovo τ . Il processo viene iterato sino ad ottenere la convergenza.

A2.7. Algoritmi risolutivi del metodo di Henyey

Si e gia mostrato come il metodo di integrazione di modelli stellari noto come metodo di Henyeyconduca ad un sistema di 4N equazioni in 4N incognite, essendo N il numero di mesh in cui e statasuddivisa la struttura interna della stella. Ricordiamo qui alcuni tra i vari accorgimenti di calcoloin genere adottati nel raggiungere la soluzione.

E’ d’uso innanzitutto raffinare il sistema di equazioni definendo le variabili fisiche nel genericointermesh j+1/2 ponendo Pj+1/2 = (Pj+1 − Pj)/2 e simili, e scrivendo le equazioni di equilibrionella forma

Pj+1 − Pj

rj+1 − rj= G

Mj+1/2ρj+1/2

r2j+1/2

Si noti come in tale forma venga automaticamente eliminata l’apparente singolarita centrale. E’inoltre d’uso portare le equazioni in forma logaritmica, cosi da rendere piu maneggevole il calcolodelle derivate.

Lo soluzione del sistema di equazioni puo essere agevolmente raggiunta attraverso un metododi sostituzioni ricorrenti. Si consideri, ad esempio, la prima quadrupletta di equazioni che fannoriferimento al mesh centrale (j=1) ed a quello adiacente (j=2). Si e gia notato trattarsi di 4 equazioniin 6 incognite, dovendo risultare per due delle correzioni ∆L1 = ∆r1 = 0. E’ dunque possibilerisolvere per sostituzione il sistema ricavando ∆r2, ∆L2, ∆P2 e ∆T2 in funzione di ∆P1 e ∆T1 .Riportando questi 4 valori delle correzioni nella seconda quadrupletta e ora possibile ricavare le 4correzioni nel mesh 3 sempre in funzione di ∆P1 e ∆T1, e cosı di seguito sino a ricavare tutte lecorrezioni in funzione delle due incognite correzioni centrali. Tali due gradi di liberta del problemasi eliminano imponendo che r, L, P e T nell’ultimo mesh N (= base della subatmosfera) debbanocorrispondere a soluzioni dell’integrazione compiuta dall’esterno al variare delle condizioni inizialiL e Te.

Per far cio, si esegue una preventiva serie di integrazioni dall’esterno variando opportunamentele condizioni iniziali L e Te, cosi da ricavare rN , LN , PN e TN come funzioni lineari di L e Te.Imponendo la coincidenza dei valori esterni ed interni nel mesh N si ottengono infine 4 equazioninelle 4 incognite ∆P1, ∆T1, L e Te e, da ∆P1 e ∆T1 le correzioni da apportare alle variabili fisichein tutti gli altri mesh. Poiche ci siamo mossi nell’ambito di un trattamento linearizzato al primoordine, la soluzione finale sara raggiunta dopo un certo numero di iterazioni, sempre che la soluzionedi prova sia fornita all’interno della relativa area di convergenza.

Il vantaggio essenziale del metodo del fitting e di richiedere solo le 4 condizioni al contorno,senza il bisogno di fornire valutazioni preventive dell’andamento delle variabili fisiche lungo tutta lastruttura. Il metodo di Henyey si fa peraltro preferire perche il trattamento ”locale” della soluzioneconsente di affrontare strutture complesse, con discontinuitfisiche o chimiche quali si incontrano nellefasi avanzate dell’evoluzione stellare. Vedremo nel seguito come il metodo del fitting sia utilizzatocome ”innesco” del metodo di Henyey nella valutazione delle sequenze evolutive.

Ricordiamo ancora una volta come il risultato del metodo di Henyey NON dipenda dallabontdelle derivate delle discrepanze. Cio nella pratica consente alcune semplificazioni delle proce-dure di calcolo evitando la valutazione di derivate troppo numericamente onerose. Piu in generale,

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se ne conclude anche che, in assenza di errori formali nella stesura delle equazioni dell’equilibrio,i risultati dell’integrazione di un modello non dipendono dal particolare codice utilizzato ma solodalla bonta delle relazioni e/o assunzioni fisiche dal modello stesso utilizzate.

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Origine delle Figure

Fig.2.1 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.2 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.3 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.4 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.5 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.6 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.7 Castellani V. 1985, ”Astrofisica Stellare”, ZanichelliFig.2.8 Gratton L. 1978, ”Introduzione all’Astrofisica”, ZanichelliFig.2.9 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283Fig.2.10 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283Fig.2.11 Castellani V., Renzini A. 1969, Astr.Space Sci. 3, 283