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ASSOCIAZIONE DON BOSCO Anno 1 N°1

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INDICE :

La nostra associazione pag 3

La guerra, che cosa bruttissima pag 4

La storia di un santo pag 5

I vangeli delle domeniche del mese pag 7

Preghiera quaresimale pag 11

Una ricetta per voi pag 12

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La nostra associazione

Molta gente di Manfredonia passando per via San Francesco si sarà sicuramente chiesta chi è quella massa di scalmanati che anima quel tratto di strada dalle sei e mezza della sera fino alle dieci e mezza. Siete proprio sicuri di voler saperlo? Allora senza perderci in altri discorsi inutili velo dico subito: SIAMO I RAGAZZI DELL’ASSOCIAZIONE DON BOSCO. L’associazione “Don Bosco” è stata costituita ufficialmente il 18-10-2010, ma è presente e operante nella nostra cittadina già dal 2002. Il motivo principale che ha portato alla nascita di questa associazione è l’esigenza di aiutare i giovani per

fuggire al disagio giovanile. Per raggiungere tale finalità l’associazione pone al centro della propria vita associativa la formazione cristiana dei propri membri in conformità alla fede della Chiesa e della dottrina cattolica attestate o illuminate dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione Apostolica e dal Magistero della Chiesa. Inoltre, l’ associazione,nell’educazione giovanile intende ispirarsi al metodo preventivo di S.Giovanni Bosco, e più in generale alla sua opera e azione sociale, animando le serate dei giovani con diverse attività ricreative intervallate da momenti di preghiera e di catechesi. Gli ambiti per realizzare gli scopi primari qui sopra elencati in concreto sono: AMBITO DELL’EVANGELIZZAZIONE, nel quale si intende dare vita ad esperienze, iniziative ed attività di testimonianza, di condivisione e di comunione che esprimano all’uomo d’oggi la vitalità e la possibilità di incarnare la parola di Dio, la quale promuove l’unione e la solidarietà tra gli uomini. In questo ci aiutano Don Antonio D’Amico, nostra guida spirituale, Don Leonardo Petrangelo, Padre Fedele, Padre Massimo e Jacopo della comunità di Pulsano, Don Fernando nella Lection Divinae in Cattedrale, e infine il nostro presidente Antonio Di Napoli. AMBITO SOCIALE, in cui l’ associazione si propone di presentare diversi progetti riguardanti: l’affettività, rapporto genitori figli, alcolismo e tabagismo. Quest’ ambito viene portato avanti dal professore Michele Illiceto con incontri settimanali che aiutano i nostri giovani a superare la difficile tappa adolescenziale e combattere i mali proposti dalla società moderna. AMBITO DELLA SOLIDARIETA’, per mezzo dell’ attività libera e gratuita svolta dai volontari che a ciò si rendono disponibili, si impegna a collaborare con quelle realtà e soggetti che già si occupano di alleviare le sofferenze umane. A tal proposito l’ associazione Don Bosco da circa quattro anni aiuta l’ associazione U. A. L.( unione amici di Lourdes) ,che si fa carico di aiutare i diversamente abili di Manfredonia. Inoltre nella nostra associazione sono presenti ragazzi con difficoltà a livello fisico o/e psicologico a cui noi stessi ci proponiamo di prendere cura, secondo le nostre possibilità. Attualmente la nostra associazione è composta da un ordine direttivo, formato da cinque giovani e dal presidente Antonio Di Napoli che rappresenta legalmente la nostra associazione, e da ottanta iscritti che hanno un età compresa dai quindici ai ventidue anni. Infine pensando alla frase che è stata fatta centinaia e centinaia di volte nella quale si dice che i giovani sono il futuro di questa società ormai malata, lontana da Dio e dal suo grande amore e quindi bisognosa di giovani formati da sani principi concludo questa breve presentazione con una famosa frase di don Bosco che è diventata per noi la meta del nostro cammino: :<< ogni buon cristiano è innanzi tutto un buon cittadino>>.

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I VERI MOTIVI DELLA GUERRA IN LIBIA Nelle ultime settimane i mezzi di comunicazione di massa hanno posto la loro attenzione sugli avvenimenti che purtroppo ci sono in Libia. Approfittando della situazione mi piacerebbe analizzare con voi la situazione. Però prima di esprimere pareri su quello che sta succedendo torniamo alle origine, al motivo per cui è nata questa guerra che successivamente scopriremo essere nata come una rivolta. La rivolta libica ha risentito dell'effetto domino delle rivolte nei paesi vicini, in quanto, complice anche

l'utilizzo da parte delle giovani generazioni di mezzi di informazione come internet (permeabili ai tentativi di censura), le notizie degli avvenimenti in Tunisia e Egitto sono riusciti a superare la storica riluttanza al dissenso della popolazione. Negli altri stati coinvolti nella protesta il fattore di innesco è risultato l'aumento del livello dei prezzi dei generi alimentari, invece in Libia Il reddito della popolazione, inoltre, è attestato a 11.307 dollari l’anno, un parametro più elevato rispetto agli altri stati del Maghreb. Il regime tuttavia non aveva posto rimedio al grosso nodo della disoccupazione, che colpisce il 30% dei cittadini, soprattutto donne e giovani. Il fallimento dei progetti di sviluppo e di liberalizzazione, il crescente malcontento, reso più intenso dall'arrivo in massa di immigrati dall'Africa subsahariana, aveva creato un quadro di tensione esplosiva nel paese. La censura e il controllo serrato dell'informazione, insieme alla dissimulazione delle diseguaglianze del paese, abilmente oscurate dai proclami di Gheddafi contro l'imperialismo occidentale, hanno costituito, negli ultimi anni, un potente freno contro l'insorgere di sentimenti eversivi nella popolazione della Libia. Quindi la causa che ha portato a questa rivolta principalmente è nata del malcontento nei confronti della dittatura di Gheddafi, che a differenza degli altri dittatori non ha ceduto alla rivolta, e adesso le sue truppe dittatoriali stanno combattendo contro la povera popolazione che lui ha oppresso per ben 42 anni. La risposta violenta alla rivolta civile da parte di Gheddafi è stata duramente condannata dalla comunità internazionale. Il regime di Muammar Gheddafi perde l'appoggio di alcuni dei suoi più importanti diplomatici libici in Europa e nel mondo, tra cui l'ambasciatore in Italia, gli ambasciatori a Parigi, Londra, Madrid e Berlino e i diplomatici presso l'Unesco e l'Onu.La maggior parte degli stati occidentali condanna gli avvenimenti e le minacce di chiudere i pozzi di petrolio, anche se nessuno interviene ufficialmente. L'UE procede intanto all'attuazione di sanzioni contro la Libia di Gheddafi. Il 26 febbraio il presidente degli Stati Uniti d'America Barack Obama firma una serie di sanzioni contro la Libia, tra cui il congelamento dei beni di Muammar Gheddafi e dei suoi familiari. Intanto le marine di numerosi stati, tra cui gli USA e Inghilterra, si posizionano nel Mediterraneo nell'eventualità di un attacco. Gli Stati Uniti studiano un piano d'azione per intervenire, valutando la possibilità di un attacco preventivo per neutralizzare le postazioni contraeree. Però naturalmente non tutti hanno approvato l’intervento dell’Europa e degli Stati Uniti, poiché altrimenti si dovrebbe intervenire in tanti altri stati dove c’è una dittatura. Quindi si sospetta che non siano soltanto ragioni umanitarie a determinare questa azione di forza, ma forse ci sono altri interessi nel voler neutralizzare Gheddafi. Non dimentichiamo infatti che la Libia ha un’enorme tesoro che si chiama petrolio, di cui è uno dei maggiori produttori al mondo. Infine da questa riflessione sono due gli insegnamenti che dobbiamo trarre: il primo è che la il voler prevalere sull’altro porta solo all’odio, calpestando i diritti di tutti, il secondo è che dietro le guerre non sempre ci sono dei motivi umanitari e religiosi come nelle cosiddette guerre sante, che sante non sono, ma ci sono solo interessi economici e quindi di potere. Vi siete domandati perché succede questo? Perché c’è mancanza di Dio nel cuore dell’uomo, c’è mancanza della sua Parola, che è una Parola di amore e non una parola di dittatura.

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Storia di un santo

S. Filippo Neri

(1515-1595 fondatore dell'oratorio - canonizzato 1112 marzo 1622 festa 26 maggio)

I primi anni del giovane Filippo Nato il 21 luglio 1515 in un popoloso quartiere d'oltre Arno a Firenze, fu battezzato come tutti i fiorentini nel battistero di S. Giovanni con il nome di Filippo Romolo. Poco sappiamo della sua infanzia: il padre Francesco esercitava la professione di notaio; la madre, Lucrezia da Mosciano, morì molto presto e la cura del piccolo Filippo rimase affidata alla matrigna. Dalla testimonianza della sorella Elisabetta sappiamo che mentre per il suo carattere altruista e allegro era soprannominato «Pippo buono» (soprannome che gli rimase tutta la vita), non mostrò mai vocazione o devozione particolare. Unico dato certo è la frequenza del convento di S. Marco, («Quel che ho avuto di buono - avrebbe detto più tardi - l'ho avuto dai padri di S. Marco») nel quale poté respirare la spiritualità del Savonarola, ancora ben viva particolarmente negli anni della crisi politica della repubblica e dell'assedio di Firenze (1527-1530). Filippo si trasferisce a Roma

A 18 anni in ogni caso lasciò Firenze, dove non doveva più ritornare, per fare pratica di commercio pres-so un cugino a S. Germano in Campania, secondo un diffuso costume. Ma la mercatura non doveva essere la sua vocazione perché nel 1534-1535 lo troviamo già a Roma, dove sarebbe rimasto per oltre 60 anni, senza più muoversi sino alla morte, nei decenni dei mutamenti più radicali, dalle prime tensioni rifor-matrici al trionfo della Controriforma, dal Rinascimento al suo tramonto nell'emergente mondo del Barocco. Nei primi anni visse come precettore in casa di un uomo d'affari fiorentino, Galeotto del Caccia. Il suo tempo sembrava dividersi tra gli obblighi di precettore, la frequenza di alcuni corsi di teologia e filosofia presso l'università della Sapienza e lo Studio generale degli agostiniani, e un continuo pellegrinaggio spirituale solitario nell'antica Roma (delle catacombe e delle basiliche) e nella nuova Roma dei giovani di strada, degli artigiani e commercianti, degli uomini d'affari dei Banchi: l'esperienza mistica man mano prevalente e acuta nel rapporto con altri spirituali che animavano la città negli ultimi anni del pontificato di Paolo III (come Bonsignore Cacciaguerra) si unì al desiderio di riforma, nel riferi-mento alla Chiesa primitiva come modello dell'esperienza cristiana individuale e collettiva. Nel 1548 collaborò con Persiano Rosa, suo confessore, alla fondazione della Confraternita della SS. Trinità dedicata in particolare all'assistenza ai poveri pellegrini: l'attività svolta durante l'Anno Santo 1550 è quindi centrale nella sua vita, per la fusione tra l'ansia di perfezione individuale e la ricerca di una sua missione specifica per la riforma della Chiesa.

Filippo sacerdote Dopo aver ricevuto in pochi mesi gli ordini minori e maggiori, fu consacrato sacerdote il 23 maggio 1551 (alla vigilia della festa della SS. Trinità e nell'anniversario del rogo di Savonarola). Come sacerdote entrò tra i cappellani della chiesa di S. Girolamo della Carità, senza alcun emolumento da parte della confraternita che la gestiva per mantenere la sua libertà «offerens se volle servire suo arbitrio»: i cappellani di S. Girolamo costituivano una comunità ma, esercitando le funzioni di confessori e diret-tori di coscienza, diventavano, con il gruppo dei gesuiti presso la chiesa del Gesù e dei domenicani presso la Minerva, un centro di spiritualità per vasti ceti popolari e poi anche, con lo sviluppo della riforma tridentina, per uomini di Curia, prelati, appartenenti all'alta finanza e al patriziato. Rimane il fatto che i penitenti intorno a Filippo tra il 1553 e il 1555 cominciarono a prendere una fisionomia di gruppo in riunioni che diedero luogo a poco a poco alla

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costituzione dell'oratorio. Dalle letture e orazioni comuni di pochi nella cameretta di Filippo si passò a riunioni sempre più numerose in un granaio sovrastante la chiesa; nel 1564 la piccola comunità costituitasi intorno a Filippo accettò, dietro richiesta dei mercanti e politici fiorentini, la responsabilità della chiesa di S. Giovanni de' Fiorentini: qui si inserirono, mentre Filippo continuava a rimanere in S. Girolamo, i primi figli spirituali divenuti sacerdoti, Cesare Baronio, Alessandro Fedeli, Giovan Francesco Bordini (a cui ben presto altri si sarebbero aggiunti), come comunità senza vincoli di voti. Al successo sempre maggiore delle riunioni dell'oratorio, delle passeggiate devote collettive quotidiane per le vie e le chiese di Roma, delle più solenni visite alle 7 Chiese (pellegrinaggi della durata di un giorno intero con messe, prediche, canti e anche colazione all'aperto), alle quali particolarmente nei giorni di Carnevale arrivavano a partecipare in alcuni anni più di un migliaio di persone, corrispose una notevole diffidenza, particolarmente acuta durante i pontificati di Paolo IV e Pio V; ci furono inchieste da parte del vicariato romano e dell'inquisizione, essendo cosa «insolita» questo metodo di ragionamenti spirituali, con partecipazione dei laici, questa devozione che non negava la liturgia ufficiale né tantomeno i sacramenti, ma cercava nuovi spazi per la perfezione clericale e laicale al di là dei canali consueti. Resta il fatto che queste inchieste si conclusero nel nulla e che l'influsso di Filippo e del suo gruppo divenne sempre più forte anche nell'ambiente curiale posttridentino: alle riunioni e alle iniziative partecipavano i prelati e i cardinali più legati alla riforma religiosa, molti erano anche discepoli spirituali di Filippo. La comunità dei Filippini

Gregorio XIII con la bolla Copiosus in misericordia del 15 luglio 1575 riconobbe la nuova comunità, affidandole come congregazione di sacerdoti e chierici la piccola parrocchia di S. Maria della Vallicella. La vecchia chiesetta venne abbattuta e in due anni fu edificata la grande navata della maestosa chiesa attuale (ma i lavori di completamento e di costruzione degli annessi edifici di abitazione e dell'oratorio sarebbero durati a lungo) con uno sforzo anche finanziario che testimonia l'adesione che Filippo e i suoi avevano trovato nell'alta società romana. Nel 1577 i sacerdoti dell'oratorio si trasferirono alla Vallicella, tranne Filippo che non si era mai mosso dalle sue stanzette in S. Girolamo e che solo nel 1583 accettò, per le pressioni del papa e per problemi di salute, di spostarsi presso la sua comunità della quale rimase capo carismatico oltre che preposito perpetuo: ma la sua stanza negli ultimi anni di vita sembrava essere il baricentro di una vita che andava ben al di là del gruppo dei suoi collaboratori; egli era punto di riferimento e consigliere di prelati, cardinali e anche dei pontefici, ed è noto l'influsso da lui esercitato su Clemente VIII in favore dell'assoluzione di Enrico IV di Navarra. Nel 1593, in seguito a una dolorosa e lunga malattia (aveva già 78

anni), diede le dimissioni dalla funzione di proposito della congregazione (primo successore fu Cesare Baronio) e morì il 26 maggio 1595, assistito dal card. Federico Borromeo.

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Vangelo del 03-04-2011

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 9,1-41. Passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio. Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare. Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Và a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)». Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: «Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?». Alcuni dicevano: «E' lui»; altri dicevano: «No, ma gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!». Allora gli chiesero: «Come dunque ti furono aperti gli occhi?». Egli rispose: «Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Và a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista». Gli dissero: «Dov'è questo tale?». Rispose: «Non lo so».

Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco: era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri dicevano: «Come può un peccatore compiere tali prodigi?». E c'era dissenso tra di loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «E' un profeta!». Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: «E' questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?». I genitori risposero: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso». Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano gia stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga. Per questo i suoi genitori dissero: «Ha l'età, chiedetelo a lui!». Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: «Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore». Quegli rispose: «Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo». Allora gli dissero di nuovo: «Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?». Rispose loro: «Ve l'ho gia detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?». Allora lo insultarono e gli dissero: «Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè! Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia». Rispose loro quell'uomo: «Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?». E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: «Tu credi nel Figlio dell'uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui». Ed egli disse: «Io credo, Signore!». E gli si prostrò innanzi. Gesù allora disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi». Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: «Siamo forse ciechi anche noi?». Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane».

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Riflessione Agendo in favore del cieco nato, non semplicemente con una parola bensì con un'azione il Signore gli ha reso la vista. Non ha agito in questo modo senza ragione o per caso, ma per fare conoscere la Mano di Dio che, ha creato l’intero universo. Perciò quando i suoi discepoli gli hanno domandato per colpa di chi, sua o dei suoi genitori quest'uomo era nato cieco, il Signore ha dichiarato : « Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio ». Queste « opere di Dio », sono prima la creazione dell'uomo. Infatti la Scrittura ce la descrive proprio come un'azione : « Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo ». Per questo il Signore sputò per terra, fece del fango con la saliva, e plasmò il fango sugli occhi del cieco. Mostrava così in quale modo ebbe luogo la creazione originale, e per coloro che erano in grado di capire, manifestava la Mano di Dio che aveva plasmato l'uomo con la polvere...E poiché, in questa carne plasmata in Adamo, l'uomo era caduto nella trasgressione e quindi aveva bisogno del lavacro di rigenerazione, il Signore ha detto al cieco nato, dopo aver spalmato il fango sui suoi occhi : « Va' a lavarti nella piscina di Sìloe ». Gli concedeva nello stesso tempo il rimodellare e la rigenerazione operata dal lavacro. Perciò, dopo essersi lavato, « tornò che ci vedeva », affinché potesse riconoscere colui che lo aveva rimodellato e imparasse allo stesso tempo chi fosse il Signore che gli aveva reso la vista...Così colui che, in principio, aveva plasmato Adamo e al quale il Padre aveva detto : « Facciamo l'uomo, a nostra immagine, a nostra somiglianza », proprio lui, in persona si è manifestato agli uomini alla fine dei tempi e ha rimodellato gli occhi di questo discendente di Adamo.

Vangelo del 10-04-2011

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 11,1-45. Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella. Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle mandarono dunque a dirgli: «Signore, ecco, il tuo amico è malato». All'udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato». Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro. Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava. Poi, disse ai discepoli: «Andiamo di nuovo in Giudea!». I discepoli gli dissero: «Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?». Gesù rispose: «Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo; ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce». Così parlò e poi soggiunse loro: «Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo». Gli dissero allora i discepoli: «Signore, se s'è addormentato, guarirà». Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno. Allora Gesù disse loro apertamente: «Lazzaro è morto e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!». Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: «Andiamo anche noi a morire con lui!». Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro. Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello. Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa. Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risusciterà». Gli rispose Marta: «So che risusciterà nell'ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo». Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: «Il Maestro è qui e ti chiama». Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro. Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: «Va al sepolcro per piangere là». Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse: «Dove l'avete posto?». Gli dissero: «Signore, vieni a vedere!». Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei: «Vedi come lo amava!». Ma alcuni di loro dissero: «Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?». Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra. Disse Gesù: «Togliete la pietra!». Gli rispose Marta, la sorella del morto: «Signore, gia manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni». Le disse Gesù: «Non ti ho detto

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che, se credi, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato. Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». E, detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: «Scioglietelo e lasciatelo andare». Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui.

Riflessione

Gesù, alle preghiere di Marta e Maria, si incammina verso Betania, ma vi giunge quando Lazzaro è già morto. Il peccatore, quando vive abitualmente lontano da Dio, diventa insensibile al male che compie, si indurisce nel cuore e fa perire la propria anima. Cristo, però, nella sua grande misericordia non lo abbandona. La causa della rovina di molti è appunto l’assenza di Gesù nelle loro anime a causa del peccato mortale e la scarsa frequenza dei Sacramenti: «Se tu fossi stato qui-dice, infatti, Maria al Maestro divino- mio fratello non sarebbe morto». Cari fratelli e sorelle ciò che vuole dirci Dio con questa Sua Parola è che se noi moriamo dentro è perché sempre più ci allontaniamo da Lui dai suoi insegnamenti, perché facciamo sempre tutto di testa nostra e così facendo finiamo solo per rovinare il dono della vita che Dio stesso ci ha concesso. Ma Dio nella Sua grande misericordia ci manda Gesù, Suo figlio che ci viene a ridonare la vita e il tempo perso, perché solo lui è la vera vita. Perciò successivamente Gesù tramite la Chiesa ci ha donati i sacramenti, perché rimanessimo sempre legati a Lui e attraverso di Lui uniti al Padre che ci ha donato la vita. È un Dio grande che sa utilizzare anche la sofferenza per farci scoprire il vero significato della vita. Quindi alla luce di questa parola chiediamoci: Crediamo veramente che Dio è la resurrezione e la vita? Siamo capaci di “piangere” sui nostri peccati e sulle nostre debolezze? Siamo convinti che ogni preghiera che rivolgiamo con fede a Dio verrà esaudita? Liberaci, o Signore dai lacci del male e aiutaci a vedere il tuo volto di luce e di vita nel volto dei nostri fratelli nell’attesa di risorgere con te e contemplare in eterno il tuo volto glorioso, per Cristo nostro Signore. Amen

Vangelo del 17-04-2011

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 26,14-27,66

Allora Gesù disse loro: "Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti: Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge, ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea". E Pietro gli disse: "Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai". Gli disse Gesù: "In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". E Pietro gli rispose: "Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò". Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli. Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: "Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare". E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia. Disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me". E avanzatosi un poco, si prostrò con

la faccia a terra e pregava dicendo: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!". Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: "Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me? Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole". E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: "Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà". E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti. E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole. Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: "Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori. Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina". Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani

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del popolo. Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!". E subito si avvicinò a Gesù e disse: "Salve, Rabbì!". E lo baciò. E Gesù gli disse: "Amico, per questo sei qui!". Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono.

Riflessione Questa lunga lettura di oggi, apre le porte alla Settimana Santa. Una settimana di intensa preparazione, per ogni cristiano, al compimento della vita di Cristo. Di fronte a questo brano in cui si snodano le vicende delle ultime ore della predicazione di Gesù, ciò che si coglie, soprattutto, è il senso di solitudine e di sofferenza silenziosa che il Signore deve accettare su di sé.Prima il tradimento di uno dei suoi, poi il rinnegamento di Pietro, infine la dispersione degli apostoli, impauriti, addolorati, confusi, e anche un po' delusi da questo Cristo così arrendevole di fronte alla morte.Percuoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge Così è stato. Intorno a Gesù si è creato il vuoto, solo Maria e le altre donne tentano, invano, di stargli vicino. Ma il Signore è solo, abbandonato anche dalle folle che lo osannavano, dalla gente che lo cercava anche solo per toccare il lembo del suo mantello, Gesù è solo, solo con la sua Passione, con questo terribile calice da bere che non può essere né evitato né condiviso. Molte saranno state le lacrime che gli avranno rigato il volto: lacrime di dolore, soprattutto, ma anche lacrime di paura, di solitudine totale, di abbandono da parte di quelli che egli amava come se stesso e che chiamava amici.Ecco questo Cristo, sconfitto sulla croce, reietto da tutti, malfattore fra i malfattori. Ecco questo uomo, che prende su di sé ogni sofferenza del mondo, che accetta di vivere il dolore dell'umanità senza sconti, senza mezze misure. Ecco il Servo Sofferente che non alza la voce, fino a quando, nel grido finale, chiede solo il perché di questa solitudine, perché è stato abbandonato. Ecco il nostro Salvatore, che abbraccia ogni uomo fino alla fine portando con sé ogni male, per far risorgere tutto nel bene e nella vita nuova.

Vangelo del 24-04-2011

Domenica di Pasqua

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 24,13-35

Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!". Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti.

Riflessione In Questo brano colpisce una piccola e quasi insignificante frase che l'evangelista riferisce a proposito del discepolo che Gesù amava, cioè Giovanni: "e vide e credette". Può sembrare, a prima vista, banale, eppure in questa frase c'è il capovolgimento totale di una vita. L'apostolo che entra nel sepolcro, non dice parola, non fa alcun gesto, si limita a vedere, e a vedere non solo con gli occhi ma soprattutto con il cuore, perché vede qualcosa che prima non riusciva ad osservare davvero, vede la realtà delle parole di Gesù, vede finalmente quello che Egli aveva detto nella sua predicazione, vede la sconfitta della morte e la vittoria della vita, la realtà di un Dio che si è fatto carne per venire in mezzo agli uomini, vede che la sofferenza ha avuto il suo senso, che tutto si è compiuto come dicevano le Scritture. Ed è da questo nuovo "vedere" che scaturisce immediatamente e spontaneamente il "credere". La fede nasce dalla consapevolezza della Sua verità, nasce naturale, fresca, nuova, viva. Gesù in questo giorno ci fa nascere a vita nuova, e se vogliamo seguirlo dobbiamo permettere a Gesù di donarci in questo giorno un cuore nuovo, un cuore vivo capace di amare e di portare vita e speranza agli altri.

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Preghiera quaresimale

Ti salutiamo, Croce di Cristo

Ti salutiamo, Croce di Cristo,

legno che ha portato il suo corpo donato per noi nuova arca della nuova ed eterna alleanza

trono e altare dove Cristo, re e sacerdote regna per sempre

Ti salutiamo, Croce di Cristo e ti preghiamo per tutti i giovani

che vivranno in queste settimane un momento di grazia nel loro cammino di fede

e nel cammino verso la Giornata mondiale della Gioventù

Ti salutiamo, Croce di Cristo, documento che sigilla e conferma

il riscatto che Cristo ha pagato per noi per liberarci per sempre dal peccato

Ti salutiamo, Croce di Cristo,

dove viene immolato l’Agnello di Dio colui che prende su di sé il nostro peccato

e lo estirpa dal mondo e dal cuore dell’uomo

Ti salutiamo, Croce di Cristo, speranza di un’umanità nuova, liberata dal peccato

uomini e donne disposti a riconoscere come fratello e sorella per la potenza di chi, su di te inchiodato, ha donato la vita

Ti salutiamo, Croce di Cristo,

che appari a noi spoglia, nuda, senza il Crocifisso sei la conferma che lui è risorto, è vivo sei la certezza che lui è il re vittorioso donato dal Padre per redimere i fratelli

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Ricetta della Colomba di Pasqua:

come farla a casa

Oggi vi proponiamo la ricetta della Colomba di Pasqua perché possiatefarla in casa anziché acquistarne di quelle industriali. Vi assicuriamo che il sapore è totalmente diverso e che la soddisfazione di servirla in tavola in occasione del pranzo di Pasqua è enorme. Forse non tutti sanno che la colomba è un dolce tradizionale pasquale dall’inizio del 1900 per un’idea dell’industria dolciaria Motta, anche se alcuni farebbero risalire la sua storia all’epoca longobarda con la regina Teodolinda e l’abate San Colombano. Ma vediamo ora la ricetta della colomba pasquale, le giuste dosi e gli ingredienti,

come preparare l’impasto e la giusta cottura, e alcune varianti dalla classica.

L’impasto

L’impasto della Colomba di Pasqua è a base di farina, burro, uova, zucchero e canditi, come cedro, ciliegine e scorze d’arancia, con una copertura di glassa alle mandorle. Ecco a voi la ricetta:

1. Ingredienti per l’impasto di base: • 600 g di farina 00 (anche 200 di tipo 00 e 400 g di farina manitoba) • 200 g di zucchero • 250 g di burro • ½ bicchiere di latte • 6 uova (di cui 3 intere e 3 tuorli mentre i restanti albumi si utilizzano per la copertura) • 20 g di lievito di birra • 1 bustina di vanillina • 1 cucchiaio di miele • Buccia grattugiata di un limone di agricoltura biologica • 100 g di scorzette di arancia candite • 50 g di canditi misti o uvetta

2. Ingredienti per la copertura: • 200 g di mandorle non pelate • 120 g di zucchero a velo • 3 albumi d’uovo • Granella di zucchero

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Come preparare l’impasto della Colomba di Pasqua La preparazione di un ottimo impasto per la Colomba di Pasqua è in sé facile ma richiede un poco di tempo: si consiglia infatti di impastare ben cinque volte. Per prima cosa impastate 200 g di farina con il lievito e metà del latte, e lasciate lievitare al caldo per circa un’ora. Procedete con il secondo impasto unendo altri 200 g di farina, 100 g di zucchero e 125 g di burro e il resto del latte: lavoratelo fino ad ottenere un composto elastico che lascerete lievitare per altre 3 ore. Al terzo impasto aggiungete gli altri ingredienti e amalgamate bene. A questo punto fate lievitare per tutta la notte. Al mattino seguente lavorate ancora e fate lievitare nuovamente. A questo punto lavorate per la quarta volta

e lasciate lievitare. Procedete quindi con la quinta lavorazione e mettete l’impasto nello stampo a forma di colomba che coprirete e farete lievitare per l’ultima volta prima di procedere con la ricetta.

Cottura e decorazione della colomba di Pasqua

Una volta che l’impasto è nello stampo procediamo con la preparazione della copertura ovvero della glassa di zucchero e mandorle: frullate 100 g di mandorle fino a ridurle in farina, aggiungete lo zucchero a velo e gli albumi, e continuate a frullare. Distribuite la glassa di copertura sulla colomba insieme alle mandorle intere. Per la cottura preriscaldate il forno a 200°C; lasciate cuocere per un quarto d’ora, poi coprite la colomba con la carta da forno per evitare che la copertura si bruci, e abbassate la temperatura del forno a 180°C facendo cuocere per 40 minuti. Il tempo di cottura della colomba di Pasqua è quindi di un totale di quasi un’ora.