Arvalia F-R

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1 ARVALIA F-R Atlante dei beni culturali del Municipio Roma XV Arvalia-Portuense. Parte II Antonello Anappo Municipio Roma XV - Arvalia Portuense

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ARVALIA

F-R

Atlante dei beni culturali del Municipio Roma

XV Arvalia-Portuense. Parte II

Antonello Anappo

Municipio Roma XV - Arvalia Portuense

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© 2013 - Municipio Roma XV Arvalia-Portuense

Pubblicato il 1° gennaio 2013. Hanno collaborato: Andrea Di Mario e

Moena Giovagnoli. Sito web: www.arvaliastoria.it

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Fiera di Roma

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Figlie del Crocifisso

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Fontana di Pio IV

Abstract non disponibile.

La Magliana della decadenza

(1). L‟epoca d‟oro della Magliana, il tempo felice di

Papa Giulio, di Papa Leone e di Raffaello, era ormai finito.

Eppure per tutto il Cinquecento il fascino del Castello della

Magliana continuò ancora a destare l‟interesse e

l‟emulazione dei papi. Pio IV (1559-1565) fece delle aggiunte,

che marcò con le sue insegne: risale al suo pontificato la

deliziosa fontana nella corte interna. Sisto V (1585-1590)

fece dipingere alcune stanze rimaste prive di decorazioni. Il

Rinascimento, fino all‟estremo limite della decadenza, lasciò

1 Estratto da “Raphaël à Magliana”, di A. Gruyer (1873).

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dunque tracce profonde in questo luogo, insieme profano e

di raccoglimento, caro per oltre cento anni ad una ventina di

papi.

Il Seicento aprì il Papato ad un‟era di declino e di

sudditanza politica, e relegò il Castello della Magliana in un

ruolo di maggiore austerità. Impossibilitati ormai a fare la

guerra, i papi smisero di colpo anche di andare a caccia. In

breve, la Magliana non ebbe più ragione di esistere! Da

Clemente VIII in poi la tenuta cominciò anche ad essere

trascurata dal punto di vista agricolo; meno di un secolo

dopo l‟abbandono fu completo.

Così completo che la Camera Apostolica ne alienò la

proprietà alle Monache di Santa Cecilia. E da allora la rovina

regnò sovrana. La Magliana, divenuta per il Convento

d‟Oltretevere una comune proprietà di campagna, fu

consegnata ai fattori, che non si diedero alcuna cura dei beni

improduttivi. La decadenza si consumò senza destare la

benché minima preoccupazione.

Si continuò - solamente - ad officiare la messa

nell‟antica cappella papale. Orbene, chi avrebbe dovuto fare

da guardiano ai dipinti contenuti nella Cappella, fu per uno

di essi causa di definitiva rovina. Parliamo del fattore Vitelli,

titolare di un banco riservato all‟interno della Cappella: nel

1830, per accedervi direttamente senza dover mischiarsi con

il personale agricolo di rango inferiore, si fece aprire una

porta dai suoi appartamenti alla Cappella, bucando l‟affresco

del Martirio di S. Cecilia.

Più tardi furono le stesse monache che - avendo

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bisogno di denaro e pensando a ragione che i lacerti degli

affreschi di Raffaello valessero una fortuna - li fecero

distaccare e portare su tela, per impegnarli al Monte di Pietà

di Roma. Qui ho avuto modo di esaminarli personalmente,

nel 1858. Dal Monte di Pietà, dove rimasero all‟incirca un

anno, i dipinti vennero spostati in una delle anticamere della

Basilica di Santa Cecilia in Trastevere.

Nel 1869, infine, il signor L. Oudry comprò i dipinti di

Raffaello e li portò in Francia, attraverso mille difficoltà

doganali e logistiche.

Al prezzo di quali sacrifici si compirono tutte queste

peregrinazioni? Lo stato attuale di questi dipinti ce lo dice

con fin troppa evidenza. Ma, prima di esaminare nel

dettaglio lo stato rovinoso in cui il tempo e gli uomini ci

hanno consegnato questi dipinti, occorre fare un passo

indietro.

Solo per un momento, dobbiamo tornare alla

Magliana del Cinquecento, alle splendide meraviglie di cui

abbiamo raccontato. In mezzo a questa campagna dalle dolci

increspature di una così austera armonia rimettiamo al suo

posto la bella e calma architettura del San Gallo, intatta e

senza alterazioni. Restituiamo ai terreni intorno al Castello le

ombreggiature di alberi oggi scomparsi. Torniamo ad

ascoltare, dalla corte interna, il brusio delle acque di fonte, e

ripercorriamo gli stessi passi di Papa Leone Medici.

Rimettiamo al loro posto, nelle camere, tutti i dipinti.

Restituiamo alle colonne tutti i loro arabeschi. Rimettiamo

insomma, ciascuno al suo posto, gli elementi che diedero

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vita a questa meraviglia. Arriviamo persino a figurarci la

presenza fisica di quegli uomini del passato, così forti nel

carattere, così brillanti nella mente, così pomposi nei titoli

nobiliari. Compenetriamoci insomma dell‟atmosfera morale e

dell‟esprit du temps, della sua ingenuità, delle sue passioni,

delle sue convinzioni e del suo amore per la bellezza spinta

fin quasi alla superstizione.

Ecco, mentre i moti dell‟animo ci turbano, da fuori

entriamo nella piccola cappella, dove stretti intorno al Papa

rivediamo i più alti dignitari della Curia e della nobiltà

romana. Soprattutto, restituiamo a questa cappella i due

affreschi di Raffaello, rivestendoli della loro primitiva grazia,

la loro originale freschezza, la loro intatta bellezza...

Dopo esserci lasciati rapire da questa visione del

passato, ecco... ora, solo ora, apriamo gli occhi alla realtà di

oggi! Cadremo dall‟alto in basso. Ma saremo in grado, dalla

certezza di ciò che è, ricostruire ciò che fu (2).

Testo francese

Si les beaux jours... j‟allais dire les grands jours de la

Magliana... étaient passés avec Jules II, Léon X et Raphaël,

l‟attrait de cette résidence devait, jusqu‟à la fin du XVIe

siècle, solliciter encore la faveur et l‟émulation des papes. Pie

IV (1559-1565) y fit quelques additions qu‟il marqua de ses

2 Si ringrazia il Musée du Louvre di Parigi - Direction de la politique

des publics et de l‟éducation artistique - Médiathèque, per le preziose documentazioni e la cortese assistenza. Ricerche di Genevieve Ponge,

traduzione dal francese di Antonello Anappo.

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armes; la charmante fontaine de la cour date de son

pontificat. Sixte-Quint (1585-1590) fit peindre aussi

quelques chambres restées sans décoration. La Renaissance,

jusqu‟aux extrêmes limites de sa décadence, a donc laissé

des traces profondes dans ce lieu tout à la fois profane et

recueilli, cher pendant plus de cent ans à une succession de

vingt papes...

Le XVIIe siècle, en ouvrant à la papauté une ère

d‟abaissement et de dépendance politiques, la contraignit à

une plus grande apparence d‟austérité. Les papes, mis

désormais dans l‟impossibilité de faire la guerre, renoncèrent

du même coup au plaisir de la chasse, et la Magliana n‟eut

plus de raison d‟être. Aussi, à partir de Clément VIII,

commença-t-elle à être délaissée. Moins d‟un siècle

après, l‟abandon fut complet.

Si complet que la Chambre pontificale se déchargea

de la propriété entre les mains des religieuses de Sainte-

Cécile. Dès lors, la ruine se mit de la partie. La Magliana,

devenue pour le couvent du Trastevere une simple propriété

de campagne, fut abandonnée à des fermiers qui ne prirent

nul souci des choses improductives, et la dégradation se fit

sans éveiller la moindre sollicitude.

Cependant, on continua jusqu‟à nos jours à dire la

messe dans l‟ancienne chapelle papale. Or, ce qui aurait dû

préserver les peintures de cette chapelle fut, pour l‟une

d‟elles, la cause d‟une ruine définitive. En 1830, le fermier

Vitelli, ne voulant point être mélé à ses domestiques, se

donna le luxe d‟une tribune spéciale, et, pour arriver à sa

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tribune, fit percer une porte au beau milieu du Martyre de

sainte Cécile.

Plus tard, les religieuses elles-mêmes, ayant besoin

d‟argent et pensant avec raison avoir un trésor dans ce qui

leur restait des fresques de Raphaël, les firent transporter

sur toile pour les engager au Mont-de-piété, où nous les

avons vues à Rome en 1858. Du Mont-de-piété, où elles

restèrent près d‟un an, elles allèrent dans une des salles

d‟entrée de la basilique de Sainte-Cécile in Trastevere.

En 1869, enfin, M. L. Oudry en fit l‟acquisition et les

apporta en France à travers mille difficultés de douane et de

transport.

Au prix de quels sacrifices se firent toutes ces

pérégrinations? L‟état actuel de ces peintures le dit avec trop

d‟évidence. Mais, avant de regarder la ruine, telle que l‟ont

faite le temps et les hommes, reportons-nous un moment

par la pensée vers cette Magliana du XVIe siècle, toute

resplendissante de tant de merveilles fraîchement

écloses.

Au milieu de cette campagne aux ondulations d‟une si

austère harmonie, représentons nous la belle et calme

architecture, intacte et sans altérations, d‟un architecte tel

que San Gallo. Restituons, aux alentours de la villa, les

ombrages qui ne sont plus. Ecoutons, dans les cours, le

bruit des eaux jaillissantes amenées par Léon X.

Replaçons dans les chambres toutes les peintures,

sur les pilastres toutes les arabesques. Figurons-nous les

vrais maîtres de tous ces enchantements. Revoyons en

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imagination tous ces personnages, si remarquables par le

caractère, si brillants par le costume, si pompeux par le

titre. Pénétrons-nous de l‟atmosphère morale et de l‟esprit

du temps, de sa naïveté, de ses passions, de ses

croyances et de son amour du beau poussé jusqu‟à la

superstition.

Tandis que les meutes s‟impatientent au dehors,

entrons dans la petite chapelle où se pressent autour du

pape les plus hauts dignitaires de la Chambre apostolique et

de la noblesse romaine. Rendons surtout à cette chapelle les

deux fresques de Raphaël en les parant de leur grâce native,

de leur fraîcheur originelle, de leur beauté première...

Après nous être laissé ravir par cette vision du passé,

rouvrons les yeux à la réalité contemporaine; nous

tomberons de haut, mais nous saurons, à l‟aide de ce qui

est, reconstituer ce qui fut.

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Fontana di Villa Bonelli

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Fontanile alla Serenella

Il Fontanile alla Serenella è un‟opera idraulica

verosimilmente dell‟Ottocento, sita su una strada poderale

presso via della Serenella al Corviale.

Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale;

non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata

dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di

Roma (scheda inventariale 00599123A, Sacchi G. - cat.

Giampaoli-Fracasso).

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Fontanile Cantone

Fontanile Cantone è un‟opera idraulica

verosimilmente dell XVII secolo, sita in via della Casetta

Mattei, 322, al Corviale.

Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale;

non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata

dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di

Roma (scheda inventariale 00599138A, Sacchi G. - cat.

Fracasso-Giampaoli).

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Fontanile Consorti-Jacobini

Fontanile Consorti-Jacobini è un‟opera idraulica

verosimilmente dell‟Ottocento, sita nei pressi di vicolo del

Conte al Corviale.

Per quanto noto, la proprietà è privata e presenta

elementi di degrado; non è visitabile, non è visibile da strada.

È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e

del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599126A,

Sacchi G. - cat. Fracasso-Giampaoli).

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Fontanile Cuccu

Fontanile Cuccu è un‟opera idraulica verosimilmente

dell‟Ottocento, sita nei pressi di vicolo del Conte al Corviale.

Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale;

non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata

dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di

Roma (scheda inventariale 00599146A, Sacchi G. - cat.

Fracasso-Giampaoli).

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Fontanile Giombini

Fontanile Giombini è un‟opera idraulica

verosimilmente dell‟Ottocento, sita nei pressi di vicolo del

Conte al Corviale.

Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale;

non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata

dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di

Roma (scheda inventariale 00599147A, Sacchi G. - cat.

Fracasso-Giampaoli).

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Forno al Fosso di Papa Leone

Il Forno al Fosso di Papa Leone è un complesso rurale

del XVIII secolo, sito in via Palaia, 201, al Portuense.

Per quanto noto, la proprietà è privata e presenta

elementi di degrado; non è visitabile, è visibile da strada. È

stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e

del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00970674A,

Banchini R. - cat. Tantini G.).

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Forte Magliana

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Forte Portuense

Forte Portuense è un‟opera difensiva - circondata da

un fossato asciutto e con una polveriera esterna - facente

parte della cerchia dei 14 forti militari di Roma (Campo

Trincerato).

I lavori cominciano nel novembre 1877 - con lo

sbancamento della sommità di un‟altura naturale, la Collina

degli Irlandesi - e si concludono, dopo quattro anni di scavi e

modellamenti del terreno su una superficie di 4,5 ettari, alla

fine del 1881. Lo schema planimetrico è quello di un

poligono irregolare, chiamato in gergo militare a pianta

prussiana.

Il fronte di fuoco, orientato in direzione del mare,

misura circa 180 metri ed è costituito di due facce angolate,

con al vertice la Casamatta (struttura armata in cui si

concentra la potenza di fuoco). Nella parte interna del fronte

di fuoco, sormontato da terrapieni, si trova il Quartiere

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d’armi (serie di camerate dai soffitti voltati, destinate ad

alloggiare le truppe). I due fronti laterali sono difesi da

casematte di minori dimensioni (Orecchioni). Il fronte di gola,

orientato verso la città, ospita la Garitta monumentale

(ingresso principale dal caratteristico portale bugnato) e la

Caponiera (fortificazione destinata alla difesa dell‟ingresso).

Dall‟ingresso si accede, attraverso un corridoio

voltato, ai corpi di guardia e ci si immette nella grande

Galleria anulare, anch‟essa voltata, che percorre l‟intero

perimetro del forte. Internamente la struttura si apre in una

Piazza d’armi.

Il Casale degli Irlandesi

Il toponimo Casale degli Irlandesi indica l‟altura, alle

spalle di largo La Loggia, scelta nel 1877 per l‟edificazione di

forte Portuense.

Nell‟estate di quell‟anno una commissione militare -

composta dal gen. Giovanbattista Bruzzo e da progettisti

genieri e artiglieri - ispeziona l‟altura una prima volta, e

dispone profondi modellamenti: lo sbancamento della

sommità, lo scavo degli spazi del forte al di sotto del piano di

sbancamento, e la formazione con i materiali di riporto di

una cintura di spalto artificiale scarpata rispetto il piano di

campagna, e infine la deviazione a valle di via Portuense, per

ostacolare un‟avanzata nemica.

La commissione torna al Casale una seconda volta a

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distanza di pochi giorni, e visiona sul terreno il tracciato

delimitato da paletti. Approvato il progetto dal ministro della

guerra, gen. Luigi Mezzacapo, i lavori iniziano il 12 novembre

1877. La studiosa Francesca Ritucci ha rinvenuto un

carteggio da cui risulta un‟esecuzione regolare. Il 7 febbraio

1878 il gen. Cosenz invita Bruzzo: “Signor Generale,

desidererei ch‟ella vedesse…”.

A fine 1881 la collina ha l‟aspetto di un “tartaruga

corazzata”, da cui sporgono i soli piani di batteria, la

cannoniera e le lunette laterali. Le fortificazioni sono costate

733.000 lire.

Breve storia delle difese di Roma

Abstract non disponibile.

Come funziona Forte Portuense

Forte Portuense era preposto al controllo e alla difesa

dell‟area a sud sulla destra del Tevere, con la Stazione di

Trastevere e la linea ferroviaria per Civitavecchia, portata a

compimento pochi anni prima (1859), la Porta Portese

(distante 3,5 chilometri in linea d‟aria) e la Cinta bastionata

tra San Pietro e il Tevere. In quest‟area si era stabilito il

quartiere francese durante l‟assedio del 1849 e il paventato

nuovo assedio francese, una delle ragioni della realizzazione

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del campo trincerato, era atteso proprio da Civitavecchia,

quindi proveniente da questa direzione.

Per ciò che riguarda la copertura propriamente detta

delle aree limitrofe, il fronte esterno batteva le alture allora

dette di Affoga l‟asino, di Santa Passera, delle Piche, del

Truglio e dei Prati di Tor di valle sulla sinistra del Tevere.

L‟artiglieria del fianco occidentale si traguardava con

quella del Forte Bravetta, distante circa 2 chilometri, e

copriva le alture del Casaletto, mentre quella del fianco

orientale teneva sotto controllo l‟area del Tevere in

collegamento con quella del Forte Ostiense, a sud-est.

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Fosso della Magliana

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Fosso di Affogalasino

Fosso Affogalasino è un torrente (che in passato, per

la maggior portata d‟acqua era anche chiamato rio) che ha

origine nell‟Agro a Nord di Roma e si getta nel Tevere, come

affluente di destra, in prossimità del Trullo.

Il fantasioso nome deriverebbe da una disavventura

accaduta ad un povero ciuco, annegato nelle acque un

tempo impetuose del corso d‟acqua. Presso gli studiosi è

tuttavia popolare la suggestiva ipotesi che l‟etimo derivi dallo

spregiativo epiteto di «asini» con cui erano chiamati i primi

cristiani, e dalla consuetudine locale di dare loro il «martirio

per annegamento», gettandoli da un ponticello di pietra.

«Vige tradizione - scrive il Tomassetti - che, presso la

Magliana - ove l’avvallamento dimostra esservi stato un

piccolissimo lago fra i boschi dei Fratelli Arvali -, molti pagani,

convertiti al cristianesimo, vi fossero affogati. Per disprezzo

dei cristiani, creduti adoratori di un dio simboleggiato in una

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testa d‟asino, la località prese il nome di Affogalasino».

Questa leggenda troverebbe riscontro nella Passio dei Martiri

portuensi Simplicio, Faustino e Beatrice, i cui corpi, gettati

da un «pontem lapideum» (un ponte di pietra) arrivarono poi,

trasportati dalle acque, fino all‟Ansa della Magliana.

L‟esistenza di un ponticello è confermata dal

cronachista Pietro Romano, che gli dà il nome di Ponte di

Fogalasino. Fogalasino (o anche Foga l’asino) è in effetti il

nome medievale (sopravvissuto fino a tempi recenti) del

fosso, della contrada circostante e del viottolo che

anticamente lo fiancheggiava, risalendone il corso sino alle

spalle del Gianicolo.

Dal 1940 il fosso scorre in canalizzazione sotterranea

sotto l‟attuale via del Trullo. In epoca successiva sono state

interrate anche la tratta successiva, dal Trullo al Tevere, e

quella precedente sulla omonima via del fosso di

Affogalasino, dal Trullo alla Serenella.

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Fosso di Papa Leone

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Fosso di Santa Passera

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Fosso Tiradiavoli

Andrea Di Mario

La Marrana Tiradiavoli (o in epoca medievale

Marrana di Pozzo Pantaleo) è un corso d‟acqua, oggi

interrato, che nasce dalle sorgenti della Valle dei Daini (a

Villa Doria-Pamphili) e - dopo aver attraversato la profonda

valle di via di Donna Olimpia e costeggiato le alture

dell‟Ospedale San Camillo presso Pozzo Pantaleo - sfocia nel

Tevere all‟altezza di piazza Meucci.

Il fiumiciattolo deve il suo sinistro nome ad una

credenza popolare secondo la quale, sotto le arcate

dell‟acquedotto romano di Villa Pamphili, alcuni diavoli

fermarono la carrozza di Donna Olimpia Maidalchini,

conosciuta per la sua malvagità, per accompagnarla

direttamente all‟inferno. La stessa carrozza, condotta (tirata)

da diavoli, con a bordo il fantasma della dannata

nobildonna, sarebbe però ancora oggi solita apparire con

grande fragore, a turbare le notti dei Romani.

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Nel suo percorso la marrana era scavalcata da alcuni

ponti, oggi scomparsi, il più importante dei quali era posto

sulla Via Portuense, in prossimità del bivio da cui partiva

l‟antica Via della Magliana. A monte di questo incrocio alcuni

tratti dell‟alveo erano stati regolarizzati, probabilmente già in

epoca classica. Altri due ponti, oggi scomparsi, erano quello

della novecentesca via di Vigna Corsetti e quello posto nei

pressi della foce.

Perfettamente visibile fino alla fine degli anni Trenta

la marrana iniziò ad essere interrata quando venne colmata

durante la costruzione delle case popolari di via Donna

Olimpia. Qualche decennio più tardi, con la costruzione della

Purfina e l‟edificazione dei primi lotti di via Oderisi da

Gubbio, la marrana scomparve quasi del tutto, con

l‟eccezione dell‟ultimo breve tratto, dove è ancora visibile un

manufatto idraulico.

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Fratel Policarpo

Il Fratel Policarpo è un istituto di vita religiosa

associata e un centro giovanile, con all‟interno una cappella

per il culto.

Si costituisce l‟11 febbraio 1995, nell‟ambito

dell‟ANSPI (Associazione nazionale San Paolo), che promuove

la formazione di circoli giovanili e oratorî. Prende il nome dal

religioso francese Frère Polycarpe, al secolo Jéan-Hippolyte

Gondre (1801-1858). Nato da umili origini nel villaggio

alpino di La Motte, diviene maestro elementare ed entra nella

Société du Sacré Coeur de Jésus di Lione, occupandosi del

noviziato e dell‟amministrazione, fino a divenirne superiore

generale. Seppur malato di polmonite e febbri tifiche,

Policarpo conduce uno stile di vita austero, utilizzando

persino il cilicio.

Il Sacro Cuore si era costituito nel 1821 ad opera di

André Coindre, nel quadro della c.d. rievangelizzazione della

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Francia dopo i fermenti della Rivoluzione. Fra il 1843 e il

1846 Fratel Policarpo ne riscrive la regola, ispirandosi alle

costituzioni dei Gesuiti e dei Fratelli delle Scuole cristiane.

Nel 1847 promuove le prime case in America, arrivando a

costituirne, tra Francia e Stati Uniti, ben 82.

Il complesso presenta oggi impianti sportivi per la

danza, ginnastica, nuoto e sport di squadra. Organizza corsi

di teatro, visite a luoghi d‟arte e della fede e soggiorni alpini.

Ospita, in un‟ala dell‟edificio, un centro polifunzionale.

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Gamma

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Garitta monumentale

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Depretis e l’orribile 1876

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Genio militare

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Giuseppe Testa, eroe partigiano

Il romanzo storico “Il Bandito di Morrea. Vita di

Giuseppe Testa dalla Magliana di Roma alla Valle Roveto,

lungo la Linea Gustav”, di Antonello Anappo, ripercorre la

biografia di Peppino Testa, giovanissimo ragioniere del Genio

militare di Magliana, divenuto Medaglia d‟Oro della

Resistenza.

Il ragazzo, di appena 19 anni, dopo l‟8 settembre

1943 costituisce nel borgo abruzzese di Morrea un comitato

di assistenza ai fuggiaschi alleati, desiderosi di attraversare

il fronte di fuoco e riprendere le armi contro i nazisti. Alla

fine della guerra - accerteranno gli Americani - i soldati

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rifocillati, curati, protetti e condotti oltre la Linea Gustav

grazie a Testa, saranno 5800. Insieme a Testa altri tre

uomini resero possibile questa avventura partigiana: il

parroco don Savino Orsini e i compagni Casalvieri e

Gemmiti.

Giuseppe Testa pagherà tutto questo con la vita.

Considerato dai Tedeschi un “bandito”, viene catturato e

torturato per 50 giorni, ma non rivelerà il nascondiglio dove

protegge i fuggiaschi. L‟11 maggio 1944 la fucilazione. Nel

1946 gli viene tributata la medaglia d‟oro al valor militare. Lo

ricordano due monumenti: uno a Morrea e un altro dentro il

Genio militare.

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Gesù Divino Lavoratore

Gesù Divino Lavoratore (Parrocchiale del Gesù Divino

Lavoratore, con istituti Migliavacca e Missionarie della

Dottrina cristiana) è una chiesa parrocchiale di epoca

contemporanea.

Non disponiamo di notizie storiche dettagliate su

questo bene. La proprietà è, per quanto noto, di ente

ecclesiastico. Non disponiamo di notizie

architettoniche/funzionali più dettagliate. Si trova in Via

Oderisi da Gubbio, 16. È visibile da strada e l‟accesso è

libero, compatibilmente con gli orari delle funzioni e la

natura di istituto scolastico.

Gesù Divino Lavoratore è una chiesa parrocchiale,

realizzata dall‟architetto Raffaele Fagnoni tra il 24 marzo

1955 (prima pietra) e il 15 maggio 1960 (consacrazione).

La struttura a pianta ellittica è in cemento armato,

con i setti di nervatura a vista e disposti radialmente a

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sostenere la cupola. “La spazialità avvolgente - scrive lo

studioso Massimo Alemanno -, che riesce a coinvolgere

visivamente lo spettatore, e il ricorso alla pianta centrale con

la cupola nervata impostata sulla pianta ellittica, rimandano

ad una tradizione barocca, reinterpretata secondo le

esperienze dell‟architettura moderna”. Una scala in marmi

rosa e bianchi conduce al presbiterio, leggermente

sopraelevato. L‟altare ha come fondale un pannello in tessere

dorate, a sostegno della croce.

Esternamente, l‟edificio sacro è rivestito di mattoni di

tufo rossi ed è cinto da una fascia di vetri policromi.

Separato dall‟edificio si trova il campanile. Alla parrocchia

sono annessi la Polisportiva, l‟istituto religioso femminile

Missionarie della Dottrina cristiana e la scuola materna

Angiola Maria Migliavacca.

Dal 22 aprile 1969 la parrocchia è assegnataria - su

decreto di Paolo VI - del titolo cardinalizio di Gesù Divin

Lavoratore. A seguito della ridefinizione dei confini operata

nel 1991, la parrocchia cura oggi circa trentamila anime.

La Cappella di Pietra Papa

La Cappella di Prata Papi è una chiesina, oggi non più

esistente, attiva negli anni Cinquanta.

Nel 1954, nello stabile ENAL di via Oderisi da Gubbio,

51, viene attrezzato un piccolo spazio per il culto per i fedeli

del quartiere Marconi, allora in costruzione. Il 1° ottobre

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55

dello stesso anno lo spazio devozionale è costituito in

vicecura (Cura d‟anime ai Prata Papi), alle dipendenze della

Parrocchia della Sacra famiglia fuori Porta Portese, su

decisione dell‟allora cardinal vicario Clemente Micara.

A Natale viene realizzata poco distante una nuova

cappella, di maggiori dimensioni, realizzata su una struttura

prefabbricata. La parrocchia si costituisce formalmente il 12

marzo 1955, con il decreto Paterna sollecitudine, in

affidamento al Clero diocesano. L‟aneddoto vuole che il titolo

parrocchiale - Gesù Divino lavoratore - sia stato inventato

dal primo parroco, Francesco Rauti, per significare la

presenza attiva della Chiesa nel mondo del lavoro, trovando

il sostegno di Pio XII e di Giovanni XXIII.

Il 24 marzo, viene posata la prima pietra della nuova

grande chiesa, che sorgerà al civico 16 della stessa via. Dal 4

ottobre 1959, data del riconoscimento degli effetti civili, si

inizia a celebrare matrimoni. La consacrazione della nuova

chiesa avverrà il 15 maggio 1960, data nella quale la

cappellina di Prata Papi cessa di essere utilizzata.

Il campanile

Il Campanile del Divino Lavoratore è una torre

campanaria, edificata fra il 1955 e il 1960.

Il progetto è dell‟architetto Raffaele Fagnoni. La

caratteristica principale dell‟edificio è comunque costituita

dal posizionamento del campanile cavo, alto all‟incirca 44

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metri, che precedento la chiesa ne costituisce una sorta di

propileo. Alta torre campanaria a forma cilindrica. Essa

richiama in modo evidente una ciminiera. Vi è un alto

campanile posizionato centralmente sul fronte, davanti

l‟ingresso, in maniera decisamente inusuale.

Il complesso è posto su di una piattaforma rialzata ed

arretrata dal filo stradale di via Oderisi da Gubbio, dalla

quale lo separa anche la bassa cancellata. La

pavimentazione esterna è in cubetti di porfido. Esternamente

entrambi gli edifici sono rivestiti di mattoni rossi di tufo.

Anche il campanile posto sulla facciata richiama una

soluzione tradizionale del barocco, poco diffusa a Roma, ma

tipica dei Paesi del Centro Europa. Alcune intuizioni, come

quella sopra citata, conferiscono a questo edificio una

fattura architettonica anche pregevole, non sufficiente però

ad eliminare completamente quel senso di freddezza

architettonica tipica delle costruzioni del periodo.

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Giardino dei frutti perduti

Il Giardino dei frutti perduti è un frutteto didattico di

Roma Natura, realizzato nel 2006 dall‟agronomo G. Lucatello.

Contiene 160 specie e varietà locali di interesse

agrario di albicocco, ciliegio, fico, mandorlo, susino, pesco,

pero, melo, melograno, nespolo, sorbo, gelso e giuggiolo.

Monte di esse sono a rischio di erosione genetica: rischiano

cioè di non venire più coltivate, soppiantate da altre varietà,

spesso importate, più resistenti o dalla fruttificazione più

copiosa, riducendo così la biodiversità complessiva

dell‟habitat.

Gli esemplari presenti nel giardino non sono stati

espiantati ma moltiplicati per innesto. Questa tecnica agraria

consiste nell‟unire ad un albero o arbusto comune (il c.d.

portainnesto) parti della pianta a rischio (la c.d. marza): le

marze crescono in simbiosi con la pianta ricevente,

conservando i caratteri propri. Le marze sono state fornite

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dall‟Istituto Sperimentale di Frutticultura di Roma.

I lavori sono iniziati nel novembre 2006, a seguito

della cessione in comodato del terreno di proprietà Milea sul

clivo di via dei Martuzzi. Il terreno - esteso 1,046 ettari - è

stato recintato e dotato di un impianto idrico (che recupera

un vecchio pozzo), camminamenti, panchine e gazebo.

Insieme alle piante da frutto si trovano alberature nostrane

(leccio, ulivo, alloro) e arbusti della macchia mediterranea e

officinali.

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Greentower

Abstract non disponibile.

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Grotte delle Fate

Abstract non disponibile.

Martesilvano, dio della frontiera

Gli Atti degli Arvali testimoniano nel territorio

portuense il culto del dio etrusco Selvans (latinizzato in

Silvanus o Mars-silvanus, in associazione a Marte).

La divinità presiedeva alle selve e alle campagne,

proteggeva bestiame ed orti e per estensione era il nume

tutelare della proprietà e delle frontiere: occorre ricordare

infatti che il santuario arvalico segnava il confine territoriale

tra Roma e Vejo. è raffigurato come un vecchio vigoroso dalla

barba irsuta che vagabonda miseramente vestito, attento al

controllo della frontiera e armato di un pesante

tortóre per respingere gli invasori. Ha carattere retto

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e bonario, ma insofferente alla vita associata e capace

talvolta di manifestazioni grevi o misogine (avversava

partorienti e neonati e spaventava i contadini facendo

rimbombare nelle grotte la voce fragorosa).

Catone nel De Agricoltura riporta la cerimonia del

“votum Martisilvani pro bubus uti valeant”, per la salute del

bestiame. L‟offerta consisteva in un piatto di granaglie e

pancetta rosolati nel vino (“cocere in unum vas [...] farris,

lardi, vini”), da ripetersi per ciascun capo posseduto.

Una leggenda attribuisce a Martesilvano un inusuale

arbitrato nella guerra etrusco-romana seguita alla cacciata

dei Tarquini. Il conflitto si trascinava stancamente, e i due

eserciti, durante le interruzioni serali, si incontravano per

assegnare la vittoria giornaliera, contando i rispettivi caduti.

Martesilvano, stanco del massacro infinito e poco virile,

interviene proclamando di misura la vittoria ai Romani.

Atterriti dalla roboante sentenza divina, gli Etruschi

rientrano nei confini.

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Grottoni

I Grottoni sono un complesso di gallerie e ambienti

ipogei in località Santa Passera, che taluni identificano con

le perdute Catacombe di San Felice.

Il sito è originato in epoca romana, da un‟attività

estrattiva di tufo e pozzolane, collegata al vicino porto

fluviale di Vicus Alexandri. Nel Primo Novecento un‟indagine

archeologica conferma che almeno una parte delle gallerie è

stata riutilizzata per uso cimiteriale, ma non sono state

trovate iscrizioni o raffigurazioni pittoriche. Rimangono

comunque le fonti antiche (il De locis sanctis e l‟Index

coemeteriorum) ad attestare che al III miglio si trovava il

cymiterium ad Sanctum Felicem Via Portuensi. Tra gli studiosi

il dibattito è aperto, anche se il successivo impiego delle

gallerie, dal Settecento in poi, come cantine da vino, rende

poco probabili nuovi ritrovamenti.

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Il dibattito è aperto

Una pluralità di fonti concorda nell‟attestare le

perdute Catacombe di San Felice al III miglio della Via

Portuense-Campana. L‟indagine del Primo Novecento, che

avrebbe potuto essere risolutiva, ha sì chiarito la natura

cimiteriale di alcuni ambienti della cava, ma non ha potuto

fornire un‟attribuzione certa. Successivi crolli hanno

impedito la prosecuzione delle indagini.

Tra le fonti storiche, il libro De locis sanctis elenca

Felice tra i Martiri portuensi «qui iuxtam Viam Portuensem

dormiunt». L‟Index coemeteriorum cita espressamente il

Cymiterium ad Sanctum Felicem Via Portuensi miliario III.

Infine un carme di Papa Damaso (366-384), elogiando il

lavoro pittorico del Presbitero Vero, riporta incidentalmente

che il lavoro pittorico si è svolto presso il Sepolcro di Felice.

Gli Itinera medievali collocano la tomba del Martire

dopo quella di Paolo (a San Paolo) e prima di Ponziano (a

Monteverde), al di sopra di un‟altura dominante il punto in

cui «il Tevere s’impaluda». Emilio Venditti ritiene che la

descrizione sia compatibile con il costone di Vigna Pia.

Styger e Cecchinelli-Trinci avanzano invece ipotesi diverse: il

primo colloca le catacombe vicino San Ponziano; la seconda

a via Traversari a Monteverde.

Nel Settecento i Grottoni sono in uso come cantina da

vino di Vigna Jacobini. Gli ambienti attuali, sebbene assai

ridotti, sono ancora in uso.

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Felice, martire con Adautto

Le notizie biografiche su San Felice, presbitero

romano martirizzato al tempo di Diocleziano, sono

scarsissime e provengono da un racconto popolare, la Passio

Felicis, del VII sec.

Il racconto vuole che Felice, condannato a morte e

condotto al supplizio lungo la via per il mare, viene affiancato

da uno sconosciuto che dichiara agli increduli militari

romani di voler condividere la stessa sorte. I militi lo

accontentano senza indugi, decapitando entrambi col

medesimo spadone.

L‟identità dello sconosciuto rimane un mistero, non

solo per la folla che assistette al martirio, ma per la stessa

Chiesa. La Passio Felicis parla di «eo quod sancto Felici

auctus sit ad coronam martyrii» (un tale, aggiuntosi a Felice

nella corona del martirio). La comunità ecclesiastica, volendo

conservare memoria di questo gesto coraggioso, attribuisce

all‟ignoto un nome simbolico: Adauctus (che in latino

significa «aggiunto»), a ricordare la virtù cristiana di

aggiungersi a Felice nel martirio.

La tradizione liturgica ricorda perciò i due martiri

insieme, il 30 agosto; il loro emblema, come tutti i martiri

minori, è rappresentato dalla palma. Il Martirologio romano

li ricorda con questa formula: «Santi martiri Felice e Adautto,

che, per aver reso insieme testimonianza a Cristo con la

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medesima intemerata fede, corsero insieme vincitori verso il

Cielo».

Oltre che nella Passio Felicis lo stesso racconto

compare anche in un carme di Papa Damaso, senza

aggiungere elementi biografici significativi, se non il fatto che

Felice e Adautto sarebbero stati fratelli (ma si intende

probabilmente fratelli nella fede).

Le reliquie, in giro per l’Europa

Il culto di San Felice, e del suo inatteso compagno

Adautto, dura alla Magliana quanto un batter d‟ali.

Tanto che a fine IV sec. le spoglie dei due martiri si

spostano sulla riva opposta, al Cimitero di Commodilla sulla

Via Ostiense. Qui ai due martiri viene dedicata una cripta,

nella quale tra l‟altro troviamo le uniche immagini di Felice e

Adautto conosciute. Si tratta di uno dei più antichi affreschi

paleocristiani, nel quale è raffigurato San Pietro che riceve le

chiavi. Assistono alla consegna simbolica come testimoni i

santi Stefano e Paolo, affiancati da Felice e Adautto.

La cripta viene trasformata da Papa Siricio (384-399)

in una basilica sotterranea, successivamente ampliata e

abbellita da Giovanni I (523-526) e Leone III (795-816),

diventando meta di pellegrinaggi anche in epoca medievale.

Papa Leone IV (847-855) dona le reliquie dei due

martiri alla devota Ermengarda, moglie di Lotario,

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contribuendo a diffonderne il culto nel Nord Europa. A Roma

rimane tuttavia la reliquia più importante, la testa mozza di

Sant‟Adautto, conservata oggi nel reliquiario della chiesa di

Santa Maria in Cosmedin alla Bocca della verità.

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Idroscalo del Littorio

Abstract non disponibile.

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Idrovore di Ponte Galeria

Abstract non disponibile.

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Imbarco dei Papi

Abstract non disponibile.

Sisto IV, primo papa della Magliana

Francesco della Rovere è papa dal 1471 al 1484, con

il nome di Sisto IV. è il primo pontefice che frequenta la

Tenuta della Magliana. Ma il motivo, stando alle cronache

dell‟Infessura, è tutt‟altro che religioso: ad attenderlo vi sono

i giovani amanti Giangiacomo Sclafenato e Gerolamo Riario.

Della Rovere ha natali modesti, nel Savonese il 21

luglio 1414. A Pavia eccelle negli studi teologici e

l‟insegnamento itinerante nelle università italiane lo porta

prima alla carica di ministro generale dei Francescani (1464)

e poi al cardinalato sotto Paolo II (1467). Il 9 agosto 1471 è

papa.

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Sisto IV trascina Roma fuori dal livore medievale, con

la magnificenza del rinnovamento urbanistico: approva

subito il piano regolatore, e di lì a poco vedono la luce ponte

Sisto, la via Sistina, San Vitale (1475), la Biblioteca vaticana

(1477) e la Cappella Sistina (che non farà in tempo a vedere

completata); chiama a corte il musico Des Prèz, il pittore

Melozzo da Forlì e gli umanisti Regimontano e Platina.

Fioriscono anche le dignità statali, spartite tra le

famiglie Della Rovere e Riario, suoi sponsor durante il

conclave. Papa Sisto eleva al cardinalato due nipoti (uno è

Giuliano della Rovere, futuro papa Giulio II), sei parenti e un

figlio illegittimo (Pietro Riario). Il pittore Melozzo, per

l‟inaugurazione della Biblioteca, realizza un affresco

celebrativo che ha il sapore di un grande “ritratto di

famiglia”, dove il pontefice vuole raffigurati accanto a sé i più

cari affetti terreni: Giuliano della Rovere, Giovanni della

Rovere, Raffaele Riario e Gerolamo Riario.

Per l‟ultimo di essi, Gerolamo Riario, papa Sisto

stravede, e nel 1471 gli regala la Tenuta della Magliana. Le

cronache di Stefano Infessura (1484), parlano però di un

diverso e inconfessabile attaccamento: “Per quale motivo se

non la sodomìa - scrive - papa Sisto predilesse il conte

Gerolamo e Pietro Riario, suo fratello e il cardinale di San

Sisto? Lo mormora il popolo, i fatti riscontrano. E cosa non

fece ai servitori di camera! Ma li risarcì a suon di ducati, o

elevandoli al rango di vescovi o cardinali”. Occorre precisare

che non si hanno riscontri alle affermazioni dell‟Infessura, e

lo studioso Ludwig Pastor anzi le contesta radicalmente.

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Verità storica è invece che Gerolamo è per papa Sisto una

pedina importante nella Congiura dei Pazzi (Firenze, 1478): il

luogotenente Raffaele Riario ha il compito di detronizzare

Lorenzo il Magnifico ed insediare al suo posto proprio il

pupillo papale Gerolamo Riario. Gli eventi però volgono

contro i congiurati, e al pontefice non rimane che

scomunicare il Magnifico, porre Firenze sotto interdizione, e

muoverle guerra per due anni.

Alla Magliana intanto, riferisce ancora l‟Infessura, il

Palatium Sancti Johanni era stato promesso in godimento

anche ad un altro amante, il camerario Giovanni Giacomo

Sclafenato. Papa Sisto non onora la promessa, ma lo

ricompensa altrimenti. Alla sua morte un allusivo epitaffio

ne ricorda l‟elevazione a cardinale “per meriti di ingegno,

fedeltà e perseveranza” nonché “per altre doti di animo e di

corpo”.

E le guerre proseguono. Dopo Firenze tocca a Venezia,

contro la quale nel 1482 papa Sisto ordisce un perfido

inganno: prima convince la repubblica lagunare ad aggredire

il ducato di Ferrara, assicurando sostegno; poi, a guerra

iniziata, mette Venezia sotto interdizione e la abbandona al

destino delle armi: Venezia ne esce malconcia, perché nel

frattempo in soccorso a Ferrara sono arrivate le truppe degli

Sforza da Milano e dei Medici da Firenze. In pratica, Sisto IV

ha impegnato in una guerra Venezia, Ferrara, Firenze e

Milano senza spendere un ducato.

Le sue finanze, d‟altra parte, sono più che floride

grazie alla vendita delle indulgenze allargata anche alle

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anime dei defunti, alla raccolta di fondi per la crociata contro

i Turchi di Smirne, e alla licenza legale dei bordelli, da cui

incassa trentamila ducati l‟anno. In questa frenetica attività

di statista, non sorprende la poca attenzione dedicata

all‟attività di pastore della Chiesa: celebra il Giubileo del

1475, istituisce la festa dell‟Immacolata, cerca accordi con

ortodossi e gallicani, ridimensiona i decreti del Concilio di

Costanza, e, nel 1478, istituisce anche in Spagna la Santa

Inquisizione.

Terminate le guerre, papa Sisto riscopre la residenza

della Magliana e vi fa tappa fissa nei viaggi lungo il Tevere

diretto ad Ostia, a bordo della sua personale “nave

bucinatoria”. Uno di questi viaggi (9-12 novembre 1483) è

ancora documentato dall‟Infessura, che testimonia di due

tappe alla Magliana, una all‟andata e una al ritorno. è

probabilmente in questa occasione che si decide la

trasformazione del Palatium in villa di caccia. Il progetto

viene affidato a Jacopo da Pietrasanta.

Ma il pontificato volge ormai al termine. La morte lo

coglie il 12 agosto 1484, terribilmente annoiato dall‟inerzia

delle armi: “ucciso dalla pace”, dirà il popolino. Pasquino lo

liquida impietosamente, affiggendo questo strambotto:

“Ingiusto e infido giace / chi la pace odiò tanto, in

sempiterna pace / Orsù, gettate a brani / le scellerate

membra a lupi e cani!”.

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Ipogeo di Santa Passera

L‟ipogeo dei martiri Ciro e Giovanni è una camera

sepolcrale romana, di modeste dimensioni, datata tra la fine

del II e l‟inizio del III sec. d.C., nella quale avrebbero riposato

in epoca altomedievale le spoglie dei due santi egiziani.

Esso viene realizzato al di sotto del piano di calpestio

del Mausoleo di Santa Passera, all‟epoca in cui questo era

già saturo di sepolture. Vi si accede da una ripida scaletta;

l‟ambiente trae luce unicamente dal foro della scala e da

un‟apertura centrale nella volta. Già in antico lo spazio

interno viene ridotto, con una controparte sul lato ovest, per

ricavarne ulteriori spazi funerari.

La decorazione pittorica è oggi quasi completamente

perduta: non solo per gli straripamenti del vicino Tevere, ma

soprattutto per le spicconature di quanti, nel tempo, hanno

cercato senza esito di recuperare le reliquie dei martiri. I

pochi resti si presentano campiti su un fondo d‟intonaco

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chiaro delimitato da fascioni, partiture semicircolari e

quadranti rossi, con soggetti di repertorio funerario, a fresco

con dense pennellate senza linee di contorno. Nella parete

nord vi è il c.d. Ciclo della dea Dike, con la dea, un volatile e

un pugile; nella parete sud vi è una pecora; nella volta

grandi stelle decorative a 6 e 8 punte).

La controparte si presenta coperta di uno spesso

strato pittorico con soggetti non riconoscibili, sul quale, a

fine XIII sec., è stata aggiunta una Natività, oggi perduta.

L‟ipogeo, interrato dopo il 1706, è stato riscoperto nel 1904.

Dike e l’Età dell’oro

Una figuretta a fresco nell‟Ipogeo di Santa Passera

attesta, nel Territorio Portuense, il culto di origine greca di

Dike.

Personificazione del sentimento di giustizia, Dike

protegge quanti hanno subìto un torto e punisce chi si è

sottratto ai tribunali degli uomini: ha una bilancia in una

mano e una spada nell‟altra. Il suo mito diventa popolare a

Roma nel I sec. d.C., grazie alle Metamorfosi di Ovidio (I,

149). Dike - sorella di Irene (la pace) e di Eunomia (le buone

leggi) - vive durante l‟Età dell’Oro, un‟epoca mitica in cui

mortali e dèi vivono in familiarità, senza bisogno di lavorare

e tracciare confini. Quando la rivolta di Giove introduce nel

mondo fatica, avidità e violenza la Dea ripone la spada e

abbandona gli uomini alla loro malvagità. Ovidio lo racconta

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con versi struggenti: “Victa iacet Pietas et Virgo caedet

madentes […] terras” (La Pietà giace sconfitta e Dike fugge

dalla terra insanguinata).

Il culto della dea consiste in preghiere rituali per

invocarne il ritorno, che avrebbe coinciso con una nuova Età

dell‟Oro. Ma Dike, dal malinconico Cielo della Vergine in cui

risiede, lascia cadere ogni appello, e osserva muta le vicende

umane.

Nell‟Ipogeo figurano altre due immaginette - un

volatile ad ali spiegate (l‟anima libera dai legami corporei) e

un lottatore ignudo - che è possibile ricomporre in un nobile

messaggio allegorico: “Riposa sereno / chi ha lottato / per la

giustizia”.

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Israelitico

Abstract non disponibile.

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Istituto dei Paolini

Abstract non disponibile.

La Famiglia Paolina

Con il termine Famiglia Paolina si intende l‟insieme di

cinque congregazioni, quattro istituzioni e un‟associazione

laicale aventi in comune gli insegnamenti del fondatore Don

Giacomo Alberione (1884-1971, beatificato nel 2003). Esse

sono presenti nel Territorio Portuense nella c.d. Fascia delle

Vigne (sui due lati della Via Portuense fra Trullo,

Affogalasino e Casetta Mattei) su aree che costituivano in

precedenza le tenute ecclesiastiche settecentesche.

Le cinque congregazioni sono la Società di San Paolo,

le Figlie di San Paolo, le Pie Discepole del Divin Maestro, le

Suore di Gesù Buon Pastore e l‟Istituto per le Vocazioni

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Regina degli Apostoli.

La Società di San Paolo è una congregazione clericale

di vita apostolica che ha come fine l‟evangelizzazione degli

uomini attraverso l‟attuale cultura della comunicazione. La

Società San Paolo è considerata la madre di tutta la Famiglia

Paolina poiché il Superiore generale della Società San Paolo

è riconosciuto quale legittimo successore del fondatore. I

membri della Società San Paolo, soprattutto sacerdoti,

hanno quindi una responsabilità morale nei confronti di

tutte le componenti della Famiglia Paolina. I paolini sono

noti per le loro opere apostoliche, come le Edizioni San Paolo,

i periodici Famiglia Cristiana, Jesus, Il Giornalino.

Le Figlie di San Paolo condividono il carisma della

Società San Paolo: hanno un‟autonoma casa editrice che

prende il nome di Edizioni Paoline.

Le Pie Discepole del Divin Maestro hanno una triplice

missione, che si incentra nell‟Eucarestia, nella Liturgia e nel

Sacerdozio. Esse si dedicano in modo particolare affinché

risplenda nella Chiesa la bellezza del Cristo attraverso la

creazione liturgica (canti, paramenti, patene, iconografia,

ecc.), sono vicine ai ministri ordinati (vescovi, presbiteri e

diaconi) e adorano il Cristo presente sacramentalmente nel

mistero eucaristico intercedendo soprattutto per gli operatori

nel mondo della comunicazione.

Le Suore di Gesù Buon Pastore affiancano i parroci

nell‟attività pastorale, compiendo opere di istruzione,

formazione e di santificazione.

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Le Suore di Maria Regina degli Apostoli si dedicano ad

accompagnare i giovani nel discernimento vocazionale.

Le quattro istituzioni sono le Annuziatine, i

Gabriellini, Gesù Sacerdote e la Santa Famiglia.

Le Annunziatine è un istituto per donne consacrate,

che vivono la spiritualità paolina rimanendo nel mondo.

Similmente opera l‟Istituto dei Gabrielini, composto

però di uomini consacrati che vivono nel mondo la

spiritualità paolina.

L‟Istituto Gesù Sacerdote si compone di vescovi e

sacerdoti diocesani che, secondo la definizione di Paolo VI, si

impegnano alla “imitazione sempre più perfetta dell’Eterno

Sacerdote Gesù Cristo, mediante la professione dei Consigli

evangelici”. Essi sentono vivo il bisogno di vivere la stessa

spiritualità della Famiglia Paolina, con la quale condividono

tutte le ricchezze spirituali. Essi cercano di fare sintesi tra

ministero e impegno di santificazione vivendo una profonda

fraternità.

La Santa Famiglia è un istituto di vita secolare

consacrata per coniugi, che si propone come fine la santità

della vita matrimoniale.

È presente, nella Famiglia Paolina, un‟associazione

laicale - i Cooperatori -, composta di quanti, pur non facendo

parte del clero, condividono la missione della Famiglia

Paolina. Vi sono infine altre realtà che, pur non facendo

direttamente parte della Famiglia Paolina, si ispirano al

carisma di Don Alberione. Esse sono le Vergini consacrate

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Ancillae Domini e la Fraternità di Gesù Divino Maestro.

La spiritualità della Famiglia Paolina ruota intorno

alla fonte di ispirazione di San Paolo Apostolo, e mette al

centro la figura del Redentore con il titolo di Divino Maestro

Via, Verità e Vita, e la Beata Vergine Maria con il titolo di

Regina degli Apostoli.

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Istituto della Divina Volontà

Abstract non disponibile.

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Istituto Vigna Pia

L‟istituto Vigna Pia è un edificio del 1858,

originariamente adibito a scuola agraria e opera

assistenziale, al centro della tenuta omonima.

Tra 1850 e 1851 il principe Torlonia, la principessa

Wolkonski e l‟Ordine religioso dei Minimi costituiscono una

proprietà fondiaria unitaria di 22 ettari, denominata Istituto

agrario di carità Vigna Pia in onore del papa regnante, Pio IX.

L‟insediamento è strutturato secondo lo schema della

colonìa, con vasti terreni a coltura intorno ad un corpo di

fabbrica principale. La popolazione è costituita di “orfani e

altri garzonetti più sventurati”, tra i 7 e i 21 anni. Dopo

l‟alfabetizzazione essi ricevono la formazione teorica in

agronomia e agrimensura, cui segue l‟apprendistato di

orticultura, cerealicultura e viticultura ed infine il collocamento

a servizio in una famiglia rurale.

Il Convitto, di forma quadrangolare, rivolge il

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prospetto principale alla valle della Magliana. È sormontato

dallo stemma papale tra due cornucopie colme di grano.

L‟edificio si prolunga in un padiglione di minor altezza,

realizzato da Leone XIII nel 1889. Il 23 aprile 1891 gli edifici

sono danneggiati dallo scoppio della Polveriera di Forte

Portuense. La tenuta aveva un portale monumentale, oggi

scomparso.

Nel Dopoguerra l‟estensione della tenuta viene erosa

dall‟urbanizzazione, fino a perdere la vocazione agraria. Il

complesso è oggi sede di convitto, centro giovanile e

polisportiva locale.

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La Meridiana

Vigna Jacobini è una proprietà fondiaria

settecentesca, variamente frammentata tra i rami familiari

Jacobini, Gioacchini e Ceccarelli. Occupava

complessivamente i due lati della via Portuense dall‟attuale

Stazione Trastevere a Forte Portuense, e parte della valle di

Affogalasino e di Villa Santucci.

Dimora della casata e centro amministrativo della

tenuta era la palazzina “La Meridiana”, uno scarno casale

seicentesco ingentilito da un corposo frontespizio e dal

monumentale quadrante di orologio (recentemente

restaurati).

Le produzioni viticole pregiate si concentravano nella

“vigna del Ciacchero”, esposta a mezzogiorno e riparata dai

venti. Ne usciva un superbo vino aleatico la cui mescita “a

coppelle” avveniva presso l‟osteria “del Cardinale”, nel casale

omonimo. La proverbiale ripida rampa a scalini che

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precedeva l‟osteria metteva a dura prova i popolani che

avessero ecceduto nel bere.

L‟intera produzione di vino era stivata in barili dentro

i “grottoni” (una fitta rete di cantine a galleria scavate nel

tufo) ed avviata su “carri a vino” condotti da pariglie di muli

o buoi verso i mercati urbani.

Il Quartier generale dei Francesi

Destinata ai riposi di monsignor Giuseppe Santucci,

originario di Ercolano, Villa Santucci (oggi Villa Maraini)

compare già nel 1818 nel Catasto Gregoriano, segnalata

come villa e casetta per il vignaiolo. L‟edificio era costituito

da un corpo centrale più elevato e due ali più basse, con una

scalinata a doppia rampa. Il vasto parco, dell‟estensione di

14 ettari (con ingresso da via Ramazzini), era una pineta con

alcune piante esotiche. Lungo il muro di cinta sorgeva una

Cappellina.

Durante la repubblica Romana, nel 1849, la villa

funzionò da quartier generale dei francesi di Oudinot, prima

dell‟attacco alle Mura del Gianicolo.

Nel 1853 la proprietà passò a Papa Pio IX, che ne fece

un soggiorno estivo per seminaristi; poi cambiò altre volte

proprietario, fino ai Maraini. Nel 1920 fu acquistata dal

Comitato per gli invalidi della Guerra di indipendenza, per

donarla alla Croce Rossa e farne un centro antitubercolare.

Lavori nel 1920 hanno falsato la struttura originaria,

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togliendo la rampa di accesso e sopraelevando un piano.

In seguito funzionò come centro di educazione

motoria fino al 1970; infine fu sede di un centro sociale e di

una comunità per il recupero di tossicodipendenti.

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La Pisana

Articolo non indicizzato.

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La Salle

Abstract non disponibile.

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La Serenella

La Serenella è una dimora signorile visibile già dal

catasto del 1818, sita in via dei Martuzzi al Corviale.

Per quanto noto, la proprietà è di ente ecclesiasico e

funzionale; non è visitabile, non è visibile da strada. È stata

studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del

paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599135A, Sacchi

G. - cat. Fracasso-Giampaoli).

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La Vignarola

La Vignarola è una dimora signorile del Primo

Novecento, sita in via di Vigna Due Torri, 116, al Portuense.

Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale; non è

visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla

Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di

Roma (scheda inventariale 00970676A, Banchini R. - cat.

Tantini G.).

L‟attigua Passeggiata di Vigna Due torri è un percorso

pedonale di 193 m che risale il fianco collinare di Vigna Due

Torri dalla stazione ferroviaria alla dimora storica. Il progetto

dell‟arch. Giordani realizzato nel 1999 asseconda la

morfologia del suolo ed impiega materiali locali: tufo per le

murature, porfido per le pavimentazioni, legno per gli arredi.

Il percorso inizia da un ponte di legno, da dove si

scorgono alcune tracce archeologiche, forse di uso funerario.

Una diramazione raggiunge Nostra Signora di Valme,

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realizzata nel 1982 dall‟arch. Spina e ispirata al santuario

spagnolo di Dos Hermanas. “Valme” è il grido di battaglia

della Reconquista al tempo dei Mori e significa “Dammi

forza”. A metà strada si trova una sosta con una fontanella

ed un casale recentemente restaurato, con intorno bei

giardini in condizione di naturalità (querce, tassi, lecci, olivi,

cipressi).

Prima delle terrazze panoramiche si trovano la

fontana liberty della Conchiglia e l‟area attrezzata per cani.

In cima fa capolinea il 44 e si trova l‟accesso a Villa Bonelli.

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Le Mantellate

Le Mantellate è un convento verosimilmente

dell‟Ottocento, sito in via della Fanella, 45, al Corviale.

Per quanto noto, la proprietà è di ente ecclesiasico e

funzionale; non è visitabile, è visibile da strada. È stata

studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del

paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599139A, Sacchi

G. - cat. Fracasso-Giampaoli).

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Le Turchine

Abstract non disponibile.

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Maccaferri

Nel 1917 si insedia alla Magliana l‟industriale

Gaetano Maccaferri, proprietario della IPS, Industria Prodotti

Siderurgici di Bologna. La sua scelta non è affatto casuale:

ha ricevuto dal Ministero della Guerra un ingente

finanziamento, che gli consente di acquistare i terreni

insalubri intorno al Fosso di Affogalasino (dal costo irrisorio)

e di tirar su gli altoforni con una rapidità impressionante,

iniziando da subito la produzione nella succursale romana.

La zona è desolata, ma ha intorno a sé tutto quello che

serve: la stazioncina ferroviaria per far arrivare il ferro grezzo

e far partire i prodotti lavorati, e un‟ingente disponibilità di

manodopera a basso costo, reclutata tra i terremotati della

Conca di Avezzato insediatisi alla Magliana.

La Maccaferri in quel periodo - siamo in piena Prima

guerra mondiale - produce un solo prodotto: il filo spinato

per le trincee sul Carso.

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I cancelli componibili Magliana

Negli Anni Venti, esaurita la commessa bellica di filo

spinato per le trincee sul Carso, l‟Industria Prodotti

Siderurgici Maccaferri della Magliana si riconverte alla

produzione civile di cancelli e recinzioni da giardino in

modulo componibile fai-da-te.

Il catalogo prevede soli quattro prodotti base - il

recinto, la cancellata, il cancello e il cancellino - declinabili

per altezza e spessore e in 300 combinazioni diverse. Il

recinto consiste in una rete a maglia metallica a doppia

zincatura, sorretta da 4 tipi di paletto: normale, testata,

angolare e rompitratta. La cancellata è una recinzione

montata su telai, a loro volta sostenuti da colonne in

tubolare verniciato al minio. Sulle recinzioni possono aprirsi

il cancellino pedonale o il cancello carrabile, rispettivamente

a una o due sezioni, sostenuti da colonne in ferro o ghisa e

con serratura a doppio scrocco.

La vendita avveniva per corrispondenza. Bastava

spedire alla Maccaferri il formulario stampato in fondo al

catalogo, indicando i numeri di combinazione e la quantità:

dalla stazioncina ferroviaria IPS-Magliana tutto l‟occorrente

raggiungeva smontato ogni parte d‟Italia e delle Colonie. Le

condizioni di vendita prevedevano il pagamento in contante o

a 15 giorni dalla fattura, con una penale, in caso di ritardo,

del 6% annuo.

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All‟acquirente non rimaneva che montare da sé la

recinzione intorno al suo giardino e godere in pace la fine

della Grande guerra.

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Madonna di Pompei

Abstract non disponibile.

Madonna di Pompei, bene storico artistico

(3). La Chiesa di Santa Maria del Rosario alla

Magliana Vecchia ha avuto dal Ministero per Beni e le

Attività culturali l‟importante riconoscimento di edificio di

interesse storico artistico.

La chiesa costituisce una testimonianza storica delle

vicende dell‟Agro Romano, ponendosi - come si legge sulla

relazione storico-artistica del Ministero - “come elemento

focale e tutt‟ora di maggiore riconoscibilità dell‟originario

nucleo insediativo a carattere rurale, in ciò svolgendo un

3 Di Maurizio Vacca.

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ruolo prezioso per la conservazione dell‟identità del luogo,

ormai raggiunto dalle recenti espansioni edilizie”.

L‟edificio è stato costruito tra il 1908 ed il 1915 e

sorge lungo via della Magliana, ai piedi delle colline che,

secondo la denominazione tradizionale, erano conosciute

come Monte delle Piche e Colli di Affogalasino. Esso trova

origine dalla creazione della borgata rurale conosciuta in

seguito anche come Borgo Maccaferri, sorto per accogliere gli

operai degli Stabilimenti Maccaferri - officine nate nel 1917

in piena Prima Guerra Mondiale per iniziativa di un

imprenditore emiliano con il sostegno del Governo -,

destinati alla produzione di filo spinato, di cui vi era grande

necessità per le esigenze belliche. Si affaccia sulla piazza

Madonna di Pompei ed è posizionata strategicamente vicino

alla Stazione della Magliana che era già attiva agli inizi del

Novecento.

Il 1° marzo 1915 la chiesa fu eretta a parrocchia, con

decreto del Cardinale vicario Basilio Pompili, sotto il titolo

del Santo Rosario di Pompei fuori Porta Portuense. Il

riconoscimento agli effetti civili del provvedimento vicariale

fu decretato il 4 marzo 1917.

Dal punto di vista architettonico la chiesa si presenta

a navata unica con tetto a capanna e con una piccola abside

quadrangolare (scarsella). è una impostazione che si rifà

volutamente alla tradizione architettonica degli Ordini

Mendicanti. “L‟impaginato architettonico - scrive il Ministero

nella sua relazione - si presenta austeramente classicistico”,

con le parete laterali “realizzate in blocchetti di tufo e

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laterizio a faccia a vista e dall‟equilibrata elegante

intelaiatura, costituita da paraste di ordine tuscanico”.

Da evidenziare la particolarità che tutti e due i fronti

esterni su via della Magliana e piazza Madonna di Pompei

sono trattati come facciate. Il fronte più lungo,

corrispondente al fianco sinistro della chiesa, doveva

svolgere inizialmente tale funzione. Una conferma è rilevabile

da una fotografia del 1940 circa, in cui il lato corto sulla

piazza non presenta una qualsiasi qualificazione

architettonica. Tale soluzione sembra fosse dettata dalla

volontà iniziale di privilegiare l‟affaccio verso la Magliana e

l‟antistante stazione ferroviaria. Solo in seguito venne

completato il fronte che si apriva sulla piazza, a seguito

probabilmente della realizzazione di un nucleo abitato più

significativo, e quindi di una più definita sistemazione della

piazza stessa.

Cari saluti da Magliana

Abstract non disponibile.

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Magazzini romani alla Mira Lanza

I Magazzini alla ex Mira Lanza sono un deposito

commerciale di epoca romana, sito nei pressi di via

Pierantoni a Marconi.

Per quanto noto, la proprietà è pubblica e di interesse

archeologico (scavi recenti); non è visitabile, è visibile da

strada. È stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica

di Roma (scheda inventariale presso l‟Ente).

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Magazzini romani di Parco dei Medici

La Villa del torcularium è un edificio romano di epoca

repubblicana, così chiamata per la presenza di una vasca,

identificata come un probabile torcularium, cioè un impianto

per la pigiatura dell‟uva.

L‟edificio risale alla fine del II sec. a.C. e consiste in

due ambienti in opus incertum (A e B), più un terzo ambiente

scavato parzialmente (C), dal quale è affiorata una canaletta

in opus spicatum. Nell‟ambiente A, salendo due gradini, si

accede alla vasca per la pigiatura dell‟uva (D), rivestita in

cocciopesto.

Nel I sec. a.C. l‟edificio viene ampliato con una

seconda vasca in opus reticulatum, anch‟essa foderata in

cocciopesto (E), e con altri due ambienti (F e G), dei quali

restano le fondazioni. Accanto alla seconda vasca si trova un

pozzo circolare (H). Il complesso sopravvisse fino al III sec.

d.C. A nord della villa è stato rinvenuto un tratto di strada

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basolata.

Il sito è emerso casualmente, durante lavori per la

realizzazione del Campo da golf di Parco dei Medici. Nella

relazione degli scavi della Sovrintendenza Archeologica

(1989) Laura Cianfriglia scrive: “Vasche e canaletta indicano

che questa era la zona produttiva della villa. Lo scavo è

parziale ed incompleto. Non vi sono quindi elementi per

comprendere se le strutture appartengono ad una villa più

estesa dotata anche di una parte residenziale, o se è un

edificio di solo utilizzo rustico”.

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Magliana Nuova (zona urbanistica)

La Magliana Nuova (o Pian Due Torri) è la terza delle

sette zone urbanistiche del Municipio XV, popolata da circa

26 mila abitanti.

Prende il nome dall‟abitato di Nuova Magliana,

costruito in forme speculative a partire dal 1968 sulla

preesistente Tenuta Due Torri, di cui sopravvive il ricordo nel

toponimo Pian Due Torri. Il primo popolamento dell‟area, in

epoca romana, avviene intorno alle attività del porto fluviale

di fronte a Santa Passera. Nel Rinascimento le confraternite

religiose tentano a più riprese il ripopolamento agrario,

ostacolato da continue inondanzioni. Con l‟argine del 1926

inizia la storia recente dell‟area, seguita dalla ondata di

cemento degli Anni Settanta, accompagnata da una fase di

tensioni sociali e lotte. Si progetta, sugli unici spazi verdi

rimasti in golena fluviale, l‟istituzione di un parco urbano.

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Notizia storica

Il primo popolamento dell‟area, in epoca romana,

avviene nell‟area di Santa Passera, dove si insedia una

comunità stabile di immigrati egiziani di lingua greca (gli

Alessandrini), poverissimi e impiegati come maestranze del

porto fluviale di Vicus Alexandri. Il resto della piana non è

popolato, perché in parte acquitrinoso e insalubre, e in

parte, nella prima fascia collinare, coperto da un nemus (un

bosco sacro).

Nella piana, in epoca medievale, è attestato un campo

di sepoltura ebraico. Dal Cinque-Seicento le confraternite del

Gonfalone e del Sancta Santorum iniziano una difficile

riconquista agraria, interrotta a fasi cicliche dalle inondazioni

fluviali. Per le confraternite il reddito maggiore, è comunque

costituito non dall‟agricoltura ma da una coppia di torri

doganiere (le Doi Torre), che impongono il dazio alle merci in

risalita del Tevere e determinano il toponimo Pian Due Torri.

La storia moderna del quartiere inizia nel 1926, con la

costruzione dell‟Argine e la bonifica integrale. Il piano

regolatore del 1954 mette le basi per l‟urbanizzazione

intensiva, fissando l‟obbligo di reinterrare la piana di 8 metri

fino alla quota dell‟Argine, per prevenire le inondazioni.

Da questa prescrizione, disattesa, e dalla frenetica

fase edilizia che segue, inizia nel maggio 1971 un periodo di

aspre lotte sociali, noto come Magliana in lotta, con al centro

le richieste di locazioni a canoni equi e il risanamento del

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quartiere.

Inquadramento urbanistico

L‟area di Magliana Nuova ha forma grossomodo

triangolare: per due lati (nord-est e sud-est) è delimitata dal

corso del fiume Tevere, che compie una stretta ansa; mentre

il terzo lato (ovest) segue il tracciato rettilineo della ferrovia

Ferrovia Roma-Pisa. Alla Magliana Nuova, nel comune

sentire, è spesso associata anche la porzione rivierasca di

Santa Passera, che congiuge la Magliana Nuova con l‟area di

Marconi, sebbene essa ricada più propriamente nel

quadrante del Portuense.

Alla Magliana Nuova si trovano due parrocchie: San

Gregorio Magno e la recente Santo Volto di Gesù. I dati

comunali al 31 dicembre 2009 indicano una popolazione

residente di 26.038 abitanti.

Miscellanea

Nell‟area della Magliana Nuova non sono attualmente

in corso cantieri di scavo né studi da parte della

Sovrintendenza. Non vi sono altri siti storici da segnalare.

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Magliana Vecchia (zona urbanistica)

La Magliana Vecchia è il quinto quadrante urbano del

Municipio XV, il più esterno fra quelli compresi nel Grande

Raccordo Anulare. Il GRA ne costituisce il confine ovest,

insieme con il Tevere a sud, via della Pisana a nord e il fosso

della Magliana ad est.

La Magliana Vecchia si articola in tre settori: la piana

golenale di Parco dei Medici, l‟area collinare della Muratella e

quella più interna ed estesa della Tenuta Somaini (Casa

Mattei). Comunemente è percepita come Magliana Vecchia

anche l‟area intorno alla Stazione Magliana e Colle del Sole

(Borgata Magliana), che ricade invece nel quadrante del

Trullo.

Il nome della Magliana compare per la prima volta in

un documento del 1018. L‟etimologia è controversa: taluni la

fanno derivare da una Gens Manlia latina, altri dall‟ipotetico

avamposto etrusco di Allias, altri ancora dalla consuetudine

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di denominare Molleus (molle) i punti di guado sul Tevere. Il

primo popolamento avviene comunque già in epoca arcaica

ed il ripopolamento medievale è precoce. Nel Rinascimento

avviene la grande fioritura intorno al Castello della Magliana,

con l‟attiguo parco di Papa Leone Medici. Le urbanizzazioni

recenti iniziano ai primi del Novecento alla Borgata

Magliana, cui segue negli Anni Trenta il borgo rurale di

Somaini. Negli Anni Settanta nasce il polo terziario di Parco

dei Medici; è oggi in corso una nuova edificazione alla

Muratella.

È presente un unico edificio di culto, la Madonna di

Pompei. Gran parte del territorio è occupato dalla riserva

Tenuta dei Massimi. I dati comunali del dicembre 2009

parlano di 4.237 residenti (senza Borgata Magliana e nuove

urbanizzazioni).

Miscellanea

Nell‟area della Magliana Vecchia esistono cinque siti

archeologici in corso di studio da parte della Sovrintendenza:

la Struttura tardo-repubblicana, il Manufatto romano alle

Idrovore, la Strada arcaica al Monte delle Piche, la Villa

romana allo Svincolo Alitalia ed i recentissimi Ritrovamenti di

via della Magliana in Località Muratella. Nonappena possibile

ve ne daremo conto con una scheda su Arvalia Storia. Non vi

sono da segnalare altri siti in ambito storico.

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Mansio di Pozzo Pantaleo

Moena Giovagnoli

La Mansio di Pozzo Pantaleo è una sosta per viandanti

di epoca imperiale, in cui era possibile rinfrescarsi,

consumare un pasto frugale, trovare ospitalità e compagnia.

Il sito, indagato parzialmente, emerge durante la

campagna di scavi della Soprintendenza fra il 1983 e il 1989

e si trova poco più ad ovest rispetto alle Terme. Si tratta di

un gruppo di piccoli ambienti in opera mista, affiancati l‟uno

all‟altro, con affaccio comune sul Tratto di Via Campana. Gli

ambienti sono preceduti da un portico. L‟edificio è dotato di

un doppio sistema idraulico, in cui acque potabili e acque

reflue circolano separatamente. Le acque sono attinte dal

vicino fosso Tiradiavoli o, per la stagione estiva, da un pozzo.

È presente un ambiente con una vasca in malta idraulica.

Affiancato alla Mansio è stato sommariamente indagato

anche un edificio funerario a doppia camera.

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La sosta dei viandanti

La Mansio della Via Portuensis è un manufatto

romano di epoca imperiale, identificato come una sosta per

viandanti, qualcosa di molto simile ad un moderno snack

bar, in cui era possibile trovare ristoro, breve ospitalità e

persino compagnìa.

Il sito emerge durante la campagna di scavi del 1983-

1989. A margine dell‟indagine principale (Via Campana e

impianto termale) si esplora anche un settore periferico più

ad ovest. Ne emerge un gruppo di ambienti in opera mista,

non completamente esaminati, posti in serie l‟uno accanto

all‟altro, e affacciati sulla strada attraverso un porticato.

Gli ambienti sono serviti da un doppio sistema

idraulico (acque chiare e acque scure) alimentato dal vicino

torrente e con cunicoli fognari per smaltire il refluo. Sono

presenti anche una vasca impermeabile, foderata con malta

idraulica, e un pozzo (per sopperire all‟essiccazione estiva del

torrente). I viandanti potevano godere della frescura della

vasca e dell‟ombra del porticato e, con l‟occasione,

consumare a pagamento un pasto frugale, un bicchiere di

vino o, magari, un incontro amoroso a pagamento.

L‟indagine ha restituito anche i resti di due ambienti

in opera laterizia appartenenti ad un edificio funerario, con

ingresso opposto alla Via Campana, caratterizzati dalla

presenza di sepolture in formae (sotto tegole).

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Marconi (zona urbanistica)

Marconi è la prima delle sette zone urbanistiche del

Municipio XV, di cui costituisce la parte più vicina al Centro

storico.

Il primo popolamento è tra la fine della Repubblica e

l‟inizio dell‟Impero (Orti di Cesare, Via Portuense, Porto di

Pietra Papa), quando i ceti popolari dell‟Urbe si riversano

nella fascia extraurbana del Trans Tiberim. In epoca

medievale sono attestate comunità stabili già dall‟Anno Mille

(Pozzo e Chiesina di San Pantaleone) e successivamente nei

Prata Papi, il latifondo agrario della famiglia dei Papareschi.

La Ferrovia e il Ponte di ferro (1859) segnano il

passaggio alla modernità, accompagnato dalle grandi

fabbriche (Mira Lanza, Molini Biondi, Società Anglo-Romana).

Il Piano Regolatore del 1931 avvia l‟area alla destinazione

residenziale, completata in forme intensive nel 1965.

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Notizia storica

Il primo popolamento risale alla fine dell‟Epoca

repubblicana (Horti di Cesare) e all‟inizio dell‟Impero (Via

Portuensis, Villa di Pietra Papa), quando i ceti sociali più

deboli di Roma - ma economicamente più vitali: artigiani,

portuali, liberti, stranieri - si insediano nella fascia

extraurbana a ridosso del Trans Tiberim.

In epoca medievale le fonti attestano il ripopolamento

agrario già dall‟Anno Mille, e la presenza di una cisterna

(pozzo) e di una chiesina (dedicata a San Pantaleone) nei

pressi dell‟attuale via Quirino Majorana, da cui deriva il

toponimo antico di Pozzo Pantaleo. Altro toponimo medievale

è Prata Papi, ovvero prati (vasti campi incolti) della famiglia

trasteverina dei Papareschi. Il toponimo, corrotto in Pietra

Papa, sopravvive ancora oggi.

La storia moderna dell‟area data al 1859, quando

Papa Pio IX inaugura il Ponte di Ferro e la Ferrovia Roma-

Civitavecchia. Con la costituzione dello Stato unitario

nell‟area si insediano piccole attività, che ad inizio Novecento

lasciano il posto a grandi stabilimenti produttivi (Mira Lanza,

Molini Biondi, Società anonima Oliere, Società Anglo-Romana

Illuminazione).

Nel 1915 una piena del Tevere rompe gli argini e

invade la Società Anglo-Romana. Forse in memoria di questo

episodio il Piano Regolatore del 1931 dispone il reinterro

della Piana fino a quota d‟argine, e apre per il quartiere una

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129

diversa destinazione d‟uso, quella residenziale.

Notizia urbanistica

Il quartiere attuale prende il nome dallo scienziato

italiano Gugliemo Marconi. Si articola lungo un tridente

stradale originato sul piazzale della Radio, composto da viale

Marconi al centro e da via Oderisi da Gubbio e il Lungotere

ai lati. Nel Dopoguerra l‟impianto viario si completa con la

realizzazione del ponte sul Tevere (Ponte Marconi) e la

prosecuzione di viale Marconi verso l‟EUR.

L‟edificazione in forme intensive, con grandi caseggiati

alti 8 piani, si compie nel giro di 20 anni. Nel 1965, scrive

Nicoletta Campanella, «non c’è più un metro quadro libero».

«Le zone dedicate al verde pubblico sono del tutto inesistenti.

Il più grande problema è lo smaltimento del traffico, che, oltre

a quello locale, comprende anche quello della vasta zona

commerciale che si è venuta a mano a mano allargando. Così

il quartiere Marconi, sorto sotto la spinta speculativa, è

arrivato ad una densità edilizia di 1300 abitanti per ettaro».

I confini urbanistici sono dati dal tracciato ferroviario

della Roma-Pisa a nord e a ovest, e dal corso del Tevere, a

sud e a est. L‟Area comprende, oltre alla Piana di Pietra

Papa, anche un lembo collinare, lungo l‟asse di via Quirino

Majorana, chiamata Nuovo Trastevere.

Vi sono due chiese parrocchiali: Gesù Divino

Lavoratore e Santi Aquila e Priscilla. I dati comunali al 31

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130

dicembre 2008 indicano una popolazione residente di 35.111

abitanti.

Miscellanea

Si ha notizia di un Cimitero catacombale ebraico,

che si trovava, grossomodo, alle spalle dell‟odierna via

Oderisi da Gubbio, noto già dal Seicento. Esso risulterebbe

franato nel 1864, e da allora perduto. Vi sono, nell‟area di

Marconi, due siti archeologici in corso di studio da parte

della Sovrintendenza: i Drenaggi di via Biolchini, venuti

alla luce durante la realizzazione di un supermercato, e la

Struttura arcaica alla Casa ebraica. Di essi non sono

purtroppo disponibili notizie dettagliate.

Tra le opere moderne ci riproponiamo, non appena

possibile, di realizzare una scheda sulla Sinagoga, la Chiesa

evangelica e il Porto fluviale.

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Martiri Portuensi

Abstract non disponibile.

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Mater Divinae Gratiae

Abstract non disponibile.

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Mira Lanza, lotto del 1918

La Mira Lanza è una fabbrica dismessa edificata nel

1918, sita sul lungotevere dei Papareschi a Marconi.

Per quanto noto, la proprietà è pubblica e presenta

elementi di degrado; non è visitabile, è visibile da strada. È

stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e

del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00970903A,

Banchini R. - cat. Isgrò S.).

L‟Ex Saponificio Mira Lanza, sito in lungotevere

Gassman (dei Papareschi) e via Pacinotti, è una proprietà

comunale di inizio Sec. XX.

Il complesso industriale, che si sviluppò dal 1918 al

1921, comprendeva costruzioni funzionali alle varie

lavorazioni necessarie al saponificio: i nuovi magazzini verso

il fiume, la portineria, i servizi (nursery e refettorio), i due

fabbricati per il saponificio e l‟estrazione a benzina di grassi -

da ossa o altro -, le caldaie per la produzione di vapore, due

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ciminiere, il magazzino, la stazione degli autocarri, il Villino

della Direzione, gli alloggi del personale direttivo e le case a

schiera per gli operai (una, a due piani, tuttora superstite, ai

numeri 18 e 20 di via dei Papareschi).

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Mira Lanza, lotto del 1924

La Mira Lanza, lotto II (ovvero i Nuovi edifici,

successivi al 1924, alla Mira Lanza) è una fabbrica dismessa,

risalente al Ventennio fascista. Fa parte del Complesso

storico della Mira Lanza.

Le prime edificazioni risalgono al 1924. La proprietà

è, per quanto noto, parcellizzata fra più soggetti. Non

disponiamo di notizie architettoniche/funzionali più

dettagliate. Si trova Via Pacinotti, via Pierantoni, lungotevere

Gassman (già dei Papareschi). È visibile da strada e

periodicamente, vengono organizzate delle visite. Per saperne

di più: Roberto Banchini, Scheda inventariale n. 970903 -

Sopr. BBAA e Paesaggio Roma. Catalogo di Sara Isgrò.

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Mira Lanza, lotto del 1947

La Mira Lanza, lotto III (ovvero Opere di ricostruzione

del 1947 alla Mira Lanza) è una fabbrica dismessa di epoca

contemporanea. Fa parte del Complesso storico della Mira

Lanza.

Risale ad un periodo successivo al 1947. Non

disponiamo di notizie architettoniche/funzionali più

dettagliate. Si trova in Via Pacinotti, via Pierantoni,

lungotevere Gassman (già dei Papareschi). È visibile da

strada e periodicamente vi si effettuano delle visite guidate.

Per saperne di più: Roberto Banchini, Scheda inventariale n.

970903 - Sopr. BBAA e Paesaggio Roma. Catalogo di Sara

Isgrò.

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Mulini Biondi

A. Di Mario - A. Anappo

I Molini Biondi sono un complesso produttivo dei

Primi del Novecento, oggi adibito a centro residenziale e

commerciale.

Nel 1905 la Società Italiana Molini e Panifici Antonio

Biondi di Firenze rileva il preesistente Mulino Städlin (di

modeste dimensioni, costruito nel 1885 nella Vigna Costa a

ridosso del Ponte dell‟Industria), per ampliare il suo mercato

alla Capitale italiana, in continuo incremento demografico e

con sempre crescenti esigenze alimentari. La scelta del sito

privilegia la vicinanza al Tevere e alla ferrovia, vie di

collegamento veloci ed efficienti per l‟approvvigionamento

delle materie prime (i cereali) e la distribuzione del prodotto

finito (le farine in sacchi). I lavori di elevazione e

ampliamento, diretti dall‟ingegner Antonio Fiory, si

protraggono fino al 1907. Negli anni successivi la

costruzione del nuovo tracciato ferroviario determina un

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esproprio di 6 ettari di terreno; la trasformazione del Ponte

dell‟Industria in strada carrabile (l‟odierna via Antonio

Pacinotti) modifica gli accessi e ridisegna i raccordi con la

rete ferroviaria nazionale.

La strutture hanno l‟aspetto architettonico dei

caseggiati industriali nord-europei. Il corpo principale, lungo

62 m e alto 28, presenta quattro ordini sovrapposti di

finestre rettangolari, con partiture di mattoni a vista.

Internamente i vari piani - divisi da solai sostenuti da

colonnine in ghisa - ospitano le motrici a vapore, i

trasformatori per l‟energia elettrica, gli impianti per la

macinazione del grano e la raffinazione delle farine, e grandi

silos di stoccaggio. Un edificio adibito ad uffici e la palazzina

degli alloggi degli operai completano la struttura.

Lo stabilimento cessa le attività intorno alla metà del

Secolo scorso. A partire dal 2000 il complesso, rilevato da

privati, è stato ristrutturato, lasciando intatti i prospetti e

ricavandovi all‟interno appartamenti e negozi.

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Murature romane di viale Marconi

Con il nome Murature di viale Marconi si indicano

alcuni resti di opere murarie di epoca romana, siti a viale

Marconi ma non visibili al pubblico perché interrati.

Per quanto noto, la proprietà è privata e di interesse

archeologico. Presso la Soprintendenza Archeologica di

Roma, che ha studiato il sito, è disponibile per gli studiosi

una scheda inventariale.

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Necropoli alla Mira Lanza

La Necropoli alla ex Mira Lanza, accessibile da via

Pierantoni, è un sito necropolare di epoca romana.

Per quanto noto, la proprietà è pubblica e di interesse

archeologico (scavi recenti); non è visitabile, è visibile da

strada. È stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica

di Roma (scheda inventariale presso l‟Ente).

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Necropoli di Ponte Galeria

Abstract non disponibile.

L’uomo senza sorriso di Malnome

Gli studi degli antropologi sulle umili tombe di Castel

Malnome hanno restituito il racconto aspro della vita nella

comunità dei lavoratori portuali dei bacini di Claudio e

Traiano e delle vicine saline: facchini ai moli, portatori di

sale e uomini di fatica in genere, con lo status di schiavi o

liberti.

Gli scheletri appartengono in gran parte a maschi (il

72%), tra i 20 e i 40 anni) e con la schiena “rotta dalla

fatica”: presentano lesioni della colonna vertebrale dovute al

trasporto di carichi e frequenti fratture agli arti.

Un cranio, radiografato alla tac al Policlinico Casilino,

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ha rivelato la storia di un uomo con la rara patologia della

“signazia”, mai rilevata finora in popolazioni antiche.

L‟individuo 30-35enne presenta un‟ossificazione

dell‟articolazione temporo-mandibolare: in pratica è nato con

la mandibola saldata alla tempia e non ha mai potuto

sorridere, masticare, parlare..

Una mano pietosa gli ha strappato via gli incisivi, per

permettergli di alimentarsi e respirare, e svolgere così la sua

vita di facchino. Gli antropologi interpretano questo

intervento come volontario ed operato dalla comunità

portuense per assicurare la sopravvivenza ad un individuo

che sarebbe morto in età infantile. La mentalità del tempo

infatti consentiva al pater familias di lasciar morire un figlio

nato deforme.

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Necropoli di via Blaserna

La Necropoli di via Blaserna è un sito necropolare di

epoca romana, sito nella via omonima a Marconi.

Per quanto noto, la proprietà è privata e di interesse

archeologico; non è visitabile, non è visibile da strada. È

stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma

(scheda inventariale presso l‟Ente).

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Necropoli di viale Marconi

La Necropoli di viale Marconi è un‟area cimiteriale di

epoca romana, rinvenuta lungo viale Marconi e oggi non

visibile al pubblico perché interrata.

È stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di

Roma (la scheda inventariale è disponibile presso l‟Ente per

gli studiosi). Per quanto noto, la proprietà è privata e di

interesse archeologico.

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Necropoli di Vigna Pia

Moena Giovagnoli

La Necropoli di Vigna Pia è un complesso funerario,

composto di: tomba collettiva (Colombario di Vigna Pia),

tomba familiare (~ di Atilia Romana) e una parte interrata.

Il settore collettivo si compone di più ambienti

organizzati a Colombario, con file ordinate di nicchiette e

qualche sepoltura intagliata nel pavimento (a mosaico o in

opus spicatum) o in arcosoli. Vi è una cucina funeraria per i

banchetti in onore dei defunti. Le decorazioni raffigurano

rose, volatili e cavalli marini. La tomba familiare è dedicata

ad Atilia Romana, defunta moglie di Atilius Abascantus,

raffigurata in un ritratto a mosaico in tessere bianche e nere.

Una terza area (oggi ricoperta) ha restituito delle semplici

murature. L‟area viene individuata nel 1998, vicino il

ristorante La Carovana. Nel 2000 iniziano gli scavi e nel

2006 l‟area viene sistemata e aperta al pubblico.

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La Tomba di Atilia

Nel luglio 1998, durante lavori di archeologia

preventiva per la realizzazione di box auto nell‟area tra le vie

Riccardo Bianchi, Ettore Paladini, viale di Vigna Pia e via

Portuense, emerge una nuova porzione del vasto complesso

necropolare Portuense, di cui sono già note le aree di Pozzo

Pantaleo, del Drugstore e di via Ravizza. Tutte e quattro le

aree afferiscono infatti alla viabilità dell‟antica Via

Portuensis. I resti sono oggi compresi nella fascia centrale del

terreno del ristorante La Carovana, posto su un diverso

piano di calpestìo. Gli scavi iniziano nel 2000 e continuano

anche nel biennio successivo. La successiva sistemazione

pubblica (con la realizzazione di tettoie protettive) si conclude

nel 2006.

Nell‟area sono presenti strutture funerarie di diverse

tipologie, appartenenti a diversi modi di trattare il corpo del

defunto: l‟inumazione (data la presenza di sarcofagi, tombe a

cappuccina e anche fosse ricavate nel terreno, a volte anche

distruttive per quanto riguarda i mosaici) e l‟incinerazione

(sono state trovate ollette e anfore, usate per conservare le

ceneri del defunto). Complessivamente, la Necropoli di Vigna

Pia risulta articolata in tre sezioni: il Sepolcro di famiglia,

l‟area del Colombario e un‟area con murature oggi ricoperta.

Il sepolcro di famiglia è dedicato da Atilius Abascantus

alla defunta moglie Atilia, citata in un‟epigrafe e raffigurata a

mezzo busto nel mosaico a tessere bianche e nere. Proprio la

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scoperta del sepolcro dedicato a questa donna porta gli

archeologi a nominare l‟intera area con il nome di Necropoli

di Atilia.

Il Colombario di Vigna Pia

L‟area del Colombario presenta pavimenti in mosaico

a tessere bianche e nere, con figure ad elemento vegetale,

geometrico o simbolico (come il nodo di Salomone). Il colore

che spicca di più sulle pareti, all‟inizio identificate solo di

colore bianco, è il rosso porpora, il quale delinea anche le

nicchie del colombario. Le pareti presentano anche

decorazioni a motivo floreale (roselline) oppure volatili,

animali ultraterreni (ippocampi) e anche raffigurazioni

simboliche di carattere dionisiaco (la maschera).

È stata evidenziata la presenza di fumo sulle pitture:

queste tracce stanno ad indicare l‟uso di una cucina

funeraria, unica testimonianza nel Territorio Portuense,

sebbene sappiamo che l‟uso di banchetti per cerimonie e

commemorazioni di defunti sia stato molto diffuso nella

civiltà romana.

Al centro tra le due aree principali si trova una terza

area nella quale sono state trovate delle murature. Tali muri,

ritenuti di minor rilevanza, sono stati indagati con la finalità

di individuare un diverticolo o un nuovo tratto di Via

Campana. La strada non è stata trovata e l‟area è stata

ricoperta di terra.

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Necropoli preistorica

Abstract non disponibile.

Usi funerari portuensi

Nel Lazio le forme più antiche di pietas (pietà dei

defunti) risalgono all‟Età della pietra, con accumuli di sassi

sopra la salma: in precedenza i cadaveri venivano

semplicemente abbandonati. Queste elementari forme di

rispetto, oltre ad evitare la diffusione dei miasmi e la

predazione degli animali, postulano una credenza nell‟anima

e in una sua dimensione ultraterrena, e permettono di

riconoscere un‟altra credenza secondo la quale l‟anima di un

insepolto è destinata a vagare senza pace nel mondo dei vivi,

in forma di spettro.

Le prime inumazioni (sepolture) si registrano nell‟Età

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del rame e del bronzo, deponendo volumi di terra insieme

alle pietre fino a costituire dei monticelli allungati o circolari

sopra il livello del terreno (tumuli); oppure scavando sotto il

terreno (fosse). Dall‟VIII sec. a.C., ai tumuli e alle fosse si

aggiunge un‟altra tipologia funeraria: la camera sepolcrale

(sepolcro), ricavata inizialmente al di sotto dei tumuli.

Le sepolture (tumuli, fosse o sepolcri che siano), sono

spesso concentrate in un unico luogo, esterno all‟abitato,

che prende il nome di necropoli (città dei morti). Per

antichissima consuetudine infatti (e a Roma fin dalle Leggi

delle Dodici Tavole) è vietata l‟edificazione di cimiteri dentro i

confini urbani.

Parallelamente alla sepoltura si radica dall‟VIII sec.

anche l‟uso funerario della cremazione (la salma viene posta

in una pira ardente e ridotta in cenere). Si tratta di una

pratica comune a tutta la stipe indoeuropea, che giunge alle

popolazioni italiche attraverso quelle greche. Inizialmente si

diffondono le tombe a pozzo: si tratta di semplici pozzetti

rivestiti, in cui vengono deposte le ceneri del defunto. I popoli

latini fanno della cremazione un uso prevalente, ed i Romani

elaborano la consuetudine di raccogliere le ceneri dentro

urne o olle, conservate in speciali nicchie all‟interno di

sepolcri, di tipo familiare o collettivo (colombari).

Dal II sec. d.C. a Roma si torna progressivamente

all‟inumazione. Le cause sono principalmente due. La prima

è la penuria di legname (dovuta alla crescita vertiginosa della

popolazione urbana), che rende costoso allestire delle pire

ardenti per la cremazione; la seconda è l‟importazione a

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Roma delle dottrine giudaico-cristiane che, predicando la

resurrezione delle carni, vedono con diffidenza la cremazione.

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Necropoli protostorica

Abstract non disponibile.

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Nostra Signora del Sacro cuore

Abstract non disponibile.

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Nostra Signora di Valme

Nostra Signora di Valme è una chiesa parrocchiale

contemporanea, il cui titolo ricorda un prodigio, avvenuto

nel 1247 durante la Reconquista spagnola.

Il re Ferdinando, durante l‟assedio di Siviglia, invoca

il sostegno della Vergine Maria, con l‟espressione tardo-

latina “Valme!” (letteralmente Vali me, cioè Dammi forza).

Subito dalla terra arida sgorga una sorgente di acqua

ristoratrice, che permette alle truppe cristiane di riprendere

le armi e scacciare, nel sangue, i Mori. Sul luogo del prodigio

Ferdinando edifica un santuario, in cui colloca una statua

lignea della Madonna, oggetto di grande venerazione

popolare. In seguito la statua si trasferisce al santuario di

Dos Hermanas e dal 1866 il suo culto è praticato anche a

Roma, nella basilica di Santa Maria Maggiore, gemellata a

Dos Hermanas. Dal 28 febbraio 1982, con il decreto del

cardinal Poletti A tutti è ben noto, il culto di Valme è

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assegnato al Territorio Portuense, dove si costituisce la

nuova parrocchia di Valme.

Da una iniziale sede di fortuna si intraprende, negli

Anni Novanta, la costruzione della nuova chiesa progettata

dall‟architetto Spina, conclusa il 24 marzo 1996 con la

consacrazione del cardinal Ruini. L‟Edificio liturgico dalle

grandi vetrate si caratterizza per l‟icona mariana presente

sull‟altare maggiore. Il 10 marzo 2010 sarà collocata la

nuova statua in trono della Vergine di Valme.

La parrocchia è affidata all‟Opera della Chiesa,

comunità cristiana ispirata alla figura di Madre Trinidad. Il

Complesso parrocchiale si compone di Comunità, Casa

dell‟Apostolato e Casa di risposo. Da Nostra Signora di

Valme dipendono le cappelle di S. Giovanni Battista de La

Salle e di Papa Giovanni XIII a Borgata Petrelli.

Wojtila, elogio del chiasso

Giovanni Paolo II visita N.S. di Valme il 16 dicembre

96. È la terza domenica d‟Avvento, tradizionalmente

chiamata “Gaudete” in memoria di un passo di S. Paolo ai

Filippesi che esorta a gioire per la vicinanza del Natale.

Le prime parole sono per i più piccoli: “Vi ringrazio

per questa accoglienza chiassosa. E grazie a Dio che c‟è

chiasso, perché è un segno della gioia! Essendo ragazzi siete

la gioia incarnata; io vi voglio bene!”.

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In chiesa Wojtila scandisce S. Paolo (4,4-5):

“Rallegratevi sempre nel Signore! Ve lo ripeto, siate felici! Il

Signore è vicino!”. I diaconi leggono Isaia (61,10 “il Signore

mi ha rivestito di salvezza”), S. Paolo ai Tessalonicesi (5,16

“Dio vi santifichi fino alla perfezione”) e spiegano le figure di

S. Giovanni Battista e S. Elisabetta, preparatori dell‟Avvento.

Il discorso ai “carissimi fratelli e sorelle della

parrocchia” è un elogio per le opere di evangelizzazione, fin

dentro i condomìni. “Sono lieto di celebrare l‟eucarestia

insieme con voi!”, dice. “Che la buona Novella possa entrare

in ogni casa ed aiutare a riscoprire che solo in Cristo c‟è

salvezza. In Lui è possibile trovare pace interiore, speranza e

forza per affrontare ogni giorno le situazioni della vita, anche

le più pesanti e difficili“.

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Nuovo Corviale

Il Nuovo Corviale è un edificio-città, progettato a

partire dal 1972 dall‟architetto Mario Fiorentino su

commessa dell‟Istituto Autonomo Case Popolari.

Le idee guida del team di Fiorentino (Michele Valori,

Giulio Sterbini, Federico Gorio, Pier Maria Lugli) sono il

quartiere-satellite (un nucleo abitato in grado di offrire agli

abitanti i servizi necessari senza spostarsi in Centro) e le

soluzioni residenziali del primo razionalismo, prendendo

come modello le unités d’habitation di Le Corbusier.

L‟edificio principale, realizzato di setti in cemento

armato, si sviluppa linearmente per 1 km, per 9 piani di

altezza più 2 di autorimesse interrate. I piani fuori terra -

percorsi da lunghissimi ballatoi - sono ad uso abitativo, ad

eccezione del 4° piano, destinato alla galleria delle attività

commerciali. È suddiviso in cinque lotti (condomìni) lunghi

200 m ciascuno, intervallati dalle quattro torri dei vani

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scala. Secondo il progetto ogni lotto è dotato di sale, cortili e

spazi comuni; nella adiacente spina dei servizi debbono

trovarsi scuole, strutture socio-sanitarie e laboratori

artigianali.

Le prime abitazioni sono consegnate nell‟ottobre

1982. Sono di poco successive le occupazioni abusive,

l‟abbandono, il degrado e poi un lungo difficile cammino di

riqualificazione. Al complesso appartengono anche due corpi

secondari: la traversa (poste a 45° rispetto al corpo

principale) e le case basse (alte 2 o 3 piani, in parallelo al

corpo principale).

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Opera Don Guanella

Abstract non disponibile.

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Oratorio Damasiano

Abstract non disponibile.

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Oratorio del Divin Maestro

L‟Oratorio di Vigna Consorti è un magazzino agricolo

del complesso agrario dei Casaletti del Trullo, la cui funzione

moderna è quella di piccolo ritrovo e luogo di preghiera della

Congregazione ecclesiastica delle Pie Discepole del Divin

Maestro.

Tra i quattro edifici del complesso, è riconoscibile per

il colore rosso e per la minor altezza rispetto agli altri edifici

presenti.

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Orti di Cesare

Gli Orti di Cesare - in latino Horti Tiberini o Caesaris -

sono una proprietà fondiaria romana extraurbana,

localizzabile tra le propaggini ovest del Trans Tiberim (il

Gianicolo) e la Piana di Pietra Papa.

Verso il 49 a.C. il console Caio Giulio Cesare ne

acquista la proprietà, per mettervi al pascolo allo stato brado

la Mandria sacra di cavalli con cui ha attraversato,

vittoriosamente, il fiume Rubicone. Nell‟anno 46 Cesare

alloggia negli Horti, lontano da occhi indiscreti, la regina

Cleopatra, sua preda di guerra e allo stesso tempo sua

amante e conquistatrice. Alla morte del dittatore, nel 44, gli

Horti diventano proprietà pubblica, attraverso una donazione

al Popolo di Roma contenuta nel suo testamento.

La struttura edilizia degli Horti è nota solo attraverso

la descrizione degli storici. Plutarco attesta che verso le

pendici del Gianicolo sorgeva il Palatium, un edificio di medie

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dimensioni non archeologicamente noto. Esso si collocava in

posizione elevata ed era circondato da alti e odorosi pini.

Dopo l‟arrivo di Cleopatra il Palatium è ampliato, per

adeguarsi al rango di una regina: si aggiungono un peristilio,

sontuosi affreschi e la statua colossale di un guerriero

gallico.

Nei rigogliosi giardini trovava posto un tempietto

dedicato alla Dea Fortuna, voluto da Cesare per ringraziare

la Sorte favorevole in occasione della nomina a dictator

perpetuus (dittatore a vita). I giardini si aprivano sul Tevere

con ormeggi e darsene portuali, in cui era alla fonda il

barcone egizio di Cleopatra.

Caio Giulio, il tiranno

Caio Giulio nasce il 13 luglio del 100 a.C. Educato

alla grammatica nel periodo turbolento del Bellum sociale, è

presto avviato alle armi ed inviato in Asia, nel timore che la

proscrizione, che già ha colpito suo zio Caio Mario, si

abbatta anche su di lui.

Svetonio ne dà una descrizione giovanile: “Di alta

statura, carnagione chiara e florida salute, nella cura del

corpo è meticoloso al punto di tagliarsi i capelli, radersi e

depilarsi con diligenza. Sopporta malissimo il difetto della

calvizie, per il quale spesso è offeso e deriso: per questo

riporta in basso dalla cima del capo i pochi capelli”.

Alla morte di Lucio Cornelio Silla, capo della fazione

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opposta degli Optimates (78), Caio Giulio torna a Roma ed

inizia la folgorante ascesa politica: prima questore, poi edile,

pretore, pontefice, governatore della Spagna Ulteriore ed

infine console, in alleanza con i triunviri Crasso e Pompeo.

Dal 59 è in Gallia, impegnato nella campagna contro Elvezi,

Veneti e Belgi, il cui capo Vercingetorix è sconfitto

definitivamente nel 52.

L‟oratore Cicerone individua nella sete di potere il

motore delle azioni di Caio Giulio: “Ha memoria ed ingegno,

cultura ed equilibrio, prontezza. Ma non ha altra ambizione

che il potere e con grandi pericoli l‟ha perseguita. La plebe

ignorante se l‟è conquistata con elargizioni frumentarie,

opere pubbliche e feste; i suoi li ha conquistati con i premi e

gli avversari con la clemenza. Insomma: a Roma, un tempo

fieramente libera, ha dato l‟abitudine di servire, un po‟ per

timore un po‟ per rassegnazione”.

Domata la Gallia, la strada per il potere assoluto è

aperta. Crasso muore improvvisamente e l‟ex alleato Pompeo

resta il solo che gli si opponga apertamente. Il 10 gennaio 49

Caio Giulio varca il fiume Rubicone, il confine territoriale

vietato alle legioni in armi, per regolare i conti con il rivale: il

dado del Bellum civile è lanciato. Alea jacta est.

Caio Giulio insegue Pompeo e i suoi luogtenenti

dall‟Italia alla Spagna, all‟Africa, alla Grecia. A Farsalo (48)

Pompeo è sconfitto, ma sopravvive e ripara in Egitto: lo

insegue anche lì.

In Egitto l‟ambizioso console incontra la regina

Cleopatra, ultima esponente della dinastia dei Tolomei.

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Affascinante, volitiva, e con una biografia personale non

molto diversa dalla sua. Da allora i loro destini si uniranno

in una cosa sola.

Cleopatra, amante portuense

Cleopatra (69-30 a.C.) nasce ad Alessandria d‟Egitto

dalla famiglia regale dei Tolomei. Governa dalla primavera 51

insieme al fratello Tolomeo XIII, di cui è sposa, fino alla

tumultuosa deposizione, ispirata dal consigliere Potino.

Quando Pompeo, inseguito da Cesare, sbarca in Egitto, è in

corso una furibonda guerra civile: da una parte gli eserciti di

Tolomeo XIII e della sorella minore Arsinoe, dall‟altra gli

eserciti di Cleopatra e dell‟altro fratello, Tolomeo XIV.

Cleopatra è destinata a sicura sconfitta: Tolomeo controlla la

capitale, Cleopatra è allo sbando nel deserto nei pressi di

Alessandria.

L‟arrivo di Pompeo, in fuga da Cesare, rimescola le

carte in tavola. Il consigliere di Tolomeo XIII, Potino, nella

speranza di ingraziarsi Roma, fa uccidere Pompeo subito

dopo lo sbarco, e ne offre a Caio Giulio la testa. La reazione

del console è però sdegnata, tanto da catturare Potino e

giustiziarlo sommariamente, e prendere le parti della sua

oppositrice Cleopatra. Ma Cleopatra non è solo un‟alleata di

Caio Giulio: nel frattempo ne è divenuta l‟amante.

Lo scontro militare decisivo avviene ad Alessandria

nel 48: le successive vittorie di Tapso e Munda consegnano a

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Caio Giulio l‟intero Egitto, che rimane formalmente

indipendente, sotto la guida di Cleopatra.

Molto si è scritto sulla relazione tra Cleopatra e

Cesare, in verità con poca documentazione e molte ipotesi.

L‟avvenenza di Cleopatra è spesso messa in dubbio (sarebbe

stata bassa e col naso a becco!). Senza dubbio però gli

interessi del console romano e della regina sono convergenti:

Caio Giulio vuole l‟Egitto per impadronirsi delle sue risorse

finanziarie, e Cleopatra, non potendo fermarlo, mira a

sedersi al suo fianco. A complicare il tutto, scoppia tra i due

una relazione, che forse non fu sincera, ma di sicuro fu

ardente.

Nel 46 Caio Giulio, ormai padrone di un Egitto pacificato,

prende la decisione improvvisa di tornare a Roma, per

incassare il credito di popolarità maturato con le sue

campagne e candidarsi al potere supremo nella Repubblica.

La regina-amante decide di partire con lui, con il figlioletto

Tolomeo Cesare, detto Cesarione, appena nato dalla loro

passione. Dopo breve navigazione le navi di Caio Giulio

gettano l‟ancora ad Ostia. Il console alloggia Cleopatra poco

al di fuori di Roma, nei suoi Horti sulla Riva Portuense.

Cleopatra è pur sempre una straniera, e occorre cautela nel

presentarla ai Romani e alla moglie legittima, Calpurnia.

Nella corte egiziana in Riva destra Cleopatra rimarrà

due anni, dal 46 fino alla tragica morte dell‟amante, console,

dittatore alle idi di marzo del 44.

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Calpurnia, la nobile rivale

Calpurnia è la terza moglie di Caio Giulio Cesare:

prima di lei Cornelia era morta prematuramente e Pompea

era stata ripudiata. Il matrimonio si celebra nel 59 a.C.,

quando Calpurnia ha solo 16 anni.

Caio Giulio la saluta poco dopo, per impegnarsi nelle

complesse fasi del Bellum Gallicum, del Bellum civile e

dell‟ascesa al potere assoluto. Calpurnia attende fiduciosa

nella Reggia Palatina, dedicandosi all‟amministrazione delle

proprietà familiari, ultima delle quali sono gli Horti nel

Territorio Portuense (Orti di Cesare). Il condottiero torna a

Roma solo nel 46, portando con sé come ingombrante

“preda” la Regina Cleopatra, che ospita proprio negli Horti, a

debita distanza dall‟Urbe e da Calpurnia.

Calpurnia reagisce con misurato contegno romano.

Conosce le infedeltà del marito, sa che Cesare sta lavorando

ad una legge ad personam che gli consenta di avere due

mogli; ma sa anche che in Senato c‟è chi preme affinché

ripudi Calpurnia e sposi Cleopatra, allettato dalla

prospettiva di acquisire l‟Egitto per via ereditaria. Chiusa in

un severo silenzio, Calpurnia dalla Reggia Palatina scruta

ogni giorno gli Horti, dove la rivale sta trasformando il luogo

desolato in una sfarzosa corte orientale.

Il popolo di Roma prende unanime le parti di

Calpurnia. Da Cicerone in poi tutti la informano che Cesare

il Conquistatore è stato ormai conquistato dall‟avvenente

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regina orientale, che non è la sua prima amante ma certo è

la più pericolosa. Eppure Calpurnia rimarrà a fianco del

marito fino all‟ultimo, al mattino delle Idi di marzo del 44,

senza più risposarsi dopo.

Alla corte di Cleopatra

Tra il 46 e il 44 a.C. la regina Cleopatra trasforma gli

Horti di Cesare in una corte reale, sul modello della Corte

egiziana di Alessandria. Della breve vita della Corte

portuense - caratterizzata da ingenti opere edilizie, ingente

sfarzo, ingenti spese -, rimangono oggi solo i racconti degli

artisti e delle personalità pubbliche che vi soggiornarono.

Le opere edilizie si concentrano sulla villa alle pendici

del Gianicolo, ampliata e trasformata in Palatium. Vengono

dipinti affreschi con episodi mitologici e viene innalzata la

statua colossale di un guerriero gallico. Nei campi portuensi,

dove pascolano bradi i cavalli della Mandria Sacra, la

circolazione è regolata da due strade: la Via Campana che

taglia dritto verso le terme (oggi Pozzo Pantaleo), e la via

alzaria che segue la riva del Tevere. I campi diventano

giardini di delizia, con il barcone di Cleopatra all‟àncora nelle

darsene (presso l‟odierno Ponte Marconi). Cesare segue i

lavori di persona, tanto che gli oppositori lo accusano per

questo di trascurare gli impegni pubblici.

Nella Corte risiedono stabilmente 200 dignitari, 30

cortigiani, il corpo armato della Guardia reale e un numero

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imprecisato di ancelle e servi. La lingua comunemente

parlata è il greco, nella varietà alessandrina. Cleopatra ha

chiesto a Cesare organici ben maggiori (1000 dignitari e 200

cortigiani), ma Cesare l‟ha convinta ad accontentarsi, per

non rivaleggiare in sfarzo con i suscettibili patrizi della

Reggia palatina. Sono numerose infatti nell‟Urbe le critiche e

i chiacchiericci: sia per aver concesso a una straniera onori

regali, sia per averle riconosciuto lo status divino di

reincarnazione di Iside.

Tra i poeti vi troviamo spesso Sallustio, Asinio

Pollione, Lucio Apuleio e i due giovanissimi Virgilio e Orazio.

Quest‟ultimo, che ha appena 21 anni, non fa mistero di

detestare la Regina. E tuttavia è per lui che Cleopatra

stravede: Cleopatra si annoia mortalmente nel sentire

Sallustio declamare il Bellum Iughurtinum ma quando

Orazio prende la parola e racconta le avventure amorose

delle sue eroine Cleopatra ascolta ammaliata. Addirittura,

pare che Cleopatra stessa si sia cimentata nella

composizione di un‟opera letteraria, andata perduta, sulla

cosmesi femminile simile ai Medicamina faciei di Ovidio.

Agli occhi dei poeti Cleopatra appare concordemente

bellissima. Cleopatra, racconta Lucio Apuleio, indossa

solitamente una conturbante tunica di lino, simile a quelle

delle sacerdotesse egizie; possiede anche vesti elaborate, nei

colori tradizionali di Roma, il rosso e il giallo, tutte assai

discinte rispetto agli standard capitolini. Alla Corte risiedono

anche mimi e attori, tra i quali Publilio Siro, e lo scultore

greco, Arcesilao, che fonde in euricalco una statua della

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185

regina nelle vesti di Iside.

Tra i personaggi pubblici agli Horti sono frequentatori

abituali Bruto, Antonio e il giovane Ottavio, dall‟indole severa

e assai critico. Ci sono anche Tolomeo XIV, il fratello-sposo

di Cleopatra di appena 13 anni, e l‟infante Cesarione. Il

grande assente dalla Corte portuense di Cleopatra è

Cicerone: per il Padre della Patria Roma ha un‟unica corte

regale, quella sul Palatino.

Cicerone e la beffa dei papiri

Abstract non disponibile.

La notte che piansero i cavalli

Abstract non disponibile.

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Palatium Sancti Johannis

Il Palatium Sancti Johannis (Palazzo di San Giovanni)

è un edificio altomedievale, identificato insieme alla Chiesina

rurale di Sanctus Johannis de Maliana come il primo nucleo

edilizio del Castello della Magliana. Oggi non è più

riconoscibile e, secondo taluni, è inglobato nella porzione del

Castello chiamata Palazzetto di Innocenzo VIII.

Il primo documento noto circa la Tenuta della

Magliana - un atto di concessione del 1018, emanato da

Papa Benedetto VIII - affida il Fundus Manlianus al

Monastero di San Pancrazio dell‟Episcopio di Porto,

fissandone l‟estensione fino alla Torre di Palidoro, sulla

costa, ma senza citare la presenza di edifici. Una successiva

concessione dello stesso fondo, nell‟anno 1074, sotto il

pontificato di Papa Gregorio VII, in cui il godimento passa al

Monastero di San Paolo Extra Muros, cita la presenza di una

cappellina rurale, detta di Sanctus Johannis de Maliana. Nel

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1184 c‟è un nuovo passaggio di mano, questa volta in favore

dei Monaci Benedettini, e non si annoverano accrescimenti

edilizi. La tenuta rimarrà ai Benedettini fino al 1493.

Il Palatium doveva avere la funzione di centro civile

della tenuta. Dal Duecento al culto di San Giovanni si

affianca quello di Santa Cecilia, tanto che il Palatium nel

Quattrocento viene indicato con il nome di Casale Sanctae

Ceciliae.

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Palazzetto di Innocenzo VIII

Abstract non disponibile.

Innocenzo VIII, cacciatore di streghe

Giovan Battista Cybo è papa dal 1484 al 1492, con il

nome di Innocenzo VIII. è l‟ultimo papa medievale: insegue

fattucchiere, eretici e umanisti, non gli interessa di abbellire

Roma, non muove guerra a nessuno.

Cybo nasce a Genova da una famiglia aristocratica.

Compie gli studi a Napoli e Pavia e, protetto da Giuliano

della Rovere, sale uno a uno i gradini delle gerachie della

Chiesa. Il 29 agosto 1484 è papa. Innocenzo VIII sprofonda

Roma nell‟arretramento culturale (emblematico è il divieto di

rappresentare Pico della Mirandola) e si disinteressa dei

doveri di patrono civico. Conduce però una vita da libertino e

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gli si attribuiscono 16 figli naturali. Pasquino lo apostrofa

così: “Otto figli malvagi, otto figlie malvage, quest‟uomo può

chiamarsi a buon diritto padre di Roma!”.

In politica estera mantiene relazioni equilibrate: si fa

amico Enrico VII d‟Inghilterra dichiarandolo legittimo

detentore della corona, insignisce i Reali di Spagna del titolo

di “Maestà cattoliche” dopo la cacciata dei Mori da Granada

e, posto di fronte alla prospettiva di una crociata in

Terrasanta, preferisce accordarsi con il sultano Bajazet, che

gli offre 40.000 ducati l‟anno e la Lancia di Longino (oggi a

San Pietro).

Papa Innocenzo persegue duramente gli eretici (in

particolare i Valdesi): la bolla “Summis desiderantes” (1484)

incarica i Domenicani di “sradicare l‟errore con la zappa del

saggio agricoltore”; il manualetto “Malleus Maleficarum”

(1487) codifica la caccia alle streghe; il Grand‟inquisitore di

Spagna Tomàs de Torquemada ne farà un sanguinario uso.

I soggiorni alla Magliana segnano per papa Innocenzo

momenti sereni e distensivi. Jacopo da Pietrasanta e

Graziadeo Prada costruiscono il Palazzetto che porta il suo

nome. I cronisti abbondano in testimonianze agresti: il 31

maggio 1487 raccontano di una battuta di caccia per i duchi

di Ferrara, in cui si catturano un cervo e un capriolo; il 18

novembre 1489 raccontano il tragitto Magliana-Vaticano,

parte in battello e parte a cavallo.

Innocenzo VIII muore il 25 luglio 1492, dopo essere

caduto in stato di letargia, quasi vittima di un maleficio.

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Papiliones

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Parco del Tevere

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Piana di Affogalasino

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Papa Alessandro e la gran bombarda

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Piazza d‟Armi

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Pietra Papa

Andrea Di Mario

Pietra Papa è un toponimo medievale, in uso fino alla

prima metà del Novecento, che corrisponde grossomodo

l‟odierno quartiere Marconi.

Il nome compare poco prima dell‟anno Mille, nella

forma latina Prata Papi, dove Prata indica appezzamenti di

terreno a seminativo o pascolo, privi di coltivazioni arboree, e

Papi l‟appartenenza alla famiglia romana dei Papa (o

Papareschi). Dal XIV sec. il nome si deforma in Preta e poi in

Petra, per assumere, nel Rinascimento, la forma italiana di

Pietra Papa.

Una descrizione altomedievale parla di un fondo

soleggiato, interamente coltivato, dotato di canali irrigui,

cippi terminali e di tutte le pertinenze necessarie per il buon

esercizio dell‟agricoltura. Documenti successivi accennano

alla presenza di una “cripta alba” (un mausoleo romano di

colore bianco, non ancora spogliato dei marmi che lo

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ricoprivano) e di un ponte galleggiante di barche tra le due

sponde del Tevere. Mappe secentesche riportano la

formazione di un isolotto fluviale. Le mappe IGM del 1915

permettono ancora di riconoscere, nei Piani di Pietra Papa,

canalizzazioni e case coloniche, a fianco delle nuove

strutture industriali, ferroviarie e portuali.

Dell‟antico toponimo rimane oggi l‟unica

testimonianza nella toponomastica: vicolo di Pietra Papa, via

dei Prati dei Papa, Lungotevere dei Papareschi.

I Prati dei Papa

(4). Il significato del toponimo Pietra Papa va cercato

nella sua forma originaria di Prata Papi - ovvero Prati dei

Papa - con il quale la zona viene nominata nei documenti sin

dal X secolo. I Papa, possessori di tali prati di cui si fa

menzione nel nome, sarebbero da identificare con una antica

famiglia nobile di Trastevere, quasi certamente imparentata

con i Papareschi, casata molto potente nel Medioevo e nota

per aver dato i natali al pontefice Innocenzo II (1130-1143),

al quale si deve l‟edificazione nelle forme attuali della

Basilica di Santa Maria in Trastevere.

Il più antico documento nel quale viene nominato il

toponimo è una donazione, datata 1° febbraio 968. Tramite

essa la nobildonna romana Teodora cede all‟abate del

4 Di Andrea Di Mario.

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Monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea (il

soppresso monastero benedettino dell‟odierna S. Cosimato in

Trastevere) “pratum unum in integro cultum et absolatum

cum terminis et fossatis suis et cum omnibus ad eum

pertinentibus, positum foris porta Portuense in loco qui

appellatur Prata Papi (...) propinque cripta alba”. La cripta

alba era probabilmente un antico sepolcro marmoreo. Il 9

febbraio 973, l‟abate dello stesso monastero concesse a sua

volta all‟Abbazia di Subiaco il possesso del fondo. E

l‟Abbazia, a sua volta, l‟11 gennaio 1009 lo cedette a un tale

Giovanni di Azzo per tre generazioni. È interessante riferire

la notizia, contenuta in un testamento datato 12 novembre

1287, secondo la quale i possedimenti nei Prata Papi di un

certo Giovanni Papa, lasciati in eredità al Monastero dei SS.

Bonifacio ed Alessio all‟Aventino, erano già appartenuti

all‟ente ecclesiastico 300 anni prima.

Come si evince da un altro documento testamentario,

a partire dal XIV secolo il toponimo subisce una prima

metamorfosi che porta il nome originale di Prata a

trasformarsi in Preta. Infatti, in un atto del 26 maggio 1348,

tale Nicolò De Vaschis lascia all‟ospedale del Ss. Salvatore

“quinque aut sex petias terrarum, positas extra portam

Portuensem in loco dicto Preta Papa”. In una cronaca di

circa sessanta anni dopo troviamo un‟ulteriore e definitiva

storpiatura, che portò dall‟intermedio Preta al nome attuale

di Petra, cioè pietra.

Il 24 aprile 1408 il cronachista Antonio Dello Schiavo

descrive una sua visita fuori porta Portese (“et ivimus

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versum Petrampapae”) durante la quale ebbe modo di vedere

un ponte galleggiante su 13 barche, lungo quasi 50 metri e

largo circa 6, che superava il Tevere in un punto che non ci è

possibile identificare. Tra le proprietà allora presenti a Pietra

Papa, citiamo quella della chiesa di S. Maria dell‟Orto che tra

il XV e il XVI secolo “in loco detto Pietra Papa” possedeva

numerose vigne.

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Piscina dei Rospi

Abstract non disponibile.

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Polveriera

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Ponte dei Congressi

Abstract non disponibile.

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Ponte dei Francesi

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Ponte dell‟Aeronautica

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Ponte dell‟Industria

Ponte dell‟Industria è un attraversamento sul Tevere,

legato alla complessa viabilità ferroviaria e veicolare dell‟area

del Porto fluviale.

Si compone di due ponti affiancati. Il più antico, Ponte

di ferro (1863, 131 × 7 m), è a tre luci su travate metalliche

in ferro e ghisa, con travata centrale apribile per il transito

dei piroscafi diretti al porto di Ripa Grande. Originariamente

è al servizio del traffico ferroviario, e dal 1910 è adibito al

solo traffico automobilistico e pedonale. In quell‟anno entra

in servizio un secondo ponte, Ponte San Paolo (101 × 12 m),

composto di tre arcate in muratura. Serve esclusivamente il

traffico ferroviario della Dorsale Tirrenica e delle linee ferrovie

regionali. Un cippo memoriale sul Ponte di ferro ricorda

l‟eccidio nazifascista delle dieci donne avvenuto il 7 aprile

1944.

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Ponte di ferro

Ponte di ferro viene realizzato in Inghilterra con

componenti prefabbricate, tra il 1862 ed il 1863. Il

montaggio a Roma è effettuato da una società belga, su

commessa della società francese Casalvaldès, appaltatrice

dal Governo Pontificio dei lavori di raccordo tra la tratta

ferroviaria costiera nord Porta Portese-Civitavecchia e il resto

della Linea Pio Centrale di cui si andava realizzando in quegli

anni il capolinea della Stazione Termini.

Il ponte è a tre luci, su travate metalliche in ferro e

ghisa, poggiate su piloni tubolari anch‟essi in ghisa e

riempiti di calcestruzzo. Al centro si trova un ponte levatoio,

apribile per permettere il transito dei piroscafi e gli altri

bastimenti merci diretti al Porto di Ripa Grande.

La locomotiva di collaudo passa sul ponte il 10 luglio

1863, e seguono un mese e mezzo di complesse prove di

carico (in cui vengono fatti passare contemporaneamente

due treni provenienti da direzioni opposte).

L‟inaugurazione avviene il 24 settembre 1863, alla

presenza di Papa Pio IX e di Monsignor De Merode, che è il

promotore dell‟opera. Henry D‟Ideville, corrispondente del

Journal d’un diplomate en Italie, così descrive quel giorno:

«Tutto avviene con una semplicità commovente. Non ci sono né

padiglioni, né bandiere, né discorsi. Il Papa non ha fatto

annunciare la visita: alle quattro solo gli interessati, i quali

sono stati avvertiti, si trovano riuniti».

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All‟orario convenuto si apre la campata centrale per il

passaggio di un vaporetto, sotto gli occhi dei fotografi. «Si

fanno funzionare davanti a Pio IX i meccanismi - scrive

D‟Ideville -. Quattro uomini, con sorprendente facilità,

abbassano l’immenso ponte levatoio sotto gli occhi dei

presenti meravigliati. Monsignor De Merode, uomo di

progresso e di iniziativa, corre da un gruppo all’altro e spiega

il meccanismo del ponte, con l’ardore e la volubilità che sono

del suo carattere».

Finché, nella meraviglia generale, passa sbuffante il

treno: «Tutti circondano Pio IX. Donne, contadini e ragazzi

s’arrampicano e scendono a precipizio sui tumuli erbosi, per

vedere meglio e poter raccogliere qualche briciola della

conversazione del Papa. Un grande numero di stranieri e di

turisti, ch’è alla passeggiata nella campagna, fanno fermare

le vetture, incantati di trovarsi ad assistere a questo

spettacolo».

Misura 131 m ed è largo 7,25 m.

Ponte San Paolo

Ai primi del Novecento, in ragione del continuo

incremento del traffico ferroviario, si ragiona su un

allargamento del Ponte di ferro. Ma la struttura

prefabbricata, pur essendo solida e ben piantata nell‟alveo, è

stata progettata per il passaggio di due soli treni alla volta. I

progettisti delle Ferrovie dello Stato si risolvono così a

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mettere in cantiere un secondo ponte, affiancato al primo,

dotandolo di una carreggiata rotabile larga ben 12 metri, in

cui passano 6 binari, sorretta da tre arcate in solida

muratura per una lunghezza di 101 metri.

L‟opera viene iniziata nel 1907 e completata nel 1910,

dalla Impresa Allegri. Essa prende il nome di Ponte San

Paolo, dal nome della stazioncina di diramazione,

denominata Stazione San Paolo (oggi non più esistente),

situata circa mezzo chilometro più avanti presso l‟attuale

piazza Ampère. In contemporanea, nella zona è aperto un

altro grande cantiere, per l‟edificazione del monumentale

Fabbricato-viaggiatori della Stazione Trastevere (in uso

ancora oggi), e per l‟ampliamento a 6 binari della breve

percorrenza che separa il nuovo ponte dalla nuova stazione.

L‟inaugurazione complessiva delle nuove opere avviene l‟11

maggio 1911.

Da questa data l‟intero traffico ferroviario si riversa

sul Ponte San Paolo, rendendo obsoleto il Ponte di ferro.

Ponte di ferro tuttavia non viene smantellato, ed anzi è

oggetto di restauro e trasformazione in ponte carrabile a

doppio senso di marcia, con marciapiedi ai lati per il traffico

pedonale.

Le donne di Ponte di ferro

Al Ponte di ferro trovano la morte, il 7 aprile 1944,

dieci donne, vittime della barbarie nazifascista. Affidiamo il

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racconto di questo episodio alle parole di un bambino di

quinta elementare, contenute in un tema della scuola

Vincenzo Cuoco.

Li ho guardati tutti quei visi di donne scolpiti sul

bronzo, cinque rivolti a destra e cinque rivolti a sinistra. Forse

cercavano un aiuto prima di essere fucilate. Ho letto i loro

nomi incisi sul bordo della lastra di bronzo inserita in una

stele di granito.

Di loro sappiamo solo che la mattina del 7 aprile 1944

erano arrivate ai forni della Tesei, nel quartiere Ostiense, per

procurarsi un po’ di pane e farina per i propri figli. La città era

occupata e affamata dai nazi-fascisti e quel giorno l’esercito

tedesco si stava rifornendo a quei forni. La Polizia Africa

Italiana, complice delle SS, le denunciò, decidendo così della

loro fucilazione.

Lo storico Cesare De Simone ha trovato i loro nomi nei

Mattinali della Questura di Roma: Clorinda Falsetti, Italia

Ferraci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino,

Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi,

Arialda Pistoiesi e Silvia Loggreolo. Racconta Padre Efisio che,

quando fu chiamato per la benedizione, al muro di destra del

Ponte dell’Industria il corpo di una delle dieci donne era stato

gettato sulla sponda del Tevere: era giovane e bella ed era

stata violentata.

A ricordo di quella brutale strage è stata posta la stele

con i volti in bronzo, il 7 aprile del 2003. Se voi venite da via

Ostiense, verso viale Marconi, sulla via del Porto fluviale

fermatevi davanti alla lapide che si trova sulla destra del

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ponte. Questo non è ricordato tra i grandi monumenti di Roma,

non celebra vittorie, ma ricorda a tutti la violenza della guerra

e il coraggio disperato delle madri.

Michele Crocco è lo scultore del bassorilievo di bronzo

che ha dato di nuovo vita agli sguardi e alle voci di quelle

donne.

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Ponte della Magliana

Ponte della Magliana misura 224 m ed è costituito da

7 archi in cemento armato e travertino, 3 dei quali poggiano

in acqua su piloni. La campata centrale in acciao è apribile.

La storia del ponte è travagliata. Progettato nel 1930

da Romolo Raffaelli come ingesso ovest dell‟EUR

(congiungeva via del Cappellaccio con via dell‟Imbrecciato),

nel 1937 la piena del Tevere spazza via il cantiere e le prime

opere murarie. Ripresi i lavori nello stesso punto, il ponte

viene danneggiato dai Tedeschi l‟8 settembre 43 durante la

battaglia della Magliana.

Il colpo di grazia e il crollo arrivano il 12 febbraio 44,

con il bombardamento americano della stazione ferroviaria di

Mercato Nuovo. La ricostruzione è del 48, in posizione

avanzata di 200 m e senza le decorazioni del progetto

iniziale, ispirate al passato regime. Dagli anni Ottanta un

discusso prolungamento di 1,7 km su piloni di cemento

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raggiunge le Tre fontane.

Il ponte è completato da un piccolo scalo portuale,

poco distante dal quale si trova il relitto di uno dei vaporetti

che fino alla seconda guerra mondiale percorrevano la tratta

mare-Ripa grande.

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Ponte della Scienza

Il Ponte della Scienza è un‟opera di ingegneria, in

costruzione, destinata a collegare le due sponde del Tevere

tra lungotevere Gassman e il Gazometro.

Progettato dall‟architetto Andreoletti, il ponte misura

142 m × 10 di larghezza e si compone di tre elementi: le due

stampelle d‟appoggio lungo gli argini e la travata centrale in

cemento su funi sospese. La stampella in Riva Portuense è in

acciaio corten e misura 63 m (di cui 30 protési a sbalzo

sull‟alveo fluviale). La stampella in Riva Ostiense è in

cemento armato e misura 42 m (di cui 15 a sbalzo). Sulla

distanza tra le due stampelle, 36 m, sono tese le funi in fibra

di carbonio, su cui poggia una soletta e la travata centrale in

cemento precompresso, ad altezza 15 m. Il progetto prevede

che la travata centrale sia realizzata a piè d‟argine e posta

sulle stampelle con speciali gru.

L‟impalcato è concepito come una terrazza sul fiume,

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destinata all‟incontro e alla circolazione ciclo-pedonale: una

corsia ciclabile è in battuto di cemento; il resto, pedonale, è

coperto da legno di tek e attrezzato con panchine. I parapetti

in acciaio sono dotati di illuminazione continua a neon sotto

i corrimano.

Le fondazioni si innestano a 40 m di profondità. In

Riva Portuense è prevista la carteratura dei muraglioni con

lastre di cemento solcate da fessure per il verde. Il costo

netto del ponte è di € 4.161.969,58.

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Ponte di Mezzocammino

Abstract non disponibile.

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Ponte esterno sul GRA

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Ponte Galeria (zona urbanistica)

Ponte Galeria è la settima zona urbanistica del

Municipio XV, la più estesa (da sola è grande come le altre

sei zone urbanistiche sommate insieme), e periferica

prossima al mare. I confini sono il GRA ad est, il Tevere a

sud, L‟Autostrada per Civitavecchia a ovest e l‟asse viario

della Pisana a nord.

In questo quadrante, denominato anche Agro

Portuense - per la sua vocazione essenzialmente rurale, per

lo meno fino ai recenti assalti dell‟urbanizzazione - la

presenza umana è antichissima, attestata già dal Paleolitico.

Gli Etruschi controllano la Careia, il corso d‟acqua da cui

deriva il nome attuale di Galeria, e i Romani vi lasciano

presenze considerevoli: strade, ponti, acquedotti, necropoli.

Nell‟VIII sec. Papa Adriano vi edifica la sua domusculta (una

masseria fortificata), trasformata da Gregorio IV in un

castello, oggi perduto.

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A ridosso dell‟Anno Mille il Vico Galera è l‟ultimo

villaggio abitato prima del nulla, come testimonia la bolla di

Benedetto VIII del 1018 («cum… sylvis atque pantanis, cum

ponte et ipsum vicum qui vocatur Galera»).

L‟edificazione moderna inizia sotto il fascismo, con

l‟insediamento del grande snodo ferroviario e delle prime

industrie, portando con sé la bonifica fondiaria. In tempi più

recenti vi si insediano i complessi della Città dei Ragazzi,

della Regione Lazio e, da ultima, l‟edificazione estensiva della

Nuova Fiera di Roma. Nel territorio di Ponte Galeria ricadono

cinque frazioni: la frazione omonima (che coincide con

l‟abitato urbano di Ponte Galeria), Piana del Sole (al confine

con Fiumicino) e i piccoli abitati della Pisana (al bivio di

Monte Stallonara), Fontignani (al bivio per Malagrotta) e

Spallette (su Via Portuense).

L‟area ricade nella chiesa parrocchiale di Santa Maria

della Diocesi di Porto. Vi risiedono 6905 abitanti al

dicembre 2009, ma il dato non tiene conto delle nuove

edificazioni.

Il Megaceronte di Ponte Galeria

Nel 1986 gli studiosi Petronio e Capasso pubblicano

un saggio sulla fauna di Ponte Galeria nel Pleistocene medio-

inferiore, cioè quella fase del mondo preistorico che precede

l‟affermazione dell‟Homo sapiens. Il testo prende spunto dai

ritrovamenti della Cava Alibrandi, ma è l‟occasione per fare il

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punto sulle 7 species antiquae fin lì documentate, habitat e

clima.

Tra le specie il Megàceros savini è certamente la più

singolare. Si tratta di un cervo gigante, alto più di 2 metri al

garrese. Il palco di corna presenta due ramificazioni, in

ciascuna delle quali vi sono 5 o 6 pugnali più un primo

pugnale anteriore, appiattito, a forma di paletta. Il

Megaceros condivideva le selve, senza entrare in

competizione, con un altro cervide, di piccola taglia,

chiamato Dama nestii eurygonos, antenato dell‟odierno

daino.

Oltre al Megaceros erano presenti altri giganti: l‟Uro

(Bos primigenius), un bovide progenitore degli attuali buoi

domestici, l‟Elephas antiquus, antenato dell‟elefante asiatico,

l‟Hippopotamus, antenato dell‟ippopotamo di fiume, e

l‟Equus altidens, sorta di equide arcaico molto più vicino

all‟asino che al cavallo domestico. Singolare è la diffusione

dell‟Emys orbicularis, una specie di tartaruga palustre

ancora oggi vivente.

La conclusione dei due studiosi è che “il daino,

l‟ippopotamo, l‟elefante, il megaceros e il bue potrebbero

indicare un clima temperato-caldo, con foreste ed

abbondanti corsi d‟acqua, con frequenti specchi lacustri più

o meno collegati al mare”. Inoltre “l‟equide indica anche

l‟esistenza di praterie con carattere di steppe, che

costituivano radure alternate alle foreste”. Infine “la

tartaruga palustre consente di pensare alla vicinanza di uno

specchio d‟acqua con correnti assenti o deboli”. Della

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presenza di un lago-stagno tra Roma e il mare, vi è del resto

testimonianza anche in epoca storica.

Da: Carmelo Petronio e Lucia Capasso-Barbato, Nuovi

resti di mammiferi del Pleistocene medio-inferiore di Ponte

Galeria, in Bollettino Italiano di Geologia, pp. 157 e segg.

Un‟aggiunta del 1987, a cura del professor Petronio, riporta

il ritrovamento di una mandibila di rinoceronte.

Miscellanea

Nell‟area di Ponte Galeria esistono sette siti

archeologici in corso di studio da parte della Sovrintendenza:

la Strada glareata, il Sito arcaico di Ponte Galeria, la Struttura

arcaica alle Spallette, la Strada alle Spallette, il Ponte romano

sul Rio Galeria, il Magazzino delle anfore, la Villa romana di

Castel Malnome. Nonappena possibile ve ne daremo conto

con una scheda su Arvalia Storia. Esisono inoltre tre siti

storici per i quali ci riproponiamo, nonappena possibile, di

realizzare una scheda: il complesso regionale della Pisana, il

Ponte mediano su GRA e le Frazioni di Ponte Galeria.

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Ponte Marconi

Ponte Marconi unisce le due sponde di Pietra Papa e

San Paolo con un impalcato continuo in acciaio e cemento di

235 m sorretto da piloni.

Il progetto risale al 1937 ed è dedicato allo scienziato

Guglielmo Marconi, che per primo diffuse nell‟etere le onde

radio. Dopo l‟interruzione forzata durante la Guerra il ponte

è completato nel 1954 ed ammodernato e ampliato nel 1975.

La sezione attuale è larga 32 m ed ospita 2 corsie per senso

di marcia e marciapiedi panoramici dai parapetti in

travertino.

Fra estate e autunno è possibile osservare lo

spettacolo della caccia fluviale: aironi cinerini (color grigio) e

garzette (bianco) stazionano immobili sui bassi fondali della

riva sinistra (alle darsene romane), mentre gabbiani e

cormorani (nero) si tuffano in picchiata sul profondo

canalone davanti la riva destra. Uno studio di Marevivo ha

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censito in questo tratto anguille, cavedani, rovelle, carpe,

cefali in risalita dal mare e i rari barbo e lampreda di fiume.

La fauna golenale annovera rana verde, biscia d‟acqua e

nutria. Tra le specie della vegetazione ripariale si contano

salice bianco, pioppo, ontano comune e varietà nostrane di

canneto.

L‟argine destro è percorso dalla pista ciclabile. Dal

2003 in riva sinistra si trova la stazione dei battelli fluviali.

L’imbarco di Ponte Marconi

Dal 27 aprile 2003 funziona un collegamento di linea

fra ponte Marconi e ponte Amedeo d‟Aosta (orario 7,25-19,

partenze ogni 20 minuti)e fra Ponte Marconi e Ostia antica

(9,15 andata e 11,30 ritorno, da venerdì a domenica).

L‟imbarco è costituito da una banchina galleggiante.

In direzione Roma i battelli fermano anche a Ripa

Grande, Calata Anguillara (Isola Tiberina), Ponte Sisto, Molo

di Castel Sant‟Angelo, Ponte Cavour e Ponte Risorgimento.

All‟Isola Tiberina, dove esiste una soglia di fondo, si cambia

di battello con un piccolo percorso a piedi. In direzione Ostia

non esistono fermate, anche si progettano imbarchi a Ponte

della Magliana, Idrovore della Magliana e Mezzocammino.

La navigazione di linea è curata da “Battelli di Roma”

con 6 imbarcazioni: l‟ammiraglia Agrippina Maggiore, le navi

di linea Calpurnia, Cornelia e Livia Drusilla, e le piccole Rea

Silvia e Cecilia Metella. La navigazione turistica è curata da

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una cooperativa che dispone di 2 imbarcazioni: Ciclone e

Invincibile.

Soprattutto in estate sono istituite corse serali e

partenze speciali per il mare (Porto turistico di Ostia), Isola

Sacra (Capo Due Rami) e addirittura le Secche di Tor

Paterno in mare aperto.

I lucchetti dell’amore

I romanzi per adolescenti di Federico Moccia e le

pellicole “Tre metri sopra il cielo” e “Ho voglia di te” hanno

avuto un‟appendice in Riva Portuense. Nel secondo film i

protagonisti si scambiano l‟eterna promessa d‟amore

serrando un lucchetto al lampione di Ponte Milvio e gettando

via la chiave nel Tevere a farvi da guardiano. Poco dopo

l‟uscita nei cinema (marzo 2007) però il lampione di ponte

Milvio è stato preso di mira dai vandali, e alcuni innamorati

portuensi hanno preferito serrare i lucchetti al parapetto

nord di ponte Marconi.

In “Tre metri sopra il cielo” (2004) Moccia racconta la

storia tra la “perfettina” Babi (Katy Saunders) e il ribelle

Stefano (Riccardo Scamarcio). I due superano le difficoltà

dovute alla diversa estrazione sociale, ma, con grande

disappunto del pubblico, Stefano abbandona Babi e va in

America alla ricerca di se stesso.

Nel seguito, “Ho voglia di te” (2006), Stefano torna a

Roma e conosce la volitiva Ginevra (Laura Chiatti). I due si

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giurano amore eterno agganciando il lucchetto, ma la

vecchia fiamma Babi ricompare e concupisce Stefano.

Ginevra è incapace di perdonare: ci vorranno una gigantesca

scritta “Ho voglia di te” sull‟isola Tiberina e il Tevere che

onora sempre le sue promesse a far rifiorire l‟amore.

Il film, mito intramontabile per le giovanissime,

banale operazione commerciale per i critici, ha avuto un

enorme successo. Anche un anonimo “Pasquino” portuense

ha detto la sua, incidendo accanto ai lucchetti la scritta:

“Avete rotto”.

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Ponte mediano sul GRA

Abstract non disponibile.

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Ponte Morandi

Il Ponte Morandi è più antico ponte sospeso di Roma,

ed è l‟unico ponte sospeso a tracciato curvilineo.

Il 28 giugno 1965 una frana, il cui fronte è esteso

circa 200 metri, investe l‟Ansa della Magliana e il viadotto

autostradale (640 m) allora in costruzione. Il progettista

Riccardo Morandi - incaricato dall‟ANAS di porvi rimedio -

individua due possibili soluzioni: ricostruire il tratto

rovinato, con un impalcato che poggia su terne di pali a

grande profondità; oppure scavalcare interamente l‟area

della frana con un ponte sospeso ad unica luce. L‟ANAS

sceglie la seconda opzione, la più ambiziosa e fino ad allora

mai tentata a Roma.

Il ponte poggia le fondazioni (indicate nel disegno con

i punti A ed E) esternamente alla frana, ad una profondità di

53 metri, dove si trova uno strato di argille resistenti.

L‟impalcato (A-D, lunghezza 145 m, altezza dal suolo 5 m) è

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costituito da due travate curvilinee in calcestruzzo

precompresso (A-B e B-D) unite con una cerniera Gerber.

Sull‟estremo di fondazione E si innalza un telaio

verticale (E-O) i cui piedritti sono spessi 4 m. Dalla sommità

del telaio partono i tiranti di sospensione (C-O) composti di

cavi di acciaio ad altissima resistenza ricoperti di

calcestruzzo precompresso e i tiranti di ancoraggio (O-F) che

vincolano la struttura a due grandi contrappesi (F) costituiti

ciascuno da un cassone in cemento armato riempito di

materiali inerti.

La frana del 28 giugno 1965

Nella primavera 1965 la costruzione della Statale 201

(oggi Autostrada Roma-Fiumicino) procede speditamente,

anche nel tratto fra il 3° e 4° km all‟Ansa della Magliana, tra

la Ferrovia Roma-Pisa e la riva del Tevere, di cui si conosce

la franosità.

Nell‟area si sta realizzando un viadotto di 640 metri,

sorretto da terne di pali piantate in profondità, a 16 m di

distanza per complessive 40 luci. Il 28 giugno, al km 3,083,

si verifica improvvisa la frana. Per dieci giorni i movimenti di

terra sembrano non finire e generano un fronte esteso circa

200 metri. Il collettore fognario del Trullo risulta inservibile e

il traliccio dell‟alta tensione pencola. Alcuni piloni del

viadotto abbandonano la posizione: sono cioè anch‟essi

inutilizzabili.

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Sospesi i lavori, l‟ANAS incarica un geologo, il

professor Petrucci di Palermo, di studiare l‟accaduto, mentre

nel cantiere deserto Pier Paolo Pasolini dirige Totò e Ninetto

Davoli in alcune scene di Uccellacci uccellini. I rilievi del

Professore appurano uno scivolamento del terreno di 3

metri. La causa è una polla (una piccola sorgente) a monte

del terrapieno della ferrovia, che disperdendosi sotto la

massicciata ha creato gallerie, vuoti e caverne.

In seguito, gli interventi di ripristino del collettore

porteranno alla scoperta archeologica del Balneum degli

Arvali: un impianto termale alimentato forse, 18 secoli

prima, dalle stesse acque all‟origine della frana.

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Ponte romano di Parco dei Medici

I Ponti di Parco de‟ Medici sono un sistema di

attraversamenti fluviali di età romana, sito nella località

omonima alla Magliana vecchia.

Per quanto noto, la proprietà è privata e di interesse

archeologico; non è visitabile, non è visibile da strada. è

stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma

(scheda inventariale presso l‟Ente).

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Ponte sul Fosso della Magliana

Abstract non disponibile.

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Portale del Castelletto

Abstract non disponibile.

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Portale di Via Portuense 809

Abstract non disponibile.

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Portale di vicolo del Conte

Il Portale di vicolo del Conte è un ingresso

monumentale verosimilmente dell‟Ottocento, sito al civico n.

44 della via omonima al Corviale.

Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale; è

visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla

Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di

Roma (scheda inventariale 00599127A, Sacchi G. - cat.

Fracasso-Giampaoli).

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Portale Forlanini

Portale Forlanini è l‟ingresso monumentale

dell‟Ospedale Forlanini.

Inaugurato il 10 dicembre 1934, il nosocomio è

intitolato al medico milanese Carlo Forlanini (1847-1918),

prosecutore italiano delle ricerche del professor Robert Koch,

che nel 1882 riuscì a isolare il bacillo della tubercolosi.

Allora, in città come Roma, il morbo colpiva e spesso

uccideva una persona su cinque.

Il complesso è stato progettato, edificato ed

organizzato secondo criteri igienico-sanitari allora

d‟avanguardia, dettati dal direttore Enrico Morelli, a sua

volta allievo di Forlanini. Gli edifici si trovano al centro di un

parco di 280 mila mq, con migliaia di alberi d‟alto fusto.

Infatti, prima della scoperta dei farmaci ad attività

battericida e batteriostatica, la tubercolosi si curava con il

riposo in ambiente igienico e ben ventilato, oltre che con

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interventi chirurgici. Nel complesso non mancavano

biblioteca, museo, perfino un cinema da ottocento posti e,

naturalmente spazi per le lezioni destinate agli

specializzandi, accanto a infrastrutture di servizio e tecniche,

per l‟epoca decisamente nuove. Al Forlanini ha prestato

servizio il medico partigiano Alfredo Monaco.

Il portale si trova al civico 323 di via Portuense (è

visibile da strada; l‟accesso è riservato al personale di

servizio e ai familiari in visita ai degenti).

L’Ospedale polivalente

L‟idea di un nuovo ospedale polivalente per i Romani

venne al sindaco Ernesto Nathan, che nel 1903 fece

predisporre un primo progetto, rimasto però sulla carta.

Se ne riparlò subito dopo la Grande guerra, come

ricorda il nome Ospedale della Vittoria. Fu scelto il terreno

periferico di Vigna San Carlo, a 60 metri sul livello del mare,

ceduto a buon prezzo dal Vaticano. Un po‟ per la complessità

dell‟impresa, un po‟ per la mancanza di fondi, il cantiere,

aperto il 28 aprile 1919, ben presto chiuse i battenti. Li

riaprì il 15 settembre 1927, sotto la spinta della grave

epidemia di influenza spagnola, che colpì con durezza la

popolazione romana. Il 28 ottobre 1929 il nosocomio fu

inaugurato, con il nome di Ospedale del Littorio.

Alla fine della Seconda guerra mondiale cambiò nome

in Ospedale Ernesto Nathan e, già nel 1945, in Ospedale San

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Camillo De Lellis, in memoria del protettore della sanità

militare e fondatore dell‟ordine religioso dedito all‟assistenza

agli infermi. La gestione fu affidata al Pio Istituto Ospedali

Riuniti di Roma. Alla fine degli anni Cinquanta furono

eseguiti i primi lavori di ammodernamento e di ampliamento

della struttura, per nuovi reparti.

Negli ultimi decenni il complesso ospedaliero

polivalente, esteso su un‟area di 40 ettari, con un ampio

parco e con piante secolari, ha subìto varie modifiche nello

stato giuridico, fino alla nascita dell‟Azienda Ospedaliera San

Camillo-Forlanini-Spallanzani, dal 1996 San Camillo-

Forlanini a seguito del distacco dell‟Ospedale Lazzaro

Spallanzani, divenuto autonomo Istituto di Ricerca.

I coniugi Monaco, eroi partigiani

Alfredo Monaco, medico di campagna al Portuense, è

con sua moglie Marcella tra gli animatori del PSI clandestino

a Roma, nei giorni terribili dell‟Occupazione nazista.

Studente in medicina, Alfredo conosce Marcella nel

1935. “Avevo 17 anni, facevo la seconda liceo - racconta la

moglie in Roma città prigioniera di Cesare De Simone -.

Scoprimmo di avere le stesse idee. Abbiamo fatto insieme

scelte gravi che capivamo pericolose ma imprescindibili: non

potevamo sopportare la soppressione della libertà fatta dal

fascismo; potevamo forse dare un contributo al ripristinarsi

della democrazia”.

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Divenuto dottore, Alfredo è assegnato al

tubercolosario Forlanini. Al Portuense, con la guerra, si

perde l‟uso del denaro. Racconta Marcella: “Dai clienti di

campagna non si faceva più pagare; chiedeva in cambio

quello che avevano, e cioè farina, uova, carne”. Rimasto

senza casa, Alfredo accetta un secondo incarico: medico di

notte al Carcere di Regina Coeli, con il beneficio di un

appartamento che dà proprio sul cortile del carcere.

Nell‟estate 1943 Alfredo ha ormai 32 anni, Marcella

25. Hanno due bambini: Giorgio di 2 anni e il lattante

Fabrizio. I Monaco hanno stretto amicizia con il giurista

Giuliano Vassalli (28 anni) ed il magistrato Mario Fioretti

(sarà ucciso il 4 dicembre 1943). Quando il 25 agosto

Vassalli ricostituisce in clandestinità il Partito socialista, i

Monaco vi aderiscono, fondando la sezione romana.

Conoscono il segretario Pietro Nenni, i vicari Sandro Pertini e

Carlo Andreoni, e Saragat, direttore de L‟Avanti.

Con l‟8 settembre a Roma arrivano i Tedeschi:

requisiscono il III braccio di Regina Coeli e lo governano con

ferocia, così come l‟intera città. Il PSI reagisce dandosi una

struttura militare, il cui massimo organo è il Comando,

affidato a Peppino Gracceva. Roma è divisa in otto settori

militari; i Monaco sono a capo della II Divisione Matteotti,

con quartier generale proprio a casa loro. Il comandante

tedesco Kappler non immagina nulla di quello che avviene

nelle mura del carcere. Racconta Marcella: “Non c‟era posto

più sicuro di Regina Coeli!”. Alle riunioni venivano Nenni,

Pertini, Saragat, Gracceva, Severo Giannini, e talvolta Bauer,

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Rossi Doria e Leone Ginzburg di Giustizia e Libertà e

Marazza della Dc. Mio marito portava e riceveva notizie dai

detenuti. Aveva alcune guardie fedelissime, che lo

informavano di tutto”.

L‟attività clandestina del PSI si sviluppa in vaste

forme di assistenza, con una rete di alloggi protetti,

documenti di identità e tessere annonarie false, staffette,

azioni di sabotaggio e di salvataggio, raccolta di armi.

Monaco, con la complicità di una suora, nasconde dentro il

Forlanini un piccolo arsenale. Il rischio è enorme, ma i

Monaco se lo impongono come un dovere verso la Patria.

Marcella rischia l‟arresto due volte. La prima viene fermata

con una borsa a doppio fondo carica di rivoltelle; il milite ci

casca e dice: “Mutti, vai, vai”. La seconda, sul tram a piazza

Sonnino, viene invece scoperta: ha un fucile. L‟autista

capisce al volo, inchioda e le spalanca le porte.

Il 15 ottobre l‟organizzazione accusa il colpo più duro:

Pertini e Saragat sono arrestati e rinchiusi a Regina Coeli. Li

faranno fuggire.

Tum tum tum, qui Radio Londra

Dopo l‟arresto di Pertini e Saragat (15 ottobre 1943) il

medico portuense Alfredo Monaco e sua moglie Marcella

progettano l‟evasione che passerà alla storia con il nome di

Beffa di Regina Coeli.

Nello stabile attiguo a Regina Coeli, dove Monaco ha la

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disponibilità di un alloggio, in qualità di medico notturno, si

tiene una riunione d‟urgenza della Direzione clandestina del

PSI. Occorre fare in fretta: si teme che i due prigionieri, sotto

tortura, possano fare i nomi dell‟intero organigramma

socialista in clandestinità.

Spinelli e Colorni propongono un‟evasione classica,

segando le sbarre. Nenni e Gracceva sostengono invece un

assalto militare. Vassalli escogita di liberarli con falsi ordini

di rilascio: è questa proposta che viene approvata. Nel

frattempo però il numero di detenuti da liberare è salito a 7,

con l‟aggiunta di Allori, Andreoni, Bracco, Ducci e Lunedei.

A comandare l‟operazione nelle fasi finali è Marcella

Monaco, la moglie del dottore, che può muoversi dentro

Regina Coeli senza destare sospetti. Intanto Vassalli e Severo

Giannini rubano dal Tribunale militare 7 moduli di

scarcerazione in bianco, mentre la guardia carceraria

Schlitzer procura un ordine di scarcerazione autentico, da

cui copiare timbri e firme.

Il 24 gennaio 1944, prima delle 13, Marcella Monaco

si presenta a Regina Coeli, accreditandosi alle SS. Il

simpatizzante Schlitzer la porta di filato al Centralino e fa

protocollare i 7 finti ordini. Il capoguardia Ugo Gala,

anch‟egli simpatizzante, porta a mano i documenti al

direttore carcerario Donato Carretta.

Carretta, che nutre intimamente sentimenti

antifascisti ma è all‟oscuro di tutto, si oppone, poiché per i

prigionieri politici occorre anche la vidimazione della

Questura. Carretta - resosi probabilmente conto di quanto

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gli sta accadendo sotto il naso, ma non contrario a che ciò

avvenga - suggerisce a Marcella Monaco di trovare qualcuno

in Questura per farsi dare un assenso telefonico, chiamato

in gergo carcerario lasciare alla porta. Sono le 16,30: nel giro

di 30 minuti scatterà il coprifuoco e il piano sarà

irrimediabilmente compromesso.

La signora Monaco corre in strada, per inscenare con

il socialista Lupis una finta telefonata. Tutto va storto: tre

telefoni pubblici non funzionano. Marcella e Lupis

raggiungono la PAI a San Callisto, dove un simpatizzante

elettrotecnico crea un ponte telefonico. Lupis, con sangue

freddo, impartisce finalmente al centralinista l‟ordine di

lasciare alla porta. Alle 17 Carretta firma: i 7 detenuti escono

e si disperdono rapidamente, mettendosi in salvo.

L‟indomani, sera del 25 gennaio, alla radio

clandestina la voce di Paolo Treves annuncia: “Tum, tum,

tum! Qui Radio Londra. Ieri pomeriggio una patriota italiana

ha fatto fuggire dal carcere Pertini e Saragat, i due massimi

dirigenti del Partito Socialista Italiano e capi della Resistenza

italiana”.

Il tedesco Kappler, informatone, va su tutte le furie

con Carretta, minacciandolo di morte: sia per avergli taciuto

dell‟evasione, sia per non avergli detto che i capi del PSI sono

stati nelle sue mani.

Nei giorni seguenti Pertini torna a guidare il PSI e

Saragat a dirigere il giornale L‟Avanti. I coniugi Monaco,

convinti di non destare sospetti, tornano alla vita di sempre:

Alfredo a fare il medico di campagna; Marcella ad accudire i

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due bambini. Saranno scoperti di lì a poco.

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Portale Pantalei

Abstract non disponibile.

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Portale Spallanzani

Dal portale di via Portuense, 292 si accede

all‟Ospedale Lazzaro Spallanzani, dedicato a uno dei

fondatori della biologia sperimentale (1729-1799).

Fu inaugurato nel 1936 come presidio destinato alla

prevenzione, diagnosi e cura delle malattie infettive,

organizzato in differenti padiglioni in un‟area di 134 mila

metri quadri. Nel corso degli anni il suo campo di interesse

si è via via modificato, in conseguenza dell‟evolversi delle

malattie infettive prevalenti. Una sezione dedicata alla cura e

riabilitazione della poliomelite fu attivata nel corso degli anni

Trenta.

Nel 1991, considerata l‟espansione dei settori di

interesse, inizia la costruzione di un nuovo complesso

ospedaliero, progettato secondo i più avanzati standard e

con caratteristiche di isolamento delle patologie contagiose

uniche nel Paese.

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Fino al 1996 faceva parte dell‟ospedale polivalente

San Camillo-Forlanini-Spallanzani. Nel dicembre 1996 i

ministeri della Sanità e della Ricerca hanno riconosciuto lo

Spallanzani come autonomo IRCCS (Istituto di Ricovero e

Cura a Carattere Scientifico).

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Porto fluviale

Abstract non disponibile.

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Portuense (zona urbanistica)

Portuense è la seconda delle sette sezioni

urbanistiche del Municipio XV, di cui occupa il versante

collinare alla sinistra della Via Portuense, nel tratto tra la

Ferrovia Roma-Pisa e il fosso di Papa Leone (oggi interrato).

I confini urbanistici disegnati nel 1977 comprendono

solo una parte dell‟Area storica portuense, termine con cui si

indicano i due lati della Via Portuensis di epoca romana, “ab

Janiculo ad mare”, cioè dalle pendici del Gianicolo in

direzione del mare. Il territorio era allora coperto di distese

boschive, e l‟impiego del suolo era limitato all‟estrazione del

tufo (cave di Pozzo Pantaleo) e agli usi funerari (Necropoli

Portuense). Dal Rinascimento le Vigne portuensi disegnano

un vivace territorio agricolo, solcato dai percorsi di crinale,

che sono ancora oggi alla base del sistema viario del

quartiere.

Tra Sette e Ottocento le tenute si frammentano (fra le

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famiglie Jacobini, Gioacchini, Neri e Ceccarelli per citare le

maggiori) e sorgono i grandi casali: Villa Jacobini, Casa

Petrella, Casa Balzani (in seguito Villa Bonelli) e il Convitto

Vigna Pia. Nel 1877 sorge la struttura militare di Forte

Portuense. L‟edificazione moderna inizia nel Primo Novecento

nelle forme dei villini, cui seguono nel Dopoguerra caseggiati

a maggior densità abitativa. Oggi è possibile individuare nel

quartiere tre nuclei principali: Vigna Pia, Santa Silvia e Villa

Bonelli, cui corrispondono grossomodo tre chiese

parrocchiali: Sacra famiglia, Santa Silvia, Nostra Signora di

Valme.

I dati comunali al 31 dicembre 2008 indicano una

popolazione residente di 29.771 abitanti.

Miscellanea

Nell‟area del Portuense esiste un solo sito

archeologico in corso di studio da parte della

Sovrintendenza, i Ritrovamenti in località Ponte ferroviario

sulla Via Portuense. Nonappena possibile ve ne daremo conto

con una scheda su Arvalia Storia. Tra i siti storici ci

riproponiamo di schedare, nonappena possibile, il nuovo

Tempio dei Testimoni di Geova.

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Pozzo Pantaleo

A. Di Mario - M. Giovagnoli - A. Anappo

Pozzo Pantaleo è un mausoleo romano, che deve il

nome al riutilizzo come cisterna (pozzo) e, successivamente,

come chiesina dedicata al culto di San Pantaleo.

L‟edificio risale al I o II sec. d.C. Viene scoperto dalla

Sovrintendenza di Roma nel 1998. Ha pianta circolare ed è

in opera laterizia, con corridoio anulare esterno e copertura

a volta. L‟interno presenta una sequenza di nicchie,

tamponate con muratura in opera quasi reticolata. La

struttura viene in seguito foderata di malta idraulica e

reimpiegata come cisterna e poi come pozzo, rimanendo in

uso fino ad oltre il IV sec. L‟agrimensore Eschinardi annota

un riutilizzo da parte della Comunità ebraica, mentre in

epoca medievale è attestata in loco una chiesina cristiana,

con il nome di San Pantaleo fuori Porta Portese. In epoca

rinascimentale della chiesina si perdono le tracce.

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La chiesina di San Pantaleone

Pozzo Pantaleo è un mausoleo romano, di forma

circolare in opera laterizia, indagato dalla Soprintendenza tra

il 1998 e il 1999, durante la terza campagna di scavi

archeologici a Pozzo Pantaleo, grazie ai fondi per il Giubileo

del 2000.

Esternamente vi era un corridoio anulare coperto a

volta. L‟ingresso alla camera sepolcrale era da un ampio

ingresso con soglia in marmo, aperto a nord. L‟ambiente

interno, intonacato con malta idraulica alta circa metà

dell‟alzato, presenta una sequenza di ampie celle radiali,

alternate ad altre di dimensioni più piccole, tamponate con

muratura in opera quasi reticolata di tufo. Al mausoleo sono

legati altri ambienti ipogei, oltre ad una serie di tarde

sepolture a cappuccina.

Nella sua descrizione della Vigna in loco detto Pozzo

Pantaleo Eschinardi annota: «Si dice che […] i Gentili se ne

servissero superstiziosamente». L‟agrimensore, solitamente

ben informato, attribuisce ai Gentili (la comunità ebraica

romana) il riutilizzo del mausoleo circolare come piccolo

tempio (cfr. lo spregiativo termine «superstiziosamente»).

Eschinardi è tuttavia il solo a riportare una

frequentazione ebraica, mentre numerose sono quelle

attestanti una frequentazione cristiana. Ad esempio il

medievale Catalogo di Torino descrive l‟edificio come una

piccola chiesa dedicata a San Pantaleone, chiamata San

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Pantaleo fuori Porta Portese.

In epoca rinascimentale la chiesina sembra in

abbandono, e al suo porto il cartografo Eufrosino della

Volpaia (1547) torna a disegnare un pozzo (rappresentato

come un fontanile) affiancato ad un‟edicola sacra non meglio

identificata. Infine, l‟agronomo Eschinardi annota che nel

1750, anno in cui scrive, nemmeno il pozzo è più in

funzione: «Ora è ripieno di terra».

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Pozzo Pantaleo medievale

Andrea Di Mario

Abstract non disponibile.

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Pratorotondo

Pratorotondo è una mezzaluna di terreno alluvionale,

compresa tra Pian Due torri e il Tevere. L‟area, per le forti

correnti e le continue inondazioni, era inadatta

all‟agricoltura già in epoca romana, e destinata a sepolcreto.

Il toponimo “volgarmente detto Prato Rotondo,

canneto di pezze sei incirca” compare per la prima volta in

un atto del 1565, studiato da Carla Benocci. Durante la

furiosa pestilenza del 1656 i magistrati cittadini vi relegano

(“in apposito luogo alle Due torri”) le sepolture degli ebrei,

che accusano di diffondere il morbo. L‟insolità profilassi

ovviamente non servì e il flagello infuriò ancora due anni

senza distinzione di età, censo o fede.

Il luogo era già caro alle comunità ebraiche: qui una

tradizione ritiene disperso il candelabro d‟oro a sette bracci

del Tempio di Gerusalemme (la “Menorah”).

Giunto a Roma nel 70 d.C., il sacro Candelabro

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sarebbe stato razziato dai Vandali sotto il pontificato di

Gregorio Magno (590-604) e caricato su un barcone fluviale,

naufragato da queste parti. La versione di Procopio di

Cesarea nel “De bello gothico” è però diversa: dice che fu

papa Gregorio a gettare a fiume i tesori, per sottrarli ai

barbari. Da allora comunque la Menorah si perde: ne rimane

lo splendido rilievo nell‟Arco di Tito.

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Presunta Prigione del Popolo

La presunta prigione del Popolo di via Camillo

Montalcini, 8 è un luogo della memoria, legato alle tragiche

vicende del Rapimento Moro del 1978.

Occorre dire che ad oggi non esiste una verità

processuale univoca: dalle carte processuali non emerge

infatti la certezza del fatto che via Montalcini sia stata la

prigione - la c.d. Prigione del Popolo -, o una delle prigioni,

dello statista Aldo Moro (1916-1978).

Pertanto consideriamo via Montalcini non come un

monumento ma come un luogo della memoria, un luogo cioè

dove togliersi il cappello e riflettere, per qualche minuto sulla

vicenda che si ritiene vi sia legata.

Per il resto, via Montalcini è un percorso di crinale,

visibile già dal Catasto del 1818, fra Pian Due torri e il

“vicolo del Truglio” sulle alture di Santa Passera. La via è

stata urbanizzata negli anni Sessanta.

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Il Rapimento Moro

Le Br sono un‟organizzazione eversiva, fondata nel

1970 da Curcio e Franceschini. Nel 74 il generale Dalla

Chiesa ne arresta i capi storici, e da allora prende la guida

Mario Moretti, che esaspera i caratteri militari e avversa il

dialogo in corso fra il Pci di Berlinguer (al 34%) e la Dc di

Moro (al 38%).

Nella mattina del 16 marzo 1978, alle 9,15 - quando

le Camere stanno per votare la fiducia al governo Andreotti

IV, con il sostegno del Pci -, in via Fani va in scena l‟agguato:

il gruppo di fuoco Br stermina la scorta e rapisce Moro.

Iniziano 55 giorni difficilissimi, in cui 9 comunicati

informano l‟Italia sul processo al “prigioniero Moro”, fino alla

tragica sentenza di morte.

All‟istante Roma si ferma. La diretta tv riversa fiumi di

informazioni, mentre blocchi stradali chiudono il Raccordo.

Ma Moro non è andato lontano. A bordo di una Fiat 132 è

giunto in un appartamento di via Montalcini, “una strada

poco frequentata, senza vetrine né panchine, né capolinea”.

L‟appartamento, al pian terreno e con un box, è intestato ad

Anna Laura Brachetti, che convive con Prospero Gallinari,

conosciuto come “ingegner Altobelli”. Nel “carcere del popolo”

si alternano altri due carcerieri, Valerio Morucci e Germano

Maccari, simulando una normalità di relazioni sociali e

familiari.

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Moretti, che abita invece in via Gradoli, viene a via

Montalcini ogni mattina in autobus, per condurre gli

interrogatori. E Moro inizia a parlare: rivela affari scottanti,

come Gladio e i finanziamenti illeciti alla Dc. Il comunicato

n. 3, con le parole “Il prigioniero sta collaborando”, fa

tremare il Palazzo. Il resto del tempo Moro lo trascorre

ascoltando una messa su nastro, leggendo giornali e,

soprattutto, scrivendo.

Lettere dalla Prigione del popolo

Durante la prigionia in via Montalcini lo statista Aldo

Moro compila a mano 86 lettere, in cui implora compagni di

partito e autorità di trattare con le Br.

“Sto discretamente”, scrive ai familiari, “assistito con

premura”; “il cibo è abbondante e sano”, “mangio ora un po‟

più di farinacei”, “non mancano mucchietti di appropriate

medicine”. Riserva alla moglie Noretta parole toccanti: “Ad

Agnese vorrei chiedere di farti compagnia la sera, stando al

mio posto nel letto e controllando sempre che il gas sia

spento. A Giovanni vorrei chiedessi dolcemente che provi a

fare un esame”. “Ho lasciato lo stipendio al solito posto.

Aiuta un po‟ Anna, data la gravidanza ed il misero stipendio

del marito”.

All‟astuto Cossiga invia messaggi in codice: “mi trovo

sotto un dominio pieno e incontrollato” (= sono nella cantina

di un condominio affollato, non ancora perquisito). Ripete di

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trovarsi a Roma (“io sono qui”; “mandate delegati qui a

Roma”), perché - ha appreso - i militari sono fuori pista:

setacciano Gradoli, cittadina viterbese indicata in una

seduta spiritica.

Le Br intanto formalizzano il ricatto: Moro libero, in

cambio di Curcio e altri 12 br. Il Paese si lacera: Pci e

maggioranza Dc sono per la fermezza, Psi e minoranza Dc

per la trattativa. Moro accusa il nuovo segretario Zaccagnini

e la Dc di averlo abbandonato: “Il mio sangue ricadrà su di

loro”, scrive rabbioso. Si spinge a chiedere: “Vi è forse, nel

tener duro, un‟indicazione americana e tedesca?”. “Queste

sono vicende di guerriglia, ostinarsi in un astratto principio

di legalità è inammissibile”. La stampa, evocando la

“sindrome di Stoccolma” (la dipendenza che lega il rapito al

rapitore), ne dibatte l‟attendibilità. Il 4 aprile la Camera vota

per la linea della fermezza.

L’Italia piange Moro

Dal 18 aprile il sequestro Moro prende una piega

visibilmente drammatica. La polizia irrompe a via Gradoli, e

si accumulano gli episodi poco chiari: „Ndrangheta, Banda

della Magliana, le inchieste di Pecorelli, Loggia P2 e servizi

deviati, e il falso comunicato che dà Moro morto al Lago della

Duchessa.

Sono in molti a desiderare che Moro non torni, anche

se non mancano gli interventi autorevoli. Il 25 aprile il

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segretario Onu Waldheim rivolge un appello per la

liberazione, e altrettanto fa “in ginocchio” papa Paolo VI, che

lascia sperare in trattative della Santa Sede. Fino all‟ultimo

comunicato n. 9 del 5 maggio (“Concludiamo la battaglia”),

che annuncia la fine del processo e la sentenza di morte.

Fanfani (Dc) propone in extremis lo scambio con una

brigatista anziana e malata. La Dc e il capo dello Stato Leone

approvano, ma è ormai troppo tardi.

Alle 6 del mattino del 9 maggio, nel garage di via

Montalcini (ma gli atti processuali non concordano

pienamente), Moro entra coperto da un plaid nel bagagliaio

di una Renault 4 rossa. Due raffiche di mitraglietta Skorpion

7.65 e due colpi di rivoltella Pkk 9 eseguono la tragica

condanna.

L‟auto arriva in via Caetani, poco distante dalla sede

del Pci. L‟immagine straziata dello statista fa il giro del

mondo. Sei processi e una ventina di sentenze non hanno

tuttavia ancora restituito una verità definitiva sul “sequestro

Moro”.

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Quartiere d‟Armi

Abstract non disponibile.

Lettere dal Forte 1920-1956

Nel 1886 la cerchia trincerata di Roma è completa, e

ormai già fatalmente inadeguata ad asservire alla funzione

militare.

Un carteggio impietoso tra uffici del Genio, scovato

dalla studiosa Francesca Ritucci, mostra come già nel 1920

forte Portuense abbia perso importanza strategica, sebbene

ancora armato e sede di comando. Le missive si occupano

infatti della complessa trattativa per l‟affitto dei terreni

intorno al fossato ad un pecoraio locale. La spunta il

pecoraio: con risoluzione 25/11/1920 “l‟Ufficio Tecnico

[fissa] il canone in £. 290”, erba invernale e maggenga

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comprese.

Una ventina di anni dopo, l‟Erario relaziona ancora su

questioni rurali, ma il pecoraio se n‟è andato via: “La

vegetazione è molto scarsa, il terreno arido; non risulta

sufficiente quantitativo di acque”.

Dopo la guerra il solerte impiegato erariale relaziona

sconsolato sulla occupazione tedesca: “Le riservette ed i

locali presentano molte manchevolezze, disfacimento dei

pavimenti, mancanza di vetri e avarie a infissi a porte e

finestre, cancelli, intonaci. Danneggiati gli impianti elettrici e

idraulici”. Il 1956 segna il definitivo esonero dalle funzioni

militari. Il forte diventa un‟immensa santabarbara, deposito

di armi, munizioni, materiali del Genio e documenti

d‟archivio.

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Rectaflex

Abstract non disponibile.

La fabbrica Rectaflex

Dopo la Campionaria del 1948 si tiene una seduta

straordinaria del Consiglio di amministrazione della Cisa

Viscosa, in cui si decide l‟avvio della produzione in serie e un

investimento da capogiro - si dice di 300 milioni di lire - per

la costruzione della nuova fabbrica Rectaflex, ampliando il

preesistente Stabilimento Sara. Viene formalmente costituita

la Rectaflex Srl, e nell‟autunno 1948 viene posata la prima

pietra di una palazzina di 4 piani, dagli ambienti luminosi e

aperti, alla maniera di Walter Gropius. Degli aspetti

propriamente architettonici della fabbrica avremo modo

comunque di parlare diffusamente nel paragrafo dedicato.

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Nel cantiere intanto arrivano i torni, le fresatrici, le

presse, i pantografi, e tutte le altre attrezzature maccaniche

necessarie. Il grosso delle assunzioni avviene nell‟autunno

1948. Le maestranze vengono addestrate da tre

capomontatori - Frajegari, Judicone e Assenza - e tra il

personale vi sono numerose donne, impiegate nelle funzioni

più minute. Le prime Rectaflex, prodotte ancora negli

Stabilimenti Sara, vanno tutte all‟estero. Il primo

distributore è la Director Products Co. di New York. Si

aggiunge poco dopo la Exclusivités Télos di Parigi, di Henry

Tieman, per la Francia. Varie intese commerciali portano

inoltre la Rectaflex in Svizzera, Sudamerica, Australia e

Sudafrica. Il Progresso fotografico, con i suoi redazionali, dà

conto puntuale della biografia ufficiale Rectaflex. Nel numero

dell‟ottobre 1948 scrive: «La Rectaflex è in vendita solo

all’estero per il momento, e in Italia son pochi i fortunati che

sono già in possesso della macchina». Si tratta di una politica

commerciale abbastanza bizzarra, perché la Rectaflex

faticherà in seguito non poco ad affermarsi in Italia. Ma,

ricorda i detto, in pchi sono profeti in patria.

È questo per Corsi forse il periodo migliore della sua

vita: respira aria di fabbrica notte e giorno, senza mai

rinunciare a sperimentare personalmente, perfezionare,

inseguire gli standard tecnici della Leitz o della Zeiss, che

considera l‟ideale di perfezione da raggiungere e superare.

Corsi impone ogni giorno variazioni tecniche e modifiche, che

rallentano la produzione e fanno crescere notevolmente i

costi di produzione: sa giustificarli alla Proprietà Cisa

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Viscosa, consapevole di avere tra le mani un prodotto fuori

dall‟ordinario. Corsi segue personalmente il servizio di

Dopovendita: studia ciascuna macchina che torna in

fabbrica, per studiarne le debolezze. Le rectaflex a dire il vero

sono delicatissime, e si rompono con facilità. Corsi è

estremamente severo, e se una macchina non supera il

collaudo finale viene sostituita con una macchina nuova. Il

Dopovendita costituisce da subito un serio problema, perché

la previsione iniziale che le riparazioni sugli apparecchi

possano essere effettuate da fotoriparatori locali, si rivela

non corretta, per la complessità e la diversità di costruzione

della Rectaflex rispetto alle macchine tradizionali.

Con l‟inverno si avvia la produzione seriale vera e

propria, e si abbandona la produzione semiartigianale della

Standard 947, Al suo posto si inaugura un nuovo modello,

Serie 1000, il cui nome deriva dal numero di matricola, che

parte dal numero 1001. Esteriormente la 1000 mantiene il

design di Giò Ponti per la Standard 947. Il gruppo del corpo,

ricavato in pressofusione di alluminio anodizzato, è

composto di quattro parti: il corpo macchina, il castello (che

contiene prisma e specchio), il piano frontale (con

l‟imboccatura dell‟ottica) ed il dorso. Le ottiche sono

intercambiabili, ed è persino possibile montare il flash Vacu-

blitz a bulbi ad incandescenza. Il meccanismo che controlla i

tempi lenti è in una versione migliorata.

La nuova fabbrica intanto viene tirata su a tempo di

record. Nel gennaio 1949 il sindaco, Salvatore Rebecchini, è

presente all‟inaugurazione. Immancabile, il giornalista del

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Progresso fotografico segue tutto in prima fila e racconta: «La

cerimonia fu semplice e rapida e si concluse con un discorso

del Sindaco». Sono gli anni della ripresa economica, del

boom. Nel suo discorso il primo cittadino rievoca la

trasformazione della borgata Trullo, da zona acquitrinosa a

distretto industriale d‟eccellenza, che porta con sé case e

benessere.

«Ma io petulante - scrive il giornalista - chiesi di poter

visitare lo stabilimento con più tranquillità. Quando mi venne

mostrato il castello della Rectaflex, io non ebbi bisogno di

spiegazioni per sapere che questa è l’ultimo grido delle

pressofusioni, e la più esatta. Così entrando nel salone delle

macchine utensili ebbi un grido di ammirazione, scorgendone

oltre centoventi. Come si fa a non costruire bene i duecento

pezzi che compongono la Rectaflex con quella attrezzatura?

Sarebbe più difficile costruirli male che bene! E i controlli? non

finiscono più. Ogni pezzo viene controllato con implacabile

pignoleria durante il montaggio, tanto che i controlli finali, che

sono i più severi, diventano forse inutili. Quindi, la Rectaflex

costruisce in serie circa cinquanta macchine al giorno,

occupando quattrocento persone, ma il controllo è singolo,

accurato, esasperante per ogni apparecchio. Organizziamo

tutta la nostra industria con simili metodi e i nostri prodotti

non temeranno confronti». Il giornalista esagera

probabilmente nei numeri, ma l‟atmosfera di entusiastica

fiducia nel futuro è reale.

Un incidente di percorso

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Si avvia intanto la produzione in serie di un nuovo

modello, la Duemila. La nuova macchina non nasce da una

programmazione industriale ma, per così dire, da un

incidente di percorso.

Succede che i modelli 1000 manifestano dei problemi

meccanici, e una a una le macchine vengono rispedite ai

rivenditori, e di lì tornano al Trullo per l‟assistenza. I

rivenditori lamentano mancanze nelle tendine e nei leveraggi

del ritardatore: in pratica nei tempi di posa lunghi, dal 1/10

di secondo in poi, la Rectaflex non va. Dopo le prime

verifiche Corsi individua la causa: i corpi di alluminio

pressofuso prodotti dalla Fonderia Romana di Porta Portese

sono soggetti a dilatazione termica: al variare della

temperatura i componenti interni o sono compressi o

ballano. Corsi adotta una decisione che gli fa onore:

richiama in fabbrica tutte le macchine vendute, e ritira dai

negozi le altre 1000 pronte sugli scaffali. L‟avvocato non è

disposto ad accettare che la sua macchina possa essere

definita imperfetta. Fa eseguire delle rettifiche manuali a

colpi di fresatrice, eliminando le tolleranze o interponendo

lamelle di ottone. Il processo è lungo e costoso, senza

contare che la Fonderia Romana ha già realizzato altre 2000

fusioni che giacciono abbandonate in magazzino. Prende così

un‟altra decisione coraggiosa: rimanda indietro alla fonderia

i corpi in alluminio, e chiede di rifonderli di nuovo, a spese

della Rectaflex, con un nuovo stampo che risolve il

problema. Per distinguere vecchi stampi dai nuovi, si decide

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di dare alla macchina una forma diversa, con numeri di

matricola dal 2128 in poi. Nasce così il nuovo modello

Duemila.

Ma Corsi è inquieto. Intuisce che se gli incidenti non

si trasformano in opportunità la Rectaflex non diventerà mai

la macchina perfetta che vuole produrre. Decide così che il

nuovo stampo dovrà anche far posto alle migliorie

sperimentali elaborate nel frattempo, accogliendo all‟interno

il nuovo pentaprisma. Ideato da Corsi e Picchioni, il nuovo

pentaprisma ha la seconda faccia a superficie convessa e

una lente ingrandente incollata sull‟ultima faccia. Il risultato

è che sull‟oculare si vede un‟immagine più grande e

luminosa. L‟invenzione, portata all‟Ufficio Brevetti nel

febbraio 1949, si chiama Perfezionamenti nei dispositivi per

la messa a fuoco e l’inquadratura. Nello stesso anno Corsi e

Picchioni chiedono altri due brevetti: uno sul sistema di

otturazione, con due tendine ad apertura fissa; un altro sul

ritardatore dei tempi lenti, montato su platine anodizzate

con oro 22 carati e rubini.

Intanto arriva puntuale la Campionaria di Milano,

edizione XXVII, aprile 1949, in cui la Rectaflex espone la

Duemila. La novità fieristica dell‟anno è il ritorno sul mercato

dei produttori tedeschi, anche loro sull‟onda lunga del boom

post-guerra. Sono ancora pochi, è vero, ma agguerriti e

tecnologicamente rivoluzionari. Corsi osserva con rabbia la

Contax S della Carl Zeiss di Dreda, che monta uno specchio

riflettore e un prisma di rinvio, lo Spiegelreflexkamera, che in

pratica è la versione tedesca della rectaflex. E c‟è poi la

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svizzera Alpa Reflex, costosissima, dalla meccanica simile.

Se gli svizzeri, vistosamente fuori mercato, non

impensieriscono Corsi, la Zeiss è un competitore temibile.

L‟aneddoto vuole che Corsi, furibondo, abbia gridato al

plagio. Ad inizio 1948 aveva infatti inviato a Carl Zeiss una

decina di macchine Rectaflex per delle prove di tiraggio

ottico. Ritrovare in fiera, tra gli stand concorrenti, una

macchina sorprendentemente simile alla sua lo ferisce.

La fiera milanese di quell‟anno, tuttavia, sorride a

Corsi. I prezzi Rectaflex sono ritoccati al rialzo, e gli ordini

fioccano ugualmente. Corsi può ancora beneficiare, rispetto

al concorrente tedesco, di una produzione iniziata in

anticipo, e persino di un certo pregiudizio dei compratori

verso l‟economia tedesca, su cui pesa ancora l‟ombra sinistra

del nazismo. In fiera intanto Corsi mette a segno anche un

bel colpo sul mercato di Francia e Colonie, ottenendo

l‟abbinamento in vendita della sua macchina con il nuovo

grandangolare Retrofocus 35 mm della Angénieux. Tra Corsi

e Pierre Angénieux si instaura anche un rapporto di amicizia

personale. Producono entrambi l‟eccellenza, e in settori

complementari: inevitabile il loro incontro.

Nell‟autunno 1949 la Rectaflex replica il successo

milanese a Torino, dove si tiene la Mostra Internazionale

degli scambi con l’Occidente, più conosciuto come Salone

della Tecnica. La Rectaflex annuncia l‟apertura di un ufficio

di rappresentanza a New York, sulla Fifth Avenue. Alla fine

dell‟anno, oltre alle basi negli Stati Uniti e in Francia, la

Rectaflex vanta appoggi in Gran Bretagna (Phototecnic

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Equipment a Londra), Svizzera (Società Eshmann a Losanna),

Olanda, Messico, Guatemala, Brasile, Uruguay, Nuova

Zelanda, Australia, Sud Africa, Congo Belga e Angola.

Succede così che tra le fiere di Milano, Torino e i

rivenditori esteri tutte le Duemila trovano collocazione sul

mercato e si rischia di rimanere a magazzini vuoti. Si inizia

immediatamente a produrre in serie un nuovo modello, la

3000, peraltro identica alla Duemila sul piano della

meccanica. La novità è tutta nel pentaprisma a due facce

convesse (quella della base e quella posteriore), che migliora

la luminosità e ingrandisce 2,5 volte l‟originale. La Rectaflex

si avvia a diventare la macchina perfetta.

Italia-Germania, guerra a distanza

Nel primo scorcio del 1950 l‟Italia sorride, il Trullo

lavora alacremente e Corsi è un vulcano di inventiva.

L‟avvocato dedica il 1950 al consolidamento della produzione

e dello smercio. Affida all‟ingegner Angelino Eleuteri, amico

fidatissimo, il compito di riorganizzare i reparti di

fabbricazione e montaggio. Eleuteri fa un eccellente lavoro.

Corsi si concentra invece sul Laboratorio di ricerca, di cui è

a capo, affiancato da Emilio Palamidessi e Alfredo Ferrari.

Il 9 marzo 1950, insieme a Giulio Fabricatore, Corsi

ottiene il brevetto per la preselezione manuale, che supera i

problemi della perdita di luminosità provocata dalla

chiusura del diaframma. La Rectaflex ha infatti l‟handicap di

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dover inquadrare e focheggiare con un obiettivo spesso molto

chiuso, quindi poco luminoso. Il brevetto si chiama

Perfezionamenti ai dispositivi per la diaframmatura. «La

presente invenzione - si legge - permette di predisporre

l’apertura del diaframma prima della presa, in modo che in

seguito, anche avendo variato la diaframmatura, si ritorna

alla diaframmautura predisposta».

Eppure Corsi dorme sonni agitati, crucciato dalla

implacabile ascesa della concorrente tedesca Zeiss e della

sua macchina reflex Contax. L‟avversario è insidiosissimo: la

sua produzione è per ora concentrata sul mercato tedesco;

nonappena tutti i tedeschi avranno in casa una Contax le

macchine della Zeiss cominceranno a dilagare all‟estero.

Corsi sa che la Contax è ancora inferiore sul piano tecnico:

ad esempio lo specchio ha il ritorno manuale e dopo ogni

scatto bisogna riarmare l‟otturatore. Ma sa anche che non ci

vorrà molto a che i concorrenti tedeschi progettino un

meccanismo di ritorno automatico. Un aneddoto riferisce che

nel suo ufficio a Monte delle capre Corsi ha un tavolo da

lavoro in cui tiene personalmente sotto controllo la macchina

tedesca, smontandola e rimontandola in ogni minuto

dettaglio. Corsi è più che mai convinto che in questa guerra

a distanza l‟eccellenza e l‟innovazione siano le uniche strade

vincenti.

In quel periodo cominciano a arrivare sul tavolo di

Corsi i primi rapporti di vendita negativi, soprattutto

dall‟Italia. La Rectaflex, sebbene sia l‟unica prismatica sul

mercato, è ancora molto più cara delle telemetriche

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tradizionali. Corsi affida ad un altro collaboratore, l‟ingegner

Marini, il compito di studiare una strategia commerciale.

Viene stampato un opuscolo comparativo, nel quale spiega

che il prezzo della Rectaflex è ragionevole. Una Rectaflex

completa di ottica costa 110.000 lire: una telemetrica

tedesca con ottica equivalente costa 140.000 lire.

Ma il vero problema è un altro. L‟ingegner Marini ha

un compito ingrato, di quelli che spesso toccano agli amici

più cari. La Rectaflex, spiega l‟ingegnere a Corsi, più che una

fabbrica è un istituto scientifico. Il suo capo fa continue

sperimentazioni e cambiamenti di rotta, alla minima

segnalazione di un guasto. E questa meraviglia di scrupolo è

economicamente disastrosa, tanto più che la macchina ha

ormai raggiunto una affidabilità senza pari. Occorre,

purtroppo, mettere un freno alla vis creativa del capo. Corsi

viene convocato dalla Direzione della Cisa Viscosa. In un

colloquio non facile gli viene detto chiaro e tondo che la

produzione della 3000 è da ritenersi blindata,

immodificabile, per lo meno finché la Cisa non sarà rientrata

dell‟investimento iniziale.

In cambio gli viene affidata una nuova serie

sperimentale tutta per lui, prodotta in soli 500 esemplari,

che prenderà il nome di 4000. Sulla 4000 Corsi può fare

tutte le modifiche che vuole, ma Corsi, per piacere, lasci

lavorare in pace l‟ingegner Eleuteri nello stabilimento al

Monte delle capre! La 4000 quindi non è un modello

successivo alla 3000, ma piuttosto un modello parallelo, a

commercializzazione ridotta: per dirla con il moderno

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linguaggio informatico la 3000 è la versione stabile, la 4000 è

la versione beta della macchina che verrà. Corsi non capisce,

ma si adegua alle disposizioni aziendali. Dimentica la 3000 e

si lancia a capofitto nella 4000: cambia l‟anello di innesto

delle ottiche, gli ingranaggi delle tendide, i leveraggi dei

tempi lenti, e testa uno speciale stigmometro su vetro

smerigliato. Sulle confezioni della 4000 compare la scritta

Duofocus, in ragione del binomio tra visione reflex e nuovo

stigmometro.

Intanto, arriva l‟appuntamento con la Campionaria

milanese, edizione XXVIII, maggio 1950. Quell‟anno i

giapponesi della Canon tengono banco e incantano il

pubblico. La Rectaflex espone la 4000 Duofocus, abbinabile

con le ottiche della Filotecnica e Galileo e una miriade di

accessori. Giunto in fiera Corsi assiste ad uno spettacolo che

sembra uscito dal suo incubo peggiore. Le case produttrici

tedesche hanno messo sul mercato decine di nuovi modelli,

tutti con visione prismatica reflex. C‟è la tedesca Kilar con la

Tele-Kilar e la Tewe con la Teweflex; la Zeiss raddoppia e

oltre la Contax propone ora anche la Contessa. Anche chi ha

già una macchina tradizionale può passare al reflex: basta

acquistare il prisma esterno della Exacta.

La romana Gamma, invece, rimane fedele al

telemetro, e continua a produrre i suoi affidabili ed

economici modelli. Il Progresso fotografico spende parole di

elogio per la piccola grande fabbrica situata a 50 metri di

distanza dalla Rectaflex: «La Gamma III è veramente perfetta

e merita il successo che sta ottenendo. Il colmo è che è

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esportata perfino in Germania».

Alti e bassi del 1951

All‟inizio del 1951, mentre si commercia la serie 4000,

si decide di trovare una seconda vita per le macchine

difettose nei tempi lenti della serie 1000, inutilizzate nei

magazzini di via Monte delle Capre. Sono circa un migliaio.

Nasce così la Serie Junior, una serie cadetta con i soli tempi

veloci (fra 1/25 e 1/500 di secondo). Viene eliminato il

ritardatore dei tempi lunghi e il foro viene coperto con un

dischetto con la scala mnemonica delle sensibilità DIN/ASA.

Il vecchio prisma a facce piane non viene sostituito

con quello a facce concave, per non gravare sui costi. Questa

particolarità dà alla macchina cadetta un angolo di visione

più ristretto ed anche una ridotta luminosità. Se una 4000

con ottica Angénieux costa 170.000 lire, una Junior con

ottica Beta ne costa soltanto 65.000. La rectaflex per molti

italiani diventa un sogno possibile. Ma alla Cisa Viscosa

storcono il naso: l‟operazione Junior non coprirà gli ingenti

costi di riassemblaggio.

Intanto la Fiera campionaria del 1951, la numero

XXIX, segna un fiasco commerciale per il Telcrom. Il

Telecrom è un dispositivo esterno per la essa a fuoco, una

sorta di evoluzione dello stigmometro. Si tratta di uno

schermo esterno di messa a fuoco, da applicare sopra

l‟obiettivo. Consiste in uno schermo smerigliato diviso in due

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sezioni, una verde ed una rossa, separate da una striscia

opaca. Accostando il congegno all‟obiettivo, l‟immagine del

soggetto inquadrato rimane sdoppiata fino a che l‟ottica non

raggiunge la perfetta messa a fuoco. Il Telecrom, forse per la

sua difficoltà d‟uso, non incontra l‟interesse dei rivenditori,

la cui attenzione è attratta dalla 4000 che la Junior.

Esce il nuovo listino, il numero 7. I prezzi della

macchina sono invariati, ma gli accessori hanno prezzi

vistosamente ribassati. Intanto l‟altra società del distretto di

monte delle capre, la gamma, mette in commercio la Perla,

una macchina economica e poco pretenziosa, con ottica fissa

ed otturatore centrale. Sul prezzo non conosce rivali.

Due mesi dopo, a fine aprile, si tiene a Colonia la

Seconda Photokina. La Rectaflex espone la 4000 in una

versione dal design rinnovato, con una nuova forma dei corpi

in alluminio. La meccanica interna è invariata, tuttavia il

nuovo look entusiasma i rivenditori. Tornato a Roma, Corsi

monta i nuovi corpi su tutte le macchine in produzione.

Nasce così una nuova serie. Anche per ribadire il distacco

con le precedenti la nuova serie prende il nome di 16000.

Nell‟estate 1951 intanto Corsi ottiene il brevetto del

Telcrom, denominato “Dispositivo per la verifica della messa

a fuoco di una immagine, consistente in uno schermo

comprendente una parte opaca intercettante i raggi luminosi

diretti alla zona centrale dell‟obiettivo mentre il resto dello

schermo è diviso in almeno due parti, tutte trasparenti ma di

colore differente l‟uno dall‟altra”. Non servirà purtroppo a

molto.

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296

È in questo periodo - tra la fine del 1951 e l‟inizio del

1952 - che la Rectaflex raggiunge l‟apice produttivo e

qualitativo. La perfezione voluta da Corsi può dirsi ormai

raggiunta. Tuttavia è proprio da qui che inizia la parabola

discendente della Rectaflex. Nel settembre 1951 la Cisa

Viscosa adotta una scelta drastica: allontanare Corsi dalla

fabbrica al Trullo, creando per lui una gabbia dorata, un

ufficio speciale chiamato Laboratorio sperimentale, in via

Acqui, 9, proprio accanto alla casa di Corsi. Insieme a lui

sono esiliati in via Acqui Emilio Palamidessi, che ha la carica

di direttore del Laboratorio, e il fidato caporeparto di

montaggio Michele Frajègari. Il suo posto al Monte delle

capre viene preso dal giovane Roberto Germani, un tecnico

entrato in fabbrica tre anni prima, dimostratosi di grande

valore. La scelta di Germani si rivelerà assai positiva: la

pianificazione produttiva di Germani porterà la Rectaflex a

ridurre i costi di produzione.

Inoltre la Cisa Viscosa accentra gli uffici direttivi

Rectaflex in via Sicilia, 162, dove ha sede l‟intera holding

Cisa Viscosa. La rectaflex srl intanto cambia ragione sociale

e diviene società per azioni. Ma il colpo più duro per Corsi

deve ancora arrivare. A metà del 1952 la Cisa Viscosa

contatta Léon Baume, un abile finanziere di origine polacca,

chiedendogli di affiancare Corsi nella cura e coordinamento

dei rapporti commerciali della Rectaflex. Insieme a lui

collaborano il dottor Fabbri e Aldo Falcone.

Corsi probabilmente non si rende conto che il

comando della Rectaflex gli sta progressivamente venendo

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297

meno. Dal Laboratorio di via Acqui, nel giugno 1951 Corsi

avvia una nuova serie sperimentale, che prenderà il nome di

Preserie 20000. Insieme a lui ci sono validissimi

collaboratori: gli ingegneri Franco Sigismondi e Giorgio

Marini e il tecnico Angelo Antonelli. Con loro mette a punto

un nuovo otturatore a tendina, con ingranaggi in alpacca,

per consentire un maggiore scorrimento. Nel Laboratorio

sperimentale Corsi dispone di nuovissime attrezzature

elettroniche. Nei primi mesi del 1952, Corsi riesce a tarare

l‟otturatore fino ad una velocità incredibile: un duemilesimo

di secondo. I concorrenti tedeschi della Zeiss sono ancora

fermi alla velocità di un millesimo.

Nei primi mesi del 1952 la 20000 viene messa in

produzione in serie, con il nome di Standard 20000, con

tempi dichiarati ad 1/1300 di secondo. La 20000 è

l‟apparecchio 35 mm più veloce di tutti i tempi.

La fabbrica perfetta

Nell‟aprile 1952, sotto la direzione dell‟ingegner

Eleuteri, lo stabilimento Rectaflex può definirsi la fabbrica

perfetta. Eleuteri comanda due strutture: Ufficio tecnico e

Ufficio produzione. Il Tecnico ha il compito di trasformare le

intuizioni di Corsi al Laboratorio sperimentale in tracciati di

produzione. Lo dirige Pietro Raucci (aiutanti Ermanno

Fenoglio e Alfredo Ferrari, disegnatori Angelo Fracomeno e

Rolando Pinto). La Produzione si occupa delle commesse, dei

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298

tempi di lavorazione e della produzione in serie. Lo dirige

Erminio Cappellani (aiutanti Dante Salvatori, Sergio

Colachicci, Rolando Salvioni).

La Produzione è divisa in 8 reparti: 6 officine

meccaniche e 2 controlli di qualità. Le officine sono:

Progettazione, Fresatura ed attrezzeria (caporeparto Aldo

Pini), Tornitura e aggiustaggio (Gaetano Judicone),

Galvanica (Attilio Berardi), Montaggio (Roberto Germani),

Verniciatura (Antonio Pietrini), Montature ed accessori. I

controlli di qualità sono: Collaudo semilavorati (Renato

Bonci) e Collaudo finale (ingegner Amedeo Cimino, aiutante

Giulio Fabricatore).

Montaggio, Fresatura e Tornitura costituiscono il

comparto Meccanica 1 (capocomparto Egeo Filippini).

Meccanica 2 comprende le altre lavorazioni, più delicate.

Questo comparto è dotato di macchinari per la rettifica, torni

e trapani di precisione, fresatrici e macchine automatiche

per le minuterie in acciaio inox.

La fabbrica (se si escludono i pentaprismi e i corpi in

alluminio pressofuso) produce in autarchia tutti i suoi

componenti. Il metallo è ricavato dalla fusione del materiale

bellico; la pelletteria proviene dalla Sara.

Il ciclo inizia dal Reparto Galvanica, che vaglia i corpi

in alluminio e i pentaprismi. La Fresatura effettua le forature

e trasmette i corpi alla Verniciatura dove viene applicata a

fuoco la vernice nera opaca. Dalla Verniciatura i corpi

ritornano in Fresatura, dove i fori vengono imboccolati per le

tendine e i ritardatori. Nel frattempo l‟attrezzeria prepara le

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calottine e la Tornitura e la Galvanica preparano viteria e

leveraggi. I corpi preparati finiscono al Montaggio, che fra i

reparti è quello dalla struttura di maggior complessità.

Al Montaggio lavorano solo meccanici preparati per

lavorazioni di meccanica fine (orologiai, ottici, strumentisti di

precisione, tecnici dei pantografi). Dal Montaggio dipende il

Precollaudio, in cui i fotoreporter Francesco Maesano e

Antonio Tozzi provano le macchine (i negativi vengono

allegati insieme alla garanzia). L‟intero ciclo di montaggio

risulta suddiviso in 36 passaggi. Ad ogni passaggio

corrisponde una fila di banchi del grande salone luminoso al

secondo piano, ad a capo di ogni fila vi è un montatore

specializzato: se un operaio riscontra problemi in un

passaggio passa la macchina al montatore esperto. Il ciclo

richiede 40 ore per ogni macchina. Ad esse si aggiungono

altre 8 ore per le fasi di collaudo, cui presiedono Cimino e

Fabricatore.

Giulio Fabricatore è un insegnante di tecnica

fotografica alla Scuola di Polizia. La voce popolare lo descrive

come un personaggio misterioso: misantropo, austero, è

sconosciuto di lui ogni particolare biografico. Ogni giorno,

terminate le lezioni, si reca in Rectaflex dove ispeziona ogni

macchina con diligenza da poliziotto. Si sa di lui che,

terminata l‟esperienza produttiva Rectaflex, continuò a

lavorare a capo della società di distribuzione italiana della

Polaroid.

Il professor Amedeo Cimino, ingegnere, insegna

matematica. È una figura molto simile a Corsi: fantasioso,

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300

creativo. Tra i due esiste una sincera e lunga amicizia.

Quando la Rectaflex entra nella fase di crisi Cimino sceglierà

un più sicuro impiego alla Vasca navale, come direttore del

Laboratorio di ricerca; tuttavia continuerà a sentirsi

partecipe dell‟esperienza Rectaflex, affiancando Corsi,

gratuitamente, nelle sue attività al Laboratorio

speriementale.

Dunque, in quel primo scorcio del 1952, arriva

l‟annuale appuntamento con la Campionaria di Milano. La

Rectaflex espone la 16000 con nuove ottiche e viene

presentata in anteprima il nuovo modello Rotor con torretta

girevole a tre obiettivi e impugnatura a pistola e il grilletto

per lo scatto. La Rotor costa 140.000 lire, mentre le 16000

hanno prezzi ribassati del 10%. Alla fiera c‟è anche la

Gamma, reduce da alcune vicissitudini in tribunale: la

Gamma non può più vendere la sua celebre telemetrica a più

obiettivi, ma espone nuove versioni della super economica

Perla a ottica fissa.

Alla III Photokina di Colonia la Rectaflex espone,

insieme alla Rotor, la preserie 24.500 dal design rinnovato.

La Rotor, racconta un aneddoto popolare, nasce

dall‟amicizia tra il regista Alberto Lattuada e il fotoreporter

Federico Patellani. Lattuada e Patellani si conoscono dagli

anni Trenta, dove frequentano entrambi il Politecnico di

Milano, uniti dalla comune passione per il cinema. Ai due si

aggiunge presto il produttore cinematografico Carlo Ponti, e

insieme i tre si trasferiscono a Roma, a Cinecittà. Patellani

lavora al settimanale Il Tempo, e arrotonda come fotografo di

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scena negli Studios di Cinecittà. Tra tutte le macchine

fotografiche Patellani non ha dubbi nello scegliere la sua

preferita: ovviamente una Rectaflex. Instaura con Corsi

un‟amicizia assidua, frequentando il Laboratorio

sperimentale e fornendo a Corsi continui spunti per

migliorare la macchina: Patellani, da fotografo esperto,

solleva stimolanti problemi pratici, e Corsi è ben lieto di

risolverli.

Quando Patellani rappresenta a Corsi le difficoltà di

dover sovente cambiare ottica, perdendo attimi assai preziosi

per afferrare lo scatto fuggente, Corsi mette subito all‟opera

il progettista Ferrari, e nasce così l‟intuizione di realizzare

una torretta con un cilindro mobile che fa ruotare gli

obiettivi. Una foto celeberrima ritrae Gina Lollobrigida ed

Humprey Bogard, sul set del film Beat the Devil che

impugnano la Rotor di Patellani. Un aneddoto popolare vuole

che, agli inizi del 1952 Alberto Lattuada abbia coinvolto

Federico Patellani e la sua inseparabile Rectaflex Rotor, nelle

riprese del film La Lupa, basato sulla novella di Giovanni

Verga. Patellani soggiorna ai Sassi di Matera (dove si gira il

film), fotografando nei momenti di pausa questa suggestiva

località e la sua varia umanità, e traendone foto giudicate tra

i lavori migliori di questo reporter. Scrive Lattuada: “Io sono

un uomo che ha ammirato un altro uomo, per come riesce a

rubare dalla realtà la forza della bellezza e restituirla con

un‟immagine”.

La commessa militare americana

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Intanto va in commercio la suova serie 25.000. Sul

piano tecnico la 25.000 non differisce di molto dalla 16.000:

è diversa la taratura dei tempi veloci e si può ora montare il

flash a bulbo incandescente Vacu-blitz. La novità invece è il

cambio di fornitori per le parti che la Rectaflex non produce

direttamente: il nuovo stampo in pressofusione (in

precedenza appaltato alla Fonderia di Porta Portese) è ora

prodotto dalla Simi di Milano). A Milano si producono ora

anche i pentaprismi e le lentine, prodotti dalla Metal-Lux, e,

venuta meno la produzione della viscosa, le tendine

gommate sono ora appaltate alla Pirelli, sempre di Milano.

Delle macchine prodotte in quel periodo il 50% finisce in

Francia; e solo il 15% è venduto in Italia.

In quel periodo intanto - siamo nel 1952 – scoppia

improvvisa la Guerra di Corea, che vede impegnati al fronte

gli Stati Uniti d‟America. Il governo americano lancia una

gara d‟appalto internazionale per l‟acquisto di un gran

numero di apparecchi fotografici reflex 35 mm, destinati ai

cronisti di guerra. Il finanziere Léon Baume segue in prima

persona la trattativa con gli statunitensi, e,

sorprendentemente, l‟affare va subito in porto, con una

commessa da ben 30.000 apparecchi. Il contratto prevede 20

invii di macchine, da 1500 pezzi ciascuno, a cadenze regolari

di 3 mesi.

Corsi intuisce subito le due insidie nascoste

nell‟accordo. La prima è che è una commessa in perdita: ogni

apparecchio viene venduto a 63.000 lire, un terzo del valore

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di mercato, da cui deve essere detratta la royaltee di 15.000

lire riservata a Baume. La seconda insidia è che la

produzione Rectaflex non è capace di produrre così tante

macchine, e destinare l‟intera produzione al mercato bellico

significa far sparire la Rectaflex dal mercato civile per

almeno cinque anni. Nel gennaio 1953 la Rectaflex assume

tutto il personale Sara e lancia un‟ulteriore campagna di

assunzioni all‟esterno. Ma la produzione resta ancora

insufficiente a rispettare gli accordi contrattuali: basti

pensare che nella primavera 1953 la Rectaflex arriva a 300

dipendenti, e non si producono più di 300 macchine al mese.

La Cisa, allettata dalla previsione di rientrare con

questa commessa degli investimenti iniziali in Rectaflex, è

entusiasta delle abilità di Baume. Inevitabilemente il

finanziere viene promosso a co-amministratore delegato

Rectaflex, insieme a Corsi.

L‟avvocato Corsi mal digerisce questa novità. Lui e

Baume hanno due caratteri diversi, persino incompatibili:

un sognatore alla ricerca della perfezione, innamorato della

sua fabbrica, il primo; un cinico abilissimo mercante alla

spasmodica ricerca del profitto il secondo. D‟altra parte il

successo commerciale da sempre cercato da Corsi non era

ancora arrivato, e Baume appariva agli occhi degli

amministratori Cisa essere riuscito laddove Corsi aveva

fallito, aprendo prospettive di risanamento e riduzione dei

debiti insperate. Poco importa che nel frattempo Corsi abbia

concluso un onesto accordo con la Davve Instruments Ltd

per la distribuzione Rectaflex in Inghilterra: Corsi deve

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inchinarsi all‟abilità del nuovo arrivato.

Inevitabilmente Corsi finisce al margine della vicenda

produttiva Rectaflex, sempre più lontano persino dal

Laboratorio Sperimentale di via Acqui. Corsi si rifugia spesso

da Giorgio Cacchi, amico e titolare del celebre emporio La

Casa del Fotocineamatore, dove Baume non mette mai piede.

Lì si riuniscono i fedelissimi di Corsi, in compagnia di un

cenacolo di artisti del calibro di Marcello Mastroianni,

Federico Fellini, Charles Boyer.

Intanto Corsi crea un nuovo modello sperimentale,

rivolto ad una clientela d‟élite: la Gold, la Rectaflex d‟oro. La

Gold differisce dalle altre macchine praticamente solo per la

doratura dei corpi pressofusi e per le decorazioni in pregiata

pelle di lucertola. La prima Gold viene realizzata per il

pontefice Pio XII, e reca nel castello lo stemma della Santa

Sede. Papa Pacelli si reca personalmente nello stabilimento

di Monte delle capre per ricevere il dono, che si dice abbia

apprezzato e utilizzato spesso in seguito. In quell‟occasione

celebra una messa insieme agli operai e benedice l‟intero

stabilimento.

Ma l‟euforia per l‟illustre visitatore dura ben poco. In

fabbrica la mancanza del capo carismatico comincia a farsi

sentire. E si verificano cose fino ad allora mai successe:

tensioni sindacali, conflittualità tra i dipendenti, persino atti

di manomissione di alcuni macchinari di precisione. Il nuovo

personale non è formato a dovere: le prima macchine

prodotte sono difettose e necessitano di lunghi interventi di

aggiustaggio che la Rectaflex non può permettersi. In breve

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si capisce che i tempi contrattuali con gli Americani non

saranno neanche lontanamente rispettati.

Corsi intanto ottiene dall‟azienda il permesso di

realizzare altre Gold e di donarle ai potenti del momento.

Una è per il Re Farouk d‟Egitto; un‟altra è per il presidente

Cisa Francesco Maria Oddasso; ve ne sono per il presidente

della Repubblica Luigi Einaudi, per il presidente degli Stati

Uniti Eisenhower e una per Wilson Churchill. Le ultime due

sceglie Corsi a chi donarle: una è per l‟importatore francese

Henry Tieman, suo amico e fedele rivenditore della Rectaflex

in Francia; l‟ultima Corsi la dona alla Fabbrica Rectaflex,

dove viene esposta accanto ad un pannello sinottico con tutti

i pezzi che compongono una Rectaflex. Questo dono ha quasi

il sapore dell‟addio. La fine dell‟esperienza Rectaflex è dietro

l‟angolo.

Signori, si chiude

Arriva la XXXI Fiera Campionaria di Milano, edizione

del 1953. La Rectaflex espone la Standard 25.000 insieme

alla Rotor. Durante la Fiera Corsi e Baume si intrattengono

lungamente con Robert Brockway, distributore americano

della Rectaflex e presidente della Director Products. In

quell‟occasione viene sottoscritto con il distributore

americano un accordo per la vendita, sul mercato estero, di

una rectaflex a telemetro. Corsi non approva e lo considera

quasi un affronto alla sua creatura a visione prismatica, ma

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Baume, allettato dalle prospettive di un facile guadagno, ha

rapidamente ragione delle obiezioni.

Il 1953, nel complesso è un anno di crisi per le

vendite delle macchine fotografiche di fascia alta: nei vicini

stand delle Officine Galileo (microcamera GaMi 16 con

telemetro e correttore di parallasse) e San Giorgio (prototipo

Janua modello 803 sincronizzata) ci sono macchine di

grande qualità, ma gli ordini di acquisto languono. Vanno un

po‟ meglio le cose per le macchine di classe economica, con

Ferrania, Bencini e Closter che commercializzano apparecchi

discretamente sofisticati, ad un quarto del prezzo di una

Rectaflex. Vanno bene le cose anche per la Gamma, che

l‟anno precedente ha interrotto la fabbricazione della

telemetrica, e ha saputo riposizionarsi sulla fascia

economica del mercato. C‟è la Perla A con ottica Stigmar

1:3.5 e il modello Al con ottica Radionar 1:2:8); c‟è poi la

supereconomica Stella con otturatore Pronto ed ottica Kata

1:3:5/50 mm.

C‟è un aneddoto curioso legato a quella fiera. Pare che

fra i visitatori vi fossero, in incognito, August e Jacques

Piccard, pionieri delle esporazioni dei fondali oceanici, e loro

stessi costritturi di sottimarini in grado di resistere alle

pressioni delle grandi pronfondità, chiamati batiscafi. Il

motivo della loro visita era acquistare una macchina

fotografica per il batiscafo Trieste, con cui poco dopo

avrebbero esplorato i fondali a largo dell‟isola di Ponza. Pare

che l‟operaio specializzato incaricato del montaggio della

macchina nel batiscafo sia stato lo stesso Corsi, ovviamente

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in incognito. Non si sa quanto vi sia di realtà e quanto di

leggenda, fatto sta che, di fronte alle insistenze dell‟operaio

di accompagnare i Piccard nell‟immersioni, Corsi venne

riconosciuto. Venne accontentato e tra Corsi e i Piccard

nacque una grande e lunga amicizia. Pare dunque che

l‟estate del 1953 sia stata un‟estate magnificamente serena

per Corsi - con i Piccard tra i fondali di Ponza, sul batiscafo

Trieste -, mentre già da settembre sinistre nubi si addenzano

sulla fabbrica di Monte delle Capre.

A settembre 1953 negli stabilimenti Rectaflex sono

pronte le prime 3000 macchine per la commessa militare

americana, e altrettante sono avviate alla produzione. Si

procede con la prima spedizione di 1500 macchine, anche se

con un certo ritardo rispetto ai termini contrattuali. Gli

Americani sono furibondi, anche perché la guerra è ormai

iniziata e anzi si avvia ad una rapida conclusione. Non si sa

bene cosa sia avvenuto dall‟altro capo del mondo: fonti orali

riportano che gli Americani abbiano fatto valere (a buon

diritto) una clausola sui tempi di consegna; altre dicono che

poi alla fine abbiano pagato ma i soldi siano stati dirottati

altrove. La sola certezza è che alla fine i soldi americani,

equivalenti a circa 100.000.000 di lire, in Rectaflex non sono

mai arrivati. Un breve comunicato annuncia poi il colpo di

grazia: con l‟elezione del nuovo presidente Eisenhower, la

Commissione militare incaricata degli acquisti di guerra è

decaduta e con essa è decaduto l‟intero appalto, di circa

1.900.000.000 lire.

Viene convocato di corsa un consiglio di

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amministrazione della Cisa Viscosa: siamo ad inizio marzo

1954. La riunione è turbolenta, e sul banco degli imputati,

per aver rallentato la produzione, finisconoBaume e Corsi.

Gli amministratori Cisa decidono che l‟esperienza Rectaflex è

giunta al termine, e che il tutto sarà sancito da

un‟assemblea straordinaria. Dall‟immediato, intanto, la

produzione è interrotta e si cercherà di vendere il vendibile.

Di quella riunione sopravvivono diversi ricordi. Pare che

Baume abbia prudentemente taciuto, mentre invece Corsi,

difendendosi come un leone, di fronte alla decisione

padronale di interrompere la produzione, abbia minacciato

di portare i brevetti in Francia e di continuare a produrre la

Rectaflex laggiù. Ma la Direzione ha deciso senza appello.

Vengono licenziati in blocco tutti gli operai addetti

alla produzione, salvando, almeno per ora, i soli operai dei

reparti Montaggio e Collaudo. Si concorda coi sindacati una

buona uscita per gli operai, e le fonti orali riportano che la

buona uscita è condizionata al fatto che nulla di quanto

avviene debba essere reso noto all‟esterno. Fra i giornali

economici di quello scorcio di 1954, nessuno fa menzione

della vicenda. Anche i negozianti ricevono puntualmente gli

ordinativi.

Del resto in magazzino vi sono ancora componenti per

realizzare circa 3000 macchine. Léon Baume è incaricato

della vendita, al prezzo base di 20.000 lire l‟una: il maggior

ricavo è il suo, come buona uscita. I listini fieristici di quel

periodo riportano paradossalmente che il prezzo di vendita ai

dettaglianti non subisce alcuna riduzione.

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Non vanno meglio le cose per Corsi: il Laboratorio

sperimentale viene ceduto ad una controllata della Viscosa,

la Ecom, e lì Corsi dovrà occuparsi di pianificare la ripresa

della produzione: la Viscosa non ha minimamente in animo

di ricominciare a produrre la Rectaflex; semplicemente, vuole

vendere uan fabbrica apparentemente ancora in esercizio,

mostrando ai possibili compratori dei piani produttivi

credibili. Viene anche nominato un nuovo amministratore

delegato, il signor Fabbri, che ha anche la funzione di

commissario liquidatore.

Ad aprile 1954 arrivano intanto i tradizionali

appuntamenti fieristici di Colonia e di Milano. In Germania

nulla traspare della crisi Rectaflex, anche se la parte del

leone in quella fiera la fa una macchina telemetrica, la nuova

Leica modello M3. Se la rectaflex telemetrica concordata con

Robert Brockway fosse stata immessa sul mercato solo

qualche mese prima, ne sarebbe senz‟altro stata una valida

concorrente. A Milano la Rectaflex si limita ad anticipare la

serie 30.000 insieme alla Rotor, con una gamma completa di

ottiche e accessori. In quell‟anno si registra il definitivo

sorpasso dei prodotti tedeschi rispetto a quelli italiani: la

guerra è ormai alle spalle, e i fotoamatori italiani acquistano

in base alla qualità e al prezzo, non più sulla base emotiva

del ricordo degli orrori del nazismo. Mantengono buone fette

di mercato la Closter, con la sua Princess, e la Ferrania, con

la Rondine, Falco S e bionica Elioflex II. Si difende bene

anche la gamma, con i vari modelli di Perla e Stella.

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Le ultime meraviglie Rectaflex

Per quanto possa sembrare incredibile, in quel

periodo Corsi, sebbene amareggiato per la consapevolezza

della fine, è un vulcano di inventiva. Come se volesse

sparare tutte insieme le ultime cartucce, sapendo che

l‟acqua presto bagnerà le polveri. Oppure no, forse non è

ancora disposto ad alzare bandiera bianca e spera in un

ripensamento della Direzione. Fatto sta che il 1954 sarà

ricordato come l‟anno delle meraviglie Rectaflex, in cui la

tecnologia Rectaflex raggiungerà davvero livelli spettacolari.

Corsi lavora contemporaneamente a tre nuovi

brevetti: il nuovo pentaprisma con tetto a doppio spiovente,

il meccanismo di esposizione automatica, e un dispositivo

speciale chiamato Esaflex. Il nuovo pentaprisma viene

presentato ancor prima di essere brevettato, sul numero

dell‟ottobre 1954 del Progresso fotografico; il giornalista

riporta di una presentazione per addetti ai lavori,

probabilmente nella Casa del Fotocineamatore, forse persino

all‟insaputa della Direzione della Viscosa. Il progetto di una

Rectaflex con esposizione automatica nasce invece in

azienda, da una collaborazione di Corsi con l‟ingegner

Ferrari. Viene concepito uno speciale preselettore del

diaframma, unito ad una nuova ottica con esposimetro al

selenio, chiamata “lettore di luce”, che, tramite un indicatore

ad ago, dà la corretta impostazione del diaframma. Infine,

l‟Esaflex è un apparecchio reflex 6 × 6 monobiettivo ad ottica

intercambiabile, dotato sia di visione prismatica che

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telemetrica. L‟apparecchio è studiato per avere il magazzino

intercambiabile: è una macchina omnibus, in grado di

montare qualsiasi accessorio, volendo anche l‟otturatore

centrale o un visore a periscopio.

Allo stesso tempo Corsi lavora anche al Modello

30.000. Sa che è l‟ultimo che uscirà dagli stabilimenti di

Monte delle capre e vuole che sia un modello perfetto:

sostituisce i leveraggi di carica e riavvolgimento del film, e

sostituisce anche i vecchi pulsanti di scatto e di sgancio

dell‟ottica, con nuovi pulsanti dalla caratteristica forma a

fungo.

Non è finita. Con il reporter Federico Patellani Corsi

lavora ai modelli Special, dei modelli rectaflex destinati alle

applicazioni scientifiche specializzate: Special 24 × 32 e la

Rectaflex Silenziosa. La Special 24 × 32 prende il nome dalla

dimensione ridotta del fotogramma, richiesto per particolari

usi scientifici, come la microfotografia (applicando la

macchina ad un microscopio) o la fotografia ospedaliera (per

riprendere interventi chirurgici). In tutt‟altro campo opera

invece la Rectaflex silenziosa. Nasce da un‟idea di Patellani

ed è pensata per i safari fotografici: viene eliminato il

rumoroso rimbalzo dello specchio, che avrebbe messo in

fuga le fiere africane, e il corpo macchina è nichelato in nero

opaco, per non riflettere la luce del sole. La prestigiosa

rivista naturalistica Life ne acquista diversi esemplari.

Intanto, dalla fabbrica di Monte delle capre

cominciano finalmente ad uscire le prime macchine rectaflex

a telemetro, pattuite un anno prima con il distributore

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americano Robert Brockway. Ne escono in realtà due diversi

modelli, chiamati Recta e la Director-35.

La Recta nasce sul corpo della Rectaflex Standard 30.000,

su cui viene montato un grosso mirino con un telemetro

speciale con il sistema di messa a fuoco a doppia finestra

brevettato da Corsi nel 1951. Diversa è invece la storia della

Director-35, che è in realta una nuova e diversa macchina.

Monta anch‟essa un telemetro con messa a fuoco su doppia

finestra, ma le analogie finiscono qui. Funziona con una

doppia tendina metallica rigida (non autoavvolgente), il

ritardatore dei tempi èspostato, il caricamento della pellicola

è frontale. Altre modifiche sono nella leva di carica curva, e

una diversa collocazione del bottone dei tempi veloci.

Nel luglio del 1954 intanto, sulla scia delle

esplorazioni scientifiche condotte l‟anno precedente dai

Piccard sul batiscafo trieste, gli alpinisti Achille Compagnoni

e Lino Lacedelli commissionano alla Rectaflex due macchine,

da portare con sé nella conquista del monte K2. Il capo del

Montaggio, Roberto Germani, prepara due apparecchi in

grado di affrontare le rigide temperature himalayane. Una

modifica su tutte: l‟olio di ingrassaggio sostituito con la

polvere di grafite. Pare tuttavia, che le macchine, spedite per

treno, non siano mai arrivate a destinazione, e che

Compagnoni e Lacedelli, per le foto, abbiano usato una

vecchia macchina a soffietto della Zeiss, la sola che siano

stati in grado di reperire in uno sperduto emporio

himalayano.

E questi sono davvero gli ultimi fuochi. La riserva di

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313

componenti giacente in magazzino termina nei primi giorni

del 1955. Il capomontaggio Germani si dà da fare in tutte le

maniere per montare i pezzi residui fino ad assemblarne

qualcosa, ma non è proprio più possibile montare alcuna

macchina. Le fonti aneddotiche riportano che a questo punto

vengono mandati a casa anche gli operai del Montaggio e i

capireparto.

I più meritevoli trovano con facilità impiego in altre

aziende del gruppo: Alfredo Ferrari finisce alla Ecom; il

meccanico Remo Nannini va ad occuparsi della riparazione

delle macchine in garanzia al Servizio Dopo vendita.

L‟ingegner Cimino trova con facilità un posto alla Vasca

navale.

Altri si mettono in proprio. Gli ingegneri Franco

Sigismondi e Giorgio Marini, fondano la Staer, e assumono il

tecnico Angelo Antonelli. Emilio Palamidessi, Manlio Valenzi

e Roberto Germani aprono un‟officina di riparazioni di

apparecchi fotografici in via Cavour.

Altri infine, si impiegano alla concorrenza, per non

disperdere il patrimonio di saperi maturati al Monte delle

capre. Alcuni finiscono in Gamma, altri in Closter. Infine

altri, tornano a fare i meccanici, in officine generiche.

Lo stabilimento di Monte delle Capre, vuoto di operai

e di componenti, non viene più a questo punto vigilato. Le

fonti aneddotiche riportano che in fabbrica regna il

disordine, e che quanlunque operaio abbia avuto a sentirsi

indignato per l‟avvenuto, si sia sentito moralmente

legittimato a portarsi via un pezzo della fabbrica, a titolo di

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314

risarcimento morale.

Interviene la Proprietà, che dà ordine di vendere nella

maniera più rapida possibile anche i pezzi non assemblati.

Un aneddoto da più parti confermato racconta che Corsi si

sia a questo punto fatto avanti per acquistare tutto in

blocco, edificio e attrezzature produttive comprese, con

l‟intenzione di riprendere la produzione e iniziare da capo

una nuova avventura. La Direzione ben conosce il genio

creativo di Corsi, e sa che Corsi, con l‟aiuto della fortuna,

avrebbe persino potuto farcela. Soprattutto, la Direzione sa

che la crisi Rectaflex non è derivata da una crisi del

prodotto, che può ormai definirsi perfetto, ma da strategie

commerciali errate. La Direzione gli chiede una somma

spropositata, che si dice sia stata di 50.000.000 di lire.

Eppure Corsi è pronto a pagarla. Si rivolge alle banche e

cerca finanziatori: non ne trova alcuno.

Alla fine la spunta ancora una volta Léon Baume, che

si fa consegnare le rimanenze, dietro la promessa di trovare

un compratore per rimanenze, macchinari e mura della

fabbrica. Da questo momento in poi Baume esce di fatto di

scena, e diventa importatore in Italia della casa giapponese

Konika.

Un aneddoto vuole che alla fine Baume un

compratore per le rimanenze l‟abbia trovato: Giorgio Cacchi

della casa del fotocineamatore, insieme al ragazzo di bottega

Tonino Arienzo e alcuni amici fedelissimi di Corsi, che a

bordo delle loro automobili hanno dato vita ad un mesto

convoglio di auto cariche di materiali obsoleti, qualche

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315

montatura di ottiche, alcuni accessori e ben 200 torrette

Rotor inutilizzabili. Cacchi continuò a lungo ad esporre nel

suo negozio alcuni cimeli della Rectaflex, tra cui il pannello

della Rectaflex Gold con quasi tutti i pezzi della macchina

scomposta, ovviamente senza le parti in oro. A quanto

risulta, l‟ultima rectaflex disponibile sul mercato fu venduta

da Cacchi nel 1960, ad un turista accorso a Roma in

occasione dei Giochi Olimpici.

Oltre le Alpi, il colpo di coda

Finita la produzione, negli uffici della Cisa Viscosa di

Rectaflex si continua ancora ad occuparsi. Perché i muri

della fabbrica non sono stati ancora venduti. Viene costituita

una nuova società, la Rectaflex International, di cui Léon

Baume è azionista. L‟obiettivo non è riprendere la

produzione, ma dare l‟idea ad un potenziale compratore

disposto ad investire tempo e mezzi che riprendere la

produzione è possibile. Proprio per questo vengono

acquistati degli spazi pubblicitari nelle riviste di settore. Alla

Fiera Campionaria di Milano del 1955 la nuova società non

ha uno stand, ma ci sono, si dice, diversi procuratori pronti

a vedere ciò che resta al miglior offerente. Il listino prezzi di

quel periodo mostra ancora la 25.000 vecchio modello, a

prezzi invariati. Corsi, nel Laboratorio Sperimentale, prepara

intanto un nuovo modello: la 40.000, che sul corpo della

30.000 monta un nuovo prisma più luminoso, uno specchio

più grande, insomma tutto in formato maxi. Vengono

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316

realizzati i primi prototipi.

Quand‟ecco che all‟improvviso, siamo alla fine del

1955, il pontenziale compratore sbuca fuori, e viene da

lontano. La Rectaflex annovera, tra i fornitori internazionali,

la Kamerabau Anstalt, con sede a Vaduz nel Principato del

Liechtenstein, di proprietà del principe Francesco Giuseppe

II (1906-1989). Baume ha inviato nel piccolo principato ai

margini della Svizzera tedesca alcune 30.000, assicurando

che si può produrre con sole 8 ore di lavoro.

Il Principe invia a Roma il suo uomo di fiducia,

l‟ingegner Adolf Gasser, per valutare l‟affare. Gasser è un

uomo onesto, e dotato di grande esperienza. Proprio per

questo la visita negli stabilimenti di Monte delle Capre si

dimostra assai deludente e il tecnico, di ritorno in

Liechtenstein sconsiglia al Principe l‟acquisto dell‟intera

fabbrica, limitandosi ai brevetti.

Eppure l‟accordo va in porto, negli ultimi mesi del

1956, e vede la partnership tra Cisa, Snia e la Contina AG,

altra fabbrica di proprietà del Principe che produce

calcolatrici tascabili e cineprese da 8 mm. Viene quindi

creata una nuova società, la Établissements Rectaflex

International Vaduz, della quale è azionista Léon Baume. La

produzione si svolgerà nella fabbrica Contina, nella cittadina

di Mauren. L‟ingegner Gasser è a capo della progettazione,

che prende il nome di 18.400, e della produzione. Il direttore

di fabbrica è il signor Frick, mentre il Reparto Montaggio è

affidato al signor Postner.

Da subito Gasser e Postner si mettono le mani nei

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317

capelli. Lamentano la mancanza di documentazione tecnica,

e in particolare pare che manchi persino l‟elenco dei

componenti. Di ogni pezzo poi, esistono più versioni, senza

sapere che pesci prendere. I due ingegneri decidono di

richiamare in servizio, da Roma, Alfredo Ferrari, assunto

ufficialmente nel settembre 1957. Poco dopo viene

richiamato in servizio anche il meccanico Antonio Fasciani,

con l‟incarico di formare il personale del reparto Montaggio.

Gli ingegneri transalpini decidono di revisionare,

pezzo per pezzo, tutta la componentistica, fresando i pezzi

obsoleti, o scartandoli se necessario. E c‟è un nuovo

problema: la Contina, che non è in grado di produrre da sé

tutti i componenti, deve ricorrere a fornitori esterni, facendo

lievitare i costi. Alla fine del 1957 la linea di montaggio per la

produzione in serie risulta ancora lontanissima. Sorgono

degli attriti, e si evidenziano limpidamente le differenze di

mentalità tra italiani e transalpini: geniali risolutori di

imprevisti i primi; tecnici precisi che perdono le staffe ogni

volta che un pezzo va fuori tolleranza i secondi.

Considerando che i pezzi fuori tolleranza non sono

l‟eccezione, ma la regola, alla Contina sono tutti seriamente

preoccupati. Fasciani propone una soluzione d‟emergenza:

riportare la produzione a Roma raccattando le vecchie

maestranze del Trullo. La proposta viene respinta con

sdegno.

I transalpini, giunti ormai alla disperazione, contro il

parere dei soci italiani, richiamano in servizio, da Roma,

Telemaco Corsi. Corsi, racconta la memoria popolare, pare

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318

che abbia detto sì all‟istante, mettendo da parte tutte le

amarezze. Porta con sé il veterano Roberto Germani, già

responsabile del Servizio Dopovendita. Il miracolo riesce: le

prime macchine made in Liechtenstein vengono montate. E

funzionano. Pare anche che Corsi si sia subito ben inteso

con le maestranze transalpine, nonostante le barriere

linguistiche, ben felice di respirare aria di fabbrica a pieni

polmoni.

Le macchine modello 40.000 arrivano alla produzione

in preserie. C‟è il comando automatico della preselezione del

diaframma, e viene montato un nuovo obiettivo. I primi

collaudi danno però una serie di inconvenienti, soprattutto

nella velocità dei tempi. Corsi chiede che vengano sostituiti i

comandi delle tendine con nuovi comandi, migliorati. Baume

si oppone, il Principe del Liechtenstein non sa come

schierarsi. L‟ingegner Gasser studia la questione, e individua

che il problema può essere risolto modificando i corpi di

alluminio di futura fabbricazione. Alla fine, siamo all‟inizio

del 1958, la Rectaflex transalpina pare giunta a livelli

qualitativi soddisfacenti. Viene approvato il piano di

produzione. Dopo continui adattamenti e suggerimenti,

all‟inizio del 1958 le prime macchine cominciano a

funzionare a dovere e sembra che si sia pronti ad iniziare la

produzione in serie. Il piano di produzione prevede la

realizzazione di 45 macchine al giorno.

L‟ingegner Gasser chiede l‟assunzione di nuove

maestranze; gli azionisti frenano, fra un rinvio e l‟altro. Corsi

intanto perfeziona ancora la macchina, e chiede al Principe

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di installare sulla 40.000 l‟esposimetro al selenio incorporato

nel prisma. Nella silenziosa fabbrica Contina, si trasferisce

in breve tutto il caos di una produzione italiana. Il tempo

passa, i costi fissi scorrono, e della produzione in serie non

c‟è neanche l‟ombra. Fra gli azionisti, nel 1959, si fa strada

l‟idea di essere fuori tempo massimo, anche perché il

mercato di quegli anni vede affermarsi macchine giapponesi

con tecnologie diversi, costi inferiori, in grado di offrire al

fotoamatore scatti ugualmente belli.

A questo punto le informazioni si fanno imprecise. La

produzione va avanti, tra arresti e ripartenze, ma nessuno

crede seriamente in un successo. Pare che alla fine di

macchine Rectaflex 40.000 ne siano stati prodotti 2500

esemplari. Pare anche che per la disperazione siano stati

gettati tutti nel fiume Reno, per far capire al Principe che nel

Principato transalpino non era possibile produrre all‟italiana.

Fatto sta che la storia si trascina ancora per cinque anni,

finché la società viene rilevata dalla Hilti, interessata

probabilmente ad impedire che i brevetti fossero acquistati

da società concorrenti, piuttosto che proseguire la

produzione.

Descrizione architettonica

Viene formalmente costituita la Rectaflex Srl, e

nell‟autunno 1948 viene posata la prima pietra. Il progetto

consta di una palazzina di 4 piani, nel classico stile

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architettonico post-fascista. La fabbrica è strutturata in

modo molto pratico, alla maniera di Walter Gropius, con

larghe scale d‟accesso ai piani, ampi locali open-space che

prendono luce da grandi finestre rivolte ad est. I servizi e la

mensa sono anch‟essi completamente nuovi e modernissimi.

Alcuni reparti meno importanti o forse meno puliti, come la

Galvanica, la Verniciatura e il Magazzino, vengono alloggiati

nelle costruzioni adiacenti. Gli uffici e gli ambienti destinati

ai disegnatori tecnici rimangono invece nella palazzina

centrale Sara. Si passa quindi a commissionare i torni, le

fresatrici, le presse, i pantografi, e le altre attrezzature

maccaniche.

Lo stabilimento romano di via Monte delle Capre è

diventato, negli anni a seguire, un istituto tecnico di

prim‟ordine, denominato Marconi. Gli abitanti del Trullo

assistevano con sempre viva soddisfazione alla discesa a

frotte di ragazzi del centrocittà, che raggiungono la periferia

per studiare presso questa eccellenza scolastica. Dopo la

chiusura e un periodo di abbandono, l‟edificio ospita oggi il

centro socio-culturale e la biblioteca del quartiere.

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321

Rete ferroviaria portuense

Rete Ferrovia Portuense è il nome convenzionale che

diamo all‟insieme di tratte, diramazioni, ponti, fermate e

stazioni che insistono o attraversano il territorio municipale.

Il grosso delle opere è costruito tra il 1855 e il 1878,

ed assume, per le suggestioni legate alla fine del

temporalismo, i contorni di un‟epopea risorgimentale. Le

tratte e diramazioni sono: la costiera nord Roma-

Civitavecchia (1859), la diramazione di Ponte dell‟Industria

(1863), la diramazione di Fiumicino (1878), le diramazioni

del Porto fluviale (1911-1954), il passante di Maccarese

(1990). Le stazioni oggi esistenti sono: Trastevere, Villa

Bonelli, Magliana, Muratella, Ponte Galeria, Fiera di Roma.

Su di esse transitano la Linea interregionale Tirrenica e tre

linee del trasporto regionale.

Il Diavolo viaggia in treno

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La prima ferrovia italiana è nel Regno delle Due

Sicilie. Dopo la Napoli-Portici (1839) Re Ferdinando II collega

la capitale partenopea con Capua, Castellammare, Caserta, e

forma una piccola ma moderna rete ferroviaria. Di lì a breve

anche il Lombardo-Veneto, la Toscana e il Piemonte seguono

l‟esempio, dotandosi di piccole ed efficienti reti. E si comincia

così a pensare ad una rete di reti, una rete ferroviaria

italiana che anticipi nel nome del progresso quell‟unità

nazionale che ancora manca.

Ma negli Stati della Chiesa, però, l‟allora pontefice

Gregorio XVI di questo argomento non vuol proprio sentir

parlare, e il mezzo di trasporto allora più in voga è ancora il

dorso di somaro. Il papa conservatore considera le ferrovie

delle «manifestazioni del Demonio», comprovato dal fatto che

le locomotive emettono luciferini sbuffi di vapore. Nel 1846

affida al suo computista generale, il cavalier Angelo Galli, il

compito di rispondere ad uno sparuto gruppo di intellettuali

pro-ferrovia a Roma, con un documento intitolato Lista di

cinque obiezioni. La Ferrovia, vi si legge: I. accresce la

povertà; II. danneggia i commercianti; III. compromette la

sicurezza degli Stati; IV. compromette la sicurezza interna;

V. facilita il contrabbando.

Una qual certa ragione il cavalier Galli ce l‟ha - basti

pensare che le truppe di Nino Bixio e quelle del generale

Cadorna a Roma ci arriveranno intreno! -, e oltretutto gli

Stati della Chiesa non producono né ferro né carbone, che

sono le materie prime, rispettivamente, per costruire le

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strade ferrate e per alimentare i treni. Ma il progresso è fatto

del dialogo tra cinque obiezioni e mille speranze, e nella Corte

papale sono in molti a vedere, in caute aperture alla

modernità, uno strumento per rinsaldare il consenso tra i

ceti borghesi, in un decennio che per il potere temporale

della Chiesa si preannuncia turbolento, e potrebbe anche

essere l‟ultimo. Su questa linea pare sia segretamente

schierato anche il cavalier Galli, ma Papa Gregorio tiene la

Corte saldamente in pugno.

Bisogna aspettare il suo successore, Giovanni Maria

Mastai Ferretti, salito al Soglio pontificio il 16 giugno 1846

con il nome di Pio IX, perché a Roma si torni a parlare di

treni. Il lungo pontificato di Pio IX sarà del resto

caratterizzato da profonde riforme nelle istituzioni sociali,

delle quali l‟epopea ferroviaria romana è, a suo modo,

l‟emblema.

Pio IX, il papa ferroviere

Uno dei primi atti di governo nuovo pontefice, datato

7 novembre 1846, è la Notificazione per la costruzione di tre

grandi linee, a firma del nuovo segretario di Stato, cardinal

Gizzi. La Notificazione è un manifesto politico pro-ferrovia, in

cui si annuncia non l‟apertura di questo o quel cantiere, ma

la progettazione organica di un‟intera rete ferroviaria, basata

su tre grandi linee: la Centrale nel Lazio; la Meridionale per

Napoli; la Settentrionale per Bologna.

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La Linea Pio Centrale ha il suo cardine su Roma, e

collega in tre tratte l‟Urbe con i suoi tre porti commerciali: la

tratta costiera nord raggiunge Civitavecchia; la costiera sud

raggiunge Anzio; infine la tratta interna, che si preannuncia

come la più impegnativa, scavalca gli Appennini e si attesta

sull‟Adriatico, ad Ancona.

La linea meridionale, chiamata Linea Pio Latina, è

diretta a sud: la prima tratta collega Roma con Frascati; la

seconda procede fino all‟allaccio con la ferrovia borbonica. La

linea settentrionale, chiamata Linea Pio Emilia, è diretta a

nord, e fa cardine su Bologna: la prima tratta procede si

allaccia ad Ancona alla Linea centrale e procede verso

Bologna; la seconda da Bologna arriva alla dogana sul Fiume

Po, e di lì si allaccia alla rete lombardo-veneta.

Pio IX ragiona anche su una quarta linea, diretta a

Firenze attraversando le cittadine umbre. Succede che i

negoziatori romani e quelli toscani si incontrano, ma non

trovano l‟accordo: il tratto appenninico si presenta assai

oneroso. La stampa internazionale comunque, e soprattutto

quella francese, non manca di entusiasmarsi per le direttive

illuminate e amiche del progresso del Papa ferroviere.

L‟anno in cui i progetti diventano cantieri è il 1855. La

prima tratta a vedere la luce è la Porta Maggiore-Frascati

sulla Linea Latina, realizzata dalla Società York, e

inaugurata il 7 luglio 1856. La stampa sarà sempre presente

ad ogni inaugurazione, e così il cronista Carlo Mascherpa

racconta la giornata memorabile: «Monsignor Palermo

vescovo di Porfirio, nella stazione temporanea di Porta

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325

Maggiore, che è la prima che sìasi eretta in Roma, in mezzo al

raccoglimento di grande moltitudine di astanti, recitate le

apposite preci, asperse con l’acqua santa la strada, e

benedisse quindi fra le salmodìe dei Cantori le Locomotive

messe a festa […]. Alle due e mezzo, datosi il segnale della

partenza, il convoglio lasciava la stazione fra gli applausi di

una gran folla di popolo […]. Ed in poco più di 30 minuti

percorreva il tratto da Roma a Frascati, ove l’intero municipio

tuscolano […] ne salutava con giubilo l’auspicato arrivo». Così

conclude il cronista: «Le fabbriche già costrutte e l’apertura di

sempre nuove officine sono frutto della benefica concessione

del sempre provvido Pontefice».

Ma l‟obiettivo della Pio Latina è ben oltre Frascati, è

Napoli. Il Regno Borbonico è infatti il principale partner

commerciale degli Stati della Chiesa, da cui giongono ogni

giorno derrate, prodotti manufatturieri e industriali. Dopo

Frascati il cantiere non si ferma: raggiungerà Velletri (29

dicembre 1862), attraverserà la Ciociaria, e infine farà

capolinea alla Dogana di Ceprano, dove c‟è l‟allacciamento

con la rete ferroviaria borbonica.

Intanto, siamo sempre nel 1855, in contemporanea

col cantiere per Frascati si aprono altri due cantieri, sulle

tratte della linea settentrionale: Bologna-Ferrara, e Ancona-

Bologna. Nel complesso gli appalti ferroviari sono

caratterizzati da una certa spregiudicatezza: le imprese

costruttrici non sono molte, e il Governo romano, allettato

dall‟idea di finire in fretta, chiude un occhio sulle numerose

commistioni di interessi fra le imprese. Succede spesso che

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326

gli appalti, affidati di tratta in tratta a ditte diverse, vengano

poi subappaltati dalla vincitrice alle altre imprese escluse.

Tra tutte le imprese, però, la parte del leone la fa la

Casalvaldès, che cambierà in seguito nome in Société

Générale des Chemins de Fer Romains, e che tutti a Roma

chiamano La Pio Centrale, dal nome della linea di cui è

aggiudicataria.

Nella tratta interna della linea centrale Roma-Ancona,

però, il meccanismo dei subappalti si inceppa, e c‟è un

fallimento famoso, quello dell‟impresa subappaltatrice York,

e non è ben chiaro chi debba farsi carico delle maggiori

spese. Sulla percorrenza Roma-Foligno - dove è necessario

superare le asprezze dell‟Appennino - si è sempre sul punto

di dichiarare la resa. Ma Pio IX non molla: chiude un occhio

e spesso tutti e due, e obbliga le imprese ad avanzare a colpi

di viadotti e gallerie. Una dopo l‟altra vedono la luce opere di

ingegneria arditissime: i tunnel della Balduina, del Fossato,

della Gola della Rossa; due ponti sul Tevere; un ponte

sull‟Esino; un numero infinito di grandi viadotti. La linea si

completerà solo dieci anni dopo, il 29 aprile 1866. Pio IX non

avrà però la gioia di arrivare in treno sull‟Adriatico: già dal

1860 infatti Ancona è una città italiana.

La costiera nord Roma-Civitavecchia

L‟anno dopo, siamo nel 1856, iniziano i lavori della

tratta costiera nord della Linea Pio Centrale, la Roma-

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Civitavecchia. L‟appalto, vinto dalla Casavaldès, prevede in

favore dei costruttori anche il diritto di esercizio per 99 anni.

Legato al contratto c‟è un aneddoto curioso. Pio IX ha

fretta di concludere i lavori, e richiede tassativamente che

l‟approdo marittimo di Civitavecchia sia congiunto alla

nuova stazione romana di Porta Portese entro tre anni. Viste

le difficoltà incontrate nella tratta appenninica, il pontefice

non crede che la casa ferroviaria francese riuscirà a

compiere l‟impresa nel termine fissato, e si spinge ad inserire

nel contratto una clausola-scommessa che prevede un

premio esorbitante - ben un milione di lire! - in caso di

successo dell‟impresa.

La Casalvaldès adotta un diverso metodo di lavoro:

anziché cantiere dopo cantiere, andando da Roma verso

Civitavecchia, apre in contemporanea 27 cantieri su tutti i

73 km di percorrenza (all‟incirca uno ogni 2/3 km). Nella

fabbrica lavorano 800 manovali, reclutati in maggioranza

dall‟Abruzzo. Il lavoro è continuo, su turni di notte e di

giorno. Dal punto di vista tecnico viene realizzata una linea a

binario unico, ma la linea è predisposta per la costruzione di

un secondo binario, da realizzarsi in seguito.

Il viaggio di collaudo avviene il 25 marzo 1859,

mentre l‟apertura al traffico avviene il successivo 16 aprile.

La Casalvaldès, dunque, ha vinto la scommessa. E

non si conosce lo stato d‟animo del pontefice: amareggiato

per aver il premio aggiuntivo che deve corrispondere ai

costruttori, o segretamente compiaciuto perché il successo

della Casalvaldès è insieme un suo successo e un successo

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della Chiesa al passo coi tempi. Scrive Venditti: «Tutti si

sentono orgogliosi per una così grande realizzazione, ma nel

contempo anche sbalorditi e quasi impauriti nel constatare la

potenza di quella macchina infernale, che riesce a trainare a

quella velocità tre enormi vagoni, e per di più carichi di gente».

Oltre la Magliana, il mare

Non essendo ancora del tutto rifinita la Stazione di

Porta Portese, la cerimonia di inaugurazione avviene vicino

alla stazioncina della Magliana. Racconta lo studioso locale

Emilio Venditti: «Pio IX invia un suo delegato a portare un

messaggio di congratulazione per questo nuovissimo e

rivoluzionario impianto. La cerimonia solenne della

benedizione della ferrovia è impartita dal rappresentante

papale, proprio lungo il tratto di strada ferrata che attraversa

la Magliana, alla presenza di una grande moltitudine di

romani. I cronisti descrivono il compiacimento delle autorità

capitoline e di tutta la popolazione per tale grande opera, che

permette di raggiungere comodamente Civitavecchia in due

ore e mezzo soltanto».

È soprattutto un successo della borghesia romana,

che è lo sponsor morale dell‟impresa ferroviaria. «I primi

passeggeri - riporta Venditti - sono le autorità cittadine: gli

uomini in scoppettoni e le donne in crinolina, precisa il

cronista dell’epoca, per sottolineare il rango e l’eleganza di

quei primi fortunati viaggiatori».

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Nel popolino invece, si fa strada l‟idea di un altrove

rispetto alla Magliana, legato alla città che precede e al mare

che segue. Si viene così a costruire, con la ferrovia, una

geografia del cuore negli abitanti della contrada, che può

riassumersi in questo detto: «Cosa c’è oltre Roma?

Trastevere. Cosa c’è oltre Trastevere? La Magliana. E cosa c’è

oltre la Magliana? Il mare». Il mezzo per uscire da sé è una

corsa in treno, a folle velocità. Scrive Venditti: «Uno dei

desideri più vivi del popolino in quel periodo è quello di poter

salire sul treno, e fare un viaggetto fino al mare di

Civitavecchia a folle andatura sulla strada ferrata».

Ma «la doccia fredda - continua - i romani l’ebbero

quando vennero a sapere che il biglietto per Civitavecchia

costava 9 lire e 60 centesimi in prima classe, e 6 lire in

seconda classe. E che inoltre, per prendere il treno, occorreva

l’autorizzazione dell’Offizio Passaporti, mentre, se si rimaneva

fuori la notte, occorreva fare anche una suppletiva

dichiarazione giustificativa. In altre parole, recarsi a

Civitavecchia equivaleva quasi ad andare all’estero. Erano i

tempi in cui a Roma al tramonto venivano chiuse le porte di

ingresso alla Città, e chi faceva tardi la sera doveva aspettare

il giorno seguente per rientrare. Questa, sembra incredibile, è

storia di appena cento anni fa».

Ai nostri concittadini di un secolo fa non rimaneva

quindi che godersi il sogno di un viaggio solamente

immaginato, attendendo su un prato il transito del treno: «È

curioso ricordare - scrive Venditti - come i romani del secolo

scorso, per assistere al passaggio di una locomotiva con tre

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carrozze, facevano a piedi chilometri di strada, si

accampavano per tempo sul prato con moglie e ragazzini, e

aspettavano ansiosi di godersi lo straordinario spettacolo del

ciuff-ciuff del treno, consumando felici la merenda fatta di

pane, cicoria e caciotta, accompagnata dall’immancabile

fiaschetto di vino bianco. Era un’altra epoca. Lo stress non si

conosceva ancora».

La diramazione di Ponte dell’Industria

Con l‟apertura delle corse regolari per Civitavecchia

l‟impresa ferroviaria non è terminata, anzi è solo al suo

esordio.

La costiera nord è infatti la prima delle tre tratte che

compongono l‟ambizioso progetto di Pio IX di una Linea

Centrale a servizio della Capitale pontificia. Mentre i primi

treni raggiungono Civitavecchia, ci sono infatti in piedi altri

due alacri cantieri, per l‟apertura di altrettante nuove tratte:

la costiera sud fra Roma e Anzio, e la lunga e impegnativa

tratta interna per collegare Roma con Ancona. Proprio la

realizzazione di quest‟ultima tratta, per le mille difficoltà,

assumerà i contorni di un‟epopea - tra arditissimi viadotti

appenninici arditissimi e improvvisi tumulti garibaldini - e

non sarà completata che nel 1866, quando Ancona è già una

città piemontese.

In quel periodo i computisti di Pio IX fanno presente

al pontefice l‟esistenza di un serio problema, di carattere

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ferroviario e militare insieme. Si era deciso infatti di non fare

entrare le ferrovie direttamente in città, attestandole fuori

dalle mura, nel timore che il treno avrebbe potuto portare

con sé, fin dentro l‟abitato, anche ciurme di invasori

travestiti da viaggiatori. Ma avere i capolinea delle tratte

fuori porta, insieme al vantaggio difensivo, porta l‟indubbio

handicap che le tre tratte della Linea Pio Centrale sono

scollegate fra di loro.

Non si sa bene di chi sia stata l‟idea, fatto sta che si

fa largo in quel periodo l‟idea di un Anello ferroviario, che,

girando intorno alla città senza entrarvi, intercetti i

capolinea delle tre tratte, raccordandole finalmente in

un‟unica linea.

Si aprono i cantieri e il primo tratto dell‟Anello vede la

luce nel 1863, ed ha la forma tecnica di una diramazione. La

diramazione si innesta sulla costiera nord per Civitavecchia

poco prima del capolinea di Porta Portese, dove oggi c‟è

piazza Ampère. La diramazione attraversa piazzale della

Radio e poi prosegue su via Pacinotti, superando il fiume

Tevere sul nuovo e avvenieristico Ponte dell‟Industria,

costruito per l‟occasione, in tempi record e interamente con

componenti prefabbricate in ferro e ghisa.

Nel punto di bivio tra la tratta principale e la

diramazione viene realizzata una stazioncina di

smistamento, chiamata Roma San Paolo.

La Dorsale Tirrenica

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332

Tra il 1864 e il 1867 la linea per Civitavecchia è

prolungata fino a Orbetello, dove si innesta con le ferrovie

toscane.

Nel 1867, quando ormai l‟Italia è quasi fatta, e il

Papato è accerchiato dentro i confini del Lazio, la rete

ferroviaria di Pio IX può dirsi praticamente completa, e

rimane solo da realizzare la linea per Firenze, al cui

completamento peraltro non manca molto.

A Roma entra in servizio la Stazione Termini, che è il

grande capolinea di tutte le linee ferroviarie di Pio IX.

Arrivano a Termini treni non solo quelli provenienti da

Frascati, ma anche quelli provenienti da Orbetello (in

Toscana), da Ceccano (in Ciociaria), da Orte (Alto Lazio),

dove si incontrano le linee toscane e quelle provenienti da

Ancona.

La linea costiera nord di Pio IX viene in seguito

prolungata fino a Pisa ed è oggi chiamata Ferrovia Tirrenica,

o, tra gli addetti ai lavori, Dorsale Tirrenica, poiché

rappresenta una delle principali direttrici della Rete

Ferroviaria Italiana. Misura 312 km e termina a Livorno,

dopo aver attraversato la costa nord del Lazio e l‟intera costa

toscana.

È gestita da RFI, è a doppio binario.

La diramazione di Fiumicino

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333

La diramazione Ponte Galeria - Fiumicino è una breve

tratta ferroviaria, che congiunge lo snodo sulla Via Portuense

con il mare (il porto), l‟aeroporto e l‟abitato di Fiumicino.

La sua storia, breve ma ricca di avvenimenti, è

strettamente legata alla storia della tratta costiera-nord della

Linea Pio Centrale, tra Roma e Civitavecchia.

Fin dall‟apertura al pubblico, il 16 aprile 1859, viene

notato che è possibile realizzare una diramazione che

raggiunga la foce del Tevere, lunga appena una decina di

chilometri. Il costo di costruzione si presenta davvero

contenuto: si tratta infatti di una piana alluvionale in cui

non ci sono ostacoli naturali (è possibile realizzare una linea

completamente in rettilineo, con appena una leggera

pendenza del 5‰ sulla percorrenza finale, vicino al mare).

Per giunta la proprietà dei terreni è in gran parte pubblica.

Si apre il cantiere, e la nuova tratta viene aperta al

pubblico il 6 maggio 1878.

La percorrenza complessiva è di 10,4 km. La

diramazione è a binario unico (il raddoppio arriverà solo nel

1961).

La diramazione inizia alle spalle della Stazione di

Ponte Galeria e l‟arrivo è nella città di Fiumicino. Qui viene

edificata una stazione.

C‟è una sola fermata intermedia, presso l‟antico

abitato di Porto, in aperta campagna (nel 1961 sarà

trasformata in stazione).

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334

La linea è dotata anche di un breve collegamento di

0,7 km tra la città di Fiumicino e il Portocanale, lungo le

banchine commerciali alla foce del Tevere, sul ramo

artificiale di Isola Sacra.

Lo studioso di storia ferroviaria Omar Cugini ha

rinvenuto il primo orario di servizio della Linea Roma-

Fiumicino (che utilizza la diramazione di Ponte Galeria). La

linea è servita da due coppie di treni giornaliere, in partenza

alle 7,05 e alle 17,05 da Roma Termini, e alle 9,50 e alle

18,45 da Fiumicino. Il tempo di percorrenza è di 34 minuti.

Nel corso degli anni il traffico commerciale tra il

Portocanale e Roma si rivela comodo e fiorente, al punto che

lo scalo merci si rivela insufficiente. Sotto il fascismo, nel

1927, lo scalo merci viene trasformato in stazione e prende il

nome di Fiumicino Portocanale.

Il 14 novembre 1938 la linea viene completamente

elettrificata. Scrive Omar Cugini: «Sono gli anni di massimo

splendore, sia per il traffico passeggeri che per quello merci:

infatti oltre al Portocanale è presente tutta una serie di

raccordi per collegare le allora numerose industrie presenti

nella zona».

Gli interventi per il nuovo aeroporto

Le devastazioni della guerra interessano solo

marginalmente la linea, che nel Dopoguerra torna subito in

servizio. C‟è un calo del traffico merci, dovuto al fatto che

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335

comincia ad essere più conveniente trasportare su gomma,

anziché su rotaia. Ma al Portocanale è ancora possibile

assistere ad un discreto movimento, e alle manovre degli

automotori del Gruppo 211 tra le rotaie della stazione

fluviale.

La linea, essendo strutturata in un lungo rettifilo, è

una delle prime a passare al servizio navetta: i treni

reversibili E 626 a telecomando parziale possono correre in

entrambe le direzioni senza dover fare ad ogni capolinea le

complesse operazioni di inversione della motrice su binari di

servizio. E la linea ne risulta ora comoda e veloce.

L‟apertura, sul finire degli Anni Cinquanta, del nuovo

Aeroporto internazionale Leonardi Da Vinci, è l‟inizio per la

Linea Roma-Fiumicino di una seconda vita. Nel 1961 si

decidono tre interventi: il raddoppio del binario su tutta la

linea; il potenziamento della fermata di Porto e la

trasformazione in stazione, per servire il nuovo Aeroscalo

internazionale; il miglioramento del percorso, costruendo un

raccordo all‟altezza della fermata di Porto.

Il primo intervento viene realizzato agevolmente: la

linea si dota del secondo binario, rendendo possibile il

simultaneo passaggio di due treni, e quindi il raddoppio del

traffico passeggeri. Sulla linea transitano ora le moderne

vetture ALe801/940.

Anche il secondo intervento riesce, e la fermata di

Porto diventa una moderna stazione con ben 4 binari. Ma i

risultati in termini di aumento del traffico passeggeri non

sono quelli sperati. Scrive Omar Cugini: «Nelle intenzioni

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336

delle FS questa stazione avrebbe dovuto servire i passeggeri

diretti all’Aeroporto. In realtà non servì praticamente a

nessuno, essendo posta a circa 3 km dagli ingressi

aeroportuali. La gente, invece di servirsi del servizio

ferroviario, affidato ormai alle ALe801/940, preferì continuare

a servirsi degli autoservizi in partenza dal primo Air Terminal

di via Giolitti, vicino la Stazione Termini».

La costruzione dell‟aeroporto non incide insomma

sulla vita tranquilla della linea per Fiumicino: linea merci e

passeggeri insieme. Così il terzo intervento, «il raccordo,

nonostante si mostrasse privo di particolari problemi di

realizzazione, essendo la zona ancora in aperta campagna,

non viene mai realizzato».

Negli anni Settanta il traffico merci cala, fino quasi a

scomparire, perché ormai si trasporta tutto su autostrada:

scompaiono molte industrie della zona e la Stazione

Portocanale perde di importanza fino a tornare fermata e

diventare il set decadente e sinistro di molti film di

terz‟ordine. La linea però ha ancora un discreto successo

come linea balneare: tanto traffico passeggeri nella stagione

estiva, e un traffico passeggeri limitato ai soli pendolari di

Fiumicino, una cittadina con meno di cinquantamila

abitanti. Mantenere impiedi la linea per l‟Aeroporto è una

questione di immagine, ma nel frattempo anche le FS

declassano la stazione dell‟Aeroporto a semplice fermata.

I dirigenti delle Ferrovie studiano varie ipotesi di

rilancio, e tornano a lavorare al progetto di un raccordo per

superare i 3 km che separano la ferrovia dall‟Aeroporto.

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337

Intanto il traffico merci cala ancora, tanto che nel settembre

1989 la fermata di Portocanale viene definitivamente chiusa.

Il passante di Maccarese

In occasione dei Mondiali di calcio, che si tengono nel

1990 in Italia, tutta la rete ferroviaria romana è soggetta ad

un ammodernamento e ad un ripensamento delle

percorrenze. Si fa strada l‟idea di separare la Dorsale

Tirrenica dai collegamenti per l‟Aeroporto, costruendo un

passante, a nord della tratta esistente su cui deviare la

Dorsale.

L‟opera viene aperta al traffico ferroviario il 25 maggio

1990 e prende il nome di Passante Trastevere-Maccarese. Si

tratta di un piccolo raccordo ferroviario che sostituisce la

percorrenza Trastevere-Maccarese via Ponte Galeria, nel

quadrante sud-ovest, con una percorrenza più breve, che da

Trastevere raggiunge direttamente Maccarese (al km 34,200),

passando per la Stazione Aurelia, nel quadrante ovest.

Il vecchio ramo Trastevere-Maccarese via Ponte

Galeria rimane in funzione per la linea merci, a transito

prevalentemente notturno.

Il passante Roma-Maccarese via Aurelia, avendo

separato la Roma-Fiumicino dalla Linea Tirrenica, rende

obsoleta la Stazione San Paolo, che, avendo perduto la

funzione primaria di regolare gli scambi in diramazione

subito prima di Trastevere, viene avviata allo

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338

smantellamento. In quest‟anno dunque lo snodo di

Trastevere cessa di essere stazione di diramazione per

diventare stazione passante (i treni in transito possono

attraversarla senza dover fermare in stazione), e quindi

tecnicamente Trastevere cessa anche di essere uno snodo.

Nello stesso anno avviene la fusione operativa della

Stazione Trastevere con la vicina Stazione Ostiense, in riva

sinistra, dove vengono concentrate le operazioni di

smistamento dei binari: pur mantenendo per il pubblico due

distinte denominazioni (Trastevere e Ostiense) le due stazioni

sono da quest‟anno una super-stazione, dislocata sulle due

sponde del fiume e collegata da moderne interconnessioni.

Così è ancora oggi.

Per la linea Roma-Fiumicino l‟occasione di rilancio

arriva con i Mondiali di calcio di Italia 90. Per quell‟anno

l‟evento sportivo internazionale prevede un ingente arrivo di

visitatori da ogni parte del mondo, e il collegamento della

ferrovia con l‟Aeroporto torna ad essere una priorità.

Si trovano i fondi e viene approvato un progetto - che

in verità lascia perplessi molti progettisti - di un

avvenieristico Air Terminal nell‟area dell‟ex Scalo merci

Ostiense.

Il 27 maggio 1990, appena in tempo per il fischio

d‟inizio dei giochi, viene inaugurato il raccordo, lungo 3,2

km, pendenza 14‰, interamente costruito in viadotto, che

porta la ferrovia fin dentro l‟Aeroporto, con la nuova Stazione

Fiumicino Aeroporto realizzata al 1° piano del Fabbricato Voli

internazionali, al km 31,400. All‟inizio della diramazione

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339

viene creato uno scalo tecnico, chiamato Bivio di Porto, che

viene telecomandato dalla stazione di Fiumicino Aeroporto.

La vecchia fermata di Porto viene definitivamente chiusa.

Il 1990 è l‟anno di gloria della Linea Roma-Fiumicino,

fiore all‟occhiello dell‟Italia, quinta potenza economica

mondiale. La linea è servita da vetture ALe601 con il logo

Alitalia e i tre colori della bandiera nazionale. Si creano per

l‟occasione due linee ferroviarie speciali dirette, ribattezzate

voli di sperficie: la Firenze-Fiumicino e la Napoli-Fiumicino,

con i primi treni ETR 500, quattro volte al giorno.

La FR1 e il Leonardo Express

Durante i Mondiali di calcio di Italia 90 vengono

occasionalmente create delle corse prolungate della

Fiumicino-Air Terminal Ostiense, che proseguono,

sfruttando l‟anello ferroviario urbano, fino a Stazione

Tiburtina, secondo snodo ferroviario di Roma.

È probabilmente in questa circostanza che si fa

strada l‟idea di recuperare l‟ormai obsoleta rete ferroviaria

urbana di Papa Pio IX, trasformandola in una moderna

metropolitana di superficie, sul modello della RER francese.

Ci si accorge così che, facendo correre nuovi treni, più agili,

sui tracciati di più linee diverse, si possono creare nuove

linee urbane capaci di assorbire un grande numero di

viaggiatori. Questo progetto, che prende il nome di cura del

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340

ferro, ha avuto tra i suoi più accesi sostenitori l‟allora

sindaco di Roma Francesco Rutelli.

Nasce così, nel 1993, la prima linea FM1 (dove FM sta

per ferrovia metropolitana), che collega stabilmente la

Stazione Tiburtina con l‟Aeroporto di Fiumicino,

attraversando l‟intera città da nord-est a sud-ovest.

Successivamente la linea, innestandosi sulle ferrovie

regionali, viene prolungata fino a Fara Sabina, divenendo

FR1 (dove Fr sta per ferrovia regionale).

Nel 1999 entrano in servizio sulla FM1 i primi TAF,

Treni ad Alta Frequentazione (composti di Ale 426/506 +

Le739; prima insieme alle ALe801/940, e poi prendendone il

posto).

Sempre nel 1999 viene creato un nuovo servizio,

chiamato no-stop Termini-Fiumicino Aeroporto (oggi

Leonardo Express), trainati dalle nuove locomotive E464

(E464 + carrozze UIC appositamente ristrutturate), in

precedenza affidati ai complessi di ALe841.

Sulla FR1 l‟offerta tipica è di 4 treni l‟ora: di essi due

seguono la percorrenza breve Aeroporto-Fara Sabina; il terzo

è prolungato fino a Poggio Mirteto; il quarto è ulteriormente

prolungato fino ad Orte.

Esiste infine un servizio speciale diretto Roma-

Aeroporto, chiamato Leonardo Express. In un primo tempo il

servizio partiva dall‟Air Terminal di Roma Ostiense. Oggi il

servizio parte da Roma Termini.

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341

In attesa del Giubileo

Ma l‟euforia mondiale di Italia 90 dura poco, il tempo

di una festa.

Spostata la direttrice principale sul nuovo raccordo

per l‟Aeroporto (dove fa capolinea il maggior numero di treni),

la vecchia percorrenza per l‟abitato urbano di Fiumicino

diventa un ramo secco, utile soltanto per la stagione del

mare. La stazione urbana di Fiumicino, per distinguerla

dalle altre stazioni dell‟area, viene ribattezzata Fiumicino

Paese.

Nel 1994 l‟innovativo metodo della stazione

telecomandata, già sperimentato allo scalo tecnico di Bivio di

Porto, viene esteso anche alla stazione di Fiumicino Paese,

dove viene soppresso anche il servizio di biglietteria.

Nel 1994, con l‟attivazione della linea FM1, i servizi

per Fiumicino Città si attestano all‟Air Terminal della

Stazione Ostiense.

I servizi Alitalia per i Mondiani vengono soppressi

appena quattro anni dopo la loro istituzione, nel 1994.

Riporta Omar Cugini che sulla linea corrono treni

ALe801/940 e i complessi di E646 + carrozze a piano

ribassato.

Nel 1995 arrivano i primi moderni complessi ALe841,

nella tratta diretta tra Roma Termini e Fiumicino Aeroporto.

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Intorno al 1994-95 l‟Air Terminal viene chiuso al

traffico e i treni per Fiumicino Città seguono le sorti

dell‟FM1, attestandosi a Fara Sabina, capolinea della FM1,

con un‟offerta di un treno ogni ora.

Il grande Giubileo dell‟anno Duemila sarà l‟occasione

per nuovi cambiamenti sulla linea.

I nuovi asset regionali

Nel 1999 è insomma ormai chiaro che la direttrice

principale della linea è quella per l‟aeroporto, e la

percorrenza per Fiumicino Paese è ormai un ramo secco. In

quegli anni i tecnici delle FS valutano la soppressione della

linea per Fiumicino Paese.

Un aneddoto popolare vuole che sul finire del 1999 le

Ferrovie abbiano deciso di testare gli effetti del cosiddetto

Millennium Bug sulla rete ferroviaria, prendendo in esame

proprio l‟area di Fiumicino Paese. La Ferrovia viene

interrotta per molti giorni e si comincia a pensare che in

realtà si tratti delle prove generali della chiusura della linea.

Non si sa quanto c‟è di vero in questo aneddoto; fatto sta che

la diramazione per Fiumicino Paese viene effettivamente

chiusa il 30 gennaio 2000, e al suo posto viene istituito un

autobus per Ponte Galeria, alla frequenza di 15 minuti.

Mentre viene annunciata, l‟imminente realizzazione di una

nuova stazione in corrispondenza del Bivio di Porto (che non

verrà mai realizzata).

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L‟area della vecchia stazione viene destinata dal

Comune di Fiumicino alla nuova piazza di fronte alla nuova

sede municipale, ma per qualche tempo la linea viene

mantenuta armata, in attesa di trovare una buona idea sul

da farsi per rilanciare i trasporti della cittadina.

Ma inevitabilmente, sulla tratta non più utilizzata,

inizia il degrado.

C‟è qualche protesta dei pendolari, ma nel complesso

nulla si muove.

Nel 2002 c‟è un bel progetto, promosso da

associazioni ambientaliste, per recuperare la vecchia

stazione di Porto facendone la porta di accesso all‟area

archeologica di Porto. Ma non se ne fa nulla. Intanto anche i

deviatoi di Bivio di Porto vengono sostituiti da un semplice

posto di comunicazione, telecomandato dalla stazione di

Fiumicino Aeroporto.

Nel 2003 si fa avanti l‟ANAS, che presenta un progetto

di recupero del sedime ferroviario per trasformarlo in una

carreggiata stradale. Ma nemmeno qui se ne fa nulla.

C‟è un altro bel progetto per la realizzazione di un

tram locale sulla ex linea ferroviaria. Idem come sopra.

E intanto la vegetazione si impadronisce dei binari.

Nel frattempo RFI rimuove l‟elettrificazione e disattiva

gli apparati di stazione.

Nel 2003 si parla di un progetto di riattivazione della

linea, a servizio del Porto di Fiumicino. Ma la notizia è di

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poco successiva e contrastante con un‟altra notizia che dice

che Ferservizi, società immobiliare delle Ferrovie, avrebbe

messo in vendita le aree in blocco.

A distanza di anni anche il Bivio di Porto viene

smantellato.

Nel 2005, al km 26,800, viene realizzata la nuova

stazione di Parco Leonardo.

Nel 2007 arriva la parola fine: il Comune di

Fiumicino, proprietario dell‟area della Stazione di Fiumicino

Paese la vende ad un consorzio di costruttori, che decide per

la demolizione e la costruzione, al suo posto, di una nuova

area residenziale.

Attualmente i collegamenti con Fiumicino Paese sono

assicurati da bus CotraL diretti a Roma, e bus navetta per

l‟Aeroporto e la Stazione Parco Leonardo della FR1.

Simile è l‟offerta tipica sulla FR3, con 4 treni l‟ora:

due di essi svolgono la percorrenza breve Ostiense-Cesano; il

terzo è prolungato fino a Bracciano; il quarto è ulteriormente

prolungato fino a Viterbo Porta Fiorentina.

Sulla FR5 l‟offerta tipica è di 2 treni l‟ora, che coprono la

tratta Termini-Civitavecchia.

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Rio Galeria

Abstract non disponibile.

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Rudere di Vigna Consorti

Il Rudere di Vigna Consorti è un casaletto rurale,

facente originariamente parte del complesso agrario dei

Casaletti del Trullo.

Tra gli edifici del complesso è quello che presenta maggiori

elementi di degrado.

E‟ segnalata la presenza di un vicino annesso agricolo

(Magazzino al Divin Maestro), studiato dalla Soprintendenza

ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda

inventariale 00970740A, Banchini R. - cat. Peixoto J.R.).

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Sommario

Fiera di Roma ................................................................ 3 Figlie del Crocifisso ........................................................ 5 Fontana di Pio IV ........................................................... 7

La Magliana della decadenza ......................................... 7 Fontana di Villa Bonelli ................................................. 15 Fontanile alla Serenella ................................................. 17 Fontanile Cantone ......................................................... 19 Fontanile Consorti-Jacobini .......................................... 21 Fontanile Cuccu ............................................................ 23 Fontanile Giombini ....................................................... 25 Forno al Fosso di Papa Leone ........................................ 27 Forte Magliana .............................................................. 29 Forte Portuense............................................................. 31

Il Casale degli Irlandesi ................................................ 32 Breve storia delle difese di Roma .................................. 33 Come funziona Forte Portuense .................................... 33

Fosso della Magliana ..................................................... 35 Fosso di Affogalasino ..................................................... 37

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Fosso di Papa Leone ..................................................... 39 Fosso di Santa Passera ................................................. 41 Fosso Tiradiavoli........................................................... 43 Fratel Policarpo ............................................................ 45 Gamma ........................................................................ 47 Garitta monumentale.................................................... 49

Depretis e l’orribile 1876 ...............................................49 Genio militare ............................................................... 51

Giuseppe Testa, eroe partigiano ....................................51 Gesù Divino Lavoratore................................................. 53

La Cappella di Pietra Papa ............................................54 Il campanile ...................................................................55

Giardino dei frutti perduti ............................................. 57 Greentower ................................................................... 59 Grotte delle Fate ........................................................... 61

Martesilvano, dio della frontiera ....................................61 Grottoni ....................................................................... 63

Il dibattito è aperto ........................................................64 Felice, martire con Adautto ............................................65 Le reliquie, in giro per l’Europa ......................................66

Idroscalo del Littorio ..................................................... 69 Idrovore di Ponte Galeria............................................... 71 Imbarco dei Papi ........................................................... 73

Sisto IV, primo papa della Magliana ..............................73 Ipogeo di Santa Passera ................................................ 77

Dike e l’Età dell’oro ........................................................78

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Israelitico ...................................................................... 81 Istituto dei Paolini ......................................................... 83

La Famiglia Paolina ...................................................... 83 Istituto della Divina Volontà .......................................... 87 Istituto Vigna Pia .......................................................... 89 La Meridiana ................................................................. 91

Il Quartier generale dei Francesi ................................... 92 La Pisana ...................................................................... 95 La Salle......................................................................... 97 La Serenella .................................................................. 99 La Vignarola ............................................................... 101 Le Mantellate .............................................................. 103 Le Turchine ................................................................ 105 Maccaferri ................................................................... 107

I cancelli componibili Magliana ................................... 108 Madonna di Pompei..................................................... 111

Madonna di Pompei, bene storico artistico .................. 111 Cari saluti da Magliana .............................................. 113

Magazzini romani alla Mira Lanza................................ 115 Magazzini romani di Parco dei Medici .......................... 117 Magliana Nuova (zona urbanistica) .............................. 119

Notizia storica ............................................................. 120 Inquadramento urbanistico ......................................... 121 Miscellanea ................................................................. 121

Magliana Vecchia (zona urbanistica) ............................ 123

Miscellanea ................................................................. 124

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Mansio di Pozzo Pantaleo ............................................ 125 La sosta dei viandanti ................................................ 126

Marconi (zona urbanistica) .......................................... 127

Notizia storica ............................................................. 128 Notizia urbanistica ...................................................... 129 Miscellanea................................................................. 130

Martiri Portuensi ........................................................ 131 Mater Divinae Gratiae ................................................. 133 Mira Lanza, lotto del 1918 .......................................... 135 Mira Lanza, lotto del 1924 .......................................... 137 Mira Lanza, lotto del 1947 .......................................... 139 Mulini Biondi ............................................................. 141 Murature romane di viale Marconi .............................. 143 Necropoli alla Mira Lanza ............................................ 145 Necropoli di Ponte Galeria ........................................... 147

L’uomo senza sorriso di Malnome ............................... 147 Necropoli di via Blaserna ............................................ 149 Necropoli di viale Marconi ........................................... 151 Necropoli di Vigna Pia ................................................. 153

La Tomba di Atilia ...................................................... 154 Il Colombario di Vigna Pia .......................................... 155

Necropoli preistorica ................................................... 157

Usi funerari portuensi ................................................. 157 Necropoli protostorica ................................................. 161 Nostra Signora del Sacro cuore ................................... 163 Nostra Signora di Valme ............................................. 165

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Wojtila, elogio del chiasso ........................................... 166 Nuovo Corviale ............................................................ 169 Opera Don Guanella ................................................... 171 Oratorio Damasiano .................................................... 173 Oratorio del Divin Maestro .......................................... 175 Orti di Cesare ............................................................. 177

Caio Giulio, il tiranno .................................................. 178 Cleopatra, amante portuense ...................................... 180 Calpurnia, la nobile rivale ........................................... 182 Alla corte di Cleopatra ................................................ 183 Cicerone e la beffa dei papiri ...................................... 185 La notte che piansero i cavalli ..................................... 185

Palatium Sancti Johannis ........................................... 187 Palazzetto di Innocenzo VIII ......................................... 189

Innocenzo VIII, cacciatore di streghe ........................... 189 Papiliones ................................................................... 191 Parco del Tevere .......................................................... 193 Piana di Affogalasino ................................................... 195

Papa Alessandro e la gran bombarda ......................... 195 Piazza d‟Armi .............................................................. 197 Pietra Papa ................................................................. 199

I Prati dei Papa ........................................................... 200 Piscina dei Rospi ......................................................... 203 Polveriera .................................................................... 205 Ponte dei Congressi ..................................................... 207 Ponte dei Francesi ....................................................... 209

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Ponte dell‟Aeronautica ................................................ 211 Ponte dell‟Industria..................................................... 213

Ponte di ferro .............................................................. 214 Ponte San Paolo .......................................................... 215 Le donne di Ponte di ferro ........................................... 216

Ponte della Magliana ................................................... 219 Ponte della Scienza ..................................................... 221 Ponte di Mezzocammino .............................................. 223 Ponte esterno sul GRA ................................................ 225 Ponte Galeria (zona urbanistica) .................................. 227

Il Megaceronte di Ponte Galeria .................................. 228 Miscellanea................................................................. 230

Ponte Marconi ............................................................ 231

L’imbarco di Ponte Marconi ......................................... 232 I lucchetti dell’amore ................................................... 233

Ponte mediano sul GRA .............................................. 235 Ponte Morandi ............................................................ 237

La frana del 28 giugno 1965 ...................................... 238 Ponte romano di Parco dei Medici................................ 241 Ponte sul Fosso della Magliana ................................... 243 Portale del Castelletto ................................................. 245 Portale di Via Portuense 809 ....................................... 247 Portale di vicolo del Conte ........................................... 249 Portale Forlanini ......................................................... 251

L’Ospedale polivalente ............................................... 252 I coniugi Monaco, eroi partigiani ................................. 253 Tum tum tum, qui Radio Londra ................................. 255

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Portale Pantalei ........................................................... 259 Portale Spallanzani ..................................................... 261 Porto fluviale ............................................................... 263 Portuense (zona urbanistica) ....................................... 265

Miscellanea ................................................................. 266 Pozzo Pantaleo ............................................................ 267

La chiesina di San Pantaleone .................................... 268 Pozzo Pantaleo medievale ............................................ 271 Pratorotondo ............................................................... 273 Presunta Prigione del Popolo ....................................... 275

Il Rapimento Moro ....................................................... 276 Lettere dalla Prigione del popolo ................................. 277 L’Italia piange Moro .................................................... 278

Quartiere d‟Armi ......................................................... 281

Lettere dal Forte 1920-1956 ....................................... 281 Rectaflex ..................................................................... 283

La fabbrica Rectaflex .................................................. 283 Un incidente di percorso.............................................. 286 Italia-Germania, guerra a distanza ............................. 290 Alti e bassi del 1951 ................................................... 294 La fabbrica perfetta .................................................... 297 La commessa militare americana ................................ 301 Signori, si chiude ........................................................ 305 Le ultime meraviglie Rectaflex ..................................... 310 Oltre le Alpi, il colpo di coda ........................................ 315 Descrizione architettonica ........................................... 319

Rete ferroviaria portuense ........................................... 321

Il Diavolo viaggia in treno ............................................ 321 Pio IX, il papa ferroviere .............................................. 323 La costiera nord Roma-Civitavecchia .......................... 326 Oltre la Magliana, il mare ........................................... 328 La diramazione di Ponte dell’Industria ....................... 330 La Dorsale Tirrenica .................................................... 331

Page 356: Arvalia F-R

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La diramazione di Fiumicino ....................................... 332 Gli interventi per il nuovo aeroporto ............................ 334 Il passante di Maccarese ............................................ 337 La FR1 e il Leonardo Express ..................................... 339 In attesa del Giubileo .................................................. 341 I nuovi asset regionali ................................................. 342

Rio Galeria ................................................................. 345 Rudere di Vigna Consorti ............................................ 347

Sommario ....................................................................... 349