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sinergie n. 60/03 ASSETTI DI GOVERNANCE E PROCESSI DI INTERNAZIONALIZZAZIONE NELLE PMI Cristiana Compagno * Abstract Le modalità di espansione internazionale delle PMI derivano dall’azione congiunta di un insieme di elementi, di natura interna ed esterna. La ricerca empirica nazionale ed internazionale ha da tempo confermato l’importanza delle risorse imprenditoriali, manageriali e finanziarie nel plasmare il processo di internazionalizzazione delle imprese di minori dimensioni. Con il supporto di una vasta analisi empirica, che si è estesa a 116 PMI italiane appartenenti a tre distinti settori, il principale obiettivo di questo lavoro è verificare se e in quale misura le diverse configurazioni di Governance influenzino le strategie di internazionalizzazione. I risultati della ricerca attestano che le nuove sfide competitive a livello globale poste alle PMI richiedono, oggi più che mai, una forte progettualità attraverso la quale uscire da logiche di internazionalizzazione trainata dal mercato. Una variabile chiave per costruire questa progettualità e data dalla capacità delle PMI di coinvolgere negli organi di governo competenze e risorse adeguate a supportare i necessari processi di sviluppo internazionale. Inoltre l’intensità tecnologica e competitiva del settore di appartenenza sembra influenzare in modo significativo le possibili relazioni tra Governance e internazionalizzazione. Key words: piccole e medie imprese, governance, internazionalizzazione The forms of internationalisation of the SMEs result from the interaction of a group of variables related both to the internal and external environment. Empirical studies have well demonstrated the relevance of the entrepreneurial, managerial and financial resources in shaping the internationalisation processes of the small firms. The main goal of this work is to measure to what extent the different corporate governance configurations can influence the internationalisation strategies. Our hypotheses are tested on a sample of 116 Italian SMEs belonging to three different industrial sectors. The main results seem to indicate that the new globalisation challenges require strong capabilities in terms of strategic planning; through these capabilities the SMEs can overcome the traditional “market pull” internationalisation choices. A key variable to develop these capabilities comes from the SMEs ability to involve new and specific competencies within the governance bodies. Moreover, technological and competitive characteristics of the different sectors seem to influence significantly the relations between corporate governance and internationalisation. Key words: SMEs, corporate governance, internationalisation * Straordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Udine e-mail: cristiana. compagno@dse. uniud. it

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sinergie n. 60/03

ASSETTI DI GOVERNANCE E PROCESSI DI INTERNAZIONALIZZAZIONE NELLE PMI

Cristiana Compagno * Abstract

Le modalità di espansione internazionale delle PMI derivano dall’azione congiunta di un

insieme di elementi, di natura interna ed esterna. La ricerca empirica nazionale ed internazionale ha da tempo confermato l’importanza delle risorse imprenditoriali, manageriali e finanziarie nel plasmare il processo di internazionalizzazione delle imprese di minori dimensioni. Con il supporto di una vasta analisi empirica, che si è estesa a 116 PMI italiane appartenenti a tre distinti settori, il principale obiettivo di questo lavoro è verificare se e in quale misura le diverse configurazioni di Governance influenzino le strategie di internazionalizzazione. I risultati della ricerca attestano che le nuove sfide competitive a livello globale poste alle PMI richiedono, oggi più che mai, una forte progettualità attraverso la quale uscire da logiche di internazionalizzazione trainata dal mercato. Una variabile chiave per costruire questa progettualità e data dalla capacità delle PMI di coinvolgere negli organi di governo competenze e risorse adeguate a supportare i necessari processi di sviluppo internazionale. Inoltre l’intensità tecnologica e competitiva del settore di appartenenza sembra influenzare in modo significativo le possibili relazioni tra Governance e internazionalizzazione.

Key words: piccole e medie imprese, governance, internazionalizzazione

The forms of internationalisation of the SMEs result from the interaction of a group of

variables related both to the internal and external environment. Empirical studies have well demonstrated the relevance of the entrepreneurial, managerial and financial resources in shaping the internationalisation processes of the small firms. The main goal of this work is to measure to what extent the different corporate governance configurations can influence the internationalisation strategies. Our hypotheses are tested on a sample of 116 Italian SMEs belonging to three different industrial sectors. The main results seem to indicate that the new globalisation challenges require strong capabilities in terms of strategic planning; through these capabilities the SMEs can overcome the traditional “market pull” internationalisation choices. A key variable to develop these capabilities comes from the SMEs ability to involve new and specific competencies within the governance bodies. Moreover, technological and competitive characteristics of the different sectors seem to influence significantly the relations between corporate governance and internationalisation.

Key words: SMEs, corporate governance, internationalisation

* Straordinario di Economia e Gestione delle Imprese - Università degli Studi di Udine e-mail: cristiana. compagno@dse. uniud. it

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Premessa

In una recente intervista Kenichi Ohmae, afferma: “Il paradosso dell’Italia è che ha grandi aziende chiuse nei confini nazionali e piccole aziende mondializzate”1. E’ un paradosso generato da diverse cause: 1) la parte preponderante dei grandi gruppi industriali italiani ha attraversato e sta attraversando fasi di ristrutturazione che hanno comportato repentine ritirate da partecipazioni all’estero; 2) la diffusa incapacità di raggiungere soglie dimensionali competitive a livello globale, per effetto di una generale preferenza accordata, soprattutto dai grandi gruppi familiari, al controllo totale piuttosto che allo sviluppo; 3) il modello di specializzazione internazionale dell’Italia che vede eccellere le nostre imprese, soprattutto di piccole e medie dimensioni, nei settori tradizionali con basse barriere all’entrata, mentre registra le resistenze dei più importanti gruppi industriali a muoversi verso settori globali a più alto contenuto tecnologico, nei quali sono significative le barriere all’entrata legate alla ricerca.

In questo quadro emerge l’intrinseca debolezza di una prospettiva che di fatto affida alle PMI e ai loro sistemi locali il ruolo di integratore internazionale del sistema Italia. Nonostante il dinamismo dimostrato da queste imprese anche sul versante internazionale non possono essere ignorati difficoltà e limiti che tutte le PMI incontrano nell’operare secondo prospettive multinazionali. Difficoltà e limiti di ordine finanziario, informativo, organizzativo, strategico, manageriale, imprenditoriale, che in molti casi ostacolano l’accumulo di conoscenza sui mercati internazionali e la formazione di una cultura globale. Ciò può consentire ancora lo sviluppo del modello esportativo ma non agevola il salto verso modelli più complessi di internazionalizzazione che richiedano la gestione di una divisione del lavoro a livello internazionale. Nel breve termine la situazione strutturale dell’industria italiana non può cambiare e quindi il ruolo delle PMI nei contesti internazionali diventerà, per l’intero sistema economico, sempre più cruciale.

Conviene allora fare il punto sui possibili percorsi di internazionalizzazione delle imprese minori, attrezzandoci, anche dal punto di vista della ricerca empirica, nella individuazione dei fattori di successo che caratterizzano i modelli di internazionalizzazione delle PMI. E’ necessario individuare a quali condizioni interne ed esterne, la PMI riesce a inserirsi nei più ampi circuiti internazionali e a accedere a forme evolute di internazionalizzazione che, superata la semplice forma mercantile, si sviluppi attraverso delocalizzazioni produttive, aperture della catena del valore e riorganizzazioni internazionali della supply chain.

Entro questa prospettiva, l’obiettivo della presente relazione è di analizzare, con il supporto di una indagine sul campo, se e in quale misura le diverse configurazioni di Governance influenzino i processi di internazionalizzazione delle PMI familiari. La Governance in queste tipologie d’impresa, proprio per la specificità della sovrapposizione istituzionale tra proprietà, governo e gestione, ha natura pervasiva, ed è in grado di modellare le caratteristiche della formula imprenditoriale, anche sul

1 Corriere Economia, 28 ottobre, 2002.

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versante dell’internazionalizzazione. In accordo con la prospettiva teorica della Resource Based View, il sistema di Governance rappresenta al tempo stesso una fonte di risorse e uno strumento per organizzare le risorse medesime. E’ una fonte di risorse in quanto all’interno degli organi di governo si trovano soggetti che sono apportatori di capitale finanziario e capitale umano, in termini di imprenditorialità, competenze tecniche e manageriali, abilità decisionali e “portafoglio” di relazioni. Nel contempo esso presiede alle modalità di allocazione e coordinamento di risorse.

Le nuove sfide competitive a livello globale poste alle PMI richiedono oggi più che mai una forte progettualità attraverso la quale uscire da logiche di internazionalizzazione trainate dal mercato per attuare strategie di proiezione internazionale in grado di valorizzare le risorse distintive delle PMI, arricchendole con nuovi vantaggi competitivi. Una variabile chiave per costruire questa progettualità è data dalla capacità delle PMI di coinvolgere negli organi di governo competenze e risorse adeguate a supportare i necessari processi di sviluppo internazionale. I risultati che emergono dalla ricerca nazionale e internazionale sull’aumento del valore delle performance reddituali, strategiche e competitive delle PMI, in relazione all’apertura della Governace, sono molto chiare. Ed è da questi risultati che il policy maker pubblico dovrebbe partire per supportare e incentivare l’adozione di assetti di Governance adeguati alle specificità organizzative e istituzionali delle PMI.

1. L’internazionalizzazione senza le PMI: le principali teorie L’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese è ancora una realtà senza

teoria. I numerosi sviluppi teorici dell’International Business hanno avuto, in modo esplicito o implicito, come primario oggetto di riferimento imprese di grandi dimensioni. Nei contributi ricollegabili allo studio delle determinanti della internazionalizzazione si sviluppa un “profilo” di impresa multinazionale che possiede dei vantaggi competitivi, che sfrutta e consolida attraverso la realizzazione di economia di scala a livello internazionale, ottimizzando il gioco competitivo oligopolistico, attraverso una conveniente scelta localizzativa2. In questa prospettiva, 2 I contributi ricollegabili a questa prospettiva si sviluppano in ambiente accademico

anglosassone e forniscono, nel loro insieme, una serie di strumenti interpretativi legati a logiche di ricerca di equilibri economici entro scale dimensionali sempre più ampie. Come noto, i principali filoni riconducibili a tale approccio sono: La teoria dei vantaggi monopolistici e delle imperfezioni dei mercati (Hymer, 1960, 1976; Kindleberger, 1970; Momigliano, 1975; Knickerbocker, 1973); La teoria del ciclo di vita del prodotto (Vernon, 1966, 1971, 1979; Wells, 1972; Hirsch, 1967); Il paradigma eclettico di Dunning (Dunning, 1981, 1988); l’approccio dei costi di transazione, (Coase, 1937; Williamson, 1975; Buckey, Casson, 1976; Teece, 1981; Rugman, 1982). L’approccio della scuola Giapponese (Kojima, Ozawa, 1982; Ozawa, 1979, 1984, 1985). Per una rassegna organica, in una prospettiva storico evolutiva delle teorie dell’impresa internazionale si veda l’importante contributo di Grandinetti, Rullani, (1996) e Rullani, (1973).

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le imperfezioni del mercato ed i relativi elevati costi d’uso, rendono conveniente per l’impresa l’internalizzazione/gerarchizzazione della transazione internazionale3.

Ma anche quando i contributi teorici, recuperando la centralità dell’impresa e dei meccanismi decisionali di tipo imprenditoriale e manageriale, si soffermano sui processi organizzativi e strategici che sostengono l’internazionalizzazione, il riferimento è un’impresa dotata di una quantità di risorse materiali e immateriali tali da sostenere processi di graduale espansione internazionale e di mobilitazione intelligente di risorse a livello globale, in relazione alle variabili di tipo country e industry specific. La multinazionale considerata negli approcci legati alle imperfezioni dei mercati lascia spazio, in questa prospettiva, ad un’impresa in crescita che diventerà globale.

L’internazionalizzazione viene infatti teorizzata come un processo di tipo incrementale che coinvolge in modo crescente l’impresa sull’estero e genera apprendimento. In modo esplicito o implicito viene teorizzata un’evoluzione internazionale che procede per stadi sequenziali (dall’esportazione occasionale alla presenza strutturata nell’arena internazionale) ognuno dei quali caratterizzato da specifici assetti organizzativi e da specifici orientamenti cognitivi da parte dei manager (Perlmutter, 1965, 1969, Robinson, 1967). La diversità tipologica degli assetti è data dal diverso rapporto (organizzativo e strategico) che intercorre tra la sede centrale e le consociate estere. Il punto finale di questi percorsi evolutivi è rappresentato dall’impresa globale, un’impresa senza una definita centralità organizzativa e con un orientamento strategico rivolto all’economia mondiale. Il modello organizzativo proposto a sostegno della globalità dell’impresa è di tipo evolutivo: all’aumentare della complessità della strategia internazionale (numerosità ed eterogeneità dei mercati, numerosità ed eterogeneità dei prodotti offerti) aumenta il grado di differenziazione organizzativa e, con esso, il fabbisogno di integrazione internazionale. I modelli organizzativi, al pari della strategia, da semplici diventano complessi e moltiplicano i presidi organizzativi su prodotti e/o su mercati globali.4

3 Gli IDE risultano, rispetto alla cessione di licenze o ad altre forme di collaborazione, le

forme più convenienti di trasferimento internazionale di tecnologia (Momigliano, 1975; Aliber, 1970).

4 Si riscontra così il passaggio da strutture funzionali, con filiali di vendita all’estero, a strutture divisionali, che progressivamente cambiano la base di specializzazione dal prodotto all’area geografica internazionale, fino ad arrivare allo stadio finale di tipo bi-focale rappresentato da un modello a matrice in cui si tende ad un perfetto bilanciamento dell’“attenzione manageriale” tra prodotto globale/mercato globale e prodotto locale/mercato locale, ossia tra globalizzazione e differenziazione locale (Stopford, Wells, 1972). Per sostenere strategie transazionali l’evoluzione organizzativa può poi procedere verso forme di tipo reticolare (Bartlett, Ghoshal, 1989, 1991; Ghoshal, Nohria, 1989). La chiarificazione del concetto di globalizzazione in relazione alle variabili industry specific, trascurate negli approcci di tipo organizzativo, si deve principalmente a Porter (1985, 1986). Solo nel settore globale i vantaggi competitivi derivano dalla integrazione delle attività su base mondiale, mentre nei settori multidomestici possono prevalere logiche di integrazione di tipo locale. L’entità dei vantaggi competitivi e i concreti modelli di competizione internazionale derivano poi dalla configurazione e dal

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Più recentemente entro la prospettiva strategica ed organizzativa alla globalizzazione si sono sviluppati approcci che ne enfatizzano la dimensione cognitiva. Doz, Santos e Williamson (2001) sviluppano il concetto di impresa Metanazionale che articola la sua strategia di proiezione esterna per accedere alle conoscenze superiori sparse nel mondo (Sensing), per integrarle e guidarle alla realizzazione di nuovi prodotti servizi globali, (Mobilizing e Operations). L’enfasi si sposta dal “penetrare nuovi mercati” all’“imparare dal mondo”5.

Ma qui l’internazionalizzazione è, seppur implicitamente, ancora un fenomeno elitario che viene sviluppato da imprese dotate di risorse e di intelligenza tale da conoscere e da accedere all’intelaiatura globale dei vantaggi competitivi.

Negli impianti teorici classici dell’International Business non risultano sufficientemente approfonditi nè sul piano delle teorie nè sul piano dell’analisi empirica le determinanti dell’internazionalizzazione delle PMI, le specificità delle nuove forme di coordinamento internazionale di tipo non gerarchico e non equity, il ruolo svolto dal territorio e dal sistema locale di appartenenza, la peculiarità dei meccanismi di apprendimento nelle PMI condizionati dalle caratteristiche dell’imprenditore e dai suoi particolari processi di Enacted Environment. Semplicemente le PMI e i loro sistemi non ci sono, o meglio sono una fase, un transitorio momento di una incrementale ed inevitabile evoluzione che parte dal “piccolo” e arriva al “grande”. Le forme diverse dagli investimenti diretti all’estero, (alleanze, accordi di cooperazione produttiva e commerciale, Joint Venture), sono trattate con scetticismo, sono un prodotto residuale spesso legato al basso grado di intensità tecnologica del settore di appartenenza delle imprese (Momigliano, Balcet, 1982, 1983).

In realtà la capacità delle PMI di raggiungere una presenza quantitativamente e qualitativamente significative nei mercati esteri è stata ormai ampiamente verificata. Ciò che non è stato ancora messo a punto è un quadro sistematico di analisi delle specificità che caratterizzano la presenza internazionale delle PMI. In questa prospettiva è necessario superare sia l’approccio di tipo mercantilistico puro, che ha per oggetto di analisi lo scambio sul mercato internazionale di beni e servizi, sia quello della prevalente espansione internazionale governata, che ruota attorno ai principi dei vantaggi proprietari, sia il generale modello organizzativo di tipo sequenziale e lineare di progressivo coinvolgimento dell’impresa sull’estero. Le PMI infatti:

- affiancano alla tradizionale internazionalizzazione mercantile un’internazionaliz-

zazione produttiva e attuano processi di delocalizzazione e di apertura della catena del valore non solo nelle fasi terminali ma anche in quelle intermedie,

coordinamento delle attività internazionali, ovvero dalla distribuzione, guidata dall’esistenza di vantaggi country specific, delle attività della catena del valore tra i vari paesi.

5 In una prospettiva ben più ampia si colloca il contributo di Grandinetti e Rullani (1996) nel quale la mondializzazione economica viene interpretata come l’esito dei processi di divisione transazionale del lavoro di produzione, scambio e uso delle conoscenze.

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riorganizzando la supply chain in senso internazionale; - affiancano alle tradizionali esportazioni consistenti forme alternative di

internazionalizzazione “leggera” basata su accordi non equity; - si aprono, seppur in modo selettivo, a mercati non contigui dal punto di vista

geografico; - presentano salti e discontinuità nel processo di internazionalizzazione senza per

questo realizzare espansioni dimensionali o complesse revisioni di assetto organizzativo;

- generano forme di “internazionalizzazione dell’imprenditorialità”, mobilitando risorse umane e conoscenza locale per lo sviluppo di start up internazionali. Accanto a forme attive di internazionalizzazione vi sono poi numerose forme di

internazionalizzazione trainata che proiettano in una dimensione internazionale anche le PMI tradizionalmente orientate ai rispettivi mercati domestici. Ci riferiamo ai casi in cui la stessa catena verticale del valore in cui è inserita la PMI è internazionale, per cui l’impresa si trova ad essere di fatto inserita in un circuito internazionale fornendo o acquisendo prodotti, servizi, tecnologia, design.

Il modello di internazionalizzazione delle PMI non è quindi univocamente definito, presenta al suo interno una pluralità di varianti strategiche e organizzative, che hanno intrinsecamente natura evolutiva e che producono una nuova ecologia di popolazioni organizzative internazionali di piccole e medie dimensioni. Questo complesso modello non può essere efficacemente interpretato estendendo gli approcci teorici applicati alla grande dimensione, è necessaria una formulazione teorica originale in grado di cogliere da un lato il ruolo delle PMI nelle nuove forme di divisione internazionale del lavoro e di riorganizzazione globale delle catene del valore e dall’altro è necessario individuare le determinanti (interne ed esterne) che definiscono e caratterizzano i percorsi internazionali di queste imprese.

La consistente letteratura sui temi dell’internazionalizzazione delle PMI ha messo a fuoco due distinti livelli di indagine empirica e teorica: il primo si focalizza sulle problematiche evolutive dei sistemi locali nell’ambito di un’economia sempre più globale (Grandinetti, Rullani, 1996; Corò, Rullani, 1998; Chiarvesio, Di Maria, Micelli, 2002). Il principale oggetto di analisi è dato dal sistema che, aprendosi sempre più all’esterno, pone ovviamente problemi di “tenuta” e di sostenibilità (Onida, Viesti, Falzoni, 1992); il secondo livello di analisi ha invece per oggetto la singola impresa, e i fattori interni ed esterni che determinano aperture internazionali (Caroli, Lipparini, 2002; Caroli, 2000; Varaldo, Ferrucci, 1997; Varaldo, 1992; Silvestrelli, 2001a, 2001b; Pepe, 1984; Zucchella, Maccarini, 1999; Silvestrelli, Gregori, 1994; De Toni, Nassimbeni, 2000).

E’ ovvio che esiste una forte interdipendenza tra i due livelli, l’apertura internazionale del sistema locale implica per le imprese più attive dal punto di vista competitivo una riorganizzazione in chiave internazionale dei processi, con forti ricadute sulle reti di fornitura e sulla configurazione dell’intera catena del valore. Ma l’internazionalizzazione del sistema espone ad una competizione più ampia anche le PMI chiuse sui mercati locali. Ciò ovviamente innesca dei processi di

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selezione ma anche degli stimoli forti al cambiamento strategico e organizzativo, in senso internazionale.

2. I fattori di internazionalizzazione nelle PMI L’espansione internazionale delle PMI deriva dall’azione congiunta di un

insieme di elementi, di natura interna ed esterna, che intervengono, con “pesi” diversi nelle diverse fasi della vita di un impresa.

Le spinte di origine interna all’internazionalizzazione possono avere diversa natura. Molti studi si sono soffermati sul ruolo svolto da variabili legate all’età e alla dimensione d’impresa (Bugamelli, Cipollone, Infante, 2001; Ferragina, Quintieri, 2001; Holzmuller, Stottinger, 1996) giungendo a risultati non univoci, anche se, per quanto riguarda la dimensione, larga parte delle evidenze rilevate attestano che essa non costituisce, soprattutto per la quota esportativa, un fattore discriminante (Bonaccorsi, 1987;1992;Grandinetti, 1992); altre ricerche hanno studiato le influenze sull’internazionalizzazione giocato dalla struttura dell’offerta dell’impresa e dalla capacità di adattamento della stessa alle esigenze del mercato estero (Cavusgil et al., 1993). Recentemente interessanti studi sono stati condotti sulle relazioni tra struttura proprietaria e accesso ai mercati esteri (Becchetti, Gonzales, 2001). La ricerca empirica sia nazionale che internazionale, seppur focalizzandosi su tipologie di risorse diverse, ha confermato l’importanza delle risorse imprenditoriali, manageriali e finanziarie nel processo di espansione esterna delle PMI. Spesso l’apertura verso l’estero di una PMI, deriva dalle caratteristiche personali dell’imprenditore, dal sistema di relazioni sociali in cui è inserito, e, in definitiva, dalle sue capacità di intuire le potenzialità di sviluppo del business in una prospettiva internazionale (Caroli, 2002; Chandler, Hanks, 1994; Collis, 1991; Shane et al., 1993, Philp, 1998; Gallo et al., 1991, 2002). Il “peso”della personalità dell’imprenditore sulle scelte strategiche dell’impresa è tanto più elevato quanto più piccole sono le dimensioni dell’impresa stessa. Più in generale, i meccanismi di percezione degli stimoli esterni all’internazionalizzazione e di successiva selezione dell’azione (Daft, Weik, 1984) rimandano ad una serie di fattori interni, fra loro eterogenei, ma che nel complesso vanno a configurare le caratteristiche delle risorse interne dell’impresa. Si tratta di risorse immateriali (competenze e orientamenti imprenditoriali, competenze tecnico manageriali e più in generale capacità organizzative) e materiali (di tipo finanziario o infrastrutturale) che vengono combinate secondo dinamiche firm specific per produrre azioni in risposta a sollecitazioni ambientali o per cogliere opportunità di sviluppo.

Gli elementi esterni fanno riferimento all’insieme delle spinte di origine ambientale che stimolano l’apertura internazionale dei mercati e dei sistemi produttivi. In questa prospettiva il fenomeno della globalizzazione proiettando la piccola impresa nella supply chain della grande impresa e creando le condizioni di competizione internazionale entro i mercati domestici, rappresenta una formidabile spinta all’internazionalizzazione delle PMI (Varaldo, 1987, 1988; Varaldo, Rosson,

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1992; Velo, 1991; Stampacchia, 1991, 2001; Rispoli, 1994; 2002; Cafferata, 1993; Silvestrelli, 2001b; Cafferata, Genco, 1997). Ma accanto a spinte che si inseriscono entro macro processi di tipo evolutivo, è possibile individuare delle specifiche forze esogene all’internazionalizzazione delle PMI.

Alcune ricerche empiriche (Miesenbock, 1988) mostrano come lo stimolo iniziale all’esportazione sia prevalentemente di origine esterna, quali ad esempio il verificarsi delle situazioni di unsolicited order provenienti da clienti esteri. Le condizioni esterne, riferite alle specificità nazionali, sono poi in grado di condizionare le modalità di apertura internazionale delle imprese: il contrasto tra forte vocazione esportativa e debole vocazione multinazionale, particolarmente evidente nelle PMI è infatti parzialmente imputabile ad alcune caratteristiche strutturali del nostro sistema economico ancorato ad un modello di specializzazione internazionale legato a settori di beni di consumo rivolti alla persona o alla casa, alla meccanica specializzata e alla subfornitura di tecnologie intermedie e leggere. Si tratta di un modello distante dai settori (hith tech, terziario avanzato) protagonisti della competizione oligopolistica mondiale (Mariotti, Mutinelli, 2001a, Onida, 1999). La rilevanza del settore di appartenenza (Bugamelli, Cipollone, Infante, 2001) e del Business Network (attori, conoscenze, infrastrutture, servizi reali) in cui è inserita l’impresa è stata posta al centro di molte ricerche nazionali e internazionali (Whitley, 1992; Christensen, Lindmark, 1993). In questa stessa prospettiva va letta la copiosa letteratura nazionale sul ruolo di stimolo e di strumento di internazionalizzazione svolto dai sistemi produttivi locali (Grandinetti, 1999; Beccatini, Rullani, 1993; Brusco, 1994; Corò, Rullani, 1998; Lipparini, 2002).

Lo studio sui processi di internazionalizzazione delle imprese distrettuali ha evidenziato situazioni diverse: a imprese leader che assumono caratteristiche di vere e proprie global corporation con una configurazione internazionale della supply chain, si contrappone un gran numero di piccole e piccolissime imprese che attuano una internazionalizzazione incompleta (Grandinetti, 2001, 1992) 6. La proiezione internazionale della catena del valore delle PMI risulta cioè spesso limitata alla sola funzione vendita e alle attività strettamente connesse alla filiera produttiva. Ma ciò che più conta, soprattutto nelle più limitate dimensioni, sono gli scarsi cambiamenti organizzativi, strategici e di Governance generati dall’attività sui mercati esteri. In sostanza la formula imprenditoriale delle PMI, soprattutto nei settori tradizionali, sembra essere impermeabile alle complessità competitive indotte dai mercati internazionali. L’internazionalizzazione incompleta ha prodotto delle asimmetrie nei percorsi di crescita, una lenta percorrenza della curva di apprendimento, una bassa consapevolezza strategica. L’internazionalizzazione trainata dalle imprese leader o più in generale imposta (sia dal punto di vista mercantile che produttivo) dalle nuove condizioni competitive ha prodotto nella generalità dei casi, la replicazione 6 Tale incompletezza del modello internazionale delle PMI è per larga parte imputabile a

due importanti fattori: la difficile replicabilità della conoscenza maturata sui mercati domestici a livello internazionale (liability of foreigness) e la difficoltà di avviare attività imprenditoriali in contesti nuovi (liability of newness), (Hymer, 1976; Stinchcombe, 1965).

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inerziale della formula imprenditoriale originaria e locale nelle esperienze di internazionalizzazione.

Nella situazione odierna, con l’emergere di nuovi players globali, dotati di vantaggi competitivi legati alle scale produttive e all’efficiente divisione del lavoro internazionale, la sopravvivenza delle PMI e il loro sviluppo sulla scena internazionale non può più basarsi “sull’effetto traino” ma deve essere il risultato di un processo strategico complessivo che porti ad una riorganizzazione su scala transazionale dell’intero sistema del valore dell’impresa, facendo leva sullo sviluppo, il consolidamento, la valorizzazione e lo sfruttamento delle risorse interne. Ciò significa leggere l’internazionalizzazione mercantile e produttiva non più semplicemente come un ulteriore sbocco di mercato o come uno mezzo per ridurre il costo dei fattori ma anche come un processo per accedere a circuiti internazionali di conoscenza, di innovazione, di tecnologia, al fine di aumentare la propria dotazione di risorse distintive e in definitiva il proprio potenziale innovativo.

3. Lo schema di analisi proposto Entro la prospettiva appena delineata, molto proficua ci è sembrata

l’applicazione nello studio dei processi di internazionalizzazione delle PMI dell’approccio e della metodologia offerta dal ricco filone della Resource Based View (Westhead, Wright, Ucbasaran, 2001; Domckels, 2001; Habbershon, Williams, 1999; Miesenbock, 1988; Greene, Browe, 1997; Stoney, 1994). In particolare, come è noto, tale filone individua le determinanti del vantaggio competitivo in una serie di fattori interni all’impresa, identificati nella dotazione di risorse e nella dinamica delle competenze presenti nel sistema aziendale (Barney, 1991, Grant, 1991; Hamel e Prahalad, 1994). Nella nostra prospettiva, il fattore interno che, in un’ottica resource based, assumiamo come possibile elemento esplicativo dei processi di internazionalizzazione è il sistema di Corporate Governance. Definiamo la Corporate Governance come il sistema di organi e funzioni attraverso il quale le imprese vengono controllate e dirette (Cadbury, 1992, OCSE, 1999)7.

Essa comprende l’insieme degli organi individuali o collettivi (assemblea dei soci, consiglio di amministrazione, amministratore delegato, direttore generale, manager) che presiede alle massime prerogative decisionali. La nozione di “controllo” fa riferimento alle funzioni di vigilanza che i principali stakeholders dell’impresa (tipicamente, gli apportatori di capitale) esercitano sul top management per far sì che i dirigenti agiscano nel loro interesse; il concetto di “direzione” richiama invece la definizione degli indirizzi strategici e degli obiettivi di lungo periodo dell’impresa8. Nelle piccole e medie imprese, dove sussiste un’elevata 7 Per un approfondimento sul ricco dibattito relativo alla Corporate Governance si rimanda

a Airoldi, Forestieri, 1998; Roe, 1994, Monks, Minow, 2001; per una rassegna delle teorie e dei modelli di Corporate Governance, si veda Montemerlo, 2000; Turnbull, 2000.

8 In questo senso l’organo di governo è depositario della funzione imprenditoriale (Saraceno, 1966) e, con le parole di Golinelli, “si identifica con la componente logica

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sovrapposizione tra proprietà, governo e gestione, la funzione di controllo risulta limitata, mentre il focus dell’attenzione si sposta sui compiti strategici e organizzativi del sistema di Governance. Questo punto di vista consente di adottare una lettura resource based delle strutture di Governance e delle loro modalità di funzionamento. Il sistema di Corporate Governance rappresenta infatti al tempo stesso una fonte di risorse e uno strumento per organizzare le risorse medesime. Esso è una fonte di risorse in quanto all’interno degli organi di Governance si trovano soggetti che sono apportatori di capitale finanziario e capitale umano, in termini di imprenditorialità, competenze tecniche e manageriali, abilità decisionali e “portafoglio” di relazioni. D’altra parte il sistema va inteso anche come modalità di allocazione e coordinamento di risorse. Utilizzando il linguaggio della Resource Based View, la Corporate Governance può essere quindi intesa come una “Dynamic Capability” in quanto rappresenta la leva principale per mobilitare e combinare le risorse all’interno dell’impresa. Questo è particolarmente vero nelle PMI data la “pervasività” della Governance, derivante dalla vicinanza e, spesso, dalla totale identificazione, tra proprietà, governo e gestione (Golinelli, 1974; 2000; Nanut, Compagno, 1989; Corbetta, 1995; Compagno, 2000b; Schillaci, 1990, 1999; Airoldi, Gnan, Montemerlo, 1998, Preti, 2001). La complessità degli assetti di Governance nelle PMI ed in particolare nelle PMI familiari, deriva dalla sovrapposizione istituzionale di tre sistemi che logicamente dovrebbero rispondere a logiche diverse: la famiglia, la proprietà e l’impresa (Lansberg, 1983). I tre sistemi possono dare vita a situazioni di reciproco condizionamento, a seconda della misura in cui il nucleo familiare è coinvolto nella proprietà e/o nella gestione. Nel particolare modello di capitalismo familiare - ma potremmo dire con Rullani (1999), di capitalismo Personale - del nostro paese la sovrapposizione istituzionale influenza (ma più spesso determina) il grado e l’ampiezza dei processi di delega, la scelta dei meccanismi di controllo e dei sistemi di misurazioni delle performance, l’efficacia degli organi formali (in primis il Consiglio di amministrazione) (Demattè, 1995; Gubitta, 1999; Barca et al., 1994a, 1994b; Compagno, 2000a; Montemerlo, 2001). Inoltre essa genera di fatto la struttura, i contenuti e i processi della Governance. La specificità e la complessità della Governance delle imprese familiari di piccole e medie dimensioni sta proprio nella commistione tra emozioni e sentimenti e meccanismi di allocazione dei poteri di governo. Una commistione che rallenta ma a volte inibisce la capacità dell’imprenditore e dei suoi familiari di rivedere i propri ruoli all’interno della Governance, in relazione ai fabbisogni di sviluppo dell’impresa. Ciò spesso genera delle situazioni patologiche di simbiosi forzata tra famiglia e impresa, che, in presenza di maggiori complessità competitive e strategiche, blocca lo stesso sviluppo dell’impresa. La sopravvivenza e lo sviluppo di queste imprese, nelle nuove sfide competitive, richiede la capacità di progettare una nuova Governace attraverso la quale internalizzare risorse finanziarie e capacità

dell’area decisionale cui sono attribuite le scelte in merito alla definizione degli indirizzi strategici e alla predisposizione di adeguati meccanismi di integrazione e coordinamento delle diverse componenti operative, atti a preservare l’unitarietà e l’integrità del sistema stesso” (Golinelli, 2000: 209)

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manageriali adeguate a realizzare performance competitive (Schillaci, Faraci, 1999, 2001; Brunetti, Montemerlo, 2001; Cafferata, 1988).

E’ ormai consolidato che la Corporate Governance si presenta come una variabile in grado di incidere in modo forte sulle performance strategiche, competitive e reddituali dell’impresa. Molti studi empirici hanno indagato le relazioni esistenti tra configurazioni della Governance e risultati aziendali. Un primo filone di ricerca si è concentrato sulle imprese di grandi dimensioni, studiando come le caratteristiche dell’assetto proprietario, del consiglio di amministrazione e del top management team siano in grado di incidere sulle performances dell’impresa, misurate attraverso vari indicatori, quali ad esempio: i cambiamenti strategici, i cambiamenti organizzativi, le innovazioni produttive, i risultati finanziari e reddituali (Norburn e Birley, 1988; Zahra e Pearce, 1989; Baysinger e Hoskisson, 1990; Hambrick, D’Aveni, 1992; Wiersema e Bantel, 1992). Recentemente diversi ricercatori hanno indirizzato la loro attenzione sulle imprese di piccole e medie dimensioni, analizzando il rapporto tra Governance e performances alla luce delle peculiarità culturali e istituzionali che caratterizzano queste aziende, con riferimento particolare all’assetto di controllo familiare che contraddistingue la maggior parte delle imprese di minori dimensioni. Sono state studiate, ad esempio, le relazioni tra: ruolo della famiglia controllante e comportamenti strategici (Johnson, Daily, Ellstrand, 1996); assetto di Governance e propensione all’innovazione (Taylor. 1999; Zahra, Neubaum, Huse, 2000) configurazione dei gruppi di vertice e cambiamenti nell’organizzazione e nella strategia (Compagno, Pittino, 2001; Nordqvist, Brunnige, 2001); funzionamento degli organi di Governance e performances reddituali ed organizzative (Gnan, Montemerlo, 2001; Gubitta e Gianecchini, 2001).

La nostra ricerca si propone di analizzare, su un campione di 116 PMI, le possibili relazioni esistenti tra le caratteristiche del sistema di Governance e le caratteristiche dei processi di internazionalizzazione. Le caratteristiche del sistema di Governance nelle PMI familiari sono primariamente determinate dal grado di eterogeneità, rispetto all’omogenea base familiare, delle risorse coinvolte negli assetti proprietari e negli assetti direzionali. Le caratteristiche dei processi di internazionalizzazione sono definite in base al diverso grado di rischio e coinvolgimento strategico, organizzativo e gestionale sull’arena competitiva internazionale.

Alcune ricerche hanno evidenziato come l’eterogeneità culturale che caratterizza i membri degli organi di Governance influisca positivamente sulle performance dell’impresa. Sulla base dei risultati che emergono dalla letteratura, possiamo assumere come indicatore dell’eterogeneità nei gruppi di vertice il grado di apertura della Governance, ossia l’esistenza, nell’ambito del sistema di Governance di membri che non appartengono alla famiglia o alle famiglie controllanti (consiglieri e/o manager esterni); questi soggetti apportano elementi di arricchimento e integrazione al sistema aziendale dal punto di vista della cultura e delle competenze (Murray, 1989; Johanisson e Huse, 2000; Compagno e Pittino, 2001).

In generale, l’eterogeneità socio-demografica rappresenta una diversità

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fondamentale nelle basi cognitive di un gruppo. Un team eterogeneo tende ad utilizzare informazioni da una grande varietà di fonti e ad avere varie prospettive e modalità di interpretazione della realtà. La differenziazione nella struttura dei valori di un gruppo determina una alta complessità e generalmente un basso livello di consenso, accrescendo in questo modo la ricerca e la selezione delle informazioni, la percezione delle possibilità di cambiamento, l’intensità del cambiamento stesso (Dutton e Duncan, 1987; Pegels, Song e Yang, 2000).

Caratteristiche opposte attengono ai gruppi caratterizzati da elevata omogeneità. Un gruppo di vertice ad alta omogeneità è composto, ad esempio, da membri di simile età anagrafica, anzianità e background aziendale o da membri provenienti dalla stessa famiglia del fondatore. Il principale carattere che si osserva nei processi decisionali delle imprese familiari, in cui la centralità dell’imprenditore genera una cultura forte e omogenea, è la capacità di creare consenso sulle decisioni (Priem, 1990, Knight et al., 1999). Dal punto di vista strategico, questa situazione di omogeneità crea condizioni di continuità nel processo decisionale; la condivisione di comportamenti, linguaggi e valori facilita l’integrazione, la comunicazione e il problem solving.

I gruppi omogenei tipici delle piccole e medie imprese familiari possono tuttavia presentare risvolti negativi in termini di alti livelli di conformismo, illusione di “invincibilità” (Costa, 1999), situazioni patologiche di groupthink e assenza di “apertura informativa”(Grandori, 1999).

In un’ottica contingente, recenti studi introducono le caratteristiche del contesto ambientale di riferimento come moderatore della relazione tra configurazione degli organi di governace e comportamenti strategici (Priem, 1990; Knight, 1999). Posto che un certo livello di eterogeneità rappresenta in ogni caso un fattore di innovazione e dinamismo strategico, in queste ricerche viene evidenziato come i gruppi più omogenei, in cui si crea un alto livello di consenso durante i processi decisionali, tendano ad adottare le soluzioni più efficaci in ambienti stabili, mentre i gruppi maggiormente eterogenei risultano più adatti ad operare in contesti turbolenti (Hambrick e Mason, 1984; Pegels, Song e Yang, 2000).

Entro questa prospettiva la configurazione degli assetti di Governance in termini di maggiore o minore apertura è sollecitata primariamente dalle dinamiche competitive del settore di appartenenza dell’impresa.

Sulla base del quadro teorico delineato, i quesiti ai quali cercheremo di dare una risposta attraverso la ricerca empirica su un campione di PMI familiari sono:

- se e in quale misura la diversa configurazione degli assetti di Governance

influenzi i processi di internazionalizzazione delle PMI; - se e in quale misura l’intensità tecnologica e competitiva del settore di

appartenenza influenzi le possibili relazioni tra Governance e internazionalizzazione.

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4. La metodologia della ricerca La rilevazione dei dati sui processi di internazionalizzazione è stata condotta nel

contesto di una ricerca più ampia, la cui finalità principale è l’analisi delle dinamiche di innovazione e di sviluppo delle piccole e medie imprese. I dati sono stati raccolti tramite un questionario telefonico strutturato che è stato sottoposto agli organi di governo dell’impresa (imprenditore, presidente del CdA, amministratore delegato, direttore generale).

Il campione di indagine è composto da 116 PMI familiari italiane9, estratte dal data base della VII indagine strutturale sulle imprese manifatturiere italiane condotto dall’Osservatorio sulle piccole e medie imprese del Mediocredito Centrale, e appartenenti ai settori dell’elettronica-telecomunicazioni, delle macchine utensili, e del mobile10. La segmentazione settoriale adottata risponde all’esigenza di studiare le dinamiche di internazionalizzazione in relazione a differenti caratteristiche tecnologiche e competitive: i tre comparti presentano infatti da questi punti di vista importanti elementi di differenziazione11.

9 Per impresa familiare si intende quell’impresa in cui una o più famiglie, legate da vincoli

di parentela e da solide alleanze, detengono una quota di capitale di rischio tale da esercitarne il controllo, Corbetta (1995).

10 Dal data base sono state estratte le imprese che nei tre settori presentavano un assetto istituzionale di tipo familiare. Il numero totale di queste imprese è di 415. I risultati che si riportano sono relativi alle prime rilevazioni concluse a settembre 2001 relative a 116 imprese.

11 In base ai dati forniti dalla banca dati Reprint e dal CNEL, nonché dalla banca dati dell’ISTAT e dai rapporti sulle esportazioni dell’ICE, i tre settori presentano una diversa propensione all’internazionalizzazione e seguono modalità diverse di competizione sui mercati esteri. I dati aggregati, in valore assoluto, delle esportazioni dei tre settori per il 2001 sono: Elettronico: 20740 milioni di Euro; Macchine utensili: 63397 milioni di Euro; Mobili: 9308 milioni di Euro. La percentuale di export sul fatturato totale è per ciascun settore rispettivamente del: 42%; 50% e 45%. Per quanto riguarda gli IDE la situazione è molto differenziata tra i tre settori. Dalle ultime indagini sugli investimenti diretti delle imprese italiane all’estero, realizzate dal CNEL (dati definitivi, 1998), emerge che, le imprese industriali estere partecipate da imprese italiane appartenenti al settore elettronico erano 69, mentre le imprese italiane partecipate da imprese estere erano 113; nel settore delle macchine utensili, le imprese estere partecipate da imprese italiane erano 198, mentre le imprese italiane partecipate da imprese estere erano 246; nel settore del mobile infine, le imprese estere partecipate da imprese italiane erano 35, mentre risultava nulla la partecipazione di imprese estere su imprese italiane. Certamente i dati ufficiali riportati sottostimano il complesso fenomeno dell’internazionalizzazione, in quanto sfuggono dalle rilevazioni molte forme “leggere” di internazionalizzazione, basate su accordi (commerciali e tecnico/produttivo) di tipo non equity, presenti soprattutto nei settori tradizionali (mobili) e frequentemente adottati dalle PMI. In ogni caso quello che va segnalato in questa sede è la diversa esposizione alla competizione globale dei tre settori, attestata anche dall’entità degli investimenti diretti nelle due direzioni. Tale esposizione risulta molto accentuata per il settore dell’elettronica e delle macchine

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4.1 Grado e forme di internazionalizzazione Nelle imprese del campione le caratteristiche del processo di

internazionalizzazione sono state osservate tenendo conto del grado di internazionalizzazione, misurato dalla percentuale di export sul fatturato totale, e delle diverse forme di internazionalizzazione adottate. Queste sono state distinte in 6 tipologie generali, ampiamente approfondite in letteratura, che individuano livelli di rischio e di coinvolgimento finanziario, strategico, e organizzativo alquanto diverse (Pellicelli, 1989; 1999; Valdani, 1991; Root, 1987): Export indiretto, Export diretto, Consorzi tra imprese, Accordi di collaborazione (tecnico-produttivi, di subfornitura, di franchising), Joint Venture, Investimenti diretti all’estero12. 4.2 Gli assetti di Governance

Nell’ambito del campione, il sistema di Corporate Governance è stato analizzato

attraverso lo studio congiunto delle seguenti variabili:

1. Composizione dell’assetto proprietario; 2. Composizione della squadra manageriale; 3. Composizione del consiglio di amministrazione; 4. Allocazione delle effettive funzioni di governo dell’impresa.

Per semplicità sono state individuate 2 tipologie di assetto proprietario in base all’identità dei titolari dei diritti di proprietà: 1) assetto a controllo familiare assoluto, quando tutti i soci sono legati da vincoli di parentela; 2) assetto a controllo familiare aperto quando quote minoritarie del capitale sono detenute da soggetti (persone fisiche o giuridiche) esterni alla famiglia;

La composizione del team manageriale, così come quella del CdA è stata rilevata attraverso l’analisi della diversa incidenza di membri familiari e non familiari nel presidio delle funzioni di governo.

Infine, l’effettiva allocazione delle prerogative di governo è stata rilevata

utensili, più debole per il settore del mobile. Per approfondimenti e dettagli si veda: www.cnel.it; Cominotti, Mariotti, Mutinelli, 2001 e Mariotti, Mutinelli, 2001b.

12 La scelta delle modalità generali di penetrazione nei mercati esteri sopra descritta, non va intesa ai fini della nostra ricerca, come una graduatoria rigida e deterministica che scandisce le fasi dell’evoluzione internazionale dell’impresa da forme semplici a forme via via più complesse. Innanzitutto ciascuna forma può consentire livelli diversi di coinvolgimento estero in relazione agli obiettivi, alla complessità della transazione, ai comportamenti soggettivi dei produttori locali e degli intermediari internazionali. Inoltre il percorso internazionale delle PMI può subire delle accelerazioni, o, al contrario, delle battute d’arresto, in relazione al gioco di variabili competitive ma anche interne d’impresa. In sostanza questo significa che un’impresa può nascere con un forte orientamento internazionale e con una dotazione di risorse strategicamente orientate sui mercati esteri, collocandosi quindi, già come start up nelle forme più avanzate di internazionalizzazione, al contrario un’impresa può esaurire l’intero suo ciclo di vita, non superando mai la forma più elementare di penetrazione sui mercati esteri

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attraverso la richiesta dell’esplicita individuazione delle posizioni che, all’interno della struttura organizzativa, possono assumere, individualmente o collegialmente, decisioni di carattere strategico. L’individuazione di queste posizioni ha permesso di identificare gli effettivi organi che svolgono funzioni di governo, al di là dell’articolazione formale del sistema di Governance13.

Le variabili relative ai punti 2, 3 e 4, definiscono, congiuntamente considerate, tre tipologie di assetti di governo in senso stretto, che definiamo Assetti Gestionali:

- Assetto completamente familiare. La squadra direzionale è composta

interamente da membri familiari, i quali svolgono le funzioni di governo dell’impresa, sia attraverso il presidio delle posizioni formali che attraverso l’esercizio delle prerogative sostanziali di indirizzo strategico;

- Assetto familiare arricchito con professionalità esterne. La squadra manageriale è composta da manager interni ed esterni alla famiglia, ma le effettive funzioni di governo vengono svolte unicamente dai familiari. Gli assetti organizzativi risultano fortemente accentrati, le deleghe riguardano solo aspetti operativi. Spesso in questa tipologia di assetti gli organi formali di Governance vedono la presenza di membri esterni con limitate se non nulle possibilità di esercizio delle prerogative sostanziali di indirizzo strategico;

- Assetto familiare allargato. Anche in questo caso la squadra manageriale è composta da membri familiari e non familiari, ma la specificità di tale assetto è data da una sostanziale apertura della Governance. Membri esterni alla famiglia, dotati di importanti deleghe decisionali, affiancano i membri familiari nei processi di tipo strategico. In questi casi il CdA, composto da familiari e da non familiari, svolge vere e proprie funzioni strategiche.

I tre assetti individuano tre situazioni diverse, non solo dal punto di vista della

Governance, ma anche dal punto di vista strategico e organizzativo. Nella prima tipologia di assetto, ci troviamo di fronte alla classica totale sovrapposizione tra famiglia e impresa, che caratterizza larghissima parte delle piccole piccolissime imprese. I contributi della famiglia (in termini finanziari e di competenze) sono sufficienti a garantire la continuità dell’impresa, soprattutto in contesti non dinamici ed entro protette strategie di nicchia. Il sistema di Governance si dispiega tutto all’interno della famiglia. Le scelte di internazionalizzazione, così come più in generale quelle di innovazione, poggiano spesso sulle sole competenze dell’imprenditore e sulla sua capacità di intuire le opportunità. Nell’assetto arricchito, sia dal punto di vista strategico che organizzativo la situazione è più complessa. I contributi della famiglia non sono più sufficienti a garantire la difendibilità dei vantaggi competitivi dell’impresa. Sono necessarie nuove risorse finanziarie e/o nuove competenze da affiancare a quelle esistenti. La famiglia si apre a contributi esterni, ma mantiene saldo il governo dell’impresa, attraverso il presidio sostanziale di tutte le funzioni. L’imprenditore realizza decentramenti parziali e 13 Sui diffusi caratteri di formalità degli organi di Governance nelle PMI familiari si veda:

Montemerlo, 2000 e Compagno, 2000a, 2000b.

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selettivi a quei membri dotati di competenze adeguate a risolvere criticità emergenti. Le decisioni strategiche vengono prese esclusivamente dall’imprenditore ma sulla base di supporti tecnici manageriali offerti da un assetto organizzativo più sviluppato.

Solo nell’assetto allargato, l’apertura della Governance ha una valenza progettuale e strategica. Qui la famiglia cambia ruolo, da possessore esclusivo di risorse a coordinatore di risorse interne ed esterne. La Governance, al pari delle più importanti scelte strategiche viene progettata, nella consapevolezza che essa è il più importante strumento per mobilitare le risorse finanziarie e umane per lo sviluppo dell’impresa. Si allarga la Governance, non solo per effetto dell’apertura a soggetti e/o capitali esterni, ma soprattutto per effetto di una diversa allocazione di poteri decisionali secondo la traiettoria del decentramento parallelo e della reale condivisione dei processi più importanti entro l’intero sistema di Governance.

Ai fini della nostra analisi si sono studiate le relazioni esistenti tra il sistema di Governance (assetti proprietari e assetti direzionali) e i processi di internazionalizzazioni (grado e forme), svolgendo successivamente un’analisi comparativa intersettoriale.

La significatività dei risultati è stata verificata tramite un’analisi univariata dei dati, organizzati in tavole di contingenza, sulle quali sono stati effettuati test Chi-quadrato per attestare l’indipendenza o la correlazione delle variabili relative all’internazionalizzazione rispetto agli assetti di Governance.

5. I principali risultati della ricerca L’indagine empirica è stata effettuata su un campione di 116 PMI familiari

italiane appartenenti a tre settori: elettronica (38 imprese), macchine utensili (39 imprese), mobili e arredo (39 imprese).

Tutte le imprese operano sul mercato finale. Il 23% delle imprese presenta una struttura a gruppo. Si tratta sostanzialmente di gruppi di imprese minori concentrati prevalentemente nel settore del mobile (38%), seguito da quello elettronico (21%) e da quello meccanico (13%).

Dal punto di vista della localizzazione geografica sono state considerate 4 aree principali: Nord Est (Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna) (26, 7% delle imprese); Nord Ovest, (Lombardia, Piemonte, Liguria) (30, 2% delle imprese); Centro (Toscana, Marche e Lazio) (21, 55% delle imprese) e Sud (Puglia, Calabria, Sicilia, Campania) (21, 55% delle imprese).

Il campione è composto da PMI che, nell’80% dei casi, presenta un numero di addetti inferiore alle 150 unità. Nel dettaglio: il 53% delle imprese si colloca nell’intervallo 51-150 addetti, il 27% nell’intervallo 25-50 addetti; il 12% nell’intervallo più piccolo (da 1 a 25) addetti e solo l’8% si colloca nella soglia più alta (151-250) addetti.

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5.1 L’assetto proprietario Quasi il 65% delle imprese indagate ha un assetto proprietario a controllo

familiare assoluto. Nel 35% dei casi invece gli assetti proprietari sono aperti con quote di minoranza a soggetti esterni alla famiglia. Per quanto riguarda le differenze settoriali negli assetti proprietari, rileviamo come la maggior frequenza di assetti aperti a soci non familiari si riscontri nel settore dell’elettronica (46, 5%); nelle imprese del settore dei mobili, al contrario l’85% dei casi è a controllo familiare assoluto.

Nel settore meccanico ben il 56% delle imprese presenta un assetto a controllo familiare assoluto. Nel caso di assetti aperti, i soci esterni alla famiglia sono, senza sensibili differenziazioni settoriali, persone fisiche (50%), società estere (15%), Investitori Istituzionali (10%) e altre società (25%).

5.2 L’articolazione degli organi di Governance

Il dato aggregato rileva che il 63% di imprese è dotato di un Consiglio di

Amministrazione che per il 58% è formato interamente da familiari. Nel 27% dei casi in cui manca un CdA, ed è presente l’Amministratore unico, esso è membro della famiglia nel 51% dei casi. Emergono interessanti differenze settoriali.

Coerentemente all’apertura degli assetti proprietari, nel settore elettronico si ha una netta preponderanza di imprese che presentano CdA aperti a soggetti non familiari (61% dei casi), anche l’Amministratore unico, quando presente, è spesso non familiare, (47% dei casi). Nel settore del mobile prevalgono CdA chiusi (58% dei casi) e Amministratori unici familiari (58% dei casi). In situazione intermedia si collocano le imprese appartenenti al settore delle macchine utensili, presentando Cda completamente familiari nel 51% dei casi e amministratori unici familiari nel 43%. In generale, senza importanti differenze settoriali, il CdA è composto quasi interamente da soci attivi nella gestione dell’impresa. Solo nel 15% dei casi si riscontrano soci “passivi”, che ricoprono solo il ruolo di portatori di capitali. Il dato interessante è che in circa il 75% dei casi questi soci appartengono alla famiglia.

5.2.1 L’assetto direzionale

Nelle PMI l’elevata sovrapposizione istituzionale e il forte accentramento

decisionale in capo all’imprenditore svuota di contenuti funzionali il CdA, e riduce le deleghe decisionali all’interno della struttura. L’obiettivo di questa parte dell’analisi è individuare, al di là, delle definizioni formali, quali sono i reali organi che intervengono nei più importanti processi decisionali di tipo strategico dell’impresa. Nella fig. 1 è rappresentata, per l’intero campione, la composizione degli organi che svolgono funzioni di governo in senso stretto.

Nel 42% dei casi le decisioni più importanti vengono assunte direttamente dai membri familiari; in quasi il 26% dei casi, ci troviamo in presenza di un assetto gestionale arricchito, in cui pur in presenza di responsabilità funzionali delegate a

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membri esterni alla famiglia, le decisioni di indirizzo spettano ancora integralmente alla famiglia stessa. Nel 32, 13% dei casi, l’assetto direzionale è allargato a contributi esterni alla famiglia. In queste situazioni, il gruppo decisionale è eterogeneo, presenta risorse umane interne ed esterne alla famiglia. Nelle decisioni strategiche intervengono soggetti diversi, portatori risorse e di competenze complementari.

Fig. 1: La composizione del gruppo decisionale, dato aggregato

Fonte: Ns. elaborazioni

Anche nell’analisi del gruppo decisionale è possibile riscontrare delle

interessanti differenze settoriali. Nel settore elettronico il 42, 90% dei casi presenta assetti familiari allargati, nel settore del mobile solo nell’8, 8% dei casi l’assetto direzionale si apre a soggetti esterni alla famiglia. Il settore delle macchine utensili si trova ancora in posizione intermedia presentando un’apertura degli assetti nel 32, 40% dei casi. L’attribuzione di specifiche responsabilità funzionali a membri esterni alla famiglia presenta invece andamenti opposti. Nel settore del mobile si rileva il più alto numero di manager funzionali esterni alla famiglia con specifiche deleghe operative (32, 40% contro il 21, 4% del settore elettronico e il 23, 7% del settore macchine utensili). Alle maggiori complessità competitive le imprese dei tre settori rispondono in modo diverso in termini di progettualità della Governance: nei settori a più alta intensità tecnologica e competitiva vengono mobilitate e coinvolte nei massimi processi decisionali risorse e competenze esterne alla famiglia, nei settori più tradizionali e meno esposti alla competizione globale ci si limita a internalizzare specifiche competenze gestionali, che mancano all’interno del gruppo familiare, e a realizzare limitati decentramenti decisionali di tipo selettivo (Mintzberg, 1983).

42,03%

25,83%

32,13%

Imprese conassettocompl.familiare

Imprese conassettofam.arricchito

Imprese conassettofam.allargato

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5.3 Dimensioni d’impresa e assetti di governo In generale possiamo notare un aumento della numerosità dei manager al

crescere del numero dei dipendenti. L’aumento dimensionale e il conseguente aumento della complessità organizzativa e gestionale porta con sé un’inevitabile spinta alla managerializzazione dell’impresa. Ciò che va rilevato è che l’aumento della numerosità dei manager interessa in particolare i manager non familiari14.

Complessivamente la composizione della squadra manageriale con riferimento all’intero campione vede una presenza di manager familiari pari al 42%. Per i singoli settori tale presenza scende intorno al 30% sia per il settore elettronico che per quello delle macchine utensili, sale nel settore dei mobili al 58%. La presenza di manager esterni all’interno di imprese familiari non implica di per sé un maggior decentramento decisionale. Se rapportiamo infatti le tre tipologie di assetto direzionale proposte alla variabile dimensionale è possibile verificare come non emerga una netta relazione tra le 2 variabili. In altri termini non è affatto scontato che all’aumento delle dimensioni cambi il sistema di Governance e si generi una nuova allocazione dei poteri decisionali tra membri interni ed esterni alla famiglia.

Come si vede nella fig. 2 le imprese collocate negli intervalli dimensionali più

Fig. 2: Relazione tra dimensione e assetti gestionali, dato aggregato

Fonte: Ns. elaborazioni

14 Questa tendenza è netta nel settore elettronico e in quello delle macchine utensili, più

sfumata nel settore dei mobili. Nell’intervallo dimensionale più ampio (151-250 dipendenti) si trovano infatti rispettivamente nei tre settori: 2 manager familiari contro 6 manager non familiari, 3 manager familiari contro 5 manager non familiari, 2 manager familiari contro 2 manager non familiari.

56% 56%

31% 23%40%

19%31%

27%31%

20%

25%13%

42% 46% 40%

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

100%

0-25 26-50 51-150 151-250 oltre

Numero di dipendenti

% d

i im

pres

e

Assetto fam.allargatoAssetto fam.arricchitoAssetto completamente familiare

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ampi, ricorrono tanto ad assetti gestionali completamente familiari quanto ad assetti allargati. Questa situazione è confermata a livello settoriale: nel settore dell’elettronica ad esempio le imprese che più ricorrono ad assetti gestionali allargati sono quelle che si trovano nell’intervallo 51-150 addetti, presentando una frequenza relativa pari al 67%; nell’intervallo 151-250 addetti la percentuale scende al 50%. Da notare inoltre che nel settore del mobile le sole tre imprese con un numero di addetti superiore a 250 dipendenti presentano tutte assetti gestionali completamente familiari. 5.4 Il grado di familismo nella governace: una sintesi

Le caratteristiche della Governance delle imprese appartenenti ai tre settori può

essere sintetizzata nella matrice riportata nella fig. 3. In base alle osservazioni realizzate, abbiamo posizionato le imprese segmentate per campione in base all’intensità del controllo proprietario e al presidio delle funzioni di governo da parte della famiglia. In linea con importanti ricerche svolte a livello nazionale (Barca et al., 1994a; Boldizzoni, 1985, Gianecchini, Gubitta, 2001, Compagno, 2000a; Corbetta, Gnan e Montemerlo, 1997) si riscontra un’alta concentrazione proprietaria, e un alto presidio delle funzioni di governo da parte della famiglia. La sovrapposizione dei ruoli e lo sviluppo della Governance all’interno della famiglia, sembra quindi essere una costante per tutte le imprese indagate. Si riscontrano delle differenze settoriali soprattutto in termini di apertura degli assetti gestionali: le imprese del settore elettronico, generalmente non protette da strategie di nicchia, e quindi più esposte ad una competizione su scala globale, sembrano essere in grado, più delle altre, di mobilitare risorse e competenze esterne attorno al business familiare.

Intensità del controllo proprietario da parte della famiglia

Alta Bassa Alto

Presidio delle funzioni di governo

da parte della famiglia

Basso

Fig. 3: Il grado di familismo nella governace: differenze settoriali

Fonte: Ns. elaborazioni

Settore dei mobili

Settore elettronico

Settore meccanico

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Si riscontrano poi differenze nei gradi di apertura della Governance in imprese appartenenti allo stesso settore. Questo indebolisce il ruolo della variabile esogena di tipo settoriale sugli assetti di Governance e rimanda ad una capacità interna della piccola impresa di promuovere il proprio sviluppo attraverso una più razionale progettazione delle strutture e dei processi di governo. 5.5 I processi di internazionalizzazione delle imprese

I processi di internazionalizzazione sono stati analizzati considerando

congiuntamente il grado di internazionalizzazione e le forme di internazionalizzazione.

Il grado di internazionalizzazione delle imprese è stato rilevato considerando primariamente la percentuale di fatturato estero sul fatturato totale.

Per quanto riguarda il settore elettronico, la percentuale media di fatturato estero delle imprese si aggira attorno al 41%; la percentuale si attesta al 40% nel settore dei mobili e sale invece al 50,3% nel settore meccanico. Questi dati, che a livello aggregato si aggirano attorno al 44% come percentuale media di fatturato estero, confermano i riferimenti macroeconomici nazionali.

In linea con i dati più generali forniti dall’ISTAT nella sintesi del rapporto ICE 2000-2001, l’Europa costituisce il principale mercato di destinazione dei flussi esportativi. In ordine di importanza: Germania (19%), Francia (15,50%), Inghilterra (14,50%), Olanda (7,50%), Spagna (5,50%), gli Usa attirano una percentuale del 16%. Le percentuali indicate subiscono importanti cambiamenti se l’analisi si svolge a livello settoriale: il 24% delle imprese che appartiene al settore elettronico preferisce indirizzarsi verso gli U.S.A, percentuali significative si riscontrano anche per la Germania (14%) e altrettanto per la Francia. Il dato più interessante tuttavia è che per questo settore la diversificazione dei mercati di sbocco è sensibilmente più accentuata rispetto agli altri settori: Messico, Brasile, Canada, Taiwan, Israele, sono i paesi che mediamente assorbono il 4% dei flussi esportativi dell’elettronica.

Il settore dei mobili ha mete più tradizionali: Germania (20%), Francia e U.S.A. (14%), Inghilterra (10%), Spagna (6%), Ungheria (4%). Nel settore delle macchine utensili le esportazioni si indirizzano principalmente in Germania (24%), a seguire Francia (19%) e U.K. (11%); mentre solo una minima parte rispetto agli altri due settori si indirizza verso gli U.S.A. (9%). Anche in questo comparto si riscontrano mercati non tradizionali (Cina, Scandinavia, Sud Africa e Turchia), che attirano percentuali che si attestano intorno al 2-3%.

La gran parte delle esportazioni realizzate dalle imprese del campione si indirizza quindi verso blocchi regionali ben definiti; solo nel settore elettronico vi è una tendenza ad una maggior diversificazione internazionale. Questo andamento d’altra parte è confermato anche dai dati aggregati a livello nazionale e internazionale dai quali emerge una tendenza delle imprese italiane a concentrare le attività economiche internazionali su delimitate macroaree. A questa logica tendenzialmente si sottrae il settore dell’elettronica, che, anche in virtù delle sue caratteristiche di maggiore globalità, tende ad estendere a ritmi più sostenuti i

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ASSETTI DI GOVERNANCE E PROCESSI DI INTERNAZIONALIZZAZIONE NELLE PMI

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confini internazionali delle proprie attività. Non si sono riscontrate differenze significative sul grado di internazionalizzazione in relazione all’area geografica di appartenenza delle imprese.

5.6 Le forme di internazionalizzazione

Il dato aggregato mostra che la principale modalità di internazionalizzazione

delle imprese analizzate è data dagli accordi di collaborazione tecnico/produttivi, (38,7%). Seguono le esportazioni indirette (28%) e dirette (17%), le joint venture (10,3%) e gli IDE (12,7%); decisamente inferiore il ricorso a consorzi tra imprese e a accordi di franchising.

Nella tabella 1 si riporta la comparazione intersettoriale delle diverse forme di internazionalizzazione adottata.

Modalità di internazionalizzazione

Settore elettronico

Settore mobili

Settore meccanico

Dato aggregato

Esportazioni indirette 26% 39% 23% 28%

Esportazioni dirette 20% 15% 15% 17%

Accordi di collaborazione tecnico/produttivi 41,8% 38,2% 35,9% 38,7%

Accordi di franchising 0% 0% 5,1% 1,7%

Consorzi tra imprese 4,6% 2,9% 2,6% 3,4%

Accordi di subfornitura 16,3% 8,8% 12,8% 13%

Joint Venture 13,9% 5,9% 10,3% 10,3%

Investimenti Diretti Esteri 11,6% 11% 15,4% 12,7%

Tab. 1: Modalità di internazionalizzazione, dato settoriale e aggregato

Fonte: Ns. elaborazioni

Dalla lettura comparata dei dati si evidenzia la diffusa presenza di accordi tecnici di collaborazione in tutti i settori produttivi, e l’elevato ricorso alle esportazioni indirette soprattutto nel settore dei mobili. Joint Venture e investimenti diretti assumono valori relativi interessanti, soprattutto per quanto riguarda il settore delle macchine utensili e il settore dell’elettronica. Vale la pena di soffermarci sulla natura degli investimenti diretti realizzati dalle imprese. Dall’analisi svolta sono emersi quattro cluster: 1) iniziative market seeking; 2) iniziative market e labour seeking; 3) iniziative labour seeking e 4) iniziative source seeking15. Il dato riferito all’intero campione indica una netta prevalenza (42%) di investimenti all’estero dettati contemporaneamente da logiche di penetrazione su nuovi mercati e di 15 Per un ampio scenario sulle determinanti della multinazionalizzazione delle PMI, basato

sulla banca dati Reprin-Cnel, si veda Mariotti, Mutinelli 2001.

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sfruttamento del differenziale del costo del lavoro (iniziative market e labour seeking); seguono iniziative del tipo market seeking nel 33% dei casi, orientate alla conquista di segmenti di mercato estero soprattutto attraverso l’acquisizione di società già operanti in quei segmenti. La sola motivazione della ricerca di differenziale del costo del fattore lavoro non assume elevati valori (12%) (iniziative labour seeking). Nel 13% dei casi si rilevano iniziative source seeking. Si tratta di investimenti sull’estero che, sfruttando spesso economie di agglomerazione, consentono l’accesso a costi competitivi a varie tipologie di fattori produttivi, diverse dal fattore lavoro (materie prime, componenti, semilavorati, tecnologie, capitali). Da segnalare che queste ultime iniziative sono presenti quasi esclusivamente nel settore elettronico (85% dei casi rilevati), mentre le altre tipologie sostanzialmente si equidistribuiscono fra i tre settori.

Dal punto di vista dell’area geografica di appartenenza si rileva come, passando dalle regioni settentrionali a quelle meridionali, mentre rimane pressochè invariata la propensione all’esportazione (sia nella forma diretta che indiretta) diminuisce mediamente di circa 3 punti percentuali sia il ricorso a JV che a investimenti diretti, i quali hanno nella quasi totalità dei casi obiettivi market oriented. Anche il ricorso ad accordi collaborativi, presenta, nelle regioni meridionali, valori lievemente inferiori. 16

5.7 Dimensioni d’impresa e forme di internazionalizzazione

Dall’analisi dei dati relativi alle percentuali di adozione delle diverse modalità di

internazionalizzazione in relazione alle dimensioni d’impresa, l’elemento più significativo che emerge è l’assenza di una relazione lineare tra dimensione e complessità dei meccanismi di internazionalizzazione adottati. Innanzitutto, in linea con molte ricerche empiriche (Bonaccorsi, 1987; Varaldo 1992; Grandinetti, 1992; Gerbi Sethi, 1982), emerge chiaramente come l’elevata propensione all’export riguardi tutte le tipologie dimensionali: nel settore del mobile la percentuale di export si attesta intorno al 40% per tutti gli intervalli dimensionali considerati; nel settore dell’elettronica e in quello delle macchine utensili si nota addirittura una leggera flessione della quota export nelle più elevate dimensioni. In termini più accentuati rispetto alla quota export, il ricorso ad accordi collaborativi (accordi di collaborazione tecnico/produttiva, franchising, consorzi ed accordi di subfornitura) sembra essere completamente indipendente dalla dimensione aziendale. Per brevità mostriamo nella fig. 4 solo il dato aggregato, riferito all’intero campione e a tutti i settori. Si nota una flessione nel numero di imprese molto grandi che fanno accordi collaborativi (solo il 42% delle imprese con fatturato tra i 26 e i 52 milioni di euro ricorre ad accordi collaborativi, a fronte del quasi 60% delle imprese tra i 14 e i 25 milioni di euro). Anche gli specifici andamenti settoriali testimoniano la larga diffusione degli accordi collaborativi in tutte le tipologie dimensionali, con flessioni 16 La situazione rilevata per area geografica è in linea con i risultati di altre ricerche

nazionali, in particolare condotte dal Servizio Studi della Banca d’Italia su campioni significativi di imprese (Bugamelli, Cipollone, Infante, 2001).

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su intervalli di scala diversi in relazione al settore considerato (nell’elettronico e nelle macchine utensili tra 26 e 52 milioni di euro, nel mobile, tra 14 e 25 milioni di euro).

Fig. 4: Relazione tra dimensione e accordi collaborativi, dato aggregato (milioni di Euro) Fonte: Ns. elaborazioni

Il ricorso a Joint Venture sembra essere più sensibile alla variabile dimensionale. Tuttavia se guardiamo il dato disaggregato per settore notiamo come la massima frequenza di adozione si ha, per il settore del mobile e delle macchine utensili, nelle imprese con un fatturato superiore ai 26 milioni di euro (rispettivamente con il 25% e il 20%), mentre per il settore elettronico la massima frequenza si ha in corrispondenza alla classe dimensionale precedente (14-25 milioni di euro) (38%).

In ogni caso anche nelle imprese con fatturato inferiore ai 13 milioni di euro,

troviamo, in tutti i settori, questa forma di internazionalizzazione (16% per il settore del mobile; 15% per il settore delle macchine utensili, e 5% per il settore elettronico). Il ricorso agli investimenti diretti esteri è influenzato, più delle altre forme di internazionalizzazione, dal fattore dimensionale, anche se, come risulta evidente dalla rappresentazione del dato aggregato, gli IDE rappresentano una modalità di internazionalizzazione anche per le imprese più piccole.

Importante rilevare come la variabile dimensionale non incida sulla tipologia di

IDE. Le diverse iniziative di market, labour o source seeking, si riscontrano in tutti gli intervalli dimensionali, ovviamente in proporzione ai valori assoluti riscontrati per ciascuna classe. Così nelle tre imprese della classe dimensionale inferiore che ricorrono agli IDE (fig. 5), due presentano caratteristiche del tipo market e labour seeking e una presenta invece caratteristiche del tipo source seeking.

26%40%

58, 40%

42%

0

0, 2

0, 4

0, 6

0, 8

1

0, 5 - 5 6 -13 14 - 25 26 - 52

fatturato

% d

i im

pres

e

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Fig. 5: Relazione tra dimensione e IDE, dato aggregato (milioni di Euro)

Fonte: Ns. elaborazioni

5.8. Assetti proprietari e processi di internazionalizzazione

Per analizzare le relazioni fra assetti di Governance e processi di

internazionalizzazione si è svolta l’analisi su due livelli, considerando distintamente l’influenza degli assetti proprietari e degli assetti direzionali.

Nella fig. 6 si sono messe in relazione le diverse forme di internazionalizzazione con gli assetti proprietari distinti nelle due macroclassi: assetti a controllo familiare assoluto e assetti a controllo familiare allargato.

E’ possibile evidenziare come non esista una relazione forte fra forme di internazionalizzazione e assetti proprietari. Gli assetti a controllo familiare assoluto sono sempre presenti, anche con percentuali elevate, in tutte le forme di internazionalizzazione, anche le più evolute. Da notare la presenza comparativamente maggiore di questi assetti nelle imprese che realizzano JV (67%) e il rilevante calo degli stessi nel caso di IDE. Andamenti simili si evidenziano per tutti i settori. In particolare per il settore del mobile, tutte le imprese che realizzano JV presentano assetti a controllo familiare assoluto. Il rilevante peso degli assetti a controllo familiare assoluto nel caso di partnership strutturate di tipo internazionale potrebbe essere dovuto al fatto che una risorsa fondamentale per il funzionamento di queste forme è la fiducia relazionale, cioè aspettative di comportamento reciproco allineato rispetto agli obiettivi dell’accordo e più in generale rispetto agli obiettivi condivisi. La presenza di una famiglia imprenditoriale, di una reputazione familiare e aziendale da tenere elevata, diventa spesso un deterrente per comportamenti opportunistici (Compagno, Pittino, Visentin, 2002) e stimola lo sviluppo di forme organizzative, anche di tipo complesso (Zaheer, A., McEvily, B., Perrone, V., 1998).

2, 50%

16%19%

37%

0 0, 05

0, 1 0, 15

0, 2 0, 25

0, 3 0, 35

0, 4

0, 5 - 5 6 -13 14 - 25 26 - 52

fatturato

% d

i im

pres

e

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Fig. 6: Assetti proprietari e forme di internazionalizzazione

Fonte: Ns. elaborazioni

Un osservabile aumento degli assetti allargati si ha, per tutti i settori, solo nelle

imprese che realizzano IDE. L’apertura degli assetti a membri esterni alla famiglia portatori di risorse finanziarie e/o di competenze manageriali e relazionali sembra consentire alla piccola e media impresa familiare l’accesso a maggiori forme di coinvolgimento organizzativo e finanziario sui mercati internazionali.

Più interessante dal punto di vista dei risultati della ricerca è lo studio della relazione fra assetti direzionali e processi di internazionalizzazione.

5.9 Assetti gestionali e processi di internazionalizzazione

Dai dati rilevati emerge che il grado di internazionalizzazione, ossia la

percentuale di export sul fatturato totale non è significativamente influenzata dalla tipologia di assetto gestionale. In presenza di assetti completamente familiari la percentuale di export è pari al 41%. Negli assetti arricchiti e allargati la percentuale si attesta rispettivamente sul 43% e sul 45%. La tradizionale vocazione esportatrice delle PMI italiane derivante per larga parte da un’internazionalità trainata dal mercato, può essere generata anche senza una definita progettualità e quindi anche da sistemi di Governance chiusi. Quello che non può essere generato senza progettualità e senza un adeguato leverage di risorse interne è la scelta strategica delle diverse forme di penetrazione sui mercati esteri. L’analisi che segue si focalizzerà proprio su questi elementi indagando le relazioni esistenti tra caratteristiche della Governance e adozione delle diverse forme di

59% 65% 57% 67%40%

60%33%43%35%41%

0%10%20%30%40%50%60%70%80%90%

100%

Exp.In

d.

Exp.di

r.

Acc.co

ll. JV Ide

Forme di internazionalizzazione

% d

i im

pres

eAssetto acontrollononfamiliare

Assetto acontrollofamiliare

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internazionalizzazione. Nella tab. 2 si evidenzia l’incidenza delle tipologie di assetto gestionale

nell’adozione delle diverse forme di internazionalizzazione. Osservando l’intero campione si nota come la presenza di assetti aperti sia significativamente inferiore tra le imprese che attuano la modalità meno “evoluta” di internazionalizzazione, vale a dire le esportazioni indirette, mentre sia decisamente superiore rispetto agli assetti completamente familiari, nelle imprese che sviluppano forme “strutturate” di presenza sui mercati esteri. In altri termini, l’allargamento della Governace a risorse manageriali esterne alla famiglia, sembra conferire un maggior spessore strategico alle modalità di proiezione internazionale delle PMI. La significatività dell’influenza del grado di apertura degli assetti direzionali sulla scelta delle forme più evolute di internazionalizzazione è, come si vede dalla tab. 2, attestata dai p-values relativi alle esportazioni indirette, agli accordi, alle JV e agli investimenti diretti.

Esportazioni indirette

Esportazioni dirette

Accordi subfornitura

Accordi collaborazione

Joint Ventures

Investimenti diretti

%Assetto comp. familiare 44 30 37 27 30 15

%Assetto familiare arricchito 30 35 30 22 25 7

%Assetto familiare allargato 26 35 33 50 45

78

p-values 0, 030635** 0, 363254 0, 599865 0, 001162*** 0, 037332**

0, 000064***

Tab. 2: Incidenza delle tipologie di assetto direzionale nell’adozione delle diverse forme

di internazionalizzazione Fonte: Ns. elaborazioni * Dato significativo con probabilità superiore a 0, 9; ** Dato significativo con probabilità superiore a 0, 95; *** Dato significativo con probabilità superiore a 0, 99.

L’analisi disaggregata per settore è riportata nella tab. 3. Nel settore

dell’elettronica si riscontra una presenza significativamente più elevata delle imprese ad assetto allargato tra coloro che attivano accordi, JV e IDE, mentre le imprese ad assetto arricchito sembrano comportarsi in modo analogo rispetto alle imprese ad assetto completamente familiare.

Nei settori mobile e macchine utensili l’assetto allargato sembra ancora una volta fare la differenza, stimolando dei “salti in avanti” nelle forme di internazionalizzazione delle PMI.

Dall’osservazione dei dati riportati in tab.3 non si evidenzia un andamento uniformemente crescente nella relazione tra apertura e evoluzione delle forme di internazionalizzazione: in sostanza non è invidividuabile un processo evolutivo di tipo lineare (che parte dalle esportazioni indirette e porta agli IDE) associabile ad una graduale apertura degli assetti di Governance (che parte dall’assetto

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completamente familiare e porta all’assetto allargato, passando attraverso l’assetto arricchito).

Esportazioni indirette

Esportazioni dirette

Accordi subfornitura

Accordi collaborazione

Joint Ventures

Investimenti diretti

SETTORE MOBILE

% Assetto comp. familiare 67 40 60 54 35 30

% Assetto familiare arricchito 25 50 10 10 15 15

% Assetto familiare allargato 8 10 30 36 50 55

p-values 0, 001873***

0, 000443*** 0, 215681 0, 029001** 0, 051396* 0, 000031***

SETTORE MACCHINE % Assetto comp.

familiare 33, 3 17 25 15 40 33 % Assetto familiare

arricchito 33, 3 33 50 31 10 12 % Assetto familiare

allargato 33, 3 50 25 54 50 55 p-values 0, 015443** 0, 035648** 0, 230832 0, 054749* 0, 078454* 0, 000092***SETTORE ELETTRONICA % Assetto comp.

familiare 27 33 43 16, 5 17 0 % Assetto familiare

arricchito 27 23 14 16, 5 17 20 % Assetto familiare

allargato 46 44 43 67 66 80 p-values 0, 000001*** 0, 0482** 0, 411568 0, 029001** 0, 032954** 0, 000074***

Tab. 3: Incidenza delle tipologie di assetto direzionale nell’adozione delle diverse forme

di internazionalizzazione. Fonte: Ns. elaborazioni Dati disaggregati per settore. * Dato significativo con probabilità superiore a 0, 9; ** Dato significativo con probabilità superiore a 0, 95; *** Dato significativo con probabilità superiore a 0, 99.

Nel settore del mobile ad esempio gli assetti completamente familiari sono più

presenti rispetto agli assetti arricchiti nelle imprese che adottano forme evolute di internazionalizzazione. Ciò significa che il solo affiancamento (assetto familiare arricchito) alle competenze familiari già presenti, di competenze gestionali esterne con limitati poteri decisionali, non incide in modo forte nella capacità dell’impresa di operare cambiamenti di prospettiva strategica, che, per quanto riguarda i processi

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di internazionalizzazione significa passare da una internazionalità trainata dal mercato (esportazioni) ad una internazionalità progettata dall’impresa, attraverso adeguate soluzioni organizzative. Dai dati rilevati emerge con chiarezza che solo la concreta apertura degli organi di Governance, con un effettivo allargamento dei tavoli decisionali a membri esterni alla famiglia può arricchire, attraverso la combinazione di competenze eterogenee, i processi decisionali dell’impresa.

Nella tab. 4 si riporta un confronto diretto tra settori relativamente all’incidenza delle tipologie di assetto sulle forme più evolute di internazionalizzazione (accordi, JV e IDE).

%Assetto

comp. familiare

%Assetto familiare arricchito

%Assetto familiare allargato

p-values

Accordi elettronica 16, 5 16, 5 67 Accordi m.utensili 15 31 54

0, 024352** JV elettronica 17 17 66 JV macchine utensili 40 10 50

0, 054573* IDE elettronica 0 20 80 IDE macchine utensili 33 12 55

0, 000001*** Accordi elettronica 16, 5 16, 5 67 Accordi mobile 54 10 36

0, 000018*** JV elettronica 17 17 66 JV mobile 35 15 50

0, 002032*** IDE elettronica 0 20 80 IDE mobile 30 15 55

0, 000002*** Accordi m.utensili 15 31 54 Accordi mobile 54 10 36

0, 000001*** JV m. utensili 40 10 50 JV mobile 35 15 50

0, 513417 IDE m. utensili 33 12 55 IDE mobile 30 15 55

0, 788128 Tab. 4: Incidenza delle tipologie di assetto gestionale nell’adozione di diverse forme di

internazionalizzazione. Confronti diretti tra settori Fonte: Ns. elaborazioni

* Dato significativo con probabilità superiore a 0, 9; ** Dato significativo con probabilità superiore a 0, 95; *** Dato significativo con probabilità superiore a 0, 99.

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La lettura dei dati e dei p-values riportati, oltre a confermare una generale maggiore significativa presenza di assetti di Governance aperti in relazione a tutte le forme strutturate di internazionalizzazione, fa emergere come la relazione tra apertura della Governance e ricorso a forme più evolute di internazionalizzazione sia più forte nelle imprese del settore elettronico, più esposto al dinamismo competitivo. Nel mobile e nelle macchine “resistono” infatti anche gli assetti più omogenei, pur in un trend che premia sempre la maggiore apertura. 6. Conclusioni

I principali risultati della ricerca attestano che le modalità di proiezione

internazionale delle PMI sono fortemente condizionate dagli assetti di Governance adottati.

In particolare abbiamo verificato che ad assetti di Governance aperti a membri esterni alla famiglia si associano forme evolute e strutturate di internazionalizzazione e di interazione con i mercati esteri. L’apertura degli assetti proprietari uniti all’apertura dei gruppi di vertice a competenze esterne rappresenta un vero e proprio strumento di rafforzamento strategico, organizzativo e finanziario dell’impresa che consente di elevare il livello di progettualità nei meccanismi di proiezione internazionale. La significatività della relazione tra le variabili scelte non è condizionata dalla variazione della dimensione aziendale. Come è emerso infatti dalla ricerca, non esiste una relazione diretta tra caratteristiche degli assetti di Governance e dimensioni d’impresa. L’apertura della Governance inoltre non altera la natura di “impresa familiare”, ma va a ridefinire i ruoli della famiglia all’interno dell’assetto istituzionale e organizzativo, in relazione alle esigenze di sviluppo dell’impresa.

Il settore industriale di appartenenza è risultato un’importante variabile contingente di mediazione tra grado di apertura degli assetti e strategie di internazionalizzazione. Dai risultati della ricerca è emerso che in presenza di elevato dinamismo competitivo, l’apertura della Governance costituisce un requisito fondamentale per accedere a forme più evolute di internazionalizzazione. Nel settore elettronico si è infatti riscontrato il maggior livello di significatività della relazione tra configurazioni di Governance e internazionalizzazione.

Un altro significativo risultato riguarda le forme di internazionalizzazione realizzate dalle PMI che risultano molto più ricche rispetto al classico modello esportativo. Si è riscontrato infatti un modello di sviluppo internazionale ibrido, in cui, a meccanismi di internazionalizzazione mercantile si affiancano meccanismi di internazionalizzazione produttiva, realizzati non solo con relazioni di mercato o quasi mercato (accordi non equity e subfornitura) ma anche con più forti strategie di penetrazione sui mercati esteri (con partnership strutturate e investimenti diretti di tipo equity). In questi casi, la delocalizzazione produttiva non insegue infatti, in via prevalente, le logiche dello sfruttamento dei vantaggi differenziali di costo del lavoro, ma adotta logiche più complesse ed articolate volte ad un’interazione più

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spinta con i mercati internazionali dei prodotti e dei fattori produttivi. Il fattore dimensionale non presenta una relazione diretta significativa con

l’adozione delle forme più evolute di internazionalizzazione. Ciò rende inoltre inapplicabile, dal punto di vista interpretativo, il tradizionale modello di internazionalizzazione per stadi. Molte imprese del campione esaminato sembrano attuare un’internazionalizzazione “immediata”, nascono già con un forte orientamento internazionale e saltano tutte le fasi indicate dalla teoria (Silvestrelli, 2001, Wollf, Pett, 2000). Soprattutto nel settore elettronico, anche se non esclusivamente, è possibile individuare le cd International new venture ossia imprese che saltando le fasi di tipo mercantile (export, occasionale e poi sistematico, supportato in un secondo tempo da accordi di collaborazione), si posizionano, fin dall’origine, sui mercati internazionale, anche con sedi proprie e/o con accordi di partnership strutturato (costituzione di JV).

La partecipazione alla competizione globale impone delle soglie dimensionali minime al di sotto delle quali le PMI sono condannate a internazionalizzazioni “incomplete” e occasionali. La via seguita dalle PMI indagate è decisamente quella di una crescita del sistema del valore entro il quale sono inserite, attraverso accordi e partnership sia a livello nazionale che internazionale. E’ necessaria inoltre una dotazione minima di risorse materiali e immateriali per non “subire” il mercato. L’approccio resource based seguito nella ricerca ha posto al centro dell’attenzione la Governance come fonte di risorse finanziarie e umane e come strumento per mobilitare e coordinare le risorse stesse verso gli obiettivi di performance desiderati. In questa prospettiva un’importante determinante dei percorsi di internazionalizzazione delle PMI familiari è la capacità di progettare il sistema di Governance, in relazione ai fabbisogni di risorse di capitale e di conoscenza. La dotazione di adeguati asset (materiali e immateriali) è la condizione indispensabile per sviluppare strategie di internazionalizzazione guidate dalle risorse e non più trainate dal mercato.

Sul grado di apertura della Governance nelle PMI familari incidono diversi fattori di contesto ricollegabili alle caratteristiche del sistema capitalistico di appartenenza dell’impresa: l’attivismo del mercato del Private Equity, il regime di contendibilità dei diritti di proprietà, e più in generale i vincoli normativi sulla Governance delle imprese. Fattori questi che, nel sistema capitalistico italiano di tipo micro-familiare, devono essere orientati, con più decisione alle esigenze delle imprese familiari di piccole e medie dimensioni, cogliendo le diversità e le specificità degli assetti istituzionali, rispetto alle imprese familiari di grandi dimensioni. Ma l’apertura della Governance passa anche attraverso un arricchimento manageriale degli assetti direzionali, questo ovviamente richiede l’esistenza di un mercato esterno del lavoro, e, a monte, di un modello formativo, in grado di fornire risorse manageriali adeguate alle specificità organizzative e gestionali delle PMI.

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