Arte Della Provocazione

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 1  L ARTE DELLA PROVOCAZIONE Durante la prima guerra mondiale la Svizzera, da sempre neutrale, rimane un’isola apparentemente felice, dove le notizie e gli orrori della guerra arrivano attutiti. È dunque naturale che proprio in Svizzera si rifugino, da ogni parte d’Europa, intellettuali e artisti che, se fossero rimasti nei rispettivi Paesi, sarebbero stati inevitabilmente inviati al fronte. È in questo paese che, nel gelido febbraio del 1916, alcuni intellettuali eccentrici aprono a Zurigo il  Cabaret Voltaire . Il promotore della singolare iniziativa è soprattutto il poeta e letterato tedesco Hugo Ball (1886-1927), rifugiatosi nella neutrale Svizzera l’anno precedente. A lui si uniscono ben  presto altri esuli, tra i quali il poeta e saggis ta rumeno Tristan Tzara (1886-1963) e il pittore e scultore alsaziano Hans Arp. Età media del gruppo: intorno ai trent’anni; caratteristiche particolari: la voglia di negare qualsiasi valore al passato che, essendo stato capace di creare i presupposti della  prima guerra mondiale, diventava automaticamen te e totalmente negativo.  Nasce così il Dada, il movimento che è un nonsens o per definizione. A partire dal nome, appunto, che non significava nulla e che è stato inventato aprendo a caso un vocabolario tedesco-francese. In russo significa due volte “si”; in tedesco due volte “questo”; in italiano e in francese costituisce una delle prime parole che i bambini pronunciano e con la quale essi indicano tutto: dal giocattolo alle  persone. Arp c i fornisce u n’ironica testimonianza d i come il movimen to vide la luce, mostrando fin dall’inizio quello che sarà il motivo conduttore di tutta l’esperienza dada, cioè il gusto per il  paradosso e il gioco dei non sensi:  “Dichiaro che Tristan Tzara trovò la parola  (dada) l’8 febbraio 1916 alle sei di sera. Ero  presente con i miei dodici figli quando Tz ar a pronunciò per la prima v olta questa pa rola , che destò in noi un legittimo entusiasmo. Ciò accadeva al Café de la Terrasse di Zurigo, mentre portavo una brioche alla narice destra.” 1  In una pagina meno ironica Arp ricorda come, “ mentre i cannoni tuonavano in lontananza, noi dipingevamo, recitavamo, componevamo versi e cantavamo con tutta l’anima. Eravamo alla ricerca di un’arte elem entare, ca pace di salvare l’umanità da lla follia dell’ep oca. Questa è l’ambiziosa scommessa di Dada: riscattare l’umanità dalla follia che l’ha portata alla guerra, liberare l’uomo da norme e imposizioni create attorno a lui dalla società, esaltando tutto ciò che è irrazionale e perfino privo di senso; frantumare i concetti tradizionali di cultura, di morale e di logica comune, provocando scandalo. Il dadaismo si pone come espressione di un atteggiamento di rivolta e di negazione nei confronti di tutti i valori tradizionali e come polemica esaltazione dell’irrazionale, dell’istintivo e dell’arbitrario. Il dadaismo è lo spirito della società borghese, le sue convenzioni e la sua concezione dell’arte. “Dada”, infatti, rifiutava il concetto stesso di arte come attività creatrice di valori estetici assoluti; ai dadaisti non interessava la creazione di “opere d’arte”: l’atto creativo doveva risolversi in azione  provocatoria, in “scan dalo”, in un gesto capace di contestare alla radice quel sistema di falsi “valori eterni”- morali, artistici, sociali, ecc.- che soffocava la libertà dell’uomo entro le strutture di una civiltà disumana e oppressiva, il cui ultimo frutto maturava allora tragicamente nel gigantesco eccidi o della guerra mondial e. Le opere dadaiste vollero essere, dunque, irritanti, ricorrendo all’arma del ridicolo: alla poesia tradizionale si oppose ad esempio il “rumorismo”, cioè la lettura di versi con accompagnamento assordante di vari rumori; furono composti “poemi” estraendo da un cappello parole ritagliate a caso da un gi ornale; furono creati quad ri e sculture con framm enti di carta o stoffa, con rifiuti di spazza tura. Queste sono solo alcune delle stravaganti iniziative del gruppo.  Nel 1918 Tzara scrive il  Manifesto Dada  che fornisce alcune direttrici ideologiche ed estetiche di riferimento. L’opera d’arte non deve più “rappresentare la bellezza, che è morta” e “la critica è 1 Tratto da :“Itinerario nell’arte” vol.3, G. Cricco – F.P. Di Teodoro

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