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Banche Assicurazioni Finanza Assicurazioni e sviluppo: lezioni dalla storia Contributi di G. Amato, P. Ciocca, E. Fornero, R. Pearson, G. Toniolo

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BancheAssicurazioni FinanzaAssicurazioni e sviluppo: lezioni dalla storia

In questi tempi di cambiamenti rapidissimi e talora turbolenti è cresciuta l’esigenzadi fermarsi a riflettere di tanto in tanto su dove andiamo e da dove veniamo. Lo fannoi singoli individui, lo fanno le imprese e le loro espressioni collettive, come le asso-ciazioni d’impresa.Uno stimolo importante allo sviluppo di queste iniziative è venuto dalle celebrazioniper i 150 anni dall’Unità d’Italia, a cui banche, assicurazioni, operatori finanziari – enaturalmente anche le loro associazioni rappresentative – hanno in vario modo par-tecipato e contribuito.Con lo stesso spirito costruttivo e ricostruttivo abbiamo raccolto i contributi di que-sto volume dedicato al rapporto tra assicurazioni e sviluppo economico e sociale inItalia. Personalità e studiosi che a vario titolo hanno avuto un ruolo da osservatori eprotagonisti della realtà italiana ci propongono col loro contributo una loro “versione”di questo rapporto, volta alla migliore comprensione dei fenomeni finanziari vistinel loro divenire, in particolare di come si prospetta in Italia il ruolo delle assicura-zioni per rilanciare lo sviluppo del Paese.La Storia (con la S maiuscola), da cui volenti o nolenti tutti siamo chiamati a trarrelezioni, ci aiuterà a meglio interpretare le dinamiche della società attuale nella qualesempre di più gli attori economici e finanziari sono parte di una complessa trama so-ciale.La riconfigurazione dello Stato sociale è un processo di rilievo epocale che – da qual-che anno e in modo sempre più pressante – impegna le politiche pubbliche e al tempostesso sollecita l’industria assicurativa a ripensare il proprio ruolo nell’economia enella società. Il disegno di nuovi equilibri istituzionali, d’altra parte, è compito ditale portata da richiedere la partecipazione del più vasto spettro di stakeholder: dallecompagnie di assicurazione ai regolatori, dai decisori delle politiche agli studiosi dellosviluppo economico e della storia delle assicurazioni, fino alle diverse espressionidella società civile.I contributi di questo volume offrono uno spaccato di questo spettro di punti di vista,nella prospettiva di un dialogo che la Federazione delle Banche, delle Assicurazionie della Finanza si propone di contribuire a far crescere e intensificare.

Assicurazionie sviluppo:lezioni dalla

storiaContributi di G. Amato, P. Ciocca,E. Fornero, R. Pearson,G. Toniolo

978-88-449-0933-8

€ 15,00 200007500

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Ad Armando Zimolo,con affetto e riconoscenza

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Giuliano Amatoè giurista costituzionalista,docente e uomo politico, piùvolte ministro e Presidentedel Consiglio, è stato presidentedell’Autorità garante dellaconcorrenza e del mercato.

Pier Ugo Andreiniè amministratore delegato diARAVMG 1857.

Fabio Cerchiaiè presidente della Federazionedelle Banche, delle Assicurazionie della Finanza.

Pierluigi Cioccaè stato vice direttore generaledella Banca d’Italia ed è autoredi numerosi saggi sullastoria economica, bancariae finanziaria italiana.

Michele D’Alessandroè docente di Storia economicapresso l’Università Bocconidi Milano.

Elsa Forneroè Ministro del Lavoro e dellePolitiche Sociali, professore diEconomia politica all’Universitàdi Torino, esperta di sistemiprevidenziali e di welfare, èstata membro del Nucleo divalutazione della spesaprevidenziale presso il Ministerodel Lavoro e delle PoliticheSociali.

Paolo Garonnaè segretario generale dellaFederazione delle Banche, delleAssicurazioni e della Finanza.

Robin Pearsonè professore di Storia economicaall’Università di Hull, autoredi numerosi articoli e saggisulla storia delle assicurazioni,curatore di The Developmentof International Insurance(Londra, 2010).

Gianni Tonioloè professore di Storia economicaalla Luiss di Roma, alla DukeUniversity (North Carolina),studioso di sviluppo economicoeuropeo e italiano e di storiamonetaria e finanziaria.

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Assicurazionie sviluppo:lezioni dalla

storia

Paolo Garonna, Michele D’Alessandroa cura di

Contributi di G. Amato, P. Ciocca,E. Fornero, R. Pearson,G. Toniolo

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Prefazione 7Fabio Cerchiai

Introduzione 9Pier Ugo Andreini e Paolo Garonna

1. Le assicurazioni tra Stato e mercato: quali sfideper il futuro del Paese? 17

Giuliano Amato1.1 Premessa 171.2 Dall’imprenditore individuale all’impresa assicurativa 181.3 Assicurazioni: pubbliche o private? 201.4 Concorrenza e stabilità nel mercato assicurativo 24

2. Assicurazione e crescita 27Pierluigi Ciocca2.1 Premessa 272.2 Le assicurazioni nell’Italia contemporanea 282.3 Assicurazione e crescita economica 30

3. Lo Stato sociale e le nuove sfide del welfare: il ruolocrescente del settore assicurativo privato 35

Elsa Fornero3.1 Premessa 353.2 La “dominanza dell’assicurazione” 373.3 La riforma previdenziale e il sistema “multi pilastro” 38

Sommario

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4. L’Italia e la storia delle assicurazioni in Europa:lo stato dell’arte e le prospettive 41

Robin Pearson4.1 Premessa 414.2 Per una storia dell’assicurazione 414.3 Lo sviluppo dei mercati assicurativi in Italia

e in Europa 454.4 Le direttrici della ricerca futura 50

5. Le lontane origini italiane delle assicurazioni e il lorosviluppo nell’Italia unita 55

Gianni Toniolo5.1 Premessa 555.2 Le radici italiane dell’assicurazione moderna 56 5.2.1 Le assicurazioni sociali in Italia 615.3 I rapporti tra assicurazioni private e pubbliche 62

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In questi tempi di cambiamenti rapidissimi e talora turbo-lenti è cresciuta l’esigenza di fermarsi a riflettere di tanto intanto su dove andiamo e da dove veniamo. Lo fanno i singoliindividui, lo fanno le imprese e le loro espressioni collettive,come le associazioni d’impresa.

Vengono così realizzate iniziative e analisi che guardanoal passato per comprendere meglio il presente e trarre possi-bilmente indicazioni per il futuro. È il caso dell’ormai noto“Invito a Palazzo” dell’ABI, che apre al grande pubblico i te-sori d’arte e architettonici delle banche italiane ormai da un-dici anni con indiscusso successo.

Uno stimolo importante allo sviluppo di queste iniziativeè venuto dalle celebrazioni per i 150 anni dall’Unità d’Italia,a cui banche, assicurazioni, operatori finanziari – e natural-mente anche le loro associazioni rappresentative – hanno invario modo partecipato e contribuito.

Con lo stesso spirito costruttivo e ricostruttivo abbiamopensato a questo volume dedicato alla storia delle assicura-zioni. Chiedendo a personalità e studiosi che a vario titolohanno avuto un ruolo da osservatori e protagonisti della re-altà italiana di contribuire con una loro “versione” alla mi-gliore comprensione dei fenomeni finanziari visti nel loro di-venire, in particolare di come si è declinato nel passato in

Prefazione

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Italia il rapporto tra assicurazioni e sviluppo economico esociale.

Nel ringraziare gli autori che hanno contribuito a questovolume, confido che questa analisi sia la prima di una serie diiniziative che la Federazione delle Banche, delle Assicurazio-ni e della Finanza realizzerà nei prossimi anni.

Il sodalizio che abbiamo realizzato, con la FEBAF, trova ra-gione anche nel porsi come punto privilegiato di osservazio-ne dell’industria finanziaria italiana.

La Storia (con la S maiuscola), da cui volenti o nolenti tut-ti siamo chiamati a trarre lezioni, ci aiuterà a meglio interpre-tare le dinamiche della società attuale nella quale sempre dipiù gli attori economici e finanziari sono parte di una com-plessa trama sociale.

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Siamo entrati nei secondi 150 anni dell’Unità d’Italia conuna maggiore consapevolezza del ruolo che le assicurazionihanno svolto in passato e svolgeranno nel futuro a sostegnodella crescita economica e civile del Paese.

Archiviate quindi le celebrazioni dei 150 anni e chiuso ilcantiere delle iniziative di ANIA, che a queste celebrazioni hapartecipato attivamente e contribuito – con volumi, convegnie seminari –, rimangono una esperienza importante e un vis-suto di collaborazione e di dialogo per molti aspetti inedititra economisti, giuristi, storici e cultori delle assicurazioniche, per ragioni professionali o per incarichi istituzionali,hanno intrattenuto un rapporto ravvicinato e continuato conil mondo assicurativo.

Questo volume raccoglie una serie di testimonianze, dispeciale interesse per l’autorità e la competenza delle perso-ne che le rendono, e innovative per lo sguardo d’insieme chepropongono. Testimonianze su un’industria che ha sofferto, esoffre tuttora, di un gap di percezione e di immagine presso ilgrande pubblico che ne condiziona il potenziale di sviluppo ela funzione sociale. Testimonianze che “dall’esterno”, e dapunti di osservazione diversi per ambito disciplinare e perprospettiva culturale,convergono a evidenziare una vivacità euna pregnanza di contenuti che “all’interno” dell’industria

Introduzione

Pier Ugo Andreini e Paolo Garonna

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non sono ancora pienamente percepite. Testimonianze che, apartire dalla lezione della Storia, danno chiavi di lettura sulleassicurazioni del futuro, un futuro suggestivo e stimolante,che aspetta di essere progettato e costruito da un impegnoconsapevole dei molti soggetti interessati.

I contributi di questo volume ambiscono a fornire mate-riali proprio per la costruzione del futuro, a partire dagli ele-menti di forza e di tradizione che si sono consolidati nelle vi-cende del passato e sono entrati ormai nel DNA del settore.La consapevolezza del passato rafforza il senso di identità diun settore produttivo e rende evidenti i vincoli di apparte-nenza a un’industria come quella delle assicurazioni che è an-che, e soprattutto, una comunità di ideali, di principi deonto-logici e di valori condivisi.

Ecco in sintesi i punti salienti delle testimonianze che ab-biamo raccolto nel volume. A partire da quella incisiva e au-torevolissima di Giuliano Amato. Amato fonda il propriocontributo anche sulla sua esperienza passata di Presidentedell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. An-zitutto sgombra il campo dall’idea – semplicistica e diffusa –che lo Stato, in veste di assicuratore pubblico, sia sempre enecessariamente più affidabile del soggetto privato. Infatti, seè vero che i rendimenti promessi dal settore privato sono sog-getti all’alea degli andamenti di mercato, è altresì vero che lapolitica, pressata da circostanze diverse e imprevedibili, puòmodificare le regole del gioco e deludere aspettative radicatedi protezione dal rischio. È quanto avvenne, per esempio, conla riforma pensionistica del 1992, voluta e disegnata dallostesso Amato nella veste di Presidente del Consiglio. Stato emercato sono dunque entrambi in certo senso “fallibili”, ed èperciò un bene che concorrano entrambi nell’offerta di pro-tezione dei cittadini, specialmente per ciò che concerne i ri-schi che riguardano la vita umana.

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Amato propone quindi una coraggiosa e appassionata ri-lettura della sua esperienza a capo dell’Antitrust. Di straor-dinario interesse è il suo riconoscere che, nel caso delle assi-curazioni, contrariamente a quanto si riteneva e poteva averlui stesso pensato nel passato, vi sono molte valide ragioniper considerare lo scambio di informazioni tra compagnieconcorrenti come una pratica non necessariamente collusiva,bensì dettata dalla necessità di condividere la più ampia baseinformativa possibile allo scopo di raggiungere più alti livellidi efficienza nel disegno e nell’offerta di prodotti assicurativi.Le assicurazioni, in altri termini, devono essere guardate dalregolatore con un’attenzione specifica, e con grande cautela,al fine di controbilanciare i diversi interessi pubblici in gioconel modello di business, come da una parte quello della con-correnza e, dall’altra, quello della valutazione compiuta delrischio.

Pierluigi Ciocca, banchiere centrale, storico economico efine economista, si propone di portare l’attenzione del pub-blico sulla significatività della relazione che lega assicurazio-ni e crescita economica. Il suo richiamo è particolarmentebenvenuto e opportuno perché ricorda a tutti noi quanto lesorti delle singole compagnie e del settore siano collegate aquelle dell’economia nazionale nel suo complesso. Tanto piùche il nesso non procede solo in una direzione – ossia dallacrescita economica allo sviluppo dell’attività assicurativa –ma anche in quella opposta: la crescita del settore assicurati-vo è capace infatti di stimolare la crescita dell’economia. Ciòavviene sia direttamente, sia indirettamente, nella misura incui l’attività delle compagnie di assicurazione rafforza l’am-piezza, l’efficienza e la stabilità dei mercati finanziari.

Ciocca conclude invitando a promuovere studi di caratte-re storico-econometrico sul contributo delle assicurazioni al-

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la crescita economica italiana, possibilmente distinguendo trai contributi più propriamente assicurativi e quelli dell’inter-mediazione finanziaria.

Studiosa dei sistemi previdenziali e di welfare, Elsa Forne-ro si sofferma sui nuovi rischi – di natura macro e microeco-nomica – collegati all’invecchiamento della popolazione esulle opportunità che si aprono allo sviluppo di un settore as-sicurativo avanzato e moderno grazie al progressivo ripiegodello Stato dall’offerta di coperture attraverso le assicurazio-ni sociali e il welfare state. È la transizione dal “vecchio” al“nuovo” welfare. Dopo avere illustrato la portata storica del-le riforme previdenziali realizzate nel nostro Paese negli ulti-mi anni, soprattutto il passaggio dal sistema retributivo aquello contributivo, Fornero, che è stata protagonista di que-sta stagione di riforme, sollecita il settore privato a sviluppareulteriormente la previdenza complementare e a proporreprodotti assicurativi adeguati ai nuovi profili di rischio, in unalogica di attiva collaborazione tra Stato e mercato.

Il contributo di Robin Pearson è particolarmente signifi-cativo, in quanto inquadra il tema in una prospettiva europeae si basa sulla sua esperienza di leader di team internazionalidi ricerca sulla storia comparata dello sviluppo assicurativo.Pearson si propone di offrire un quadro articolato e stimolan-te delle prospettive future della ricerca storica in tema di as-sicurazione. Dopo aver presentato un breve ma suggestivoprofilo storico dello sviluppo dell’assicurazione nel mondooccidentale, illustra un metodo di lavoro ad ampio spettro,inusuale negli studi del settore, che dovrebbe essere capace diavvicinare alle assicurazioni sensibilità e culture diverse diopinione pubblica.

Il programma di ricerca descritto da Pearson attinge al-l’antropologia, all’economia del comportamento e alla socio-

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logia. Particolarmente interessante, in questo quadro, è l’ideache il rischio rappresenta essenzialmente un costrutto socialee cognitivo, ragione per cui la diffusione dell’assicurazione,specialmente nelle società tradizionali o “non occidentali”, èstoricamente influenzata da variabili politiche e culturali, ol-tre che da quelle tecnologiche e di mercato. Altrettanto sti-molante è la visione dell’assicurazione come strumento dicontrollo sociale dei comportamenti individuali, strumentoche premia la “rettitudine” e il senso di responsabilità e san-ziona invece stili di vita “opportunistici” e di cattiva cittadi-nanza.

Nell’agenda di ricerca di Pearson spiccano il focus sullanecessità di promuovere la dimensione internazionale e com-parata degli studi, a partire dai dati statistici e dalla costruzio-ne di serie storiche confrontabili a livello internazionale.

Gianni Toniolo, storico dell’economia e studioso dello svi-luppo economico, si concentra sul profilo storico delle assicu-razioni in Italia, illustrando le ragioni per cui il contratto as-sicurativo “moderno” nacque, si affermò e si perfezionò pro-prio nel nostro Paese, fra tardo Medioevo ed Età Moderna –quando, cioè, l’Italia era al centro dell’area economica più di-namica del mondo, il Mediterraneo – per poi trovare sviluppoe più avanzate realizzazioni in Europa nordoccidentale,quando l’economia atlantica divenne il motore dell’econo-mia mondiale. Nonostante il declino economico relativo delnostro Paese dopo il Rinascimento, nel Settecento l’Italia eraancora sufficientemente ricca da trovare le risorse finanziarieper dare vita a moderne compagnie assicurative in forma so-cietaria. Il vero sviluppo di un mercato assicurativo “naziona-le” venne però, naturalmente, solo con l’industrializzazionediffusa e con la crescita economica tumultuosa dell’epoca po-stunitaria.

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Anche Toniolo propone due prospettive promettenti perla ricerca futura: da un lato la divisione di compiti tra pubbli-co e privato nell’offerta di coperture assicurative, ispirata piùda una logica di complementarità che da reciproca esclusio-ne; dall’altro l’apparente contraddizione inerente al contrattoassicurativo, che, nel fatto stesso di provvedere protezionedal rischio, incoraggia a intraprendere, innovare e anche adassumere comportamenti rischiosi, determinando quindi unamolla formidabile all’imprenditorialità e al progresso econo-mico. Di qui il nesso fondamentale tra sviluppo delle impresee assicurazione.

Lo studio delle relazioni tra sviluppo economico e assicu-razioni ci porta al cuore delle dinamiche di cambiamento del-l’economia e della società del nostro tempo. Parlando di assi-curazioni è difficile non rendersi conto, infatti, di come le at-tuali crisi di congiuntura e di struttura siano legate a cambia-menti epocali nel modo di essere della società e nei bisogniessenziali di protezione dei cittadini. Pensiamo all’allunga-mento della vita e all’invecchiamento della popolazione. Pen-siamo alla globalizzazione e agli effetti che essa ha avuto sulmercato del lavoro e sulla finanza pubblica. Pensiamo, ab-bracciando un più vasto orizzonte sociale, ai cambiamentinella composizione dei nuclei familiari e alla crescita delle di-suguaglianze e delle forme di esclusione sociale. Negli anniquesti fenomeni hanno acquisito vigore e spessore, creandonuovi rischi e nuove domande di protezione. Hanno spinto loStato, gravato da un debito sempre più preoccupante, a cer-care di comprimere la spesa pubblica e i trasferimenti delwelfare e ad adottare nuovi criteri per svolgere il suo ruolo digaranzia e di redistribuzione. La recente crisi finanziaria edeconomica, sovrapposta alle contraddizioni che venivano viavia intrecciandosi e stratificandosi, ha per un verso compro-

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messo ulteriormente le possibilità di intervento pubblico diprotezione e, per altro verso, l’ha reso ancor più necessario eurgente imponendo un’incisiva azione di riforma.

Alla luce di questi sviluppi, pare giustificata l’impressioneche ci troviamo di fronte a una fase di passaggio, a un’impor-tante cesura, forse addirittura alla conclusione di una lungaepoca storica. È al tramonto ormai quel modello di sviluppoche, con i suoi assetti istituzionali e la sua ripartizione di com-piti tra pubblico e privato in materia di welfare, aveva carat-terizzato l’economia italiana del secondo dopoguerra. Lamappa dei nuovi rischi sociali, individuali e collettivi, oggiemerge quindi ridisegnata nei suoi tratti portanti, prospettan-do nuovi bisogni espressi dalla società civile e nuove esigenzedi copertura. È una transizione ineludibile, che prelude anuovi equilibri e assetti istituzionali e di mercato. Essa solle-cita e giustifica una riflessione di fondo sul ruolo che l’assicu-razione ha giocato in precedenti contesti storici, prima deimoderni welfare state centralizzati, e – più ancora – sul ruoloche può giocare nel futuro.

È singolare che questa riflessione stimolante sia propostada contributi che vengono dall’esterno del settore assicurati-vo, quali sono quelli raccolti nel presente volume. Essi rap-presentano il necessario complemento ai contributi “dall’in-terno” offerti in altri lavori (si pensi ad esempio al volumeAssicurare 150 anni di Unità d’Italia, pubblicato da ANIA nel2011). Industria e stakeholder, stakeholder e industria nonpossono che lavorare insieme per ricostruire una visione pro-spettica sulla funzione economica e sociale che le assicurazio-ni si accingono ad assolvere. Per costruire il futuro delle assi-curazioni nel nostro Paese.

Questo percorso comune è stato avviato, e ha già prodottoprimi promettenti indicazioni e risultati, come documentano

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le pagine di questo lavoro. Il “racconto” di come il mondodelle assicurazioni è stato considerato e vissuto da mondicontigui e fortemente interconnessi è valso e vale a creareuna rete di expertise e di cultura delle assicurazioni. Questarete può giocare un ruolo essenziale nel promuovere imma-gine e reputazione delle assicurazioni presso il grande pub-blico, i media e il mondo delle istituzioni pubbliche. Storicid’impresa e storici economici, studiosi dei sistemi finanziari edei sistemi di welfare, esperti di media e tecnologia, o ancoragiuristi delle assicurazioni e regolatori concorrono tutti, cia-scuno per la sua parte, a costruire, in una relazione dialetticacon l’industria, un’identità robusta e il più possibile condivi-sa, e a valorizzare il ruolo sociale delle assicurazioni.

Questo è il sottile filo rosso che lega i diversi contributi diquesto volume. Questo filo dovrà essere ancora tessuto, nu-trito e intrecciato nel futuro per consolidare il rapporto es-senziale che unisce il settore assicurativo agli altri attori dellosviluppo economico e sociale del Paese.

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1.1 Premessa

Mi è capitato di portare il centocinquantesimo anniversa-rio dell’Unità in giro per l’Italia con gli argomenti più vari. Inquesta sede, parlando di assicurazioni, ritengo che ne valgaparticolarmente e realmente la pena. Infatti, proprio rifletten-do sulle assicurazioni ci rendiamo conto che la nostra storianon è cominciata 150 anni fa, bensì molto tempo prima. È co-minciata, fra l’altro, con la storia delle assicurazioni, che ci of-fre essa stessa motivi di orgoglio per il rafforzamento della no-stra identità di italiani, motivi che ci servono di sprone a farequalcosa di cui si possa essere orgogliosi anche per il futuro.

La storia delle assicurazioni, come emerge dai profili sinqui analizzati dagli studiosi, è storia di quelle “grandi inven-zioni italiane” che resero il nostro Paese, come ha scritto Ruf-folo, una grande “potenza”, non solo a partire dai tempi diRoma, ma anche nel tardo Medioevo e fino a tutto il Cinque-cento. Un lungo periodo in cui, diciamo la verità, si deve al-l’Italia, e agli italiani, alla loro formidabile capacità inventiva,la creazione di quelle infrastrutture organizzative, istituzio-nali e finanziarie che costituirono le fondamenta dello svilup-po economico e commerciale del mondo allora conosciuto.

1. Le assicurazioni tra Statoe mercato: quali sfide

per il futuro del Paese?

Giuliano Amato

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1.2 Dall’imprenditore individuale all’impresaassicurativa

I primi contratti assicurativi dell’era moderna, infatti, sono“italiani”. La prima quietanza di assicurazione di cui dispo-niamo fu compilata il 22 aprile 1329 a Grosseto, dove esistevaun porto che riceveva merci da una vasta area del Mediterra-neo. Nel caso specifico, si trattava di un carico di prodotti tes-sili che da Tunisi doveva raggiungere Firenze.

Ma le prime assicurazioni nacquero a Genova. Ed è a Ge-nova che si formò gradualmente la convinzione che il con-tratto assicurativo andasse reso autonomo, distinto e scorpo-rato dal credito. Progressivamente esso divenne così il fonda-mento di una normazione e di un insieme di meccanismi isti-tuzionali specifici. L’Italia, quindi, con i suoi diversi istituti eprodotti, partecipa – nella cornice di un processo che cono-scerà la sua piena maturazione ed espansione con i Lloyds diLondra – alla trasformazione di un’attività individuale inun’attività d’impresa, perché soltanto in quanto attività d’im-presa l’assicurazione riesce a consolidarsi e a realizzare com-piutamente i propri fini.

Il sensale che aveva operato sin dalle origini e per un lun-go periodo stipulando contratti e assumendo rischi, palese-mente mancava delle due caratteristiche essenziali che ren-dono possibile l’attività di assicurazione in tutta la sua effi-cienza e capacità industriale: la raccolta dei premi e la ripar-tizione dei rischi, il che, per l’appunto, presuppone un’orga-nizzazione di impresa.

Quindi il passaggio dall’imprenditore individuale, dal sen-sale, alla dimensione d’impresa in campo assicurativo è una in-novazione di grande portata, comparabile al passaggio dallaruota quadrata alla ruota tonda. Oggi queste cose sembranoovvie e scontate, ma prima di arrivare alla ruota tonda passa-rono anni e anni, senza contare che solo con la ruota tonda si

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arrivò all’invenzione del freno. L’impresa di assicurazione co-me tale è un’organizzazione complessa. Essa rappresenta ilpunto di arrivo di un insieme straordinario di invenzioni, chenascono e si sviluppano nei commerci, concorrendo a far emer-gere il principio specifico del business model assicurativo.

All’inizio l’assicurazione era strumentale al solo sviluppoeconomico, non riguardava lo sviluppo sociale. Questo lega-me si rivelò sin dall’inizio forte e irrinunciabile, in particolareper ciò che concerne le attività economiche più rischiose.Non a caso l’assicurazione nasce nel trasporto marittimo, per-ché la nave può naufragare, perché la merce potrebbe non ar-rivare mai, potrebbe essere depredata dai pirati, e così via. Efinalità dell’assicurazione fu proprio quella di tramutare il ri-schio elevatissimo insito nelle attività economiche nel suo op-posto, la sicurezza.

Questo è un punto cruciale che va tenuto in conto ancheper il presente e per il futuro. Un autorevole professore distoria del diritto dei miei anni verdi, Giovanni Cassandro, chefu tra i primi giudici della Corte Costituzionale e che insegnòanche la disciplina giuridica delle assicurazioni, aveva citatoin uno dei suoi scritti, che mi capitò sotto gli occhi quando eroun giovane studioso, un documento assicurativo venezianodel Quattrocento che collegava il contratto assicurativo al“viver seguri quando si può”. L’idea semplice, ma dotata diun’intrinseca straordinaria energia, quasi un’energia “atomi-ca”, è che l’attività d’impresa, commerciale ed economica, èdi per sé fonte di mille rischi che occorre conoscere, valutaree gestire. Di qui l’esigenza di rendere sicura l’attività d’impre-sa “quando si può”, controllandone l’esposizione al rischio,anzi ai diversi rischi. Quando divenne impresa, perciò, l’assi-curazione assunse su di sé un compito gigantesco. Come qual-che giurista ha scritto, trasformare un’attività aleatoria, “perquanto si può”, in un’attività non aleatoria. Importantissimafunzione, non soltanto per tranquillizzare gli operatori eco-

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nomici, farli concentrare sul rischio del core business di im-presa, ma anche per facilitare il finanziamento delle loro atti-vità, il convogliamento di energie e di risorse su prodotti eprocessi che, ove dovessero andar perduti, non andrebberomai interamente perduti. L’assicurazione divenne perciò unostrumento fondamentale di sostegno all’attività economica eallo sviluppo produttivo. Ed è per questo motivo che, via viache prese corpo, fu assoggettata a una disciplina pubblica diparticolare incisività.

Ma prima di arrivare a trattare questo punto, che poi miporterà inesorabilmente al tema della concorrenza, della stabi-lità del mercato e della relazione tra Stato e mercato, non pos-so non ricordare che le Assicurazioni Generali, nate sia pure inun contesto non ancora italiano, con i suoi dirigenti, furonoprotagoniste nel 1848 dell’innesto del tricolore sul “leone diSan Marco”. Questo rimarrà un merito storico di coloro chedirigevano le Generali allora, e che subirono l’esilio quando fi-nì la vicenda gloriosa della Repubblica di Venezia. Oggi è do-veroso ricordarlo, anche perché c’è chi ha provato a sconnette-re il leone di San Marco dal tricolore, ma dal Risorgimento inpoi i due elementi sono inesorabilmente legati, e lo sono rima-sti anche per le Generali. È stato ricordato infatti che le Assi-curazioni Generali, nate a Trieste nel 1831 e già due anni dopoinsediatesi anche a Venezia, sono diventate da allora parte in-tegrante del patrimonio storico e produttivo italiano.

1.3 Assicurazioni: pubbliche o private?

La disciplina pubblica del settore assicurativo è dunqueinizialmente legata al ruolo che esso svolge di trasformazionedell’aleatorio in non aleatorio. Ma si spiega e si sviluppa an-che in relazione al cambiamento profondo che ha subito l’as-

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sicurazione quando è passata dall’assicurare soltanto i com-merci ad assicurare i rischi della vita umana, toccando i biso-gni essenziali delle persone. È questo il processo, che è statodescritto e studiato ampiamente, che parte con le casse mu-tue e genera l’assicurazione sulla vita, l’assicurazione sull’in-validità, e sta arrivando oggi – ne abbiamo avuto già moltiesempi – fino all’assicurazione privata sulla sanità, sulla di-soccupazione, sulle attività professionali, e quant’altro.

Il contributo delle assicurazioni private allo sviluppo eco-nomico appare fuor di dubbio in rapporto a tutto ciò che sto-ricamente abbiamo visto emergere e profilarsi in relazione allagestione e riduzione dei rischi corsi da chi svolge attività com-merciali e attività imprenditoriali. Ma quando entrano in giocoi “rischi della vita” e i bisogni fondamentali di protezione deicittadini, ci si potrebbe chiedere, e ci si è chiesto, di chi sia ilcompito di fornire protezioni e garanzie, se del pubblico o delprivato. La conclusione cui si è arrivati, e che io condivido pie-namente, è che è bene che questo compito sia di tutti e due, delpubblico e del privato. Va infatti eliminata l’illusione, o se vo-lete il pregiudizio, che “se la protezione è prestata dallo Statoè sicura”, mentre “se è dell’assicurazione privata è a rischio”,dal momento che l’assicurazione privata è condizionata nelfornire protezione da quello che sarà il rendimento sul merca-to degli investimenti che ha fatto dei contributi ricevuti.

Gli italiani dovrebbero aver imparato, anche a causa di de-cisioni che ho assunto io stesso quando avevo responsabilitàdi governo, che le assicurazioni pubbliche sono sempre sog-gette a un rischio “politico”, con la possibilità di riduzionidelle garanzie e delle prestazioni rispetto alle aspettative ini-ziali, a volte anche superiori a quelle che si determinano inragione della fluttuazione dei rendimenti di mercato. Nonhanno perciò fondamento la convinzione e l’aspettativa cheil trattamento che riceverò dallo Stato sarà quello che miaspettavo all’inizio, coerente con la promessa politica di allo-

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ra. Non è così, perché può arrivare il momento, come arrivòquando ero al governo nel 1992, in cui lo Stato decide – e nonsi pretenda che io non sia d’accordo con la decisione che fuadottata allora – che ancorare l’evoluzione dei trattamentipensionistici all’evoluzione dei salari è sbagliato. I trattamen-ti pensionistici hanno ragione di essere correlati al tasso di in-flazione e al suo andamento, ma siccome il pensionato nonproduce, non può esserci nell’incremento della sua pensionequella porzione di incremento che i salari riescono ad averein ragione della crescita della produttività. Così ragionammo,e da allora i trattamenti pensionistici crescono solo in ragionedel tasso di inflazione, e non sono più agganciati ai trattamen-ti salariali, che crescono non solo in ragione del tasso di infla-zione ma anche di quello della produttività. Per non parlaredel successivo passaggio, operato dalla riforma Dini, dal siste-ma retributivo a quello contributivo.

Insomma, nella protezione pubblica c’è sempre insito unrischio politico: lo Stato può decidere per ragioni di interessecollettivo di apportare delle modifiche, mentre questo nonavviene per le assicurazioni private. In rapporto alla mia assi-curazione, ho un titolo giuridico che è di tipo privatistico, è undiritto di credito che ha un certo connotato, con tutti i rischiinclusi, ma le condizioni contrattuali non possono essere mo-dificate. Con lo Stato, invece, il rapporto è tutto unilaterale: èlo Stato che stabilisce quali sono le condizioni dei suoi tratta-menti, e può cambiarle in relazione alle sue diverse esigenzee volontà politiche. Questo è un punto da tenere presente perevitare di contrapporre assicurazioni pubbliche e private inmodo eccessivamente dicotomico, mettendo le prime sul pia-no della sicurezza sociale e le altre invece su quello dell’aleasociale.

Tanto più che tanto sul terreno commerciale (privato)quanto su quello sociale (pubblico), quel “viver seguri quan-do si può” e quella trasformazione dell’aleatorio in non alea-

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torio è parte di un processo di approfondimento e affinamen-to organizzativo e operativo del sistema delle assicurazioniche si fonda su un elemento cruciale: l’informazione. Il signorLloyds diceva: “qui ho i comandanti delle navi, loro mi dico-no quello che succede, mi fanno sapere dei singoli casi; io rie-sco a valutare l’entità e l’intensità del rischio – e quindi a fareil mio mestiere di assicuratore – se ho un’informazione la piùampia e articolata possibile di come vanno esattamente le co-se”. A partire da qui si sviluppano le tecniche e i modelli sta-tistico-attuariali che, avvalendosi dello sviluppo delle discipli-ne accademiche e scientifiche, sono alla base del modello dibusiness assicurativo. Sulla completezza e sulla maggior pre-cisione possibile dell’informazione si fonda la capacità di pre-vedere, gestire e ridurre il rischio, tanto per l’assicurato quan-to per l’assicuratore. E quindi dalle scommesse su “quandomorirà il Papa”, tipicamente aleatorie, lo sviluppo delle assi-curazioni porta allo studio delle aspettative di vita, dei tassi dimortalità, delle connessioni tra certe malattie e gli anni resi-dui di vita, e su tutto quel complesso di dati e modelli che per-mettono di valutare come un dato premio, versato per un cer-to numero di anni, sia in grado di coprire un certo numero dirisarcimenti o di anni di erogazione di rendita. Questo com-puto attuariale è sempre più fondamentale oggi, dove nelcampo dell’assicurazione vita abbiamo iniziato a studiare illongevity risk, ossia la speranza degli esseri umani di campareil più a lungo possibile. Dal punto di vista dell’assicurazione,il pensiero che a suo tempo, in linea con il ragioniere generaledello Stato, preoccupava Totò era il seguente: “Loro vivono,e io pago. E se non bastano i contributi che loro hanno versa-to, sono io che pago!”. Come collateralizzare il longevity riskè uno dei problemi più delicati e complessi del nostro tempo,in cui le aspettative di vita si prolungano sempre più e per-mangono gravi incertezze sugli andamenti demografici nelleetà anziane. Questa osservazione mi serve da prologo per la

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parte finale del mio intervento, che vorrei dedicare al rappor-to tra concorrenza e stabilità del mercato assicurativo.

1.4 Concorrenza e stabilità nel mercato assicurativo

Ci tengo ad affrontare io stesso questo tema, a ricordo del-le sofferenze che inflissi alle assicurazioni quando ero presi-dente dell’Antitrust. Il mio carissimo amico, Alfonso Desiata,era allora presidente dell’ANIA. In un’occasione come questadobbiamo ricordarlo perché ha dato tantissimo alla cultura ealla tecnica dell’assicurazione in Italia, e ha dato tantissimo acoloro che hanno avuto la fortuna di passare un po’ della lorovita con lui. Un giorno Desiata decise di portarmi con sé a unincontro con alcuni dirigenti delle assicurazioni a Milano.L’impressione che mi è rimasta dell’atmosfera di quell’incon-tro era, lì per lì, più o meno analoga a quella che doveva esser-ci quando le comunità cristiane di Costantinopoli vennero vi-sitate dai primi Imam musulmani dopo la conquista turca del-la capitale di Bisanzio: tutti mi guardavano nello stesso modoin cui le comunità cristiane suppongo guardassero l’Imam nel-la trepidante e minacciosa aspettativa che Santa Sofia potessediventare un tempio musulmano e venisse girata verso laMecca! Fu certamente un incontro difficile. Io credo di averavuto allora le mie buone ragioni: mi aspettavo infatti che dal-l’accettazione e dalla diffusione nell’industria dei modellicomportamentali tipici della concorrenza derivasse uno sti-molo essenziale affinché i costi particolari e specifici, e quindile efficienze interne, si adeguassero alla dinamica evolutivadel mercato. Volevo contribuire a mettere termine a situazionidi collusione portatrici di staticità e poca innovazione.

Quindi non sono pentito delle iniziative che allora assunsicome Antitrust.

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Però, facendo tesoro degli anni trascorsi e della riflessio-ne, sono arrivato a concludere che in questo campo non esisteun problema di scelta “o - o”. C’è invece un problema di con-temperamento reciproco di diverse esigenze, che per certiversi è ancora più complesso e necessario di quello che esistenel sistema bancario, dove – come ben sappiamo – alla stabi-lità la concorrenza paga dei prezzi. Nel settore assicurativo,infatti, è del tutto critica e decisiva la compenetrazione che sidetermina tra il livello più elevato di informazioni a disposi-zione di ciascun operatore e il miglior assolvimento del suocompito, che è quello di adeguare al minimo rischio, per sestesso e per l’assicurato, il rapporto che si viene instaurando.

Sulla rivista di cui sono direttore, Mercato concorrenza re-gole, è stata pubblicata una scheda sulla decisione del Consi-glio di Stato sul caso IAMA, accompagnata da due commentiesattamente opposti. Le informazioni raccolte da quel con-sorzio in qualunque altro settore sarebbero ritenute fonte dicollusione tra gli operatori, che non hanno nessun bisognoper svolgere la propria attività di avere informazioni cosìanalitiche su ciascuno dei concorrenti in relazione alle singo-le operazioni. L’argomento è il seguente: “Se hai tutte quelleinformazioni non corri più nessun rischio e quindi, se noncorri più nessun rischio, che imprenditore sei? Un po’ di ce-cità fa parte dei prerequisiti della concorrenza”. Ma tutta lavicenda dell’assicurazione, del senso del suo contratto, dellasua missione e della sua attività porta a domandarsi fino aqual punto questo argomento valga nei rapporti tra le impre-se assicurative. A tale quesito c’è chi risponde che non fa dif-ferenza, ma c’è chi dice invece che la differenza c’è e che ilconfronto concorrenziale si deve svolgere su altri terreni. So-no questioni rilevanti e complesse, su cui dobbiamo continua-re e approfondire la riflessione.

Vorrei chiudere questo mio contributo invocando propriosu questo tema studi e ricerche che oggi non abbiamo a suf-

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ficienza e di cui abbiamo bisogno. È necessario che a questistudi contribuiscano statistici attuariali ed economisti. Notoinfatti che nelle decisioni in materia le argomentazioni sonotalora svolte con molta approssimazione sulla base di quelloche una volta si chiamava “il buon senso dei giuristi”. Si dice:“Ma queste sono informazioni pubbliche, quindi come tali so-no comunque disponibili”; oppure: “Sì, sono pubbliche, peròrese con un livello di analiticità così elevato producono unservizio che…”. E così via. Questi argomenti non possonoavere in nessun modo carattere risolutivo. Vi è la necessità dicapire esattamente quanta informazione serve alla minimiz-zazione del rischio. La storia delle assicurazioni è una storiatutta fatta di approfondimenti tecnico-organizzativi, ad altaintensità di ricerca quindi. Oggi questi investimenti servonoancora di più, e nel futuro sempre di più, perché i rischi socia-li e i grandi rischi che vengono caricati oggi sulle assicurazio-ni comportano elevati gradi di incertezza, che solo l’informa-zione, maggiore e migliore, è in grado di fronteggiare e con-trastare. Su un mercato di prodotti tessili, di scarpe o di auto-mobili queste osservazioni potrebbero non avere alcun sen-so, ma nel settore assicurativo ne hanno molto.

Abbiamo bisogno di entrare nei prossimi 150 anni di sto-ria italiana delle assicurazioni evitando qualunque forma dicollusione tra le imprese e di ostacoli alla concorrenza. Madobbiamo riconoscere il ruolo istituzionale e specifico che leassicurazioni hanno in relazione al loro modello di business.Dobbiamo liberarle dal sospetto, che troppo spesso si con-sente aleggi, che esse esistano per portar via il risparmio delpovero consumatore. Dobbiamo dar loro credito per quantohanno fatto e possono fare nel futuro per lo sviluppo econo-mico e sociale del Paese.

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2.1 Premessa

L’iniziativa dell’ANIA di promuovere il volume Assicurare150 anni di Unità d’Italia. Il contributo delle assicurazioni allosviluppo del Paese (Garonna, 2011), è legata al 150° dell’Uni-tà d’Italia. Personalmente, l’ho vissuto anche come membrodel Comitato dei garanti per le celebrazioni, presieduto daCarlo Azeglio Ciampi, prima, da Giuliano Amato, poi.

Rispetto ai timori iniziali, stante la carenza di fondi, le ce-lebrazioni sono state un successo. E ciò è avvenuto – occorresottolinearlo – sebbene l’economia italiana dal 1992 sia venu-ta avvitandosi in quello che più di dieci anni fa chiamai “pro-blema di crescita”. Oggi il problema è di piena evidenza. Vi siaggiunge l’altro, non meno grave, di un Pil di nuovo in caduta,da un livello già di 4-5 punti percentuali inferiore al potenzia-le produttivo.

Riprendo la definizione di attività assicurative da un miostraordinario insegnante di matematica e di probabilità, Bru-no de Finetti: “Prestazioni aleatorie in denaro tra due indivi-dui, o enti, per uno dei quali (l’Assicurato) esse comportanouna riduzione del rischio, mentre per l’altro (l’Assicuratore)comportano un’assunzione di rischio” (de Finetti, Emanuelli,1967, p. 251). A propria volta, nei suoi scritti in materia de Fi-

2. Assicurazione e crescita

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netti cita spesso, fra gli economisti, Ulisse Gobbi: “Il procedi-mento che consiste nel riunire molti elementi soggetti a un ri-schio in modo da mettere a carico di ciascuno una quota dellaspesa preventivabile per la loro massa, è quello dell’assicura-zione: il rischio individuale è trasformato in una spesa certa”(Gobbi, 1935, p. 60).

2.2 Le assicurazioni nell’Italia contemporanea

Quella delle assicurazioni nell’Italia contemporanea è unastoria nell’insieme di successo, in cui le ombre non oscuranodel tutto le luci, come il libro pubblicato dall’ANIA raccontacon dovizia di dati e di dettagli.

Nei primi decenni dell’Ottocento, quando l’economia del-la Penisola si avviava a diventare economia di mercato capi-talistica, l’Italia si segnalava in Europa per un ritardo sia nel-la domanda sia nell’offerta di prodotti assicurativi.

Se le prime ditte assicurative sono sorte, a Torino e a Trie-ste, intorno al 1830, ancora nel 1870 i miei dati indicano unostock dei loro investimenti non superiore allo 0,5% delle at-tività totali degli intermediari finanziari italiani di allora e al-lo 0,1% del Pil. Cento anni dopo, nel 1970, le due percentualierano salite rispettivamente al 5 e all’11%. Oggi nel nostroPaese tutta la gamma dei servizi assicurativi è in vario gradodomandata da individui e imprese. È offerta da circa 240 ditteper lo più di consolidata reputazione, ben regolamentate esupervedute dall’Isvap. I loro investimenti sono saliti al 10%delle attività degli intermediari finanziari e al 30% del Pil. Alsettore assicurativo va altresì riconosciuto il merito non pic-colo di rendere meno ristretto il numero delle imprese italia-ne di grande dimensione e di rilievo internazionale.

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Il ritardo rispetto ai paesi di punta non è ancora colmato.Permangono, in specie nel ramo danni, problemi di efficien-za/concorrenza. Nondimeno, un lungo cammino è stato com-piuto, che consente non solo di celebrare, ma anche, con so-brietà, di festeggiare i 150 anni “assicurativi”.

La questione che soprattutto interessa con riferimento al-la storia e soprattutto alla condizione attuale dell’economiaitaliana è quella del legame fra assicurazione e crescita eco-nomica. Si tratta, come è evidente, di un nesso causale che, seesiste, può andare in entrambe le direzioni: dalla crescitadell’economia a quella dei servizi assicurativi e viceversa. Il“viceversa” rileva in modo particolare in una economia in cuiil Pil e soprattutto la produttività – del lavoro e “totale deifattori” – sono in tendenziale ristagno.

Il nesso che va dalla crescita dell’economia alla domandadi servizi assicurativi è stato ampiamente analizzato, anchesul piano econometrico, per una molteplicità di paesi. L’ela-sticità/reddito della richiesta di protezione dai rischi si è con-fermata sistematicamente e significativamente ben maggioredell’unità. Il caso italiano rientra pienamente in questa basi-lare, accertata regolarità. Essa dischiude all’industria assicu-rativa prospettive di ulteriore espansione, alla condizione chel’economia italiana si riprenda, nel duplice senso di usciredalla recessione e tornare alla crescita.

Altre variabili potranno influire: i tassi d’interesse, la pre-videnza sociale, la demografia, l’inflazione, l’istruzione, il dirit-to dell’economia, lo sviluppo della finanza, e, ovviamente, iprezzi e la qualità dei servizi assicurativi offerti. Ma l’effetto diqueste variabili – positivo o negativo – è meno sistematico emolto più debole dell’effetto/reddito, che resta la determinan-te fondamentale della domanda di protezione, nelle diverseforme tecniche e finalità che essa assume (Brainard, 2008).

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Queste analisi corroborano quindi l’immagine dell’assicu-razione come bene superiore, alto nella “curva di Engel”: unbene che, se mancasse, ovvero venisse offerto a prezzi alti e conqualità scadente, determinerebbe un abbassamento del benes-sere materiale, approssimato dal livello del reddito pro capite.

2.3 Assicurazione e crescita economica

Ma siamo interessati, forse più che al livello al tasso di cre-scita di lungo periodo del reddito pro capite: al legame che vanell’altra direzione, dall’offerta di precauzione alla crescita ditrend dell’economia e, in specie, della ristagnante economiaitaliana.

Sul piano teorico, a priori, l’offerta assicurativa per certiversi promuove, ma per altri versi frena lo sviluppo economi-co.

Lo promuove perché consente di meglio valutare, al limitedi misurare, il rischio. Lo promuove perché trasferisce il ri-schio da chi è meno a chi è più capace di gestirlo e sopportar-lo. Lo promuove perché chi si libera del rischio può accettarerendimenti più bassi su maggiori investimenti produttivi es-sendo egli avverso al, e non amante del, rischio.

Vale citare ancora Gobbi: “Quando il rischio non può es-sere eliminato, esso si presenta come una circostanza sfavore-vole, tale da allontanare dall’impiego in cui esso si verifica ca-pitalisti e lavoratori. E affinché questi siano allettati ad af-frontarlo, occorrerà un più alto saggio d’interesse (profitto) odi salario”.

Inoltre, l’anticipo della raccolta-premi rispetto al loro usoper gli eventi negativi si trasforma in intermediazione finan-ziaria. Accrescendo l’ampiezza, l’efficienza, la stabilità dei

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mercati finanziari, l’assicurazione promuove anche per que-sta via lo sviluppo.

Al tempo stesso, l’assicurazione frena lo sviluppo econo-mico se abbassa la propensione al risparmio e quindi l’accu-mulazione di capitale e se deresponsabilizza gli assicurati in-ducendoli a comportamenti imprudenti e inefficienti.

Quando il segno delle forze in campo è incerto, come inquesto caso, solo l’indagine empirica può accertare quale sial’effetto netto, se positivo o negativo.

Non disponiamo di analisi econometriche esaustive sul le-game fra crescita e assicurazione nel caso italiano. Abbiamoperò analisi anche econometriche sull’esperienza di crescitatout court dell’economia italiana lungo i 150 anni dall’Unità.Nell’insieme, esse dicono che produttività, innovazione, pro-gresso tecnico e infrastrutture “immateriali” sono più impor-tanti nel promuovere la crescita della quantità di risorse – ca-pitale e lavoro – applicate alla produzione. Vale quindi anchenel caso italiano il risultato secondo cui il “residuo di Solow”– i fattori qualitativi – spiega il 60% della varianza nei tassi dicrescita del Pil fra paesi, e che “solo” il 30% è attribuibile al-l’incremento dello stock di capitale, fisico e umano. Secondoi miei calcoli, quel 60% diventa 70% in Italia nelle due fasi dipiù rapido sviluppo dell’economia italiana, l’età di Giolitti(1900-1913) e il “miracolo economico” (1950-1970). I serviziassicurativi sono nel “residuo”, tra i fattori quantitativi da cuisoprattutto dipende la crescita.

Per quanto riguarda il legame tra crescita e finanza (com-prensiva della intermediazione finanziaria svolta dalle impre-se assicurative, in specie come offerenti protezione nel merca-to del rischio), dall’analisi econometrica emerge in generaleche il progresso quantitativo e qualitativo della finanza puòarrivare a innalzare anche di un punto percentuale il tasso di

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crescita del Pil pro capite. Dai miei calcoli, ad esempio, risultache la trasformazione profonda avvenuta nel sistema finanzia-rio italiano tra il 1980 e il 2000 ha contribuito per 0,3 puntipercentuali, lungo ben 20 anni, a una crescita del Pil pro capitedel Paese che sarebbe stata altrimenti inferiore all’1% l’anno,cioè ancora più mediocre di quanto in realtà è avvenuto.

Su scala internazionale, l’effetto positivo della finanza sul-la crescita risulta meno percettibile dagli anni Novanta(Rousseau, Wachtel, 2005). Ciò non si riscontra per l’Italia,quando si dà rilievo al ruolo delle assicurazioni come inter-mediari finanziari. Nel caso italiano i test di causalità diGranger hanno apprezzato un nesso causale fra assicurazio-ne e crescita che nel 1961-1996 va in entrambe le direzioni(Ward, Zurbruegg, 2000).

Al tempo stesso uno studio più recente su 29 paesi euro-pei – fra cui l’Italia – relativo al 1992-2004 ha offerto una con-ferma, ma solo debole, del sostegno dell’assicurazione allacrescita (Haiss, Sümegi, 2006).

Da un altro studio su un più ampio campione di paesi, svi-luppati e in via di sviluppo, è risultato che l’assicurazione dan-ni influisce positivamente sulla crescita di entrambe le catego-rie di paesi, mentre l’assicurazione vita ha effetto positivo solosulla crescita delle economie più avanzate (Arena, 2006).

Se davvero manca, sarebbe preziosa un’analisi specificasul legame fra crescita e assicurazione nella storia economicaitaliana, ben distinguendo il contributo più propriamente as-sicurativo dal contributo di intermediazione finanziaria offer-to dall’industria dell’assicurazione.

Questa analisi potrà utilmente prendere le mosse dal vo-lume curato da Paolo Garonna, che fornisce un quadro stori-co/istituzionale esauriente dell’industria assicurativa italianain età contemporanea.

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Assicurazione e crescita

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3.1 Premessa

Sulla possibilità di una proficua collaborazione pubblico-privato nell’ambito dell’assicurazione sociale proverò, comedicono gli inglesi, a raccontarvi una “storia convincente”. Èuna storia del recente passato e del presente, ma ricca di in-segnamenti per il futuro che mette insieme aspetti che riguar-dano il sistema pubblico e aspetti che riguardano il sistemaprivato, e in particolare rileva l’esistenza di due crisi parallelenon ancora superate, che ci consentono, tuttavia, di guardarecongiuntamente ai temi dell’assicurazione con una nuova fre-schezza, tanto dall’angolo visuale del settore pubblico, equindi della politica, quanto da quello degli operatori privati,e quindi del mercato.

La storia comincia con la constatazione che la popolazio-ne italiana sta invecchiando rapidamente. Com’è noto, l’in-vecchiamento della popolazione è un fattore decisivo nel de-terminare il successo o l’insuccesso delle politiche di welfare.Tutti abbiamo presente l’evoluzione della popolazione, nonsolo italiana, ma anche europea: le curve dei decessi si sposta-no in avanti nel tempo e si addensano attorno a un’età sem-pre più avanzata – la cosiddetta “rettangolarizzazione” dellacurva di sopravvivenza – mentre gli indici di natalità decre-

3. Lo Stato sociale e le nuove sfidedel welfare: il ruolo crescente

del settore assicurativo privato

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scono o si stabilizzano su livelli bassi. Per brevità, riporto unsolo dato tra i tanti: da qui al 2050 il tasso di dipendenza deglianziani – ossia il rapporto tra la popolazione sopra i 65 annie la popolazione in età lavorativa – appare avviato al raddop-pio o al “più che raddoppio”, passando dal 30% attuale a ol-tre il 60%. Come è noto, questo trend presenta una grandeopportunità per gli individui, il cui orizzonte di vita si amplia,ma crea al tempo stesso molti rischi per il buon funzionamen-to dell’economia e degli istituti di welfare finanziati a riparti-zione.

Se, da un lato, le riforme del sistema previdenziale messein atto negli ultimi due decenni, non da ultima quella attuatadal presente governo, sono risultate efficaci nel restituire so-stenibilità di medio-lungo periodo al principale istituto delwelfare, pure a fronte del rapido invecchiamento demografi-co, dall’altro quest’ultimo comporta anche effetti negativi cheoccorre contrastare, primo tra tutti la bassa crescita economi-ca. L’invecchiamento agisce infatti su tre fronti: riduce la for-za lavoro; porta a una diminuzione del risparmio – secondo lateoria del ciclo vitale di Modigliani, infatti, i giovani accumu-lano ricchezza, mentre gli anziani la decumulano – e compor-ta una riduzione della produttività media per lavoratore (laproduttività tende a diminuire con l’età, anche se con diffe-renti modalità e intensità a seconda del settore). L’effetto fi-nale può perciò essere una sensibile riduzione del tasso dicrescita del Pil e quindi anche del rendimento implicito ga-rantito dai sistemi finanziati a ripartizione, come il sistemaprevidenziale.

Le riforme del welfare che si sono rese necessarie in que-sti anni hanno il non secondario effetto di trasferire molti ri-schi dalla collettività agli individui. Il lavoro è divenuto menostabile e, soprattutto tra i giovani, la maggiore precarietà ri-

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duce l’autonomia, le possibilità di scelta sul quando formarsiuna famiglia, nonché la capacità di risparmio. Gli adulti e glianziani, dal canto loro, hanno ora una maggiore responsabili-tà individuale di accumulare la ricchezza sufficiente a costi-tuirsi un reddito adeguato in età anziana, il che implica unacorretta pianificazione del risparmio e del pensionamento euna più appropriata allocazione delle risorse.

3.2 La “dominanza dell’assicurazione”

Gli economisti spesso sottolineano – e io stessa non man-co di farlo con i miei studenti – la “dominanza dell’assicura-zione” su ogni altra forma di risparmio. In presenza di merca-ti assicurativi perfetti e completi e di premi attuarialmenteequi – ossia dipendenti dalla distribuzione di probabilità diun evento incerto – si può concludere che l’assicurazionemassimizza il benessere delle persone. Come mai allora lepersone non si assicurano?

Nella realtà, gli individui sono poco consapevoli del ri-schio e diffidano del mercato – diffidenza che si è andata ag-gravando in conseguenza della crisi finanziaria – e d’altraparte il mercato assicurativo è ben lontano dall’essere perfet-to e completo: numerosi possibili eventi non vengono assicu-rati e le tariffe sono, o possono essere, anche sensibilmentelontane dall’equità attuariale.

Non è però una situazione irreversibile. Adeguate campa-gne di sensibilizzazione potrebbero risultare utili nel renderegli individui più consapevoli e un’efficace interazione trapubblico e privato potrebbe, da un lato, garantire agli indivi-dui una maggior copertura a fronte dei diversi rischi e, dall’al-tro, ridurre i costi e calmierare i premi di assicurazione.

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Lo Stato sociale e le nuove sfide del welfare

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Nelle più recenti riforme anche lo Stato ha abbandonatoun’ottica più strettamente redistributiva (si tassa qualcunoper distribuire i proventi a qualcun altro) per abbracciarneuna più assicurativa. Nel sistema previdenziale, ad esempio,siamo passati da una regola di calcolo delle pensioni di tiporetributivo a una regola contributiva conseguendo due in-dubbi vantaggi: il recupero della sostenibilità finanziaria e lachiara separazione tra assicurazione e redistribuzione, conconseguente riduzione della redistribuzione impropria, forte-mente presente nel vecchio sistema.

3.3 La riforma previdenziale e il sistema“multi pilastro”

La riforma previdenziale non si è tuttavia limitata solo aquesto. Ha anche creato nel tempo i presupposti per costitui-re un sistema previdenziale cosiddetto “multi pilastro”: nonpiù solo un pilastro pubblico, finanziato a ripartizione, ma an-che un secondo e terzo pilastro finanziati a capitalizzazionein cui le assicurazioni giocano un ruolo fondamentale.

Un sistema multi pilastro pubblico-privato è, in linea diprincipio, più efficiente perché diversifica il rischio previden-ziale. L’assicurazione pubblica collega tra loro le generazionie fornisce un rendimento legato alla crescita del Pil. Il secon-do e il terzo pilastro garantiscono invece rendimenti di mer-cato. Data la bassa correlazione tra crescita del Pil e rendi-menti dei mercati finanziari, si ottiene una più efficiente allo-cazione del rischio e quanto più i rischi sono diversificati, tan-to migliore sarà la copertura offerta ai cittadini.

Ma il rischio di longevità non si limita a essere previden-ziale, ossia di carenza di risorse o, per contro, di consumi trop-

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po bassi, da anziani; esso include, ad esempio, anche il rischiodi non autosufficienza. Il sistema pubblico ne copre unica-mente la parte sanitaria – minoritaria – lasciando scoperta laparte più prettamente assistenziale e il mercato non sembraper ora offrire prodotti adeguati alle reali esigenze degli indi-vidui. Una copertura assicurativa di questo tipo non solo mi-gliorerebbe il benessere degli anziani, garantendo loro le ri-sorse necessarie a pagarsi le prestazioni medico-sanitarie, maavrebbe potenziali effetti benefici anche sul lavoro delle don-ne e dunque sullo sviluppo del Paese.

Una proficua collaborazione tra pubblico e privato po-trebbe infine riguardare anche lo sviluppo del reverse mortgage, ossia del “prestito ipotecario vitalizio”. La proprie-tà della casa in Italia è diffusa: poco meno dell’80% degli an-ziani ha una casa di proprietà. Questa configurazione dellaricchezza, però, rappresenta spesso un ostacolo alla realizza-zione di un piano di consumo adeguato ad affrontare la vec-chiaia in maniera un po’ più sicura e un po’ più serena. Il re-verse mortgage rende più liquida la proprietà immobiliare,pur consentendo al proprietario di continuare a vivere nellapropria abitazione. Alla sua morte, gli eredi potranno decide-re se saldare il debito accumulato, mantenendo la proprietàdella casa, oppure vendere la casa e aggiudicarsi la differenzatra il valore della stessa e il debito del genitore.

Spero che questo piccolo racconto sia stato convincente,specie per la parte rivolta al futuro. Il mio messaggio conclu-sivo è dunque allo stesso tempo un invito e un auspicio: an-che e soprattutto in questo delicato momento economico,dobbiamo ricercare una collaborazione nuova tra pubblico eprivato in grado di rispondere al meglio ai diversi bisogni del-le persone nelle loro diverse fasi di vita. In questo le assicu-razioni possono accrescere il loro già importante ruolo a so-

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stegno del benessere degli individui, di una migliore defini-zione delle politiche di welfare, e quindi in definitiva dellosviluppo dell’economia nel suo complesso.

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4.1 Premessa

Il mio proposito con questo contributo è di presentare al-cune osservazioni e proposte, sviluppate nel campo degli stu-di culturali, dell’economia comportamentale e della sociolo-gia, che ritengo rilevanti per lo sviluppo della storia delle as-sicurazioni in Italia e in Europa, osservazioni e proposte chesinora hanno avuto purtroppo scarso peso e poca influenzanegli studi in materia. Offrirò quindi un rapido sguardo d’in-sieme sullo sviluppo storico dell’attività assicurativa così co-me la conosciamo oggi e, infine, darò suggerimenti per unprogramma di ricerche per il futuro in questo ambito.

4.2 Per una storia dell’assicurazione

Per cominciare, vi sono alcuni aspetti della cultura delleassicurazioni, della fiducia che presuppongono, e della perce-zione del rischio che a mio avviso meritano di essere presi inmaggiore considerazione dalla storia dell’assicurazione, cosìcome oggi è studiata e vissuta in Italia e nel mondo. Teoricidella cultura, economisti del comportamento e sociologi han-no cominciato a indagare in profondità in che modo si deter-

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minano dal punto di vista cognitivo e culturale le percezionidel rischio in una determinata popolazione e in un dato pe-riodo storico.

In letteratura si possono distinguere tre elementi di basepotenzialmente rilevanti per la costruzione di una storiadell’assicurazione in Italia. Il primo riguarda il consenso or-mai generale e acquisito sul fatto che le definizioni di ri-schio e di responsabilità variano molto da cultura a cultura,e che il confine tra rischi volontari e rischi involontari è mo-bile e frutto di un costrutto sociale piuttosto che di un algo-ritmo puramente scientifico. In altri termini, quello che vie-ne considerato un rischio normale varia non solo a secondodella tecnologia e delle conoscenze, ma anche delle istitu-zioni culturali e sociali. A pensarci bene, nel mondo, nelleeconomie e nelle società preindustriali sono esistiti moltimodi, e ne esistono tutt’oggi, di ripartire i rischi, per lo piùattraverso forme di assistenza reciproca, anche senza far ri-corso ai moderni modelli assicurativi di stampo occidentalebasati sul premio.

Alcuni antropologi hanno addirittura messo in dubbio lapossibilità che in molte comunità di tipo tradizionale il “con-cetto occidentale” di assicurazione trovi applicazione. L’an-tropologo ed economista dello sviluppo Jean-Philippe Platte-au, per esempio, ha sostenuto che nei villaggi di pescatori delSenegal, in Africa occidentale, l’evento accidentale non è vis-suto come un fatto fortuito. Le sventure, la sfortuna capitanoper l’intervento di spiriti maligni o per la malvagità degli in-dividui che ne sono colpiti, mentre gli eventi fortunati pre-miano coloro che si comportano in modo corretto.

In secondo luogo, Platteau ha studiato la composizione eil funzionamento delle associazioni mutualistiche nell’ambitodelle piccole comunità tradizionali di pescatori del Senegal.

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Queste associazioni si occupano del salvataggio delle barcheche si trovano in difficoltà in mare. Ebbene, Platteau ha os-servato che la partecipazione all’associazione è condizionataa un principio di “bilanciamento della reciprocità”. Questo si-gnifica che gli individui si aspettano di recuperare, in un oriz-zonte temporale non troppo lontano, più o meno quanto han-no conferito all’atto della sottoscrizione. Platteau ha scopertodunque che tra i pescatori non esiste un vero e proprio con-cetto di assicurazione, in base al quale il pagamento di unasomma dà diritto alla protezione contro un evento incertoanche qualora l’evento non si materializzi. È pratica comuneper i soci che si ritirano dall’associazione, infatti, domandaree ottenere la restituzione integrale dei contributi monetariversati, cosa che naturalmente è in contrasto con il concettooccidentale di assicurazione.

Dobbiamo dunque concludere che differenti contesti po-litici e culturali possono contribuire a modellare in modoestremamente diverso le attitudini verso il rischio, le forme diassicurazione e i livelli di fiducia. Di conseguenza, per com-prendere il diffondersi dell’idea di assicurazione nel corsodella storia dobbiamo guardare in profondità andando al dilà delle spiegazioni convenzionali centrate semplicemente sulruolo del mercato, della conoscenza scientifica e dell’innova-zione tecnologica.

Il secondo punto che vorrei sottolineare viene ispirato da-gli studi di economia del comportamento. Esiste ampio con-senso tra gli economisti sul fatto che gli individui sono gene-ralmente avversi al rischio solo di fronte a esiti positivi: quin-di, se la scelta è tra un piccolo guadagno certo e un guadagnomaggiore ma incerto, la grande maggioranza delle personesceglierà il primo. Inoltre, le valutazioni individuali del ri-schio sono solitamente influenzate da quello che gli economi-

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sti chiamano il “rifiuto della probabilità” o probability ne-glect. Le persone abitualmente effettuano valutazioni del ri-schio in base a “regole del pollice”: individuano cioè alcuni ri-schi come significativi o notevoli, e ignorano gli altri. I rischisono considerati significativi o notevoli se le persone possonofacilmente immaginare situazioni in cui tali rischi si manife-stano, o se tali rischi evocano in modo particolarmente vividogli scenari peggiori, sebbene tali scenari abbiano una bassis-sima probabilità di occorrenza.

Gli individui non sono quindi in generale buoni giudicidelle probabilità, non solo perché la loro conoscenza è imper-fetta, ma anche perché la loro percezione di ciò che è proba-bile e di ciò che è improbabile è limitata dalle condizioni so-ciali, dalla cultura, da un corpus di conoscenze predetermina-te e da schemi cognitivi condivisi nelle loro comunità.

Il terzo aspetto che desidero enfatizzare all’interno di que-sto eterogeneo insieme di studi economici e sociologici è chel’assicurazione può essere considerata come una forma di go-vernance diversa dallo Stato, che va al di là dello Stato. Unaforza istituzionale, cioè, che agisce sugli individui e sulle orga-nizzazioni. Dato l’incerto livello di azzardo morale presentenel pubblico dei consumatori, gli assicuratori elaborano tec-nologie sofisticate per progettare, selezionare e presidiarel’aggregato dei rischi di cui vendono la copertura. Gli aggre-gati di rischi sono dunque soggetti a governance allo scopo diaumentare la prevedibilità delle perdite. L’assicurazione difatto applica ai suoi prodotti norme di comportamento mora-le, moralizzando i rischi e assoggettandoli ad attribuzioni diresponsabilità e di diritti di cittadinanza. Basti pensare, peresempio, al modo in cui l’assicurazione vita è stata calibrata inmisura crescente non solo sulle tavole di mortalità ma anchesulle caratteristiche della salute e delle scelte di stile di vita

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degli individui: è evidente che l’assicurazione moderna ha incerta misura svolto un’azione di presidio e sorveglianza dellescelte di stile di vita e di comportamento dei consumatori.

L’assicurazione gioca dunque un ruolo importante nellacostruzione sociale del rischio e della responsabilità e, in ulti-ma istanza, nella definizione della cittadinanza. A mio avviso,pertanto, i tre punti specifici che ho illustrato sopra suggeri-scono un ampio programma di ricerca sulla storia comparatadelle assicurazioni. Tornerò su questo punto alla fine del miocontributo.

4.3 Lo sviluppo dei mercati assicurativi in Italia e inEuropa

Vorrei ora tracciare un quadro rapido e sintetico di quan-to sappiamo sullo sviluppo dei mercati assicurativi nazionalie sull’espansione internazionale delle compagnie di assicura-zione negli ultimi due secoli. Di alcuni aspetti abbiamo unaconoscenza ormai certa e acquisita. L’assicurazione a premiodi tipo moderno trae origine dall’assicurazione marittima chesi sviluppò nel Mediterraneo settentrionale nel corso del Tre-cento. Da lì si diffuse in tutta Europa. A distanza di due secolidalle origini, nel Cinquecento, troviamo comunità di “media-tori in assicurazioni” non solo in porti del mare nostrum qualiGenova, Barcellona, Ragusa, ma anche in porti del Nord Eu-ropa quali Anversa, Londra e Amburgo.

A partire dal tardo Seicento nascono le prime compagniedi assicurazione dotate di un monopolio statale. A tentarequesta via per primi sono i francesi sotto Colbert, il potenteministro di Luigi XIV, che negli anni Ottanta del Seicentocompie un tentativo, per la verità effimero, di costituire un

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monopolio pubblico per le assicurazioni marittime. Successi-vamente, negli anni Quaranta e Cinquanta del Settecento, so-no gli Stati italiani, Napoli e Genova in particolare, a speri-mentare la stessa soluzione, questa volta con successo. Pocodopo cominciano a nascere, sempre nel campo dell’assicura-zione marittima, anche le prime compagnie private, di solitoin forma di società di capitali, talvolta anche mutualistiche.

L’assicurazione sulla vita nasce come un prodotto con-giunto dell’assicurazione marittima, ossia come assicurazionedei passeggeri che si trovavano a bordo delle navi, in un pri-mo tempo soprattutto gli schiavi. Questo avviene in area eu-ropea, e più in generale nell’economia atlantica. Lo sviluppodelle assicurazioni vita in Europa fu tuttavia ritardato dallenorme restrittive, molto diffuse in quel tempo, che proibivanoquanto appariva come un pericoloso e crudele gioco d’azzar-do. In particolare gli Stati cattolici non gradivano che gli assi-curatori scommettessero sulla vita di papi, vescovi e regnanti.In generale, nell’Europa tanto settentrionale quanto meri-dionale l’assicurazione vita rimase vietata o altamente ri-stretta e regolamentata per gran parte dell’Età Moderna.

È solo a partire dal tardo Settecento che troviamo le pri-me applicazioni della scienza attuariale all’assicurazione apremio nel ramo vita, a cominciare dall’Equitable InsuranceCompany in Inghilterra e di lì, per diffusione, in altre compa-gnie in Germania e in altre parti d’Europa, tra cui la Dani-marca. Dal Seicento e dal Settecento datano anche le associa-zioni mutualistiche di scala locale o regionale, come la Ba-uern Assecuranz nell’Impero austro-ungarico. Da ultimo, siaffermano tra il Settecento e l’Ottocento le prime assicura-zioni private, sia in forma di mutua che di società di capitali.

Naturalmente sarebbe necessario approfondire moltiaspetti specifici, il che non è possibile in questa occasione.

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Tengo però a fare tre osservazioni fondamentali riguardo almodo in cui si sono formati i mercati assicurativi nazionalinel corso di questi secoli. In primo luogo, è chiaro che in moltipaesi vi furono ostacoli persistenti allo sviluppo dell’attivitàassicurativa. Tali ostacoli prendevano spesso la forma diun’eccessiva regolamentazione statale, con l’eccezione del-l’Inghilterra, dove probabilmente esisteva il mercato assicu-rativo più libero e flessibile che sia dato trovare in questo pe-riodo.

C’è poi ampia evidenza empirica dell’inadeguatezza deicriteri di classificazione del rischio non solo nel ramo vita maanche nel ramo incendio. Anche in Inghilterra, all’epoca dellaRivoluzione Industriale, le compagnie di assicurazione con-tro gli incendi incontravano serie difficoltà nel valutare e sta-bilire il prezzo del rischio nei nuovi impianti produttivi basatisulla tecnologia della macchina a vapore installati nell’indu-stria tessile e in altre industrie. In aggiunta, in questo periodole opportunità di investimento disponibili alle compagnie diassicurazione operanti nel ramo vita erano molto limitate.Ciò per un verso rendeva altamente volatile il valore del loroportafoglio degli attivi, e per altro verso ostacolava la forma-zione delle riserve tecniche. Da ultimo, con l’eccezione sem-pre della Gran Bretagna, la crescita delle compagnie privateera frenata dalla diffusa sopravvivenza di monopoli pubblicisotto diverse forme, specialmente nel ramo dell’assicurazionedanni sugli immobili.

La seconda osservazione è che nella storia dei percorsi disviluppo nazionale troviamo un’ampia gamma di soluzioniorganizzative per la conduzione dell’attività assicurativa.Credo che questa sia una delle lezioni più importanti che lastoria dell’assicurazione a livello internazionale ha da inse-gnarci. L’industria assicurativa è caratterizzata dalla capacità

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di sviluppare una straordinaria molteplicità di forme organiz-zative. Ritengo che questo aspetto necessiti di essere spiegatomeglio di quanto siamo in grado di fare oggi sulla scorta deglistudi esistenti. Non c’è probabilmente nessun’altra industriache presenti tante diverse modalità di offerta e distribuzionedel prodotto al consumatore quante ne ha avute quella assi-curativa, quanto meno in una prospettiva storica. Nel passatoquesta proliferazione di modelli organizzativi ha portato allosviluppo di mercati molto complessi e frammentati, in cui ilsettore delle compagnie private, specialmente delle società dicapitali, spesso non rappresentava che una piccola frazionedel mercato complessivo. Altrettanto evidente è che non c’èstato un percorso lineare, una tendenza evolutiva semplice ediretta verso l’affermarsi del predominio delle società di ca-pitali nei mercati assicurativi. Certamente questo passaggionon è avvenuto prima del 1914. Anzi, si potrebbe documen-tare che ben addentro al XX secolo molte altre formule orga-nizzative sono sopravvissute e hanno prosperato facendoconcorrenza alle società di capitali, talora con grande succes-so.

Terzo e ultimo punto degno di nota è il fatto che la forma-zione di cartelli, la creazione di associazioni industriali per lafissazione dei prezzi e la diffusione di molte altre pratiche dicooperazione e di assistenza reciproca tra le imprese sonostate caratteristiche di molti mercati assicurativi europei nelcorso dell’Ottocento e del Novecento. Molto spesso questeforme di cooperazione sono state di breve durata e di scarsosuccesso, ma ci sono stati anche esempi, specialmente in GranBretagna, di organizzazioni con funzioni tariffarie di grandeefficacia e coronate da relativo successo, come il Fire Offices’Committee, fondato nel 1868 e cessato solo nel 1986.

In merito allo sviluppo della dimensione internazionale

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dell’industria, la ricerca storica consente di individuare tre fa-si in base al tipo di veicolo utilizzato per l’internazionalizza-zione e in base al tipo di mercati. La prima fase decorre daltardo Settecento, quando furono create le prime agenzie al-l’estero, in primo luogo da compagnie britanniche e successi-vamente, a partire dagli anni Venti dell’Ottocento, da compa-gnie tedesche, francesi e italiane. Le direttrici di espansioneerano costituite dai confini dell’economia atlantica, ossia ilNord America, le colonie britanniche nelle Indie occidentali,e naturalmente l’Europa nordoccidentale. Nella seconda fa-se, a partire dagli anni Venti dell’Ottocento, si ha lo sviluppodegli accordi di riassicurazione tra compagnie, la diffusioneulteriore dell’attività assicurativa in altri mercati e infine, neltardo Ottocento, la creazione di succursali straniere, di filialie reti dirette estere, fino all’acquisizione di compagnie localiin mercati oltre-frontiera.

Anche lo sviluppo dell’internazionalizzazione si presta adalcune considerazioni importanti. Per cominciare, sono cre-sciuti nel tempo la gamma dei veicoli istituzionali per l’espor-tazione del prodotto assicurativo e il numero dei paesi espor-tatori. Ancora una volta l’alto volume dei contratti assicura-tivi stipulati all’estero è un fenomeno davvero straordinarioe peculiare al settore assicurativo, specialmente se lo si con-fronta con quanto avveniva nel settore contiguo delle ban-che. In secondo luogo, i livelli di penetrazione delle importa-zioni di servizi assicurativi variano considerevolmente dapaese a paese, così come molto variabili sono state le relazio-ni tra lo sviluppo delle assicurazioni e la crescita economica.Entrambi questi aspetti necessitano di essere studiati più afondo.

Certamente c’è stato un arretramento dell’internaziona-lizzazione nel periodo tra le due guerre, cui ha fatto seguito

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una fase tumultuosa di ripresa e di crescita della globalizza-zione che ha caratterizzato gli ultimi decenni del Novecento.Come spieghiamo queste diverse ondate di internazionaliz-zazione nel settore dell’assicurazione? È chiaro che le inno-vazioni tecnologiche per un verso hanno ridotto i rischi, peraltro verso hanno creato nuovi rischi, ma soprattutto hannodeterminato le condizioni per lo sviluppo dei mercati e dinuovi mercati assicurativi.

Le innovazioni nel campo delle telecomunicazioni, come iltelegrafo e il telefono, hanno ridotto tanto i costi di transazio-ne per gli assicuratori quanto i costi della distanza. Anche leteorie dell’impresa multinazionale offrono numerosi esempidi applicazioni – tra tutte la teoria della catena del valore –utili a spiegare i percorsi di internazionalizzazione dell’assi-curazione. Infine, lo sviluppo della cooperazione scientificainternazionale attraverso i Congressi internazionali degli at-tuari a partire dall’ultimo decennio dell’Ottocento, e altreistituzioni internazionali del settore quale, più recentemente,la Geneva Association, hanno contribuito a diffondere lo stu-dio dei principi e della cultura dell’assicurazione, oltre allepratiche e ai modelli organizzativi.

4.4 Le direttrici della ricerca futura

Per concludere, dove stiamo andando e in che direzionedobbiamo orientare la ricerca? Terra incognita…

La priorità principale, a mio avviso, è che gli studiosi distoria e di cultura dell’assicurazione si dedichino a promuo-vere la costruzione di serie storiche affidabili e confrontabili.Abbiamo un bisogno disperato di dati in serie storiche di lun-go periodo che si prestino alla comparazione dei percorsi di

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crescita delle industrie assicurative nazionali a partire dal-l’Ottocento, quanto meno in ambito europeo. È molto impor-tante superare nell’analisi e nella documentazione i confininazionali, andare oltre la storia delle singole compagnie, pertentare di tracciare e approfondire i processi di crescita deimercati assicurativi anche a livello internazionale, e utilizzarea tal fine dati relativamente omogenei e confrontabili. Peresempio, disponiamo di pochissimi dati storici sui premi e sul-le tariffe, cosa che ci impedisce di confrontare il costo realedell’assicurazione nei diversi mercati e in diversi periodi ditempo. Altrettanto dicasi dei dati sulla produttività e sullaprofittabilità.

In secondo luogo, è necessario identificare e studiare i fat-tori che spiegano l’emergere, l’affermarsi e la sopravvivenzadei differenti modelli organizzativi e istituzionali che caratte-rizzano – come abbiamo visto – il settore: le mutue, le societàdi capitali, i monopoli pubblici, le associazioni mutualistichedi diritto pubblico, e così via.

Terzo, la storia mostra chiaramente come a partire dallametà dell’Ottocento la riassicurazione sia diventata il lubrifi-cante sempre più importante che rende possibile la circola-zione e il commercio internazionale di prodotti assicurativi.In che modo e per quali ragioni l’attività di riassicurazione èstata capace di adattarsi con tanto successo alle variabili cir-costanze del contesto economico e alla mutevole domandaproveniente dal mercato assicurativo?

Quarto, dobbiamo comprendere meglio l’impatto della re-golazione e dell’intervento pubblico sullo sviluppo delle assi-curazioni nei diversi paesi e nei diversi periodi storici. Per lamaggioranza dei mercati sono ancora poco conosciuti i fatto-ri locali e specifici che hanno guidato l’evoluzione dei regimiregolativi.

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Quinto, credo sia utile domandarsi quale sia stato l’impat-to della legislazione e della regolamentazione non specificaai mercati assicurativi sullo sviluppo dell’assicurazione anchea livello internazionale. Penso alla moderna legislazione a tu-tela del consumatore, della salute e della sicurezza sul lavoro(safety), della riservatezza dei dati. Queste norme e questistandard sono diventati sempre più importanti negli ultimiventi-trent’anni, e sono in grado di influenzare significativa-mente la capacità delle imprese di assicurazione di svolgerela propria attività al di là dei confini nazionali. Penso in par-ticolare a quanto avviene all’interno dei macro-blocchi regio-nali, per esempio il Sud America, dove la legislazione a pro-tezione del consumatore nei differenti Stati è relativamentepoco armonizzata.

Sesto, penso che abbiamo bisogno di più studi comparatisulle assicurazioni come strumento di governance, e sul ruolodel settore nella costruzione sociale del rischio, della respon-sabilità e della cittadinanza. Le teorie e gli studi sulla culturasuggeriscono che dovrebbe esserci un forte effetto di auto-correlazione o path-dependency nel modo in cui i mercati na-zionali si sviluppano e rispondono all’offerta di servizi assicu-rativi provenienti da altri paesi e culture.

Da ultimo, vorrei vedere gli storici delle assicurazioni ten-tare di integrare sempre di più e meglio nella storia dei pro-cessi di internazionalizzazione lo studio delle società tradi-zionali, quello delle modalità “non occidentali” di ripartizio-ne e di trasferimento del rischio e quello delle percezioni“non occidentali” del rischio. Questo allargamento di oriz-zonti consentirebbe di collocare l’analisi dei processi di inter-nazionalizzazione in un più appropriato quadro globale.

Questo approccio aiuterebbe naturalmente a comprende-re meglio le molte barriere che ancora oggi esistono e condi-

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zionano il potenziale di sviluppo e di espansione della moder-na assicurazione basata sul premio e delle tecniche e pratichecorrenti di calcolo attuariale della tradizione occidentale. Si-nora molto poco si è detto e scritto sull’incontro tra le diverseculture assicurative occidentali e non occidentali. Siamo an-cora ben lontani dal comprendere come i consumatori e iproduttori di servizi assicurativi abbiano storicamente fattovalere le diverse concezioni, percezioni e sensibilità culturaliche entrano in gioco nell’atto di vendere o acquistare coper-ture assicurative contro i diversi tipi di rischio. È probabileche l’equilibrio delicato e instabile tra le percezioni culturalie la conoscenza scientifica del rischio sia cambiato considere-volmente nel tempo e da una società all’altra in base aun’ampia varietà di fattori esterni quali l’istruzione, gli stan-dard di vita, gli stili di vita, le strutture economiche, le istitu-zioni politiche.

C’è dunque un programma ambizioso di ricerca da svilup-pare e realizzare, che tocca tematiche ampie e articolate, e iomi auguro che questo programma sia fatto proprio dagli stu-diosi italiani e stranieri, dagli esperti di storia e cultura delleassicurazioni, dall’industria, e da tutti quelli che hanno a cuoreil rapporto tra assicurazioni e sviluppo economico e sociale.

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5.1 Premessa

Possiamo far risalire le prime assicurazioni alla Siria del1750 a.C. Il codice di Hammurabi è il primo documento scrit-to che siamo riusciti a tradurre (una copia bellissima in unastele di diorite nera è conservata al Louvre). Tra le molte leg-gi che contiene ci sono anche prescrizioni relative a contrattidi assicurazione. Questi erano sottoscritti dai commerciantisotto forma di prestiti restituibili solo nel caso in cui il viaggiofosse andato a buon fine. Babilonia era al limite di quella chesuccessivamente diverrà la Via della Seta: gli enormi rischicorsi dalle carovane che andavano da Babilonia alla Cinacreavano una forte domanda di assicurazione.

Un contratto di questo tipo lo troviamo anche nell’anti-chità classica mediterranea. Il fenus nauticum prevedeva an-ch’esso la restituzione di una somma, anticipata al capitano oal proprietario della nave, nel caso in cui il viaggio fosse giun-to a buon fine. Dunque, la compravendita e il trasferimentodel rischio sono antichi quanto la storia che siamo riusciti aricostruire. Tuttavia i contratti “assicurativi” delle origini era-no ambigui e rudimentali, non sappiamo nemmeno come ve-nisse calcolato il rischio, ed erano spesso incorporati in con-tratti che includevano l’estensione di credito.

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sviluppo nell’Italia unita

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5.2 Le radici italiane dell’assicurazione moderna

I primi documenti di assicurazioni moderne che conoscia-mo sono italiani: è, dunque, in Italia che trae origine l’attivitàassicurativa moderna. Esiste un “breve” cagliaritano del1318, redatto a Pisa, allora signora della città sarda, scritto involgare, nel quale si parla di “sicurare” le navi. I libri dellacompagnia fiorentina di Francesco Del Bene del 1319-1320annotano somme pagate per “rischio e nolo”. Dal 1343 tro-viamo contratti stipulati a Genova sotto il sottile velo di unfinto mutuo, ma chiaramente intesi a copertura del rischiomarittimo senza la contemporanea estensione del credito ca-ratteristica dell’antico mondo mediterraneo. È Genova, pro-babilmente, la madre dell’assicurazione moderna.

In molti casi chi assicura è allo stesso tempo assicuratoree assicurato. Le stesse persone, o “case” commerciali sono altempo stesso banchieri, commercianti e assicuratori. France-sco di Marco Datini, ad esempio, assicurava le merci di terzima anche quelle degli stessi Datini e, in una lettera del 1397,si lamenta di aver perduto molti più denari in un’unica voltadi quanti ne aveva guadagnati in un lungo periodo di tempo.Si preoccupava, tuttavia, di rimproverare uno dei suoi corri-spondenti per non aver assicurato merci dirette a Barcellona.

La liceità del contratto di assicurazione è sovente messa indubbio per la troppa contiguità con il prestito a interesse. Inmateria interviene però autorevolmente San Bernardino, il piùgrande teorico dell’etica degli affari, il quale giudica l’assicura-zione tollerabilis. Sulla scorta di questo parere, e di altri analo-ghi, arrivano i primi provvedimenti di regolazione del mercatodelle assicurazioni. Per esempio, grazie a San Bernardino, vie-ne vietato di opporre la clausola di usura a chi stipulava con-tratti di assicurazione. Interessante è anche, sempre nell’ambi-

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to della regolazione, il divieto del 1406 di assicurare le merciper il totale del loro valore. Si tratta di un importante accorgi-mento per far fronte all’azzardo morale, che – come è noto – èuno dei principali problemi del mercato delle assicurazioni.

Facciamo un grande salto nel tempo. I traffici marittimi,che erano centrati su Genova e Venezia, si spostano gradual-mente a Londra. Qui troviamo un signore, Edward Lloyd, chegestisce una taverna dove si somministrano caffè e cioccolatacalda. Edward si accorge che il suo locale è usato dagli avven-tori per negoziare assicurazioni marittime. Per accrescere ipropri introiti si ingegna a creare condizioni più favorevoli al-la stipula di contratti: riserva ad esempio tavoli appositi percondurre aste al ribasso per ogni singolo viaggio. Intuendoche il fulcro del business assicurativo è l’informazione, inter-roga i capitani delle navi che frequentano la taverna per rac-cogliere un gran numero di notizie sui porti e le rotte marit-time di tutto il mondo pubblicandole sulla famosa Lloyd’sGazette, che esiste tuttora. Si tratta, all’inizio, di semplici fogliaffissi in una bacheca della taverna. Il successo della Gazettene suggerì la diffusione a stampa. In un tempo successivo, lataverna di Lloyd, dapprima localizzata nella zona portuale, sitrasferisce a Lombard Street, la strada dei banchieri, e alla fi-ne presso lo Stock Exchange.

Se il business assicurativo si nutre di informazioni, esso habisogno che queste vengano trattate con l’applicazione ditecniche ed elaborazioni scientifiche sempre più raffinate.Edmund Halley, il grande astronomo e matematico, è tra l’al-tro l’inventore delle tavole di mortalità; queste, sebbene al-l’inizio non funzionassero bene, hanno ben presto rivoluzio-nato il business assicurativo. Prima dell’invenzione delle ta-vole di mortalità, le assicurazioni sulla vita venivano fatte so-stanzialmente sotto forma di scommessa, un fatto questo che

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era guardato con preoccupazione dalle autorità, perché l’or-dine pubblico poteva soffrire dalla diffusione di scommessesulla vita altrui; con la scoperta di Halley nasce la scienza at-tuariale, che consente di calcolare scientificamente la soprav-vivenza media degli individui di ogni età. In seguito il grandegenio del calcolo delle probabilità, Bernoulli, studiando lamortalità per vaiolo, ottiene miglioramenti fondamentali nel-le tavole di mortalità, aprendo la via a grandi cambiamentinel modus operandi delle assicurazioni.

Le polizze contro gli incendi cominciano nel Cinquecento,soprattutto in Europa centro-settentrionale, dove le case so-no prevalentemente di legno. Si tratta di un mercato più com-plesso di quello delle assicurazioni marittime, perché mentrein queste ultime spesso un singolo gruppo di capitalisti assi-cura ogni singolo viaggio, nel caso dell’incendio i contratti so-no di lungo termine e hanno importanti ripercussioni sulla vi-ta stessa delle grandi collettività. È quindi dalle assicurazionicontro l’incendio, e successivamente da quelle sulla vita, chenasce per gli assicuratori l’esigenza di operare attraverso so-cietà permanenti di capitali che diano garanzia di continuitànel tempo del commitment assicurativo.

Il grande incendio di Londra del 1666 dà notevole svilup-po alle assicurazioni sugli incendi. In quell’occasione vienecreata la prima compagnia, il Fire Office, divenuta poi Phoe-nix, perché sulle polizze era impressa una bella fenice.

Torniamo all’Italia. Nel Settecento il nostro era già unPaese in declino economico rispetto al Rinascimento, e tutta-via ancora finanziariamente ricco e dinamico. In questo pe-riodo si costituiscono molte compagnie di assicurazione. Traqueste molte che oggi non ci sono più: a Venezia ad esempiooperano i Mezzani, che stavano, non a caso, nella ca’ della Si-curtà, vicino al polo bancario di Rialto, a San Giacometto.

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Le prime società di capitali in campo assicurativo sono laCompagnia Veneta di Sicurtà del 1788, la Veneta Assicurazio-ni, e la Camera Veneta Assicurazioni. È degno di nota chequeste compagnie veneziane già soffrono la concorrenza ag-guerrita di Trieste. Alla fine del XVIII secolo, infatti, a Triesteoperano la Camera di Assicurazione Cambi Marittimi, la So-cietà Greca di Assicurazione, il Banco di Assicurazione aiCambi Marittimi, con – al momento della caduta della Re-pubblica – un capitale complessivo molto elevato (3,7 milionidi fiorini).

L’altra piazza finanziaria importante è Genova, dove laCompagnia Generale di Assicurazioni Marittime già dal 1642ottiene un monopolio della durata di 36 anni per le assicura-zioni marittime. A Napoli, piazza relativamente più debole,nasce nel 1751 la Reale Compagnia di Assicurazioni Maritti-me, poi fallita all’inizio dell’Ottocento.

L’Imperial Regia Privilegiata Compagnia di AssicurazioniGenerali Austro-Italiche, conosciuta come Generali, nata nel1831, si diffonde soprattutto negli Stati italiani. Sempre aTrieste, nel 1838 c’è la Riunione Adriatica di Sicurtà (RAS),controllata da una banca fondata qualche anno prima. Que-sta è una compagnia che inizialmente dirige le proprie cor-renti di affari più verso l’Impero che verso gli Stati italiani,dove opera soprattutto nel Lombardo-Veneto.

A Milano c’è una compagnia nel ramo incendi che si svi-luppa a partire dall’incendio di Saronno del 1827. A Torinoc’è il primo esperimento di mutualità, con la Società Genera-le di Assicurazione Mutua contro gli Incendi, la Reale Mutua,che ottiene un monopolio per la gestione di questo rischio.

Bastano questi pochi richiami a società che tuttora sonoattive, vitali e di grandi dimensioni, per intendere che al mo-mento dell’unificazione del Regno d’Italia l’attività assicura-

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tiva era già diffusa e radicata nel Paese che aveva visto secoliprima l’origine delle assicurazioni moderne.

Rispetto al settore del credito, in quell’epoca, il settore as-sicurativo è più ricco, più solido, più articolato e sviluppato,almeno nell’Italia centro-settentrionale. Nei decenni succes-sivi l’attività di assicurazione continua a espandersi. Nascononuove società come la Fondiaria a Firenze nel 1879, creatadai francesi (questo è il momento in cui i capitali d’Oltralpedominano in Italia, costruiscono le ferrovie e fondano duebanche importantissime).

Alla fine dell’Ottocento, quando ormai il capitale nazio-nale ha abbastanza marginalizzato quello francese e gli italia-ni hanno cominciato a far crescere la loro economia, Genovacontende a Milano il primato tra le piazze finanziarie del Re-gno: è patria di grandi banche, quali il Credito Italiano, e diuna nuova società di assicurazione, l’Alleanza, fondata nel1898, con il drago di San Giorgio come emblema.

Agli inizi del XX secolo l’assicurazione vita vede ancorauna prevalenza in Italia delle compagnie straniere che raccol-gono circa il 60% dei premi.

L’istituzione del monopolio statale delle assicurazioni sul-la vita è uno dei punti centrali del programma di governopresentato da Giolitti nel 1911. L’attuazione di questo puntodel programma è affidata a Nitti, ministro dell’Agricoltura, edesta grandi dibattiti. Luigi Einaudi è favorevole, MaffeoPantaleoni contrario. Una legge dell’aprile del 1912 assegnaall’INA il monopolio, con vigilanza del Ministero dell’Agricol-tura. Solo in seguito, con il decreto del 1923, si farà un passoindietro e si ristabilirà un po’ di concorrenza nel mercato del-l’assicurazione vita.

Come ho detto, la piazza di Trieste era da tempo un centrosignificativo dei mercati assicurativi. Se fino alla fine della

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prima guerra mondiale l’Italia era un importatore netto di as-sicurazioni, con l’arrivo di Trieste nel 1919 l’Italia diventa unpaese importante nel mondo delle assicurazioni e un esporta-tore netto di premi assicurativi. Inizia allora la storia moder-na delle assicurazioni in Italia, su cui non mi soffermerò per-ché su di essa esistono ottimi studi recenti.

5.2.1 Le assicurazioni sociali in Italia

Non posso evitare di accennare all’altro grande argomen-to della storia nazionale delle assicurazioni, quello delle “as-sicurazioni sociali”. Dopo l’Unità si sviluppano anche in Ita-lia le “società di mutuo soccorso”: sono 450 nel 1861, cresco-no a 5.000 nel 1885. Sono organizzate, come sappiamo, so-prattutto dai socialisti e dai cattolici, spesso tra loro in com-petizione, e rimangono sempre di modeste dimensioni, spessocaratterizzate da una vita effimera e precaria. Hanno tuttaviagrande importanza nel tradurre operativamente i concetti e ibisogni di solidarietà sociale nella ripartizione e nella gestio-ne dei principali rischi dell’esistenza.

Quindi, a fine Ottocento si fa strada anche in Italia, impor-tata dalla Germania di Bismarck, l’idea che lo Stato debba gio-care il ruolo di assicuratore sociale accanto a quello svolto daiprivati, uniti in associazioni di mutuo soccorso. I motivi, anchetecnici, che raccomandano un ruolo pubblico nella gestionedelle assicurazioni sociali sono noti. Una legge del 1883, con ilgoverno Depretis, riconosce la Cassa Nazionale di Assicurazio-ne per gli Infortuni, costituita con una convenzione tra casse dirisparmio e gestita dalla Cariplo. All’inizio la Cassa ottienemodesti risultati. Con le riforme dell’età giolittiana viene intro-dotto l’obbligo di assicurare gli operai per gli infortuni (1898),vuoi con questa cassa semipubblica, vuoi con assicurazioni pri-

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vate. Nel 1933 la Cassa diventerà l’INAIL, Istituto Nazionaleper l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro.

5.3 I rapporti tra assicurazioni private e pubbliche

Gli studiosi discutono molto sul rapporto che si è creatonel tempo tra assicurazioni private e assicurazioni pubbliche.Hanno le assicurazioni pubbliche spiazzato quelle private,nel corso del XX secolo? E non è forse ora in atto un proces-so di riequilibrio, o di ritorno all’indietro, con le assicurazioniprivate che prendono il posto di quelle pubbliche (nuovowelfare)? Nel caso della Germania, uno studioso ha conclusorecentemente che il crescente interesse per le assicurazionisociali a partire dal XIX secolo è il risultato della competizio-ne e della interazione tra attori privati e attori pubblici nelmercato assicurativo. Ci sarebbe stata, dunque, una comple-mentarità piuttosto che la mutua esclusione tra questi duesettori. A me pare questo un argomento estremamente im-portante nella storia delle assicurazioni, che dovrebbe essereverificato e approfondito anche con riferimenti specifici alnostro Paese. Uno dei temi “teorici” delle assicurazioni ri-guarda il paradosso di un’industria nata per distribuire il ri-schio su una vasta platea di soggetti ma, proprio per questo,possibile causa non intenzionale di comportamenti rischiosi.Questo è un tema che la storia economica non ha affrontatoa fondo, mentre gli economisti hanno discusso a lungo suglieffetti sociali di questo possibile paradosso. L’incoraggiamen-to di comportamenti rischiosi se da un lato aumenta alcunicosti sociali, d’altro lato è molla di innovazione e di progres-so. Il tema comincia a entrare nei libri di testo di più recentepubblicazione, andrebbe approfondito anche sul piano stori-co-empirico da associazioni come l’ANIA.

Vorrei concludere ribadendo il concetto – ben noto – che

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nella storia, almeno in quella economica, le cose raramentesuccedono per caso. L’Italia è patria dei moderni contratti diassicurazione perché tra il Trecento e il Cinquecento il nostroPaese è il centro dei traffici commerciali europei e dello svi-luppo. I Lloyds nascono a Londra perché quella è allora lapiazza commerciale principale. Pur nel declino manifatturie-ro e nella marginalizzazione settecentesca, l’Italia settentrio-nale resta sufficientemente forte in termini finanziari da per-mettere la nascita di moderne compagnie d’assicurazione informa societaria. Sicuramente aiuta lo sviluppo delle assicu-razioni l’apertura verso le vaste terre dell’Impero asburgico.È banale osservare che le assicurazioni prosperano là dovesimultaneamente si verificano condizioni favorevoli di do-manda e di offerta, bisogni di protezione e risorse di rispar-mio. Il nesso tra assicurazioni e sviluppo economico appareanche da questo punto di vista essenziale.

Lo stesso vale per le assicurazioni sociali promosse dalloStato: con livelli bassi di reddito pro capite, come quelli del-l’Italia al tempo dell’unificazione, non si può sottrarre nemme-no un centesimo all’alimentazione, al tetto e al vestiario; i ri-sparmi delle famiglie sono bassissimi; la domanda di futuro, disicurezza, è un lusso per chi non riesce ad arrivare con il pen-siero al domani. Con la crescita del reddito si forma una do-manda crescente di servizi atti a ridurre la vulnerabilità dellefamiglie e degli individui, ma lo Stato tarda nell’offrire questiservizi perché il suffragio limitato non dà voce a questi bisogni.Solo con il suffragio universale maschile, a partire dall’epocagiolittiana arriva l’estensione della previdenza, ma bisogneràaspettare che finalmente anche le donne acquistino il diritto divoto per arrivare all’affermarsi di un moderno Stato Sociale.

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Page 66: Assicurazioni sviluppo: lezioni storia · è presidente della Federazione delle Banche, delle Assicurazioni e della Finanza. Pierluigi Ciocca è stato vice direttore generale della

BancheAssicurazioni FinanzaAssicurazioni e sviluppo: lezioni dalla storia

In questi tempi di cambiamenti rapidissimi e talora turbolenti è cresciuta l’esigenzadi fermarsi a riflettere di tanto in tanto su dove andiamo e da dove veniamo. Lo fannoi singoli individui, lo fanno le imprese e le loro espressioni collettive, come le asso-ciazioni d’impresa.Uno stimolo importante allo sviluppo di queste iniziative è venuto dalle celebrazioniper i 150 anni dall’Unità d’Italia, a cui banche, assicurazioni, operatori finanziari – enaturalmente anche le loro associazioni rappresentative – hanno in vario modo par-tecipato e contribuito.Con lo stesso spirito costruttivo e ricostruttivo abbiamo raccolto i contributi di que-sto volume dedicato al rapporto tra assicurazioni e sviluppo economico e sociale inItalia. Personalità e studiosi che a vario titolo hanno avuto un ruolo da osservatori eprotagonisti della realtà italiana ci propongono col loro contributo una loro “versione”di questo rapporto, volta alla migliore comprensione dei fenomeni finanziari vistinel loro divenire, in particolare di come si prospetta in Italia il ruolo delle assicura-zioni per rilanciare lo sviluppo del Paese.La Storia (con la S maiuscola), da cui volenti o nolenti tutti siamo chiamati a trarrelezioni, ci aiuterà a meglio interpretare le dinamiche della società attuale nella qualesempre di più gli attori economici e finanziari sono parte di una complessa trama so-ciale.La riconfigurazione dello Stato sociale è un processo di rilievo epocale che – da qual-che anno e in modo sempre più pressante – impegna le politiche pubbliche e al tempostesso sollecita l’industria assicurativa a ripensare il proprio ruolo nell’economia enella società. Il disegno di nuovi equilibri istituzionali, d’altra parte, è compito ditale portata da richiedere la partecipazione del più vasto spettro di stakeholder: dallecompagnie di assicurazione ai regolatori, dai decisori delle politiche agli studiosi dellosviluppo economico e della storia delle assicurazioni, fino alle diverse espressionidella società civile.I contributi di questo volume offrono uno spaccato di questo spettro di punti di vista,nella prospettiva di un dialogo che la Federazione delle Banche, delle Assicurazionie della Finanza si propone di contribuire a far crescere e intensificare.

Assicurazionie sviluppo:lezioni dalla

storiaContributi di G. Amato, P. Ciocca,E. Fornero, R. Pearson,G. Toniolo

978-88-449-0933-8

€ 15,00 200007500

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