Arvalia F-R
-
Upload
arvalia-storia-archivio-storico-portuense -
Category
Documents
-
view
248 -
download
7
description
Transcript of Arvalia F-R
1
ARVALIA
F-R
Atlante dei beni culturali del Municipio Roma
XV Arvalia-Portuense. Parte II
Antonello Anappo
Municipio Roma XV - Arvalia Portuense
2
© 2013 - Municipio Roma XV Arvalia-Portuense
Pubblicato il 1° gennaio 2013. Hanno collaborato: Andrea Di Mario e
Moena Giovagnoli. Sito web: www.arvaliastoria.it
3
Fiera di Roma
Abstract non disponibile.
4
5
Figlie del Crocifisso
Abstract non disponibile.
6
7
Fontana di Pio IV
Abstract non disponibile.
La Magliana della decadenza
(1). L‟epoca d‟oro della Magliana, il tempo felice di
Papa Giulio, di Papa Leone e di Raffaello, era ormai finito.
Eppure per tutto il Cinquecento il fascino del Castello della
Magliana continuò ancora a destare l‟interesse e
l‟emulazione dei papi. Pio IV (1559-1565) fece delle aggiunte,
che marcò con le sue insegne: risale al suo pontificato la
deliziosa fontana nella corte interna. Sisto V (1585-1590)
fece dipingere alcune stanze rimaste prive di decorazioni. Il
Rinascimento, fino all‟estremo limite della decadenza, lasciò
1 Estratto da “Raphaël à Magliana”, di A. Gruyer (1873).
8
dunque tracce profonde in questo luogo, insieme profano e
di raccoglimento, caro per oltre cento anni ad una ventina di
papi.
Il Seicento aprì il Papato ad un‟era di declino e di
sudditanza politica, e relegò il Castello della Magliana in un
ruolo di maggiore austerità. Impossibilitati ormai a fare la
guerra, i papi smisero di colpo anche di andare a caccia. In
breve, la Magliana non ebbe più ragione di esistere! Da
Clemente VIII in poi la tenuta cominciò anche ad essere
trascurata dal punto di vista agricolo; meno di un secolo
dopo l‟abbandono fu completo.
Così completo che la Camera Apostolica ne alienò la
proprietà alle Monache di Santa Cecilia. E da allora la rovina
regnò sovrana. La Magliana, divenuta per il Convento
d‟Oltretevere una comune proprietà di campagna, fu
consegnata ai fattori, che non si diedero alcuna cura dei beni
improduttivi. La decadenza si consumò senza destare la
benché minima preoccupazione.
Si continuò - solamente - ad officiare la messa
nell‟antica cappella papale. Orbene, chi avrebbe dovuto fare
da guardiano ai dipinti contenuti nella Cappella, fu per uno
di essi causa di definitiva rovina. Parliamo del fattore Vitelli,
titolare di un banco riservato all‟interno della Cappella: nel
1830, per accedervi direttamente senza dover mischiarsi con
il personale agricolo di rango inferiore, si fece aprire una
porta dai suoi appartamenti alla Cappella, bucando l‟affresco
del Martirio di S. Cecilia.
Più tardi furono le stesse monache che - avendo
9
bisogno di denaro e pensando a ragione che i lacerti degli
affreschi di Raffaello valessero una fortuna - li fecero
distaccare e portare su tela, per impegnarli al Monte di Pietà
di Roma. Qui ho avuto modo di esaminarli personalmente,
nel 1858. Dal Monte di Pietà, dove rimasero all‟incirca un
anno, i dipinti vennero spostati in una delle anticamere della
Basilica di Santa Cecilia in Trastevere.
Nel 1869, infine, il signor L. Oudry comprò i dipinti di
Raffaello e li portò in Francia, attraverso mille difficoltà
doganali e logistiche.
Al prezzo di quali sacrifici si compirono tutte queste
peregrinazioni? Lo stato attuale di questi dipinti ce lo dice
con fin troppa evidenza. Ma, prima di esaminare nel
dettaglio lo stato rovinoso in cui il tempo e gli uomini ci
hanno consegnato questi dipinti, occorre fare un passo
indietro.
Solo per un momento, dobbiamo tornare alla
Magliana del Cinquecento, alle splendide meraviglie di cui
abbiamo raccontato. In mezzo a questa campagna dalle dolci
increspature di una così austera armonia rimettiamo al suo
posto la bella e calma architettura del San Gallo, intatta e
senza alterazioni. Restituiamo ai terreni intorno al Castello le
ombreggiature di alberi oggi scomparsi. Torniamo ad
ascoltare, dalla corte interna, il brusio delle acque di fonte, e
ripercorriamo gli stessi passi di Papa Leone Medici.
Rimettiamo al loro posto, nelle camere, tutti i dipinti.
Restituiamo alle colonne tutti i loro arabeschi. Rimettiamo
insomma, ciascuno al suo posto, gli elementi che diedero
10
vita a questa meraviglia. Arriviamo persino a figurarci la
presenza fisica di quegli uomini del passato, così forti nel
carattere, così brillanti nella mente, così pomposi nei titoli
nobiliari. Compenetriamoci insomma dell‟atmosfera morale e
dell‟esprit du temps, della sua ingenuità, delle sue passioni,
delle sue convinzioni e del suo amore per la bellezza spinta
fin quasi alla superstizione.
Ecco, mentre i moti dell‟animo ci turbano, da fuori
entriamo nella piccola cappella, dove stretti intorno al Papa
rivediamo i più alti dignitari della Curia e della nobiltà
romana. Soprattutto, restituiamo a questa cappella i due
affreschi di Raffaello, rivestendoli della loro primitiva grazia,
la loro originale freschezza, la loro intatta bellezza...
Dopo esserci lasciati rapire da questa visione del
passato, ecco... ora, solo ora, apriamo gli occhi alla realtà di
oggi! Cadremo dall‟alto in basso. Ma saremo in grado, dalla
certezza di ciò che è, ricostruire ciò che fu (2).
Testo francese
Si les beaux jours... j‟allais dire les grands jours de la
Magliana... étaient passés avec Jules II, Léon X et Raphaël,
l‟attrait de cette résidence devait, jusqu‟à la fin du XVIe
siècle, solliciter encore la faveur et l‟émulation des papes. Pie
IV (1559-1565) y fit quelques additions qu‟il marqua de ses
2 Si ringrazia il Musée du Louvre di Parigi - Direction de la politique
des publics et de l‟éducation artistique - Médiathèque, per le preziose documentazioni e la cortese assistenza. Ricerche di Genevieve Ponge,
traduzione dal francese di Antonello Anappo.
11
armes; la charmante fontaine de la cour date de son
pontificat. Sixte-Quint (1585-1590) fit peindre aussi
quelques chambres restées sans décoration. La Renaissance,
jusqu‟aux extrêmes limites de sa décadence, a donc laissé
des traces profondes dans ce lieu tout à la fois profane et
recueilli, cher pendant plus de cent ans à une succession de
vingt papes...
Le XVIIe siècle, en ouvrant à la papauté une ère
d‟abaissement et de dépendance politiques, la contraignit à
une plus grande apparence d‟austérité. Les papes, mis
désormais dans l‟impossibilité de faire la guerre, renoncèrent
du même coup au plaisir de la chasse, et la Magliana n‟eut
plus de raison d‟être. Aussi, à partir de Clément VIII,
commença-t-elle à être délaissée. Moins d‟un siècle
après, l‟abandon fut complet.
Si complet que la Chambre pontificale se déchargea
de la propriété entre les mains des religieuses de Sainte-
Cécile. Dès lors, la ruine se mit de la partie. La Magliana,
devenue pour le couvent du Trastevere une simple propriété
de campagne, fut abandonnée à des fermiers qui ne prirent
nul souci des choses improductives, et la dégradation se fit
sans éveiller la moindre sollicitude.
Cependant, on continua jusqu‟à nos jours à dire la
messe dans l‟ancienne chapelle papale. Or, ce qui aurait dû
préserver les peintures de cette chapelle fut, pour l‟une
d‟elles, la cause d‟une ruine définitive. En 1830, le fermier
Vitelli, ne voulant point être mélé à ses domestiques, se
donna le luxe d‟une tribune spéciale, et, pour arriver à sa
12
tribune, fit percer une porte au beau milieu du Martyre de
sainte Cécile.
Plus tard, les religieuses elles-mêmes, ayant besoin
d‟argent et pensant avec raison avoir un trésor dans ce qui
leur restait des fresques de Raphaël, les firent transporter
sur toile pour les engager au Mont-de-piété, où nous les
avons vues à Rome en 1858. Du Mont-de-piété, où elles
restèrent près d‟un an, elles allèrent dans une des salles
d‟entrée de la basilique de Sainte-Cécile in Trastevere.
En 1869, enfin, M. L. Oudry en fit l‟acquisition et les
apporta en France à travers mille difficultés de douane et de
transport.
Au prix de quels sacrifices se firent toutes ces
pérégrinations? L‟état actuel de ces peintures le dit avec trop
d‟évidence. Mais, avant de regarder la ruine, telle que l‟ont
faite le temps et les hommes, reportons-nous un moment
par la pensée vers cette Magliana du XVIe siècle, toute
resplendissante de tant de merveilles fraîchement
écloses.
Au milieu de cette campagne aux ondulations d‟une si
austère harmonie, représentons nous la belle et calme
architecture, intacte et sans altérations, d‟un architecte tel
que San Gallo. Restituons, aux alentours de la villa, les
ombrages qui ne sont plus. Ecoutons, dans les cours, le
bruit des eaux jaillissantes amenées par Léon X.
Replaçons dans les chambres toutes les peintures,
sur les pilastres toutes les arabesques. Figurons-nous les
vrais maîtres de tous ces enchantements. Revoyons en
13
imagination tous ces personnages, si remarquables par le
caractère, si brillants par le costume, si pompeux par le
titre. Pénétrons-nous de l‟atmosphère morale et de l‟esprit
du temps, de sa naïveté, de ses passions, de ses
croyances et de son amour du beau poussé jusqu‟à la
superstition.
Tandis que les meutes s‟impatientent au dehors,
entrons dans la petite chapelle où se pressent autour du
pape les plus hauts dignitaires de la Chambre apostolique et
de la noblesse romaine. Rendons surtout à cette chapelle les
deux fresques de Raphaël en les parant de leur grâce native,
de leur fraîcheur originelle, de leur beauté première...
Après nous être laissé ravir par cette vision du passé,
rouvrons les yeux à la réalité contemporaine; nous
tomberons de haut, mais nous saurons, à l‟aide de ce qui
est, reconstituer ce qui fut.
14
15
Fontana di Villa Bonelli
Abstract non disponibile.
16
17
Fontanile alla Serenella
Il Fontanile alla Serenella è un‟opera idraulica
verosimilmente dell‟Ottocento, sita su una strada poderale
presso via della Serenella al Corviale.
Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale;
non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata
dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di
Roma (scheda inventariale 00599123A, Sacchi G. - cat.
Giampaoli-Fracasso).
18
19
Fontanile Cantone
Fontanile Cantone è un‟opera idraulica
verosimilmente dell XVII secolo, sita in via della Casetta
Mattei, 322, al Corviale.
Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale;
non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata
dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di
Roma (scheda inventariale 00599138A, Sacchi G. - cat.
Fracasso-Giampaoli).
20
21
Fontanile Consorti-Jacobini
Fontanile Consorti-Jacobini è un‟opera idraulica
verosimilmente dell‟Ottocento, sita nei pressi di vicolo del
Conte al Corviale.
Per quanto noto, la proprietà è privata e presenta
elementi di degrado; non è visitabile, non è visibile da strada.
È stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e
del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599126A,
Sacchi G. - cat. Fracasso-Giampaoli).
22
23
Fontanile Cuccu
Fontanile Cuccu è un‟opera idraulica verosimilmente
dell‟Ottocento, sita nei pressi di vicolo del Conte al Corviale.
Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale;
non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata
dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di
Roma (scheda inventariale 00599146A, Sacchi G. - cat.
Fracasso-Giampaoli).
24
25
Fontanile Giombini
Fontanile Giombini è un‟opera idraulica
verosimilmente dell‟Ottocento, sita nei pressi di vicolo del
Conte al Corviale.
Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale;
non è visitabile, non è visibile da strada. È stata studiata
dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di
Roma (scheda inventariale 00599147A, Sacchi G. - cat.
Fracasso-Giampaoli).
26
27
Forno al Fosso di Papa Leone
Il Forno al Fosso di Papa Leone è un complesso rurale
del XVIII secolo, sito in via Palaia, 201, al Portuense.
Per quanto noto, la proprietà è privata e presenta
elementi di degrado; non è visitabile, è visibile da strada. È
stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e
del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00970674A,
Banchini R. - cat. Tantini G.).
28
29
Forte Magliana
Abstract non disponibile.
30
31
Forte Portuense
Forte Portuense è un‟opera difensiva - circondata da
un fossato asciutto e con una polveriera esterna - facente
parte della cerchia dei 14 forti militari di Roma (Campo
Trincerato).
I lavori cominciano nel novembre 1877 - con lo
sbancamento della sommità di un‟altura naturale, la Collina
degli Irlandesi - e si concludono, dopo quattro anni di scavi e
modellamenti del terreno su una superficie di 4,5 ettari, alla
fine del 1881. Lo schema planimetrico è quello di un
poligono irregolare, chiamato in gergo militare a pianta
prussiana.
Il fronte di fuoco, orientato in direzione del mare,
misura circa 180 metri ed è costituito di due facce angolate,
con al vertice la Casamatta (struttura armata in cui si
concentra la potenza di fuoco). Nella parte interna del fronte
di fuoco, sormontato da terrapieni, si trova il Quartiere
32
d’armi (serie di camerate dai soffitti voltati, destinate ad
alloggiare le truppe). I due fronti laterali sono difesi da
casematte di minori dimensioni (Orecchioni). Il fronte di gola,
orientato verso la città, ospita la Garitta monumentale
(ingresso principale dal caratteristico portale bugnato) e la
Caponiera (fortificazione destinata alla difesa dell‟ingresso).
Dall‟ingresso si accede, attraverso un corridoio
voltato, ai corpi di guardia e ci si immette nella grande
Galleria anulare, anch‟essa voltata, che percorre l‟intero
perimetro del forte. Internamente la struttura si apre in una
Piazza d’armi.
Il Casale degli Irlandesi
Il toponimo Casale degli Irlandesi indica l‟altura, alle
spalle di largo La Loggia, scelta nel 1877 per l‟edificazione di
forte Portuense.
Nell‟estate di quell‟anno una commissione militare -
composta dal gen. Giovanbattista Bruzzo e da progettisti
genieri e artiglieri - ispeziona l‟altura una prima volta, e
dispone profondi modellamenti: lo sbancamento della
sommità, lo scavo degli spazi del forte al di sotto del piano di
sbancamento, e la formazione con i materiali di riporto di
una cintura di spalto artificiale scarpata rispetto il piano di
campagna, e infine la deviazione a valle di via Portuense, per
ostacolare un‟avanzata nemica.
La commissione torna al Casale una seconda volta a
33
distanza di pochi giorni, e visiona sul terreno il tracciato
delimitato da paletti. Approvato il progetto dal ministro della
guerra, gen. Luigi Mezzacapo, i lavori iniziano il 12 novembre
1877. La studiosa Francesca Ritucci ha rinvenuto un
carteggio da cui risulta un‟esecuzione regolare. Il 7 febbraio
1878 il gen. Cosenz invita Bruzzo: “Signor Generale,
desidererei ch‟ella vedesse…”.
A fine 1881 la collina ha l‟aspetto di un “tartaruga
corazzata”, da cui sporgono i soli piani di batteria, la
cannoniera e le lunette laterali. Le fortificazioni sono costate
733.000 lire.
Breve storia delle difese di Roma
Abstract non disponibile.
Come funziona Forte Portuense
Forte Portuense era preposto al controllo e alla difesa
dell‟area a sud sulla destra del Tevere, con la Stazione di
Trastevere e la linea ferroviaria per Civitavecchia, portata a
compimento pochi anni prima (1859), la Porta Portese
(distante 3,5 chilometri in linea d‟aria) e la Cinta bastionata
tra San Pietro e il Tevere. In quest‟area si era stabilito il
quartiere francese durante l‟assedio del 1849 e il paventato
nuovo assedio francese, una delle ragioni della realizzazione
34
del campo trincerato, era atteso proprio da Civitavecchia,
quindi proveniente da questa direzione.
Per ciò che riguarda la copertura propriamente detta
delle aree limitrofe, il fronte esterno batteva le alture allora
dette di Affoga l‟asino, di Santa Passera, delle Piche, del
Truglio e dei Prati di Tor di valle sulla sinistra del Tevere.
L‟artiglieria del fianco occidentale si traguardava con
quella del Forte Bravetta, distante circa 2 chilometri, e
copriva le alture del Casaletto, mentre quella del fianco
orientale teneva sotto controllo l‟area del Tevere in
collegamento con quella del Forte Ostiense, a sud-est.
35
Fosso della Magliana
Abstract non disponibile.
36
37
Fosso di Affogalasino
Fosso Affogalasino è un torrente (che in passato, per
la maggior portata d‟acqua era anche chiamato rio) che ha
origine nell‟Agro a Nord di Roma e si getta nel Tevere, come
affluente di destra, in prossimità del Trullo.
Il fantasioso nome deriverebbe da una disavventura
accaduta ad un povero ciuco, annegato nelle acque un
tempo impetuose del corso d‟acqua. Presso gli studiosi è
tuttavia popolare la suggestiva ipotesi che l‟etimo derivi dallo
spregiativo epiteto di «asini» con cui erano chiamati i primi
cristiani, e dalla consuetudine locale di dare loro il «martirio
per annegamento», gettandoli da un ponticello di pietra.
«Vige tradizione - scrive il Tomassetti - che, presso la
Magliana - ove l’avvallamento dimostra esservi stato un
piccolissimo lago fra i boschi dei Fratelli Arvali -, molti pagani,
convertiti al cristianesimo, vi fossero affogati. Per disprezzo
dei cristiani, creduti adoratori di un dio simboleggiato in una
38
testa d‟asino, la località prese il nome di Affogalasino».
Questa leggenda troverebbe riscontro nella Passio dei Martiri
portuensi Simplicio, Faustino e Beatrice, i cui corpi, gettati
da un «pontem lapideum» (un ponte di pietra) arrivarono poi,
trasportati dalle acque, fino all‟Ansa della Magliana.
L‟esistenza di un ponticello è confermata dal
cronachista Pietro Romano, che gli dà il nome di Ponte di
Fogalasino. Fogalasino (o anche Foga l’asino) è in effetti il
nome medievale (sopravvissuto fino a tempi recenti) del
fosso, della contrada circostante e del viottolo che
anticamente lo fiancheggiava, risalendone il corso sino alle
spalle del Gianicolo.
Dal 1940 il fosso scorre in canalizzazione sotterranea
sotto l‟attuale via del Trullo. In epoca successiva sono state
interrate anche la tratta successiva, dal Trullo al Tevere, e
quella precedente sulla omonima via del fosso di
Affogalasino, dal Trullo alla Serenella.
39
Fosso di Papa Leone
Abstract non disponibile.
40
41
Fosso di Santa Passera
Abstract non disponibile.
42
43
Fosso Tiradiavoli
Andrea Di Mario
La Marrana Tiradiavoli (o in epoca medievale
Marrana di Pozzo Pantaleo) è un corso d‟acqua, oggi
interrato, che nasce dalle sorgenti della Valle dei Daini (a
Villa Doria-Pamphili) e - dopo aver attraversato la profonda
valle di via di Donna Olimpia e costeggiato le alture
dell‟Ospedale San Camillo presso Pozzo Pantaleo - sfocia nel
Tevere all‟altezza di piazza Meucci.
Il fiumiciattolo deve il suo sinistro nome ad una
credenza popolare secondo la quale, sotto le arcate
dell‟acquedotto romano di Villa Pamphili, alcuni diavoli
fermarono la carrozza di Donna Olimpia Maidalchini,
conosciuta per la sua malvagità, per accompagnarla
direttamente all‟inferno. La stessa carrozza, condotta (tirata)
da diavoli, con a bordo il fantasma della dannata
nobildonna, sarebbe però ancora oggi solita apparire con
grande fragore, a turbare le notti dei Romani.
44
Nel suo percorso la marrana era scavalcata da alcuni
ponti, oggi scomparsi, il più importante dei quali era posto
sulla Via Portuense, in prossimità del bivio da cui partiva
l‟antica Via della Magliana. A monte di questo incrocio alcuni
tratti dell‟alveo erano stati regolarizzati, probabilmente già in
epoca classica. Altri due ponti, oggi scomparsi, erano quello
della novecentesca via di Vigna Corsetti e quello posto nei
pressi della foce.
Perfettamente visibile fino alla fine degli anni Trenta
la marrana iniziò ad essere interrata quando venne colmata
durante la costruzione delle case popolari di via Donna
Olimpia. Qualche decennio più tardi, con la costruzione della
Purfina e l‟edificazione dei primi lotti di via Oderisi da
Gubbio, la marrana scomparve quasi del tutto, con
l‟eccezione dell‟ultimo breve tratto, dove è ancora visibile un
manufatto idraulico.
45
Fratel Policarpo
Il Fratel Policarpo è un istituto di vita religiosa
associata e un centro giovanile, con all‟interno una cappella
per il culto.
Si costituisce l‟11 febbraio 1995, nell‟ambito
dell‟ANSPI (Associazione nazionale San Paolo), che promuove
la formazione di circoli giovanili e oratorî. Prende il nome dal
religioso francese Frère Polycarpe, al secolo Jéan-Hippolyte
Gondre (1801-1858). Nato da umili origini nel villaggio
alpino di La Motte, diviene maestro elementare ed entra nella
Société du Sacré Coeur de Jésus di Lione, occupandosi del
noviziato e dell‟amministrazione, fino a divenirne superiore
generale. Seppur malato di polmonite e febbri tifiche,
Policarpo conduce uno stile di vita austero, utilizzando
persino il cilicio.
Il Sacro Cuore si era costituito nel 1821 ad opera di
André Coindre, nel quadro della c.d. rievangelizzazione della
46
Francia dopo i fermenti della Rivoluzione. Fra il 1843 e il
1846 Fratel Policarpo ne riscrive la regola, ispirandosi alle
costituzioni dei Gesuiti e dei Fratelli delle Scuole cristiane.
Nel 1847 promuove le prime case in America, arrivando a
costituirne, tra Francia e Stati Uniti, ben 82.
Il complesso presenta oggi impianti sportivi per la
danza, ginnastica, nuoto e sport di squadra. Organizza corsi
di teatro, visite a luoghi d‟arte e della fede e soggiorni alpini.
Ospita, in un‟ala dell‟edificio, un centro polifunzionale.
47
Gamma
Abstract non disponibile.
48
49
Garitta monumentale
Abstract non disponibile.
Depretis e l’orribile 1876
Abstract non disponibile.
50
51
Genio militare
Abstract non disponibile.
Giuseppe Testa, eroe partigiano
Il romanzo storico “Il Bandito di Morrea. Vita di
Giuseppe Testa dalla Magliana di Roma alla Valle Roveto,
lungo la Linea Gustav”, di Antonello Anappo, ripercorre la
biografia di Peppino Testa, giovanissimo ragioniere del Genio
militare di Magliana, divenuto Medaglia d‟Oro della
Resistenza.
Il ragazzo, di appena 19 anni, dopo l‟8 settembre
1943 costituisce nel borgo abruzzese di Morrea un comitato
di assistenza ai fuggiaschi alleati, desiderosi di attraversare
il fronte di fuoco e riprendere le armi contro i nazisti. Alla
fine della guerra - accerteranno gli Americani - i soldati
52
rifocillati, curati, protetti e condotti oltre la Linea Gustav
grazie a Testa, saranno 5800. Insieme a Testa altri tre
uomini resero possibile questa avventura partigiana: il
parroco don Savino Orsini e i compagni Casalvieri e
Gemmiti.
Giuseppe Testa pagherà tutto questo con la vita.
Considerato dai Tedeschi un “bandito”, viene catturato e
torturato per 50 giorni, ma non rivelerà il nascondiglio dove
protegge i fuggiaschi. L‟11 maggio 1944 la fucilazione. Nel
1946 gli viene tributata la medaglia d‟oro al valor militare. Lo
ricordano due monumenti: uno a Morrea e un altro dentro il
Genio militare.
53
Gesù Divino Lavoratore
Gesù Divino Lavoratore (Parrocchiale del Gesù Divino
Lavoratore, con istituti Migliavacca e Missionarie della
Dottrina cristiana) è una chiesa parrocchiale di epoca
contemporanea.
Non disponiamo di notizie storiche dettagliate su
questo bene. La proprietà è, per quanto noto, di ente
ecclesiastico. Non disponiamo di notizie
architettoniche/funzionali più dettagliate. Si trova in Via
Oderisi da Gubbio, 16. È visibile da strada e l‟accesso è
libero, compatibilmente con gli orari delle funzioni e la
natura di istituto scolastico.
Gesù Divino Lavoratore è una chiesa parrocchiale,
realizzata dall‟architetto Raffaele Fagnoni tra il 24 marzo
1955 (prima pietra) e il 15 maggio 1960 (consacrazione).
La struttura a pianta ellittica è in cemento armato,
con i setti di nervatura a vista e disposti radialmente a
54
sostenere la cupola. “La spazialità avvolgente - scrive lo
studioso Massimo Alemanno -, che riesce a coinvolgere
visivamente lo spettatore, e il ricorso alla pianta centrale con
la cupola nervata impostata sulla pianta ellittica, rimandano
ad una tradizione barocca, reinterpretata secondo le
esperienze dell‟architettura moderna”. Una scala in marmi
rosa e bianchi conduce al presbiterio, leggermente
sopraelevato. L‟altare ha come fondale un pannello in tessere
dorate, a sostegno della croce.
Esternamente, l‟edificio sacro è rivestito di mattoni di
tufo rossi ed è cinto da una fascia di vetri policromi.
Separato dall‟edificio si trova il campanile. Alla parrocchia
sono annessi la Polisportiva, l‟istituto religioso femminile
Missionarie della Dottrina cristiana e la scuola materna
Angiola Maria Migliavacca.
Dal 22 aprile 1969 la parrocchia è assegnataria - su
decreto di Paolo VI - del titolo cardinalizio di Gesù Divin
Lavoratore. A seguito della ridefinizione dei confini operata
nel 1991, la parrocchia cura oggi circa trentamila anime.
La Cappella di Pietra Papa
La Cappella di Prata Papi è una chiesina, oggi non più
esistente, attiva negli anni Cinquanta.
Nel 1954, nello stabile ENAL di via Oderisi da Gubbio,
51, viene attrezzato un piccolo spazio per il culto per i fedeli
del quartiere Marconi, allora in costruzione. Il 1° ottobre
55
dello stesso anno lo spazio devozionale è costituito in
vicecura (Cura d‟anime ai Prata Papi), alle dipendenze della
Parrocchia della Sacra famiglia fuori Porta Portese, su
decisione dell‟allora cardinal vicario Clemente Micara.
A Natale viene realizzata poco distante una nuova
cappella, di maggiori dimensioni, realizzata su una struttura
prefabbricata. La parrocchia si costituisce formalmente il 12
marzo 1955, con il decreto Paterna sollecitudine, in
affidamento al Clero diocesano. L‟aneddoto vuole che il titolo
parrocchiale - Gesù Divino lavoratore - sia stato inventato
dal primo parroco, Francesco Rauti, per significare la
presenza attiva della Chiesa nel mondo del lavoro, trovando
il sostegno di Pio XII e di Giovanni XXIII.
Il 24 marzo, viene posata la prima pietra della nuova
grande chiesa, che sorgerà al civico 16 della stessa via. Dal 4
ottobre 1959, data del riconoscimento degli effetti civili, si
inizia a celebrare matrimoni. La consacrazione della nuova
chiesa avverrà il 15 maggio 1960, data nella quale la
cappellina di Prata Papi cessa di essere utilizzata.
Il campanile
Il Campanile del Divino Lavoratore è una torre
campanaria, edificata fra il 1955 e il 1960.
Il progetto è dell‟architetto Raffaele Fagnoni. La
caratteristica principale dell‟edificio è comunque costituita
dal posizionamento del campanile cavo, alto all‟incirca 44
56
metri, che precedento la chiesa ne costituisce una sorta di
propileo. Alta torre campanaria a forma cilindrica. Essa
richiama in modo evidente una ciminiera. Vi è un alto
campanile posizionato centralmente sul fronte, davanti
l‟ingresso, in maniera decisamente inusuale.
Il complesso è posto su di una piattaforma rialzata ed
arretrata dal filo stradale di via Oderisi da Gubbio, dalla
quale lo separa anche la bassa cancellata. La
pavimentazione esterna è in cubetti di porfido. Esternamente
entrambi gli edifici sono rivestiti di mattoni rossi di tufo.
Anche il campanile posto sulla facciata richiama una
soluzione tradizionale del barocco, poco diffusa a Roma, ma
tipica dei Paesi del Centro Europa. Alcune intuizioni, come
quella sopra citata, conferiscono a questo edificio una
fattura architettonica anche pregevole, non sufficiente però
ad eliminare completamente quel senso di freddezza
architettonica tipica delle costruzioni del periodo.
57
Giardino dei frutti perduti
Il Giardino dei frutti perduti è un frutteto didattico di
Roma Natura, realizzato nel 2006 dall‟agronomo G. Lucatello.
Contiene 160 specie e varietà locali di interesse
agrario di albicocco, ciliegio, fico, mandorlo, susino, pesco,
pero, melo, melograno, nespolo, sorbo, gelso e giuggiolo.
Monte di esse sono a rischio di erosione genetica: rischiano
cioè di non venire più coltivate, soppiantate da altre varietà,
spesso importate, più resistenti o dalla fruttificazione più
copiosa, riducendo così la biodiversità complessiva
dell‟habitat.
Gli esemplari presenti nel giardino non sono stati
espiantati ma moltiplicati per innesto. Questa tecnica agraria
consiste nell‟unire ad un albero o arbusto comune (il c.d.
portainnesto) parti della pianta a rischio (la c.d. marza): le
marze crescono in simbiosi con la pianta ricevente,
conservando i caratteri propri. Le marze sono state fornite
58
dall‟Istituto Sperimentale di Frutticultura di Roma.
I lavori sono iniziati nel novembre 2006, a seguito
della cessione in comodato del terreno di proprietà Milea sul
clivo di via dei Martuzzi. Il terreno - esteso 1,046 ettari - è
stato recintato e dotato di un impianto idrico (che recupera
un vecchio pozzo), camminamenti, panchine e gazebo.
Insieme alle piante da frutto si trovano alberature nostrane
(leccio, ulivo, alloro) e arbusti della macchia mediterranea e
officinali.
59
Greentower
Abstract non disponibile.
60
61
Grotte delle Fate
Abstract non disponibile.
Martesilvano, dio della frontiera
Gli Atti degli Arvali testimoniano nel territorio
portuense il culto del dio etrusco Selvans (latinizzato in
Silvanus o Mars-silvanus, in associazione a Marte).
La divinità presiedeva alle selve e alle campagne,
proteggeva bestiame ed orti e per estensione era il nume
tutelare della proprietà e delle frontiere: occorre ricordare
infatti che il santuario arvalico segnava il confine territoriale
tra Roma e Vejo. è raffigurato come un vecchio vigoroso dalla
barba irsuta che vagabonda miseramente vestito, attento al
controllo della frontiera e armato di un pesante
tortóre per respingere gli invasori. Ha carattere retto
62
e bonario, ma insofferente alla vita associata e capace
talvolta di manifestazioni grevi o misogine (avversava
partorienti e neonati e spaventava i contadini facendo
rimbombare nelle grotte la voce fragorosa).
Catone nel De Agricoltura riporta la cerimonia del
“votum Martisilvani pro bubus uti valeant”, per la salute del
bestiame. L‟offerta consisteva in un piatto di granaglie e
pancetta rosolati nel vino (“cocere in unum vas [...] farris,
lardi, vini”), da ripetersi per ciascun capo posseduto.
Una leggenda attribuisce a Martesilvano un inusuale
arbitrato nella guerra etrusco-romana seguita alla cacciata
dei Tarquini. Il conflitto si trascinava stancamente, e i due
eserciti, durante le interruzioni serali, si incontravano per
assegnare la vittoria giornaliera, contando i rispettivi caduti.
Martesilvano, stanco del massacro infinito e poco virile,
interviene proclamando di misura la vittoria ai Romani.
Atterriti dalla roboante sentenza divina, gli Etruschi
rientrano nei confini.
63
Grottoni
I Grottoni sono un complesso di gallerie e ambienti
ipogei in località Santa Passera, che taluni identificano con
le perdute Catacombe di San Felice.
Il sito è originato in epoca romana, da un‟attività
estrattiva di tufo e pozzolane, collegata al vicino porto
fluviale di Vicus Alexandri. Nel Primo Novecento un‟indagine
archeologica conferma che almeno una parte delle gallerie è
stata riutilizzata per uso cimiteriale, ma non sono state
trovate iscrizioni o raffigurazioni pittoriche. Rimangono
comunque le fonti antiche (il De locis sanctis e l‟Index
coemeteriorum) ad attestare che al III miglio si trovava il
cymiterium ad Sanctum Felicem Via Portuensi. Tra gli studiosi
il dibattito è aperto, anche se il successivo impiego delle
gallerie, dal Settecento in poi, come cantine da vino, rende
poco probabili nuovi ritrovamenti.
64
Il dibattito è aperto
Una pluralità di fonti concorda nell‟attestare le
perdute Catacombe di San Felice al III miglio della Via
Portuense-Campana. L‟indagine del Primo Novecento, che
avrebbe potuto essere risolutiva, ha sì chiarito la natura
cimiteriale di alcuni ambienti della cava, ma non ha potuto
fornire un‟attribuzione certa. Successivi crolli hanno
impedito la prosecuzione delle indagini.
Tra le fonti storiche, il libro De locis sanctis elenca
Felice tra i Martiri portuensi «qui iuxtam Viam Portuensem
dormiunt». L‟Index coemeteriorum cita espressamente il
Cymiterium ad Sanctum Felicem Via Portuensi miliario III.
Infine un carme di Papa Damaso (366-384), elogiando il
lavoro pittorico del Presbitero Vero, riporta incidentalmente
che il lavoro pittorico si è svolto presso il Sepolcro di Felice.
Gli Itinera medievali collocano la tomba del Martire
dopo quella di Paolo (a San Paolo) e prima di Ponziano (a
Monteverde), al di sopra di un‟altura dominante il punto in
cui «il Tevere s’impaluda». Emilio Venditti ritiene che la
descrizione sia compatibile con il costone di Vigna Pia.
Styger e Cecchinelli-Trinci avanzano invece ipotesi diverse: il
primo colloca le catacombe vicino San Ponziano; la seconda
a via Traversari a Monteverde.
Nel Settecento i Grottoni sono in uso come cantina da
vino di Vigna Jacobini. Gli ambienti attuali, sebbene assai
ridotti, sono ancora in uso.
65
Felice, martire con Adautto
Le notizie biografiche su San Felice, presbitero
romano martirizzato al tempo di Diocleziano, sono
scarsissime e provengono da un racconto popolare, la Passio
Felicis, del VII sec.
Il racconto vuole che Felice, condannato a morte e
condotto al supplizio lungo la via per il mare, viene affiancato
da uno sconosciuto che dichiara agli increduli militari
romani di voler condividere la stessa sorte. I militi lo
accontentano senza indugi, decapitando entrambi col
medesimo spadone.
L‟identità dello sconosciuto rimane un mistero, non
solo per la folla che assistette al martirio, ma per la stessa
Chiesa. La Passio Felicis parla di «eo quod sancto Felici
auctus sit ad coronam martyrii» (un tale, aggiuntosi a Felice
nella corona del martirio). La comunità ecclesiastica, volendo
conservare memoria di questo gesto coraggioso, attribuisce
all‟ignoto un nome simbolico: Adauctus (che in latino
significa «aggiunto»), a ricordare la virtù cristiana di
aggiungersi a Felice nel martirio.
La tradizione liturgica ricorda perciò i due martiri
insieme, il 30 agosto; il loro emblema, come tutti i martiri
minori, è rappresentato dalla palma. Il Martirologio romano
li ricorda con questa formula: «Santi martiri Felice e Adautto,
che, per aver reso insieme testimonianza a Cristo con la
66
medesima intemerata fede, corsero insieme vincitori verso il
Cielo».
Oltre che nella Passio Felicis lo stesso racconto
compare anche in un carme di Papa Damaso, senza
aggiungere elementi biografici significativi, se non il fatto che
Felice e Adautto sarebbero stati fratelli (ma si intende
probabilmente fratelli nella fede).
Le reliquie, in giro per l’Europa
Il culto di San Felice, e del suo inatteso compagno
Adautto, dura alla Magliana quanto un batter d‟ali.
Tanto che a fine IV sec. le spoglie dei due martiri si
spostano sulla riva opposta, al Cimitero di Commodilla sulla
Via Ostiense. Qui ai due martiri viene dedicata una cripta,
nella quale tra l‟altro troviamo le uniche immagini di Felice e
Adautto conosciute. Si tratta di uno dei più antichi affreschi
paleocristiani, nel quale è raffigurato San Pietro che riceve le
chiavi. Assistono alla consegna simbolica come testimoni i
santi Stefano e Paolo, affiancati da Felice e Adautto.
La cripta viene trasformata da Papa Siricio (384-399)
in una basilica sotterranea, successivamente ampliata e
abbellita da Giovanni I (523-526) e Leone III (795-816),
diventando meta di pellegrinaggi anche in epoca medievale.
Papa Leone IV (847-855) dona le reliquie dei due
martiri alla devota Ermengarda, moglie di Lotario,
67
contribuendo a diffonderne il culto nel Nord Europa. A Roma
rimane tuttavia la reliquia più importante, la testa mozza di
Sant‟Adautto, conservata oggi nel reliquiario della chiesa di
Santa Maria in Cosmedin alla Bocca della verità.
68
69
Idroscalo del Littorio
Abstract non disponibile.
70
71
Idrovore di Ponte Galeria
Abstract non disponibile.
72
73
Imbarco dei Papi
Abstract non disponibile.
Sisto IV, primo papa della Magliana
Francesco della Rovere è papa dal 1471 al 1484, con
il nome di Sisto IV. è il primo pontefice che frequenta la
Tenuta della Magliana. Ma il motivo, stando alle cronache
dell‟Infessura, è tutt‟altro che religioso: ad attenderlo vi sono
i giovani amanti Giangiacomo Sclafenato e Gerolamo Riario.
Della Rovere ha natali modesti, nel Savonese il 21
luglio 1414. A Pavia eccelle negli studi teologici e
l‟insegnamento itinerante nelle università italiane lo porta
prima alla carica di ministro generale dei Francescani (1464)
e poi al cardinalato sotto Paolo II (1467). Il 9 agosto 1471 è
papa.
74
Sisto IV trascina Roma fuori dal livore medievale, con
la magnificenza del rinnovamento urbanistico: approva
subito il piano regolatore, e di lì a poco vedono la luce ponte
Sisto, la via Sistina, San Vitale (1475), la Biblioteca vaticana
(1477) e la Cappella Sistina (che non farà in tempo a vedere
completata); chiama a corte il musico Des Prèz, il pittore
Melozzo da Forlì e gli umanisti Regimontano e Platina.
Fioriscono anche le dignità statali, spartite tra le
famiglie Della Rovere e Riario, suoi sponsor durante il
conclave. Papa Sisto eleva al cardinalato due nipoti (uno è
Giuliano della Rovere, futuro papa Giulio II), sei parenti e un
figlio illegittimo (Pietro Riario). Il pittore Melozzo, per
l‟inaugurazione della Biblioteca, realizza un affresco
celebrativo che ha il sapore di un grande “ritratto di
famiglia”, dove il pontefice vuole raffigurati accanto a sé i più
cari affetti terreni: Giuliano della Rovere, Giovanni della
Rovere, Raffaele Riario e Gerolamo Riario.
Per l‟ultimo di essi, Gerolamo Riario, papa Sisto
stravede, e nel 1471 gli regala la Tenuta della Magliana. Le
cronache di Stefano Infessura (1484), parlano però di un
diverso e inconfessabile attaccamento: “Per quale motivo se
non la sodomìa - scrive - papa Sisto predilesse il conte
Gerolamo e Pietro Riario, suo fratello e il cardinale di San
Sisto? Lo mormora il popolo, i fatti riscontrano. E cosa non
fece ai servitori di camera! Ma li risarcì a suon di ducati, o
elevandoli al rango di vescovi o cardinali”. Occorre precisare
che non si hanno riscontri alle affermazioni dell‟Infessura, e
lo studioso Ludwig Pastor anzi le contesta radicalmente.
75
Verità storica è invece che Gerolamo è per papa Sisto una
pedina importante nella Congiura dei Pazzi (Firenze, 1478): il
luogotenente Raffaele Riario ha il compito di detronizzare
Lorenzo il Magnifico ed insediare al suo posto proprio il
pupillo papale Gerolamo Riario. Gli eventi però volgono
contro i congiurati, e al pontefice non rimane che
scomunicare il Magnifico, porre Firenze sotto interdizione, e
muoverle guerra per due anni.
Alla Magliana intanto, riferisce ancora l‟Infessura, il
Palatium Sancti Johanni era stato promesso in godimento
anche ad un altro amante, il camerario Giovanni Giacomo
Sclafenato. Papa Sisto non onora la promessa, ma lo
ricompensa altrimenti. Alla sua morte un allusivo epitaffio
ne ricorda l‟elevazione a cardinale “per meriti di ingegno,
fedeltà e perseveranza” nonché “per altre doti di animo e di
corpo”.
E le guerre proseguono. Dopo Firenze tocca a Venezia,
contro la quale nel 1482 papa Sisto ordisce un perfido
inganno: prima convince la repubblica lagunare ad aggredire
il ducato di Ferrara, assicurando sostegno; poi, a guerra
iniziata, mette Venezia sotto interdizione e la abbandona al
destino delle armi: Venezia ne esce malconcia, perché nel
frattempo in soccorso a Ferrara sono arrivate le truppe degli
Sforza da Milano e dei Medici da Firenze. In pratica, Sisto IV
ha impegnato in una guerra Venezia, Ferrara, Firenze e
Milano senza spendere un ducato.
Le sue finanze, d‟altra parte, sono più che floride
grazie alla vendita delle indulgenze allargata anche alle
76
anime dei defunti, alla raccolta di fondi per la crociata contro
i Turchi di Smirne, e alla licenza legale dei bordelli, da cui
incassa trentamila ducati l‟anno. In questa frenetica attività
di statista, non sorprende la poca attenzione dedicata
all‟attività di pastore della Chiesa: celebra il Giubileo del
1475, istituisce la festa dell‟Immacolata, cerca accordi con
ortodossi e gallicani, ridimensiona i decreti del Concilio di
Costanza, e, nel 1478, istituisce anche in Spagna la Santa
Inquisizione.
Terminate le guerre, papa Sisto riscopre la residenza
della Magliana e vi fa tappa fissa nei viaggi lungo il Tevere
diretto ad Ostia, a bordo della sua personale “nave
bucinatoria”. Uno di questi viaggi (9-12 novembre 1483) è
ancora documentato dall‟Infessura, che testimonia di due
tappe alla Magliana, una all‟andata e una al ritorno. è
probabilmente in questa occasione che si decide la
trasformazione del Palatium in villa di caccia. Il progetto
viene affidato a Jacopo da Pietrasanta.
Ma il pontificato volge ormai al termine. La morte lo
coglie il 12 agosto 1484, terribilmente annoiato dall‟inerzia
delle armi: “ucciso dalla pace”, dirà il popolino. Pasquino lo
liquida impietosamente, affiggendo questo strambotto:
“Ingiusto e infido giace / chi la pace odiò tanto, in
sempiterna pace / Orsù, gettate a brani / le scellerate
membra a lupi e cani!”.
77
Ipogeo di Santa Passera
L‟ipogeo dei martiri Ciro e Giovanni è una camera
sepolcrale romana, di modeste dimensioni, datata tra la fine
del II e l‟inizio del III sec. d.C., nella quale avrebbero riposato
in epoca altomedievale le spoglie dei due santi egiziani.
Esso viene realizzato al di sotto del piano di calpestio
del Mausoleo di Santa Passera, all‟epoca in cui questo era
già saturo di sepolture. Vi si accede da una ripida scaletta;
l‟ambiente trae luce unicamente dal foro della scala e da
un‟apertura centrale nella volta. Già in antico lo spazio
interno viene ridotto, con una controparte sul lato ovest, per
ricavarne ulteriori spazi funerari.
La decorazione pittorica è oggi quasi completamente
perduta: non solo per gli straripamenti del vicino Tevere, ma
soprattutto per le spicconature di quanti, nel tempo, hanno
cercato senza esito di recuperare le reliquie dei martiri. I
pochi resti si presentano campiti su un fondo d‟intonaco
78
chiaro delimitato da fascioni, partiture semicircolari e
quadranti rossi, con soggetti di repertorio funerario, a fresco
con dense pennellate senza linee di contorno. Nella parete
nord vi è il c.d. Ciclo della dea Dike, con la dea, un volatile e
un pugile; nella parete sud vi è una pecora; nella volta
grandi stelle decorative a 6 e 8 punte).
La controparte si presenta coperta di uno spesso
strato pittorico con soggetti non riconoscibili, sul quale, a
fine XIII sec., è stata aggiunta una Natività, oggi perduta.
L‟ipogeo, interrato dopo il 1706, è stato riscoperto nel 1904.
Dike e l’Età dell’oro
Una figuretta a fresco nell‟Ipogeo di Santa Passera
attesta, nel Territorio Portuense, il culto di origine greca di
Dike.
Personificazione del sentimento di giustizia, Dike
protegge quanti hanno subìto un torto e punisce chi si è
sottratto ai tribunali degli uomini: ha una bilancia in una
mano e una spada nell‟altra. Il suo mito diventa popolare a
Roma nel I sec. d.C., grazie alle Metamorfosi di Ovidio (I,
149). Dike - sorella di Irene (la pace) e di Eunomia (le buone
leggi) - vive durante l‟Età dell’Oro, un‟epoca mitica in cui
mortali e dèi vivono in familiarità, senza bisogno di lavorare
e tracciare confini. Quando la rivolta di Giove introduce nel
mondo fatica, avidità e violenza la Dea ripone la spada e
abbandona gli uomini alla loro malvagità. Ovidio lo racconta
79
con versi struggenti: “Victa iacet Pietas et Virgo caedet
madentes […] terras” (La Pietà giace sconfitta e Dike fugge
dalla terra insanguinata).
Il culto della dea consiste in preghiere rituali per
invocarne il ritorno, che avrebbe coinciso con una nuova Età
dell‟Oro. Ma Dike, dal malinconico Cielo della Vergine in cui
risiede, lascia cadere ogni appello, e osserva muta le vicende
umane.
Nell‟Ipogeo figurano altre due immaginette - un
volatile ad ali spiegate (l‟anima libera dai legami corporei) e
un lottatore ignudo - che è possibile ricomporre in un nobile
messaggio allegorico: “Riposa sereno / chi ha lottato / per la
giustizia”.
80
81
Israelitico
Abstract non disponibile.
82
83
Istituto dei Paolini
Abstract non disponibile.
La Famiglia Paolina
Con il termine Famiglia Paolina si intende l‟insieme di
cinque congregazioni, quattro istituzioni e un‟associazione
laicale aventi in comune gli insegnamenti del fondatore Don
Giacomo Alberione (1884-1971, beatificato nel 2003). Esse
sono presenti nel Territorio Portuense nella c.d. Fascia delle
Vigne (sui due lati della Via Portuense fra Trullo,
Affogalasino e Casetta Mattei) su aree che costituivano in
precedenza le tenute ecclesiastiche settecentesche.
Le cinque congregazioni sono la Società di San Paolo,
le Figlie di San Paolo, le Pie Discepole del Divin Maestro, le
Suore di Gesù Buon Pastore e l‟Istituto per le Vocazioni
84
Regina degli Apostoli.
La Società di San Paolo è una congregazione clericale
di vita apostolica che ha come fine l‟evangelizzazione degli
uomini attraverso l‟attuale cultura della comunicazione. La
Società San Paolo è considerata la madre di tutta la Famiglia
Paolina poiché il Superiore generale della Società San Paolo
è riconosciuto quale legittimo successore del fondatore. I
membri della Società San Paolo, soprattutto sacerdoti,
hanno quindi una responsabilità morale nei confronti di
tutte le componenti della Famiglia Paolina. I paolini sono
noti per le loro opere apostoliche, come le Edizioni San Paolo,
i periodici Famiglia Cristiana, Jesus, Il Giornalino.
Le Figlie di San Paolo condividono il carisma della
Società San Paolo: hanno un‟autonoma casa editrice che
prende il nome di Edizioni Paoline.
Le Pie Discepole del Divin Maestro hanno una triplice
missione, che si incentra nell‟Eucarestia, nella Liturgia e nel
Sacerdozio. Esse si dedicano in modo particolare affinché
risplenda nella Chiesa la bellezza del Cristo attraverso la
creazione liturgica (canti, paramenti, patene, iconografia,
ecc.), sono vicine ai ministri ordinati (vescovi, presbiteri e
diaconi) e adorano il Cristo presente sacramentalmente nel
mistero eucaristico intercedendo soprattutto per gli operatori
nel mondo della comunicazione.
Le Suore di Gesù Buon Pastore affiancano i parroci
nell‟attività pastorale, compiendo opere di istruzione,
formazione e di santificazione.
85
Le Suore di Maria Regina degli Apostoli si dedicano ad
accompagnare i giovani nel discernimento vocazionale.
Le quattro istituzioni sono le Annuziatine, i
Gabriellini, Gesù Sacerdote e la Santa Famiglia.
Le Annunziatine è un istituto per donne consacrate,
che vivono la spiritualità paolina rimanendo nel mondo.
Similmente opera l‟Istituto dei Gabrielini, composto
però di uomini consacrati che vivono nel mondo la
spiritualità paolina.
L‟Istituto Gesù Sacerdote si compone di vescovi e
sacerdoti diocesani che, secondo la definizione di Paolo VI, si
impegnano alla “imitazione sempre più perfetta dell’Eterno
Sacerdote Gesù Cristo, mediante la professione dei Consigli
evangelici”. Essi sentono vivo il bisogno di vivere la stessa
spiritualità della Famiglia Paolina, con la quale condividono
tutte le ricchezze spirituali. Essi cercano di fare sintesi tra
ministero e impegno di santificazione vivendo una profonda
fraternità.
La Santa Famiglia è un istituto di vita secolare
consacrata per coniugi, che si propone come fine la santità
della vita matrimoniale.
È presente, nella Famiglia Paolina, un‟associazione
laicale - i Cooperatori -, composta di quanti, pur non facendo
parte del clero, condividono la missione della Famiglia
Paolina. Vi sono infine altre realtà che, pur non facendo
direttamente parte della Famiglia Paolina, si ispirano al
carisma di Don Alberione. Esse sono le Vergini consacrate
86
Ancillae Domini e la Fraternità di Gesù Divino Maestro.
La spiritualità della Famiglia Paolina ruota intorno
alla fonte di ispirazione di San Paolo Apostolo, e mette al
centro la figura del Redentore con il titolo di Divino Maestro
Via, Verità e Vita, e la Beata Vergine Maria con il titolo di
Regina degli Apostoli.
87
Istituto della Divina Volontà
Abstract non disponibile.
88
89
Istituto Vigna Pia
L‟istituto Vigna Pia è un edificio del 1858,
originariamente adibito a scuola agraria e opera
assistenziale, al centro della tenuta omonima.
Tra 1850 e 1851 il principe Torlonia, la principessa
Wolkonski e l‟Ordine religioso dei Minimi costituiscono una
proprietà fondiaria unitaria di 22 ettari, denominata Istituto
agrario di carità Vigna Pia in onore del papa regnante, Pio IX.
L‟insediamento è strutturato secondo lo schema della
colonìa, con vasti terreni a coltura intorno ad un corpo di
fabbrica principale. La popolazione è costituita di “orfani e
altri garzonetti più sventurati”, tra i 7 e i 21 anni. Dopo
l‟alfabetizzazione essi ricevono la formazione teorica in
agronomia e agrimensura, cui segue l‟apprendistato di
orticultura, cerealicultura e viticultura ed infine il collocamento
a servizio in una famiglia rurale.
Il Convitto, di forma quadrangolare, rivolge il
90
prospetto principale alla valle della Magliana. È sormontato
dallo stemma papale tra due cornucopie colme di grano.
L‟edificio si prolunga in un padiglione di minor altezza,
realizzato da Leone XIII nel 1889. Il 23 aprile 1891 gli edifici
sono danneggiati dallo scoppio della Polveriera di Forte
Portuense. La tenuta aveva un portale monumentale, oggi
scomparso.
Nel Dopoguerra l‟estensione della tenuta viene erosa
dall‟urbanizzazione, fino a perdere la vocazione agraria. Il
complesso è oggi sede di convitto, centro giovanile e
polisportiva locale.
91
La Meridiana
Vigna Jacobini è una proprietà fondiaria
settecentesca, variamente frammentata tra i rami familiari
Jacobini, Gioacchini e Ceccarelli. Occupava
complessivamente i due lati della via Portuense dall‟attuale
Stazione Trastevere a Forte Portuense, e parte della valle di
Affogalasino e di Villa Santucci.
Dimora della casata e centro amministrativo della
tenuta era la palazzina “La Meridiana”, uno scarno casale
seicentesco ingentilito da un corposo frontespizio e dal
monumentale quadrante di orologio (recentemente
restaurati).
Le produzioni viticole pregiate si concentravano nella
“vigna del Ciacchero”, esposta a mezzogiorno e riparata dai
venti. Ne usciva un superbo vino aleatico la cui mescita “a
coppelle” avveniva presso l‟osteria “del Cardinale”, nel casale
omonimo. La proverbiale ripida rampa a scalini che
92
precedeva l‟osteria metteva a dura prova i popolani che
avessero ecceduto nel bere.
L‟intera produzione di vino era stivata in barili dentro
i “grottoni” (una fitta rete di cantine a galleria scavate nel
tufo) ed avviata su “carri a vino” condotti da pariglie di muli
o buoi verso i mercati urbani.
Il Quartier generale dei Francesi
Destinata ai riposi di monsignor Giuseppe Santucci,
originario di Ercolano, Villa Santucci (oggi Villa Maraini)
compare già nel 1818 nel Catasto Gregoriano, segnalata
come villa e casetta per il vignaiolo. L‟edificio era costituito
da un corpo centrale più elevato e due ali più basse, con una
scalinata a doppia rampa. Il vasto parco, dell‟estensione di
14 ettari (con ingresso da via Ramazzini), era una pineta con
alcune piante esotiche. Lungo il muro di cinta sorgeva una
Cappellina.
Durante la repubblica Romana, nel 1849, la villa
funzionò da quartier generale dei francesi di Oudinot, prima
dell‟attacco alle Mura del Gianicolo.
Nel 1853 la proprietà passò a Papa Pio IX, che ne fece
un soggiorno estivo per seminaristi; poi cambiò altre volte
proprietario, fino ai Maraini. Nel 1920 fu acquistata dal
Comitato per gli invalidi della Guerra di indipendenza, per
donarla alla Croce Rossa e farne un centro antitubercolare.
Lavori nel 1920 hanno falsato la struttura originaria,
93
togliendo la rampa di accesso e sopraelevando un piano.
In seguito funzionò come centro di educazione
motoria fino al 1970; infine fu sede di un centro sociale e di
una comunità per il recupero di tossicodipendenti.
94
95
La Pisana
Articolo non indicizzato.
96
97
La Salle
Abstract non disponibile.
98
99
La Serenella
La Serenella è una dimora signorile visibile già dal
catasto del 1818, sita in via dei Martuzzi al Corviale.
Per quanto noto, la proprietà è di ente ecclesiasico e
funzionale; non è visitabile, non è visibile da strada. È stata
studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del
paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599135A, Sacchi
G. - cat. Fracasso-Giampaoli).
100
101
La Vignarola
La Vignarola è una dimora signorile del Primo
Novecento, sita in via di Vigna Due Torri, 116, al Portuense.
Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale; non è
visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla
Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di
Roma (scheda inventariale 00970676A, Banchini R. - cat.
Tantini G.).
L‟attigua Passeggiata di Vigna Due torri è un percorso
pedonale di 193 m che risale il fianco collinare di Vigna Due
Torri dalla stazione ferroviaria alla dimora storica. Il progetto
dell‟arch. Giordani realizzato nel 1999 asseconda la
morfologia del suolo ed impiega materiali locali: tufo per le
murature, porfido per le pavimentazioni, legno per gli arredi.
Il percorso inizia da un ponte di legno, da dove si
scorgono alcune tracce archeologiche, forse di uso funerario.
Una diramazione raggiunge Nostra Signora di Valme,
102
realizzata nel 1982 dall‟arch. Spina e ispirata al santuario
spagnolo di Dos Hermanas. “Valme” è il grido di battaglia
della Reconquista al tempo dei Mori e significa “Dammi
forza”. A metà strada si trova una sosta con una fontanella
ed un casale recentemente restaurato, con intorno bei
giardini in condizione di naturalità (querce, tassi, lecci, olivi,
cipressi).
Prima delle terrazze panoramiche si trovano la
fontana liberty della Conchiglia e l‟area attrezzata per cani.
In cima fa capolinea il 44 e si trova l‟accesso a Villa Bonelli.
103
Le Mantellate
Le Mantellate è un convento verosimilmente
dell‟Ottocento, sito in via della Fanella, 45, al Corviale.
Per quanto noto, la proprietà è di ente ecclesiasico e
funzionale; non è visitabile, è visibile da strada. È stata
studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e del
paesaggio di Roma (scheda inventariale 00599139A, Sacchi
G. - cat. Fracasso-Giampaoli).
104
105
Le Turchine
Abstract non disponibile.
106
107
Maccaferri
Nel 1917 si insedia alla Magliana l‟industriale
Gaetano Maccaferri, proprietario della IPS, Industria Prodotti
Siderurgici di Bologna. La sua scelta non è affatto casuale:
ha ricevuto dal Ministero della Guerra un ingente
finanziamento, che gli consente di acquistare i terreni
insalubri intorno al Fosso di Affogalasino (dal costo irrisorio)
e di tirar su gli altoforni con una rapidità impressionante,
iniziando da subito la produzione nella succursale romana.
La zona è desolata, ma ha intorno a sé tutto quello che
serve: la stazioncina ferroviaria per far arrivare il ferro grezzo
e far partire i prodotti lavorati, e un‟ingente disponibilità di
manodopera a basso costo, reclutata tra i terremotati della
Conca di Avezzato insediatisi alla Magliana.
La Maccaferri in quel periodo - siamo in piena Prima
guerra mondiale - produce un solo prodotto: il filo spinato
per le trincee sul Carso.
108
I cancelli componibili Magliana
Negli Anni Venti, esaurita la commessa bellica di filo
spinato per le trincee sul Carso, l‟Industria Prodotti
Siderurgici Maccaferri della Magliana si riconverte alla
produzione civile di cancelli e recinzioni da giardino in
modulo componibile fai-da-te.
Il catalogo prevede soli quattro prodotti base - il
recinto, la cancellata, il cancello e il cancellino - declinabili
per altezza e spessore e in 300 combinazioni diverse. Il
recinto consiste in una rete a maglia metallica a doppia
zincatura, sorretta da 4 tipi di paletto: normale, testata,
angolare e rompitratta. La cancellata è una recinzione
montata su telai, a loro volta sostenuti da colonne in
tubolare verniciato al minio. Sulle recinzioni possono aprirsi
il cancellino pedonale o il cancello carrabile, rispettivamente
a una o due sezioni, sostenuti da colonne in ferro o ghisa e
con serratura a doppio scrocco.
La vendita avveniva per corrispondenza. Bastava
spedire alla Maccaferri il formulario stampato in fondo al
catalogo, indicando i numeri di combinazione e la quantità:
dalla stazioncina ferroviaria IPS-Magliana tutto l‟occorrente
raggiungeva smontato ogni parte d‟Italia e delle Colonie. Le
condizioni di vendita prevedevano il pagamento in contante o
a 15 giorni dalla fattura, con una penale, in caso di ritardo,
del 6% annuo.
109
All‟acquirente non rimaneva che montare da sé la
recinzione intorno al suo giardino e godere in pace la fine
della Grande guerra.
110
111
Madonna di Pompei
Abstract non disponibile.
Madonna di Pompei, bene storico artistico
(3). La Chiesa di Santa Maria del Rosario alla
Magliana Vecchia ha avuto dal Ministero per Beni e le
Attività culturali l‟importante riconoscimento di edificio di
interesse storico artistico.
La chiesa costituisce una testimonianza storica delle
vicende dell‟Agro Romano, ponendosi - come si legge sulla
relazione storico-artistica del Ministero - “come elemento
focale e tutt‟ora di maggiore riconoscibilità dell‟originario
nucleo insediativo a carattere rurale, in ciò svolgendo un
3 Di Maurizio Vacca.
112
ruolo prezioso per la conservazione dell‟identità del luogo,
ormai raggiunto dalle recenti espansioni edilizie”.
L‟edificio è stato costruito tra il 1908 ed il 1915 e
sorge lungo via della Magliana, ai piedi delle colline che,
secondo la denominazione tradizionale, erano conosciute
come Monte delle Piche e Colli di Affogalasino. Esso trova
origine dalla creazione della borgata rurale conosciuta in
seguito anche come Borgo Maccaferri, sorto per accogliere gli
operai degli Stabilimenti Maccaferri - officine nate nel 1917
in piena Prima Guerra Mondiale per iniziativa di un
imprenditore emiliano con il sostegno del Governo -,
destinati alla produzione di filo spinato, di cui vi era grande
necessità per le esigenze belliche. Si affaccia sulla piazza
Madonna di Pompei ed è posizionata strategicamente vicino
alla Stazione della Magliana che era già attiva agli inizi del
Novecento.
Il 1° marzo 1915 la chiesa fu eretta a parrocchia, con
decreto del Cardinale vicario Basilio Pompili, sotto il titolo
del Santo Rosario di Pompei fuori Porta Portuense. Il
riconoscimento agli effetti civili del provvedimento vicariale
fu decretato il 4 marzo 1917.
Dal punto di vista architettonico la chiesa si presenta
a navata unica con tetto a capanna e con una piccola abside
quadrangolare (scarsella). è una impostazione che si rifà
volutamente alla tradizione architettonica degli Ordini
Mendicanti. “L‟impaginato architettonico - scrive il Ministero
nella sua relazione - si presenta austeramente classicistico”,
con le parete laterali “realizzate in blocchetti di tufo e
113
laterizio a faccia a vista e dall‟equilibrata elegante
intelaiatura, costituita da paraste di ordine tuscanico”.
Da evidenziare la particolarità che tutti e due i fronti
esterni su via della Magliana e piazza Madonna di Pompei
sono trattati come facciate. Il fronte più lungo,
corrispondente al fianco sinistro della chiesa, doveva
svolgere inizialmente tale funzione. Una conferma è rilevabile
da una fotografia del 1940 circa, in cui il lato corto sulla
piazza non presenta una qualsiasi qualificazione
architettonica. Tale soluzione sembra fosse dettata dalla
volontà iniziale di privilegiare l‟affaccio verso la Magliana e
l‟antistante stazione ferroviaria. Solo in seguito venne
completato il fronte che si apriva sulla piazza, a seguito
probabilmente della realizzazione di un nucleo abitato più
significativo, e quindi di una più definita sistemazione della
piazza stessa.
Cari saluti da Magliana
Abstract non disponibile.
114
115
Magazzini romani alla Mira Lanza
I Magazzini alla ex Mira Lanza sono un deposito
commerciale di epoca romana, sito nei pressi di via
Pierantoni a Marconi.
Per quanto noto, la proprietà è pubblica e di interesse
archeologico (scavi recenti); non è visitabile, è visibile da
strada. È stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica
di Roma (scheda inventariale presso l‟Ente).
116
117
Magazzini romani di Parco dei Medici
La Villa del torcularium è un edificio romano di epoca
repubblicana, così chiamata per la presenza di una vasca,
identificata come un probabile torcularium, cioè un impianto
per la pigiatura dell‟uva.
L‟edificio risale alla fine del II sec. a.C. e consiste in
due ambienti in opus incertum (A e B), più un terzo ambiente
scavato parzialmente (C), dal quale è affiorata una canaletta
in opus spicatum. Nell‟ambiente A, salendo due gradini, si
accede alla vasca per la pigiatura dell‟uva (D), rivestita in
cocciopesto.
Nel I sec. a.C. l‟edificio viene ampliato con una
seconda vasca in opus reticulatum, anch‟essa foderata in
cocciopesto (E), e con altri due ambienti (F e G), dei quali
restano le fondazioni. Accanto alla seconda vasca si trova un
pozzo circolare (H). Il complesso sopravvisse fino al III sec.
d.C. A nord della villa è stato rinvenuto un tratto di strada
118
basolata.
Il sito è emerso casualmente, durante lavori per la
realizzazione del Campo da golf di Parco dei Medici. Nella
relazione degli scavi della Sovrintendenza Archeologica
(1989) Laura Cianfriglia scrive: “Vasche e canaletta indicano
che questa era la zona produttiva della villa. Lo scavo è
parziale ed incompleto. Non vi sono quindi elementi per
comprendere se le strutture appartengono ad una villa più
estesa dotata anche di una parte residenziale, o se è un
edificio di solo utilizzo rustico”.
119
Magliana Nuova (zona urbanistica)
La Magliana Nuova (o Pian Due Torri) è la terza delle
sette zone urbanistiche del Municipio XV, popolata da circa
26 mila abitanti.
Prende il nome dall‟abitato di Nuova Magliana,
costruito in forme speculative a partire dal 1968 sulla
preesistente Tenuta Due Torri, di cui sopravvive il ricordo nel
toponimo Pian Due Torri. Il primo popolamento dell‟area, in
epoca romana, avviene intorno alle attività del porto fluviale
di fronte a Santa Passera. Nel Rinascimento le confraternite
religiose tentano a più riprese il ripopolamento agrario,
ostacolato da continue inondanzioni. Con l‟argine del 1926
inizia la storia recente dell‟area, seguita dalla ondata di
cemento degli Anni Settanta, accompagnata da una fase di
tensioni sociali e lotte. Si progetta, sugli unici spazi verdi
rimasti in golena fluviale, l‟istituzione di un parco urbano.
120
Notizia storica
Il primo popolamento dell‟area, in epoca romana,
avviene nell‟area di Santa Passera, dove si insedia una
comunità stabile di immigrati egiziani di lingua greca (gli
Alessandrini), poverissimi e impiegati come maestranze del
porto fluviale di Vicus Alexandri. Il resto della piana non è
popolato, perché in parte acquitrinoso e insalubre, e in
parte, nella prima fascia collinare, coperto da un nemus (un
bosco sacro).
Nella piana, in epoca medievale, è attestato un campo
di sepoltura ebraico. Dal Cinque-Seicento le confraternite del
Gonfalone e del Sancta Santorum iniziano una difficile
riconquista agraria, interrotta a fasi cicliche dalle inondazioni
fluviali. Per le confraternite il reddito maggiore, è comunque
costituito non dall‟agricoltura ma da una coppia di torri
doganiere (le Doi Torre), che impongono il dazio alle merci in
risalita del Tevere e determinano il toponimo Pian Due Torri.
La storia moderna del quartiere inizia nel 1926, con la
costruzione dell‟Argine e la bonifica integrale. Il piano
regolatore del 1954 mette le basi per l‟urbanizzazione
intensiva, fissando l‟obbligo di reinterrare la piana di 8 metri
fino alla quota dell‟Argine, per prevenire le inondazioni.
Da questa prescrizione, disattesa, e dalla frenetica
fase edilizia che segue, inizia nel maggio 1971 un periodo di
aspre lotte sociali, noto come Magliana in lotta, con al centro
le richieste di locazioni a canoni equi e il risanamento del
121
quartiere.
Inquadramento urbanistico
L‟area di Magliana Nuova ha forma grossomodo
triangolare: per due lati (nord-est e sud-est) è delimitata dal
corso del fiume Tevere, che compie una stretta ansa; mentre
il terzo lato (ovest) segue il tracciato rettilineo della ferrovia
Ferrovia Roma-Pisa. Alla Magliana Nuova, nel comune
sentire, è spesso associata anche la porzione rivierasca di
Santa Passera, che congiuge la Magliana Nuova con l‟area di
Marconi, sebbene essa ricada più propriamente nel
quadrante del Portuense.
Alla Magliana Nuova si trovano due parrocchie: San
Gregorio Magno e la recente Santo Volto di Gesù. I dati
comunali al 31 dicembre 2009 indicano una popolazione
residente di 26.038 abitanti.
Miscellanea
Nell‟area della Magliana Nuova non sono attualmente
in corso cantieri di scavo né studi da parte della
Sovrintendenza. Non vi sono altri siti storici da segnalare.
122
123
Magliana Vecchia (zona urbanistica)
La Magliana Vecchia è il quinto quadrante urbano del
Municipio XV, il più esterno fra quelli compresi nel Grande
Raccordo Anulare. Il GRA ne costituisce il confine ovest,
insieme con il Tevere a sud, via della Pisana a nord e il fosso
della Magliana ad est.
La Magliana Vecchia si articola in tre settori: la piana
golenale di Parco dei Medici, l‟area collinare della Muratella e
quella più interna ed estesa della Tenuta Somaini (Casa
Mattei). Comunemente è percepita come Magliana Vecchia
anche l‟area intorno alla Stazione Magliana e Colle del Sole
(Borgata Magliana), che ricade invece nel quadrante del
Trullo.
Il nome della Magliana compare per la prima volta in
un documento del 1018. L‟etimologia è controversa: taluni la
fanno derivare da una Gens Manlia latina, altri dall‟ipotetico
avamposto etrusco di Allias, altri ancora dalla consuetudine
124
di denominare Molleus (molle) i punti di guado sul Tevere. Il
primo popolamento avviene comunque già in epoca arcaica
ed il ripopolamento medievale è precoce. Nel Rinascimento
avviene la grande fioritura intorno al Castello della Magliana,
con l‟attiguo parco di Papa Leone Medici. Le urbanizzazioni
recenti iniziano ai primi del Novecento alla Borgata
Magliana, cui segue negli Anni Trenta il borgo rurale di
Somaini. Negli Anni Settanta nasce il polo terziario di Parco
dei Medici; è oggi in corso una nuova edificazione alla
Muratella.
È presente un unico edificio di culto, la Madonna di
Pompei. Gran parte del territorio è occupato dalla riserva
Tenuta dei Massimi. I dati comunali del dicembre 2009
parlano di 4.237 residenti (senza Borgata Magliana e nuove
urbanizzazioni).
Miscellanea
Nell‟area della Magliana Vecchia esistono cinque siti
archeologici in corso di studio da parte della Sovrintendenza:
la Struttura tardo-repubblicana, il Manufatto romano alle
Idrovore, la Strada arcaica al Monte delle Piche, la Villa
romana allo Svincolo Alitalia ed i recentissimi Ritrovamenti di
via della Magliana in Località Muratella. Nonappena possibile
ve ne daremo conto con una scheda su Arvalia Storia. Non vi
sono da segnalare altri siti in ambito storico.
125
Mansio di Pozzo Pantaleo
Moena Giovagnoli
La Mansio di Pozzo Pantaleo è una sosta per viandanti
di epoca imperiale, in cui era possibile rinfrescarsi,
consumare un pasto frugale, trovare ospitalità e compagnia.
Il sito, indagato parzialmente, emerge durante la
campagna di scavi della Soprintendenza fra il 1983 e il 1989
e si trova poco più ad ovest rispetto alle Terme. Si tratta di
un gruppo di piccoli ambienti in opera mista, affiancati l‟uno
all‟altro, con affaccio comune sul Tratto di Via Campana. Gli
ambienti sono preceduti da un portico. L‟edificio è dotato di
un doppio sistema idraulico, in cui acque potabili e acque
reflue circolano separatamente. Le acque sono attinte dal
vicino fosso Tiradiavoli o, per la stagione estiva, da un pozzo.
È presente un ambiente con una vasca in malta idraulica.
Affiancato alla Mansio è stato sommariamente indagato
anche un edificio funerario a doppia camera.
126
La sosta dei viandanti
La Mansio della Via Portuensis è un manufatto
romano di epoca imperiale, identificato come una sosta per
viandanti, qualcosa di molto simile ad un moderno snack
bar, in cui era possibile trovare ristoro, breve ospitalità e
persino compagnìa.
Il sito emerge durante la campagna di scavi del 1983-
1989. A margine dell‟indagine principale (Via Campana e
impianto termale) si esplora anche un settore periferico più
ad ovest. Ne emerge un gruppo di ambienti in opera mista,
non completamente esaminati, posti in serie l‟uno accanto
all‟altro, e affacciati sulla strada attraverso un porticato.
Gli ambienti sono serviti da un doppio sistema
idraulico (acque chiare e acque scure) alimentato dal vicino
torrente e con cunicoli fognari per smaltire il refluo. Sono
presenti anche una vasca impermeabile, foderata con malta
idraulica, e un pozzo (per sopperire all‟essiccazione estiva del
torrente). I viandanti potevano godere della frescura della
vasca e dell‟ombra del porticato e, con l‟occasione,
consumare a pagamento un pasto frugale, un bicchiere di
vino o, magari, un incontro amoroso a pagamento.
L‟indagine ha restituito anche i resti di due ambienti
in opera laterizia appartenenti ad un edificio funerario, con
ingresso opposto alla Via Campana, caratterizzati dalla
presenza di sepolture in formae (sotto tegole).
127
Marconi (zona urbanistica)
Marconi è la prima delle sette zone urbanistiche del
Municipio XV, di cui costituisce la parte più vicina al Centro
storico.
Il primo popolamento è tra la fine della Repubblica e
l‟inizio dell‟Impero (Orti di Cesare, Via Portuense, Porto di
Pietra Papa), quando i ceti popolari dell‟Urbe si riversano
nella fascia extraurbana del Trans Tiberim. In epoca
medievale sono attestate comunità stabili già dall‟Anno Mille
(Pozzo e Chiesina di San Pantaleone) e successivamente nei
Prata Papi, il latifondo agrario della famiglia dei Papareschi.
La Ferrovia e il Ponte di ferro (1859) segnano il
passaggio alla modernità, accompagnato dalle grandi
fabbriche (Mira Lanza, Molini Biondi, Società Anglo-Romana).
Il Piano Regolatore del 1931 avvia l‟area alla destinazione
residenziale, completata in forme intensive nel 1965.
128
Notizia storica
Il primo popolamento risale alla fine dell‟Epoca
repubblicana (Horti di Cesare) e all‟inizio dell‟Impero (Via
Portuensis, Villa di Pietra Papa), quando i ceti sociali più
deboli di Roma - ma economicamente più vitali: artigiani,
portuali, liberti, stranieri - si insediano nella fascia
extraurbana a ridosso del Trans Tiberim.
In epoca medievale le fonti attestano il ripopolamento
agrario già dall‟Anno Mille, e la presenza di una cisterna
(pozzo) e di una chiesina (dedicata a San Pantaleone) nei
pressi dell‟attuale via Quirino Majorana, da cui deriva il
toponimo antico di Pozzo Pantaleo. Altro toponimo medievale
è Prata Papi, ovvero prati (vasti campi incolti) della famiglia
trasteverina dei Papareschi. Il toponimo, corrotto in Pietra
Papa, sopravvive ancora oggi.
La storia moderna dell‟area data al 1859, quando
Papa Pio IX inaugura il Ponte di Ferro e la Ferrovia Roma-
Civitavecchia. Con la costituzione dello Stato unitario
nell‟area si insediano piccole attività, che ad inizio Novecento
lasciano il posto a grandi stabilimenti produttivi (Mira Lanza,
Molini Biondi, Società anonima Oliere, Società Anglo-Romana
Illuminazione).
Nel 1915 una piena del Tevere rompe gli argini e
invade la Società Anglo-Romana. Forse in memoria di questo
episodio il Piano Regolatore del 1931 dispone il reinterro
della Piana fino a quota d‟argine, e apre per il quartiere una
129
diversa destinazione d‟uso, quella residenziale.
Notizia urbanistica
Il quartiere attuale prende il nome dallo scienziato
italiano Gugliemo Marconi. Si articola lungo un tridente
stradale originato sul piazzale della Radio, composto da viale
Marconi al centro e da via Oderisi da Gubbio e il Lungotere
ai lati. Nel Dopoguerra l‟impianto viario si completa con la
realizzazione del ponte sul Tevere (Ponte Marconi) e la
prosecuzione di viale Marconi verso l‟EUR.
L‟edificazione in forme intensive, con grandi caseggiati
alti 8 piani, si compie nel giro di 20 anni. Nel 1965, scrive
Nicoletta Campanella, «non c’è più un metro quadro libero».
«Le zone dedicate al verde pubblico sono del tutto inesistenti.
Il più grande problema è lo smaltimento del traffico, che, oltre
a quello locale, comprende anche quello della vasta zona
commerciale che si è venuta a mano a mano allargando. Così
il quartiere Marconi, sorto sotto la spinta speculativa, è
arrivato ad una densità edilizia di 1300 abitanti per ettaro».
I confini urbanistici sono dati dal tracciato ferroviario
della Roma-Pisa a nord e a ovest, e dal corso del Tevere, a
sud e a est. L‟Area comprende, oltre alla Piana di Pietra
Papa, anche un lembo collinare, lungo l‟asse di via Quirino
Majorana, chiamata Nuovo Trastevere.
Vi sono due chiese parrocchiali: Gesù Divino
Lavoratore e Santi Aquila e Priscilla. I dati comunali al 31
130
dicembre 2008 indicano una popolazione residente di 35.111
abitanti.
Miscellanea
Si ha notizia di un Cimitero catacombale ebraico,
che si trovava, grossomodo, alle spalle dell‟odierna via
Oderisi da Gubbio, noto già dal Seicento. Esso risulterebbe
franato nel 1864, e da allora perduto. Vi sono, nell‟area di
Marconi, due siti archeologici in corso di studio da parte
della Sovrintendenza: i Drenaggi di via Biolchini, venuti
alla luce durante la realizzazione di un supermercato, e la
Struttura arcaica alla Casa ebraica. Di essi non sono
purtroppo disponibili notizie dettagliate.
Tra le opere moderne ci riproponiamo, non appena
possibile, di realizzare una scheda sulla Sinagoga, la Chiesa
evangelica e il Porto fluviale.
131
Martiri Portuensi
Abstract non disponibile.
132
133
Mater Divinae Gratiae
Abstract non disponibile.
134
135
Mira Lanza, lotto del 1918
La Mira Lanza è una fabbrica dismessa edificata nel
1918, sita sul lungotevere dei Papareschi a Marconi.
Per quanto noto, la proprietà è pubblica e presenta
elementi di degrado; non è visitabile, è visibile da strada. È
stata studiata dalla Soprintendenza ai Beni architettonici e
del paesaggio di Roma (scheda inventariale 00970903A,
Banchini R. - cat. Isgrò S.).
L‟Ex Saponificio Mira Lanza, sito in lungotevere
Gassman (dei Papareschi) e via Pacinotti, è una proprietà
comunale di inizio Sec. XX.
Il complesso industriale, che si sviluppò dal 1918 al
1921, comprendeva costruzioni funzionali alle varie
lavorazioni necessarie al saponificio: i nuovi magazzini verso
il fiume, la portineria, i servizi (nursery e refettorio), i due
fabbricati per il saponificio e l‟estrazione a benzina di grassi -
da ossa o altro -, le caldaie per la produzione di vapore, due
136
ciminiere, il magazzino, la stazione degli autocarri, il Villino
della Direzione, gli alloggi del personale direttivo e le case a
schiera per gli operai (una, a due piani, tuttora superstite, ai
numeri 18 e 20 di via dei Papareschi).
137
Mira Lanza, lotto del 1924
La Mira Lanza, lotto II (ovvero i Nuovi edifici,
successivi al 1924, alla Mira Lanza) è una fabbrica dismessa,
risalente al Ventennio fascista. Fa parte del Complesso
storico della Mira Lanza.
Le prime edificazioni risalgono al 1924. La proprietà
è, per quanto noto, parcellizzata fra più soggetti. Non
disponiamo di notizie architettoniche/funzionali più
dettagliate. Si trova Via Pacinotti, via Pierantoni, lungotevere
Gassman (già dei Papareschi). È visibile da strada e
periodicamente, vengono organizzate delle visite. Per saperne
di più: Roberto Banchini, Scheda inventariale n. 970903 -
Sopr. BBAA e Paesaggio Roma. Catalogo di Sara Isgrò.
138
139
Mira Lanza, lotto del 1947
La Mira Lanza, lotto III (ovvero Opere di ricostruzione
del 1947 alla Mira Lanza) è una fabbrica dismessa di epoca
contemporanea. Fa parte del Complesso storico della Mira
Lanza.
Risale ad un periodo successivo al 1947. Non
disponiamo di notizie architettoniche/funzionali più
dettagliate. Si trova in Via Pacinotti, via Pierantoni,
lungotevere Gassman (già dei Papareschi). È visibile da
strada e periodicamente vi si effettuano delle visite guidate.
Per saperne di più: Roberto Banchini, Scheda inventariale n.
970903 - Sopr. BBAA e Paesaggio Roma. Catalogo di Sara
Isgrò.
140
141
Mulini Biondi
A. Di Mario - A. Anappo
I Molini Biondi sono un complesso produttivo dei
Primi del Novecento, oggi adibito a centro residenziale e
commerciale.
Nel 1905 la Società Italiana Molini e Panifici Antonio
Biondi di Firenze rileva il preesistente Mulino Städlin (di
modeste dimensioni, costruito nel 1885 nella Vigna Costa a
ridosso del Ponte dell‟Industria), per ampliare il suo mercato
alla Capitale italiana, in continuo incremento demografico e
con sempre crescenti esigenze alimentari. La scelta del sito
privilegia la vicinanza al Tevere e alla ferrovia, vie di
collegamento veloci ed efficienti per l‟approvvigionamento
delle materie prime (i cereali) e la distribuzione del prodotto
finito (le farine in sacchi). I lavori di elevazione e
ampliamento, diretti dall‟ingegner Antonio Fiory, si
protraggono fino al 1907. Negli anni successivi la
costruzione del nuovo tracciato ferroviario determina un
142
esproprio di 6 ettari di terreno; la trasformazione del Ponte
dell‟Industria in strada carrabile (l‟odierna via Antonio
Pacinotti) modifica gli accessi e ridisegna i raccordi con la
rete ferroviaria nazionale.
La strutture hanno l‟aspetto architettonico dei
caseggiati industriali nord-europei. Il corpo principale, lungo
62 m e alto 28, presenta quattro ordini sovrapposti di
finestre rettangolari, con partiture di mattoni a vista.
Internamente i vari piani - divisi da solai sostenuti da
colonnine in ghisa - ospitano le motrici a vapore, i
trasformatori per l‟energia elettrica, gli impianti per la
macinazione del grano e la raffinazione delle farine, e grandi
silos di stoccaggio. Un edificio adibito ad uffici e la palazzina
degli alloggi degli operai completano la struttura.
Lo stabilimento cessa le attività intorno alla metà del
Secolo scorso. A partire dal 2000 il complesso, rilevato da
privati, è stato ristrutturato, lasciando intatti i prospetti e
ricavandovi all‟interno appartamenti e negozi.
143
Murature romane di viale Marconi
Con il nome Murature di viale Marconi si indicano
alcuni resti di opere murarie di epoca romana, siti a viale
Marconi ma non visibili al pubblico perché interrati.
Per quanto noto, la proprietà è privata e di interesse
archeologico. Presso la Soprintendenza Archeologica di
Roma, che ha studiato il sito, è disponibile per gli studiosi
una scheda inventariale.
144
145
Necropoli alla Mira Lanza
La Necropoli alla ex Mira Lanza, accessibile da via
Pierantoni, è un sito necropolare di epoca romana.
Per quanto noto, la proprietà è pubblica e di interesse
archeologico (scavi recenti); non è visitabile, è visibile da
strada. È stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica
di Roma (scheda inventariale presso l‟Ente).
146
147
Necropoli di Ponte Galeria
Abstract non disponibile.
L’uomo senza sorriso di Malnome
Gli studi degli antropologi sulle umili tombe di Castel
Malnome hanno restituito il racconto aspro della vita nella
comunità dei lavoratori portuali dei bacini di Claudio e
Traiano e delle vicine saline: facchini ai moli, portatori di
sale e uomini di fatica in genere, con lo status di schiavi o
liberti.
Gli scheletri appartengono in gran parte a maschi (il
72%), tra i 20 e i 40 anni) e con la schiena “rotta dalla
fatica”: presentano lesioni della colonna vertebrale dovute al
trasporto di carichi e frequenti fratture agli arti.
Un cranio, radiografato alla tac al Policlinico Casilino,
148
ha rivelato la storia di un uomo con la rara patologia della
“signazia”, mai rilevata finora in popolazioni antiche.
L‟individuo 30-35enne presenta un‟ossificazione
dell‟articolazione temporo-mandibolare: in pratica è nato con
la mandibola saldata alla tempia e non ha mai potuto
sorridere, masticare, parlare..
Una mano pietosa gli ha strappato via gli incisivi, per
permettergli di alimentarsi e respirare, e svolgere così la sua
vita di facchino. Gli antropologi interpretano questo
intervento come volontario ed operato dalla comunità
portuense per assicurare la sopravvivenza ad un individuo
che sarebbe morto in età infantile. La mentalità del tempo
infatti consentiva al pater familias di lasciar morire un figlio
nato deforme.
149
Necropoli di via Blaserna
La Necropoli di via Blaserna è un sito necropolare di
epoca romana, sito nella via omonima a Marconi.
Per quanto noto, la proprietà è privata e di interesse
archeologico; non è visitabile, non è visibile da strada. È
stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma
(scheda inventariale presso l‟Ente).
150
151
Necropoli di viale Marconi
La Necropoli di viale Marconi è un‟area cimiteriale di
epoca romana, rinvenuta lungo viale Marconi e oggi non
visibile al pubblico perché interrata.
È stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di
Roma (la scheda inventariale è disponibile presso l‟Ente per
gli studiosi). Per quanto noto, la proprietà è privata e di
interesse archeologico.
152
153
Necropoli di Vigna Pia
Moena Giovagnoli
La Necropoli di Vigna Pia è un complesso funerario,
composto di: tomba collettiva (Colombario di Vigna Pia),
tomba familiare (~ di Atilia Romana) e una parte interrata.
Il settore collettivo si compone di più ambienti
organizzati a Colombario, con file ordinate di nicchiette e
qualche sepoltura intagliata nel pavimento (a mosaico o in
opus spicatum) o in arcosoli. Vi è una cucina funeraria per i
banchetti in onore dei defunti. Le decorazioni raffigurano
rose, volatili e cavalli marini. La tomba familiare è dedicata
ad Atilia Romana, defunta moglie di Atilius Abascantus,
raffigurata in un ritratto a mosaico in tessere bianche e nere.
Una terza area (oggi ricoperta) ha restituito delle semplici
murature. L‟area viene individuata nel 1998, vicino il
ristorante La Carovana. Nel 2000 iniziano gli scavi e nel
2006 l‟area viene sistemata e aperta al pubblico.
154
La Tomba di Atilia
Nel luglio 1998, durante lavori di archeologia
preventiva per la realizzazione di box auto nell‟area tra le vie
Riccardo Bianchi, Ettore Paladini, viale di Vigna Pia e via
Portuense, emerge una nuova porzione del vasto complesso
necropolare Portuense, di cui sono già note le aree di Pozzo
Pantaleo, del Drugstore e di via Ravizza. Tutte e quattro le
aree afferiscono infatti alla viabilità dell‟antica Via
Portuensis. I resti sono oggi compresi nella fascia centrale del
terreno del ristorante La Carovana, posto su un diverso
piano di calpestìo. Gli scavi iniziano nel 2000 e continuano
anche nel biennio successivo. La successiva sistemazione
pubblica (con la realizzazione di tettoie protettive) si conclude
nel 2006.
Nell‟area sono presenti strutture funerarie di diverse
tipologie, appartenenti a diversi modi di trattare il corpo del
defunto: l‟inumazione (data la presenza di sarcofagi, tombe a
cappuccina e anche fosse ricavate nel terreno, a volte anche
distruttive per quanto riguarda i mosaici) e l‟incinerazione
(sono state trovate ollette e anfore, usate per conservare le
ceneri del defunto). Complessivamente, la Necropoli di Vigna
Pia risulta articolata in tre sezioni: il Sepolcro di famiglia,
l‟area del Colombario e un‟area con murature oggi ricoperta.
Il sepolcro di famiglia è dedicato da Atilius Abascantus
alla defunta moglie Atilia, citata in un‟epigrafe e raffigurata a
mezzo busto nel mosaico a tessere bianche e nere. Proprio la
155
scoperta del sepolcro dedicato a questa donna porta gli
archeologi a nominare l‟intera area con il nome di Necropoli
di Atilia.
Il Colombario di Vigna Pia
L‟area del Colombario presenta pavimenti in mosaico
a tessere bianche e nere, con figure ad elemento vegetale,
geometrico o simbolico (come il nodo di Salomone). Il colore
che spicca di più sulle pareti, all‟inizio identificate solo di
colore bianco, è il rosso porpora, il quale delinea anche le
nicchie del colombario. Le pareti presentano anche
decorazioni a motivo floreale (roselline) oppure volatili,
animali ultraterreni (ippocampi) e anche raffigurazioni
simboliche di carattere dionisiaco (la maschera).
È stata evidenziata la presenza di fumo sulle pitture:
queste tracce stanno ad indicare l‟uso di una cucina
funeraria, unica testimonianza nel Territorio Portuense,
sebbene sappiamo che l‟uso di banchetti per cerimonie e
commemorazioni di defunti sia stato molto diffuso nella
civiltà romana.
Al centro tra le due aree principali si trova una terza
area nella quale sono state trovate delle murature. Tali muri,
ritenuti di minor rilevanza, sono stati indagati con la finalità
di individuare un diverticolo o un nuovo tratto di Via
Campana. La strada non è stata trovata e l‟area è stata
ricoperta di terra.
156
157
Necropoli preistorica
Abstract non disponibile.
Usi funerari portuensi
Nel Lazio le forme più antiche di pietas (pietà dei
defunti) risalgono all‟Età della pietra, con accumuli di sassi
sopra la salma: in precedenza i cadaveri venivano
semplicemente abbandonati. Queste elementari forme di
rispetto, oltre ad evitare la diffusione dei miasmi e la
predazione degli animali, postulano una credenza nell‟anima
e in una sua dimensione ultraterrena, e permettono di
riconoscere un‟altra credenza secondo la quale l‟anima di un
insepolto è destinata a vagare senza pace nel mondo dei vivi,
in forma di spettro.
Le prime inumazioni (sepolture) si registrano nell‟Età
158
del rame e del bronzo, deponendo volumi di terra insieme
alle pietre fino a costituire dei monticelli allungati o circolari
sopra il livello del terreno (tumuli); oppure scavando sotto il
terreno (fosse). Dall‟VIII sec. a.C., ai tumuli e alle fosse si
aggiunge un‟altra tipologia funeraria: la camera sepolcrale
(sepolcro), ricavata inizialmente al di sotto dei tumuli.
Le sepolture (tumuli, fosse o sepolcri che siano), sono
spesso concentrate in un unico luogo, esterno all‟abitato,
che prende il nome di necropoli (città dei morti). Per
antichissima consuetudine infatti (e a Roma fin dalle Leggi
delle Dodici Tavole) è vietata l‟edificazione di cimiteri dentro i
confini urbani.
Parallelamente alla sepoltura si radica dall‟VIII sec.
anche l‟uso funerario della cremazione (la salma viene posta
in una pira ardente e ridotta in cenere). Si tratta di una
pratica comune a tutta la stipe indoeuropea, che giunge alle
popolazioni italiche attraverso quelle greche. Inizialmente si
diffondono le tombe a pozzo: si tratta di semplici pozzetti
rivestiti, in cui vengono deposte le ceneri del defunto. I popoli
latini fanno della cremazione un uso prevalente, ed i Romani
elaborano la consuetudine di raccogliere le ceneri dentro
urne o olle, conservate in speciali nicchie all‟interno di
sepolcri, di tipo familiare o collettivo (colombari).
Dal II sec. d.C. a Roma si torna progressivamente
all‟inumazione. Le cause sono principalmente due. La prima
è la penuria di legname (dovuta alla crescita vertiginosa della
popolazione urbana), che rende costoso allestire delle pire
ardenti per la cremazione; la seconda è l‟importazione a
159
Roma delle dottrine giudaico-cristiane che, predicando la
resurrezione delle carni, vedono con diffidenza la cremazione.
160
161
Necropoli protostorica
Abstract non disponibile.
162
163
Nostra Signora del Sacro cuore
Abstract non disponibile.
164
165
Nostra Signora di Valme
Nostra Signora di Valme è una chiesa parrocchiale
contemporanea, il cui titolo ricorda un prodigio, avvenuto
nel 1247 durante la Reconquista spagnola.
Il re Ferdinando, durante l‟assedio di Siviglia, invoca
il sostegno della Vergine Maria, con l‟espressione tardo-
latina “Valme!” (letteralmente Vali me, cioè Dammi forza).
Subito dalla terra arida sgorga una sorgente di acqua
ristoratrice, che permette alle truppe cristiane di riprendere
le armi e scacciare, nel sangue, i Mori. Sul luogo del prodigio
Ferdinando edifica un santuario, in cui colloca una statua
lignea della Madonna, oggetto di grande venerazione
popolare. In seguito la statua si trasferisce al santuario di
Dos Hermanas e dal 1866 il suo culto è praticato anche a
Roma, nella basilica di Santa Maria Maggiore, gemellata a
Dos Hermanas. Dal 28 febbraio 1982, con il decreto del
cardinal Poletti A tutti è ben noto, il culto di Valme è
166
assegnato al Territorio Portuense, dove si costituisce la
nuova parrocchia di Valme.
Da una iniziale sede di fortuna si intraprende, negli
Anni Novanta, la costruzione della nuova chiesa progettata
dall‟architetto Spina, conclusa il 24 marzo 1996 con la
consacrazione del cardinal Ruini. L‟Edificio liturgico dalle
grandi vetrate si caratterizza per l‟icona mariana presente
sull‟altare maggiore. Il 10 marzo 2010 sarà collocata la
nuova statua in trono della Vergine di Valme.
La parrocchia è affidata all‟Opera della Chiesa,
comunità cristiana ispirata alla figura di Madre Trinidad. Il
Complesso parrocchiale si compone di Comunità, Casa
dell‟Apostolato e Casa di risposo. Da Nostra Signora di
Valme dipendono le cappelle di S. Giovanni Battista de La
Salle e di Papa Giovanni XIII a Borgata Petrelli.
Wojtila, elogio del chiasso
Giovanni Paolo II visita N.S. di Valme il 16 dicembre
96. È la terza domenica d‟Avvento, tradizionalmente
chiamata “Gaudete” in memoria di un passo di S. Paolo ai
Filippesi che esorta a gioire per la vicinanza del Natale.
Le prime parole sono per i più piccoli: “Vi ringrazio
per questa accoglienza chiassosa. E grazie a Dio che c‟è
chiasso, perché è un segno della gioia! Essendo ragazzi siete
la gioia incarnata; io vi voglio bene!”.
167
In chiesa Wojtila scandisce S. Paolo (4,4-5):
“Rallegratevi sempre nel Signore! Ve lo ripeto, siate felici! Il
Signore è vicino!”. I diaconi leggono Isaia (61,10 “il Signore
mi ha rivestito di salvezza”), S. Paolo ai Tessalonicesi (5,16
“Dio vi santifichi fino alla perfezione”) e spiegano le figure di
S. Giovanni Battista e S. Elisabetta, preparatori dell‟Avvento.
Il discorso ai “carissimi fratelli e sorelle della
parrocchia” è un elogio per le opere di evangelizzazione, fin
dentro i condomìni. “Sono lieto di celebrare l‟eucarestia
insieme con voi!”, dice. “Che la buona Novella possa entrare
in ogni casa ed aiutare a riscoprire che solo in Cristo c‟è
salvezza. In Lui è possibile trovare pace interiore, speranza e
forza per affrontare ogni giorno le situazioni della vita, anche
le più pesanti e difficili“.
168
169
Nuovo Corviale
Il Nuovo Corviale è un edificio-città, progettato a
partire dal 1972 dall‟architetto Mario Fiorentino su
commessa dell‟Istituto Autonomo Case Popolari.
Le idee guida del team di Fiorentino (Michele Valori,
Giulio Sterbini, Federico Gorio, Pier Maria Lugli) sono il
quartiere-satellite (un nucleo abitato in grado di offrire agli
abitanti i servizi necessari senza spostarsi in Centro) e le
soluzioni residenziali del primo razionalismo, prendendo
come modello le unités d’habitation di Le Corbusier.
L‟edificio principale, realizzato di setti in cemento
armato, si sviluppa linearmente per 1 km, per 9 piani di
altezza più 2 di autorimesse interrate. I piani fuori terra -
percorsi da lunghissimi ballatoi - sono ad uso abitativo, ad
eccezione del 4° piano, destinato alla galleria delle attività
commerciali. È suddiviso in cinque lotti (condomìni) lunghi
200 m ciascuno, intervallati dalle quattro torri dei vani
170
scala. Secondo il progetto ogni lotto è dotato di sale, cortili e
spazi comuni; nella adiacente spina dei servizi debbono
trovarsi scuole, strutture socio-sanitarie e laboratori
artigianali.
Le prime abitazioni sono consegnate nell‟ottobre
1982. Sono di poco successive le occupazioni abusive,
l‟abbandono, il degrado e poi un lungo difficile cammino di
riqualificazione. Al complesso appartengono anche due corpi
secondari: la traversa (poste a 45° rispetto al corpo
principale) e le case basse (alte 2 o 3 piani, in parallelo al
corpo principale).
171
Opera Don Guanella
Abstract non disponibile.
172
173
Oratorio Damasiano
Abstract non disponibile.
174
175
Oratorio del Divin Maestro
L‟Oratorio di Vigna Consorti è un magazzino agricolo
del complesso agrario dei Casaletti del Trullo, la cui funzione
moderna è quella di piccolo ritrovo e luogo di preghiera della
Congregazione ecclesiastica delle Pie Discepole del Divin
Maestro.
Tra i quattro edifici del complesso, è riconoscibile per
il colore rosso e per la minor altezza rispetto agli altri edifici
presenti.
176
177
Orti di Cesare
Gli Orti di Cesare - in latino Horti Tiberini o Caesaris -
sono una proprietà fondiaria romana extraurbana,
localizzabile tra le propaggini ovest del Trans Tiberim (il
Gianicolo) e la Piana di Pietra Papa.
Verso il 49 a.C. il console Caio Giulio Cesare ne
acquista la proprietà, per mettervi al pascolo allo stato brado
la Mandria sacra di cavalli con cui ha attraversato,
vittoriosamente, il fiume Rubicone. Nell‟anno 46 Cesare
alloggia negli Horti, lontano da occhi indiscreti, la regina
Cleopatra, sua preda di guerra e allo stesso tempo sua
amante e conquistatrice. Alla morte del dittatore, nel 44, gli
Horti diventano proprietà pubblica, attraverso una donazione
al Popolo di Roma contenuta nel suo testamento.
La struttura edilizia degli Horti è nota solo attraverso
la descrizione degli storici. Plutarco attesta che verso le
pendici del Gianicolo sorgeva il Palatium, un edificio di medie
178
dimensioni non archeologicamente noto. Esso si collocava in
posizione elevata ed era circondato da alti e odorosi pini.
Dopo l‟arrivo di Cleopatra il Palatium è ampliato, per
adeguarsi al rango di una regina: si aggiungono un peristilio,
sontuosi affreschi e la statua colossale di un guerriero
gallico.
Nei rigogliosi giardini trovava posto un tempietto
dedicato alla Dea Fortuna, voluto da Cesare per ringraziare
la Sorte favorevole in occasione della nomina a dictator
perpetuus (dittatore a vita). I giardini si aprivano sul Tevere
con ormeggi e darsene portuali, in cui era alla fonda il
barcone egizio di Cleopatra.
Caio Giulio, il tiranno
Caio Giulio nasce il 13 luglio del 100 a.C. Educato
alla grammatica nel periodo turbolento del Bellum sociale, è
presto avviato alle armi ed inviato in Asia, nel timore che la
proscrizione, che già ha colpito suo zio Caio Mario, si
abbatta anche su di lui.
Svetonio ne dà una descrizione giovanile: “Di alta
statura, carnagione chiara e florida salute, nella cura del
corpo è meticoloso al punto di tagliarsi i capelli, radersi e
depilarsi con diligenza. Sopporta malissimo il difetto della
calvizie, per il quale spesso è offeso e deriso: per questo
riporta in basso dalla cima del capo i pochi capelli”.
Alla morte di Lucio Cornelio Silla, capo della fazione
179
opposta degli Optimates (78), Caio Giulio torna a Roma ed
inizia la folgorante ascesa politica: prima questore, poi edile,
pretore, pontefice, governatore della Spagna Ulteriore ed
infine console, in alleanza con i triunviri Crasso e Pompeo.
Dal 59 è in Gallia, impegnato nella campagna contro Elvezi,
Veneti e Belgi, il cui capo Vercingetorix è sconfitto
definitivamente nel 52.
L‟oratore Cicerone individua nella sete di potere il
motore delle azioni di Caio Giulio: “Ha memoria ed ingegno,
cultura ed equilibrio, prontezza. Ma non ha altra ambizione
che il potere e con grandi pericoli l‟ha perseguita. La plebe
ignorante se l‟è conquistata con elargizioni frumentarie,
opere pubbliche e feste; i suoi li ha conquistati con i premi e
gli avversari con la clemenza. Insomma: a Roma, un tempo
fieramente libera, ha dato l‟abitudine di servire, un po‟ per
timore un po‟ per rassegnazione”.
Domata la Gallia, la strada per il potere assoluto è
aperta. Crasso muore improvvisamente e l‟ex alleato Pompeo
resta il solo che gli si opponga apertamente. Il 10 gennaio 49
Caio Giulio varca il fiume Rubicone, il confine territoriale
vietato alle legioni in armi, per regolare i conti con il rivale: il
dado del Bellum civile è lanciato. Alea jacta est.
Caio Giulio insegue Pompeo e i suoi luogtenenti
dall‟Italia alla Spagna, all‟Africa, alla Grecia. A Farsalo (48)
Pompeo è sconfitto, ma sopravvive e ripara in Egitto: lo
insegue anche lì.
In Egitto l‟ambizioso console incontra la regina
Cleopatra, ultima esponente della dinastia dei Tolomei.
180
Affascinante, volitiva, e con una biografia personale non
molto diversa dalla sua. Da allora i loro destini si uniranno
in una cosa sola.
Cleopatra, amante portuense
Cleopatra (69-30 a.C.) nasce ad Alessandria d‟Egitto
dalla famiglia regale dei Tolomei. Governa dalla primavera 51
insieme al fratello Tolomeo XIII, di cui è sposa, fino alla
tumultuosa deposizione, ispirata dal consigliere Potino.
Quando Pompeo, inseguito da Cesare, sbarca in Egitto, è in
corso una furibonda guerra civile: da una parte gli eserciti di
Tolomeo XIII e della sorella minore Arsinoe, dall‟altra gli
eserciti di Cleopatra e dell‟altro fratello, Tolomeo XIV.
Cleopatra è destinata a sicura sconfitta: Tolomeo controlla la
capitale, Cleopatra è allo sbando nel deserto nei pressi di
Alessandria.
L‟arrivo di Pompeo, in fuga da Cesare, rimescola le
carte in tavola. Il consigliere di Tolomeo XIII, Potino, nella
speranza di ingraziarsi Roma, fa uccidere Pompeo subito
dopo lo sbarco, e ne offre a Caio Giulio la testa. La reazione
del console è però sdegnata, tanto da catturare Potino e
giustiziarlo sommariamente, e prendere le parti della sua
oppositrice Cleopatra. Ma Cleopatra non è solo un‟alleata di
Caio Giulio: nel frattempo ne è divenuta l‟amante.
Lo scontro militare decisivo avviene ad Alessandria
nel 48: le successive vittorie di Tapso e Munda consegnano a
181
Caio Giulio l‟intero Egitto, che rimane formalmente
indipendente, sotto la guida di Cleopatra.
Molto si è scritto sulla relazione tra Cleopatra e
Cesare, in verità con poca documentazione e molte ipotesi.
L‟avvenenza di Cleopatra è spesso messa in dubbio (sarebbe
stata bassa e col naso a becco!). Senza dubbio però gli
interessi del console romano e della regina sono convergenti:
Caio Giulio vuole l‟Egitto per impadronirsi delle sue risorse
finanziarie, e Cleopatra, non potendo fermarlo, mira a
sedersi al suo fianco. A complicare il tutto, scoppia tra i due
una relazione, che forse non fu sincera, ma di sicuro fu
ardente.
Nel 46 Caio Giulio, ormai padrone di un Egitto pacificato,
prende la decisione improvvisa di tornare a Roma, per
incassare il credito di popolarità maturato con le sue
campagne e candidarsi al potere supremo nella Repubblica.
La regina-amante decide di partire con lui, con il figlioletto
Tolomeo Cesare, detto Cesarione, appena nato dalla loro
passione. Dopo breve navigazione le navi di Caio Giulio
gettano l‟ancora ad Ostia. Il console alloggia Cleopatra poco
al di fuori di Roma, nei suoi Horti sulla Riva Portuense.
Cleopatra è pur sempre una straniera, e occorre cautela nel
presentarla ai Romani e alla moglie legittima, Calpurnia.
Nella corte egiziana in Riva destra Cleopatra rimarrà
due anni, dal 46 fino alla tragica morte dell‟amante, console,
dittatore alle idi di marzo del 44.
182
Calpurnia, la nobile rivale
Calpurnia è la terza moglie di Caio Giulio Cesare:
prima di lei Cornelia era morta prematuramente e Pompea
era stata ripudiata. Il matrimonio si celebra nel 59 a.C.,
quando Calpurnia ha solo 16 anni.
Caio Giulio la saluta poco dopo, per impegnarsi nelle
complesse fasi del Bellum Gallicum, del Bellum civile e
dell‟ascesa al potere assoluto. Calpurnia attende fiduciosa
nella Reggia Palatina, dedicandosi all‟amministrazione delle
proprietà familiari, ultima delle quali sono gli Horti nel
Territorio Portuense (Orti di Cesare). Il condottiero torna a
Roma solo nel 46, portando con sé come ingombrante
“preda” la Regina Cleopatra, che ospita proprio negli Horti, a
debita distanza dall‟Urbe e da Calpurnia.
Calpurnia reagisce con misurato contegno romano.
Conosce le infedeltà del marito, sa che Cesare sta lavorando
ad una legge ad personam che gli consenta di avere due
mogli; ma sa anche che in Senato c‟è chi preme affinché
ripudi Calpurnia e sposi Cleopatra, allettato dalla
prospettiva di acquisire l‟Egitto per via ereditaria. Chiusa in
un severo silenzio, Calpurnia dalla Reggia Palatina scruta
ogni giorno gli Horti, dove la rivale sta trasformando il luogo
desolato in una sfarzosa corte orientale.
Il popolo di Roma prende unanime le parti di
Calpurnia. Da Cicerone in poi tutti la informano che Cesare
il Conquistatore è stato ormai conquistato dall‟avvenente
183
regina orientale, che non è la sua prima amante ma certo è
la più pericolosa. Eppure Calpurnia rimarrà a fianco del
marito fino all‟ultimo, al mattino delle Idi di marzo del 44,
senza più risposarsi dopo.
Alla corte di Cleopatra
Tra il 46 e il 44 a.C. la regina Cleopatra trasforma gli
Horti di Cesare in una corte reale, sul modello della Corte
egiziana di Alessandria. Della breve vita della Corte
portuense - caratterizzata da ingenti opere edilizie, ingente
sfarzo, ingenti spese -, rimangono oggi solo i racconti degli
artisti e delle personalità pubbliche che vi soggiornarono.
Le opere edilizie si concentrano sulla villa alle pendici
del Gianicolo, ampliata e trasformata in Palatium. Vengono
dipinti affreschi con episodi mitologici e viene innalzata la
statua colossale di un guerriero gallico. Nei campi portuensi,
dove pascolano bradi i cavalli della Mandria Sacra, la
circolazione è regolata da due strade: la Via Campana che
taglia dritto verso le terme (oggi Pozzo Pantaleo), e la via
alzaria che segue la riva del Tevere. I campi diventano
giardini di delizia, con il barcone di Cleopatra all‟àncora nelle
darsene (presso l‟odierno Ponte Marconi). Cesare segue i
lavori di persona, tanto che gli oppositori lo accusano per
questo di trascurare gli impegni pubblici.
Nella Corte risiedono stabilmente 200 dignitari, 30
cortigiani, il corpo armato della Guardia reale e un numero
184
imprecisato di ancelle e servi. La lingua comunemente
parlata è il greco, nella varietà alessandrina. Cleopatra ha
chiesto a Cesare organici ben maggiori (1000 dignitari e 200
cortigiani), ma Cesare l‟ha convinta ad accontentarsi, per
non rivaleggiare in sfarzo con i suscettibili patrizi della
Reggia palatina. Sono numerose infatti nell‟Urbe le critiche e
i chiacchiericci: sia per aver concesso a una straniera onori
regali, sia per averle riconosciuto lo status divino di
reincarnazione di Iside.
Tra i poeti vi troviamo spesso Sallustio, Asinio
Pollione, Lucio Apuleio e i due giovanissimi Virgilio e Orazio.
Quest‟ultimo, che ha appena 21 anni, non fa mistero di
detestare la Regina. E tuttavia è per lui che Cleopatra
stravede: Cleopatra si annoia mortalmente nel sentire
Sallustio declamare il Bellum Iughurtinum ma quando
Orazio prende la parola e racconta le avventure amorose
delle sue eroine Cleopatra ascolta ammaliata. Addirittura,
pare che Cleopatra stessa si sia cimentata nella
composizione di un‟opera letteraria, andata perduta, sulla
cosmesi femminile simile ai Medicamina faciei di Ovidio.
Agli occhi dei poeti Cleopatra appare concordemente
bellissima. Cleopatra, racconta Lucio Apuleio, indossa
solitamente una conturbante tunica di lino, simile a quelle
delle sacerdotesse egizie; possiede anche vesti elaborate, nei
colori tradizionali di Roma, il rosso e il giallo, tutte assai
discinte rispetto agli standard capitolini. Alla Corte risiedono
anche mimi e attori, tra i quali Publilio Siro, e lo scultore
greco, Arcesilao, che fonde in euricalco una statua della
185
regina nelle vesti di Iside.
Tra i personaggi pubblici agli Horti sono frequentatori
abituali Bruto, Antonio e il giovane Ottavio, dall‟indole severa
e assai critico. Ci sono anche Tolomeo XIV, il fratello-sposo
di Cleopatra di appena 13 anni, e l‟infante Cesarione. Il
grande assente dalla Corte portuense di Cleopatra è
Cicerone: per il Padre della Patria Roma ha un‟unica corte
regale, quella sul Palatino.
Cicerone e la beffa dei papiri
Abstract non disponibile.
La notte che piansero i cavalli
Abstract non disponibile.
186
187
Palatium Sancti Johannis
Il Palatium Sancti Johannis (Palazzo di San Giovanni)
è un edificio altomedievale, identificato insieme alla Chiesina
rurale di Sanctus Johannis de Maliana come il primo nucleo
edilizio del Castello della Magliana. Oggi non è più
riconoscibile e, secondo taluni, è inglobato nella porzione del
Castello chiamata Palazzetto di Innocenzo VIII.
Il primo documento noto circa la Tenuta della
Magliana - un atto di concessione del 1018, emanato da
Papa Benedetto VIII - affida il Fundus Manlianus al
Monastero di San Pancrazio dell‟Episcopio di Porto,
fissandone l‟estensione fino alla Torre di Palidoro, sulla
costa, ma senza citare la presenza di edifici. Una successiva
concessione dello stesso fondo, nell‟anno 1074, sotto il
pontificato di Papa Gregorio VII, in cui il godimento passa al
Monastero di San Paolo Extra Muros, cita la presenza di una
cappellina rurale, detta di Sanctus Johannis de Maliana. Nel
188
1184 c‟è un nuovo passaggio di mano, questa volta in favore
dei Monaci Benedettini, e non si annoverano accrescimenti
edilizi. La tenuta rimarrà ai Benedettini fino al 1493.
Il Palatium doveva avere la funzione di centro civile
della tenuta. Dal Duecento al culto di San Giovanni si
affianca quello di Santa Cecilia, tanto che il Palatium nel
Quattrocento viene indicato con il nome di Casale Sanctae
Ceciliae.
189
Palazzetto di Innocenzo VIII
Abstract non disponibile.
Innocenzo VIII, cacciatore di streghe
Giovan Battista Cybo è papa dal 1484 al 1492, con il
nome di Innocenzo VIII. è l‟ultimo papa medievale: insegue
fattucchiere, eretici e umanisti, non gli interessa di abbellire
Roma, non muove guerra a nessuno.
Cybo nasce a Genova da una famiglia aristocratica.
Compie gli studi a Napoli e Pavia e, protetto da Giuliano
della Rovere, sale uno a uno i gradini delle gerachie della
Chiesa. Il 29 agosto 1484 è papa. Innocenzo VIII sprofonda
Roma nell‟arretramento culturale (emblematico è il divieto di
rappresentare Pico della Mirandola) e si disinteressa dei
doveri di patrono civico. Conduce però una vita da libertino e
190
gli si attribuiscono 16 figli naturali. Pasquino lo apostrofa
così: “Otto figli malvagi, otto figlie malvage, quest‟uomo può
chiamarsi a buon diritto padre di Roma!”.
In politica estera mantiene relazioni equilibrate: si fa
amico Enrico VII d‟Inghilterra dichiarandolo legittimo
detentore della corona, insignisce i Reali di Spagna del titolo
di “Maestà cattoliche” dopo la cacciata dei Mori da Granada
e, posto di fronte alla prospettiva di una crociata in
Terrasanta, preferisce accordarsi con il sultano Bajazet, che
gli offre 40.000 ducati l‟anno e la Lancia di Longino (oggi a
San Pietro).
Papa Innocenzo persegue duramente gli eretici (in
particolare i Valdesi): la bolla “Summis desiderantes” (1484)
incarica i Domenicani di “sradicare l‟errore con la zappa del
saggio agricoltore”; il manualetto “Malleus Maleficarum”
(1487) codifica la caccia alle streghe; il Grand‟inquisitore di
Spagna Tomàs de Torquemada ne farà un sanguinario uso.
I soggiorni alla Magliana segnano per papa Innocenzo
momenti sereni e distensivi. Jacopo da Pietrasanta e
Graziadeo Prada costruiscono il Palazzetto che porta il suo
nome. I cronisti abbondano in testimonianze agresti: il 31
maggio 1487 raccontano di una battuta di caccia per i duchi
di Ferrara, in cui si catturano un cervo e un capriolo; il 18
novembre 1489 raccontano il tragitto Magliana-Vaticano,
parte in battello e parte a cavallo.
Innocenzo VIII muore il 25 luglio 1492, dopo essere
caduto in stato di letargia, quasi vittima di un maleficio.
191
Papiliones
Abstract non disponibile.
192
193
Parco del Tevere
Abstract non disponibile.
194
195
Piana di Affogalasino
Abstract non disponibile.
Papa Alessandro e la gran bombarda
Abstract non disponibile.
196
197
Piazza d‟Armi
Abstract non disponibile.
198
199
Pietra Papa
Andrea Di Mario
Pietra Papa è un toponimo medievale, in uso fino alla
prima metà del Novecento, che corrisponde grossomodo
l‟odierno quartiere Marconi.
Il nome compare poco prima dell‟anno Mille, nella
forma latina Prata Papi, dove Prata indica appezzamenti di
terreno a seminativo o pascolo, privi di coltivazioni arboree, e
Papi l‟appartenenza alla famiglia romana dei Papa (o
Papareschi). Dal XIV sec. il nome si deforma in Preta e poi in
Petra, per assumere, nel Rinascimento, la forma italiana di
Pietra Papa.
Una descrizione altomedievale parla di un fondo
soleggiato, interamente coltivato, dotato di canali irrigui,
cippi terminali e di tutte le pertinenze necessarie per il buon
esercizio dell‟agricoltura. Documenti successivi accennano
alla presenza di una “cripta alba” (un mausoleo romano di
colore bianco, non ancora spogliato dei marmi che lo
200
ricoprivano) e di un ponte galleggiante di barche tra le due
sponde del Tevere. Mappe secentesche riportano la
formazione di un isolotto fluviale. Le mappe IGM del 1915
permettono ancora di riconoscere, nei Piani di Pietra Papa,
canalizzazioni e case coloniche, a fianco delle nuove
strutture industriali, ferroviarie e portuali.
Dell‟antico toponimo rimane oggi l‟unica
testimonianza nella toponomastica: vicolo di Pietra Papa, via
dei Prati dei Papa, Lungotevere dei Papareschi.
I Prati dei Papa
(4). Il significato del toponimo Pietra Papa va cercato
nella sua forma originaria di Prata Papi - ovvero Prati dei
Papa - con il quale la zona viene nominata nei documenti sin
dal X secolo. I Papa, possessori di tali prati di cui si fa
menzione nel nome, sarebbero da identificare con una antica
famiglia nobile di Trastevere, quasi certamente imparentata
con i Papareschi, casata molto potente nel Medioevo e nota
per aver dato i natali al pontefice Innocenzo II (1130-1143),
al quale si deve l‟edificazione nelle forme attuali della
Basilica di Santa Maria in Trastevere.
Il più antico documento nel quale viene nominato il
toponimo è una donazione, datata 1° febbraio 968. Tramite
essa la nobildonna romana Teodora cede all‟abate del
4 Di Andrea Di Mario.
201
Monastero dei SS. Cosma e Damiano in Mica Aurea (il
soppresso monastero benedettino dell‟odierna S. Cosimato in
Trastevere) “pratum unum in integro cultum et absolatum
cum terminis et fossatis suis et cum omnibus ad eum
pertinentibus, positum foris porta Portuense in loco qui
appellatur Prata Papi (...) propinque cripta alba”. La cripta
alba era probabilmente un antico sepolcro marmoreo. Il 9
febbraio 973, l‟abate dello stesso monastero concesse a sua
volta all‟Abbazia di Subiaco il possesso del fondo. E
l‟Abbazia, a sua volta, l‟11 gennaio 1009 lo cedette a un tale
Giovanni di Azzo per tre generazioni. È interessante riferire
la notizia, contenuta in un testamento datato 12 novembre
1287, secondo la quale i possedimenti nei Prata Papi di un
certo Giovanni Papa, lasciati in eredità al Monastero dei SS.
Bonifacio ed Alessio all‟Aventino, erano già appartenuti
all‟ente ecclesiastico 300 anni prima.
Come si evince da un altro documento testamentario,
a partire dal XIV secolo il toponimo subisce una prima
metamorfosi che porta il nome originale di Prata a
trasformarsi in Preta. Infatti, in un atto del 26 maggio 1348,
tale Nicolò De Vaschis lascia all‟ospedale del Ss. Salvatore
“quinque aut sex petias terrarum, positas extra portam
Portuensem in loco dicto Preta Papa”. In una cronaca di
circa sessanta anni dopo troviamo un‟ulteriore e definitiva
storpiatura, che portò dall‟intermedio Preta al nome attuale
di Petra, cioè pietra.
Il 24 aprile 1408 il cronachista Antonio Dello Schiavo
descrive una sua visita fuori porta Portese (“et ivimus
202
versum Petrampapae”) durante la quale ebbe modo di vedere
un ponte galleggiante su 13 barche, lungo quasi 50 metri e
largo circa 6, che superava il Tevere in un punto che non ci è
possibile identificare. Tra le proprietà allora presenti a Pietra
Papa, citiamo quella della chiesa di S. Maria dell‟Orto che tra
il XV e il XVI secolo “in loco detto Pietra Papa” possedeva
numerose vigne.
203
Piscina dei Rospi
Abstract non disponibile.
204
205
Polveriera
Abstract non disponibile.
206
207
Ponte dei Congressi
Abstract non disponibile.
208
209
Ponte dei Francesi
Abstract non disponibile.
210
211
Ponte dell‟Aeronautica
Abstract non disponibile.
212
213
Ponte dell‟Industria
Ponte dell‟Industria è un attraversamento sul Tevere,
legato alla complessa viabilità ferroviaria e veicolare dell‟area
del Porto fluviale.
Si compone di due ponti affiancati. Il più antico, Ponte
di ferro (1863, 131 × 7 m), è a tre luci su travate metalliche
in ferro e ghisa, con travata centrale apribile per il transito
dei piroscafi diretti al porto di Ripa Grande. Originariamente
è al servizio del traffico ferroviario, e dal 1910 è adibito al
solo traffico automobilistico e pedonale. In quell‟anno entra
in servizio un secondo ponte, Ponte San Paolo (101 × 12 m),
composto di tre arcate in muratura. Serve esclusivamente il
traffico ferroviario della Dorsale Tirrenica e delle linee ferrovie
regionali. Un cippo memoriale sul Ponte di ferro ricorda
l‟eccidio nazifascista delle dieci donne avvenuto il 7 aprile
1944.
214
Ponte di ferro
Ponte di ferro viene realizzato in Inghilterra con
componenti prefabbricate, tra il 1862 ed il 1863. Il
montaggio a Roma è effettuato da una società belga, su
commessa della società francese Casalvaldès, appaltatrice
dal Governo Pontificio dei lavori di raccordo tra la tratta
ferroviaria costiera nord Porta Portese-Civitavecchia e il resto
della Linea Pio Centrale di cui si andava realizzando in quegli
anni il capolinea della Stazione Termini.
Il ponte è a tre luci, su travate metalliche in ferro e
ghisa, poggiate su piloni tubolari anch‟essi in ghisa e
riempiti di calcestruzzo. Al centro si trova un ponte levatoio,
apribile per permettere il transito dei piroscafi e gli altri
bastimenti merci diretti al Porto di Ripa Grande.
La locomotiva di collaudo passa sul ponte il 10 luglio
1863, e seguono un mese e mezzo di complesse prove di
carico (in cui vengono fatti passare contemporaneamente
due treni provenienti da direzioni opposte).
L‟inaugurazione avviene il 24 settembre 1863, alla
presenza di Papa Pio IX e di Monsignor De Merode, che è il
promotore dell‟opera. Henry D‟Ideville, corrispondente del
Journal d’un diplomate en Italie, così descrive quel giorno:
«Tutto avviene con una semplicità commovente. Non ci sono né
padiglioni, né bandiere, né discorsi. Il Papa non ha fatto
annunciare la visita: alle quattro solo gli interessati, i quali
sono stati avvertiti, si trovano riuniti».
215
All‟orario convenuto si apre la campata centrale per il
passaggio di un vaporetto, sotto gli occhi dei fotografi. «Si
fanno funzionare davanti a Pio IX i meccanismi - scrive
D‟Ideville -. Quattro uomini, con sorprendente facilità,
abbassano l’immenso ponte levatoio sotto gli occhi dei
presenti meravigliati. Monsignor De Merode, uomo di
progresso e di iniziativa, corre da un gruppo all’altro e spiega
il meccanismo del ponte, con l’ardore e la volubilità che sono
del suo carattere».
Finché, nella meraviglia generale, passa sbuffante il
treno: «Tutti circondano Pio IX. Donne, contadini e ragazzi
s’arrampicano e scendono a precipizio sui tumuli erbosi, per
vedere meglio e poter raccogliere qualche briciola della
conversazione del Papa. Un grande numero di stranieri e di
turisti, ch’è alla passeggiata nella campagna, fanno fermare
le vetture, incantati di trovarsi ad assistere a questo
spettacolo».
Misura 131 m ed è largo 7,25 m.
Ponte San Paolo
Ai primi del Novecento, in ragione del continuo
incremento del traffico ferroviario, si ragiona su un
allargamento del Ponte di ferro. Ma la struttura
prefabbricata, pur essendo solida e ben piantata nell‟alveo, è
stata progettata per il passaggio di due soli treni alla volta. I
progettisti delle Ferrovie dello Stato si risolvono così a
216
mettere in cantiere un secondo ponte, affiancato al primo,
dotandolo di una carreggiata rotabile larga ben 12 metri, in
cui passano 6 binari, sorretta da tre arcate in solida
muratura per una lunghezza di 101 metri.
L‟opera viene iniziata nel 1907 e completata nel 1910,
dalla Impresa Allegri. Essa prende il nome di Ponte San
Paolo, dal nome della stazioncina di diramazione,
denominata Stazione San Paolo (oggi non più esistente),
situata circa mezzo chilometro più avanti presso l‟attuale
piazza Ampère. In contemporanea, nella zona è aperto un
altro grande cantiere, per l‟edificazione del monumentale
Fabbricato-viaggiatori della Stazione Trastevere (in uso
ancora oggi), e per l‟ampliamento a 6 binari della breve
percorrenza che separa il nuovo ponte dalla nuova stazione.
L‟inaugurazione complessiva delle nuove opere avviene l‟11
maggio 1911.
Da questa data l‟intero traffico ferroviario si riversa
sul Ponte San Paolo, rendendo obsoleto il Ponte di ferro.
Ponte di ferro tuttavia non viene smantellato, ed anzi è
oggetto di restauro e trasformazione in ponte carrabile a
doppio senso di marcia, con marciapiedi ai lati per il traffico
pedonale.
Le donne di Ponte di ferro
Al Ponte di ferro trovano la morte, il 7 aprile 1944,
dieci donne, vittime della barbarie nazifascista. Affidiamo il
217
racconto di questo episodio alle parole di un bambino di
quinta elementare, contenute in un tema della scuola
Vincenzo Cuoco.
Li ho guardati tutti quei visi di donne scolpiti sul
bronzo, cinque rivolti a destra e cinque rivolti a sinistra. Forse
cercavano un aiuto prima di essere fucilate. Ho letto i loro
nomi incisi sul bordo della lastra di bronzo inserita in una
stele di granito.
Di loro sappiamo solo che la mattina del 7 aprile 1944
erano arrivate ai forni della Tesei, nel quartiere Ostiense, per
procurarsi un po’ di pane e farina per i propri figli. La città era
occupata e affamata dai nazi-fascisti e quel giorno l’esercito
tedesco si stava rifornendo a quei forni. La Polizia Africa
Italiana, complice delle SS, le denunciò, decidendo così della
loro fucilazione.
Lo storico Cesare De Simone ha trovato i loro nomi nei
Mattinali della Questura di Roma: Clorinda Falsetti, Italia
Ferraci, Esperia Pellegrini, Elvira Ferrante, Eulalia Fiorentino,
Elettra Maria Giardini, Concetta Piazza, Assunta Maria Izzi,
Arialda Pistoiesi e Silvia Loggreolo. Racconta Padre Efisio che,
quando fu chiamato per la benedizione, al muro di destra del
Ponte dell’Industria il corpo di una delle dieci donne era stato
gettato sulla sponda del Tevere: era giovane e bella ed era
stata violentata.
A ricordo di quella brutale strage è stata posta la stele
con i volti in bronzo, il 7 aprile del 2003. Se voi venite da via
Ostiense, verso viale Marconi, sulla via del Porto fluviale
fermatevi davanti alla lapide che si trova sulla destra del
218
ponte. Questo non è ricordato tra i grandi monumenti di Roma,
non celebra vittorie, ma ricorda a tutti la violenza della guerra
e il coraggio disperato delle madri.
Michele Crocco è lo scultore del bassorilievo di bronzo
che ha dato di nuovo vita agli sguardi e alle voci di quelle
donne.
219
Ponte della Magliana
Ponte della Magliana misura 224 m ed è costituito da
7 archi in cemento armato e travertino, 3 dei quali poggiano
in acqua su piloni. La campata centrale in acciao è apribile.
La storia del ponte è travagliata. Progettato nel 1930
da Romolo Raffaelli come ingesso ovest dell‟EUR
(congiungeva via del Cappellaccio con via dell‟Imbrecciato),
nel 1937 la piena del Tevere spazza via il cantiere e le prime
opere murarie. Ripresi i lavori nello stesso punto, il ponte
viene danneggiato dai Tedeschi l‟8 settembre 43 durante la
battaglia della Magliana.
Il colpo di grazia e il crollo arrivano il 12 febbraio 44,
con il bombardamento americano della stazione ferroviaria di
Mercato Nuovo. La ricostruzione è del 48, in posizione
avanzata di 200 m e senza le decorazioni del progetto
iniziale, ispirate al passato regime. Dagli anni Ottanta un
discusso prolungamento di 1,7 km su piloni di cemento
220
raggiunge le Tre fontane.
Il ponte è completato da un piccolo scalo portuale,
poco distante dal quale si trova il relitto di uno dei vaporetti
che fino alla seconda guerra mondiale percorrevano la tratta
mare-Ripa grande.
221
Ponte della Scienza
Il Ponte della Scienza è un‟opera di ingegneria, in
costruzione, destinata a collegare le due sponde del Tevere
tra lungotevere Gassman e il Gazometro.
Progettato dall‟architetto Andreoletti, il ponte misura
142 m × 10 di larghezza e si compone di tre elementi: le due
stampelle d‟appoggio lungo gli argini e la travata centrale in
cemento su funi sospese. La stampella in Riva Portuense è in
acciaio corten e misura 63 m (di cui 30 protési a sbalzo
sull‟alveo fluviale). La stampella in Riva Ostiense è in
cemento armato e misura 42 m (di cui 15 a sbalzo). Sulla
distanza tra le due stampelle, 36 m, sono tese le funi in fibra
di carbonio, su cui poggia una soletta e la travata centrale in
cemento precompresso, ad altezza 15 m. Il progetto prevede
che la travata centrale sia realizzata a piè d‟argine e posta
sulle stampelle con speciali gru.
L‟impalcato è concepito come una terrazza sul fiume,
222
destinata all‟incontro e alla circolazione ciclo-pedonale: una
corsia ciclabile è in battuto di cemento; il resto, pedonale, è
coperto da legno di tek e attrezzato con panchine. I parapetti
in acciaio sono dotati di illuminazione continua a neon sotto
i corrimano.
Le fondazioni si innestano a 40 m di profondità. In
Riva Portuense è prevista la carteratura dei muraglioni con
lastre di cemento solcate da fessure per il verde. Il costo
netto del ponte è di € 4.161.969,58.
223
Ponte di Mezzocammino
Abstract non disponibile.
224
225
Ponte esterno sul GRA
Abstract non disponibile.
226
227
Ponte Galeria (zona urbanistica)
Ponte Galeria è la settima zona urbanistica del
Municipio XV, la più estesa (da sola è grande come le altre
sei zone urbanistiche sommate insieme), e periferica
prossima al mare. I confini sono il GRA ad est, il Tevere a
sud, L‟Autostrada per Civitavecchia a ovest e l‟asse viario
della Pisana a nord.
In questo quadrante, denominato anche Agro
Portuense - per la sua vocazione essenzialmente rurale, per
lo meno fino ai recenti assalti dell‟urbanizzazione - la
presenza umana è antichissima, attestata già dal Paleolitico.
Gli Etruschi controllano la Careia, il corso d‟acqua da cui
deriva il nome attuale di Galeria, e i Romani vi lasciano
presenze considerevoli: strade, ponti, acquedotti, necropoli.
Nell‟VIII sec. Papa Adriano vi edifica la sua domusculta (una
masseria fortificata), trasformata da Gregorio IV in un
castello, oggi perduto.
228
A ridosso dell‟Anno Mille il Vico Galera è l‟ultimo
villaggio abitato prima del nulla, come testimonia la bolla di
Benedetto VIII del 1018 («cum… sylvis atque pantanis, cum
ponte et ipsum vicum qui vocatur Galera»).
L‟edificazione moderna inizia sotto il fascismo, con
l‟insediamento del grande snodo ferroviario e delle prime
industrie, portando con sé la bonifica fondiaria. In tempi più
recenti vi si insediano i complessi della Città dei Ragazzi,
della Regione Lazio e, da ultima, l‟edificazione estensiva della
Nuova Fiera di Roma. Nel territorio di Ponte Galeria ricadono
cinque frazioni: la frazione omonima (che coincide con
l‟abitato urbano di Ponte Galeria), Piana del Sole (al confine
con Fiumicino) e i piccoli abitati della Pisana (al bivio di
Monte Stallonara), Fontignani (al bivio per Malagrotta) e
Spallette (su Via Portuense).
L‟area ricade nella chiesa parrocchiale di Santa Maria
della Diocesi di Porto. Vi risiedono 6905 abitanti al
dicembre 2009, ma il dato non tiene conto delle nuove
edificazioni.
Il Megaceronte di Ponte Galeria
Nel 1986 gli studiosi Petronio e Capasso pubblicano
un saggio sulla fauna di Ponte Galeria nel Pleistocene medio-
inferiore, cioè quella fase del mondo preistorico che precede
l‟affermazione dell‟Homo sapiens. Il testo prende spunto dai
ritrovamenti della Cava Alibrandi, ma è l‟occasione per fare il
229
punto sulle 7 species antiquae fin lì documentate, habitat e
clima.
Tra le specie il Megàceros savini è certamente la più
singolare. Si tratta di un cervo gigante, alto più di 2 metri al
garrese. Il palco di corna presenta due ramificazioni, in
ciascuna delle quali vi sono 5 o 6 pugnali più un primo
pugnale anteriore, appiattito, a forma di paletta. Il
Megaceros condivideva le selve, senza entrare in
competizione, con un altro cervide, di piccola taglia,
chiamato Dama nestii eurygonos, antenato dell‟odierno
daino.
Oltre al Megaceros erano presenti altri giganti: l‟Uro
(Bos primigenius), un bovide progenitore degli attuali buoi
domestici, l‟Elephas antiquus, antenato dell‟elefante asiatico,
l‟Hippopotamus, antenato dell‟ippopotamo di fiume, e
l‟Equus altidens, sorta di equide arcaico molto più vicino
all‟asino che al cavallo domestico. Singolare è la diffusione
dell‟Emys orbicularis, una specie di tartaruga palustre
ancora oggi vivente.
La conclusione dei due studiosi è che “il daino,
l‟ippopotamo, l‟elefante, il megaceros e il bue potrebbero
indicare un clima temperato-caldo, con foreste ed
abbondanti corsi d‟acqua, con frequenti specchi lacustri più
o meno collegati al mare”. Inoltre “l‟equide indica anche
l‟esistenza di praterie con carattere di steppe, che
costituivano radure alternate alle foreste”. Infine “la
tartaruga palustre consente di pensare alla vicinanza di uno
specchio d‟acqua con correnti assenti o deboli”. Della
230
presenza di un lago-stagno tra Roma e il mare, vi è del resto
testimonianza anche in epoca storica.
Da: Carmelo Petronio e Lucia Capasso-Barbato, Nuovi
resti di mammiferi del Pleistocene medio-inferiore di Ponte
Galeria, in Bollettino Italiano di Geologia, pp. 157 e segg.
Un‟aggiunta del 1987, a cura del professor Petronio, riporta
il ritrovamento di una mandibila di rinoceronte.
Miscellanea
Nell‟area di Ponte Galeria esistono sette siti
archeologici in corso di studio da parte della Sovrintendenza:
la Strada glareata, il Sito arcaico di Ponte Galeria, la Struttura
arcaica alle Spallette, la Strada alle Spallette, il Ponte romano
sul Rio Galeria, il Magazzino delle anfore, la Villa romana di
Castel Malnome. Nonappena possibile ve ne daremo conto
con una scheda su Arvalia Storia. Esisono inoltre tre siti
storici per i quali ci riproponiamo, nonappena possibile, di
realizzare una scheda: il complesso regionale della Pisana, il
Ponte mediano su GRA e le Frazioni di Ponte Galeria.
231
Ponte Marconi
Ponte Marconi unisce le due sponde di Pietra Papa e
San Paolo con un impalcato continuo in acciaio e cemento di
235 m sorretto da piloni.
Il progetto risale al 1937 ed è dedicato allo scienziato
Guglielmo Marconi, che per primo diffuse nell‟etere le onde
radio. Dopo l‟interruzione forzata durante la Guerra il ponte
è completato nel 1954 ed ammodernato e ampliato nel 1975.
La sezione attuale è larga 32 m ed ospita 2 corsie per senso
di marcia e marciapiedi panoramici dai parapetti in
travertino.
Fra estate e autunno è possibile osservare lo
spettacolo della caccia fluviale: aironi cinerini (color grigio) e
garzette (bianco) stazionano immobili sui bassi fondali della
riva sinistra (alle darsene romane), mentre gabbiani e
cormorani (nero) si tuffano in picchiata sul profondo
canalone davanti la riva destra. Uno studio di Marevivo ha
232
censito in questo tratto anguille, cavedani, rovelle, carpe,
cefali in risalita dal mare e i rari barbo e lampreda di fiume.
La fauna golenale annovera rana verde, biscia d‟acqua e
nutria. Tra le specie della vegetazione ripariale si contano
salice bianco, pioppo, ontano comune e varietà nostrane di
canneto.
L‟argine destro è percorso dalla pista ciclabile. Dal
2003 in riva sinistra si trova la stazione dei battelli fluviali.
L’imbarco di Ponte Marconi
Dal 27 aprile 2003 funziona un collegamento di linea
fra ponte Marconi e ponte Amedeo d‟Aosta (orario 7,25-19,
partenze ogni 20 minuti)e fra Ponte Marconi e Ostia antica
(9,15 andata e 11,30 ritorno, da venerdì a domenica).
L‟imbarco è costituito da una banchina galleggiante.
In direzione Roma i battelli fermano anche a Ripa
Grande, Calata Anguillara (Isola Tiberina), Ponte Sisto, Molo
di Castel Sant‟Angelo, Ponte Cavour e Ponte Risorgimento.
All‟Isola Tiberina, dove esiste una soglia di fondo, si cambia
di battello con un piccolo percorso a piedi. In direzione Ostia
non esistono fermate, anche si progettano imbarchi a Ponte
della Magliana, Idrovore della Magliana e Mezzocammino.
La navigazione di linea è curata da “Battelli di Roma”
con 6 imbarcazioni: l‟ammiraglia Agrippina Maggiore, le navi
di linea Calpurnia, Cornelia e Livia Drusilla, e le piccole Rea
Silvia e Cecilia Metella. La navigazione turistica è curata da
233
una cooperativa che dispone di 2 imbarcazioni: Ciclone e
Invincibile.
Soprattutto in estate sono istituite corse serali e
partenze speciali per il mare (Porto turistico di Ostia), Isola
Sacra (Capo Due Rami) e addirittura le Secche di Tor
Paterno in mare aperto.
I lucchetti dell’amore
I romanzi per adolescenti di Federico Moccia e le
pellicole “Tre metri sopra il cielo” e “Ho voglia di te” hanno
avuto un‟appendice in Riva Portuense. Nel secondo film i
protagonisti si scambiano l‟eterna promessa d‟amore
serrando un lucchetto al lampione di Ponte Milvio e gettando
via la chiave nel Tevere a farvi da guardiano. Poco dopo
l‟uscita nei cinema (marzo 2007) però il lampione di ponte
Milvio è stato preso di mira dai vandali, e alcuni innamorati
portuensi hanno preferito serrare i lucchetti al parapetto
nord di ponte Marconi.
In “Tre metri sopra il cielo” (2004) Moccia racconta la
storia tra la “perfettina” Babi (Katy Saunders) e il ribelle
Stefano (Riccardo Scamarcio). I due superano le difficoltà
dovute alla diversa estrazione sociale, ma, con grande
disappunto del pubblico, Stefano abbandona Babi e va in
America alla ricerca di se stesso.
Nel seguito, “Ho voglia di te” (2006), Stefano torna a
Roma e conosce la volitiva Ginevra (Laura Chiatti). I due si
234
giurano amore eterno agganciando il lucchetto, ma la
vecchia fiamma Babi ricompare e concupisce Stefano.
Ginevra è incapace di perdonare: ci vorranno una gigantesca
scritta “Ho voglia di te” sull‟isola Tiberina e il Tevere che
onora sempre le sue promesse a far rifiorire l‟amore.
Il film, mito intramontabile per le giovanissime,
banale operazione commerciale per i critici, ha avuto un
enorme successo. Anche un anonimo “Pasquino” portuense
ha detto la sua, incidendo accanto ai lucchetti la scritta:
“Avete rotto”.
235
Ponte mediano sul GRA
Abstract non disponibile.
236
237
Ponte Morandi
Il Ponte Morandi è più antico ponte sospeso di Roma,
ed è l‟unico ponte sospeso a tracciato curvilineo.
Il 28 giugno 1965 una frana, il cui fronte è esteso
circa 200 metri, investe l‟Ansa della Magliana e il viadotto
autostradale (640 m) allora in costruzione. Il progettista
Riccardo Morandi - incaricato dall‟ANAS di porvi rimedio -
individua due possibili soluzioni: ricostruire il tratto
rovinato, con un impalcato che poggia su terne di pali a
grande profondità; oppure scavalcare interamente l‟area
della frana con un ponte sospeso ad unica luce. L‟ANAS
sceglie la seconda opzione, la più ambiziosa e fino ad allora
mai tentata a Roma.
Il ponte poggia le fondazioni (indicate nel disegno con
i punti A ed E) esternamente alla frana, ad una profondità di
53 metri, dove si trova uno strato di argille resistenti.
L‟impalcato (A-D, lunghezza 145 m, altezza dal suolo 5 m) è
238
costituito da due travate curvilinee in calcestruzzo
precompresso (A-B e B-D) unite con una cerniera Gerber.
Sull‟estremo di fondazione E si innalza un telaio
verticale (E-O) i cui piedritti sono spessi 4 m. Dalla sommità
del telaio partono i tiranti di sospensione (C-O) composti di
cavi di acciaio ad altissima resistenza ricoperti di
calcestruzzo precompresso e i tiranti di ancoraggio (O-F) che
vincolano la struttura a due grandi contrappesi (F) costituiti
ciascuno da un cassone in cemento armato riempito di
materiali inerti.
La frana del 28 giugno 1965
Nella primavera 1965 la costruzione della Statale 201
(oggi Autostrada Roma-Fiumicino) procede speditamente,
anche nel tratto fra il 3° e 4° km all‟Ansa della Magliana, tra
la Ferrovia Roma-Pisa e la riva del Tevere, di cui si conosce
la franosità.
Nell‟area si sta realizzando un viadotto di 640 metri,
sorretto da terne di pali piantate in profondità, a 16 m di
distanza per complessive 40 luci. Il 28 giugno, al km 3,083,
si verifica improvvisa la frana. Per dieci giorni i movimenti di
terra sembrano non finire e generano un fronte esteso circa
200 metri. Il collettore fognario del Trullo risulta inservibile e
il traliccio dell‟alta tensione pencola. Alcuni piloni del
viadotto abbandonano la posizione: sono cioè anch‟essi
inutilizzabili.
239
Sospesi i lavori, l‟ANAS incarica un geologo, il
professor Petrucci di Palermo, di studiare l‟accaduto, mentre
nel cantiere deserto Pier Paolo Pasolini dirige Totò e Ninetto
Davoli in alcune scene di Uccellacci uccellini. I rilievi del
Professore appurano uno scivolamento del terreno di 3
metri. La causa è una polla (una piccola sorgente) a monte
del terrapieno della ferrovia, che disperdendosi sotto la
massicciata ha creato gallerie, vuoti e caverne.
In seguito, gli interventi di ripristino del collettore
porteranno alla scoperta archeologica del Balneum degli
Arvali: un impianto termale alimentato forse, 18 secoli
prima, dalle stesse acque all‟origine della frana.
240
241
Ponte romano di Parco dei Medici
I Ponti di Parco de‟ Medici sono un sistema di
attraversamenti fluviali di età romana, sito nella località
omonima alla Magliana vecchia.
Per quanto noto, la proprietà è privata e di interesse
archeologico; non è visitabile, non è visibile da strada. è
stata studiata dalla Soprintendenza Archeologica di Roma
(scheda inventariale presso l‟Ente).
242
243
Ponte sul Fosso della Magliana
Abstract non disponibile.
244
245
Portale del Castelletto
Abstract non disponibile.
246
247
Portale di Via Portuense 809
Abstract non disponibile.
248
249
Portale di vicolo del Conte
Il Portale di vicolo del Conte è un ingresso
monumentale verosimilmente dell‟Ottocento, sito al civico n.
44 della via omonima al Corviale.
Per quanto noto, la proprietà è privata e funzionale; è
visitabile, è visibile da strada. È stata studiata dalla
Soprintendenza ai Beni architettonici e del paesaggio di
Roma (scheda inventariale 00599127A, Sacchi G. - cat.
Fracasso-Giampaoli).
250
251
Portale Forlanini
Portale Forlanini è l‟ingresso monumentale
dell‟Ospedale Forlanini.
Inaugurato il 10 dicembre 1934, il nosocomio è
intitolato al medico milanese Carlo Forlanini (1847-1918),
prosecutore italiano delle ricerche del professor Robert Koch,
che nel 1882 riuscì a isolare il bacillo della tubercolosi.
Allora, in città come Roma, il morbo colpiva e spesso
uccideva una persona su cinque.
Il complesso è stato progettato, edificato ed
organizzato secondo criteri igienico-sanitari allora
d‟avanguardia, dettati dal direttore Enrico Morelli, a sua
volta allievo di Forlanini. Gli edifici si trovano al centro di un
parco di 280 mila mq, con migliaia di alberi d‟alto fusto.
Infatti, prima della scoperta dei farmaci ad attività
battericida e batteriostatica, la tubercolosi si curava con il
riposo in ambiente igienico e ben ventilato, oltre che con
252
interventi chirurgici. Nel complesso non mancavano
biblioteca, museo, perfino un cinema da ottocento posti e,
naturalmente spazi per le lezioni destinate agli
specializzandi, accanto a infrastrutture di servizio e tecniche,
per l‟epoca decisamente nuove. Al Forlanini ha prestato
servizio il medico partigiano Alfredo Monaco.
Il portale si trova al civico 323 di via Portuense (è
visibile da strada; l‟accesso è riservato al personale di
servizio e ai familiari in visita ai degenti).
L’Ospedale polivalente
L‟idea di un nuovo ospedale polivalente per i Romani
venne al sindaco Ernesto Nathan, che nel 1903 fece
predisporre un primo progetto, rimasto però sulla carta.
Se ne riparlò subito dopo la Grande guerra, come
ricorda il nome Ospedale della Vittoria. Fu scelto il terreno
periferico di Vigna San Carlo, a 60 metri sul livello del mare,
ceduto a buon prezzo dal Vaticano. Un po‟ per la complessità
dell‟impresa, un po‟ per la mancanza di fondi, il cantiere,
aperto il 28 aprile 1919, ben presto chiuse i battenti. Li
riaprì il 15 settembre 1927, sotto la spinta della grave
epidemia di influenza spagnola, che colpì con durezza la
popolazione romana. Il 28 ottobre 1929 il nosocomio fu
inaugurato, con il nome di Ospedale del Littorio.
Alla fine della Seconda guerra mondiale cambiò nome
in Ospedale Ernesto Nathan e, già nel 1945, in Ospedale San
253
Camillo De Lellis, in memoria del protettore della sanità
militare e fondatore dell‟ordine religioso dedito all‟assistenza
agli infermi. La gestione fu affidata al Pio Istituto Ospedali
Riuniti di Roma. Alla fine degli anni Cinquanta furono
eseguiti i primi lavori di ammodernamento e di ampliamento
della struttura, per nuovi reparti.
Negli ultimi decenni il complesso ospedaliero
polivalente, esteso su un‟area di 40 ettari, con un ampio
parco e con piante secolari, ha subìto varie modifiche nello
stato giuridico, fino alla nascita dell‟Azienda Ospedaliera San
Camillo-Forlanini-Spallanzani, dal 1996 San Camillo-
Forlanini a seguito del distacco dell‟Ospedale Lazzaro
Spallanzani, divenuto autonomo Istituto di Ricerca.
I coniugi Monaco, eroi partigiani
Alfredo Monaco, medico di campagna al Portuense, è
con sua moglie Marcella tra gli animatori del PSI clandestino
a Roma, nei giorni terribili dell‟Occupazione nazista.
Studente in medicina, Alfredo conosce Marcella nel
1935. “Avevo 17 anni, facevo la seconda liceo - racconta la
moglie in Roma città prigioniera di Cesare De Simone -.
Scoprimmo di avere le stesse idee. Abbiamo fatto insieme
scelte gravi che capivamo pericolose ma imprescindibili: non
potevamo sopportare la soppressione della libertà fatta dal
fascismo; potevamo forse dare un contributo al ripristinarsi
della democrazia”.
254
Divenuto dottore, Alfredo è assegnato al
tubercolosario Forlanini. Al Portuense, con la guerra, si
perde l‟uso del denaro. Racconta Marcella: “Dai clienti di
campagna non si faceva più pagare; chiedeva in cambio
quello che avevano, e cioè farina, uova, carne”. Rimasto
senza casa, Alfredo accetta un secondo incarico: medico di
notte al Carcere di Regina Coeli, con il beneficio di un
appartamento che dà proprio sul cortile del carcere.
Nell‟estate 1943 Alfredo ha ormai 32 anni, Marcella
25. Hanno due bambini: Giorgio di 2 anni e il lattante
Fabrizio. I Monaco hanno stretto amicizia con il giurista
Giuliano Vassalli (28 anni) ed il magistrato Mario Fioretti
(sarà ucciso il 4 dicembre 1943). Quando il 25 agosto
Vassalli ricostituisce in clandestinità il Partito socialista, i
Monaco vi aderiscono, fondando la sezione romana.
Conoscono il segretario Pietro Nenni, i vicari Sandro Pertini e
Carlo Andreoni, e Saragat, direttore de L‟Avanti.
Con l‟8 settembre a Roma arrivano i Tedeschi:
requisiscono il III braccio di Regina Coeli e lo governano con
ferocia, così come l‟intera città. Il PSI reagisce dandosi una
struttura militare, il cui massimo organo è il Comando,
affidato a Peppino Gracceva. Roma è divisa in otto settori
militari; i Monaco sono a capo della II Divisione Matteotti,
con quartier generale proprio a casa loro. Il comandante
tedesco Kappler non immagina nulla di quello che avviene
nelle mura del carcere. Racconta Marcella: “Non c‟era posto
più sicuro di Regina Coeli!”. Alle riunioni venivano Nenni,
Pertini, Saragat, Gracceva, Severo Giannini, e talvolta Bauer,
255
Rossi Doria e Leone Ginzburg di Giustizia e Libertà e
Marazza della Dc. Mio marito portava e riceveva notizie dai
detenuti. Aveva alcune guardie fedelissime, che lo
informavano di tutto”.
L‟attività clandestina del PSI si sviluppa in vaste
forme di assistenza, con una rete di alloggi protetti,
documenti di identità e tessere annonarie false, staffette,
azioni di sabotaggio e di salvataggio, raccolta di armi.
Monaco, con la complicità di una suora, nasconde dentro il
Forlanini un piccolo arsenale. Il rischio è enorme, ma i
Monaco se lo impongono come un dovere verso la Patria.
Marcella rischia l‟arresto due volte. La prima viene fermata
con una borsa a doppio fondo carica di rivoltelle; il milite ci
casca e dice: “Mutti, vai, vai”. La seconda, sul tram a piazza
Sonnino, viene invece scoperta: ha un fucile. L‟autista
capisce al volo, inchioda e le spalanca le porte.
Il 15 ottobre l‟organizzazione accusa il colpo più duro:
Pertini e Saragat sono arrestati e rinchiusi a Regina Coeli. Li
faranno fuggire.
Tum tum tum, qui Radio Londra
Dopo l‟arresto di Pertini e Saragat (15 ottobre 1943) il
medico portuense Alfredo Monaco e sua moglie Marcella
progettano l‟evasione che passerà alla storia con il nome di
Beffa di Regina Coeli.
Nello stabile attiguo a Regina Coeli, dove Monaco ha la
256
disponibilità di un alloggio, in qualità di medico notturno, si
tiene una riunione d‟urgenza della Direzione clandestina del
PSI. Occorre fare in fretta: si teme che i due prigionieri, sotto
tortura, possano fare i nomi dell‟intero organigramma
socialista in clandestinità.
Spinelli e Colorni propongono un‟evasione classica,
segando le sbarre. Nenni e Gracceva sostengono invece un
assalto militare. Vassalli escogita di liberarli con falsi ordini
di rilascio: è questa proposta che viene approvata. Nel
frattempo però il numero di detenuti da liberare è salito a 7,
con l‟aggiunta di Allori, Andreoni, Bracco, Ducci e Lunedei.
A comandare l‟operazione nelle fasi finali è Marcella
Monaco, la moglie del dottore, che può muoversi dentro
Regina Coeli senza destare sospetti. Intanto Vassalli e Severo
Giannini rubano dal Tribunale militare 7 moduli di
scarcerazione in bianco, mentre la guardia carceraria
Schlitzer procura un ordine di scarcerazione autentico, da
cui copiare timbri e firme.
Il 24 gennaio 1944, prima delle 13, Marcella Monaco
si presenta a Regina Coeli, accreditandosi alle SS. Il
simpatizzante Schlitzer la porta di filato al Centralino e fa
protocollare i 7 finti ordini. Il capoguardia Ugo Gala,
anch‟egli simpatizzante, porta a mano i documenti al
direttore carcerario Donato Carretta.
Carretta, che nutre intimamente sentimenti
antifascisti ma è all‟oscuro di tutto, si oppone, poiché per i
prigionieri politici occorre anche la vidimazione della
Questura. Carretta - resosi probabilmente conto di quanto
257
gli sta accadendo sotto il naso, ma non contrario a che ciò
avvenga - suggerisce a Marcella Monaco di trovare qualcuno
in Questura per farsi dare un assenso telefonico, chiamato
in gergo carcerario lasciare alla porta. Sono le 16,30: nel giro
di 30 minuti scatterà il coprifuoco e il piano sarà
irrimediabilmente compromesso.
La signora Monaco corre in strada, per inscenare con
il socialista Lupis una finta telefonata. Tutto va storto: tre
telefoni pubblici non funzionano. Marcella e Lupis
raggiungono la PAI a San Callisto, dove un simpatizzante
elettrotecnico crea un ponte telefonico. Lupis, con sangue
freddo, impartisce finalmente al centralinista l‟ordine di
lasciare alla porta. Alle 17 Carretta firma: i 7 detenuti escono
e si disperdono rapidamente, mettendosi in salvo.
L‟indomani, sera del 25 gennaio, alla radio
clandestina la voce di Paolo Treves annuncia: “Tum, tum,
tum! Qui Radio Londra. Ieri pomeriggio una patriota italiana
ha fatto fuggire dal carcere Pertini e Saragat, i due massimi
dirigenti del Partito Socialista Italiano e capi della Resistenza
italiana”.
Il tedesco Kappler, informatone, va su tutte le furie
con Carretta, minacciandolo di morte: sia per avergli taciuto
dell‟evasione, sia per non avergli detto che i capi del PSI sono
stati nelle sue mani.
Nei giorni seguenti Pertini torna a guidare il PSI e
Saragat a dirigere il giornale L‟Avanti. I coniugi Monaco,
convinti di non destare sospetti, tornano alla vita di sempre:
Alfredo a fare il medico di campagna; Marcella ad accudire i
258
due bambini. Saranno scoperti di lì a poco.
259
Portale Pantalei
Abstract non disponibile.
260
261
Portale Spallanzani
Dal portale di via Portuense, 292 si accede
all‟Ospedale Lazzaro Spallanzani, dedicato a uno dei
fondatori della biologia sperimentale (1729-1799).
Fu inaugurato nel 1936 come presidio destinato alla
prevenzione, diagnosi e cura delle malattie infettive,
organizzato in differenti padiglioni in un‟area di 134 mila
metri quadri. Nel corso degli anni il suo campo di interesse
si è via via modificato, in conseguenza dell‟evolversi delle
malattie infettive prevalenti. Una sezione dedicata alla cura e
riabilitazione della poliomelite fu attivata nel corso degli anni
Trenta.
Nel 1991, considerata l‟espansione dei settori di
interesse, inizia la costruzione di un nuovo complesso
ospedaliero, progettato secondo i più avanzati standard e
con caratteristiche di isolamento delle patologie contagiose
uniche nel Paese.
262
Fino al 1996 faceva parte dell‟ospedale polivalente
San Camillo-Forlanini-Spallanzani. Nel dicembre 1996 i
ministeri della Sanità e della Ricerca hanno riconosciuto lo
Spallanzani come autonomo IRCCS (Istituto di Ricovero e
Cura a Carattere Scientifico).
263
Porto fluviale
Abstract non disponibile.
264
265
Portuense (zona urbanistica)
Portuense è la seconda delle sette sezioni
urbanistiche del Municipio XV, di cui occupa il versante
collinare alla sinistra della Via Portuense, nel tratto tra la
Ferrovia Roma-Pisa e il fosso di Papa Leone (oggi interrato).
I confini urbanistici disegnati nel 1977 comprendono
solo una parte dell‟Area storica portuense, termine con cui si
indicano i due lati della Via Portuensis di epoca romana, “ab
Janiculo ad mare”, cioè dalle pendici del Gianicolo in
direzione del mare. Il territorio era allora coperto di distese
boschive, e l‟impiego del suolo era limitato all‟estrazione del
tufo (cave di Pozzo Pantaleo) e agli usi funerari (Necropoli
Portuense). Dal Rinascimento le Vigne portuensi disegnano
un vivace territorio agricolo, solcato dai percorsi di crinale,
che sono ancora oggi alla base del sistema viario del
quartiere.
Tra Sette e Ottocento le tenute si frammentano (fra le
266
famiglie Jacobini, Gioacchini, Neri e Ceccarelli per citare le
maggiori) e sorgono i grandi casali: Villa Jacobini, Casa
Petrella, Casa Balzani (in seguito Villa Bonelli) e il Convitto
Vigna Pia. Nel 1877 sorge la struttura militare di Forte
Portuense. L‟edificazione moderna inizia nel Primo Novecento
nelle forme dei villini, cui seguono nel Dopoguerra caseggiati
a maggior densità abitativa. Oggi è possibile individuare nel
quartiere tre nuclei principali: Vigna Pia, Santa Silvia e Villa
Bonelli, cui corrispondono grossomodo tre chiese
parrocchiali: Sacra famiglia, Santa Silvia, Nostra Signora di
Valme.
I dati comunali al 31 dicembre 2008 indicano una
popolazione residente di 29.771 abitanti.
Miscellanea
Nell‟area del Portuense esiste un solo sito
archeologico in corso di studio da parte della
Sovrintendenza, i Ritrovamenti in località Ponte ferroviario
sulla Via Portuense. Nonappena possibile ve ne daremo conto
con una scheda su Arvalia Storia. Tra i siti storici ci
riproponiamo di schedare, nonappena possibile, il nuovo
Tempio dei Testimoni di Geova.
267
Pozzo Pantaleo
A. Di Mario - M. Giovagnoli - A. Anappo
Pozzo Pantaleo è un mausoleo romano, che deve il
nome al riutilizzo come cisterna (pozzo) e, successivamente,
come chiesina dedicata al culto di San Pantaleo.
L‟edificio risale al I o II sec. d.C. Viene scoperto dalla
Sovrintendenza di Roma nel 1998. Ha pianta circolare ed è
in opera laterizia, con corridoio anulare esterno e copertura
a volta. L‟interno presenta una sequenza di nicchie,
tamponate con muratura in opera quasi reticolata. La
struttura viene in seguito foderata di malta idraulica e
reimpiegata come cisterna e poi come pozzo, rimanendo in
uso fino ad oltre il IV sec. L‟agrimensore Eschinardi annota
un riutilizzo da parte della Comunità ebraica, mentre in
epoca medievale è attestata in loco una chiesina cristiana,
con il nome di San Pantaleo fuori Porta Portese. In epoca
rinascimentale della chiesina si perdono le tracce.
268
La chiesina di San Pantaleone
Pozzo Pantaleo è un mausoleo romano, di forma
circolare in opera laterizia, indagato dalla Soprintendenza tra
il 1998 e il 1999, durante la terza campagna di scavi
archeologici a Pozzo Pantaleo, grazie ai fondi per il Giubileo
del 2000.
Esternamente vi era un corridoio anulare coperto a
volta. L‟ingresso alla camera sepolcrale era da un ampio
ingresso con soglia in marmo, aperto a nord. L‟ambiente
interno, intonacato con malta idraulica alta circa metà
dell‟alzato, presenta una sequenza di ampie celle radiali,
alternate ad altre di dimensioni più piccole, tamponate con
muratura in opera quasi reticolata di tufo. Al mausoleo sono
legati altri ambienti ipogei, oltre ad una serie di tarde
sepolture a cappuccina.
Nella sua descrizione della Vigna in loco detto Pozzo
Pantaleo Eschinardi annota: «Si dice che […] i Gentili se ne
servissero superstiziosamente». L‟agrimensore, solitamente
ben informato, attribuisce ai Gentili (la comunità ebraica
romana) il riutilizzo del mausoleo circolare come piccolo
tempio (cfr. lo spregiativo termine «superstiziosamente»).
Eschinardi è tuttavia il solo a riportare una
frequentazione ebraica, mentre numerose sono quelle
attestanti una frequentazione cristiana. Ad esempio il
medievale Catalogo di Torino descrive l‟edificio come una
piccola chiesa dedicata a San Pantaleone, chiamata San
269
Pantaleo fuori Porta Portese.
In epoca rinascimentale la chiesina sembra in
abbandono, e al suo porto il cartografo Eufrosino della
Volpaia (1547) torna a disegnare un pozzo (rappresentato
come un fontanile) affiancato ad un‟edicola sacra non meglio
identificata. Infine, l‟agronomo Eschinardi annota che nel
1750, anno in cui scrive, nemmeno il pozzo è più in
funzione: «Ora è ripieno di terra».
270
271
Pozzo Pantaleo medievale
Andrea Di Mario
Abstract non disponibile.
272
273
Pratorotondo
Pratorotondo è una mezzaluna di terreno alluvionale,
compresa tra Pian Due torri e il Tevere. L‟area, per le forti
correnti e le continue inondazioni, era inadatta
all‟agricoltura già in epoca romana, e destinata a sepolcreto.
Il toponimo “volgarmente detto Prato Rotondo,
canneto di pezze sei incirca” compare per la prima volta in
un atto del 1565, studiato da Carla Benocci. Durante la
furiosa pestilenza del 1656 i magistrati cittadini vi relegano
(“in apposito luogo alle Due torri”) le sepolture degli ebrei,
che accusano di diffondere il morbo. L‟insolità profilassi
ovviamente non servì e il flagello infuriò ancora due anni
senza distinzione di età, censo o fede.
Il luogo era già caro alle comunità ebraiche: qui una
tradizione ritiene disperso il candelabro d‟oro a sette bracci
del Tempio di Gerusalemme (la “Menorah”).
Giunto a Roma nel 70 d.C., il sacro Candelabro
274
sarebbe stato razziato dai Vandali sotto il pontificato di
Gregorio Magno (590-604) e caricato su un barcone fluviale,
naufragato da queste parti. La versione di Procopio di
Cesarea nel “De bello gothico” è però diversa: dice che fu
papa Gregorio a gettare a fiume i tesori, per sottrarli ai
barbari. Da allora comunque la Menorah si perde: ne rimane
lo splendido rilievo nell‟Arco di Tito.
275
Presunta Prigione del Popolo
La presunta prigione del Popolo di via Camillo
Montalcini, 8 è un luogo della memoria, legato alle tragiche
vicende del Rapimento Moro del 1978.
Occorre dire che ad oggi non esiste una verità
processuale univoca: dalle carte processuali non emerge
infatti la certezza del fatto che via Montalcini sia stata la
prigione - la c.d. Prigione del Popolo -, o una delle prigioni,
dello statista Aldo Moro (1916-1978).
Pertanto consideriamo via Montalcini non come un
monumento ma come un luogo della memoria, un luogo cioè
dove togliersi il cappello e riflettere, per qualche minuto sulla
vicenda che si ritiene vi sia legata.
Per il resto, via Montalcini è un percorso di crinale,
visibile già dal Catasto del 1818, fra Pian Due torri e il
“vicolo del Truglio” sulle alture di Santa Passera. La via è
stata urbanizzata negli anni Sessanta.
276
Il Rapimento Moro
Le Br sono un‟organizzazione eversiva, fondata nel
1970 da Curcio e Franceschini. Nel 74 il generale Dalla
Chiesa ne arresta i capi storici, e da allora prende la guida
Mario Moretti, che esaspera i caratteri militari e avversa il
dialogo in corso fra il Pci di Berlinguer (al 34%) e la Dc di
Moro (al 38%).
Nella mattina del 16 marzo 1978, alle 9,15 - quando
le Camere stanno per votare la fiducia al governo Andreotti
IV, con il sostegno del Pci -, in via Fani va in scena l‟agguato:
il gruppo di fuoco Br stermina la scorta e rapisce Moro.
Iniziano 55 giorni difficilissimi, in cui 9 comunicati
informano l‟Italia sul processo al “prigioniero Moro”, fino alla
tragica sentenza di morte.
All‟istante Roma si ferma. La diretta tv riversa fiumi di
informazioni, mentre blocchi stradali chiudono il Raccordo.
Ma Moro non è andato lontano. A bordo di una Fiat 132 è
giunto in un appartamento di via Montalcini, “una strada
poco frequentata, senza vetrine né panchine, né capolinea”.
L‟appartamento, al pian terreno e con un box, è intestato ad
Anna Laura Brachetti, che convive con Prospero Gallinari,
conosciuto come “ingegner Altobelli”. Nel “carcere del popolo”
si alternano altri due carcerieri, Valerio Morucci e Germano
Maccari, simulando una normalità di relazioni sociali e
familiari.
277
Moretti, che abita invece in via Gradoli, viene a via
Montalcini ogni mattina in autobus, per condurre gli
interrogatori. E Moro inizia a parlare: rivela affari scottanti,
come Gladio e i finanziamenti illeciti alla Dc. Il comunicato
n. 3, con le parole “Il prigioniero sta collaborando”, fa
tremare il Palazzo. Il resto del tempo Moro lo trascorre
ascoltando una messa su nastro, leggendo giornali e,
soprattutto, scrivendo.
Lettere dalla Prigione del popolo
Durante la prigionia in via Montalcini lo statista Aldo
Moro compila a mano 86 lettere, in cui implora compagni di
partito e autorità di trattare con le Br.
“Sto discretamente”, scrive ai familiari, “assistito con
premura”; “il cibo è abbondante e sano”, “mangio ora un po‟
più di farinacei”, “non mancano mucchietti di appropriate
medicine”. Riserva alla moglie Noretta parole toccanti: “Ad
Agnese vorrei chiedere di farti compagnia la sera, stando al
mio posto nel letto e controllando sempre che il gas sia
spento. A Giovanni vorrei chiedessi dolcemente che provi a
fare un esame”. “Ho lasciato lo stipendio al solito posto.
Aiuta un po‟ Anna, data la gravidanza ed il misero stipendio
del marito”.
All‟astuto Cossiga invia messaggi in codice: “mi trovo
sotto un dominio pieno e incontrollato” (= sono nella cantina
di un condominio affollato, non ancora perquisito). Ripete di
278
trovarsi a Roma (“io sono qui”; “mandate delegati qui a
Roma”), perché - ha appreso - i militari sono fuori pista:
setacciano Gradoli, cittadina viterbese indicata in una
seduta spiritica.
Le Br intanto formalizzano il ricatto: Moro libero, in
cambio di Curcio e altri 12 br. Il Paese si lacera: Pci e
maggioranza Dc sono per la fermezza, Psi e minoranza Dc
per la trattativa. Moro accusa il nuovo segretario Zaccagnini
e la Dc di averlo abbandonato: “Il mio sangue ricadrà su di
loro”, scrive rabbioso. Si spinge a chiedere: “Vi è forse, nel
tener duro, un‟indicazione americana e tedesca?”. “Queste
sono vicende di guerriglia, ostinarsi in un astratto principio
di legalità è inammissibile”. La stampa, evocando la
“sindrome di Stoccolma” (la dipendenza che lega il rapito al
rapitore), ne dibatte l‟attendibilità. Il 4 aprile la Camera vota
per la linea della fermezza.
L’Italia piange Moro
Dal 18 aprile il sequestro Moro prende una piega
visibilmente drammatica. La polizia irrompe a via Gradoli, e
si accumulano gli episodi poco chiari: „Ndrangheta, Banda
della Magliana, le inchieste di Pecorelli, Loggia P2 e servizi
deviati, e il falso comunicato che dà Moro morto al Lago della
Duchessa.
Sono in molti a desiderare che Moro non torni, anche
se non mancano gli interventi autorevoli. Il 25 aprile il
279
segretario Onu Waldheim rivolge un appello per la
liberazione, e altrettanto fa “in ginocchio” papa Paolo VI, che
lascia sperare in trattative della Santa Sede. Fino all‟ultimo
comunicato n. 9 del 5 maggio (“Concludiamo la battaglia”),
che annuncia la fine del processo e la sentenza di morte.
Fanfani (Dc) propone in extremis lo scambio con una
brigatista anziana e malata. La Dc e il capo dello Stato Leone
approvano, ma è ormai troppo tardi.
Alle 6 del mattino del 9 maggio, nel garage di via
Montalcini (ma gli atti processuali non concordano
pienamente), Moro entra coperto da un plaid nel bagagliaio
di una Renault 4 rossa. Due raffiche di mitraglietta Skorpion
7.65 e due colpi di rivoltella Pkk 9 eseguono la tragica
condanna.
L‟auto arriva in via Caetani, poco distante dalla sede
del Pci. L‟immagine straziata dello statista fa il giro del
mondo. Sei processi e una ventina di sentenze non hanno
tuttavia ancora restituito una verità definitiva sul “sequestro
Moro”.
280
281
Quartiere d‟Armi
Abstract non disponibile.
Lettere dal Forte 1920-1956
Nel 1886 la cerchia trincerata di Roma è completa, e
ormai già fatalmente inadeguata ad asservire alla funzione
militare.
Un carteggio impietoso tra uffici del Genio, scovato
dalla studiosa Francesca Ritucci, mostra come già nel 1920
forte Portuense abbia perso importanza strategica, sebbene
ancora armato e sede di comando. Le missive si occupano
infatti della complessa trattativa per l‟affitto dei terreni
intorno al fossato ad un pecoraio locale. La spunta il
pecoraio: con risoluzione 25/11/1920 “l‟Ufficio Tecnico
[fissa] il canone in £. 290”, erba invernale e maggenga
282
comprese.
Una ventina di anni dopo, l‟Erario relaziona ancora su
questioni rurali, ma il pecoraio se n‟è andato via: “La
vegetazione è molto scarsa, il terreno arido; non risulta
sufficiente quantitativo di acque”.
Dopo la guerra il solerte impiegato erariale relaziona
sconsolato sulla occupazione tedesca: “Le riservette ed i
locali presentano molte manchevolezze, disfacimento dei
pavimenti, mancanza di vetri e avarie a infissi a porte e
finestre, cancelli, intonaci. Danneggiati gli impianti elettrici e
idraulici”. Il 1956 segna il definitivo esonero dalle funzioni
militari. Il forte diventa un‟immensa santabarbara, deposito
di armi, munizioni, materiali del Genio e documenti
d‟archivio.
283
Rectaflex
Abstract non disponibile.
La fabbrica Rectaflex
Dopo la Campionaria del 1948 si tiene una seduta
straordinaria del Consiglio di amministrazione della Cisa
Viscosa, in cui si decide l‟avvio della produzione in serie e un
investimento da capogiro - si dice di 300 milioni di lire - per
la costruzione della nuova fabbrica Rectaflex, ampliando il
preesistente Stabilimento Sara. Viene formalmente costituita
la Rectaflex Srl, e nell‟autunno 1948 viene posata la prima
pietra di una palazzina di 4 piani, dagli ambienti luminosi e
aperti, alla maniera di Walter Gropius. Degli aspetti
propriamente architettonici della fabbrica avremo modo
comunque di parlare diffusamente nel paragrafo dedicato.
284
Nel cantiere intanto arrivano i torni, le fresatrici, le
presse, i pantografi, e tutte le altre attrezzature maccaniche
necessarie. Il grosso delle assunzioni avviene nell‟autunno
1948. Le maestranze vengono addestrate da tre
capomontatori - Frajegari, Judicone e Assenza - e tra il
personale vi sono numerose donne, impiegate nelle funzioni
più minute. Le prime Rectaflex, prodotte ancora negli
Stabilimenti Sara, vanno tutte all‟estero. Il primo
distributore è la Director Products Co. di New York. Si
aggiunge poco dopo la Exclusivités Télos di Parigi, di Henry
Tieman, per la Francia. Varie intese commerciali portano
inoltre la Rectaflex in Svizzera, Sudamerica, Australia e
Sudafrica. Il Progresso fotografico, con i suoi redazionali, dà
conto puntuale della biografia ufficiale Rectaflex. Nel numero
dell‟ottobre 1948 scrive: «La Rectaflex è in vendita solo
all’estero per il momento, e in Italia son pochi i fortunati che
sono già in possesso della macchina». Si tratta di una politica
commerciale abbastanza bizzarra, perché la Rectaflex
faticherà in seguito non poco ad affermarsi in Italia. Ma,
ricorda i detto, in pchi sono profeti in patria.
È questo per Corsi forse il periodo migliore della sua
vita: respira aria di fabbrica notte e giorno, senza mai
rinunciare a sperimentare personalmente, perfezionare,
inseguire gli standard tecnici della Leitz o della Zeiss, che
considera l‟ideale di perfezione da raggiungere e superare.
Corsi impone ogni giorno variazioni tecniche e modifiche, che
rallentano la produzione e fanno crescere notevolmente i
costi di produzione: sa giustificarli alla Proprietà Cisa
285
Viscosa, consapevole di avere tra le mani un prodotto fuori
dall‟ordinario. Corsi segue personalmente il servizio di
Dopovendita: studia ciascuna macchina che torna in
fabbrica, per studiarne le debolezze. Le rectaflex a dire il vero
sono delicatissime, e si rompono con facilità. Corsi è
estremamente severo, e se una macchina non supera il
collaudo finale viene sostituita con una macchina nuova. Il
Dopovendita costituisce da subito un serio problema, perché
la previsione iniziale che le riparazioni sugli apparecchi
possano essere effettuate da fotoriparatori locali, si rivela
non corretta, per la complessità e la diversità di costruzione
della Rectaflex rispetto alle macchine tradizionali.
Con l‟inverno si avvia la produzione seriale vera e
propria, e si abbandona la produzione semiartigianale della
Standard 947, Al suo posto si inaugura un nuovo modello,
Serie 1000, il cui nome deriva dal numero di matricola, che
parte dal numero 1001. Esteriormente la 1000 mantiene il
design di Giò Ponti per la Standard 947. Il gruppo del corpo,
ricavato in pressofusione di alluminio anodizzato, è
composto di quattro parti: il corpo macchina, il castello (che
contiene prisma e specchio), il piano frontale (con
l‟imboccatura dell‟ottica) ed il dorso. Le ottiche sono
intercambiabili, ed è persino possibile montare il flash Vacu-
blitz a bulbi ad incandescenza. Il meccanismo che controlla i
tempi lenti è in una versione migliorata.
La nuova fabbrica intanto viene tirata su a tempo di
record. Nel gennaio 1949 il sindaco, Salvatore Rebecchini, è
presente all‟inaugurazione. Immancabile, il giornalista del
286
Progresso fotografico segue tutto in prima fila e racconta: «La
cerimonia fu semplice e rapida e si concluse con un discorso
del Sindaco». Sono gli anni della ripresa economica, del
boom. Nel suo discorso il primo cittadino rievoca la
trasformazione della borgata Trullo, da zona acquitrinosa a
distretto industriale d‟eccellenza, che porta con sé case e
benessere.
«Ma io petulante - scrive il giornalista - chiesi di poter
visitare lo stabilimento con più tranquillità. Quando mi venne
mostrato il castello della Rectaflex, io non ebbi bisogno di
spiegazioni per sapere che questa è l’ultimo grido delle
pressofusioni, e la più esatta. Così entrando nel salone delle
macchine utensili ebbi un grido di ammirazione, scorgendone
oltre centoventi. Come si fa a non costruire bene i duecento
pezzi che compongono la Rectaflex con quella attrezzatura?
Sarebbe più difficile costruirli male che bene! E i controlli? non
finiscono più. Ogni pezzo viene controllato con implacabile
pignoleria durante il montaggio, tanto che i controlli finali, che
sono i più severi, diventano forse inutili. Quindi, la Rectaflex
costruisce in serie circa cinquanta macchine al giorno,
occupando quattrocento persone, ma il controllo è singolo,
accurato, esasperante per ogni apparecchio. Organizziamo
tutta la nostra industria con simili metodi e i nostri prodotti
non temeranno confronti». Il giornalista esagera
probabilmente nei numeri, ma l‟atmosfera di entusiastica
fiducia nel futuro è reale.
Un incidente di percorso
287
Si avvia intanto la produzione in serie di un nuovo
modello, la Duemila. La nuova macchina non nasce da una
programmazione industriale ma, per così dire, da un
incidente di percorso.
Succede che i modelli 1000 manifestano dei problemi
meccanici, e una a una le macchine vengono rispedite ai
rivenditori, e di lì tornano al Trullo per l‟assistenza. I
rivenditori lamentano mancanze nelle tendine e nei leveraggi
del ritardatore: in pratica nei tempi di posa lunghi, dal 1/10
di secondo in poi, la Rectaflex non va. Dopo le prime
verifiche Corsi individua la causa: i corpi di alluminio
pressofuso prodotti dalla Fonderia Romana di Porta Portese
sono soggetti a dilatazione termica: al variare della
temperatura i componenti interni o sono compressi o
ballano. Corsi adotta una decisione che gli fa onore:
richiama in fabbrica tutte le macchine vendute, e ritira dai
negozi le altre 1000 pronte sugli scaffali. L‟avvocato non è
disposto ad accettare che la sua macchina possa essere
definita imperfetta. Fa eseguire delle rettifiche manuali a
colpi di fresatrice, eliminando le tolleranze o interponendo
lamelle di ottone. Il processo è lungo e costoso, senza
contare che la Fonderia Romana ha già realizzato altre 2000
fusioni che giacciono abbandonate in magazzino. Prende così
un‟altra decisione coraggiosa: rimanda indietro alla fonderia
i corpi in alluminio, e chiede di rifonderli di nuovo, a spese
della Rectaflex, con un nuovo stampo che risolve il
problema. Per distinguere vecchi stampi dai nuovi, si decide
288
di dare alla macchina una forma diversa, con numeri di
matricola dal 2128 in poi. Nasce così il nuovo modello
Duemila.
Ma Corsi è inquieto. Intuisce che se gli incidenti non
si trasformano in opportunità la Rectaflex non diventerà mai
la macchina perfetta che vuole produrre. Decide così che il
nuovo stampo dovrà anche far posto alle migliorie
sperimentali elaborate nel frattempo, accogliendo all‟interno
il nuovo pentaprisma. Ideato da Corsi e Picchioni, il nuovo
pentaprisma ha la seconda faccia a superficie convessa e
una lente ingrandente incollata sull‟ultima faccia. Il risultato
è che sull‟oculare si vede un‟immagine più grande e
luminosa. L‟invenzione, portata all‟Ufficio Brevetti nel
febbraio 1949, si chiama Perfezionamenti nei dispositivi per
la messa a fuoco e l’inquadratura. Nello stesso anno Corsi e
Picchioni chiedono altri due brevetti: uno sul sistema di
otturazione, con due tendine ad apertura fissa; un altro sul
ritardatore dei tempi lenti, montato su platine anodizzate
con oro 22 carati e rubini.
Intanto arriva puntuale la Campionaria di Milano,
edizione XXVII, aprile 1949, in cui la Rectaflex espone la
Duemila. La novità fieristica dell‟anno è il ritorno sul mercato
dei produttori tedeschi, anche loro sull‟onda lunga del boom
post-guerra. Sono ancora pochi, è vero, ma agguerriti e
tecnologicamente rivoluzionari. Corsi osserva con rabbia la
Contax S della Carl Zeiss di Dreda, che monta uno specchio
riflettore e un prisma di rinvio, lo Spiegelreflexkamera, che in
pratica è la versione tedesca della rectaflex. E c‟è poi la
289
svizzera Alpa Reflex, costosissima, dalla meccanica simile.
Se gli svizzeri, vistosamente fuori mercato, non
impensieriscono Corsi, la Zeiss è un competitore temibile.
L‟aneddoto vuole che Corsi, furibondo, abbia gridato al
plagio. Ad inizio 1948 aveva infatti inviato a Carl Zeiss una
decina di macchine Rectaflex per delle prove di tiraggio
ottico. Ritrovare in fiera, tra gli stand concorrenti, una
macchina sorprendentemente simile alla sua lo ferisce.
La fiera milanese di quell‟anno, tuttavia, sorride a
Corsi. I prezzi Rectaflex sono ritoccati al rialzo, e gli ordini
fioccano ugualmente. Corsi può ancora beneficiare, rispetto
al concorrente tedesco, di una produzione iniziata in
anticipo, e persino di un certo pregiudizio dei compratori
verso l‟economia tedesca, su cui pesa ancora l‟ombra sinistra
del nazismo. In fiera intanto Corsi mette a segno anche un
bel colpo sul mercato di Francia e Colonie, ottenendo
l‟abbinamento in vendita della sua macchina con il nuovo
grandangolare Retrofocus 35 mm della Angénieux. Tra Corsi
e Pierre Angénieux si instaura anche un rapporto di amicizia
personale. Producono entrambi l‟eccellenza, e in settori
complementari: inevitabile il loro incontro.
Nell‟autunno 1949 la Rectaflex replica il successo
milanese a Torino, dove si tiene la Mostra Internazionale
degli scambi con l’Occidente, più conosciuto come Salone
della Tecnica. La Rectaflex annuncia l‟apertura di un ufficio
di rappresentanza a New York, sulla Fifth Avenue. Alla fine
dell‟anno, oltre alle basi negli Stati Uniti e in Francia, la
Rectaflex vanta appoggi in Gran Bretagna (Phototecnic
290
Equipment a Londra), Svizzera (Società Eshmann a Losanna),
Olanda, Messico, Guatemala, Brasile, Uruguay, Nuova
Zelanda, Australia, Sud Africa, Congo Belga e Angola.
Succede così che tra le fiere di Milano, Torino e i
rivenditori esteri tutte le Duemila trovano collocazione sul
mercato e si rischia di rimanere a magazzini vuoti. Si inizia
immediatamente a produrre in serie un nuovo modello, la
3000, peraltro identica alla Duemila sul piano della
meccanica. La novità è tutta nel pentaprisma a due facce
convesse (quella della base e quella posteriore), che migliora
la luminosità e ingrandisce 2,5 volte l‟originale. La Rectaflex
si avvia a diventare la macchina perfetta.
Italia-Germania, guerra a distanza
Nel primo scorcio del 1950 l‟Italia sorride, il Trullo
lavora alacremente e Corsi è un vulcano di inventiva.
L‟avvocato dedica il 1950 al consolidamento della produzione
e dello smercio. Affida all‟ingegner Angelino Eleuteri, amico
fidatissimo, il compito di riorganizzare i reparti di
fabbricazione e montaggio. Eleuteri fa un eccellente lavoro.
Corsi si concentra invece sul Laboratorio di ricerca, di cui è
a capo, affiancato da Emilio Palamidessi e Alfredo Ferrari.
Il 9 marzo 1950, insieme a Giulio Fabricatore, Corsi
ottiene il brevetto per la preselezione manuale, che supera i
problemi della perdita di luminosità provocata dalla
chiusura del diaframma. La Rectaflex ha infatti l‟handicap di
291
dover inquadrare e focheggiare con un obiettivo spesso molto
chiuso, quindi poco luminoso. Il brevetto si chiama
Perfezionamenti ai dispositivi per la diaframmatura. «La
presente invenzione - si legge - permette di predisporre
l’apertura del diaframma prima della presa, in modo che in
seguito, anche avendo variato la diaframmatura, si ritorna
alla diaframmautura predisposta».
Eppure Corsi dorme sonni agitati, crucciato dalla
implacabile ascesa della concorrente tedesca Zeiss e della
sua macchina reflex Contax. L‟avversario è insidiosissimo: la
sua produzione è per ora concentrata sul mercato tedesco;
nonappena tutti i tedeschi avranno in casa una Contax le
macchine della Zeiss cominceranno a dilagare all‟estero.
Corsi sa che la Contax è ancora inferiore sul piano tecnico:
ad esempio lo specchio ha il ritorno manuale e dopo ogni
scatto bisogna riarmare l‟otturatore. Ma sa anche che non ci
vorrà molto a che i concorrenti tedeschi progettino un
meccanismo di ritorno automatico. Un aneddoto riferisce che
nel suo ufficio a Monte delle capre Corsi ha un tavolo da
lavoro in cui tiene personalmente sotto controllo la macchina
tedesca, smontandola e rimontandola in ogni minuto
dettaglio. Corsi è più che mai convinto che in questa guerra
a distanza l‟eccellenza e l‟innovazione siano le uniche strade
vincenti.
In quel periodo cominciano a arrivare sul tavolo di
Corsi i primi rapporti di vendita negativi, soprattutto
dall‟Italia. La Rectaflex, sebbene sia l‟unica prismatica sul
mercato, è ancora molto più cara delle telemetriche
292
tradizionali. Corsi affida ad un altro collaboratore, l‟ingegner
Marini, il compito di studiare una strategia commerciale.
Viene stampato un opuscolo comparativo, nel quale spiega
che il prezzo della Rectaflex è ragionevole. Una Rectaflex
completa di ottica costa 110.000 lire: una telemetrica
tedesca con ottica equivalente costa 140.000 lire.
Ma il vero problema è un altro. L‟ingegner Marini ha
un compito ingrato, di quelli che spesso toccano agli amici
più cari. La Rectaflex, spiega l‟ingegnere a Corsi, più che una
fabbrica è un istituto scientifico. Il suo capo fa continue
sperimentazioni e cambiamenti di rotta, alla minima
segnalazione di un guasto. E questa meraviglia di scrupolo è
economicamente disastrosa, tanto più che la macchina ha
ormai raggiunto una affidabilità senza pari. Occorre,
purtroppo, mettere un freno alla vis creativa del capo. Corsi
viene convocato dalla Direzione della Cisa Viscosa. In un
colloquio non facile gli viene detto chiaro e tondo che la
produzione della 3000 è da ritenersi blindata,
immodificabile, per lo meno finché la Cisa non sarà rientrata
dell‟investimento iniziale.
In cambio gli viene affidata una nuova serie
sperimentale tutta per lui, prodotta in soli 500 esemplari,
che prenderà il nome di 4000. Sulla 4000 Corsi può fare
tutte le modifiche che vuole, ma Corsi, per piacere, lasci
lavorare in pace l‟ingegner Eleuteri nello stabilimento al
Monte delle capre! La 4000 quindi non è un modello
successivo alla 3000, ma piuttosto un modello parallelo, a
commercializzazione ridotta: per dirla con il moderno
293
linguaggio informatico la 3000 è la versione stabile, la 4000 è
la versione beta della macchina che verrà. Corsi non capisce,
ma si adegua alle disposizioni aziendali. Dimentica la 3000 e
si lancia a capofitto nella 4000: cambia l‟anello di innesto
delle ottiche, gli ingranaggi delle tendide, i leveraggi dei
tempi lenti, e testa uno speciale stigmometro su vetro
smerigliato. Sulle confezioni della 4000 compare la scritta
Duofocus, in ragione del binomio tra visione reflex e nuovo
stigmometro.
Intanto, arriva l‟appuntamento con la Campionaria
milanese, edizione XXVIII, maggio 1950. Quell‟anno i
giapponesi della Canon tengono banco e incantano il
pubblico. La Rectaflex espone la 4000 Duofocus, abbinabile
con le ottiche della Filotecnica e Galileo e una miriade di
accessori. Giunto in fiera Corsi assiste ad uno spettacolo che
sembra uscito dal suo incubo peggiore. Le case produttrici
tedesche hanno messo sul mercato decine di nuovi modelli,
tutti con visione prismatica reflex. C‟è la tedesca Kilar con la
Tele-Kilar e la Tewe con la Teweflex; la Zeiss raddoppia e
oltre la Contax propone ora anche la Contessa. Anche chi ha
già una macchina tradizionale può passare al reflex: basta
acquistare il prisma esterno della Exacta.
La romana Gamma, invece, rimane fedele al
telemetro, e continua a produrre i suoi affidabili ed
economici modelli. Il Progresso fotografico spende parole di
elogio per la piccola grande fabbrica situata a 50 metri di
distanza dalla Rectaflex: «La Gamma III è veramente perfetta
e merita il successo che sta ottenendo. Il colmo è che è
294
esportata perfino in Germania».
Alti e bassi del 1951
All‟inizio del 1951, mentre si commercia la serie 4000,
si decide di trovare una seconda vita per le macchine
difettose nei tempi lenti della serie 1000, inutilizzate nei
magazzini di via Monte delle Capre. Sono circa un migliaio.
Nasce così la Serie Junior, una serie cadetta con i soli tempi
veloci (fra 1/25 e 1/500 di secondo). Viene eliminato il
ritardatore dei tempi lunghi e il foro viene coperto con un
dischetto con la scala mnemonica delle sensibilità DIN/ASA.
Il vecchio prisma a facce piane non viene sostituito
con quello a facce concave, per non gravare sui costi. Questa
particolarità dà alla macchina cadetta un angolo di visione
più ristretto ed anche una ridotta luminosità. Se una 4000
con ottica Angénieux costa 170.000 lire, una Junior con
ottica Beta ne costa soltanto 65.000. La rectaflex per molti
italiani diventa un sogno possibile. Ma alla Cisa Viscosa
storcono il naso: l‟operazione Junior non coprirà gli ingenti
costi di riassemblaggio.
Intanto la Fiera campionaria del 1951, la numero
XXIX, segna un fiasco commerciale per il Telcrom. Il
Telecrom è un dispositivo esterno per la essa a fuoco, una
sorta di evoluzione dello stigmometro. Si tratta di uno
schermo esterno di messa a fuoco, da applicare sopra
l‟obiettivo. Consiste in uno schermo smerigliato diviso in due
295
sezioni, una verde ed una rossa, separate da una striscia
opaca. Accostando il congegno all‟obiettivo, l‟immagine del
soggetto inquadrato rimane sdoppiata fino a che l‟ottica non
raggiunge la perfetta messa a fuoco. Il Telecrom, forse per la
sua difficoltà d‟uso, non incontra l‟interesse dei rivenditori,
la cui attenzione è attratta dalla 4000 che la Junior.
Esce il nuovo listino, il numero 7. I prezzi della
macchina sono invariati, ma gli accessori hanno prezzi
vistosamente ribassati. Intanto l‟altra società del distretto di
monte delle capre, la gamma, mette in commercio la Perla,
una macchina economica e poco pretenziosa, con ottica fissa
ed otturatore centrale. Sul prezzo non conosce rivali.
Due mesi dopo, a fine aprile, si tiene a Colonia la
Seconda Photokina. La Rectaflex espone la 4000 in una
versione dal design rinnovato, con una nuova forma dei corpi
in alluminio. La meccanica interna è invariata, tuttavia il
nuovo look entusiasma i rivenditori. Tornato a Roma, Corsi
monta i nuovi corpi su tutte le macchine in produzione.
Nasce così una nuova serie. Anche per ribadire il distacco
con le precedenti la nuova serie prende il nome di 16000.
Nell‟estate 1951 intanto Corsi ottiene il brevetto del
Telcrom, denominato “Dispositivo per la verifica della messa
a fuoco di una immagine, consistente in uno schermo
comprendente una parte opaca intercettante i raggi luminosi
diretti alla zona centrale dell‟obiettivo mentre il resto dello
schermo è diviso in almeno due parti, tutte trasparenti ma di
colore differente l‟uno dall‟altra”. Non servirà purtroppo a
molto.
296
È in questo periodo - tra la fine del 1951 e l‟inizio del
1952 - che la Rectaflex raggiunge l‟apice produttivo e
qualitativo. La perfezione voluta da Corsi può dirsi ormai
raggiunta. Tuttavia è proprio da qui che inizia la parabola
discendente della Rectaflex. Nel settembre 1951 la Cisa
Viscosa adotta una scelta drastica: allontanare Corsi dalla
fabbrica al Trullo, creando per lui una gabbia dorata, un
ufficio speciale chiamato Laboratorio sperimentale, in via
Acqui, 9, proprio accanto alla casa di Corsi. Insieme a lui
sono esiliati in via Acqui Emilio Palamidessi, che ha la carica
di direttore del Laboratorio, e il fidato caporeparto di
montaggio Michele Frajègari. Il suo posto al Monte delle
capre viene preso dal giovane Roberto Germani, un tecnico
entrato in fabbrica tre anni prima, dimostratosi di grande
valore. La scelta di Germani si rivelerà assai positiva: la
pianificazione produttiva di Germani porterà la Rectaflex a
ridurre i costi di produzione.
Inoltre la Cisa Viscosa accentra gli uffici direttivi
Rectaflex in via Sicilia, 162, dove ha sede l‟intera holding
Cisa Viscosa. La rectaflex srl intanto cambia ragione sociale
e diviene società per azioni. Ma il colpo più duro per Corsi
deve ancora arrivare. A metà del 1952 la Cisa Viscosa
contatta Léon Baume, un abile finanziere di origine polacca,
chiedendogli di affiancare Corsi nella cura e coordinamento
dei rapporti commerciali della Rectaflex. Insieme a lui
collaborano il dottor Fabbri e Aldo Falcone.
Corsi probabilmente non si rende conto che il
comando della Rectaflex gli sta progressivamente venendo
297
meno. Dal Laboratorio di via Acqui, nel giugno 1951 Corsi
avvia una nuova serie sperimentale, che prenderà il nome di
Preserie 20000. Insieme a lui ci sono validissimi
collaboratori: gli ingegneri Franco Sigismondi e Giorgio
Marini e il tecnico Angelo Antonelli. Con loro mette a punto
un nuovo otturatore a tendina, con ingranaggi in alpacca,
per consentire un maggiore scorrimento. Nel Laboratorio
sperimentale Corsi dispone di nuovissime attrezzature
elettroniche. Nei primi mesi del 1952, Corsi riesce a tarare
l‟otturatore fino ad una velocità incredibile: un duemilesimo
di secondo. I concorrenti tedeschi della Zeiss sono ancora
fermi alla velocità di un millesimo.
Nei primi mesi del 1952 la 20000 viene messa in
produzione in serie, con il nome di Standard 20000, con
tempi dichiarati ad 1/1300 di secondo. La 20000 è
l‟apparecchio 35 mm più veloce di tutti i tempi.
La fabbrica perfetta
Nell‟aprile 1952, sotto la direzione dell‟ingegner
Eleuteri, lo stabilimento Rectaflex può definirsi la fabbrica
perfetta. Eleuteri comanda due strutture: Ufficio tecnico e
Ufficio produzione. Il Tecnico ha il compito di trasformare le
intuizioni di Corsi al Laboratorio sperimentale in tracciati di
produzione. Lo dirige Pietro Raucci (aiutanti Ermanno
Fenoglio e Alfredo Ferrari, disegnatori Angelo Fracomeno e
Rolando Pinto). La Produzione si occupa delle commesse, dei
298
tempi di lavorazione e della produzione in serie. Lo dirige
Erminio Cappellani (aiutanti Dante Salvatori, Sergio
Colachicci, Rolando Salvioni).
La Produzione è divisa in 8 reparti: 6 officine
meccaniche e 2 controlli di qualità. Le officine sono:
Progettazione, Fresatura ed attrezzeria (caporeparto Aldo
Pini), Tornitura e aggiustaggio (Gaetano Judicone),
Galvanica (Attilio Berardi), Montaggio (Roberto Germani),
Verniciatura (Antonio Pietrini), Montature ed accessori. I
controlli di qualità sono: Collaudo semilavorati (Renato
Bonci) e Collaudo finale (ingegner Amedeo Cimino, aiutante
Giulio Fabricatore).
Montaggio, Fresatura e Tornitura costituiscono il
comparto Meccanica 1 (capocomparto Egeo Filippini).
Meccanica 2 comprende le altre lavorazioni, più delicate.
Questo comparto è dotato di macchinari per la rettifica, torni
e trapani di precisione, fresatrici e macchine automatiche
per le minuterie in acciaio inox.
La fabbrica (se si escludono i pentaprismi e i corpi in
alluminio pressofuso) produce in autarchia tutti i suoi
componenti. Il metallo è ricavato dalla fusione del materiale
bellico; la pelletteria proviene dalla Sara.
Il ciclo inizia dal Reparto Galvanica, che vaglia i corpi
in alluminio e i pentaprismi. La Fresatura effettua le forature
e trasmette i corpi alla Verniciatura dove viene applicata a
fuoco la vernice nera opaca. Dalla Verniciatura i corpi
ritornano in Fresatura, dove i fori vengono imboccolati per le
tendine e i ritardatori. Nel frattempo l‟attrezzeria prepara le
299
calottine e la Tornitura e la Galvanica preparano viteria e
leveraggi. I corpi preparati finiscono al Montaggio, che fra i
reparti è quello dalla struttura di maggior complessità.
Al Montaggio lavorano solo meccanici preparati per
lavorazioni di meccanica fine (orologiai, ottici, strumentisti di
precisione, tecnici dei pantografi). Dal Montaggio dipende il
Precollaudio, in cui i fotoreporter Francesco Maesano e
Antonio Tozzi provano le macchine (i negativi vengono
allegati insieme alla garanzia). L‟intero ciclo di montaggio
risulta suddiviso in 36 passaggi. Ad ogni passaggio
corrisponde una fila di banchi del grande salone luminoso al
secondo piano, ad a capo di ogni fila vi è un montatore
specializzato: se un operaio riscontra problemi in un
passaggio passa la macchina al montatore esperto. Il ciclo
richiede 40 ore per ogni macchina. Ad esse si aggiungono
altre 8 ore per le fasi di collaudo, cui presiedono Cimino e
Fabricatore.
Giulio Fabricatore è un insegnante di tecnica
fotografica alla Scuola di Polizia. La voce popolare lo descrive
come un personaggio misterioso: misantropo, austero, è
sconosciuto di lui ogni particolare biografico. Ogni giorno,
terminate le lezioni, si reca in Rectaflex dove ispeziona ogni
macchina con diligenza da poliziotto. Si sa di lui che,
terminata l‟esperienza produttiva Rectaflex, continuò a
lavorare a capo della società di distribuzione italiana della
Polaroid.
Il professor Amedeo Cimino, ingegnere, insegna
matematica. È una figura molto simile a Corsi: fantasioso,
300
creativo. Tra i due esiste una sincera e lunga amicizia.
Quando la Rectaflex entra nella fase di crisi Cimino sceglierà
un più sicuro impiego alla Vasca navale, come direttore del
Laboratorio di ricerca; tuttavia continuerà a sentirsi
partecipe dell‟esperienza Rectaflex, affiancando Corsi,
gratuitamente, nelle sue attività al Laboratorio
speriementale.
Dunque, in quel primo scorcio del 1952, arriva
l‟annuale appuntamento con la Campionaria di Milano. La
Rectaflex espone la 16000 con nuove ottiche e viene
presentata in anteprima il nuovo modello Rotor con torretta
girevole a tre obiettivi e impugnatura a pistola e il grilletto
per lo scatto. La Rotor costa 140.000 lire, mentre le 16000
hanno prezzi ribassati del 10%. Alla fiera c‟è anche la
Gamma, reduce da alcune vicissitudini in tribunale: la
Gamma non può più vendere la sua celebre telemetrica a più
obiettivi, ma espone nuove versioni della super economica
Perla a ottica fissa.
Alla III Photokina di Colonia la Rectaflex espone,
insieme alla Rotor, la preserie 24.500 dal design rinnovato.
La Rotor, racconta un aneddoto popolare, nasce
dall‟amicizia tra il regista Alberto Lattuada e il fotoreporter
Federico Patellani. Lattuada e Patellani si conoscono dagli
anni Trenta, dove frequentano entrambi il Politecnico di
Milano, uniti dalla comune passione per il cinema. Ai due si
aggiunge presto il produttore cinematografico Carlo Ponti, e
insieme i tre si trasferiscono a Roma, a Cinecittà. Patellani
lavora al settimanale Il Tempo, e arrotonda come fotografo di
301
scena negli Studios di Cinecittà. Tra tutte le macchine
fotografiche Patellani non ha dubbi nello scegliere la sua
preferita: ovviamente una Rectaflex. Instaura con Corsi
un‟amicizia assidua, frequentando il Laboratorio
sperimentale e fornendo a Corsi continui spunti per
migliorare la macchina: Patellani, da fotografo esperto,
solleva stimolanti problemi pratici, e Corsi è ben lieto di
risolverli.
Quando Patellani rappresenta a Corsi le difficoltà di
dover sovente cambiare ottica, perdendo attimi assai preziosi
per afferrare lo scatto fuggente, Corsi mette subito all‟opera
il progettista Ferrari, e nasce così l‟intuizione di realizzare
una torretta con un cilindro mobile che fa ruotare gli
obiettivi. Una foto celeberrima ritrae Gina Lollobrigida ed
Humprey Bogard, sul set del film Beat the Devil che
impugnano la Rotor di Patellani. Un aneddoto popolare vuole
che, agli inizi del 1952 Alberto Lattuada abbia coinvolto
Federico Patellani e la sua inseparabile Rectaflex Rotor, nelle
riprese del film La Lupa, basato sulla novella di Giovanni
Verga. Patellani soggiorna ai Sassi di Matera (dove si gira il
film), fotografando nei momenti di pausa questa suggestiva
località e la sua varia umanità, e traendone foto giudicate tra
i lavori migliori di questo reporter. Scrive Lattuada: “Io sono
un uomo che ha ammirato un altro uomo, per come riesce a
rubare dalla realtà la forza della bellezza e restituirla con
un‟immagine”.
La commessa militare americana
302
Intanto va in commercio la suova serie 25.000. Sul
piano tecnico la 25.000 non differisce di molto dalla 16.000:
è diversa la taratura dei tempi veloci e si può ora montare il
flash a bulbo incandescente Vacu-blitz. La novità invece è il
cambio di fornitori per le parti che la Rectaflex non produce
direttamente: il nuovo stampo in pressofusione (in
precedenza appaltato alla Fonderia di Porta Portese) è ora
prodotto dalla Simi di Milano). A Milano si producono ora
anche i pentaprismi e le lentine, prodotti dalla Metal-Lux, e,
venuta meno la produzione della viscosa, le tendine
gommate sono ora appaltate alla Pirelli, sempre di Milano.
Delle macchine prodotte in quel periodo il 50% finisce in
Francia; e solo il 15% è venduto in Italia.
In quel periodo intanto - siamo nel 1952 – scoppia
improvvisa la Guerra di Corea, che vede impegnati al fronte
gli Stati Uniti d‟America. Il governo americano lancia una
gara d‟appalto internazionale per l‟acquisto di un gran
numero di apparecchi fotografici reflex 35 mm, destinati ai
cronisti di guerra. Il finanziere Léon Baume segue in prima
persona la trattativa con gli statunitensi, e,
sorprendentemente, l‟affare va subito in porto, con una
commessa da ben 30.000 apparecchi. Il contratto prevede 20
invii di macchine, da 1500 pezzi ciascuno, a cadenze regolari
di 3 mesi.
Corsi intuisce subito le due insidie nascoste
nell‟accordo. La prima è che è una commessa in perdita: ogni
apparecchio viene venduto a 63.000 lire, un terzo del valore
303
di mercato, da cui deve essere detratta la royaltee di 15.000
lire riservata a Baume. La seconda insidia è che la
produzione Rectaflex non è capace di produrre così tante
macchine, e destinare l‟intera produzione al mercato bellico
significa far sparire la Rectaflex dal mercato civile per
almeno cinque anni. Nel gennaio 1953 la Rectaflex assume
tutto il personale Sara e lancia un‟ulteriore campagna di
assunzioni all‟esterno. Ma la produzione resta ancora
insufficiente a rispettare gli accordi contrattuali: basti
pensare che nella primavera 1953 la Rectaflex arriva a 300
dipendenti, e non si producono più di 300 macchine al mese.
La Cisa, allettata dalla previsione di rientrare con
questa commessa degli investimenti iniziali in Rectaflex, è
entusiasta delle abilità di Baume. Inevitabilemente il
finanziere viene promosso a co-amministratore delegato
Rectaflex, insieme a Corsi.
L‟avvocato Corsi mal digerisce questa novità. Lui e
Baume hanno due caratteri diversi, persino incompatibili:
un sognatore alla ricerca della perfezione, innamorato della
sua fabbrica, il primo; un cinico abilissimo mercante alla
spasmodica ricerca del profitto il secondo. D‟altra parte il
successo commerciale da sempre cercato da Corsi non era
ancora arrivato, e Baume appariva agli occhi degli
amministratori Cisa essere riuscito laddove Corsi aveva
fallito, aprendo prospettive di risanamento e riduzione dei
debiti insperate. Poco importa che nel frattempo Corsi abbia
concluso un onesto accordo con la Davve Instruments Ltd
per la distribuzione Rectaflex in Inghilterra: Corsi deve
304
inchinarsi all‟abilità del nuovo arrivato.
Inevitabilmente Corsi finisce al margine della vicenda
produttiva Rectaflex, sempre più lontano persino dal
Laboratorio Sperimentale di via Acqui. Corsi si rifugia spesso
da Giorgio Cacchi, amico e titolare del celebre emporio La
Casa del Fotocineamatore, dove Baume non mette mai piede.
Lì si riuniscono i fedelissimi di Corsi, in compagnia di un
cenacolo di artisti del calibro di Marcello Mastroianni,
Federico Fellini, Charles Boyer.
Intanto Corsi crea un nuovo modello sperimentale,
rivolto ad una clientela d‟élite: la Gold, la Rectaflex d‟oro. La
Gold differisce dalle altre macchine praticamente solo per la
doratura dei corpi pressofusi e per le decorazioni in pregiata
pelle di lucertola. La prima Gold viene realizzata per il
pontefice Pio XII, e reca nel castello lo stemma della Santa
Sede. Papa Pacelli si reca personalmente nello stabilimento
di Monte delle capre per ricevere il dono, che si dice abbia
apprezzato e utilizzato spesso in seguito. In quell‟occasione
celebra una messa insieme agli operai e benedice l‟intero
stabilimento.
Ma l‟euforia per l‟illustre visitatore dura ben poco. In
fabbrica la mancanza del capo carismatico comincia a farsi
sentire. E si verificano cose fino ad allora mai successe:
tensioni sindacali, conflittualità tra i dipendenti, persino atti
di manomissione di alcuni macchinari di precisione. Il nuovo
personale non è formato a dovere: le prima macchine
prodotte sono difettose e necessitano di lunghi interventi di
aggiustaggio che la Rectaflex non può permettersi. In breve
305
si capisce che i tempi contrattuali con gli Americani non
saranno neanche lontanamente rispettati.
Corsi intanto ottiene dall‟azienda il permesso di
realizzare altre Gold e di donarle ai potenti del momento.
Una è per il Re Farouk d‟Egitto; un‟altra è per il presidente
Cisa Francesco Maria Oddasso; ve ne sono per il presidente
della Repubblica Luigi Einaudi, per il presidente degli Stati
Uniti Eisenhower e una per Wilson Churchill. Le ultime due
sceglie Corsi a chi donarle: una è per l‟importatore francese
Henry Tieman, suo amico e fedele rivenditore della Rectaflex
in Francia; l‟ultima Corsi la dona alla Fabbrica Rectaflex,
dove viene esposta accanto ad un pannello sinottico con tutti
i pezzi che compongono una Rectaflex. Questo dono ha quasi
il sapore dell‟addio. La fine dell‟esperienza Rectaflex è dietro
l‟angolo.
Signori, si chiude
Arriva la XXXI Fiera Campionaria di Milano, edizione
del 1953. La Rectaflex espone la Standard 25.000 insieme
alla Rotor. Durante la Fiera Corsi e Baume si intrattengono
lungamente con Robert Brockway, distributore americano
della Rectaflex e presidente della Director Products. In
quell‟occasione viene sottoscritto con il distributore
americano un accordo per la vendita, sul mercato estero, di
una rectaflex a telemetro. Corsi non approva e lo considera
quasi un affronto alla sua creatura a visione prismatica, ma
306
Baume, allettato dalle prospettive di un facile guadagno, ha
rapidamente ragione delle obiezioni.
Il 1953, nel complesso è un anno di crisi per le
vendite delle macchine fotografiche di fascia alta: nei vicini
stand delle Officine Galileo (microcamera GaMi 16 con
telemetro e correttore di parallasse) e San Giorgio (prototipo
Janua modello 803 sincronizzata) ci sono macchine di
grande qualità, ma gli ordini di acquisto languono. Vanno un
po‟ meglio le cose per le macchine di classe economica, con
Ferrania, Bencini e Closter che commercializzano apparecchi
discretamente sofisticati, ad un quarto del prezzo di una
Rectaflex. Vanno bene le cose anche per la Gamma, che
l‟anno precedente ha interrotto la fabbricazione della
telemetrica, e ha saputo riposizionarsi sulla fascia
economica del mercato. C‟è la Perla A con ottica Stigmar
1:3.5 e il modello Al con ottica Radionar 1:2:8); c‟è poi la
supereconomica Stella con otturatore Pronto ed ottica Kata
1:3:5/50 mm.
C‟è un aneddoto curioso legato a quella fiera. Pare che
fra i visitatori vi fossero, in incognito, August e Jacques
Piccard, pionieri delle esporazioni dei fondali oceanici, e loro
stessi costritturi di sottimarini in grado di resistere alle
pressioni delle grandi pronfondità, chiamati batiscafi. Il
motivo della loro visita era acquistare una macchina
fotografica per il batiscafo Trieste, con cui poco dopo
avrebbero esplorato i fondali a largo dell‟isola di Ponza. Pare
che l‟operaio specializzato incaricato del montaggio della
macchina nel batiscafo sia stato lo stesso Corsi, ovviamente
307
in incognito. Non si sa quanto vi sia di realtà e quanto di
leggenda, fatto sta che, di fronte alle insistenze dell‟operaio
di accompagnare i Piccard nell‟immersioni, Corsi venne
riconosciuto. Venne accontentato e tra Corsi e i Piccard
nacque una grande e lunga amicizia. Pare dunque che
l‟estate del 1953 sia stata un‟estate magnificamente serena
per Corsi - con i Piccard tra i fondali di Ponza, sul batiscafo
Trieste -, mentre già da settembre sinistre nubi si addenzano
sulla fabbrica di Monte delle Capre.
A settembre 1953 negli stabilimenti Rectaflex sono
pronte le prime 3000 macchine per la commessa militare
americana, e altrettante sono avviate alla produzione. Si
procede con la prima spedizione di 1500 macchine, anche se
con un certo ritardo rispetto ai termini contrattuali. Gli
Americani sono furibondi, anche perché la guerra è ormai
iniziata e anzi si avvia ad una rapida conclusione. Non si sa
bene cosa sia avvenuto dall‟altro capo del mondo: fonti orali
riportano che gli Americani abbiano fatto valere (a buon
diritto) una clausola sui tempi di consegna; altre dicono che
poi alla fine abbiano pagato ma i soldi siano stati dirottati
altrove. La sola certezza è che alla fine i soldi americani,
equivalenti a circa 100.000.000 di lire, in Rectaflex non sono
mai arrivati. Un breve comunicato annuncia poi il colpo di
grazia: con l‟elezione del nuovo presidente Eisenhower, la
Commissione militare incaricata degli acquisti di guerra è
decaduta e con essa è decaduto l‟intero appalto, di circa
1.900.000.000 lire.
Viene convocato di corsa un consiglio di
308
amministrazione della Cisa Viscosa: siamo ad inizio marzo
1954. La riunione è turbolenta, e sul banco degli imputati,
per aver rallentato la produzione, finisconoBaume e Corsi.
Gli amministratori Cisa decidono che l‟esperienza Rectaflex è
giunta al termine, e che il tutto sarà sancito da
un‟assemblea straordinaria. Dall‟immediato, intanto, la
produzione è interrotta e si cercherà di vendere il vendibile.
Di quella riunione sopravvivono diversi ricordi. Pare che
Baume abbia prudentemente taciuto, mentre invece Corsi,
difendendosi come un leone, di fronte alla decisione
padronale di interrompere la produzione, abbia minacciato
di portare i brevetti in Francia e di continuare a produrre la
Rectaflex laggiù. Ma la Direzione ha deciso senza appello.
Vengono licenziati in blocco tutti gli operai addetti
alla produzione, salvando, almeno per ora, i soli operai dei
reparti Montaggio e Collaudo. Si concorda coi sindacati una
buona uscita per gli operai, e le fonti orali riportano che la
buona uscita è condizionata al fatto che nulla di quanto
avviene debba essere reso noto all‟esterno. Fra i giornali
economici di quello scorcio di 1954, nessuno fa menzione
della vicenda. Anche i negozianti ricevono puntualmente gli
ordinativi.
Del resto in magazzino vi sono ancora componenti per
realizzare circa 3000 macchine. Léon Baume è incaricato
della vendita, al prezzo base di 20.000 lire l‟una: il maggior
ricavo è il suo, come buona uscita. I listini fieristici di quel
periodo riportano paradossalmente che il prezzo di vendita ai
dettaglianti non subisce alcuna riduzione.
309
Non vanno meglio le cose per Corsi: il Laboratorio
sperimentale viene ceduto ad una controllata della Viscosa,
la Ecom, e lì Corsi dovrà occuparsi di pianificare la ripresa
della produzione: la Viscosa non ha minimamente in animo
di ricominciare a produrre la Rectaflex; semplicemente, vuole
vendere uan fabbrica apparentemente ancora in esercizio,
mostrando ai possibili compratori dei piani produttivi
credibili. Viene anche nominato un nuovo amministratore
delegato, il signor Fabbri, che ha anche la funzione di
commissario liquidatore.
Ad aprile 1954 arrivano intanto i tradizionali
appuntamenti fieristici di Colonia e di Milano. In Germania
nulla traspare della crisi Rectaflex, anche se la parte del
leone in quella fiera la fa una macchina telemetrica, la nuova
Leica modello M3. Se la rectaflex telemetrica concordata con
Robert Brockway fosse stata immessa sul mercato solo
qualche mese prima, ne sarebbe senz‟altro stata una valida
concorrente. A Milano la Rectaflex si limita ad anticipare la
serie 30.000 insieme alla Rotor, con una gamma completa di
ottiche e accessori. In quell‟anno si registra il definitivo
sorpasso dei prodotti tedeschi rispetto a quelli italiani: la
guerra è ormai alle spalle, e i fotoamatori italiani acquistano
in base alla qualità e al prezzo, non più sulla base emotiva
del ricordo degli orrori del nazismo. Mantengono buone fette
di mercato la Closter, con la sua Princess, e la Ferrania, con
la Rondine, Falco S e bionica Elioflex II. Si difende bene
anche la gamma, con i vari modelli di Perla e Stella.
310
Le ultime meraviglie Rectaflex
Per quanto possa sembrare incredibile, in quel
periodo Corsi, sebbene amareggiato per la consapevolezza
della fine, è un vulcano di inventiva. Come se volesse
sparare tutte insieme le ultime cartucce, sapendo che
l‟acqua presto bagnerà le polveri. Oppure no, forse non è
ancora disposto ad alzare bandiera bianca e spera in un
ripensamento della Direzione. Fatto sta che il 1954 sarà
ricordato come l‟anno delle meraviglie Rectaflex, in cui la
tecnologia Rectaflex raggiungerà davvero livelli spettacolari.
Corsi lavora contemporaneamente a tre nuovi
brevetti: il nuovo pentaprisma con tetto a doppio spiovente,
il meccanismo di esposizione automatica, e un dispositivo
speciale chiamato Esaflex. Il nuovo pentaprisma viene
presentato ancor prima di essere brevettato, sul numero
dell‟ottobre 1954 del Progresso fotografico; il giornalista
riporta di una presentazione per addetti ai lavori,
probabilmente nella Casa del Fotocineamatore, forse persino
all‟insaputa della Direzione della Viscosa. Il progetto di una
Rectaflex con esposizione automatica nasce invece in
azienda, da una collaborazione di Corsi con l‟ingegner
Ferrari. Viene concepito uno speciale preselettore del
diaframma, unito ad una nuova ottica con esposimetro al
selenio, chiamata “lettore di luce”, che, tramite un indicatore
ad ago, dà la corretta impostazione del diaframma. Infine,
l‟Esaflex è un apparecchio reflex 6 × 6 monobiettivo ad ottica
intercambiabile, dotato sia di visione prismatica che
311
telemetrica. L‟apparecchio è studiato per avere il magazzino
intercambiabile: è una macchina omnibus, in grado di
montare qualsiasi accessorio, volendo anche l‟otturatore
centrale o un visore a periscopio.
Allo stesso tempo Corsi lavora anche al Modello
30.000. Sa che è l‟ultimo che uscirà dagli stabilimenti di
Monte delle capre e vuole che sia un modello perfetto:
sostituisce i leveraggi di carica e riavvolgimento del film, e
sostituisce anche i vecchi pulsanti di scatto e di sgancio
dell‟ottica, con nuovi pulsanti dalla caratteristica forma a
fungo.
Non è finita. Con il reporter Federico Patellani Corsi
lavora ai modelli Special, dei modelli rectaflex destinati alle
applicazioni scientifiche specializzate: Special 24 × 32 e la
Rectaflex Silenziosa. La Special 24 × 32 prende il nome dalla
dimensione ridotta del fotogramma, richiesto per particolari
usi scientifici, come la microfotografia (applicando la
macchina ad un microscopio) o la fotografia ospedaliera (per
riprendere interventi chirurgici). In tutt‟altro campo opera
invece la Rectaflex silenziosa. Nasce da un‟idea di Patellani
ed è pensata per i safari fotografici: viene eliminato il
rumoroso rimbalzo dello specchio, che avrebbe messo in
fuga le fiere africane, e il corpo macchina è nichelato in nero
opaco, per non riflettere la luce del sole. La prestigiosa
rivista naturalistica Life ne acquista diversi esemplari.
Intanto, dalla fabbrica di Monte delle capre
cominciano finalmente ad uscire le prime macchine rectaflex
a telemetro, pattuite un anno prima con il distributore
312
americano Robert Brockway. Ne escono in realtà due diversi
modelli, chiamati Recta e la Director-35.
La Recta nasce sul corpo della Rectaflex Standard 30.000,
su cui viene montato un grosso mirino con un telemetro
speciale con il sistema di messa a fuoco a doppia finestra
brevettato da Corsi nel 1951. Diversa è invece la storia della
Director-35, che è in realta una nuova e diversa macchina.
Monta anch‟essa un telemetro con messa a fuoco su doppia
finestra, ma le analogie finiscono qui. Funziona con una
doppia tendina metallica rigida (non autoavvolgente), il
ritardatore dei tempi èspostato, il caricamento della pellicola
è frontale. Altre modifiche sono nella leva di carica curva, e
una diversa collocazione del bottone dei tempi veloci.
Nel luglio del 1954 intanto, sulla scia delle
esplorazioni scientifiche condotte l‟anno precedente dai
Piccard sul batiscafo trieste, gli alpinisti Achille Compagnoni
e Lino Lacedelli commissionano alla Rectaflex due macchine,
da portare con sé nella conquista del monte K2. Il capo del
Montaggio, Roberto Germani, prepara due apparecchi in
grado di affrontare le rigide temperature himalayane. Una
modifica su tutte: l‟olio di ingrassaggio sostituito con la
polvere di grafite. Pare tuttavia, che le macchine, spedite per
treno, non siano mai arrivate a destinazione, e che
Compagnoni e Lacedelli, per le foto, abbiano usato una
vecchia macchina a soffietto della Zeiss, la sola che siano
stati in grado di reperire in uno sperduto emporio
himalayano.
E questi sono davvero gli ultimi fuochi. La riserva di
313
componenti giacente in magazzino termina nei primi giorni
del 1955. Il capomontaggio Germani si dà da fare in tutte le
maniere per montare i pezzi residui fino ad assemblarne
qualcosa, ma non è proprio più possibile montare alcuna
macchina. Le fonti aneddotiche riportano che a questo punto
vengono mandati a casa anche gli operai del Montaggio e i
capireparto.
I più meritevoli trovano con facilità impiego in altre
aziende del gruppo: Alfredo Ferrari finisce alla Ecom; il
meccanico Remo Nannini va ad occuparsi della riparazione
delle macchine in garanzia al Servizio Dopo vendita.
L‟ingegner Cimino trova con facilità un posto alla Vasca
navale.
Altri si mettono in proprio. Gli ingegneri Franco
Sigismondi e Giorgio Marini, fondano la Staer, e assumono il
tecnico Angelo Antonelli. Emilio Palamidessi, Manlio Valenzi
e Roberto Germani aprono un‟officina di riparazioni di
apparecchi fotografici in via Cavour.
Altri infine, si impiegano alla concorrenza, per non
disperdere il patrimonio di saperi maturati al Monte delle
capre. Alcuni finiscono in Gamma, altri in Closter. Infine
altri, tornano a fare i meccanici, in officine generiche.
Lo stabilimento di Monte delle Capre, vuoto di operai
e di componenti, non viene più a questo punto vigilato. Le
fonti aneddotiche riportano che in fabbrica regna il
disordine, e che quanlunque operaio abbia avuto a sentirsi
indignato per l‟avvenuto, si sia sentito moralmente
legittimato a portarsi via un pezzo della fabbrica, a titolo di
314
risarcimento morale.
Interviene la Proprietà, che dà ordine di vendere nella
maniera più rapida possibile anche i pezzi non assemblati.
Un aneddoto da più parti confermato racconta che Corsi si
sia a questo punto fatto avanti per acquistare tutto in
blocco, edificio e attrezzature produttive comprese, con
l‟intenzione di riprendere la produzione e iniziare da capo
una nuova avventura. La Direzione ben conosce il genio
creativo di Corsi, e sa che Corsi, con l‟aiuto della fortuna,
avrebbe persino potuto farcela. Soprattutto, la Direzione sa
che la crisi Rectaflex non è derivata da una crisi del
prodotto, che può ormai definirsi perfetto, ma da strategie
commerciali errate. La Direzione gli chiede una somma
spropositata, che si dice sia stata di 50.000.000 di lire.
Eppure Corsi è pronto a pagarla. Si rivolge alle banche e
cerca finanziatori: non ne trova alcuno.
Alla fine la spunta ancora una volta Léon Baume, che
si fa consegnare le rimanenze, dietro la promessa di trovare
un compratore per rimanenze, macchinari e mura della
fabbrica. Da questo momento in poi Baume esce di fatto di
scena, e diventa importatore in Italia della casa giapponese
Konika.
Un aneddoto vuole che alla fine Baume un
compratore per le rimanenze l‟abbia trovato: Giorgio Cacchi
della casa del fotocineamatore, insieme al ragazzo di bottega
Tonino Arienzo e alcuni amici fedelissimi di Corsi, che a
bordo delle loro automobili hanno dato vita ad un mesto
convoglio di auto cariche di materiali obsoleti, qualche
315
montatura di ottiche, alcuni accessori e ben 200 torrette
Rotor inutilizzabili. Cacchi continuò a lungo ad esporre nel
suo negozio alcuni cimeli della Rectaflex, tra cui il pannello
della Rectaflex Gold con quasi tutti i pezzi della macchina
scomposta, ovviamente senza le parti in oro. A quanto
risulta, l‟ultima rectaflex disponibile sul mercato fu venduta
da Cacchi nel 1960, ad un turista accorso a Roma in
occasione dei Giochi Olimpici.
Oltre le Alpi, il colpo di coda
Finita la produzione, negli uffici della Cisa Viscosa di
Rectaflex si continua ancora ad occuparsi. Perché i muri
della fabbrica non sono stati ancora venduti. Viene costituita
una nuova società, la Rectaflex International, di cui Léon
Baume è azionista. L‟obiettivo non è riprendere la
produzione, ma dare l‟idea ad un potenziale compratore
disposto ad investire tempo e mezzi che riprendere la
produzione è possibile. Proprio per questo vengono
acquistati degli spazi pubblicitari nelle riviste di settore. Alla
Fiera Campionaria di Milano del 1955 la nuova società non
ha uno stand, ma ci sono, si dice, diversi procuratori pronti
a vedere ciò che resta al miglior offerente. Il listino prezzi di
quel periodo mostra ancora la 25.000 vecchio modello, a
prezzi invariati. Corsi, nel Laboratorio Sperimentale, prepara
intanto un nuovo modello: la 40.000, che sul corpo della
30.000 monta un nuovo prisma più luminoso, uno specchio
più grande, insomma tutto in formato maxi. Vengono
316
realizzati i primi prototipi.
Quand‟ecco che all‟improvviso, siamo alla fine del
1955, il pontenziale compratore sbuca fuori, e viene da
lontano. La Rectaflex annovera, tra i fornitori internazionali,
la Kamerabau Anstalt, con sede a Vaduz nel Principato del
Liechtenstein, di proprietà del principe Francesco Giuseppe
II (1906-1989). Baume ha inviato nel piccolo principato ai
margini della Svizzera tedesca alcune 30.000, assicurando
che si può produrre con sole 8 ore di lavoro.
Il Principe invia a Roma il suo uomo di fiducia,
l‟ingegner Adolf Gasser, per valutare l‟affare. Gasser è un
uomo onesto, e dotato di grande esperienza. Proprio per
questo la visita negli stabilimenti di Monte delle Capre si
dimostra assai deludente e il tecnico, di ritorno in
Liechtenstein sconsiglia al Principe l‟acquisto dell‟intera
fabbrica, limitandosi ai brevetti.
Eppure l‟accordo va in porto, negli ultimi mesi del
1956, e vede la partnership tra Cisa, Snia e la Contina AG,
altra fabbrica di proprietà del Principe che produce
calcolatrici tascabili e cineprese da 8 mm. Viene quindi
creata una nuova società, la Établissements Rectaflex
International Vaduz, della quale è azionista Léon Baume. La
produzione si svolgerà nella fabbrica Contina, nella cittadina
di Mauren. L‟ingegner Gasser è a capo della progettazione,
che prende il nome di 18.400, e della produzione. Il direttore
di fabbrica è il signor Frick, mentre il Reparto Montaggio è
affidato al signor Postner.
Da subito Gasser e Postner si mettono le mani nei
317
capelli. Lamentano la mancanza di documentazione tecnica,
e in particolare pare che manchi persino l‟elenco dei
componenti. Di ogni pezzo poi, esistono più versioni, senza
sapere che pesci prendere. I due ingegneri decidono di
richiamare in servizio, da Roma, Alfredo Ferrari, assunto
ufficialmente nel settembre 1957. Poco dopo viene
richiamato in servizio anche il meccanico Antonio Fasciani,
con l‟incarico di formare il personale del reparto Montaggio.
Gli ingegneri transalpini decidono di revisionare,
pezzo per pezzo, tutta la componentistica, fresando i pezzi
obsoleti, o scartandoli se necessario. E c‟è un nuovo
problema: la Contina, che non è in grado di produrre da sé
tutti i componenti, deve ricorrere a fornitori esterni, facendo
lievitare i costi. Alla fine del 1957 la linea di montaggio per la
produzione in serie risulta ancora lontanissima. Sorgono
degli attriti, e si evidenziano limpidamente le differenze di
mentalità tra italiani e transalpini: geniali risolutori di
imprevisti i primi; tecnici precisi che perdono le staffe ogni
volta che un pezzo va fuori tolleranza i secondi.
Considerando che i pezzi fuori tolleranza non sono
l‟eccezione, ma la regola, alla Contina sono tutti seriamente
preoccupati. Fasciani propone una soluzione d‟emergenza:
riportare la produzione a Roma raccattando le vecchie
maestranze del Trullo. La proposta viene respinta con
sdegno.
I transalpini, giunti ormai alla disperazione, contro il
parere dei soci italiani, richiamano in servizio, da Roma,
Telemaco Corsi. Corsi, racconta la memoria popolare, pare
318
che abbia detto sì all‟istante, mettendo da parte tutte le
amarezze. Porta con sé il veterano Roberto Germani, già
responsabile del Servizio Dopovendita. Il miracolo riesce: le
prime macchine made in Liechtenstein vengono montate. E
funzionano. Pare anche che Corsi si sia subito ben inteso
con le maestranze transalpine, nonostante le barriere
linguistiche, ben felice di respirare aria di fabbrica a pieni
polmoni.
Le macchine modello 40.000 arrivano alla produzione
in preserie. C‟è il comando automatico della preselezione del
diaframma, e viene montato un nuovo obiettivo. I primi
collaudi danno però una serie di inconvenienti, soprattutto
nella velocità dei tempi. Corsi chiede che vengano sostituiti i
comandi delle tendine con nuovi comandi, migliorati. Baume
si oppone, il Principe del Liechtenstein non sa come
schierarsi. L‟ingegner Gasser studia la questione, e individua
che il problema può essere risolto modificando i corpi di
alluminio di futura fabbricazione. Alla fine, siamo all‟inizio
del 1958, la Rectaflex transalpina pare giunta a livelli
qualitativi soddisfacenti. Viene approvato il piano di
produzione. Dopo continui adattamenti e suggerimenti,
all‟inizio del 1958 le prime macchine cominciano a
funzionare a dovere e sembra che si sia pronti ad iniziare la
produzione in serie. Il piano di produzione prevede la
realizzazione di 45 macchine al giorno.
L‟ingegner Gasser chiede l‟assunzione di nuove
maestranze; gli azionisti frenano, fra un rinvio e l‟altro. Corsi
intanto perfeziona ancora la macchina, e chiede al Principe
319
di installare sulla 40.000 l‟esposimetro al selenio incorporato
nel prisma. Nella silenziosa fabbrica Contina, si trasferisce
in breve tutto il caos di una produzione italiana. Il tempo
passa, i costi fissi scorrono, e della produzione in serie non
c‟è neanche l‟ombra. Fra gli azionisti, nel 1959, si fa strada
l‟idea di essere fuori tempo massimo, anche perché il
mercato di quegli anni vede affermarsi macchine giapponesi
con tecnologie diversi, costi inferiori, in grado di offrire al
fotoamatore scatti ugualmente belli.
A questo punto le informazioni si fanno imprecise. La
produzione va avanti, tra arresti e ripartenze, ma nessuno
crede seriamente in un successo. Pare che alla fine di
macchine Rectaflex 40.000 ne siano stati prodotti 2500
esemplari. Pare anche che per la disperazione siano stati
gettati tutti nel fiume Reno, per far capire al Principe che nel
Principato transalpino non era possibile produrre all‟italiana.
Fatto sta che la storia si trascina ancora per cinque anni,
finché la società viene rilevata dalla Hilti, interessata
probabilmente ad impedire che i brevetti fossero acquistati
da società concorrenti, piuttosto che proseguire la
produzione.
Descrizione architettonica
Viene formalmente costituita la Rectaflex Srl, e
nell‟autunno 1948 viene posata la prima pietra. Il progetto
consta di una palazzina di 4 piani, nel classico stile
320
architettonico post-fascista. La fabbrica è strutturata in
modo molto pratico, alla maniera di Walter Gropius, con
larghe scale d‟accesso ai piani, ampi locali open-space che
prendono luce da grandi finestre rivolte ad est. I servizi e la
mensa sono anch‟essi completamente nuovi e modernissimi.
Alcuni reparti meno importanti o forse meno puliti, come la
Galvanica, la Verniciatura e il Magazzino, vengono alloggiati
nelle costruzioni adiacenti. Gli uffici e gli ambienti destinati
ai disegnatori tecnici rimangono invece nella palazzina
centrale Sara. Si passa quindi a commissionare i torni, le
fresatrici, le presse, i pantografi, e le altre attrezzature
maccaniche.
Lo stabilimento romano di via Monte delle Capre è
diventato, negli anni a seguire, un istituto tecnico di
prim‟ordine, denominato Marconi. Gli abitanti del Trullo
assistevano con sempre viva soddisfazione alla discesa a
frotte di ragazzi del centrocittà, che raggiungono la periferia
per studiare presso questa eccellenza scolastica. Dopo la
chiusura e un periodo di abbandono, l‟edificio ospita oggi il
centro socio-culturale e la biblioteca del quartiere.
321
Rete ferroviaria portuense
Rete Ferrovia Portuense è il nome convenzionale che
diamo all‟insieme di tratte, diramazioni, ponti, fermate e
stazioni che insistono o attraversano il territorio municipale.
Il grosso delle opere è costruito tra il 1855 e il 1878,
ed assume, per le suggestioni legate alla fine del
temporalismo, i contorni di un‟epopea risorgimentale. Le
tratte e diramazioni sono: la costiera nord Roma-
Civitavecchia (1859), la diramazione di Ponte dell‟Industria
(1863), la diramazione di Fiumicino (1878), le diramazioni
del Porto fluviale (1911-1954), il passante di Maccarese
(1990). Le stazioni oggi esistenti sono: Trastevere, Villa
Bonelli, Magliana, Muratella, Ponte Galeria, Fiera di Roma.
Su di esse transitano la Linea interregionale Tirrenica e tre
linee del trasporto regionale.
Il Diavolo viaggia in treno
322
La prima ferrovia italiana è nel Regno delle Due
Sicilie. Dopo la Napoli-Portici (1839) Re Ferdinando II collega
la capitale partenopea con Capua, Castellammare, Caserta, e
forma una piccola ma moderna rete ferroviaria. Di lì a breve
anche il Lombardo-Veneto, la Toscana e il Piemonte seguono
l‟esempio, dotandosi di piccole ed efficienti reti. E si comincia
così a pensare ad una rete di reti, una rete ferroviaria
italiana che anticipi nel nome del progresso quell‟unità
nazionale che ancora manca.
Ma negli Stati della Chiesa, però, l‟allora pontefice
Gregorio XVI di questo argomento non vuol proprio sentir
parlare, e il mezzo di trasporto allora più in voga è ancora il
dorso di somaro. Il papa conservatore considera le ferrovie
delle «manifestazioni del Demonio», comprovato dal fatto che
le locomotive emettono luciferini sbuffi di vapore. Nel 1846
affida al suo computista generale, il cavalier Angelo Galli, il
compito di rispondere ad uno sparuto gruppo di intellettuali
pro-ferrovia a Roma, con un documento intitolato Lista di
cinque obiezioni. La Ferrovia, vi si legge: I. accresce la
povertà; II. danneggia i commercianti; III. compromette la
sicurezza degli Stati; IV. compromette la sicurezza interna;
V. facilita il contrabbando.
Una qual certa ragione il cavalier Galli ce l‟ha - basti
pensare che le truppe di Nino Bixio e quelle del generale
Cadorna a Roma ci arriveranno intreno! -, e oltretutto gli
Stati della Chiesa non producono né ferro né carbone, che
sono le materie prime, rispettivamente, per costruire le
323
strade ferrate e per alimentare i treni. Ma il progresso è fatto
del dialogo tra cinque obiezioni e mille speranze, e nella Corte
papale sono in molti a vedere, in caute aperture alla
modernità, uno strumento per rinsaldare il consenso tra i
ceti borghesi, in un decennio che per il potere temporale
della Chiesa si preannuncia turbolento, e potrebbe anche
essere l‟ultimo. Su questa linea pare sia segretamente
schierato anche il cavalier Galli, ma Papa Gregorio tiene la
Corte saldamente in pugno.
Bisogna aspettare il suo successore, Giovanni Maria
Mastai Ferretti, salito al Soglio pontificio il 16 giugno 1846
con il nome di Pio IX, perché a Roma si torni a parlare di
treni. Il lungo pontificato di Pio IX sarà del resto
caratterizzato da profonde riforme nelle istituzioni sociali,
delle quali l‟epopea ferroviaria romana è, a suo modo,
l‟emblema.
Pio IX, il papa ferroviere
Uno dei primi atti di governo nuovo pontefice, datato
7 novembre 1846, è la Notificazione per la costruzione di tre
grandi linee, a firma del nuovo segretario di Stato, cardinal
Gizzi. La Notificazione è un manifesto politico pro-ferrovia, in
cui si annuncia non l‟apertura di questo o quel cantiere, ma
la progettazione organica di un‟intera rete ferroviaria, basata
su tre grandi linee: la Centrale nel Lazio; la Meridionale per
Napoli; la Settentrionale per Bologna.
324
La Linea Pio Centrale ha il suo cardine su Roma, e
collega in tre tratte l‟Urbe con i suoi tre porti commerciali: la
tratta costiera nord raggiunge Civitavecchia; la costiera sud
raggiunge Anzio; infine la tratta interna, che si preannuncia
come la più impegnativa, scavalca gli Appennini e si attesta
sull‟Adriatico, ad Ancona.
La linea meridionale, chiamata Linea Pio Latina, è
diretta a sud: la prima tratta collega Roma con Frascati; la
seconda procede fino all‟allaccio con la ferrovia borbonica. La
linea settentrionale, chiamata Linea Pio Emilia, è diretta a
nord, e fa cardine su Bologna: la prima tratta procede si
allaccia ad Ancona alla Linea centrale e procede verso
Bologna; la seconda da Bologna arriva alla dogana sul Fiume
Po, e di lì si allaccia alla rete lombardo-veneta.
Pio IX ragiona anche su una quarta linea, diretta a
Firenze attraversando le cittadine umbre. Succede che i
negoziatori romani e quelli toscani si incontrano, ma non
trovano l‟accordo: il tratto appenninico si presenta assai
oneroso. La stampa internazionale comunque, e soprattutto
quella francese, non manca di entusiasmarsi per le direttive
illuminate e amiche del progresso del Papa ferroviere.
L‟anno in cui i progetti diventano cantieri è il 1855. La
prima tratta a vedere la luce è la Porta Maggiore-Frascati
sulla Linea Latina, realizzata dalla Società York, e
inaugurata il 7 luglio 1856. La stampa sarà sempre presente
ad ogni inaugurazione, e così il cronista Carlo Mascherpa
racconta la giornata memorabile: «Monsignor Palermo
vescovo di Porfirio, nella stazione temporanea di Porta
325
Maggiore, che è la prima che sìasi eretta in Roma, in mezzo al
raccoglimento di grande moltitudine di astanti, recitate le
apposite preci, asperse con l’acqua santa la strada, e
benedisse quindi fra le salmodìe dei Cantori le Locomotive
messe a festa […]. Alle due e mezzo, datosi il segnale della
partenza, il convoglio lasciava la stazione fra gli applausi di
una gran folla di popolo […]. Ed in poco più di 30 minuti
percorreva il tratto da Roma a Frascati, ove l’intero municipio
tuscolano […] ne salutava con giubilo l’auspicato arrivo». Così
conclude il cronista: «Le fabbriche già costrutte e l’apertura di
sempre nuove officine sono frutto della benefica concessione
del sempre provvido Pontefice».
Ma l‟obiettivo della Pio Latina è ben oltre Frascati, è
Napoli. Il Regno Borbonico è infatti il principale partner
commerciale degli Stati della Chiesa, da cui giongono ogni
giorno derrate, prodotti manufatturieri e industriali. Dopo
Frascati il cantiere non si ferma: raggiungerà Velletri (29
dicembre 1862), attraverserà la Ciociaria, e infine farà
capolinea alla Dogana di Ceprano, dove c‟è l‟allacciamento
con la rete ferroviaria borbonica.
Intanto, siamo sempre nel 1855, in contemporanea
col cantiere per Frascati si aprono altri due cantieri, sulle
tratte della linea settentrionale: Bologna-Ferrara, e Ancona-
Bologna. Nel complesso gli appalti ferroviari sono
caratterizzati da una certa spregiudicatezza: le imprese
costruttrici non sono molte, e il Governo romano, allettato
dall‟idea di finire in fretta, chiude un occhio sulle numerose
commistioni di interessi fra le imprese. Succede spesso che
326
gli appalti, affidati di tratta in tratta a ditte diverse, vengano
poi subappaltati dalla vincitrice alle altre imprese escluse.
Tra tutte le imprese, però, la parte del leone la fa la
Casalvaldès, che cambierà in seguito nome in Société
Générale des Chemins de Fer Romains, e che tutti a Roma
chiamano La Pio Centrale, dal nome della linea di cui è
aggiudicataria.
Nella tratta interna della linea centrale Roma-Ancona,
però, il meccanismo dei subappalti si inceppa, e c‟è un
fallimento famoso, quello dell‟impresa subappaltatrice York,
e non è ben chiaro chi debba farsi carico delle maggiori
spese. Sulla percorrenza Roma-Foligno - dove è necessario
superare le asprezze dell‟Appennino - si è sempre sul punto
di dichiarare la resa. Ma Pio IX non molla: chiude un occhio
e spesso tutti e due, e obbliga le imprese ad avanzare a colpi
di viadotti e gallerie. Una dopo l‟altra vedono la luce opere di
ingegneria arditissime: i tunnel della Balduina, del Fossato,
della Gola della Rossa; due ponti sul Tevere; un ponte
sull‟Esino; un numero infinito di grandi viadotti. La linea si
completerà solo dieci anni dopo, il 29 aprile 1866. Pio IX non
avrà però la gioia di arrivare in treno sull‟Adriatico: già dal
1860 infatti Ancona è una città italiana.
La costiera nord Roma-Civitavecchia
L‟anno dopo, siamo nel 1856, iniziano i lavori della
tratta costiera nord della Linea Pio Centrale, la Roma-
327
Civitavecchia. L‟appalto, vinto dalla Casavaldès, prevede in
favore dei costruttori anche il diritto di esercizio per 99 anni.
Legato al contratto c‟è un aneddoto curioso. Pio IX ha
fretta di concludere i lavori, e richiede tassativamente che
l‟approdo marittimo di Civitavecchia sia congiunto alla
nuova stazione romana di Porta Portese entro tre anni. Viste
le difficoltà incontrate nella tratta appenninica, il pontefice
non crede che la casa ferroviaria francese riuscirà a
compiere l‟impresa nel termine fissato, e si spinge ad inserire
nel contratto una clausola-scommessa che prevede un
premio esorbitante - ben un milione di lire! - in caso di
successo dell‟impresa.
La Casalvaldès adotta un diverso metodo di lavoro:
anziché cantiere dopo cantiere, andando da Roma verso
Civitavecchia, apre in contemporanea 27 cantieri su tutti i
73 km di percorrenza (all‟incirca uno ogni 2/3 km). Nella
fabbrica lavorano 800 manovali, reclutati in maggioranza
dall‟Abruzzo. Il lavoro è continuo, su turni di notte e di
giorno. Dal punto di vista tecnico viene realizzata una linea a
binario unico, ma la linea è predisposta per la costruzione di
un secondo binario, da realizzarsi in seguito.
Il viaggio di collaudo avviene il 25 marzo 1859,
mentre l‟apertura al traffico avviene il successivo 16 aprile.
La Casalvaldès, dunque, ha vinto la scommessa. E
non si conosce lo stato d‟animo del pontefice: amareggiato
per aver il premio aggiuntivo che deve corrispondere ai
costruttori, o segretamente compiaciuto perché il successo
della Casalvaldès è insieme un suo successo e un successo
328
della Chiesa al passo coi tempi. Scrive Venditti: «Tutti si
sentono orgogliosi per una così grande realizzazione, ma nel
contempo anche sbalorditi e quasi impauriti nel constatare la
potenza di quella macchina infernale, che riesce a trainare a
quella velocità tre enormi vagoni, e per di più carichi di gente».
Oltre la Magliana, il mare
Non essendo ancora del tutto rifinita la Stazione di
Porta Portese, la cerimonia di inaugurazione avviene vicino
alla stazioncina della Magliana. Racconta lo studioso locale
Emilio Venditti: «Pio IX invia un suo delegato a portare un
messaggio di congratulazione per questo nuovissimo e
rivoluzionario impianto. La cerimonia solenne della
benedizione della ferrovia è impartita dal rappresentante
papale, proprio lungo il tratto di strada ferrata che attraversa
la Magliana, alla presenza di una grande moltitudine di
romani. I cronisti descrivono il compiacimento delle autorità
capitoline e di tutta la popolazione per tale grande opera, che
permette di raggiungere comodamente Civitavecchia in due
ore e mezzo soltanto».
È soprattutto un successo della borghesia romana,
che è lo sponsor morale dell‟impresa ferroviaria. «I primi
passeggeri - riporta Venditti - sono le autorità cittadine: gli
uomini in scoppettoni e le donne in crinolina, precisa il
cronista dell’epoca, per sottolineare il rango e l’eleganza di
quei primi fortunati viaggiatori».
329
Nel popolino invece, si fa strada l‟idea di un altrove
rispetto alla Magliana, legato alla città che precede e al mare
che segue. Si viene così a costruire, con la ferrovia, una
geografia del cuore negli abitanti della contrada, che può
riassumersi in questo detto: «Cosa c’è oltre Roma?
Trastevere. Cosa c’è oltre Trastevere? La Magliana. E cosa c’è
oltre la Magliana? Il mare». Il mezzo per uscire da sé è una
corsa in treno, a folle velocità. Scrive Venditti: «Uno dei
desideri più vivi del popolino in quel periodo è quello di poter
salire sul treno, e fare un viaggetto fino al mare di
Civitavecchia a folle andatura sulla strada ferrata».
Ma «la doccia fredda - continua - i romani l’ebbero
quando vennero a sapere che il biglietto per Civitavecchia
costava 9 lire e 60 centesimi in prima classe, e 6 lire in
seconda classe. E che inoltre, per prendere il treno, occorreva
l’autorizzazione dell’Offizio Passaporti, mentre, se si rimaneva
fuori la notte, occorreva fare anche una suppletiva
dichiarazione giustificativa. In altre parole, recarsi a
Civitavecchia equivaleva quasi ad andare all’estero. Erano i
tempi in cui a Roma al tramonto venivano chiuse le porte di
ingresso alla Città, e chi faceva tardi la sera doveva aspettare
il giorno seguente per rientrare. Questa, sembra incredibile, è
storia di appena cento anni fa».
Ai nostri concittadini di un secolo fa non rimaneva
quindi che godersi il sogno di un viaggio solamente
immaginato, attendendo su un prato il transito del treno: «È
curioso ricordare - scrive Venditti - come i romani del secolo
scorso, per assistere al passaggio di una locomotiva con tre
330
carrozze, facevano a piedi chilometri di strada, si
accampavano per tempo sul prato con moglie e ragazzini, e
aspettavano ansiosi di godersi lo straordinario spettacolo del
ciuff-ciuff del treno, consumando felici la merenda fatta di
pane, cicoria e caciotta, accompagnata dall’immancabile
fiaschetto di vino bianco. Era un’altra epoca. Lo stress non si
conosceva ancora».
La diramazione di Ponte dell’Industria
Con l‟apertura delle corse regolari per Civitavecchia
l‟impresa ferroviaria non è terminata, anzi è solo al suo
esordio.
La costiera nord è infatti la prima delle tre tratte che
compongono l‟ambizioso progetto di Pio IX di una Linea
Centrale a servizio della Capitale pontificia. Mentre i primi
treni raggiungono Civitavecchia, ci sono infatti in piedi altri
due alacri cantieri, per l‟apertura di altrettante nuove tratte:
la costiera sud fra Roma e Anzio, e la lunga e impegnativa
tratta interna per collegare Roma con Ancona. Proprio la
realizzazione di quest‟ultima tratta, per le mille difficoltà,
assumerà i contorni di un‟epopea - tra arditissimi viadotti
appenninici arditissimi e improvvisi tumulti garibaldini - e
non sarà completata che nel 1866, quando Ancona è già una
città piemontese.
In quel periodo i computisti di Pio IX fanno presente
al pontefice l‟esistenza di un serio problema, di carattere
331
ferroviario e militare insieme. Si era deciso infatti di non fare
entrare le ferrovie direttamente in città, attestandole fuori
dalle mura, nel timore che il treno avrebbe potuto portare
con sé, fin dentro l‟abitato, anche ciurme di invasori
travestiti da viaggiatori. Ma avere i capolinea delle tratte
fuori porta, insieme al vantaggio difensivo, porta l‟indubbio
handicap che le tre tratte della Linea Pio Centrale sono
scollegate fra di loro.
Non si sa bene di chi sia stata l‟idea, fatto sta che si
fa largo in quel periodo l‟idea di un Anello ferroviario, che,
girando intorno alla città senza entrarvi, intercetti i
capolinea delle tre tratte, raccordandole finalmente in
un‟unica linea.
Si aprono i cantieri e il primo tratto dell‟Anello vede la
luce nel 1863, ed ha la forma tecnica di una diramazione. La
diramazione si innesta sulla costiera nord per Civitavecchia
poco prima del capolinea di Porta Portese, dove oggi c‟è
piazza Ampère. La diramazione attraversa piazzale della
Radio e poi prosegue su via Pacinotti, superando il fiume
Tevere sul nuovo e avvenieristico Ponte dell‟Industria,
costruito per l‟occasione, in tempi record e interamente con
componenti prefabbricate in ferro e ghisa.
Nel punto di bivio tra la tratta principale e la
diramazione viene realizzata una stazioncina di
smistamento, chiamata Roma San Paolo.
La Dorsale Tirrenica
332
Tra il 1864 e il 1867 la linea per Civitavecchia è
prolungata fino a Orbetello, dove si innesta con le ferrovie
toscane.
Nel 1867, quando ormai l‟Italia è quasi fatta, e il
Papato è accerchiato dentro i confini del Lazio, la rete
ferroviaria di Pio IX può dirsi praticamente completa, e
rimane solo da realizzare la linea per Firenze, al cui
completamento peraltro non manca molto.
A Roma entra in servizio la Stazione Termini, che è il
grande capolinea di tutte le linee ferroviarie di Pio IX.
Arrivano a Termini treni non solo quelli provenienti da
Frascati, ma anche quelli provenienti da Orbetello (in
Toscana), da Ceccano (in Ciociaria), da Orte (Alto Lazio),
dove si incontrano le linee toscane e quelle provenienti da
Ancona.
La linea costiera nord di Pio IX viene in seguito
prolungata fino a Pisa ed è oggi chiamata Ferrovia Tirrenica,
o, tra gli addetti ai lavori, Dorsale Tirrenica, poiché
rappresenta una delle principali direttrici della Rete
Ferroviaria Italiana. Misura 312 km e termina a Livorno,
dopo aver attraversato la costa nord del Lazio e l‟intera costa
toscana.
È gestita da RFI, è a doppio binario.
La diramazione di Fiumicino
333
La diramazione Ponte Galeria - Fiumicino è una breve
tratta ferroviaria, che congiunge lo snodo sulla Via Portuense
con il mare (il porto), l‟aeroporto e l‟abitato di Fiumicino.
La sua storia, breve ma ricca di avvenimenti, è
strettamente legata alla storia della tratta costiera-nord della
Linea Pio Centrale, tra Roma e Civitavecchia.
Fin dall‟apertura al pubblico, il 16 aprile 1859, viene
notato che è possibile realizzare una diramazione che
raggiunga la foce del Tevere, lunga appena una decina di
chilometri. Il costo di costruzione si presenta davvero
contenuto: si tratta infatti di una piana alluvionale in cui
non ci sono ostacoli naturali (è possibile realizzare una linea
completamente in rettilineo, con appena una leggera
pendenza del 5‰ sulla percorrenza finale, vicino al mare).
Per giunta la proprietà dei terreni è in gran parte pubblica.
Si apre il cantiere, e la nuova tratta viene aperta al
pubblico il 6 maggio 1878.
La percorrenza complessiva è di 10,4 km. La
diramazione è a binario unico (il raddoppio arriverà solo nel
1961).
La diramazione inizia alle spalle della Stazione di
Ponte Galeria e l‟arrivo è nella città di Fiumicino. Qui viene
edificata una stazione.
C‟è una sola fermata intermedia, presso l‟antico
abitato di Porto, in aperta campagna (nel 1961 sarà
trasformata in stazione).
334
La linea è dotata anche di un breve collegamento di
0,7 km tra la città di Fiumicino e il Portocanale, lungo le
banchine commerciali alla foce del Tevere, sul ramo
artificiale di Isola Sacra.
Lo studioso di storia ferroviaria Omar Cugini ha
rinvenuto il primo orario di servizio della Linea Roma-
Fiumicino (che utilizza la diramazione di Ponte Galeria). La
linea è servita da due coppie di treni giornaliere, in partenza
alle 7,05 e alle 17,05 da Roma Termini, e alle 9,50 e alle
18,45 da Fiumicino. Il tempo di percorrenza è di 34 minuti.
Nel corso degli anni il traffico commerciale tra il
Portocanale e Roma si rivela comodo e fiorente, al punto che
lo scalo merci si rivela insufficiente. Sotto il fascismo, nel
1927, lo scalo merci viene trasformato in stazione e prende il
nome di Fiumicino Portocanale.
Il 14 novembre 1938 la linea viene completamente
elettrificata. Scrive Omar Cugini: «Sono gli anni di massimo
splendore, sia per il traffico passeggeri che per quello merci:
infatti oltre al Portocanale è presente tutta una serie di
raccordi per collegare le allora numerose industrie presenti
nella zona».
Gli interventi per il nuovo aeroporto
Le devastazioni della guerra interessano solo
marginalmente la linea, che nel Dopoguerra torna subito in
servizio. C‟è un calo del traffico merci, dovuto al fatto che
335
comincia ad essere più conveniente trasportare su gomma,
anziché su rotaia. Ma al Portocanale è ancora possibile
assistere ad un discreto movimento, e alle manovre degli
automotori del Gruppo 211 tra le rotaie della stazione
fluviale.
La linea, essendo strutturata in un lungo rettifilo, è
una delle prime a passare al servizio navetta: i treni
reversibili E 626 a telecomando parziale possono correre in
entrambe le direzioni senza dover fare ad ogni capolinea le
complesse operazioni di inversione della motrice su binari di
servizio. E la linea ne risulta ora comoda e veloce.
L‟apertura, sul finire degli Anni Cinquanta, del nuovo
Aeroporto internazionale Leonardi Da Vinci, è l‟inizio per la
Linea Roma-Fiumicino di una seconda vita. Nel 1961 si
decidono tre interventi: il raddoppio del binario su tutta la
linea; il potenziamento della fermata di Porto e la
trasformazione in stazione, per servire il nuovo Aeroscalo
internazionale; il miglioramento del percorso, costruendo un
raccordo all‟altezza della fermata di Porto.
Il primo intervento viene realizzato agevolmente: la
linea si dota del secondo binario, rendendo possibile il
simultaneo passaggio di due treni, e quindi il raddoppio del
traffico passeggeri. Sulla linea transitano ora le moderne
vetture ALe801/940.
Anche il secondo intervento riesce, e la fermata di
Porto diventa una moderna stazione con ben 4 binari. Ma i
risultati in termini di aumento del traffico passeggeri non
sono quelli sperati. Scrive Omar Cugini: «Nelle intenzioni
336
delle FS questa stazione avrebbe dovuto servire i passeggeri
diretti all’Aeroporto. In realtà non servì praticamente a
nessuno, essendo posta a circa 3 km dagli ingressi
aeroportuali. La gente, invece di servirsi del servizio
ferroviario, affidato ormai alle ALe801/940, preferì continuare
a servirsi degli autoservizi in partenza dal primo Air Terminal
di via Giolitti, vicino la Stazione Termini».
La costruzione dell‟aeroporto non incide insomma
sulla vita tranquilla della linea per Fiumicino: linea merci e
passeggeri insieme. Così il terzo intervento, «il raccordo,
nonostante si mostrasse privo di particolari problemi di
realizzazione, essendo la zona ancora in aperta campagna,
non viene mai realizzato».
Negli anni Settanta il traffico merci cala, fino quasi a
scomparire, perché ormai si trasporta tutto su autostrada:
scompaiono molte industrie della zona e la Stazione
Portocanale perde di importanza fino a tornare fermata e
diventare il set decadente e sinistro di molti film di
terz‟ordine. La linea però ha ancora un discreto successo
come linea balneare: tanto traffico passeggeri nella stagione
estiva, e un traffico passeggeri limitato ai soli pendolari di
Fiumicino, una cittadina con meno di cinquantamila
abitanti. Mantenere impiedi la linea per l‟Aeroporto è una
questione di immagine, ma nel frattempo anche le FS
declassano la stazione dell‟Aeroporto a semplice fermata.
I dirigenti delle Ferrovie studiano varie ipotesi di
rilancio, e tornano a lavorare al progetto di un raccordo per
superare i 3 km che separano la ferrovia dall‟Aeroporto.
337
Intanto il traffico merci cala ancora, tanto che nel settembre
1989 la fermata di Portocanale viene definitivamente chiusa.
Il passante di Maccarese
In occasione dei Mondiali di calcio, che si tengono nel
1990 in Italia, tutta la rete ferroviaria romana è soggetta ad
un ammodernamento e ad un ripensamento delle
percorrenze. Si fa strada l‟idea di separare la Dorsale
Tirrenica dai collegamenti per l‟Aeroporto, costruendo un
passante, a nord della tratta esistente su cui deviare la
Dorsale.
L‟opera viene aperta al traffico ferroviario il 25 maggio
1990 e prende il nome di Passante Trastevere-Maccarese. Si
tratta di un piccolo raccordo ferroviario che sostituisce la
percorrenza Trastevere-Maccarese via Ponte Galeria, nel
quadrante sud-ovest, con una percorrenza più breve, che da
Trastevere raggiunge direttamente Maccarese (al km 34,200),
passando per la Stazione Aurelia, nel quadrante ovest.
Il vecchio ramo Trastevere-Maccarese via Ponte
Galeria rimane in funzione per la linea merci, a transito
prevalentemente notturno.
Il passante Roma-Maccarese via Aurelia, avendo
separato la Roma-Fiumicino dalla Linea Tirrenica, rende
obsoleta la Stazione San Paolo, che, avendo perduto la
funzione primaria di regolare gli scambi in diramazione
subito prima di Trastevere, viene avviata allo
338
smantellamento. In quest‟anno dunque lo snodo di
Trastevere cessa di essere stazione di diramazione per
diventare stazione passante (i treni in transito possono
attraversarla senza dover fermare in stazione), e quindi
tecnicamente Trastevere cessa anche di essere uno snodo.
Nello stesso anno avviene la fusione operativa della
Stazione Trastevere con la vicina Stazione Ostiense, in riva
sinistra, dove vengono concentrate le operazioni di
smistamento dei binari: pur mantenendo per il pubblico due
distinte denominazioni (Trastevere e Ostiense) le due stazioni
sono da quest‟anno una super-stazione, dislocata sulle due
sponde del fiume e collegata da moderne interconnessioni.
Così è ancora oggi.
Per la linea Roma-Fiumicino l‟occasione di rilancio
arriva con i Mondiali di calcio di Italia 90. Per quell‟anno
l‟evento sportivo internazionale prevede un ingente arrivo di
visitatori da ogni parte del mondo, e il collegamento della
ferrovia con l‟Aeroporto torna ad essere una priorità.
Si trovano i fondi e viene approvato un progetto - che
in verità lascia perplessi molti progettisti - di un
avvenieristico Air Terminal nell‟area dell‟ex Scalo merci
Ostiense.
Il 27 maggio 1990, appena in tempo per il fischio
d‟inizio dei giochi, viene inaugurato il raccordo, lungo 3,2
km, pendenza 14‰, interamente costruito in viadotto, che
porta la ferrovia fin dentro l‟Aeroporto, con la nuova Stazione
Fiumicino Aeroporto realizzata al 1° piano del Fabbricato Voli
internazionali, al km 31,400. All‟inizio della diramazione
339
viene creato uno scalo tecnico, chiamato Bivio di Porto, che
viene telecomandato dalla stazione di Fiumicino Aeroporto.
La vecchia fermata di Porto viene definitivamente chiusa.
Il 1990 è l‟anno di gloria della Linea Roma-Fiumicino,
fiore all‟occhiello dell‟Italia, quinta potenza economica
mondiale. La linea è servita da vetture ALe601 con il logo
Alitalia e i tre colori della bandiera nazionale. Si creano per
l‟occasione due linee ferroviarie speciali dirette, ribattezzate
voli di sperficie: la Firenze-Fiumicino e la Napoli-Fiumicino,
con i primi treni ETR 500, quattro volte al giorno.
La FR1 e il Leonardo Express
Durante i Mondiali di calcio di Italia 90 vengono
occasionalmente create delle corse prolungate della
Fiumicino-Air Terminal Ostiense, che proseguono,
sfruttando l‟anello ferroviario urbano, fino a Stazione
Tiburtina, secondo snodo ferroviario di Roma.
È probabilmente in questa circostanza che si fa
strada l‟idea di recuperare l‟ormai obsoleta rete ferroviaria
urbana di Papa Pio IX, trasformandola in una moderna
metropolitana di superficie, sul modello della RER francese.
Ci si accorge così che, facendo correre nuovi treni, più agili,
sui tracciati di più linee diverse, si possono creare nuove
linee urbane capaci di assorbire un grande numero di
viaggiatori. Questo progetto, che prende il nome di cura del
340
ferro, ha avuto tra i suoi più accesi sostenitori l‟allora
sindaco di Roma Francesco Rutelli.
Nasce così, nel 1993, la prima linea FM1 (dove FM sta
per ferrovia metropolitana), che collega stabilmente la
Stazione Tiburtina con l‟Aeroporto di Fiumicino,
attraversando l‟intera città da nord-est a sud-ovest.
Successivamente la linea, innestandosi sulle ferrovie
regionali, viene prolungata fino a Fara Sabina, divenendo
FR1 (dove Fr sta per ferrovia regionale).
Nel 1999 entrano in servizio sulla FM1 i primi TAF,
Treni ad Alta Frequentazione (composti di Ale 426/506 +
Le739; prima insieme alle ALe801/940, e poi prendendone il
posto).
Sempre nel 1999 viene creato un nuovo servizio,
chiamato no-stop Termini-Fiumicino Aeroporto (oggi
Leonardo Express), trainati dalle nuove locomotive E464
(E464 + carrozze UIC appositamente ristrutturate), in
precedenza affidati ai complessi di ALe841.
Sulla FR1 l‟offerta tipica è di 4 treni l‟ora: di essi due
seguono la percorrenza breve Aeroporto-Fara Sabina; il terzo
è prolungato fino a Poggio Mirteto; il quarto è ulteriormente
prolungato fino ad Orte.
Esiste infine un servizio speciale diretto Roma-
Aeroporto, chiamato Leonardo Express. In un primo tempo il
servizio partiva dall‟Air Terminal di Roma Ostiense. Oggi il
servizio parte da Roma Termini.
341
In attesa del Giubileo
Ma l‟euforia mondiale di Italia 90 dura poco, il tempo
di una festa.
Spostata la direttrice principale sul nuovo raccordo
per l‟Aeroporto (dove fa capolinea il maggior numero di treni),
la vecchia percorrenza per l‟abitato urbano di Fiumicino
diventa un ramo secco, utile soltanto per la stagione del
mare. La stazione urbana di Fiumicino, per distinguerla
dalle altre stazioni dell‟area, viene ribattezzata Fiumicino
Paese.
Nel 1994 l‟innovativo metodo della stazione
telecomandata, già sperimentato allo scalo tecnico di Bivio di
Porto, viene esteso anche alla stazione di Fiumicino Paese,
dove viene soppresso anche il servizio di biglietteria.
Nel 1994, con l‟attivazione della linea FM1, i servizi
per Fiumicino Città si attestano all‟Air Terminal della
Stazione Ostiense.
I servizi Alitalia per i Mondiani vengono soppressi
appena quattro anni dopo la loro istituzione, nel 1994.
Riporta Omar Cugini che sulla linea corrono treni
ALe801/940 e i complessi di E646 + carrozze a piano
ribassato.
Nel 1995 arrivano i primi moderni complessi ALe841,
nella tratta diretta tra Roma Termini e Fiumicino Aeroporto.
342
Intorno al 1994-95 l‟Air Terminal viene chiuso al
traffico e i treni per Fiumicino Città seguono le sorti
dell‟FM1, attestandosi a Fara Sabina, capolinea della FM1,
con un‟offerta di un treno ogni ora.
Il grande Giubileo dell‟anno Duemila sarà l‟occasione
per nuovi cambiamenti sulla linea.
I nuovi asset regionali
Nel 1999 è insomma ormai chiaro che la direttrice
principale della linea è quella per l‟aeroporto, e la
percorrenza per Fiumicino Paese è ormai un ramo secco. In
quegli anni i tecnici delle FS valutano la soppressione della
linea per Fiumicino Paese.
Un aneddoto popolare vuole che sul finire del 1999 le
Ferrovie abbiano deciso di testare gli effetti del cosiddetto
Millennium Bug sulla rete ferroviaria, prendendo in esame
proprio l‟area di Fiumicino Paese. La Ferrovia viene
interrotta per molti giorni e si comincia a pensare che in
realtà si tratti delle prove generali della chiusura della linea.
Non si sa quanto c‟è di vero in questo aneddoto; fatto sta che
la diramazione per Fiumicino Paese viene effettivamente
chiusa il 30 gennaio 2000, e al suo posto viene istituito un
autobus per Ponte Galeria, alla frequenza di 15 minuti.
Mentre viene annunciata, l‟imminente realizzazione di una
nuova stazione in corrispondenza del Bivio di Porto (che non
verrà mai realizzata).
343
L‟area della vecchia stazione viene destinata dal
Comune di Fiumicino alla nuova piazza di fronte alla nuova
sede municipale, ma per qualche tempo la linea viene
mantenuta armata, in attesa di trovare una buona idea sul
da farsi per rilanciare i trasporti della cittadina.
Ma inevitabilmente, sulla tratta non più utilizzata,
inizia il degrado.
C‟è qualche protesta dei pendolari, ma nel complesso
nulla si muove.
Nel 2002 c‟è un bel progetto, promosso da
associazioni ambientaliste, per recuperare la vecchia
stazione di Porto facendone la porta di accesso all‟area
archeologica di Porto. Ma non se ne fa nulla. Intanto anche i
deviatoi di Bivio di Porto vengono sostituiti da un semplice
posto di comunicazione, telecomandato dalla stazione di
Fiumicino Aeroporto.
Nel 2003 si fa avanti l‟ANAS, che presenta un progetto
di recupero del sedime ferroviario per trasformarlo in una
carreggiata stradale. Ma nemmeno qui se ne fa nulla.
C‟è un altro bel progetto per la realizzazione di un
tram locale sulla ex linea ferroviaria. Idem come sopra.
E intanto la vegetazione si impadronisce dei binari.
Nel frattempo RFI rimuove l‟elettrificazione e disattiva
gli apparati di stazione.
Nel 2003 si parla di un progetto di riattivazione della
linea, a servizio del Porto di Fiumicino. Ma la notizia è di
344
poco successiva e contrastante con un‟altra notizia che dice
che Ferservizi, società immobiliare delle Ferrovie, avrebbe
messo in vendita le aree in blocco.
A distanza di anni anche il Bivio di Porto viene
smantellato.
Nel 2005, al km 26,800, viene realizzata la nuova
stazione di Parco Leonardo.
Nel 2007 arriva la parola fine: il Comune di
Fiumicino, proprietario dell‟area della Stazione di Fiumicino
Paese la vende ad un consorzio di costruttori, che decide per
la demolizione e la costruzione, al suo posto, di una nuova
area residenziale.
Attualmente i collegamenti con Fiumicino Paese sono
assicurati da bus CotraL diretti a Roma, e bus navetta per
l‟Aeroporto e la Stazione Parco Leonardo della FR1.
Simile è l‟offerta tipica sulla FR3, con 4 treni l‟ora:
due di essi svolgono la percorrenza breve Ostiense-Cesano; il
terzo è prolungato fino a Bracciano; il quarto è ulteriormente
prolungato fino a Viterbo Porta Fiorentina.
Sulla FR5 l‟offerta tipica è di 2 treni l‟ora, che coprono la
tratta Termini-Civitavecchia.
345
Rio Galeria
Abstract non disponibile.
346
347
Rudere di Vigna Consorti
Il Rudere di Vigna Consorti è un casaletto rurale,
facente originariamente parte del complesso agrario dei
Casaletti del Trullo.
Tra gli edifici del complesso è quello che presenta maggiori
elementi di degrado.
E‟ segnalata la presenza di un vicino annesso agricolo
(Magazzino al Divin Maestro), studiato dalla Soprintendenza
ai Beni architettonici e del paesaggio di Roma (scheda
inventariale 00970740A, Banchini R. - cat. Peixoto J.R.).
348
349
Sommario
Fiera di Roma ................................................................ 3 Figlie del Crocifisso ........................................................ 5 Fontana di Pio IV ........................................................... 7
La Magliana della decadenza ......................................... 7 Fontana di Villa Bonelli ................................................. 15 Fontanile alla Serenella ................................................. 17 Fontanile Cantone ......................................................... 19 Fontanile Consorti-Jacobini .......................................... 21 Fontanile Cuccu ............................................................ 23 Fontanile Giombini ....................................................... 25 Forno al Fosso di Papa Leone ........................................ 27 Forte Magliana .............................................................. 29 Forte Portuense............................................................. 31
Il Casale degli Irlandesi ................................................ 32 Breve storia delle difese di Roma .................................. 33 Come funziona Forte Portuense .................................... 33
Fosso della Magliana ..................................................... 35 Fosso di Affogalasino ..................................................... 37
350
Fosso di Papa Leone ..................................................... 39 Fosso di Santa Passera ................................................. 41 Fosso Tiradiavoli........................................................... 43 Fratel Policarpo ............................................................ 45 Gamma ........................................................................ 47 Garitta monumentale.................................................... 49
Depretis e l’orribile 1876 ...............................................49 Genio militare ............................................................... 51
Giuseppe Testa, eroe partigiano ....................................51 Gesù Divino Lavoratore................................................. 53
La Cappella di Pietra Papa ............................................54 Il campanile ...................................................................55
Giardino dei frutti perduti ............................................. 57 Greentower ................................................................... 59 Grotte delle Fate ........................................................... 61
Martesilvano, dio della frontiera ....................................61 Grottoni ....................................................................... 63
Il dibattito è aperto ........................................................64 Felice, martire con Adautto ............................................65 Le reliquie, in giro per l’Europa ......................................66
Idroscalo del Littorio ..................................................... 69 Idrovore di Ponte Galeria............................................... 71 Imbarco dei Papi ........................................................... 73
Sisto IV, primo papa della Magliana ..............................73 Ipogeo di Santa Passera ................................................ 77
Dike e l’Età dell’oro ........................................................78
351
Israelitico ...................................................................... 81 Istituto dei Paolini ......................................................... 83
La Famiglia Paolina ...................................................... 83 Istituto della Divina Volontà .......................................... 87 Istituto Vigna Pia .......................................................... 89 La Meridiana ................................................................. 91
Il Quartier generale dei Francesi ................................... 92 La Pisana ...................................................................... 95 La Salle......................................................................... 97 La Serenella .................................................................. 99 La Vignarola ............................................................... 101 Le Mantellate .............................................................. 103 Le Turchine ................................................................ 105 Maccaferri ................................................................... 107
I cancelli componibili Magliana ................................... 108 Madonna di Pompei..................................................... 111
Madonna di Pompei, bene storico artistico .................. 111 Cari saluti da Magliana .............................................. 113
Magazzini romani alla Mira Lanza................................ 115 Magazzini romani di Parco dei Medici .......................... 117 Magliana Nuova (zona urbanistica) .............................. 119
Notizia storica ............................................................. 120 Inquadramento urbanistico ......................................... 121 Miscellanea ................................................................. 121
Magliana Vecchia (zona urbanistica) ............................ 123
Miscellanea ................................................................. 124
352
Mansio di Pozzo Pantaleo ............................................ 125 La sosta dei viandanti ................................................ 126
Marconi (zona urbanistica) .......................................... 127
Notizia storica ............................................................. 128 Notizia urbanistica ...................................................... 129 Miscellanea................................................................. 130
Martiri Portuensi ........................................................ 131 Mater Divinae Gratiae ................................................. 133 Mira Lanza, lotto del 1918 .......................................... 135 Mira Lanza, lotto del 1924 .......................................... 137 Mira Lanza, lotto del 1947 .......................................... 139 Mulini Biondi ............................................................. 141 Murature romane di viale Marconi .............................. 143 Necropoli alla Mira Lanza ............................................ 145 Necropoli di Ponte Galeria ........................................... 147
L’uomo senza sorriso di Malnome ............................... 147 Necropoli di via Blaserna ............................................ 149 Necropoli di viale Marconi ........................................... 151 Necropoli di Vigna Pia ................................................. 153
La Tomba di Atilia ...................................................... 154 Il Colombario di Vigna Pia .......................................... 155
Necropoli preistorica ................................................... 157
Usi funerari portuensi ................................................. 157 Necropoli protostorica ................................................. 161 Nostra Signora del Sacro cuore ................................... 163 Nostra Signora di Valme ............................................. 165
353
Wojtila, elogio del chiasso ........................................... 166 Nuovo Corviale ............................................................ 169 Opera Don Guanella ................................................... 171 Oratorio Damasiano .................................................... 173 Oratorio del Divin Maestro .......................................... 175 Orti di Cesare ............................................................. 177
Caio Giulio, il tiranno .................................................. 178 Cleopatra, amante portuense ...................................... 180 Calpurnia, la nobile rivale ........................................... 182 Alla corte di Cleopatra ................................................ 183 Cicerone e la beffa dei papiri ...................................... 185 La notte che piansero i cavalli ..................................... 185
Palatium Sancti Johannis ........................................... 187 Palazzetto di Innocenzo VIII ......................................... 189
Innocenzo VIII, cacciatore di streghe ........................... 189 Papiliones ................................................................... 191 Parco del Tevere .......................................................... 193 Piana di Affogalasino ................................................... 195
Papa Alessandro e la gran bombarda ......................... 195 Piazza d‟Armi .............................................................. 197 Pietra Papa ................................................................. 199
I Prati dei Papa ........................................................... 200 Piscina dei Rospi ......................................................... 203 Polveriera .................................................................... 205 Ponte dei Congressi ..................................................... 207 Ponte dei Francesi ....................................................... 209
354
Ponte dell‟Aeronautica ................................................ 211 Ponte dell‟Industria..................................................... 213
Ponte di ferro .............................................................. 214 Ponte San Paolo .......................................................... 215 Le donne di Ponte di ferro ........................................... 216
Ponte della Magliana ................................................... 219 Ponte della Scienza ..................................................... 221 Ponte di Mezzocammino .............................................. 223 Ponte esterno sul GRA ................................................ 225 Ponte Galeria (zona urbanistica) .................................. 227
Il Megaceronte di Ponte Galeria .................................. 228 Miscellanea................................................................. 230
Ponte Marconi ............................................................ 231
L’imbarco di Ponte Marconi ......................................... 232 I lucchetti dell’amore ................................................... 233
Ponte mediano sul GRA .............................................. 235 Ponte Morandi ............................................................ 237
La frana del 28 giugno 1965 ...................................... 238 Ponte romano di Parco dei Medici................................ 241 Ponte sul Fosso della Magliana ................................... 243 Portale del Castelletto ................................................. 245 Portale di Via Portuense 809 ....................................... 247 Portale di vicolo del Conte ........................................... 249 Portale Forlanini ......................................................... 251
L’Ospedale polivalente ............................................... 252 I coniugi Monaco, eroi partigiani ................................. 253 Tum tum tum, qui Radio Londra ................................. 255
355
Portale Pantalei ........................................................... 259 Portale Spallanzani ..................................................... 261 Porto fluviale ............................................................... 263 Portuense (zona urbanistica) ....................................... 265
Miscellanea ................................................................. 266 Pozzo Pantaleo ............................................................ 267
La chiesina di San Pantaleone .................................... 268 Pozzo Pantaleo medievale ............................................ 271 Pratorotondo ............................................................... 273 Presunta Prigione del Popolo ....................................... 275
Il Rapimento Moro ....................................................... 276 Lettere dalla Prigione del popolo ................................. 277 L’Italia piange Moro .................................................... 278
Quartiere d‟Armi ......................................................... 281
Lettere dal Forte 1920-1956 ....................................... 281 Rectaflex ..................................................................... 283
La fabbrica Rectaflex .................................................. 283 Un incidente di percorso.............................................. 286 Italia-Germania, guerra a distanza ............................. 290 Alti e bassi del 1951 ................................................... 294 La fabbrica perfetta .................................................... 297 La commessa militare americana ................................ 301 Signori, si chiude ........................................................ 305 Le ultime meraviglie Rectaflex ..................................... 310 Oltre le Alpi, il colpo di coda ........................................ 315 Descrizione architettonica ........................................... 319
Rete ferroviaria portuense ........................................... 321
Il Diavolo viaggia in treno ............................................ 321 Pio IX, il papa ferroviere .............................................. 323 La costiera nord Roma-Civitavecchia .......................... 326 Oltre la Magliana, il mare ........................................... 328 La diramazione di Ponte dell’Industria ....................... 330 La Dorsale Tirrenica .................................................... 331
356
La diramazione di Fiumicino ....................................... 332 Gli interventi per il nuovo aeroporto ............................ 334 Il passante di Maccarese ............................................ 337 La FR1 e il Leonardo Express ..................................... 339 In attesa del Giubileo .................................................. 341 I nuovi asset regionali ................................................. 342
Rio Galeria ................................................................. 345 Rudere di Vigna Consorti ............................................ 347
Sommario ....................................................................... 349