ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere...

32
ARTICOLI E SAGGI LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE E LA SUA INCIDENZA SUL DIRITTO SOSTANZIALE UGO VILLANI SOMMARIO: 1. I mezzi di soluzione delle controversie in assenza di una funzione giudiziaria istituzio- nalizzata. – 2. I rischi per la pace di controversie non risolte. – 3. L’incidenza delle Nazioni Unite, il divieto della forza e l’obbligo di soluzione pacifica. – 4. La posizione di una norma di carattere consuetudinario sull’obbligo di soluzione delle controversie. – 5. Il principio della libera scelta dei mezzi di regolamento. – 6. I suoi vantaggi e l’importanza dell’atteggiamento delle parti della con- troversia. – 7. L’arbitrato. – 8. La giurisdizione e il suo fondamento volontaristico. – 9. La “prolife- razione” dei tribunali internazionali. – 10. L’incidenza della giurisprudenza sull’interpretazione del diritto internazionale sostanziale. – 11. Il ruolo della giurisprudenza sulla formazione e sullo svi- luppo del diritto internazionale. – 12. Segue: esempi di incidenza della giurisprudenza sul diritto in- ternazionale generale. – 13. Possibili inconvenienti derivanti dalla “proliferazione” dei tribunali in- ternazionali. – 14. Osservazioni critiche su tali inconvenienti. 1. La struttura paritaria, decentrata, anorganica della Comunità in- ternazionale, nella quale è assente un’autorità sovraordinata agli Stati, comporta, tra l’altro, l’impossibilità di imporre in maniera autoritativa una data soluzione agli Stati parti di una controversia. Non esiste, in particolare, una funzione giurisdizionale istituzionalizzata, un giudice, cioè, precostituito rispetto al sorgere della lite, provvisto della com- petenza a emanare una sentenza con la quale decidere in merito alla fondatezza delle contrapposte pretese delle parti, al cui giudizio cia- scuno Stato parte della controversia abbia il potere di sottoporre la stessa controversia, anche in mancanza o contro la volontà della con- troparte. Pur in assenza di un’autorità giudiziaria sovraordinata agli Stati, nella prassi sono stati elaborati numerosi procedimenti diretti a pro- muovere – o, in certi casi, assicurare – la soluzione delle controversie Testo riveduto della relazione tenuta al Convegno su “Diritto e processo: rapporti e in- terferenze”, svoltosi il 22-23 novembre 2012 presso l’Università degli studi di Milano- Bicocca. LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE FASC. 1/2014 pp. 7-37 EDITORIALE SCIENTIFICA SRL

Transcript of ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere...

Page 1: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

ARTICOLI E SAGGI

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO

INTERNAZIONALE E LA SUA INCIDENZA SUL DIRITTO SOSTANZIALE∗

UGO VILLANI

SOMMARIO: 1. I mezzi di soluzione delle controversie in assenza di una funzione giudiziaria istituzio-

nalizzata. – 2. I rischi per la pace di controversie non risolte. – 3. L’incidenza delle Nazioni Unite, il divieto della forza e l’obbligo di soluzione pacifica. – 4. La posizione di una norma di carattere consuetudinario sull’obbligo di soluzione delle controversie. – 5. Il principio della libera scelta dei mezzi di regolamento. – 6. I suoi vantaggi e l’importanza dell’atteggiamento delle parti della con-troversia. – 7. L’arbitrato. – 8. La giurisdizione e il suo fondamento volontaristico. – 9. La “prolife-razione” dei tribunali internazionali. – 10. L’incidenza della giurisprudenza sull’interpretazione del diritto internazionale sostanziale. – 11. Il ruolo della giurisprudenza sulla formazione e sullo svi-luppo del diritto internazionale. – 12. Segue: esempi di incidenza della giurisprudenza sul diritto in-ternazionale generale. – 13. Possibili inconvenienti derivanti dalla “proliferazione” dei tribunali in-ternazionali. – 14. Osservazioni critiche su tali inconvenienti.

1. La struttura paritaria, decentrata, anorganica della Comunità in-

ternazionale, nella quale è assente un’autorità sovraordinata agli Stati, comporta, tra l’altro, l’impossibilità di imporre in maniera autoritativa una data soluzione agli Stati parti di una controversia. Non esiste, in particolare, una funzione giurisdizionale istituzionalizzata, un giudice, cioè, precostituito rispetto al sorgere della lite, provvisto della com-petenza a emanare una sentenza con la quale decidere in merito alla fondatezza delle contrapposte pretese delle parti, al cui giudizio cia-scuno Stato parte della controversia abbia il potere di sottoporre la stessa controversia, anche in mancanza o contro la volontà della con-troparte.

Pur in assenza di un’autorità giudiziaria sovraordinata agli Stati, nella prassi sono stati elaborati numerosi procedimenti diretti a pro-muovere – o, in certi casi, assicurare – la soluzione delle controversie

∗ Testo riveduto della relazione tenuta al Convegno su “Diritto e processo: rapporti e in-terferenze”, svoltosi il 22-23 novembre 2012 presso l’Università degli studi di Milano-Bicocca. LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE FASC. 1/2014 pp. 7-37 EDITORIALE SCIENTIFICA SRL

Page 2: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

8

internazionali mediante una valutazione giuridicamente obbligatoria del conflitto di interessi che è alla base della controversia stessa e del-le contrapposte pretese delle parti. Si tratta di procedimenti congeniali ai caratteri propri della Comunità internazionale, nella quale, in assen-za di un ente sovraordinato ai consociati, spetta, in principio, agli stes-si soggetti dell’ordinamento, anzitutto gli Stati, l’esercizio delle essen-ziali funzioni di un ordinamento giuridico, in particolare della solu-zione delle controversie. Tali procedimenti, infatti, pur nella loro va-rietà, presentano la comune caratteristica di essere preordinati al rag-giungimento di una soluzione della controversia, che è bensì obbliga-toria per le parti, ma il cui fondamento giuridico risiede pur sempre nella congiunta volontà di tali parti.

I mezzi che possono condurre alla soluzione di una controversia internazionale sono l’accordo e la sentenza. È evidente che il primo, consistendo nell’incontro delle volontà degli Stati parti su una data re-golamentazione del loro conflitto d’interessi, è possibile solo se tali Stati ... sono d’accordo. Ma anche la sentenza, che pure, quando viene resa, appare un atto autoritativo che, emanato da un arbitro super par-tes, s’impone agli Stati in lite, trae il fondamento giuridico dalla vo-lontà di tali Stati: il tribunale arbitrale (o il singolo arbitro) desume il proprio potere di giudicare, la propria competenza, dalla concorde vo-lontà degli Stati parti. Anche nei procedimenti più evoluti e perfezio-nati, nei quali è presente un tribunale permanente, come la Corte In-ternazionale di Giustizia, e che prevedono un potere di azione unilate-rale per sottoporre la controversia al tribunale, la giurisdizione di quest’ultimo deriva pur sempre dalle manifestazioni di volontà degli Stati e può esercitarsi solo nei confronti di tali Stati e nei limiti del consenso da loro espresso.

2. La dipendenza dei procedimenti di soluzione dalla disponibilità

degli Stati parti della controversia comporta, evidentemente, il rischio che la controversia resti irrisolta. Ogni qual volta gli Stati non riescano (o non siano disposti) a raggiungere un accordo risolutivo e neppure a concordare l’impiego di un procedimento di regolamento (per esem-pio, il ricorso all’arbitrato), il diritto internazionale non è in grado di imporre a tali Stati una data soluzione, né di obbligarli a sottoporsi a un procedimento di regolamento.

Benché non tutte le controversie rappresentino una minaccia al mantenimento della pace, tuttavia una condizione di diffuso e perma-nente contenzioso non favorisce relazioni amichevoli tra gli Stati e

Page 3: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

9

rappresenta un fattore di tensione nelle relazioni internazionali, che può minare alle radici il mantenimento di rapporti pacifici. Va rilevato inoltre che, in assenza di una soluzione della controversia a seguito di un procedimento pacifico, ciascuno Stato parte, specie quando gli in-teressi in giuoco siano particolarmente importanti, può essere tentato di risolverla imponendo la prevalenza del proprio interesse con la for-za armata. In passato anche la dottrina più avvertita – si pensi all’opera fondamentale di ANZILOTTI, Corso di diritto internazionale (appunti ad uso degli studenti), III, pt. I, Roma, 1915 – distingueva, al riguardo, tra i mezzi pacifici di soluzione delle controversie, da un la-to, e, dall’altro, l’accordo coatto, determinato da minaccia o violenza o dal ricorso alla guerra di uno Stato contro l’altro. E invero, in una Comunità internazionale nella quale l’uso della forza non era vietato, ma, per così dire, fisiologico alle relazioni tra gli Stati, il ricorso alla forza poteva essere uno strumento adatto a risolvere una controversia imponendo coattivamente il rispetto del proprio interesse, con conse-guente sacrificio dell’interesse in conflitto della controparte.

La consapevolezza che la mancata soluzione pacifica delle con-troversie poteva provocare il ricorso alla forza armata e alla guerra in-dusse governi, enti scientifici, studiosi, sin dalla fine dell’800, a predi-sporre una serie di procedimenti di regolamento, cercando di imbri-gliare gli Stati parti di eventuali controversie in un complesso di ob-blighi, pur sempre volontariamente assunti, di sottoporre le proprie controversie a varie procedure di regolamento di carattere pacifico. Tali iniziative, delle quali sono significativa testimonianza le Conven-zioni dell’Aja per la risoluzione pacifica delle controversie interna-zionali del 29 luglio 1899 e del 18 ottobre 1907, mostravano una netta preferenza per il ricorso all’arbitrato per le controversie di natura giu-ridica, e successivamente per la Corte Permanente di Giustizia Inter-nazionale (organo giudiziario della Società delle Nazioni), nel tentati-vo di riprodurre nel contesto internazionale forme di soluzione giudi-ziale delle controversie.

3. Il quadro giuridico complessivo, nel quale si colloca la proble-

matica relativa alla soluzione delle controversie, muta profondamente con la nascita delle Nazioni Unite. La Carta di tale Organizzazione, entrata in vigore il 24 ottobre 1945, infatti, pone per gli Stati membri un divieto ampio e generale non solo di ricorrere alla guerra (intesa come l’impiego massiccio della violenza armata accompagnata dal-l’animus bellandi, dalla volontà, cioè, di distruggere le capacità di di-

Page 4: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

10

fesa dell’avversario), ma anche all’uso e persino alla minaccia della forza nelle loro relazioni internazionali, sia contro l’integrità territoria-le o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite (art. 2, par. 4). Si tratta di un divieto di carattere fondamentale nel sistema dell’ONU, preordinato al perseguimento del fine principale dell’Organizzazione, «mantenere la pace e la sicurezza internazionale» (art. 1, par. 1), ri-spetto al quale l’unica eccezione espressamente prevista dalla Carta è quella della legittima difesa, nel caso in cui abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite (art. 51), che permette l’uso della forza per respingere tale attacco, sia da parte dello Stato che ne è vittima (legittima difesa individuale), sia da parte di ogni al-tro Stato (legittima difesa collettiva).

Al divieto dell’uso e della minaccia della forza si collega, nella Carta delle Nazioni Unite, uno specifico obbligo concernente la solu-zione delle controversie. Già nel predetto art. 1, par. 1, emerge con evidenza lo stretto collegamento funzionale tra mantenimento della pace e soluzione delle controversie. Tale disposizione dichiara, infatti, che, allo scopo di mantenere la pace e la sicurezza internazionale, le Nazioni Unite si propongono il fine di «conseguire con mezzi pacifici, ed in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle controversie o delle situazioni in-ternazionali che potrebbero portare ad una violazione della pace». L’art. 2, par. 3, prescrive a carico dei Membri l’obbligo di risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo. L’obbligo di soluzione con mezzi pacifici delle controversie è coerente con il divieto, posto dal successivo par. 4, di uso o minaccia della forza nelle relazioni internazionali e tende anch’esso, come è evidente, a salvaguardare la pace. Peraltro tale obbligo non è limitato alle controversie che, per la natura degli interessi in giuoco o per lo stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

Come il divieto dell’uso della forza è accompagnato e garantito da un sistema di sicurezza collettivo, incentrato sui poteri coercitivi del Consiglio di Sicurezza risultanti dal capitolo VII della Carta, ana-logamente all’obbligo di soluzione pacifica fa riscontro un sistema istituzionalizzato di soluzione delle controversie (ma, in principio, so-lo di quelle suscettibili di mettere in pericolo la pace e la sicurezza in-

Page 5: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

11

ternazionale). Tale sistema contempla, per un verso, una serie di ob-blighi degli Stati parti della controversia, per altro verso, dei poteri del Consiglio di Sicurezza e dell’Assemblea Generale volti a promuovere una soluzione della stessa controversia (capitolo VI della Carta). Per quanto riguarda, in particolare, la soluzione delle controversie giuridi-che, nelle quali gli Stati parti fondano le loro contrapposte pretese su ragioni giuridiche, un contributo di primo piano è offerto dalla Corte Internazionale di Giustizia, la quale costituisce il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite (art. 92).

4. L’obbligo di soluzione pacifica delle controversie internaziona-

li, originariamente posto da una norma pattizia, qual è l’art. 2, par. 3, della Carta, efficace nei soli confronti degli Stati membri dell’ONU, si è progressivamente trasformato in una norma di diritto internazionale consuetudinario avente portata generale.

Tale trasformazione è avvenuta grazie a una serie di dichiarazio-ni, in particolare dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, spesso adottate mediante consensus e tali, quindi, da esprimere il comune convincimento della generalità degli Stati, che compongono tale orga-no. Fra queste, oltre alla celebre Dichiarazione sui principi di diritto internazionale concernenti le relazioni amichevoli e la cooperazione tra gli Stati in conformità della Carta delle Nazioni Unite, adottata con risoluzione n. 2625 (XXV) del 24 ottobre 1970, che ribadisce e speci-fica il predetto obbligo, va specialmente ricordata la Dichiarazione di Manila sulla soluzione pacifica delle controversie internazionali, adot-tata dall’Assemblea Generale con risoluzione n. 37/10 del 15 novem-bre 1982. In essa l’obbligo di risolvere le controversie internazionali “esclusivamente” con mezzi pacifici è riferito a tutti gli Stati, non solo ai Membri dell’ONU. E nel medesimo senso si esprimono tutte le suc-cessive, numerose risoluzioni adottate dall’Assemblea Generale in materia di soluzione di controversie o con riguardo a specifici proce-dimenti di soluzione (quali l’inchiesta o la conciliazione).

La trasformazione dell’obbligo di soluzione pacifica in regola di diritto internazionale generale è stata autorevolmente riconosciuta dal-la Corte Internazionale di Giustizia nella sentenza del 27 giugno 1986 (Nicaragua c. Stati Uniti), nella quale la Corte ha anche sottolineato lo stretto collegamento di tale obbligo con quello di astenersi dall’uso o dalla minaccia della forza nelle relazioni internazionali, anch’esso na-to originariamente come obbligo pattizio, ai sensi dell’art. 2, par. 4, della Carta, ed assurto successivamente a obbligo corrispondente al

Page 6: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

12

diritto internazionale generale. Il fondamento dell’obbligo di soluzio-ne pacifica delle controversie nel diritto internazionale generale impli-ca che esso si imponga a tutti gli Stati, a prescindere dalla loro appar-tenenza all’ONU e dalla stessa esistenza delle Nazioni Unite. Da un punto di vista pratico attualmente tale conseguenza può apparire di scarso rilievo, posto che ormai l’ONU comprende pressoché tutti gli Stati esistenti (e che, malgrado le sue ricorrenti crisi, non sembra vici-na … l’estinzione dell’ONU). Ma il carattere generale della norma sull’obbligo di soluzione pacifica, oltre alla sua innegabile rilevanza sul piano dei principi, potrebbe comportare anche importanti conse-guenze pratiche: tale obbligo, infatti, come il divieto dell’uso della forza, sembra riferibile a tutti i soggetti di diritto internazionale, tra i quali (a certe condizioni) vanno ricomprese le organizzazioni inter-nazionali. Anche queste, pertanto, sono tenute a sforzarsi di risolvere esclusivamente con mezzi pacifici le controversie che le oppongano a singoli Stati o ad altre organizzazioni internazionali.

5. L’obbligo in parola, già nell’art. 33, par. 1, della Carta e poi

nelle molteplici dichiarazioni e atti internazionali che lo richiamano, è costantemente accompagnato – e, in qualche misura, limitato – dal-l’affermazione del principio della libera scelta dei mezzi di rego-lamento. In base a tale principio (più volte ribadito nella Dichiara-zione di Manila e che, in varie dichiarazioni successive, è denominato “diritto” di libera scelta) gli Stati parti di una controversia sono liberi di scegliere quei procedimenti che ritengano più adatti alla natura e al-le particolarità della controversia, così come alle proprie vedute e ai propri interessi. Gli Stati parti di una controversia, pertanto, sono ben-sì obbligati, in base al diritto internazionale generale, a ricercarne una soluzione solo con mezzi pacifici; tuttavia tali mezzi sono quelli – e solo quelli – che essi intendono impiegare.

Può quindi accadere che, anche supponendo la perfetta buona fe-de delle parti nell’adempimento dell’obbligo di soluzione pacifica, ciascuna di esse scelga un differente procedimento di soluzione; che l’una, per esempio, ritenga che, a causa dei problemi di natura giu-ridica posti dalla controversia, essa debba essere sottoposta al giudizio della Corte Internazionale di Giustizia e l’altra che, tenuto conto dell’importanza degli interessi coinvolti nella controversia, sia invece preferibile un intervento quale mediatore di uno Stato terzo, al fine di ricercare una soluzione “politica”, basata su criteri di opportunità e equità. È ben possibile, cioè, che le parti, pur sforzandosi di ricercare

Page 7: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

13

una soluzione pacifica, non riescano a trovare l’intesa neppure sul procedimento da utilizzare e che, quindi, la controversia resti irrisolta.

L’obbligo di soluzione pacifica, combinato con il principio della libera scelta dei mezzi di soluzione, si rivela quindi un obbligo di con-dotta, che implica un impegno di ricercare in buona fede una solu-zione (o almeno un procedimento al quale sottoporre la controversia). Esso non è invece un obbligo di risultato, poiché il principio della li-bera scelta può avere per conseguenza che, malgrado l’adempimento del suddetto obbligo, non si riesca a pervenire ad una soluzione della controversia.

Proprio in considerazione di tale rischio non sono mancate voci critiche nei confronti della norma generale sul regolamento pacifico delle controversie. Non senza un pizzico d’ironia uno studioso france-se, il Thierry, ha osservato che la condizione di uno Stato parte di una controversia è come quella di uno «qui aurait le devoir de se rendre dans un lieu déterminé mais qui aurait la faculté de refuser d’em-prunter chacun des chemins qui y conduisent» (Le règlement pacifique des différends internationaux, in THIERRY, COMBACAU, SUR, VALLÉE, Droit international public, 5e ed., Paris, 1986, p. 585 ss.).

A me pare che, pur non essendo idoneo a garantire la soluzione delle controversie, l’obbligo in parola, accompagnato dal principio della libera scelta, non vada sottovalutato. Anzitutto, se gli Stati parti di una controversia sono realmente in buona fede e si sforzano atti-vamente per trovare una soluzione, è alquanto improbabile che non riescano, quantomeno, a individuare un procedimento accettabile per entrambi; tanto più che l’obbligo di soluzione si inserisce in un conte-sto di procedimenti di regolamento diffusi e tipizzati nella prassi e re-golati in convenzioni, di organi predisposti per facilitare o assicurare la soluzione, di enti internazionali forniti del potere di orientare le par-ti e di promuovere la soluzione delle controversie. In altri termini, l’obbligo di soluzione pacifica non cade in un vuoto giuridico, ma si colloca in un fitto reticolato di organi, enti e procedure internazionali nel quale – se correttamente adempiuto – esso, presumibilmente, può concretizzarsi nell’impiego dell’uno o dell’altro procedimento di rego-lamento disponibile.

Va poi rimarcato che, oltre all’obbligo suddetto derivante da una norma di diritto internazionale generale, gli Stati frequentemente assu-mono obblighi preventivi di regolamento delle controversie mediante la stipulazione di accordi o nel quadro di organizzazioni internazionali delle quali siano membri. Sicché non è raro che, al momento in cui

Page 8: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

14

sorga una controversia, essa ricada nell’ambito di applicazione di un accordo, o nella competenza di un giudice o di una organizzazione in-ternazionale. In questo caso l’obbligo generale (e generico) di solu-zione pacifica viene a specificarsi, con riguardo alla controversia in at-to, in un nuovo obbligo pattizio di ricorrere al procedimento previsto dall’accordo in questione.

6. Lo stesso principio della libera scelta dei mezzi di regolamento,

in un ordinamento privo di un’autorità sopraordinata ai consociati qual è quello internazionale, presenta pregi non trascurabili ai fini della so-luzione delle controversie. Esso, infatti, permette alle parti di indivi-duare i mezzi e i procedimenti più idonei in relazione ai problemi che la controversia solleva. Questa non sempre pone soltanto problemi strettamente giuridici (nel qual caso il ricorso al regolamento giudizia-rio appare la via più adatta per una soluzione). Sovente essa comporta l’esame di questioni di natura economica, o geografica, come l’indivi-duazione del thalweg di un fiume o dello spartiacque di una montagna per definire i confini tra gli Stati parti, o più spiccatamente politica, o concernenti l’accertamento dei fatti dai quali abbia avuto origine, ecc. Di volta in volta potranno essere preferibili, per la soluzione di con-troversie siffatte, la valutazione e il suggerimento di termini di solu-zione da parte di una commissione di esperti in economia, o l’indagine compiuta da geografi, o l’intervento di uno Stato o di un’organiz-zazione internazionale che cerchi una soluzione basata sul contempe-ramento degli interessi confliggenti delle parti, o un’inchiesta condotta da una commissione di persone indipendenti, ecc.

Il principio in esame, inoltre, permette di modulare il tipo di pro-cedimento in corrispondenza all’atteggiamento delle parti nei confron-ti della controversia in atto. Così, se esse avvertono la necessità di avere una valutazione in stretto diritto delle rispettive pretese, non vi è dubbio che il ricorso a un tribunale quale la Corte Internazionale di Giustizia, «la cui funzione è di decidere in base al diritto internaziona-le le controversie che le sono sottoposte» (art. 38 del suo Statuto), rappresenta non solo la via più sicura per una soluzione della contro-versia, ma anche quella che meglio prelude ad una effettiva estinzione della controversia mediante una corretta esecuzione della futura sen-tenza. Infatti, nell’ipotesi posta, sono le parti stesse che richiedono una valutazione strettamente giuridica della controversia, per cui è lecito presumere che esse (in specie la parte soccombente) siano poi pronte a conformarsi alla valutazione contenuta nella sentenza della Corte.

Page 9: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

15

Al contrario, qualora le parti siano disponibili a trovare una solu-zione transattiva della controversia, facendosi reciproche concessioni, il ricorso al giudizio di una Corte sarebbe addirittura dannoso: perché mai la parte, originariamente disposta a sacrificare in qualche misura i propri interessi, dovrebbe fare delle concessioni alla controparte, una volta che abbia vinto una causa dinanzi alla Corte e possa contare su una sentenza giuridicamente obbligatoria per chiedere l’integrale sod-disfazione dei propri diritti? E anche per la parte soccombente è, nor-malmente, più agevole accettare un sacrificio, più o meno ampio, dei propri interessi mediante una soluzione amichevole con la controparte che non piegarsi ad eseguire una sentenza, la quale neghi in toto le sue pretese e suoni pregiudizievole al suo prestigio. È evidente che, quan-do le parti siano disponibili a una soluzione transattiva, ben più pro-duttivo può essere il ricorso a una commissione di conciliazione, che cerchi di condurle a un accordo risolutivo eventualmente raccoman-dando termini di regolamento, o alla mediazione di un terzo Stato, nel quale entrambe le parti nutrano fiducia, che proponga alle stesse un regolamento tale da contemperare equamente le loro pretese. Va ri-cordato che, nella prassi, spesso non emerge una contrapposizione ri-gida tra la preferenza verso procedimenti che si concludono con una sentenza fondata sul diritto e, dall’altro lato, l’impiego di procedimen-ti volti a promuovere una soluzione amichevole accettata consensual-mente dalle parti. Queste, infatti, specie nelle controversie confinarie, talora combinano il regolamento arbitrale o giudiziario con un succes-sivo negoziato, diretto ad applicare in concreto le regole definite nella sentenza, così associando i pregi della certezza giuridica, insita nella sentenza, con quelli della flessibilità, propri del negoziato.

Si deve sottolineare che, nel diritto internazionale, l’atteggiamen-to delle parti e la loro disponibilità verso l’uno o l’altro procedimento di soluzione è un fattore di estrema importanza ai fini non solo della soluzione giuridica della controversia, ma anche della sua effettiva e-stinzione. Non è detto, infatti, che il risultato giuridicamente obbliga-torio del procedimento impiegato, quale l’arbitrato o il regolamento giudiziario, destinato a concludersi con l’emanazione di una sentenza, assicuri che, in concreto, la controversia si estingua. La sentenza, in-fatti, è bensì provvista di efficacia obbligatoria, ma essa non è “ese-cutiva”, non è assistita, cioè, da alcuna garanzia che possa assicurarne l’esecuzione forzata contro la parte soccombente che si rifiuti di ese-guirla. Meccanismi coercitivi, specificamente diretti all’esecuzione delle sentenze internazionali, non esistono nel diritto internazionale

Page 10: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

16

generale, nel quale può farsi ricorso solo all’autotutela, con i rischi, i limiti e le insufficienze che essa può presentare. Un meccanismo nel quale potrebbe vedersi, in forma del tutto embrionale, una sorta di ese-cuzione forzata è rinvenibile nella Carta delle Nazioni Unite. L’art. 94, par. 2, dispone che, qualora una delle parti di una controversia non adempia gli obblighi derivanti da una sentenza della Corte Internazio-nale di Giustizia, l’altra può ricorrere al Consiglio di Sicurezza, il qua-le ha facoltà, ove lo ritenga necessario, di fare raccomandazioni o di decidere circa le misure da prendere perché la sentenza abbia ese-cuzione. Il Consiglio di Sicurezza, peraltro, non ha il dovere, ma solo un potere discrezionale di adottare gli atti (esortativi o obbligatori) per fare eseguire la sentenza delle Corte. Esso, inoltre, come di consueto, è soggetto alla regola di votazione che richiede una maggioranza di nove voti su quindici, con possibilità, per i Membri permanenti, di im-pedire ogni risoluzione esercitando il c.d. diritto di veto (art. 27, par. 3); di conseguenza non è pensabile che esso adotti una qualsiasi riso-luzione ove lo Stato inadempiente sia un membro permanente o uno Stato politicamente vicino a un Membro permanente. Certo è signi-ficativo che non risulta che tale disposizione sia stata mai applicata.

Alla luce delle osservazioni che precedono, e pur ricordando che il più delle volte le sentenze internazionali sono spontaneamente ese-guite (specie, e non a caso, quando le parti hanno sottoposto mediante mutuo accordo la controversia al tribunale internazionale), si può dire che il problema principale relativo alla soluzione delle controversie internazionali consiste, non solo – e non tanto – nel predisporre proce-dimenti ad esito vincolante (i quali, in caso di inesecuzione dello Stato soccombente, lasciano in vita la controversia). Esso consiste prin-cipalmente nell’individuare procedimenti che siano corrispondenti alla reale disponibilità delle parti e, quindi, suscettibili di condurre a un regolamento il quale non solo dia soluzione giuridica alla controver-sia, ma abbia tutte le chances per essere concretamente eseguito, as-sicurando così anche l’estinzione della controversia, la sua elimina-zione, cioè, come fatto storico.

L’importanza dell’atteggiamento delle parti e quindi, in definiti-va, del principio della libera scelta, è confermata dal fatto che non so-no infrequenti, nella prassi, i casi di controversie che sono sopravvis-sute all’emanazione di una sentenza (restata ineseguita) e che, invece, hanno trovato soluzione definitiva ed effettiva estinzione solo a se-guito di un procedimento ad esito non vincolante. A titolo di esempio possiamo ricordare la sentenza arbitrale del 18 febbraio 1977 resa dal-

Page 11: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

17

la Regina d’Inghilterra nella controversia tra il Cile e l’Argentina sul canale di Beagle, considerata invalida dall’Argentina e non eseguita, mentre la controversia fu risolta (ed estinta) grazie alla mediazione del Pontefice, che condusse al Trattato di pace e di amicizia del 29 no-vembre 1984; o la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 24 maggio 1980 tra gli Stati Uniti d’America e l’Iran, relativa alla controversia sugli ostaggi statunitensi in Iran, che non fu eseguita da quest’ultimo, mentre il contenzioso tra i due Stati fu definito con gli Accordi di Algeri del 19 gennaio 1981, conclusi a seguito della me-diazione algerina.

7. Per le controversie giuridiche, nelle quali gli Stati parti fondano

le loro pretese su ragioni di diritto e, tendenzialmente, chiedono una soluzione in base al diritto internazionale, sin da tempi lontani (basti ricordare le citate Convenzioni dell’Aja per la risoluzione pacifica del-le controversie internazionali del 29 luglio 1899 e del 18 ottobre 1907) lo strumento considerato preferibile è l’arbitrato. Questa preferenza, confermata anche in epoca più recente, per esempio nella Convenzio-ne delle Nazioni Unite del 10 dicembre 1982 sul diritto del mare, de-riva da ciò, che l’arbitrato, nel diritto internazionale, concilia nel mo-do migliore il carattere obbligatorio della soluzione della controversia – perché si conclude con una sentenza (o lodo) – con l’interesse degli Stati parti a mantenere il controllo sull’istituzione e sullo svolgimento del procedimento. L’arbitrato, infatti, come si è accennato, si caratte-rizza per il fatto che le parti congiuntamente decidono di ricorrervi; preventivamente – e sempre d’accordo – assumono l’obbligo di rispet-tare la sentenza, individuano l’arbitro o costituiscono il tribunale arbi-trale, stabiliscono le regole procedurali, prevedono eventualmente an-che i criteri in base ai quali decidere, definiscono l’oggetto della con-troversia e, sul piano processuale, congiuntamente la deferiscono all’arbitro. Si tratta, quindi, di un procedimento dall’esito vincolante – e, sotto questo aspetto, esso presenta il pregio di assicurare la soluzio-ne della controversia –, ma molto congeniale a una comunità nella quale le funzioni essenziali sono svolte dagli stessi consociati, in quanto trae il suo fondamento giuridico dalla volontà delle stesse par-ti.

La concorde volontà degli Stati parti di sottoporsi all’arbitrato può risultare da un accordo ad hoc (c.d. compromesso) concernente una specifica controversia in atto. Si parla in tal caso di un arbitrato isolato. In forme più evolute dell’istituto è frequente che gli Stati, me-

Page 12: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

18

diante una disposizione convenzionale (la clausola compromissoria), assumano l’obbligo di sottoporre al giudizio arbitrale le eventuali con-troversie che possano nascere relativamente all’interpretazione o al-l’applicazione dell’accordo nel quale è inserita la clausola. Esistono i-noltre numerosi trattati (bilaterali o multilaterali) che hanno quale og-getto la stessa soluzione delle controversie, che potranno sorgere tra Stati parti, mediante il ricorso all’arbitrato (trattati generali di arbitra-to). Sovente, in rapporto alla natura giuridica o meno della contro-versia, essi prevedono l’impiego di tale procedimento accanto ad altri procedimenti, come la conciliazione.

In questi casi, nei quali gli Stati assumono un impegno arbitrale con riguardo a controversie eventuali e future, al nascere della contro-versia essi sono tenuti giuridicamente a stipulare un compromesso e a costituire il tribunale arbitrale. Si tratta di un obbligo giuridico, non di una mera facoltà, come nell’arbitrato isolato; ma è evidente che, ove una delle parti non adempia tale obbligo, per quanto ad essa possa im-putarsi un illecito, la sua omissione comporta inevitabilmente l’impos-sibilità di istituire il procedimento.

8. Il passaggio dall’arbitrato alla giurisdizione internazionale si

determina quando viene precostituito un tribunale permanente, la cui composizione è sottratta alla volontà delle parti della controversia, do-tato di una propria struttura organizzativa e di un proprio ordinamento procedurale. Il tribunale decide, in principio, in base a criteri giuridici. Per esempio – come si è accennato – la Corte Internazionale di Giusti-zia, ai sensi dell’art. 38 del suo Statuto, ha quale espressa funzione «decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte», applicando le convenzioni internazionali in vigore tra gli Stati in lite, la consuetudine internazionale, i principi generali di dirit-to riconosciuti dalle nazioni civili, nonché le decisioni giudiziarie e la dottrina più qualificata delle varie nazioni come mezzi sussidiari per la determinazione delle norme giuridiche. Solo in presenza di un accordo delle parti la Corte può discostarsi dalle norme giuridiche e decidere ex aequo et bono.

Sebbene il tribunale di natura propriamente giurisdizionale sia co-stituito in maniera indipendente rispetto alle parti della controversia e, nelle forme più evolute e perfezionate, sia fornito di una giurisdizione obbligatoria, nel senso che gli Stati parti dell’ordinamento entro il quale esso opera sono sottoposti al potere del giudice e possono essere “convenuti” in giudizio da ogni altro Stato parte, anche la giu-

Page 13: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

19

risdizione, nel diritto internazionale, ha un fondamento volontaristico. Pure gli organi giudiziari, cioè, derivano la propria giurisdizione da un atto volontario degli Stati tra i quali essi sono costituiti. La volontà di tali Stati coincide, anzitutto, con la partecipazione all’accordo median-te il quale il tribunale è costituito e sono determinate le categorie di controversie che esso è competente a decidere.

Sovente la giurisdizione internazionale ha origine da un “duplice” fondamento volontaristico. Non è sufficiente, cioè, che la controversia riguardi due Stati parti dell’accordo istitutivo del tribunale, affinché quest’ultimo sia provvisto del potere di decidere la stessa contro-versia: a tal fine è necessaria un’ulteriore dichiarazione di volontà de-gli Stati parti dell’accordo, espressa in varie possibili forme, con il quale essi accettino la giurisdizione del tribunale. Solo a seguito di questa seconda manifestazione di volontà la giurisdizione del tribunale può riconoscersi propriamente come obbligatoria, in quanto ogni Stato parte autore di tale accettazione è obbligato a sottoporsi al processo (e, corrispondentemente, ha il potere di azione nei confronti di ogni altro Stato che abbia egualmente accettato la giurisdizione del tribunale).

La necessità di una duplice manifestazione di volontà è prevista, per esempio, rispetto alla Corte Internazionale di Giustizia, che pure, come si è accennato, rappresenta il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite e costituisce tuttora l’unico giudice internazionale aven-te, almeno potenzialmente, una giurisdizione che potrebbe dirsi “uni-versale”, poiché suscettibile di operare nei confronti di tutti gli Stati del mondo e riguardo a tutte le controversie giuridiche, quale che sia il loro oggetto. La composizione, le competenze e il funzionamento del-la Corte sono regolati nel suo Statuto, che è annesso alla Carta delle Nazioni Unite e ne forma parte integrante. Affinché la Corte possa esercitare la propria giurisdizione nei confronti degli Stati parti di una controversia, non è sufficiente, però, che tali Stati siano membri delle Nazioni Unite (e, per ciò stesso, parti dello Statuto della Corte), ma è necessario che entrambi abbiano attribuito tale giurisdizione alla Corte mediante un accordo ad hoc, o mediante trattati generali o clausole (dette giurisdizionali) contenute in accordi di varia natura, o, infine, mediante proprie dichiarazioni unilaterali, previste dall’art. 36, par. 2, dello Statuto della Corte. Anche rispetto alla giurisdizione della Corte, quindi, non solo trova conferma quel fondamento volontaristico, che abbiamo sottolineato con riferimento all’arbitrato e alla stessa senten-za internazionale; ma la giurisdizione della Corte implica una doppia manifestazione di volontà degli Stati: una prima, che si esprime con la

Page 14: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

20

stessa partecipazione (volontaria) alla Carta delle Nazioni Unite e allo Statuto della Corte, una seconda, mediante un accordo o la dichiara-zione unilaterale dianzi ricordata.

9. Negli ultimi decenni gli Stati hanno mostrato un’ampia dispo-

nibilità a istituire tribunali permanenti, specie all’interno di organizza-zioni internazionali. A livello tendenzialmente “mondiale” tali tribu-nali hanno una competenza specializzata in determinate materie, come il Tribunale Internazionale del Diritto del Mare, istituito dalla Conven-zione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, e l’Organo di Appello, il quale opera nel quadro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, istituita con l’Accordo di Marrakech del 15 aprile 1994. Una “specializzazione” è rinvenibile anche in tribunali permanenti di natura penale, destinati a giudicare i crimini internazio-nali degli individui. A parte alcuni tribunali ad hoc, istituiti solita-mente con risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (si pensi al Tribunale Penale Internazionale per la ex Iugoslavia, costi-tuito con la risoluzione n. 827 del 25 maggio 1993) – aventi una com-petenza speciale riguardo a un dato territorio e situazione – va ricorda-ta, sul piano “universale”, la Corte Penale Internazionale istituita dalla Convenzione di Roma del 17 luglio 1998, potenzialmente destinata a giudicare i crimini internazionali dell’individuo, da chiunque e in qualsiasi luogo commessi, ma la cui giurisdizione è pur sempre subor-dinata, di regola, all’accettazione dello Stato coinvolto dal crimine (o in quanto il reo ne sia cittadino, o perché nel suo territorio il crimine sia stato commesso), salvo che il caso sia deferito alla Corte dal Con-siglio di Sicurezza.

Un intenso sviluppo della giurisdizione si è determinato anche a livello regionale, cioè in organizzazioni (o accordi) internazionali, co-stituiti tra gruppi più ristretti di Stati, appartenenti, solitamente, a un medesimo contesto geo-politico. L’omogeneità che, sotto diversi pro-fili, caratterizza tali raggruppamenti, determina una maggiore, reci-proca fiducia fra gli Stati, che favorisce la loro disponibilità ad assog-gettarsi a tribunali permanenti per il regolamento delle controversie e, più ampiamente, per assicurare il rispetto del diritto nell’ambito delle competenze dell’organizzazione, o delle materie oggetto dell’accordo. Basti ricordare, nel continente europeo, la Corte di Giustizia dell’U-nione Europea, la quale, come dichiara l’art. 19 del Trattato sull’Unio-ne Europea, «assicura il rispetto del diritto nell’interpretazione e nel-l’applicazione dei Trattati» e, a tal fine, è provvista di una pluralità di

Page 15: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

21

competenze, anche molto “invasive” della sovranità degli Stati mem-bri; nonché, nel campo della protezione dei diritti umani, la Corte Eu-ropea dei Diritti dell’Uomo, la quale, a certe condizioni, può essere a-dita da chiunque sia soggetto alla giurisdizione di uno Stato parte, ove ritenga che tale Stato abbia violato uno dei diritti riconosciuti nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950. Il novero dei tribunali internazionali permanenti si amplia ulteriormente nel quadro delle numerose organizzazioni regio-nali create negli altri continenti, in particolare in Africa e ancor più in America latina.

Vi è stata, quindi, una profonda trasformazione nell’atteggia-mento degli Stati verso la giurisdizione internazionale, un tempo guardata con scarsa fiducia, se non con malcelato sospetto, tanto che l’unico tribunale permanente era, in definitiva, la Corte Internazionale di Giustizia (e ancor prima, all’epoca della Società delle Nazioni, la sua “antenata”, la Corte Permanente di Giustizia Internazionale). Og-gi, in un clima di maggiore disponibilità degli Stati a limitare la pro-pria sovranità e a sottoporsi all’autorità di tribunali internazionali – clima favorito dall’emersione di interessi e di valori comuni dell’inte-ra Comunità internazionale o, almeno, di gruppi omogenei di Stati, ma anche da eventi politici, come la fine del bipolarismo Est-Ovest –, si assiste a una vera “proliferazione” di tribunali permanenti. Tale feno-meno è sicuramente apprezzabile, poiché moltiplica i procedimenti e le opportunità di risolvere in maniera obbligatoria e pacifica le contro-versie internazionali e, in senso più ampio, di garantire il rispetto del diritto nelle relazioni internazionali e anche nei confronti degli indivi-dui, sia che si tratti di tutelare i loro diritti fondamentali, sia, per con-verso, che si tratti di accertare la loro responsabilità penale e procede-re alla loro punizione. Esso, peraltro, come vedremo, solleva anche ta-luni problemi e possibili inconvenienti.

10. Se in qualsiasi ordinamento giuridico (non solo in quelli di

common law) la giurisprudenza, come “diritto vivente”, finisce per in-fluenzare gli stessi contenuti del diritto sostanziale, quanto meno con-tribuendo a “imporre”, o almeno a rafforzare determinate interpre-tazioni, il fenomeno è ancor più incisivo nel diritto internazionale.

Va considerato, anzitutto, che il diritto internazionale generale è costituito essenzialmente da norme consuetudinarie, che nascono dalla prassi degli Stati (e degli altri soggetti di diritto internazionale), ac-compagnata dalla opinio iuris sive necessitatis, cioè dal diffuso con-

Page 16: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

22

vincimento che essa sia conforme a una regola giuridica internazio-nale. Esso, per sua natura, è quindi uno ius non scriptum, la cui cono-scenza – prima ancora della sua interpretazione – risulta ben più pro-blematica, rispetto alle norme poste in accordi, o altre fonti scritte di diritto internazionale, e il cui contenuto presenta inevitabili margini di incertezza. La giurisprudenza internazionale, pertanto, svolge un ruolo importante nell’accertare, in primo luogo, l’esistenza di una norma consuetudinaria e, quindi, nel chiarire e definire il suo contenuto.

Sotto questo profilo la funzione della giurisprudenza internazio-nale va al di là della efficacia obbligatoria del giudicato (limitata alla causa decisa) e contribuisce all’accertamento e al consolidamento del-la norma consuetudinaria in questione. Tale funzione è espressamente assegnata alla giurisprudenza (anche) internazionale dall’art. 38, par. 1, lett. d), dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, che – come si è ricordato –, nell’enunciare i criteri in base ai quali la stessa Corte deve pronunciare la sua sentenza, menziona le decisioni giudi-ziarie come mezzi, per quanto sussidiari, per la determinazione delle norme giuridiche. La giurisprudenza è quindi riconosciuta come fonte, sia pure solo di cognizione, del diritto internazionale; fonte, peraltro, che, contribuendo alla “determinazione” delle norme giuridiche, ne consolida il contenuto e il significato.

Per quanto riguarda il diritto di origine convenzionale, ove esista un giudice internazionale competente a interpretare e ad applicare le norme in questione, l’autorità della sua giurisprudenza di imporre, al di là del caso oggetto della sentenza, l’interpretazione delle norme è particolarmente forte ed è riconosciuta in maniera pressoché pacifica dai giudici nazionali.

Tale fenomeno è particolarmente evidente nel sistema della Con-venzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nel quale spetta alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di assicurare il rispetto degli impegni derivanti dalla Convenzione e dai suoi Protocolli alle Alte parti con-traenti (art. 19) ed è ad essa attribuita la competenza su tutte le que-stioni concernenti l’interpretazione e l’applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli che le siano sottoposte in conformità della stessa Convenzione (art. 32). Le note sentenze della Corte costituzionale ita-liana n. 348 e n. 349 del 24 ottobre 2007 non hanno solo affermato che la Convenzione gode di una garanzia costituzionale in virtù dell’art. 117, 1° comma, Cost. (novellato dalla legge costituzionale del 18 ot-tobre 2001 n. 3), il quale subordina la potestà legislativa al rispetto degli obblighi internazionali, con conseguente dichiarazione d’inco-

Page 17: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

23

stituzionalità di una legge che sia in conflitto con la Convenzione. Tali sentenze – ed è questo il profilo che qui viene in rilievo –, riprendendo spunti già presenti nella precedente giurisprudenza costituzionale (e seguite dalle sentenze successive), dichiarano altresì che il giudice ita-liano deve interpretare le norme interne conformandosi alla Conven-zione Europea, per come quest’ultima è interpretata dalla Corte Euro-pea, alla quale, come ha cura di sottolineare la citata sentenza n. 349, spetta l’ultima parola nell’interpretazione della Convenzione. Secondo tale giurisprudenza l’adempimento, da parte del giudice nazionale, del dovere di sforzarsi di interpretare il diritto interno in conformità delle rilevanti disposizioni della Convenzione Europea, come interpretate dalla Corte Europea, costituisce una condizione di ammissibilità della stessa questione di costituzionalità: solo qualora, malgrado ogni sforzo di conformare la norma interna alla disposizione della Convenzione Europea, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, per-manga un conflitto irriducibile della norma interna con quella conven-zionale, il giudice nazionale può (e deve) sottoporre la questione alla Corte costituzionale (tra le altre, sentenza della Corte costituzionale n. 239 del 24 luglio 2009).

Alla luce della giurisprudenza costituzionale le sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo finiscono per avere un’efficacia che travalica quella propria del giudicato poiché appaiono dotate di un’autorità di “chose interprétée” (come è stato efficacemente affer-mato dalla dottrina francese), la quale s’impone nel definire l’interpre-tazione della Convenzione, e quindi il contenuto e la portata dei diritti da essa contemplati. Si noti che, se tale autorità interpretativa ha quale oggetto immediato e diretto le disposizioni della Convenzione Euro-pea, essa si estende, in via indiretta, alla legislazione statale, la quale – come si è visto – va interpretata, finché sia possibile, “conformando-la”, in definitiva, alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Quest’ultima ha l’autorità, dunque, di consolidare una data interpreta-zione sia delle norme convenzionali che di quelle nazionali. E, per quanto riguarda le seconde, tale interpretazione ben può imporsi a quella che risulterebbe dai consistenti criteri ermeneutici, risultanti dall’art. 12 disp. prel. cod. civ.

Ancor più “autorevoli” sono le sentenze interpretative rese dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, in specie nell’esercizio della competenza pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 del Trattato sul Funzio-namento dell’Unione Europea. Com’è noto, esse, oltre all’obbligato-rietà che rivestono nei confronti del giudice nazionale che abbia sotto-

Page 18: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

24

posto la questione interpretativa (o di validità), producono un’efficacia interpretativa che trascende il giudice a quo e si impone erga omnes. Anche la giurisprudenza italiana, comprensiva di quella costituziona-le, ha più volte affermato che le sentenze interpretative della Corte di Giustizia, se riguardino norme europee direttamente applicabili, hanno anche esse tale efficacia diretta. La nostra Corte costituzionale, per sottolineare tale efficacia delle sentenze interpretative, si è spinta sino a ricomprendere dette sentenze tra le “fonti” del diritto (all’epoca) comunitario (sentenza n. 285 del 16 giugno 1993).

Gli effetti delle sentenze della Corte di Giustizia non si arrestano al livello interpretativo. Esse, infatti, quando sono direttamente appli-cabili, sono provviste (come tutto il diritto dell’Unione che abbia tale carattere) di un primato rispetto alle norme interne contrastanti, le quali, pertanto, devono essere “disapplicate”, applicando al loro posto le sentenze della Corte. Queste ultime, quindi, operano sul piano della concreta applicazione, non più solo dell’interpretazione, del diritto e finiscono per produrre, nella sostanza, un effetto abrogativo delle norme interne in questione.

Se si considera che, il più delle volte, le sentenze interpretative della Corte di Giustizia, pur avendo quale oggetto formale disposizio-ni del diritto dell’Unione, in realtà si pronunciano sulla compatibilità o meno, con tali disposizioni, di norme interne, ci si rende conto che l’“inapplicabilità” delle norme interne giudicate incompatibili con il diritto dell’Unione rappresenta un fenomeno non solo particolarmente invasivo, rispetto all’ordinamento interno, ma anche di portata alquan-to ampia. Un esempio, che ha destato vasta risonanza, è rappresentato dalla sentenza della Corte di Giustizia del 28 aprile 2011, causa C-61/11 PPU, resa nel caso El Dridi; essa ha dichiarato incompatibile con la direttiva 2008/115/CE (c.d. rimpatri) del 16 dicembre 2008 la normativa italiana contenuta nell’art. 14, 5° comma ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, modificato dalla legge 15 luglio 2009 n. 94, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica, la quale comminava una pena detentiva ai soggiornanti irregolari che non avessero adempiuto l’ordine di lasciare il territorio italiano. A se-guito di tale sentenza, considerata, al pari delle disposizioni rilevanti della direttiva rimpatri, direttamente applicabile nell’ordinamento ita-liano, la nostra giurisprudenza ha correttamente assolto l’imputato del reato in questione poiché il fatto non costituisce (più) un reato (Cass. pen. 1° giugno 2011 n. 22105, pronunciata il 28 aprile, cioè nella stes-

Page 19: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

25

sa data della sentenza della Corte di Giustizia, e Cass. pen. 15 giugno 2011 n. 24009).

11. La giurisprudenza internazionale non svolge solo una (incisi-

va) funzione interpretativa, ma si inserisce nel processo di formazione del diritto, in particolare di quello consuetudinario.

Abbiamo già osservato che, ai sensi dell’art. 38, par. 1, lett. d), dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, la giurisprudenza rappresenta uno strumento, sia pure sussidiario, di determinazione del-le norme giuridiche e che, in tale ruolo, essa contribuisce all’accerta-mento e all’interpretazione del diritto. Ma la giurisprudenza interna-zionale svolge un ruolo anche di impulso alla formazione delle norme consuetudinarie, un ruolo in qualche misura persino creativo di tali norme.

Le norme consuetudinarie – come si è già ricordato e come è stato costantemente ribadito proprio dalla giurisprudenza internazionale – sono costituite da una prassi conforme ripetuta nel tempo (diuturnitas) e dal convincimento della sua conformità a precetti giuridici (opinio iuris). Tali elementi possono stentare a manifestarsi e a delinearsi con chiarezza, per una situazione di incertezza nella quale gli stessi Stati si trovino, o per una difficoltà nel definire il preciso contenuto norma-tivo desumibile da comportamenti e opinioni non sufficientemente uniformi o coerenti, o, se non altro, perché siano sporadiche le occa-sioni di manifestazione della prassi o dell’opinio iuris. Ora, la giuri-sprudenza, riguardo a norme per loro natura “vaghe”, può contribuire ad accertare autorevolmente l’avvenuta maturazione del processo con-suetudinario di formazione, così “certificando” la nascita della norma in questione. Inoltre, nella formulazione della pronuncia giudiziaria il contenuto della norma consuetudinaria viene a cristallizzarsi, acqui-stando un grado di certezza e precisione inesistente in precedenza. In-fine, rispetto a consuetudini che possano apparire obiettivamente an-cora in via di formazione, e quindi di dubbia esistenza, una eventuale sentenza internazionale che ne faccia applicazione, sancendone così la nascita, opera come fattore di stimolo sia di una conforme condotta degli Stati, sia di un rafforzamento della loro opinio iuris.

In definitiva, rispetto al diritto consuetudinario, la giurisprudenza svolge una funzione di chiarimento, di stimolo, di accelerazione del processo di produzione normativa. Non è agevole stabilire sino a che punto, esattamente, tale funzione rientri in quella meramente interpre-tativa, quale configurata dal citato art. 38, par. 1, lett. d), dello Statuto

Page 20: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

26

della Corte Internazionale di Giustizia, e quando, invece, essa travali-chi il piano interpretativo per collocarsi in un quadro di produzione normativa, inserendosi nel processo di formazione del diritto interna-zionale consuetudinario. Ma una delimitazione tra le due funzioni, in-terpretativa e produttiva delle norme consuetudinarie, non è stretta-mente necessaria e, forse, neppure possibile, poiché, rispetto a norme non scritte, sembra quasi inevitabile che il ruolo di accertamento del diritto sfoci, in un continuum, nel ruolo in qualche misura “creativo” del diritto. Come abbiamo già osservato, lo stesso termine “determina-zione” (delle norme giuridiche), impiegato dalla suddetta disposizione dello Statuto della Corte, sembra evocare una missione che supera quella puramente interpretativa e deborda in quella di produzione normativa.

Occorre ricordare, da ultimo, che – a parte il contributo che la giurisprudenza può fornire in sede di interpretazione e di applicazione del diritto – essa entra a pieno titolo nella prassi internazionale. Cioè, la stessa giurisprudenza (al pari di quella interna) è un elemento de-terminante per la formazione di una norma consuetudinaria. In questa ottica la giurisprudenza svolge, in maniera diretta, un ruolo creativo del diritto consuetudinario, intrecciandosi con la condotta degli Stati, la prassi diplomatica, la prassi legislativa, quella giudiziaria interna e il comportamento degli altri soggetti e attori sulla scena interna-zionale.

Le osservazioni che precedono richiedono alcune precisazioni. Anzitutto l’incidenza della giurisprudenza internazionale sulla forma-zione del diritto consuetudinario prescinde dall’autorità giuridico-formale della sentenza, cioè dalla sua obbligatorietà, ma discende piuttosto dalla autorevolezza del giudice e dalla qualità della sua pro-nuncia. In principio, per esempio, non vi è dubbio che le pronunce della Corte Internazionale di Giustizia (come già della Corte Perma-nente di Giustizia Internazionale), che resta tuttora l’unico giudice in-ternazionale a competenza tendenzialmente universale, sia sul piano soggettivo degli Stati che su quello oggettivo delle controversie (giuri-diche), rivestano un’autorevolezza particolarmente elevata e rappre-sentino un punto di riferimento ineludibile nella ricostruzione delle norme internazionali. In secondo luogo, poiché il fondamento della ef-ficacia della giurisprudenza non risiede nella obbligatorietà, ma nel-l’autorevolezza delle pronunce, ai fini qui considerati alle sentenze della Corte Internazionale di Giustizia possono equipararsi i suoi pare-ri consultivi. E invero, nella prassi degli Stati e delle organizzazioni

Page 21: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

27

internazionali, nella giurisprudenza, sia internazionale che interna, nella dottrina, il richiamo alla giurisprudenza della Corte – a sostegno dell’una o dell’altra tesi – comprende in maniera indifferente sia le sentenze che i pareri consultivi. Infine, il contributo che la giurispru-denza internazionale può offrire alla formazione del diritto consuetu-dinario (come, del resto, al consolidamento dell’interpretazione di qualsiasi norma, consuetudinaria o convenzionale) dipende anche dal-la continuità e dalla uniformità delle pronunce. In presenza di pronun-ce contraddittorie, provenienti dallo stesso giudice o da giudici diffe-renti, non è possibile, evidentemente, attribuire un peso significativo alla giurisprudenza, non solo nella formazione del diritto, ma neppure al fine di affermare una data interpretazione.

12. Gli esempi del contributo “innovativo” dato dalla giurispru-

denza internazionale al diritto consuetudinario sono numerosi. Può ri-cordarsi il parere della Corte Internazionale di Giustizia del 28 maggio 1951 relativo alle riserve alla Convenzione delle Nazioni Unite del 9 dicembre 1948 sul genocidio, nel quale la Corte affermò l’ammissibi-lità di tali riserve, purché compatibili con l’oggetto e lo scopo del trat-tato, anche se non espressamente previste, mentre, in precedenza, l’apposizione di siffatte riserve da parte di uno Stato ne avrebbe pre-cluso la partecipazione al trattato. Significativa è anche la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 20 febbraio 1969 sulla piat-taforma continentale del mare del Nord, la quale dichiarò che, ai fini della delimitazione della piattaforma continentale tra Stati limitrofi o che si fronteggino, la regola della equidistanza, contenuta nella Con-venzione di Ginevra del 29 aprile 1958 sulla piattaforma continentale, non corrispondeva al diritto consuetudinario e che, alla luce di quest’ultimo, la delimitazione dovesse effettuarsi mediante principi di equità. Tale affermazione fu ripetutamente ribadita, sia dalla stessa Corte che da tribunali arbitrali, mano a mano che progredivano i lavori della terza Conferenza delle Nazioni Unite sul diritto del mare, in una relazione di reciproca influenza; e tali lavori condussero alla formula-zione, nella Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 10 dicembre 1982, dell’art. 83, il quale sostanzialmente esprime la suddetta regola della equa delimitazione.

Quest’ultimo esempio mostra come la giurisprudenza internazio-nale sia idonea a orientare in maniera talvolta decisiva l’opera di codi-ficazione e di progressivo sviluppo del diritto internazionale (il cui compito è assegnato dall’art. 13 della Carta delle Nazioni Unite

Page 22: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

28

all’Assemblea Generale). Anche in materia di riserve ai trattati, inve-ro, il dictum della Corte nel citato parere del 1951 incise in larga misu-ra sul contenuto dell’art. 19 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio 1969.

La giurisprudenza internazionale, specie (ma non solo) della Cor-te Internazionale di Giustizia, ha dato, inoltre, un poderoso impulso alla nascita di nuove categorie di norme internazionali, le quali, in vir-tù della loro struttura e del loro contenuto, esprimono – e tutelano – valori condivisi dall’intera Comunità internazionale. Ci riferiamo, an-zitutto, alle norme che prescrivono obblighi erga omnes, obblighi, cioè, che ogni Stato ha nei confronti di tutti gli altri Stati (se non del-l’intera Comunità internazionale) e dei quali, pertanto, tutti gli altri Stati (o l’intera Comunità internazionale) hanno titolo a pretendere il rispetto. Si tratta di norme la cui specifica fisionomia risalta partico-larmente quando vengono violate, poiché, in tal caso, non producono un illecito nei confronti di un singolo Stato leso (Stato che, anzi, può addirittura mancare, come nel caso di crimini quali il genocidio o l’apartheid), ma di ogni altro Stato o dell’intera Comunità internazio-nale. Ora, tale categoria di norme internazionali – nuova, poiché le al-tre norme danno vita a rapporti esclusivamente bilaterali tra gli Stati di volta in volta coinvolti nella loro applicazione (o violazione) – fu indi-viduata in un celebre obiter dictum (invero, neppure necessario ai fini della decisione della causa) contenuto nella sentenza della Corte Inter-nazionale di Giustizia del 15 febbraio 1970 nell’affare Barcelona Traction, nel quale la Corte pose «an essential distinction […] between the obligations of a State towards the international com-munity as a whole, and those arising vis-à-vis another State […]. By their very nature the former are the concern of all States. In view of the importance of the rights involved, all States can be held to have a legal interest in their protection; they are obligations erga omnes». La Corte diede corpo alla sua affermazione teorica indicando, quali esempi di norme comportanti obblighi erga omnes, il divieto di ag-gressione, il divieto di genocidio, la protezione della persona contro la schiavitù e la discriminazione razziale. Essa precisò, inoltre, che alcu-ne di queste norme sono entrate a fare parte del diritto internazionale generale, altre sono contenute in accordi internazionali di carattere universale o quasi universale.

L’influenza che la pronuncia della Corte ha avuto sullo sviluppo del diritto internazionale e sulla sua codificazione è testimoniato, tra l’altro, dal recepimento di tale categoria di norme internazionali nel

Page 23: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

29

Progetto di articoli della Commissione del Diritto Internazionale del 3 agosto 2001 sulla responsabilità degli Stati per fatti internazionalmen-te illeciti, nel quale si prevede espressamente che, in caso di violazio-ne di dette norme, anche gli Stati “terzi” (rispetto a quello, eventual-mente, direttamente leso) possono chiedere all’autore dell’illecito la cessazione dell’illecito, la garanzia di non ripetizione, la riparazione nell’interesse dei beneficiari del diritto violato e, a tal fine, possono adottare contromisure lecite (art. 48). La Corte, da parte sua, non si è limitata all’enunciazione della categoria degli obblighi erga omnes, me ne ha fatto concreta applicazione nella giurisprudenza successiva, come nel parere del 9 luglio 2004 concernente la costruzione, ad opera di Israele, di un muro nei territori palestinesi, con riferimento al dirit-to di autodeterminazione del popolo palestinese e a talune norme di diritto internazionale umanitario, applicabili a detti territori in quanto considerati oggetto di occupazione bellica.

Di estrema rilevanza è il contributo dato dalla giurisprudenza in-ternazionale al rafforzamento e alla precisazione di una categoria di norme internazionali consuetudinarie, quelle di carattere imperativo (o di ius cogens), affini a quelle che pongono obblighi erga omnes (e so-vente coincidenti nei contenuti), anch’esse espressione di valori con-divisi dall’intera Comunità internazionale e come tali inderogabili e assistite da una particolare forza precettiva. Esse sono definite nell’art. 53 della citata Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati fra Stati (come nella corrispondente disposizione della Convenzione di Vienna del 21 marzo 1986 sul diritto dei trattati fra Stati e organizza-zioni internazionali e fra organizzazioni internazionali) come norme del diritto internazionale generale accettate e riconosciute dalla Co-munità internazionale degli Stati nel suo insieme come norme alle quali non è consentita alcuna deroga e che possono essere modificate soltanto da una successiva norma di ius cogens. L’inderogabilità di ta-li norme determina la nullità dei trattati che fossero in conflitto con es-se. Inoltre, in caso di illecito consistente nella loro violazione, è previ-sto un regime aggravato di responsabilità; ai sensi dell’art. 41 del ri-cordato Progetto di articoli sulla responsabilità internazionale degli Stati, oltre alle consuete conseguenze dell’illecito, la violazione grave di un obbligo derivante da una norma imperativa del diritto interna-zionale generale comporta, per tutti gli Stati, l’obbligo di cooperare per porre fine con mezzi leciti a tale violazione e quello di non ricono-scere come legittima una situazione creata attraverso la violazione, né di prestare aiuto o assistenza al mantenimento di detta situazione.

Page 24: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

30

La Corte Internazionale di Giustizia, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, i tribunali penali internazionali hanno fornito un apporto decisivo alla precisazione delle norme rientranti nella categoria dello ius cogens, qualificando come crimini internazionali le loro violazioni. Risalta, in tale giurisprudenza, la costante riaffermazione del divieto di genocidio come contenuto di una norma imperativa del diritto in-ternazionale generale e tale da configurare, se violato, un crimine in-ternazionale. Possono ricordarsi, tra le altre, le sentenze della Corte Internazionale di Giustizia del 3 febbraio 2006, Congo c. Uganda, sul-le attività militari in Congo, e quella del 26 febbraio 2007, Bosnia-Erzegovina c. Serbia, relativa alla Convenzione sul genocidio, e la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 12 luglio 2007, Jorgic c. Repubblica federale di Germania.

Le gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, come le uccisioni di civili e di prigionieri, e la deportazione in condizioni di schiavitù sono anch’esse giudicate come vietate da norme di ius co-gens (si veda la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 3 febbraio 2012, Repubblica federale di Germania c. Italia); altrettanto può dirsi, in generale, per le violazioni più gravi dei diritti umani, co-me la tortura (in questo senso, tra le altre, la sentenza del Tribunale Penale Internazionale per la ex Iugoslavia del 10 dicembre 1998, Fu-rundzija, e quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 21 novembre 2001, Al-Adsani c. Regno Unito).

Un esame a parte meriterebbe la Corte di Giustizia dell’Unione Europea; la sua giurisprudenza, infatti, ha dato vita a una sorta di ius praetorium consistente nei principi generali del diritto dell’Unione, i quali costituiscono una rilevante categoria di fonti del suo ordinamen-to e comprendono principi basilari nella stessa costruzione del diritto dell’Unione, quali il primato di tale diritto rispetto al diritto nazionale confliggente, l’effetto diretto, in virtù del quale i singoli possono invo-care i diritti derivanti dal diritto dell’Unione dinanzi ai giudizi nazio-nali, l’intera categoria dei diritti umani fondamentali, l’effetto utile, l’obbligo degli Stati di risarcire i danni provocati ai singoli per la vio-lazione del diritto dell’Unione, ecc.

13. La “proliferazione” dei tribunali internazionali, se, da un lato,

accresce il loro contributo alla definizione e allo sviluppo del diritto internazionale, può presentare anche taluni inconvenienti (nella vasta bibliografia in materia segnaliamo HIGGINS, A Babel of judicial voi-ces? Ruminations from the Bench, in ICLQ, 2006, 791 ss.; CONFORTI,

Page 25: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

31

Unité et fragmentation du droit international: «Glissez, mortels, n’appuyez pas!», in RGDIP, 2007, 5 ss.; TREVES, Fragmentation of international law: the judicial perspective, in Com. St., vol. XXIII, 2007, 821 ss.; e, con particolare riguardo al diritto del mare, VIRZO, Il regolamento delle controversie nel diritto del mare, Padova, 2008). Nella Comunità internazionale non esiste, infatti, un ordinamento giu-diziario unitario; pertanto ciascun tribunale, istituito, di regola, in for-za di un accordo internazionale, ha una competenza, soggettiva e og-gettiva, circoscritta all’accordo istitutivo, né vi è alcun rapporto for-male fra tali accordi e, di conseguenza, fra tali tribunali, ognuno dei quali è isolato, per così dire, all’interno di un proprio ordinamento. Come dichiarò la Camera di appello del Tribunale Penale Internazio-nale per la ex Iugoslavia nella sentenza del 2 ottobre 1995, nel caso Tadić, «in international law, every tribunal is a self-contained system (unless otherwise provided)».

Tale situazione può implicare, anzitutto, che la stessa contro-versia, o controversie strettamente connesse, siano sottoposte (presu-mibilmente da parti differenti) a due diversi tribunali, l’uno, per esem-pio, come la Corte Internazionale di Giustizia, avente una competenza tendenzialmente generale nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto internazionale, l’altro, come il Tribunale Internazionale del Di-ritto del Mare, avente invece una competenza specializzata. Può così determinarsi una “litispendenza” fra i due giudici, ciascuno dei quali, in principio, sarà indotto a valutare la propria competenza alla luce dell’accordo istitutivo dello stesso senza che rilevi il processo iniziato dinanzi all’altro tribunale, data la “separatezza” e la reciproca indiffe-renza degli accordi che ne istituiscono la competenza. In secondo luo-go, a seguito del possibile promovimento di diversi processi riguardo alla medesima controversia (o a controversie strettamente connesse e differenziate, al limite, solo dalla causa petendi, fondata su accordi di-stinti), sussiste il rischio di più sentenze rese sulla medesima contro-versia. In assenza di un ordinamento giudiziario unitario, nel quale a nessun giudice, neppure alla pure autorevole Corte Internazionale di Giustizia, può riconoscersi una funzione nomofilattica, è ben possibi-le, inoltre, che le stesse norme ricevano interpretazioni contraddittorie dai diversi tribunali o che, addirittura, si consolidino indirizzi giuri-sprudenziali divergenti, con evidente pregiudizio, non solo per la cer-tezza del diritto, ma per il ruolo propulsivo che – come abbiamo visto – la giurisprudenza può svolgere nello sviluppo del diritto internazio-nale. Infine – come una parte della dottrina ha denunciato – la prolife-

Page 26: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

32

razione dei tribunali internazionali produrrebbe una “frammentazione” del diritto internazionale in una pluralità di sistemi di per sé completi e autosufficienti, in corrispondenza all’accordo istitutivo di ciascun tri-bunale e al diritto (solitamente “specializzato”) che esso sia chiamato ad applicare, minando l’unità dell’ordinamento internazionale, la cer-tezza del diritto, il valore delle norme generali.

14. Riguardo alla “litispendenza” della stessa controversia, o di

controversie strettamente connesse, dinanzi a due tribunali, la quale potrebbe condurre a sentenze contraddittorie, talvolta le stesse disposi-zioni degli accordi concernenti la soluzione delle controversie regola-no il coordinamento con altri procedimenti di soluzione eventualmente esperibili. È il caso della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, la quale dispone che, se le parti di una controversia concernente l’interpretazione o l’applicazione della Convenzione ab-biano convenuto che la controversia sia sottoposta a un procedimento che comporti una decisione obbligatoria, tale procedimento si appli-cherà in luogo di quelli previsti dalla Convenzione (art. 282).

In altri accordi, al contrario, ove sussista la competenza del tribu-nale da essi istituito, è vietato alle parti di sottoporre la controversia a un altro, diverso procedimento (si vedano l’art. 23 dell’Intesa sulla so-luzione delle controversie nell’Organizzazione Mondiale del Commer-cio, l’art. 55 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, l’art. 344 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea). In mancan-za di norme siffatte (o nell’ipotesi in cui una delle parti non le rispetti e adisca un tribunale diverso da quello al quale dovrebbe sottoporsi) non sembra che possano rinvenirsi nel diritto internazionale generale – proprio per l’assenza di un ordinamento giudiziario unitario – principi idonei a risolvere i casi di litispendenza.

Nella prassi, peraltro, è ravvisabile una tendenza dei tribunali in-ternazionali a coordinarsi tra di loro, sospendendo l’uno, per ragioni di comity (comitas gentium), il procedimento in attesa che l’altro si pro-nunci sulla propria competenza, o un atteggiamento delle stesse parti della controversia, inclini a chiedere la sospensione del procedimento, o addirittura di entrambi, al fine di ricercare una soluzione della con-troversia.

Come si è detto, non può escludersi, in teoria, l’eventualità di due sentenze contraddittorie sulla medesima controversia o su controversie connesse, sicché, per esempio, alla stregua di una sentenza una certa condotta sia lecita e, secondo un’altra sentenza, costituisca invece un

Page 27: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

33

illecito. Non esistendo un ordinamento giudiziario unico, infatti, non sembra configurabile (se non dinanzi allo stesso giudice) un’autorità della sentenza internazionale di res iudicata in senso processuale, cioè quale decisione definitiva e immutabile, preclusiva della possibilità di sottoporre la controversia oggetto della decisione dinanzi a un nuovo giudice (o anche ad un diverso procedimento di soluzione delle con-troversie). Tuttavia il rischio di una successiva sentenza che si pronun-ci su una controversia in maniera contrastante rispetto alla precedente sentenza di altro giudice dovrebbe essere comunque scongiurato. La sentenza, infatti, secondo il diritto internazionale è obbligatoria tra le parti, per cui anche un giudice adìto in via successiva, riguardo alla controversia già decisa, è tenuto a farne applicazione. Egli, pertanto – salvo il caso in cui le parti, congiuntamente, decidano di rivolgersi a tale giudice rinunziando agli effetti della precedente sentenza –, sa-rebbe tenuto a riconoscere l’obbligatorietà di tale sentenza e, di con-seguenza, gli obblighi e i diritti da essa scaturenti.

Sussiste poi la possibilità che i tribunali internazionali, sia pure riguardo a differenti controversie, emettano sentenze contrastanti sulla medesima questione giuridica. È celebre, in proposito, la divergente posizione assunta dalla Corte Internazionale di Giustizia e dalla Ca-mera di appello del Tribunale Penale Internazionale per la ex Iugosla-via sul problema della imputabilità allo Stato di un atto illecito com-messo da gruppi irregolari. Secondo la Corte Internazionale di Giusti-zia affinché l’atto illecito sia imputato allo Stato (con sua conseguente responsabilità) è necessario che il gruppo irregolare abbia agito in conformità delle istruzioni o sotto il controllo effettivo dello Stato nel corso delle operazioni nelle quali la violazione sia stata commessa. Occorre, in altri termini, che il controllo effettivo, o le istruzioni, siano esercitati sulla specifica condotta illecita, non essendo sufficiente un controllo di carattere generale (per quanto effettivo) dello Stato sul gruppo (sentenza del 27 giugno 1986, Nicaragua c. Stati Uniti, riguar-do alle attività militari e paramilitari in Nicaragua e contro il Nicara-gua). Al contrario, la Camera di appello del Tribunale Penale Interna-zionale per la ex Iugoslavia, nella citata sentenza del 14 luglio 1999 nell’affare Tadić, ha ritenuto sufficiente un controllo generale (“ove-rall control”) da parte dello Stato, consistente, per esempio, nella dire-zione strategica, nel finanziamento, nella fornitura di armi, anche se lo Stato in questione non sia coinvolto nello specifico atto illecito.

La Corte Internazionale di Giustizia è tornata sulla questione nel-la sentenza del 26 febbraio 2007 (Bosnia-Herzegovina c. Serbia e

Page 28: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

34

Montenegro, nell’affare concernente l’applicazione della Convenzione sul genocidio), riaffermando la propria giurisprudenza e, in un certo senso, richiamando il Tribunale Penale Internazionale per la ex Iugo-slavia a … restare nei limiti della sua competenza. La Corte, infatti, «attaches the utmost importance to the factual and legal findings made by the ICTY in ruling on the criminal liability of the accused before it»; ma, osserva ancora la Corte: «The situation is not the same for po-sitions adopted by the ICTY on issues of general international law which do not lie within the specific purview of its jurisdiction and, moreover, the resolution of which is not always necessary for deciding the criminal cases before it». Insomma, per quanto riguarda il diritto internazionale generale la Corte rivendica la sua autorità interpretati-va.

Il contrasto, peraltro, non va sopravvalutato. Anzitutto sentenze discordanti sono possibili (e inevitabili) da parte dello stesso organo giudiziario, anche nazionale, specie ove diversa ne sia la composizio-ne (come le diverse sezioni della Corte di cassazione). Nella prassi, inoltre, sono estremamente frequenti non già i contrasti tra giudici in-ternazionali, ma – al contrario – una sorta di costante dialogo, fatto di riferimenti reciproci alle rispettive decisioni, di uso della giurispru-denza di un altro giudice quale precedente ai fini della propria deci-sione, di influenza delle sentenze dell’uno sulle decisioni dell’altro giudice. Gli esempi sono innumerevoli, sicché un loro richiamo non sarebbe possibile, ma basti ricordare i continui riferimenti che la stes-sa Corte Internazionale di Giustizia fa ai precedenti dei giudici “spe-cializzati”, come – lo si è appena notato – il Tribunale Penale Interna-zionale per la ex Iugoslavia, o la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (si veda la citata sentenza del 3 febbraio 2012, Repubblica federale di Germania c. Italia); o l’influenza che la Corte Europea dei Diritti del-l’Uomo esercita (ovviamente per le questioni concernenti tali diritti) sulla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, come dimostra la recen-te vicenda relativa al regolamento “Dublino II” (regolamento n. 343/2003 del 18 febbraio 2003) sullo Stato competente a esaminare la domanda di asilo, nella quale la Corte di giustizia, con la sentenza del 21 dicembre 2011, causa C-411/10 e C-493/10, N. S., si è sostanzial-mente adeguata alla precedente sentenza della Corte Europea dei Di-ritti dell’Uomo del 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia. Fre-quenti sono anche i richiami delle Corti latino-americane alla giuri-sprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di mu-tuare i principi generali da essa elaborati. E il “dialogo” investe pure i

Page 29: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

35

tribunali arbitrali, come dimostra la frequente convergenza tra la giuri-sprudenza arbitrale e quella della Corte Internazionale di Giustizia nelle controversie confinarie, sia marittime che terrestri.

Anche il fenomeno della “frammentazione” del diritto interna-zionale, quale conseguenza del funzionamento di una pluralità di tri-bunali (in specie di quelli specializzati in determinate materie), seb-bene abbia costituito oggetto di studio e di riflessione anche da parte della Commissione del Diritto Internazionale, non va drammatizzato. Esso, anzitutto, può spiegarsi con il carattere “speciale”, nel senso di diritto internazionale “particolare”, che gli accordi istitutivi di tali tri-bunali presentano: tale carattere non mette in discussione l’esistenza di un ordinamento giuridico internazionale unitario, ma si giustifica molto semplicemente con la derogabilità, propria del diritto interna-zionale generale (eccetto, ovviamente, lo ius cogens). Va sottolineato, inoltre, che il “sistema” nel quale ciascun tribunale opera, e le cui nor-me è chiamato a interpretare e applicare, non è una “monade” isolata; come l’Organo di Appello dell’Organizzazione Mondiale del Com-mercio ha affermato sin da una pronuncia del 29 aprile 1996, l’Accor-do GATT «is not to be read in clinical isolation from public interna-tional law» (United States – Standards for Reformulated and Conven-tional Gasoline); e tale affermazione potrebbe ripetersi per qualsiasi accordo internazionale. Invero, ai sensi dell’art. 31, par. 3, lett. c), del-la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 1969 (le cui norme corrispondono, in principio, al diritto internazionale consuetudinario), anche le disposizioni degli accordi ricadenti nella competenza di cia-scun tribunale devono essere interpretate tenendo conto di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile nei rapporti fra le parti, anzitutto – è da ritenere – delle norme di diritto internazionale generale. Si può ricordare, per esempio, che la Convenzione delle Na-zioni Unite sul diritto del mare del 1982, all’art. 293, dichiara che un tribunale competente ai sensi della Convenzione applica le disposizio-ni della stessa e le altre norme di diritto internazionale non incompa-tibili con la Convenzione. Nella giurisprudenza, inoltre, è “normale” l’applicazione del diritto internazionale generale da parte dei tribunali istituiti da qualsiasi accordo, compresa la Corte di Giustizia dell’U-nione Europea, sebbene il suo ordinamento rappresenti il sistema ap-parentemente più autonomo e autosufficiente del diritto internazionale (tra le più recenti si può menzionare la sentenza del 21 dicembre 2012, causa C-366/10, Air Transport Association of America).

Page 30: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

36

Nessun sistema “parziale” o “settoriale”, del resto, può conside-rarsi isolato (e autosufficiente) rispetto a interi, ampi settori del diritto internazionale generale, come il diritto dei trattati, il regime di respon-sabilità, la sovranità territoriale e le sue limitazioni, il diritto del mare, ecc.

In conclusione, a noi pare che, rispetto a sporadiche divergenze, nei rapporti fra i tribunali internazionali prevalgano nettamente un dia-logo e un confronto costruttivi e “rispettosi”, nei quali può rinvenirsi una tendenza a riconoscere le rispettive “specializzazioni”, senza vin-coli formali, ma mostrando una capillare conoscenza della giurispru-denza di ciascun tribunale e una disponibilità a trarne indicazioni ai fini della elaborazione delle proprie sentenze. Tale tendenza emerge anche dalla giurisprudenza della Corte Internazionale di Giustizia, pur attenta a rivendicare un proprio ruolo quanto meno di orientamento degli altri tribunali e la propria primaria autorità nell’interpretazione del diritto internazionale generale e nella soluzione delle questioni di carattere generale. La “proliferazione” dei tribunali internazionali, in definitiva, appare come fattore propulsivo, di sviluppo, di ricambio del diritto internazionale, per adeguarlo alle mutevoli istanze e bisogni della Comunità internazionale, piuttosto che come possibile causa di crisi dell’unità dell’ordinamento internazionale. In ogni caso, rispetto all’originaria assenza di giudici internazionali, l’attuale pluralità di tribunali permanenti e la loro “specializzazione” offrono un prezioso arricchimento delle opportunità di soluzione delle controversie e, per ciò stesso, forniscono un importante contributo alla pace, riducendo le situazioni conflittuali che ne possono pregiudicare il mantenimento.

ABSTRACT

The Jurisdictional Function in International Law and Its Impact on Substantive Law

This article focuses on the settlement of disputes within the internation-

al community, where there is no institutionalized jurisdictional function. The author starts with an analysis of the evolution of the international rules relat-ed to this topic, recognizing the existence of a customary rule in favour of the peaceful settlement of disputes. He underlines the freedom of choice as regards the means for dispute resolution, a principle which confirms that it is essentially dependent on the will of the international subjects.

Page 31: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.

LA FUNZIONE GIUDIZIARIA NELL’ORDINAMENTO INTERNAZIONALE

37

In the second part of the article, the author evaluates the impact of in-ternational jurisprudence on substantive international law, which has been favoured by the ‘proliferation’ of international courts and tribunals. The analysis comes to the conclusion that this ‘proliferation’, despite some rare disagreement on specific subjects, is an enrichment for the international rules, through a useful process of ‘fertilization’ developed thanks to interna-tional jurisprudence.

Page 32: ARTICOLI E SAGGI - SIOI...stato di tensione tra le parti, siano di per sé suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace, ma riguarda tutte le possibili con-troversie.