ARTE DEL PLAGIO -...

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- ARTE DEL PLAGIO -

Il Plagiarismo, verso una rivalutazione della copia

di

Stefano Cortese

numero di matricola

AMB17

relatore

Massimo Cittadini

corso biennale

Net Art e Culture Digitali

sessione esame di diploma

8 Luglio 2011

Accademia di Belle Arti di Carrara 2010/2011

Viareggio, Giugno 2011

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si ringrazia per la gentile collaborazione

(in ordine alfabetico)

Amy Alexander

Vittore Baroni

Stefano Genick

Salvatore Iaconesi

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Indice

Introduzione 6

L’arte è un bene comune 14

Marx e Stirner 18

Morris e Ruskin 21

Il Dadaismo 23

Rinnovare 27

I baffi della Gioconda 31

L’arte delle possibilità 35

Legge 633 40

Il plagio come negazione della cultura 47

Verso un’arte del plagio 59

Taglia/Incolla 60

We in 1984 67

Blob 78

Saccheggio sonoro 81

L’uso del plagio 88

Vaticano.org e Luther Blissett 93

Dalla guerriglia al pop: Scream 95

Deprogrammazione 98

POPlagiarismo 100

Dov’è la fregatura? 106

Esercizio creativo 111

Vi sarete chiesti… 113

“Plagiarism” e “Plagiarism” 118

L’etica del plagio 127

Il concetto plagiarista 151

Conclusioni 176

Bibliografia e Webliografia 184

Ringraziamenti 186

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“Il plagio è necessario. Lo implica il progresso.”

Isidore Lucien Ducasse (Conte di Lautréamont), Poésies II,

1870

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Introduzione

6

Introduzione

Ovidio e Shakespeare, 1984 (George Orwell) e We (Yevgeny

Zamjatin), La Gioconda e L.H.O.O.Q.; prendendo in esame

soltanto questi tre binomi ci accorgeremmo che poco della

cultura dell’uomo è davvero originale. Dopotutto non potrebbe

essere altrimenti.

Le competenze di ognuno sono composte di produzioni, ideali

e pensieri formulati da altri individui, primi fra tutti i nostri

progenitori. È inutile e pretenzioso pensare che tutto ciò che

produciamo non sia, anche in minima parte, riconducibile a

un’ispirazione che trae le sue fonti dal passato; ed è molto

difficile creare qualcosa di originale senza prendere in analisi

le esperienze fatte in passato da altri.

“Non sperate di avere successo senza copiare da altri autori”,

così esordì il mio professore di Storia e Teoria del Fumetto, Ivo

Milazzo (autore di Ken Parker) prima di cominciare la sua

lezione. Sulle prime rimasi sbigottito e quasi indignato da

un’affermazione del genere, fatta tra l’altro da una delle

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Introduzione

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personalità più affermate del fumetto internazionale. Perché

all’epoca pensavo ingenuamente che ogni mia creazione fosse

frutto di una costante e dedita ponderazione delle mie capacità

e di un’attitudine creativa che ritenevo inedita e personale; in

sintesi, pretendevo di essere originale pur evitando di prendere

in esame la possibilità dell’affermazione di Milazzo.

Quello che ho scoperto nell’affrontare il tema del plagio, e del

Plagiarismo, sbugiarda ogni mia precedente convinzione ed

effettivamente svela la veridicità di ciò che passa sotto gli

occhi di tutti ogni giorno, ma che tutti, sistematicamente,

preferiamo non esaminare a fondo (e quindi partendo dalla

fonte). Chiunque, almeno una volta nella vita, spera

nell’unicità delle sue idee.

Inizialmente vedevo il Plagiarismo come un modo rapido e

astuto di speculare a spese dei valenti, originari autori; in realtà

stavo commettendo un errore grossolano, poiché associavo il

Plagiarismo al plagio basandomi semplicemente sulla

somiglianza dei due termini, senza considerare che dietro ogni

pratica culturale e/o artistica ci sia spesso un’etica.

Vorrei introdurre il Plagiarismo partendo dai quei movimenti

che hanno ispirato il suo “fondatore”, Stewart Home.

Il Plagiarismo fa parte dell’ambiente anticulturale sociopolitico

dei primi anni ottanta; è bene porre l’accento sull’aspetto

artistico di questa corrente, poiché le controculture sono

radicate negli anni precedenti la nascita del Plagiarismo e

rispecchiano le necessità culturali di una certa parte della

società. Si pensi al movimento hippie, al punk, o ancora alla

Beat Generation, o al decadentismo. Le controculture sono

caratterizzate da una collettività ideologica in contrasto con

l’espandersi della cultura capitalista di un certo periodo storico,

e sono sospinte da forti e influenti ideali politici e sociali.

Molto spesso influenzano svariati settori, dalla moda al cinema

e certe pratiche, slogan o frammenti ideologici vengono

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Introduzione

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talvolta inglobati dal mercato internazionale o da quella cultura

massificata contro la quale essi si oppongono.

Anche il Dadaismo, identificato nella figura dissacrante di

Marcel Duchamp, fa parte di queste controculture, pur

mantenendo la nomea di “movimento artistico”.

Qui, il concetto è reso palpabile nelle pratiche di

decontestualizzazione attuate dallo stesso Duchamp, che di

fatto immette nell’ambito della galleria d’arte oggetti di uso

comune strappandoli a ogni loro funzione d’origine. La

riproducibilità tecnica dell’opera d’arte, di cui Walter

Benjamin esamina l’inevitabile progresso nel suo libro L’opera

d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica. Egli, tra l’altro,

include persino i grandi capolavori del passato in questo

goliardico “rimpasto” della cultura artistica accademica. La

Gioconda era, e rimane oggi, non solo il simbolo di tutta la

storia dell’arte, per via dell’alone di misero che la circonda, ma

è divenuta uno dei beni di consumo più remunerativi di tutti i

tempi: cartoline, poster, cartoni animati, citazioni, etichette per

alimenti, graffiti, e molto altro ancora. Duchamp dimostra

attraverso una provocazione che l’arte, per quanto consacrata,

non è intoccabile, ma interpretabile e quindi plasmabile. Oggi

identifichiamo ne La Gioconda con i Baffi (L.H.O.O.Q.) il

primo vero “plagio d’autore”, dopo il quale persino applicare o

disegnare dei baffi, per canzonare qualcuno o qualcosa, è

divenuta una pratica quasi tanto celebre quanto La Gioconda

stessa. Duchamp non solo ostenta ciò che Benjamin ha

confermato, ma introduce un elemento che già all’epoca è

tipico delle moderne controculture. Il gioco, la spensieratezza

del gesto artistico, la frivolezza del concetto, e soprattutto la

satira, diventano le nuove modalità di una produzione artistica

molto più vicina all’individuo medio di quanto non lo siano

tutti i movimenti precedenti.

Con il collage, un assemblaggio di elementi preesistenti o

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Introduzione

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prefabbricati, gli artisti sperimentano un nuovo modo di

comporre le loro opere, intensificando il legame tra concetto e

materia. La Pop Art offre la possibilità di agire secondo questo

criterio: l’uso del collage diviene una pratica diffusa in ogni

campo artistico, dalla pittura alla musica. Basti pensare che il

concetto di “collage” in musica è oggi conosciuto come remix.

Tale concetto, però, non vede la luce durante gli anni della Pop

Art, bensì si sviluppa molto prima.

Il romanzo di George Orwell, 1984 (1949), è un chiaro

esempio moderno di collage, o cut up. Si tratta di una tecnica

che permette di copiare un testo cambiandone qualche parola, o

frasi intere, o paragrafi, pur mantenendo lo spirito del testo

copiato. Il quale, in questo caso, è il romanzo distopico We

(1921) di Yevgeny Zamjatin.

Se però intendiamo esaminare più specificatamente

l’associazione “Plagiarismo-plagio” allora dovremmo citare

alcune opere “plagiariste” di Andy Warhol e Roy Lichtenstein,

in cui il plagio non si ferma alla semplice appropriazione di

materiale protetto da copyright, ma a una rivalutazione e

ricontestualizzazione di esso. Non si tratta più dei ready-made

duchampiani, oggetti quotidiani strappati alla loro funzione e

inseriti in un circuito culturale. La Pop Art agisce a livello

“popolare” esponendo oggetti e icone riconoscibili da chiunque

con qualsiasi predisposizione culturale; perciò anche queste

prime opere plagiariste non sono del tutto decontestualizzate,

poiché vengono comunque inserite in un contesto

culturalmente medio, esattamente come quello da cui

provengono i ritagli di vignette Marvel di Lichtenstein o il

Popeye di Warhol.

Stewart Home, ricordiamo, fa parte dei movimenti anarchici e

partecipa tuttora all’attivismo politico, per cui è logico

supporre che ogni sua produzione, compresa quella letteraria,

sia strettamente collegata a questi due aspetti. I quali plasmano

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Introduzione

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la sua vita fin dall’adolescenza, spingendolo ad abbandonare

gli studi e le scuole, da lui visti come luoghi di manipolazione

culturale. Il suo bagaglio intellettuale e artistico si basa sui

movimenti Fluxus e Internazionale Situazionista, dai quali

apprende che ogni opera viene ridimensionata dal contesto in

cui è inserita e che acquista corpo dal momento in cui il

concetto prende il sopravvento sulla materialità, scontrandosi

con l’etica dei canoni accademici classici. Vede nella

soppressione dell’arte, come ultima vera opera, il giusto

incentivo che lo porterà a formare un movimento suo che, dalle

radici del Neoismo, prenderà il nome di Plagiarismo.

Esso si distingue dal comune plagio, e separa nettamente il

plagiario dal plagiarista, in quanto presenta una predisposizione

al gioco, cioè a quell’aspetto ludico dell’arte che nella

contemporaneità è stato completamente ignorato in favore di

un ritorno all’esclusività culturale del museo, della galleria e

alla figura dell’artista quale mecenate di se stesso. Il gioco

permette al plagiarista di produrre una satira apparentemente

frivola e “disimpegnata” contro il sistema culturale artistico

che regola le leggi del mercato contemporaneo. Tali leggi, tra

le quali il copyright, traggono vantaggio da un ritorno

all’esclusività del bene culturale, soprattutto di massa (e quindi

un bene di consumo ormai privo di un’”aura”).

Home non accetta di far parte del sistema capitalistico

occidentale che regola ancora il mercato artistico odierno, e

decide di reagire aderendo, tra le altre cose, a uno Sciopero

dell’Arte proposto dal gruppo Praxis, e che avrebbe dovuto

svolgersi dal 1990 al 1993. In ballo vi sono l’abbattimento

delle gerarchie imposte dall’arte a livello sociale e il ritorno a

un’arte che renda collettiva la proprietà intellettuale. Su

quest’ultimo punto, secondo il parere di Vittore Baroni, è

fondamentale porre particolare attenzione, poiché l’identità

stessa dell’artista può essere resa “collettiva”.

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Introduzione

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Monty Cantsin e Luther Blissett sono entità, composte da un

numero variabile d’individui, che creano certamente

confusione circa la questione sulla “proprietà”, in quanto non è

possibile identificare in un’opera collettiva lo sforzo creativo

del singolo individuo. L’adottamento di tale metodo crea

inevitabilmente un détournement, una diversione culturale anti-

alienante; pratica politico-artistica già elaborata all’interno di

Internazionale Situazionista.

L’“elemento plagiarista” nel nome collettivo risiede

nell’appropriazione indebita, ma effettivamente legale, del

nome stesso: creare opere firmandole Luther Blissett, senza

temere alcun procedimento penale, contribuisce ad accrescere

tanto il depistaggio quanto la visibilità del collettivo stesso e

delle opere da esso prodotte, dando progressivamente corpo a

una vera e propria istituzione socioculturale distaccata dal

Sistema.

Il Plagiarismo è riconducibile, sia dallo stesso Luther Blissett

sia dal giornalista/scrittore Tom Vague, a un esercizio

fortemente creativo più che a un vero e proprio movimento

artistico o sociale; ciononostante rispecchia le stesse modalità

di una pratica universalmente ritenuta illegale, immettendole

però in un circuito etico che, dalla sfera dell’arte, ormai

ritenuta popolare (e quindi di massa), trasferiscono il

Plagiarismo nel panorama sociale. Poiché il plagio è sempre

esistito e ha sempre in qualche modo giustificato una crescita e

un avanzamento culturale nella storia dell’uomo (comunemente

i brevetti scientifici vengono copiati e migliorati per creare

nuovi prodotti). Ciò che il Plagiarismo mette in luce, invece, è

un’“etica del plagio”, non scritta, attraverso la quale il neo-

plagiarista manipola e crea nuove situazioni da elementi

preesistenti o da opere concepite e prodotte da altri.

Le nuove realtà che scaturiscono da questo esercizio creativo si

presentano completamente differenti dall’originale: le prime

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Introduzione

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sperimentazioni nel rap e nell’hip-hop degli anni ottanta si

avvalgono spesso di basi musicali prese da altri gruppi, una

pratica che in seguito viene modificata con il mash-up,

sovrapposizione di due diversi brani per comporre un’unica

traccia musicale, e il remix. Lo sviluppo di queste nuove

metodologie è identificabile all’interno del panorama della

cosiddetta “cultura underground”, in cui John Oswald e

Negativland iniziano a produrre i loro primi “collage musicali”,

o plunderfonie: un contesto più che stimolante per rimettere in

campo argomenti quali la lotta di classe, la proprietà culturale e

l’anticostituzionalità delle restrizioni sul diritto d’autore.

Oggi il Plagiarismo è quasi del tutto sconosciuto; in fondo si è

trattato di un fenomeno di breve durata, che persino al suo

apice non ha avuto forti riscontri.

D’altra parte sarebbe pretenzioso, nell’era di Internet, delle reti

peer-to-peer, dei motori di ricerca, tentare di mantenere

un’aura culturale “alta” che differenzi il Plagiarismo dal

comune esercizio creativo che oramai chiunque mette in atto,

copiando e incollando materiale preso in rete. Le nuove

tecnologie hanno messo il punto sulla pratica ideata da Home.

Qualche anno fa non esistevano software in grado di facilitare

la rielaborazione di materiale altrui. Per ottenere un mash-up

era necessario srotolare i nastri delle cassette e tagliare e

incollare con forbici e colla, ed anche così facendo il risultato

finale non era poi così soddisfacente. In quegli anni il

Plagiarismo è ancora una sperimentazione riservata a pochi

praticanti.

Oggi non è più così. E forse il Plagiarismo non è del tutto

scomparso; forse è stato inglobato da un nuovo contesto

socioculturale che vede nella copia una prassi creativa. Che il

Plagiarismo abbia “plagiato” la quotidianità?

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

14

Capitolo 1

L’arte è un bene comune Idee sullo sviluppo dell’arte da Marx a Warhol

Già nelle prime sperimentazioni di Art Nouveau si riscontrano

similitudini tra artisti e artigiani, tanto nel modus operandi

quanto nelle metodologie di produzione. “Produzione”, come

se l’arte sia improvvisamente sfociata nel più materiale campo

del lavoro, in questo caso dell’artigianato; come se alla fine del

diciannovesimo secolo si rimettesse in discussione ciò che nel

tardo quattrocento sembra essere stato appurato, e cioè che

l’artista non è un artigiano, poiché trascende la materialità

dell’opera verso una simbologia e concetti estranei ai

“lavoratori dell’arte”.

“Ci rivolgiamo a voi tutti, senza guardare alla classe sociale o

alla condizione economica. Non conosciamo la differenza tra

“arte maggiore” e “arte minore”, tra l’arte per i ricchi e

l’arte per i poveri: l’arte è un bene comune”.

(estratto dal Manifesto della Secessione Viennese, 1897) 1

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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Dal Manifesto della Secessione Viennese scaturisce un modo

nuovo di interpretare non solo l’arte, ma il ruolo e la figura

dell’artista, che si dedica a diversi campi divenendo uno

sperimentatore delle arti, una sorta di alchimista moderno che

intreccia metodi, tecniche e contenuti in nome di un’arte totale

in cui si rimuovono le barriere tra arti minori e maggiori, tra

artisti e artigiani.

Questa è l’essenza democratica già riscontrata nel filone

politico marxista dell’epoca, che si ripercuoteva in ogni campo

per eliminare le tensioni derivate dalle lotte di classe.

Al programma secessionista aderiscono Gustav Klimt, Josef

Engelhart, Carol Moll, Otto Wagner, che evitano, assieme a

scrittori, poeti e critici d’arte, di formulare un vero e proprio

manifesto come effige di un pensiero comune; tale manifesto

resta generico dal punto di vista ideologico, ma concreto in

termini di praticità.

Alla fine del diciannovesimo secolo il conservatorismo delle

caste più alte della società impedisce ancora uno sviluppo

multidirezionale dell’arte, consolidata in quei canoni

accademici fruibili solo da un certo livello sociale e culturale.

Nel 1894 viene a crearsi una vera e propria istituzione

composta da alcuni giovani che ipotizzano una società in cui la

censura e non la sperimentazione artistica non sarebbe più stata

fattore degradante tanto per l’esperienza artistica quanto per

quella libertà di espressione già intravista, secondo loro, da

Monet e Degas; ovvero la labilità della rappresentazione e

l’emancipazione del contenuto.

A scatenare il distacco è proprio l’atteggiamento rigido dei

conservatori, che per ragioni morali impediscono a un

impressionista, tale Josef Engelhart, di esporre un nudo

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

16

femminile 2

. Un atteggiamento contraddittorio, se pensiamo che

quei conservatori tessono le lodi del nudo artistico classico del

David di Michelangelo. A prova di ciò si allestiscono mostre e

padiglioni espositivi in cui spiccano i nudi e le provocazioni

figurative, concettuali e stilistiche di Klimt.

L’innovazione è tangibile, poi, se prendiamo in esame uno dei

fattori più “democratici” in termini di “opera d’arte”, ovvero

l’arte applicata, già ampiamente diffusa nell’Art Nouveau. I

padiglioni secessionisti sono tappezzati di locandine, di

copertine e manifesti di Tolouse Loutrec, Ludwig Moser e

Klimt; tali opere dimostrano la versatilità dell’arte in un

contesto aperto alla ricerca di uno stile nuovo e riconoscibile,

con gli stessi presupposti di un comune manifesto pubblicitario.

Moser, fra tutti, riesce in un modo del tutto armonioso a

compenetrare scritto e decorazione, facendo sì che il carattere

tipografico diventi parte di un’unità a metà strada tra le

miniature amanuensi e i caratteri liberty.

Un’arte democratica che necessariamente deve abbandonare il

canone accademico per risultare fruibile da tutti. A prova di ciò

vengono organizzati, durante le mostre, visite guidate a prezzo

ridotto e con catalogo in omaggio, per tendere una mano anche

a coloro i quali pensano, fino a quel momento, all’arte come a

un surplus della società e a un bene di lusso.

Un’arte accessibile a tutti tanto nei musei quanto per le strade,

incoraggiata, inoltre, da una serie cospicua d’incarichi pubblici

commissionati da un Governo occupato a tenere a bada il

nazionalismo che logora il vecchio Impero. Un Governo che

vede nello spirito cosmopolita dei secessionisti un mezzo per

calmare le acque.

Ciò che distingue in maniera rivoluzionaria l’arte viennese

dall’Art Nouveau, è la reinterpretazione della linea, della forma

di uno stile parsimonioso e funzionale che, secondo lo storico

dell’arte Alois Riegel, consolida la parità tra arti decorative e

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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.Manifesto della Secessione Viennese

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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figurative. È l’armonia della forma nella semplicità delle

geometrie basilari a dare funzionalità a oggetti di uso comune.

Artista e artigiano firmano assieme l’oggetto che nasce

dall’unione dell’idea del primo e dalla lavorazione e ricerca dei

materiali del secondo: un connubio che va sempre più

sfaldandosi con la fine del Rinascimento.

.Marx e Stirner

In precedenza, nella prima metà dell’ottocento, Johann Kaspar

Schmidt, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Max Stirner,

ammette la validità dell’organizzazione del lavoro solo per

l’uomo “comune”. Vede nell’uomo un elemento della società

deliberatamente escluso dall’ordinario, un “unico”. Egli

afferma che “nessuno può sostituire i lavori di Raffaello” 3

,

mentre Karl Marx gli contrappone un ordine sociale in cui a

nessuno si richiede di lavorare come Raffaello, ma in cui

chiunque, dimostrando un certo talento, debba avere il diritto e

la possibilità di esprimersi senza impedimento o censura alcuna.

Marx nega sia la ristrettezza di uno sviluppo professionale dato

dalla dipendenza alla divisione del lavoro, sia all’unicità e

l’originalità del lavoro artistico in una società massificata dalle

conseguenze della divisione del lavoro.

Nel 1848 questi pensieri passano nel Manifesto del Partito

Comunista 4, in cui si esige il libero sviluppo di ciascuno come

condizione del libero sviluppo di tutti. Si tratta di un’intuizione

ideologica in linea con le successive tematiche della Secessione

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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Viennese, in cui è possibile riscontrare ampiamente il pensiero

marxista secondo cui, in definitiva, l’arte, per potersi

sviluppare, deve essere necessariamente un bene comune

svincolato da restrizioni contenutistiche.

Marx sostiene che, dall’antichità fino ad oggi, l’abilità artistica

sia sempre presente soltanto in singoli individui particolari e

non nel resto dell’umanità. Ciò è dovuto a quella divisione del

lavoro che ha sempre accompagnato la storia e che sarà

mandata in pezzi dalla rivoluzione comunista:

“La concentrazione esclusiva del talento artistico in alcuni

individui e il suo soffocamento nella grande massa, che ad essa

è connesso, è conseguenza della divisione del lavoro.” 5

In una simile prospettiva, Marx non prende in considerazione

chi, come Stirner, pensa di poter spiegare la grandezza di

Raffaello facendo riferimento soltanto al suo genio individuale,

prescindendo completamente dalle condizioni oggettive in cui

egli poté fiorire. Scrive significativamente Marx:

“Raffaello, come ogni altro artista, era condizionato dai

progressi tecnici dell’arte compiuti prima di lui,

dall’organizzazione della società e dalla divisione del lavoro

nella sua città e infine dalla divisione del lavoro in tutti i paesi

con i quali la sua città era in relazione.

Che un individuo come Raffaello possa sviluppare il suo

talento dipende completamente dalla divisione del lavoro e

dalle condizioni culturali degli uomini che da essa derivano.” 6

Nella società divisa in classi e permeata dalla divisione del

lavoro, è normale, spiega Marx, che vi siano individui destinati

a fare gli artisti e altri a fare gli operai. Tuttavia, quando si sarà

superata la divisione in classi e la divisione del lavoro, quando

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

20

cioè si sarà instaurata la società comunistica e ogni individuo

sarà un individuo “onnilaterale”, che potrà cacciare, dipingere e

pescare, secondo il proprio capriccio, ecco che, secondo Marx,

sparirà la figura dell’artista, come del resto sparirà ogni altra

figura di lavoratore parziale e limitato. Più precisamente,

secondo Marx:

“In un’organizzazione comunistica della società in ogni caso

cessa la sussunzione dell’artista sotto la ristrettezza locale e

nazionale, che deriva unicamente dalla divisione del lavoro, e

la sussunzione dell’individuo sotto quest’arte determinata, per

cui egli è esclusivamente un pittore, uno scultore, ecc.: nomi

che già esprimono a sufficienza la limitatezza del suo sviluppo

professionale e la sua dipendenza dalla divisione del lavoro.” 7

Nessuno sarà più inchiodato alla sfera di attività particolare che

gli è attualmente imposta e potrà finalmente svolgere le attività

più disparate, tra cui quella artistica: in questo modo, secondo

Marx, l’uomo potrà finalmente recuperare la propria essenza di

“ente generico”, ossia di ente non geneticamente prefissato a

creare a una sola forma di oggettivazione sociale.

Di qui la nota conclusione che trae Marx:

“In una società comunista non esistono pittori, ma tutt’al più

uomini che, tra l’altro, dipingono anche.” 8

Solo quando sarà definitivamente superata l’alienazione sarà

finalmente possibile un’esperienza estetica a trecentosessanta

gradi, perché è solo allora che potranno finalmente svilupparsi

pienamente, in maniera illimitata, i sensi dell’uomo: tutti gli

uomini potranno fruire dell’arte, e tutti potranno contribuire a

crearla.

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

21

.Morris e Ruskin

Per distaccarsi definitivamente dalla produzione di massa

sempre più pressante, William Morris, pittore e scrittore vicino

ai secessionisti, teorizza e dona nuova linfa ad una ritrovata

unione tra arti maggiori e arti minori, tra artista e artigiano,

verso una nuova concezione di arte come simbolo del distacco

dalla produzione seriale e dall’industria. Morris è ispirato dalle

tesi anti-industriali del critico e scrittore John Ruskin, il quale

afferma:

“Il mondo non può diventare tutto un’officina... come si andrà

imparando l’arte della vita, si troverà alla fine che tutte le cose

belle sono anche necessarie.” 9

In questo tentativo è possibile riconoscere la volontà nel

raggiungere un’arte totale, già teorizzata da Richard Wagner, in

cui vengono abbattuti i muri creati dall’eterogeneità dei generi

artistici e delle categorie sociali.

Il modello proposto da Morris è simile a quello medievale,

quando, per sua stessa dichiarazione, “tutti gli artigiani erano

artisti, e artisti dovremmo ricominciare a chiamarli”. È dunque

chiaro che i secessionisti interpretino l’epoca medioevale come

uno stato ideale che non conosce le contraddizioni tra bello e

brutto, causate dall’utilitarismo cresciuto con l’avvento del

Rinascimento; ma qui sorge una contraddizione.

Morris rifiuta di ammettere l’inevitabile aristocratismo del suo

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

22

tentativo, pur rifiutando la produzione di massa in nome di un

impegno da parte degli artisti/artigiani nel contrastare

l’esclusività dell’arte. Inevitabilmente, però, una produzione

condotta su base artigianale non è accessibile al vasto pubblico,

per quanto possa essere raffinata, funzionale, innovativa. Il

concetto estensivo di “arte totale”, che vuole fare di ogni

oggetto un oggetto d’arte, risulta eccessivo ed inflazionistico,

soprattutto in una società che predilige l’economicità del

prodotto seriale.

L’utopia di Morris sembra ormai un romantico avvenire, un

ritorno a quell’epoca priva di contraddizioni che lui identifica

addirittura nel medioevo, quando l’artista era artigiano e le sue

opere erano frutto di quel miscuglio di arte e scienza che

contribuivano a rendere l’arte la simbiosi di tutte le discipline:

un’arte totale, appunto.

Nella seconda metà dell’ottocento si assiste al ritorno della

committenza pubblica: disegni per francobolli, per valute,

insegne, facciate di pubblici edifici. L’arte ritorna nelle strade

e tende la mano al cittadino, che ora ne contempla una nuova

formalità, rinvigorita anche al di fuori di ciò che finora era

stato un contesto consolidato: il museo.

Adolf Loos, architetto secessionista, protesta apertamente

contro l’idea romantica di Morris, affermando di non voler

essere ostile verso l’arte in sé, ma di sostenere un’idea rigorosa

ed esclusiva dell’opera e quindi attaccando l’esibizionismo

formale che cerca di mettersi in mostra su ogni oggetto; stesso

concetto che, in futuro, i dadaisti radicalizzeranno, privando

quasi del tutto l’arte di quell’aura culturale che la distingue.

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

23

.Il Dadaismo

Il ready-made simboleggia un’esclusività fortemente associata

alla decontestualizzazione. Marcel Duchamp dà all’oggetto

un’autorità (un’”aura”, tanto per citare Walter Benjamin) che

non possiede come prodotto pensato appositamente per il

mercato; lo isola, ponendolo su quello stesso piedistallo che fu

il simbolo del distaccamento tra oggettività e opera d’arte o, in

parole povere, della stratificazione sociale.

Duchamp offre una gamma infinita di possibili interpretazioni,

un pluralismo semantico contenuto nelle figure assolutamente

riconoscibili dei ready-made, sostenendo che ogni cosa viene

rideterminata dal suo ambiente.

Una tendenza di spiccato valore borghese che va sempre più

prendendo piede, infatti, è la beatificazione della mano. Il

distacco con i canoni accademici non potrà mai del tutto

avvenire se si continua a vedere nel pennello l’unico giusto

metodo, e non solo un semplice strumento del fare arte in nome

di un’idea.

Secondo il poeta Guillarme Apollinaire:

“Uno può dipingere con quello che vuole, con i fischietti, i

francobolli, con le cartoline e le carte da gioco, con pezzettini

di tela cerata, con giornali o con la carta da parati.” 10

Apollinaire è in accordo, quindi, anche con i Secessionisti,

secondo cui l’arte deve subire una “sdivinizzazione” per potersi

liberare. Egli aggiunge un ulteriore mezzo contro la canonicità

e la stereotipizzazione dei procedimenti artistici classici,

andando addirittura oltre l’ideologia secessionista di rendere

l’arte “per tutti”.

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

24

Apollinaire suggerisce un’arte “con tutto”, contro sia l’estetica

dell’opera, sia l’estetica nel realizzare l’opera. Ovviamente la

denuncia non riguarda solo la pittura, poiché ciò

comporterebbe un ritorno alla classificazione delle varie

discipline e andrebbe contro ogni idea nel raggiungimento

dell’arte dell’anti –stratificazione; ma andiamo per gradi.

Come già accennato, i ready-made non sono altro che oggetti

di uso comune strappati alla loro funzione ed uso originari ed

inseriti in un ambiente a loro estraneo, decontestualizzati.

Duchamp anticipa ciò che Piero Manzoni porterà all’eccesso

con la sua Merda d’Artista, sconfessando la sacralità non solo

del pensiero e dei concetti della figura dell’artista, ma anche la

sua corporeità, la produzione dell’artista in ogni sua

manifestazione, compresa, appunto, quella corporale.

Manzoni proclama “sono un artista: tutto ciò che produco è

arte”. Estremizza, radicalizza un modo di fare arte concettuale

rendendo chiunque un potenziale artista o spingendo ad

autoproclamarsi tale.

Siamo di fronte, in parte, al ritorno di una qualche specie di

categorizzazione sociale, sebbene Duchamp renda il suo ruolo

più goliardico e irriverente nei confronti della venerabilità

dell’arte contemporanea, inclusa quella concettuale.

Egli diviene portavoce dell’estremo realismo di un movimento

più sociale che artistico, più filosofico e ideologico che estetico

e materico; la realtà non viene restituita al soggetto dalla tela,

l’assenza dello strumento artistico quale il pennello diviene

manifestazione intangibile del completo distacco tra canone e

sperimentazione. E se da una parte vi è la rinuncia parziale o

meno alla manipolazione artistica della realtà oggettiva e della

materia, dall’altra l’estremo realismo scaturito dagli oggetti

esposti in quanto tali dona ai ready-made una palpabilità che la

semplice rappresentazione non può offrire.

Dada promuove l’antiestetismo in nome di un ritorno alla

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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purezza delle forme preesistenti in natura, e quindi contro quel

pensiero industrializzato secondo cui l’arte estetizza e

formalizza ogni prodotto dell’uomo. Prodotto che nella società

di massa perde ogni legame con i principi dell’opera d’arte e

diviene semplice oggetto d’uso.

Morris vorrebbe abbattere le barriere erette dall’esclusività

dell’opera e del mondo dell’arte, mentre Loos protesta contro

la visione di una società in cui qualsiasi oggetto può essere

esibito come opera d’arte.

Duchamp va oltre, conferendo ad oggetti quotidiani quell’aura

che scaturisce solo in presenza dell’intervento dell’artista.

Come la scintilla che dal nulla diede modo alla vita di potersi

sviluppare, un concetto e un’idea quale produzione dell’artista

dona nuova linfa al soggetto scelto (in questo caso già esistente)

innalzandolo ad opera pur mantenendo intatta l’assenza di ogni

tipo di rappresentazione o intervento artistico: l’oggetto è

soltanto semplicemente decontestualizzato.

A tal proposito cito Hans Arp, poeta e scrittore:

“La legge del caso che comprende in sé tutte le leggi,

inafferrabile come la causa prima da cui si origina la vita, ora

può essere sentita abbandonandosi completamente

all’inconscio.

Chi segue questa legge, io sostengo, crea vita pura.” 11

Si può dire che il Dadaismo, quindi, trascende la concezione

canonica di arte appellandosi soprattutto alla casualità,

all’istinto, al corso naturale delle cose; contro l’ottimismo

progressista dei futuristi, i dadaisti pongono attenzione alla

riflessione, alla contemplazione del mondo e alla rivalutazione

del caso (e del caos).

Quando Hans Arp dispone dei pezzi di carta strappata secondo

leggi casuali, non solo entra nell’ambito dell’astrazione, ma in

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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quell’ambiguo confine in cui “arte

senza fatti” regredisce in “fatti senza

arte”.

Alla luce di questo verrebbe da porsi

un semplice quanto interessante quesito:

chi e in che modo proclama l’artista

tale? La Fontana di Duchamp e la

Merda d’Artista di Manzoni potrebbero

rappresentare il ritorno di una nuova

divisione di classe tra artista ed

individuo. Si tratta, effettivamente, di

barriere quando una produzione

esplicitamente corporale di un uomo

diviene automaticamente opera d’arte,

grazie ad un concetto frutto di una

mente artistica. Affermare il contrario

dimostrerebbe un’ipocrisia ideologica

che rende chiunque capace di produrre

opere d’arte a discapito di un effettivo

talento.

Le convinzioni di Manzoni, per quanto si dimostrino in

accordo ai concetti di Duchamp, in termini di produzione

artistica, differiscono dal pensiero autodistruttivo dei dadaisti

in generale l’impeto antiartistico impediva loro di atteggiarsi a

geni, le loro produzioni dimostravano valori che si annullavano

a vicenda e che contribuivano all’auto-soppressione dell’arte

stessa.

Duchamp mette in mostra opere d’arte rese tali da un’artista

che non è più un’artista. Si può intuire la natura puramente

concettuale di ogni ready-made, tenendo presente la loro

funzione originaria; quando il concetto in essi verrà a galla

inevitabilmente Laura di cui l’opera è pervasa e l’autorevolezza

della figura dell’artista sprofonderanno.

.La Fontana, Marcel Duchamp

.Merda d’Artista, Piero Manzoni

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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Dada perciò mescola i pensieri di Morris e di Loos e, attraverso

le loro teorie, mette implicitamente in luce un atteggiamento

tipico della cultura occidentale, divisa tra buon gusto e

venerazione dell’arte in quanto tale; attraverso tali concetti

dunque si rielabora una rivalutazione della purezza estetica

presente solo in natura.

.Rinnovare

“ …La cospirazione culturale neoista incoraggia il

Plagiarismo perché il Plagiarismo fa risparmiare tempo e

fatica, migliora i risultati e sviluppa l’iniziativa da parte del

singolo plagiarista…”

(estratto dal Primo Manifesto Internazionale Neoista,

contenuto nei Manifesti Neoisti, Stewart Home, 1987) 11

Stewart Home la chiama “grande vantaggio” nel suo Primo

Manifesto Internazionale Neoista e gli 01.org, seguendo il

filone ideologico e culturale della Net Art, ne fanno il cardine

della loro intera produzione sostituendola con l’ironia, con la

beffa, con il gioco: è l’assenza del talento. È proprio di questo

che si parla, se andiamo a rielaborare tutto ciò che il panorama

artistico moderno ci ha offerto fino ad oggi in larga misura, dal

Dadaismo fino al Postmodernismo. È il connubio tra

sperimentazione e gioco che permette all’artista di liberare il

proprio pensiero, di trasporre materialmente la propria sfera

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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sensoriale.

L’arte si è fatta sempre più “leggera”, talvolta frivola, libertina

e provocatoria. Koons con i suoi vistosi conigli cromati, Calder

con i suoi mobiles, solo per citarne alcuni; gli artisti hanno

lasciato libero sfogo ad un’attitudine del tutto estranea, se non

addirittura sacrilega, all’approccio borghese per le belle arti.

Seguendo e perpetrando, fino ad esasperare i concetti dell’idea

dadaista, si ritrova la freschezza del gesto ludico, l’innocenza

intrinseca dell’istinto scaturita dal rifiuto dagli stereotipi

propugnati dalla cultura tradizionalista. Si ritrova il desiderio di

giocare tanto con la propria creatività quanto con il proprio

talento, spesso ridicolizzando l’estetica a vantaggio di una

ricerca concettuale approfondita e complessa, talvolta avulsa o

addirittura assente; tutto per un bisogno irriverente di

autoironia, parodia, satira.

Un concetto in sé non ha valenza artistica poiché chiunque è

teoricamente in grado di elaborare le proprie idee seguendo

metodologie personali. E inoltre chiunque può esporle nel

modo che ritiene più congeniale secondo la propria natura.

Un’artista ha la capacità di dare forma ad un concetto agendo

secondo pratiche fornitegli dalla sua esperienza culturale. Nel

Rinascimento il talento è il frutto della capacità di riprodurre la

realtà seguendo anche un metodo scientifico appreso da studi

applicati e specifici. L’elemento chiave dell’intera produzione

artistica dell’epoca è, come lo chiameremmo oggi, il

fotorealismo.

L’arte è ancora considerata un prodotto d’elite, appartenente ad

una sfera culturale accessibile ai meno. Eppure essa nasce dalle

frenetiche mani di appassionati bottegai che decidono

deliberatamente di applicare le proprie capacità espressive alla

materialità dei colori, del marmo, della carta, eccetera. D’altro

canto la committenza esige un livello qualitativo raggiungibile

soltanto attraverso uno studio scrupoloso dell’anatomia, della

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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geometria e persino della chimica. L’apprendimento e la

pratica di ogni disciplina sono mirati ad una rappresentazione

più che mai fedele alla realtà, una prerogativa quasi necessaria,

in mancanza di meccanismi di riproduzione del reale.

Benché esista una canonizzazione del modus operandi, alcuni

artisti fanno della sperimentazione un’arte a sé, poiché le

risorse espressive dell’uomo non si racchiudono entro regole

matematiche, ma al contrario sono interpretabili e possono

svilupparsi in uno stile al quale associare il proprio nome.

La tecnica pittorica di Caravaggio, ormai universalmente

riconosciuta, non è l’unica innovazione che l’ha reso celebre;

non bisogna dimenticare che un rapporto tra materia e pensiero,

che sia caratterizzato da concetti solidi e ragionamenti

inconfutabili, prescinde il livello culturale e l’etica di chi lo

mette in atto. Caravaggio traspone la società in cui vive, con i

suoi costumi e le sue figure, in rappresentazioni fino a quel

momento canonizzate; critica sottilmente la sua società

inserendola in un contesto dislocato temporalmente. La

Vocazione di San Matteo e La Cattura di Cristo sono chiari

esempi di questa trasposizione, e in essi potremmo addirittura

riscontrare una critica contro il Sistema che a oggi risulterebbe

“controculturale”. La storia dell’arte, in particolare, ci insegna

che molte innovazioni non trovano quasi mai quell’immediata

accoglienza riservata a “normali” fattori di crescita

socioculturale.

Oggi la provocazione è la chiave per la “visibilità rapida”.

Spesso incompreso e prontamente condannato, tuttavia il

desiderio di provocazione getta le basi per nuove modalità,

strumenti, tecniche e sperimentazioni artistiche.

Da molti considerato come l’“orlo del baratro” della creatività,

il Dadaismo è il primo movimento che rende la

decontestualizzazione il metodo portante attraverso cui si

produce arte.

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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.La Vocazione di San Matteo, Caravaggio

.La Cattura di Cristo, Caravaggio

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

31

Le opere si legano indissolubilmente al concetto che l’artista

trae per esse, comunicando diversi fattori, come la sua

personale opinione sul panorama politico e sociale della società

in cui vive.

I barattoli di zuppa Campbell e le bottiglie di Coca-Cola

riprodotte da Andy Warhol confermano questa teoria. L’opera

diviene lo specchio di un contesto di cui l’artista prende atto,

plasmandolo con un metodo che comunichi l’unione tra stato

d’animo e idea. Un metodo che spesso si trasforma in un’esca

per attirare l’attenzione di un pubblico sempre più vasto, che

riconosca nelle opere simboli e icone alla portata del proprio

livello culturale. Massificare l’arte equivale a privarla di

un’esclusività che William Morris tentò invano di arginare e

che Walter Benjamin predisse. La perdita dell’“unico” vede

nella produzione seriale un accostamento tra opera e bene di

consumo, che si concretizza nel ben più popolare “oggetto

d’arte”. Oggi chiunque può usufruire dei mezzi necessari per

creare qualcosa, non importa cosa; poiché il flusso

d’informazioni messo a disposizione dai media e da Internet è

virtualmente infinito. Su quest’ultimo punto sorge però una

problematica, che ridefinisce il concetto di “arte” come

prodotto di software che permettono lo sviluppo creativo di

qualsiasi utente. L’artista non è più colui che produce opere,

ma colui che fornisce i mezzi.

.I baffi della Gioconda

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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Il concetto che Stewart Home, fondatore del Neoismo, mette in

dubbio, col suo cinismo, ciò che fino a poco tempo fa

pensavamo fosse il motore della creazione artistica: vale a dire

il talento.

Home afferma che “il bello del Plagiarismo è l’assenza del

talento” 12

. È praticamente vero, poiché chiunque possiede un

computer è in grado di fare copia/incolla. Chi vuole plagiare

riconosce in una fonte la credibilità e l’originalità del contenuto

senza soffermarsi su concetti come “giusto” o “sbagliato”.

Esiste però un metodo, un’etica del plagio? È possibile

sfruttare tale attitudine in modo creativo, culturalmente valido,

moralmente accettabile?

Generalmente il plagio in sé, come sappiamo, è un reato

perseguibile penalmente e, anche nel caso in cui si riveli

implicito o ben nascosto, esso è comunque disprezzato dalla

comunità (ma anche da quegli artisti che del Sistema

Merceologico fanno un’arte).

Duchamp intuisce che screditando diversi fattori, come

l’universalità di un dipinto come la Gioconda e la figura stessa

di artista quale conservatore di talenti accessibile ai meno, si

sarebbe raggiunta una nuova concezione dell’arte.

Ridicolizzandola e sminuendola diviene null’altro che uno

svago realizzato con poco; opere prodotte in un contesto del

genere appaiono pretenziose, create appositamente per

soddisfare l’ego di acquirenti e critici. E, inevitabilmente,

l’artista diventa commerciante.

Con il Dadaismo si attacca apertamente il Sistema dell’arte e le

sue intoccabili tradizioni, andando a sconvolgere direttamente i

canoni classici che fino a quel momento secessionisti e futuristi

avevano condannato solo per iscritto. Si gioca con irriverenza

con l’opera maestra di Leonardo Da Vinci applicando, a mo’ di

firma, un paio di baffi al volto della Monna Lisa.

Duchamp mette in luce la riproducibilità tecnica dell’opera nel

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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modo più semplice e allo stesso tempo pericoloso, e comincia

la sua campagna verso l’inevitabile destino dell’arte: la sua

auto soppressione. Egli non si definisce artista, ma messaggero

dei nuovi sistemi sociali. Duchamp è artista solo per chi

riconosce nelle sue opere un connubio tra concetti, tematiche e

tecniche che condussero alla produzione (o appropriazione) di

oggetti come i ready-made. Ostenta volontariamente la

mancanza o la perdita di quel talento che nell’eccellenza e nella

creatività trova la sua massima espressione.

Alla fine degli anni venti si sta avverando ciò che i

secessionisti perseguirono per il raggiungimento di un’arte per

tutti; ma, contrariamente alle loro utopiche previsioni, che

escludevano l’avvento di un contesto merceologico-industriale,

l’arte diventa mercato.

Qui non il talento, ma la

novità è l’elemento

maggiormente riconosciuto e

apprezzato. Naturalmente,

dove la novità può fare a meno

del talento, il mercato si

amplia, poiché chi non

possiede la tecnica può

comunque produrre qualcosa

di concettualmente valido,

riducendo l’estetica a opzione.

L.H.O.O.Q. è l’emblema di

questo nuovo Sistema,

insieme con opere come La

Fontana o La Ruota di

Bicicletta.

La provocazione esplicita dei

ready-made suscita interesse

nel bene e nel male. Tutti .L.H.O.O.Q., Marcel Duchamp

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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questi oggetti possono essere inclusi nell’ideologia tipica della

comune pubblicità.

Non importa il modo in cui se ne parla, basta parlarne.

Malgrado L.H.O.O.Q. remi contro tutti i “dogmi” delle arti

classiche e delle arti in senso generico, ancora oggi la vediamo

figurare tra pagine di libri traboccanti di grandi opere.

L’autosoppressione dell’arte è una profezia che molti ritengono

frutto di movimenti postmoderni come Fluxus e Internazionale

Situazionista, che applicano metodi artistici, discutibili e

improbabili all’attivismo politico. Forse stiamo già vivendo da

tempo questa fase: l’arte, nella sua concezione più classica ed

elitaria, non può, di fatto, accostarsi alla sfera commerciale per

divenire incentivo della produzione seriale; questo proprio per

tentare di mantenere quell’esclusività che la rendeva un bene

per pochi.

E forse, inconsapevolmente, proprio i secessionisti hanno

gettato le basi di questo fenomeno volendo accostare l’arte

all’intera popolazione, acculturata o meno, ricchi e poveri,

intellettuali e operai. È fondamentale comprendere quanto

rilievo si possa ancora attribuire al talento come manifestazione

di eccellenza nella tecnica.

In un mercato dell’arte che trae ispirazione da un’ideologia

capitalistica ancora attuale, in cui l’indice di gradimento

diviene il timone dei metodi e dei movimenti artistici a venire,

il talento non è importante quanto il concetto in un’opera.

Potremmo, seguendo quest’idea, andare ancora più indietro e

riconoscere agli espressionisti, pionieri della rappresentazione

del pensiero sulla tela, le cause del conseguente declino

dell’arte. Tuttavia non sarebbe corretto, poiché essi stessi

dichiarano il mantenimento di un’aura che rende l’arte simbolo

e dimostrazione di elitarietà nella tecnica.

Pertanto, viene attribuito al talento un significato particolare; si

tratta di una qualità che indica una sensibilità che non tutti

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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sviluppano, ma che tutti potenzialmente hanno. Karl Marx

stesso afferma che tutti debbano avere il diritto di accostarsi

all’arte e la possibilità di svilupparla.

.L’arte delle possibilità

La digitalizzazione rende possibile lo sviluppo delle

potenzialità creative di ognuno.

Internet è un contenitore virtualmente infinito di cultura,

universalmente riconosciuto e globalmente sfruttato. Tra i

milioni di suoi utenti vi sono anche gli artisti, o almeno coloro

che si definiscono tali; ma queste etichette vengono

accantonate dal momento in cui a tutti, artisti e non, vengono

offerti i mezzi per produrre testi, musica, immagini, video

eccetera.

I plagiaristi, grazie alla condivisione di materiale digitale,

rielaborano in modo creativo praticamente qualsiasi cosa

catturi la loro attenzione e che susciti in loro una certa

ispirazione. Possono, inoltre, avvalersi di fonti già esse stesse

celebri, per arrivare con più rapidità all’attenzione del pubblico.

Non dobbiamo dimenticare che la visibilità e la condivisione

trasformano un prodotto in un’icona, mutando anche la valenza

del suo contenuto. È possibile assistere a reinterpretazioni e

manipolazioni che sfruttano la fama di icone universali. In

questi casi, plasmare il significante stesso di un’opera d’arte

come L’Urlo di Munch, che da rappresentazione drammatica di

uno stato d’animo diviene un prodotto popolare che sfrutta la

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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ricchezza contenutistica della sua fonte, ne stravolge anche

l’essenza culturale.

È ciò che fa Amy Alexander quando, prendendo il busto della

figura al centro del dipinto, trasforma e amplia quello che

l’opera rappresenta; segue le leggi che oggi regolano la

distribuzione e la diffusione dei prodotti commerciali. La

Alexander decontestualizza il dipinto, privandolo di quella

drammaticità che l’ha reso celebre e riplasma, inoltre, l’estetica

del soggetto fino a renderlo più “versatile”, o “pop”, se

vogliamo. Un soggetto nuovo, quasi un logo, da apporre su

magliette o da usare come adesivo; o ancora, nel caso

dell’opera della Alexander, trasformato in un’applicazione per

sistemi operativi con cui si possa interagire 13

. Di questo,

parleremo approfonditamente più avanti.

In che modo possiamo identificare il talento nel Plagiarismo? È

evidente che non ci vogliono grandi capacità nel copiare e

un’opera già esistente. Altrettanto evidente è la riconoscibilità

del soggetto quando è ispirato a un’opera così celebre.

È il modo in cui essa viene rimodellata che rende il

Plagiarismo creativo. Del resto l’artista si ritrova a fare i conti

non solo con un’infinita gamma di possibilità e di fonti, ma

soprattutto con un’opinione pubblica che ancora accosta il

Plagiarismo al plagio, etichettandolo come semplice furto. Per

alcuni potrebbe essere una forma d’arte “parassita”, che

agevola la visibilità delle opere sfruttando la celebrità del

materiale originario. In realtà ciò rende il Plagiarismo un

metodo per creare qualcosa di nuovo che nel tempo può

lasciarsi alle spalle ogni riferimento della fonte da cui ha preso

spunto. L’opera diviene, in questo modo, un prodotto non solo

distaccato, ma a suo modo originale; è ciò che oggi

riscontriamo nei remix dei brani più celebri del passato, per

non parlare dei remake, che trasformano decine di brani

musicali in produzioni a sé.

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

37

Oggi si parla molto di arte in modo abbastanza vago, come se

avesse perso quasi del tutto il suo valore culturale.

Fenomeni contemporanei quali capitalismo, industrializzazione

e serialità hanno condotto gli artisti su una strada parallela al

sistema merceologico che regola la produzione di beni di

consumo per la massa. Una strada puntellata di opportunità

molto redditizie. L’arte moderna non vede più l’artista come un

individuo specializzato in un certo campo o in una certa

disciplina; non è facile dire con certezza se sia più sculture che

pittore. Oggigiorno l’artista sfrutta quanti più metodi e tecniche

possibili per soddisfare sia una sua ricerca a livello

sperimentale sull’uso dei materiali, sia per fare in modo che il

grande pubblico accolga la sua arte, in modo da ricavarne un

guadagno. Vi si riscontrano due livelli di crescita, due

opportunità: la crescita spirituale dell’accostamento tra materia

e concetti, e quella più concreta del denaro e della fama.

Quest’ultima, forse, sembra essere quella che più attira la

maggior parte non solo degli artisti, ma di tutti coloro che

regolano il flusso di denaro che circola tra autore, opera,

galleria o privato. In questo modo si crea un contesto in cui

l’arte diviene una pratica conforme alle richieste del pubblico,

senza tenere conto dell’attività creativa offerta dalla

sperimentazione nei diversi campi artistici.

Bisogna considerare, però, che non ci troviamo di fronte ad un

fenomeno che è frutto del capitalismo contemporaneo, ma a un

vincolo che esiste già dal Rinascimento. Un legame che oggi

come ieri decreta lo sviluppo dell’arte, quello con il denaro.

Esso ripaga l’artista e fornisce valore all’opera, che viene così

quotata in base a fattori specifici che solo i critici sembrano in

grado riscontrare.

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

38

Note

1-10-11

(cfr.) Secessione Viennese: da Klimt a Wagner, Eva Di Stefano,

Giunti Editore, 1999;

2-3

(cfr.) I Fondamenti dell’Arte Moderna - il Novecento, Werner

Hofmann, traduzione di Caterina Cardamone, Donzelli Editore, 1996; 4

Il Manifesto del Partito comunista: guida per la lettura dell’intero

Marx, Karl Marx e Friedrich Engels, a cura di Mario Cassa, Sapere,

1974; 5-6-7-8-9

L’Ideologia Tedesca, Karl Marx e Friedrich Engels,

traduzione di Fausto Codino, Editori Riuniti, 2000;

12

(cfr.) Primo Manifesto Internazionale Neoista, Stewart Home,

traduzione di Luther Blissett, 1987

(da http://www.lutherblissett.net/archive/008_it.html);

13

(cfr.) http://scream.deprogramming.us

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Capitolo 1 L’arte è un bene comune

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Capitolo 2 Legge 633

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Capitolo 2

Legge 633 La proprietà intellettuale:

intervento a cura del Dott. Stefano Genick

Prima di esaminare il Plagiarismo nelle sue metodologie,

applicazioni e valori etici, sarebbe importante soffermarsi sulla

questione legale che riguarda la proprietà intellettuale. Spesso,

infatti, molti artisti che praticano il plagio in forma creativa si

avvalgono delle conoscenze di avvocati e legali specializzati

nel settore. Questo non tanto per evitare di realizzare opere

esplicitamente plagiate, ma per individuare eventuali “falle”

legislative che potrebbero essere volte a uso e consumo del

lavoro plagiarista. Molti compositori di remix e mash up hanno

identificato queste mancanze e le hanno sfruttate per creare le

loro opere. In caso contrario, data la mole di frammenti di

musica altrui, questi artisti dovrebbero pagare royalties da

migliaia di dollari (o euro) l’una. I contenuti che seguono sono

estratti da un colloquio avuto con il Dott. Stefano Genick,

laureato presso la Facoltà di Giurisprudenza di Pisa.

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Capitolo 2 Legge 633

41

Il problema del plagio si pone nel momento in cui si trae

ispirazione dall’opera, ovvero quando il prodotto finale è

costruito su quella base.

La proprietà intellettuale è un diritto di proprietà tutelato

dall’Articolo 42 della Costituzione. Tutela la proprietà privata

attinente ai beni materiali e la estende ai beni immateriali. La

proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge che ne

determina modi di acquisto e godimento allo scopo di

assicurarne la funzione sociale e renderla accessibile.

La proprietà intellettuale è a sé stante perché tutela un bene

immateriale, un’opera dell’ingegno.

L’acquisto di tale opera avviene “a titolo originario”. Il

creatore dell’opera è proprietario dell’opera stessa. L’unico

modo d’acquisto effettivo del diritto d’autore (per diritto

d’autore intendo il diritto morale, ovvero il diritto alla paternità

dell’opera) avviene semplicemente nel momento in cui si crea

l’opera. Quindi io sono, al contempo, autore e proprietario

dell’opera, che diviene soggetta alla regolamentazione della

materia relativa alle opere d’ingegno.

La legge fondamentale è la 633 (Protezione del Diritto

d’Autore e di altri diritti connessi al suo esercizio) del 22 aprile

1941, riformata per effetto delle direttive comunitarie sulle

problematiche derivanti dall’introduzione dei software digitali.

L’oggetto del diritto va scisso in due parti. Il diritto morale, il

diritto alla paternità dell’opera che si acquisisce in via

originaria, con la semplice creazione dell’opera; perciò è un

diritto intrasmissibile, non negoziabile e incontestabile.

Viceversa, il diritto di utilizzazione economica del bene è

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Capitolo 2 Legge 633

42

gestibile e negoziabile. Si produce un effetto fondamentale che

è l’opponibilità; dal momento in cui si va in S.I.A.E. si ottiene

un effetto, all’interno dei confini nazionali, di pubblicità

dell’opera che difende un diritto morale sull’opera e un diritto

di utilizzazione della stessa, gestibile come si vuole. È chiaro

che i contratti intervengono su questa seconda parte, in cui vige

la volontà di disporre del bene distribuendolo o producendolo

in vari modi.

Si possono stipulare dei contratti limitati alla fase di

distribuzione dell’opera nel momento in cui si ha la forza di

produrre e di sostenere i costi effettivi di produzione, che è

consistente, soprattutto se di natura teatrale.

Contratti di produzione discografica: dopo aver creato un cd e

averlo registrato, si va dal produttore e si richiede la

registrazione, la messa su supporto e la commercializzazione. I

diritti di utilizzazione economica hanno un limite di settanta

anni e rientrano nel diritto di successione; gli eredi possono

disporne.

Il diritto morale d’autore rimane importante: nonostante si

deleghino i diritti di utilizzo economico dell’opera, essa rimane

del proprietario e diventa opponibile verso tutti. La legge

consente di intervenire su quel soggetto cui si conferisce un

utilizzo economico per imporre un’azione inibitoria, cioè

un’azione giuridica volta a imporre, a un soggetto,

l’interruzione di un’attività o il diritto morale, quando si

presentano modifiche non richieste o danni di vario genere

all’opera originale (in pratica, quando si ferisce il diritto

morale). Il risarcimento del danno segue due specifiche

direzioni: patrimoniale e morale. Il risarcimento patrimoniale è

conseguente alla produzione di una nuova opera, non

corrispondente a quella iniziale e che ha come effetto la perdita

di occasioni contrattuali. Il risarcimento morale è quello che si

richiede quando l’azione di chi produce il danno corrisponde a

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Capitolo 2 Legge 633

43

una fattispecie di reato, sanzionabile dal codice penale. In

questo caso qualora un soggetto disponga abusivamente di un

altrui diritto morale o di utilizzazione, oltre alla tutela civile si

può disporre di quella penale: perciò oltre alla richiesta di

risarcimento dei danni, si può intentare una causa penale.

In ambito civilistico quando si fanno contrattazioni, si produce

e si distribuisce, per evitare modifiche e storpiature, si stipula

una clausola penale, regolata dall’Articolo 1385 del Codice

Civile, che consente di valutare, a priori, il danno di una

determinata azione volta a ledere l’opera.

È difficile riuscire a dimostrare l’entità del danno: perciò è

necessaria la nomina di un perito contrattuale che possa

prefigurare un certo danno, seguendo dei criteri valutativi. In

questo modo si possono evitare tutti quei costi derivanti da

eventuali processi.

Per quanto riguarda un programma come Blob (che mi hai

portato ad esempio) è un’attività che prende in considerazione

spunti che hanno profili pubblicitari, cioè che hanno già avuto

una loro pubblicizzazione. Essendo prodotti già distribuiti si

tratta di una seconda pubblicità, non è una disposizione

originaria dei beni, ed è possibile disporne liberamente. Inoltre,

gli autori dei filmati da cui sono stati presi gli spezzoni

possono comunque godere di un ritorno di visibilità, o

pubblicità, dato da un utilizzo alternativo, in un secondo

momento, del materiale originale.

Infine, hai accennato alla scadenza del copyright di Popeye,

avvenuta il 1 Gennaio 2009 in Europa, e di un suo possibile

riutilizzo da parte tua. Resta il fatto che, come tu mi hai

spiegato, il denominativo “Popeye” rimane tuttora proprietà

dell’azienda statunitense King Features Syndicate. 1

In Europa, infatti, esiste una tutela giuridica che deriva dal

“pre-uso” del marchio, rispetto alla registrazione. Questa tutela

non la si può contestare.

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Capitolo 2 Legge 633

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La contestazione del pre-uso, non solo è inutile, ma è perfino

rischiosa. Se si contesta un marchio pre-usato, non si può più

opporre la buona fede nella registrazione dello stesso. È, infatti,

una registrazione fatta ad hoc per sottrarre ad altri il libero uso

di quel marchio a qualsiasi livello. La registrazione in mala

fede è nulla, cioè come se non esistesse.

Infine, nel caso si volesse registrare un marchio compreso di

immagine figurativa e denominativo, questi verrebbero scissi

secondo le normative sulla registrazione. Ciò comporta un uso

separato dell’immagine e del denominativo a essa riferito.

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Capitolo 2 Legge 633

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Note

1

(cfr.) estratto da:

http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/base/grubrica.asp?I

D_blog=47&ID_articolo=274&ID_sezione=70&sezione=

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Capitolo 2 Legge 633

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

47

Capitolo 3

Il plagio come negazione della cultura Un saggio di Stewart Home

Non c’è da stupirsi che il Plagiarismo venga spesso

minimizzato e accostato al furto dall’opinione pubblica, data

l’apparente semplicità dei concetti al quale forniscono sostanza.

Le metodologie sono le stesse: l’appropriazione indebita

permane e il rapporto tra arte e commercio è più che mai

presente, come vedremo più attentamente avanti.

Il Plagiarismo, nella concezione di “movimento”, è stato un

fenomeno effimero e scarsamente conosciuto (e riconosciuto);

in pochi gli hanno dedicato attenzione, soffermandosi più sui

cavilli legati al copyright che sull’aspetto creativo e artistico

dell’argomento.

In effetti, trattandosi di una corrente durata all’incirca un anno,

non è possibile elaborare una critica approfondita senza tirare

in ballo le questioni legali e le procedure penali legate ai fattori

che accomunano Plagiarismo e plagio.

Per questi motivi, ho pensato di introdurre il Plagiarismo

riportando ciò che Stewart Home ha scritto in proposito nel suo

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

48

libro Neoismo e altri scritti - idee critiche sull’avanguardia

contemporanea 1

. Si tratta di una delle stesure più approfondite

ed esaustive sul tema, forse, a mio parere, la più illustre; poiché

il Plagiarismo è una branca, se così si può dire, del Neoismo, il

cui fondatore è appunto lo stesso Home.

Molto interessante notare, come vedremo, che l’autore non fa

riferimento a una propaganda del movimento all’interno delle

gallerie; ciò conferma un possibile inserimento ipodermico del

Plagiarismo nel circuito dei media, da cui è possibile ipotizzare

che esso non sia effettivamente scomparso, ma si sia inserito

tra questi; un’idea che Home riprende da Fluxus e

Internazionale Situazionista, ai quali s’ispira molto.

Data la totale colonizzazione della vita quotidiana ad opera del

Capitale, siamo costretti a parlare il linguaggio imposto dai

media.

E’ sempre stato impossibile dare un’espressione coerente ai

pensieri e alle pratiche che si oppongono all’ideologia

dominante. Tuttavia, non perseguiamo la creazione di nuovi

linguaggi. Un atto del genere è condannato al fallimento e fa il

gioco del Capitale (rafforzando i miti dell’“originalità” e della

“creatività individuale”). Al contrario, il nostro obiettivo è di

reinventare il linguaggio di chi vorrebbe controllarci.

Mentre rifiutiamo il concetto di “originalità”, non troviamo

problematica l’idea che il plagio implichi un originale. Sebbene

riteniamo che tutta la “creatività umana” sia “accumulativa”

(vale a dire che tutte le “innovazioni” sono costruite dalla

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

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somma totale di ciò che è venuto prima), non ci turba che nel

passato ci sia un “punto di inizio”. Non possiamo dare conto di

questo “punto di inizio” e non perderemo il nostro tempo

facendo speculazioni filosofiche su cose così irrilevanti.

Il plagio è il polo negativo di una cultura che ha la sua

giustificazione ideologica nell’“unico”. Infatti, è soltanto

attraverso la creazione di identità uniche che può esserci

mercificazione. Così, la ricerca priva di esito di un linguaggio

nuovo e universale, da parte degli artisti “modernisti”,

dovrebbe essere vista come un momento avanzato del progetto

capitalista. Comunque,. Questo non significa assolutamente

che il “postmoderno” sia in qualche modo più “radicale” del

suo precursore. Entrambi i movimenti sono stati soltanto tappe

di un’unica traiettoria. Tali sviluppi riflettono l’abilità del

sistema di recuperare le azioni e i concetti che precedentemente

hanno minacciato proprio la sua costituzione.

L’“appropriazione postmoderna” è molto diversa dal plagio.

Mentre la teoria postmoderna afferma che non c’è più nessuna

realtà fondamentale, quella plagiarista riconosce che il Potere è

sempre una realtà nella società storica.

I postmoderni sono di due categorie. La prima annovera i cinici,

che comprendono il processo ideologico nel quale essi hanno

un ruolo minore e manipolano il sistema per il proprio

guadagno personale. Alla seconda categoria appartengono i

postmoderni semplicemente ingenui. Bombardati dalle

immagini dei media, credono che la “normalità” sempre in

cambiamento presentata dalla stampa e dalla TV sia una

perdita della “realtà”. I plagiaristi, di contro, riconoscono il

ruolo che svolgono i media nel mascheramento dei meccanismi

del Potere, e cercano attivamente di disgregare quest’attività.

Ricostruendo e soggettivizzando le immagini del dominio ci

prefiggiamo di creare una “normalità” che venga meglio

incontro alle nostre esigenze rispetto all’incubo massmediale

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

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imposto dal Potere. Comunque, non abbiamo mai creduto che

questo si possa ottenere soltanto attraverso mostre in “galleria”.

Le immagini utilizzate per vendere detersivi hanno una forte

presa sulle nostre coscienze proprio perché questi cliché sono

riprodotti dai media spessissimo. Perché un’immagine abbia

effetto, occorre che sia continuamente riprodotta dalla stampa e

alla televisione. L’unica praticabile alternativa alla nostra

strategia di fare mostre utilizzando immagini ricostruite col

procedimento del plagio è la distruzione fisica delle stazioni

televisive e delle tecnologie della stampa.

.Il plagio

Il plagio consiste nella manipolazione consapevole di elementi

preesistenti per la creazione di opere “estetiche”. Il plagio è

insito in tutta l’attività “artistica”, poiché sia la pittura sia la

letteratura funzionano grazie ad un linguaggio ereditato, anche

quando chi le pratica si prefigge di abbattere la sintassi ricevuta

(come accadde con il modernismo e il postmoderno).

All’inizio del ventesimo secolo, grazie alla scoperta del collage,

le modalità con cui nelle produzioni “artistiche” venivano usati

elementi preesistenti si svilupparono notevolmente.

Due o più elementi divergenti sono accostati per creare nuovi

significati. La somma risultante è maggiore delle singole parti.

I lettristi, e più tardi i situazionisti, chiamarono questo

procedimento détournement (“diversione” è la traduzione

letterale del termine francese), ma quest’attività a livello

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

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popolare è tuttora conosciuta come “plagio”, termine che ha

usato Lautréamont.

Il plagio arricchisce il linguaggio umano. E’ un’impresa

collettiva estremamente lontana dalle “teorie” postmoderne

dell’“appropriazione”. Il plagio comporta il senso della storia e

conduce a una progressiva trasformazione sociale.

Al contrario, l’“appropriazione” degli ideologi postmoderni è

individualistica e alienata.

Il plagio è per la vita, il postmoderno è cristallizzato nella

morte.

.I nomi multipli

I nomi multipli sono “etichette” che l’avanguardia degli anni

Settanta e Ottanta ha proposto per un uso seriale. Hanno avuto

svariate forme, ma per lo più si tratta di “nomi di persone

inventate” che, come affermano i sostenitori, chiunque può

assumere come “contesto” o “identità”. Di solito, l’idea è la

creazione di un corpo collettivo di opere artistiche che fanno

uso di un’“identità inventata”.

Klaos Oldanburg, la prima di queste “identità collettive”, fu

diffusa dai mail-artisti britannici Stefan Kokowski e Adam

Czarnowski a metà degli anni settanta. Pochi anni dopo, il

mail-artista americano David Zack propose Monty Cantsin

come nome della “prima open pop-star”, un nome che

chiunque poteva utilizzare.

Le differenze sostanziali tra le persone che ricorrevano

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

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all’etichetta di Monty Cantsin emersero grazie ai nomi “rivali”

di No Cantsin e Karen Eliot, entrambi venuti fuori a metà degli

anni Ottanta. Numerosi individui e gruppi hanno “dato origine”

indipendentemente, a concetti simili. Per esempio, a metà degli

anni Ottanta, il gruppo raccolto intorno a Sam Durant a Boston,

negli Stati Uniti, propose come identità multipla Bob Jones.

Ci sono stati nomi multipli per rivista (come Smile, che nacque

in Inghilterra nel 1984) e per gruppi pop (come White Colours

proposto per la prima volta in Inghilterra nel 1982).

I nomi multipli cono connessi alle teorie radicali relative al

gioco. L’idea è di creare una “situazione aperta” di cui nessuno

sia responsabile. Alcuni tra i sostenitori di tale idea affermano

anche che questo è un modo per “analizzare praticamente, e

distruggere, le nozioni filosofiche occidentali di identità,

individualità, valore e verità”.

.Presto…

Il presente testo, nonostante la sua ovvia funzione di guida

all’installazione Anon 2

, non è stato scritto con l’intenzione di

assegnare un significato unico alla mostra.

L’installazione Anon è stata fatta con l’intenzione di disgregare

le procedure produttive e burocratiche che tendono a ridurre il

ruolo del pubblico (almeno apparentemente) a quello di

spettatore passivo. Il titolo della mostra evidenzia il desiderio

dei partecipanti di mettere in questione lo status assegnato al

cosiddetto “creatore” nella produzione di cultura. Tuttavia,

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

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nonostante il titolo, per i partecipanti alla mostra sarebbe

controproducente rimanere “completamente anonimi”, dato che

questo avrebbe l’effetto di un’attenzione non dovuta

focalizzata sulle loro possibili identità (come succede, ad

esempio, con The Residents). Così, mentre non abbiamo dato

“risonanza” ai nostri nomi (per esempio mettendoli sulla

cartolina di invito all’“inaugurazione”), non abbiamo tenuto

granché segreto “chi siamo”.

Numerose tattiche sono state impiegate nel tentativo di

impedire agli individui resi furbi dall’infingardaggine e dal

potere di adottare un atteggiamento puramente contemplativo

nei riguardi dell’installazione. Appena entrati nella galleria i

visitatori si trovano un faretto puntato contro, di fronte a un

banco. Per andare avanti bisogna girare a destra. L’intenzione

qui non è di rafforzare (per analogia) la consapevolezza del

fatto che i pianificatori urbani, gli architetti, eccetera, cercano

di predeterminare i nostri movimenti all’interno dell’ambiente

della città; allo stesso tempo, intendo provocare una risposta

critica all’“arte dello spazio” come luogo di Potere.

Mentre il flusso del Potere non è mai unidirezionale, bisogna

darsi ancora un gran daffare per riportare tali flussi a uno stato

di equilibrio. All’interno del dominio delle “arti”, una

ricognizione generale sul ruolo produttivo svolto dal pubblico

nella creazione di cultura sarebbe un netto progresso verso il

contenimento dello snobismo e dell’elitarismo endemici a tutta

quanta la scena culturale contemporanea.

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

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.Una breve orazione sulla nostra “condizione culturale”

Con la riduzione delle spese pubbliche in ambito culturale,

diventa possibile per gli elementi “autonomi”, specialmente nei

campi più “sperimentali”, distruggere l’egemonia delle

iniziative insulse favorite dagli enti che amministrano i

sovvenzionamenti. In particolari ambiti, che non saranno mai

“finanziariamente praticabili” o “attraenti” per gli sponsor

economici, il taglio delle sovvenzioni, che i monetaristi

credono consegni la cultura al “libero mercato” (come se la

cultura fosse qualcosa di diverso da un effetto sovrastrutturale

dell’economia!), permette di fatto il controllo di interi settori

delle arti ai più fanatici avversari del capitalismo (e che sono

del tutto preparati a “lavorare” senza nessun “riconoscimento”

finanziario).

Uno degli elementi principali di questo genere di “fanatismo” è

il rifiuto di fare affermazioni universalistiche riguardo a ogni

forma di produzione culturale (e di deridere questa e altre

affermazioni simili, che gli artisti hanno tradizionalmente

utilizzato per “giustificare” il proprio lavoro). Una pratica

culturale sinceramente “radicale” deve rifiutare l’essenzialismo

e, allo stesso tempo, riconoscere la realtà dei rapporti di potere

che caratterizzano la nostra società. I postmoderni rifiutano

l’essenzialismo in teoria, ma nello stesso tempo sfruttano

l’ideologia umanista dell’arte “romantica” e “moderna”, il cui

lascito li mette in grado di ricevere sussidi e di trarre profitto da

carriere di insegnamento finanziate dallo stato. Riguardo a ciò

che caratterizza questa società, questi nouveaux nietzschiani, o

per lo meno l’ala boudrillardiana di questo “movimento”,

fanno l’affermazione assolutamente ridicola che il potere sia

“scomparso”.

Tuttavia, quanto detto sopra non deve essere frainteso come

una qualche forma di neomarxismo: nonostante la società

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

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capitalista sia caratterizzata da gravi ineguaglianze di Potere,

non c’è (al presente) un’unica classe capace di portare a

termine un programma collettivo di trasformazione dei rapporti

sociali (nemmeno c’è l’“inevitabilità” storica che una tale

formazione di classe appaia nel futuro prossimo). Per queste

ragioni ho adottato la strategia della lotta, qui e ora, in un

ambito che sia di interesse immediato per me (invece di tentare

di “organizzare la classe” o agire come “fiaccola” per gli altri).

In ogni caso, un’organizzazione basata sui “nuovi movimenti

sociali” appare molto più sensata del tentativo di imporre i

tradizionali modelli di classe marxiani a una società che ha

subito enormi cambiamenti da quando essi sono stati delineati

per la prima volta (ma perfino centocinquanta anni fa tali

modelli erano davvero inutili, poiché ogni interpretazione di

classe “genuina” necessita di qualcosa di più di un mero

riduzionismo economico).

L’affermazione marxista-leninista che la società è composta da

una base economica e da una sovrastruttura culturale e politica

è completamente priva di senso; c’è interazione dinamica tra

economia, cultura e politica (ognuna di queste categorie può

assumere il dominio in un momento specifico a seconda

dell’azione reciproca dei fattori storici).

Un’interazione simile si verifica tra produzione e consumo:

dall’inizio dell’industrializzazione nessuna di queste due

categorie ha goduto di una condizione di dominio permanente

sull’altra. Da qui la mia preoccupazione di sottolineare il ruolo

produttivo svolto dal pubblico nella sfera culturale.

Concomitante a tale interesse è il rifiuto dell’idea che ci sia

un’“entità radicale e politicizzata di consumatori semipassivi”

che aspetta con ansia l’opportunità di assistere a eventi come

l’installazione Anon (ed è per questa ragione che ho colto al

volo l’opportunità di collocare il mio lavoro in posti dove sia

visto da persone che non hanno pianificato di vederlo, cioè le

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

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vetrine del centro commerciale di Luton).

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

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Note

1 Neoismo e Altri Scritti - idee critiche sull’avanguardia

contemporanea, Stewart Home, a cura di Simonetta Fadda, Costa &

Nolan, 1997;

2

(ndr.) “Un certo numero di tattiche sono state impiegate nel

tentativo di evitare quegli individui arrestati dalla pigrizia, che

mutano l’interesse in un atteggiamento puramente contemplativo

verso l’installazione. Entrando nella galleria, i visitatori si trovano

sotto dei riflettori davanti ad un banco della reception. Per

procedere si deve girare a destra. L’intento è di rafforzare (per

analogia) la consapevolezza di come gli urbanisti, gli architetti e

altri cercano di predeterminare i nostri movimenti all’interno di un

ambiente urbano; contemporaneamente, l’installazione intende

provocare una risposta critica nei confronti dello “spazio dell’arte”

come luogo del Potere”.

(estratto da http://www.stewarthomesociety.org/art/anon.htm).

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Capitolo 3 Il plagio come negazione della cultura

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

59

Capitolo 4

Verso un’arte del plagio La versatilità del collage

Se ripercorressimo l’intera cronologia della storia dell’arte (e

non solo), potremmo imbatterci in opere e in artisti, ma anche

in tecniche, che si caratterizzano per una spiccata attitudine al

rimaneggiamento di materiale altrui. Il collage è una di queste

tecniche, e gli artisti che ne hanno fatto uso sono tanto

innumerevoli quanto inaspettati; quando non era impegnato a

realizzare quelle opere che oggi gli attribuiamo, Pablo Picasso

si dilettava nell’arte “minore” del collage, realizzando i suoi

cosiddetti papiers collés (carte incollate).

Ci troviamo di fronte, quindi, a una pratica consolidata

nell’arte da una delle sue personalità più influenti. Il collage,

come concetto, è applicabile in svariate forme: collage

audiovisivi, musicali e letterari sono solo alcuni esempi della

versatilità di questa, a mio parere, piccola, grande arte. Poiché,

malgrado il messaggio percepibile poggi anche su fattori come

il nonsense, la composizione segue quasi sempre una logica,

una “metrica” ben precisa.

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

60

Considerando, inoltre, che il Plagiarismo, tema principale di

questa tesi, pone l’accento sul ripescaggio e sulla

reinterpretazione di opere preesistenti, potremmo dedurre che il

collage è l’antesignano di una pratica ideata da Home

settant’anni più tardi.

.Taglia/Incolla

Se pensiamo a un collage, probabilmente la prima cosa che

immagineremmo potrebbe essere un foglio di carta su cui sono

stati applicati con la colla dei pezzi di figure ritagliate da riviste,

quotidiani, fumetti, e disposti in modo da comporre

un’immagine, o casualmente. I più “estrosi” potrebbero

ricondurre il collage a quelle lettere di riscatto che il cinema ha

contribuito a rendere tanto note.

Entrambe le interpretazioni sono esatte; lo stesso Richard

Hamilton avrebbe riconosciuto tale pratica in queste definizioni,

applicandole al suo Just What Is It Makes Today’s Homes So

Different, So Appealing?, collage del 1956 considerato da

molti come la prima opera “pop”. Non a caso il collage è un

metodo accessibile a tutti, in termini di attuabilità; ma non di

contestualità. C’è una netta differenza fra un collage fatto in

casa e un collage fatto da Hamilton: quest’ultimo si trova in un

museo, e più precisamente presso la galleria d’arte Kunsthalle,

a Tübingen, in Germania 1. Il motivo è da attribuirsi alla nomea

dell’autore, che è un artista. Ma cosa rende l’artista tale, in

questo specifico caso?

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

61

Egli crea una situazione attraverso cui si può cogliere un

messaggio, un concetto con il quale è possibile decifrare una

visione soggettiva della società contemporanea. Dall’altra parte,

tale concetto è interpretabile, poiché l’artista non pretende di

rappresentare l’oggettività del mondo; crea invece doppi sensi,

trappole cognitive, diversioni, détournement appunto.

Le figure che compongono il collage di Hamilton non sono di

certo messe lì a casaccio. Sono però pervase di una carica

satirica e di un gusto per il grottesco che sollecitano più

l’attenzione visiva che quella cognitiva: la particolare ricerca

. Just What Is It Makes Today’s Homes So Different, So Appealing?, Richard Hamilton

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

62

estetica e compositiva

dell’opera spinge lo

spettatore a una

critica superficiale

che la condanna a una

perdita dell’aura

culturale di alto

livello. Si tratta di un’affermazione sbrigativa, certamente, in

quanto l’obiettivo di Hamilton non è di proporre qualcosa fatto

in poco tempo e comunque remunerativo, ma è di canzonare la

società capitalistica occidentale con i suoi stessi prodotti. La

semplicità esecutiva e materica

dell’opera è uno di questi, e

Duchamp, si sa, ne ha fatto scuola.

L’obiettivo dell’arte, nel Dadaismo,

è smontare pezzo a pezzo le

fondamenta stesse della cultura

elitaria, e quale modo migliore se

non rendere l’arte un’attività

“leggera”, frivola, provocatoria e

pungente, ma altrettanto

praticabile quanto, ad esempio,

una striscia a fumetti?

Il paragone, qui, non è casuale, poiché nella Pop Art le icone

della cultura popolare divengono le nuove figure universali di

un modo (non così) innovativo di concepire l’opera d’arte, ora

divenuta molto più simile a un bene commerciale; e

commerciabile. Non si fa altro che catturare i soggetti più

celebri dell’immaginario collettivo e innalzarli a un livello non

di molto superiore al contesto da cui sono stati presi. Roy

Lichtenstein attua tale concetto, e per farlo si avvale di

anonime vignette Marvel in cui cambia il significato dei testi

presenti all’interno dei balloon; più radicale è invece

.Popeye, Andy Warhol

.Whaam!, Roy Lichtenstein

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

63

l’intervento di Andy Warhol, che ripropone su tela una

copertina del famigerato Popeye. Il metodo di questi ultimi due

autori ha però contribuito ad aggiungere un ulteriore tassello

nello sviluppo di quelli che in seguito saranno i movimenti

anticulturali dei primi anni ottanta, e più avanti esamineremo

più attentamente questo punto.

Di solito, con l’avvento di una tecnica riutilizzata per fini

artistici, si creano quasi naturalmente nuove forme praticabili, e

ciò è dovuto a uno spirito sperimentale che esclude un

approccio unilaterale dell’arte verso gli svariati livelli,

metodologie e processi culturali.

Il collage potrebbe quindi essere ritenuto una semplice pratica

ricreativa, se lasciato rinchiuso all’interno di un contesto al

quale la cultura altisonante non vuole mescolarsi. È invece un

punto di partenza per uno sviluppo progressivo di un’opera:

sovrapponendo tra loro tanti piccoli tasselli, senza considerarne

troppo l’origine, è possibile giungere a una percezione

polisemantica di un “unico”: come percepire i singoli mattoni

senza perdere di vista la figura dell’intero edificio. Un

fotomontaggio a buon mercato e meno impegnativo.

È chiaro che persino un bambino sarebbe in grado di comporre

il suo collage personale, pur non tenendo conto di una serie di

aspetti concettuali e cognitivi: e con ciò non è da escludere un

certo valore creativo e tematico nel suo lavoro, percepito come

un semplice gioco, ma permeato di quell’istintività che tanto

piaceva ai dadaisti.

Un criterio progettuale è però fondamentale se si vuole

comunicare un messaggio, e Hamilton non fa eccezione. Le

figure sono in apparenza assoggettate al caso e al gusto estetico

dell’artista, mentre in realtà comunicano un certo punto di vista

che riflette un pensiero. E non importa quale sia l’origine dei

ritagli, dal momento in cui essi assumono un valore nuovo,

divenendo unità di un prodotto concettualmente opposto ai

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

64

magazine da cui provengono. Appropriarsi di materiali altrui

per trasformarli in qualcosa di completamente diverso equivale

a creare il nuovo.

Come accennato precedentemente, da una tecnica possono

derivarne altre, ed è un dato di fatto.

Se il collage di Hamilton propone raffigura un’idea dei soggetti

e della situazione presenti nell’opera, lasciando lo spettatore

libero d’immaginarsi come possano presentarsi nella realtà,

Robert “Milton Ernst” Rauschenberg vi aggiunge un ulteriore

fattore, la tridimensionalità.

Probabilmente ispirato da sperimentazioni dada quali, ad

esempio, Cadeau (1921) di Man Ray, egli amplia un campo di

scelta già di per sé vastissimo. Nel suo Monogram (1955), in

cui spicca la figura grottesca di un montone imbalsamato

intrappolato in uno pneumatico, Rauschenberg pone attenzione

all’uso dei materiali preesistenti in natura e crea i suoi primi

assemblage, o combines, come lui stesso definisce. Il concetto

operativo ricorda molto quello dei ready-made, se a

distinguerlo non fosse un’infinità di combinazioni date dalla

manipolazione della materia e dalla fisicità palpabile delle

rappresentazioni, talvolta al limite del surreale.

Qui non occorre immaginarsi alcunché: il montone intrappolato

nello pneumatico è lì, davanti a noi. È la rappresentazione di

una situazione alquanto grottesca, ma resa reale. Il passo

successivo sarebbe l’utilizzo di un montone vivo, ma le

conseguenze, tanto per usare un eufemismo, sarebbero

spiacevoli.

Con i ready-made Duchamp si avvale di oggetti pronti all’uso,

ma decontestualizzati, mentre Rauschenberg li manipola e li

assembla tra loro, appunto, dando vigore a concetti più

elaborati e a un presenza estetica alla quale la Fontana non può

di fatto anelare. Mescolare materiali tridimensionali non

esclude un ulteriore intervento dell’artista, che arricchisce il

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

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tutto con altrettanti collage, spruzzi di vernice, pennellate e

quant’altro; il che caratterizza l’assemblage anche a livello

contestuale. La vastità di scelta nel mescolare tecniche,

metodologie, concetti e discipline artistiche è tale da renderlo

un contenitore di esperienze, un simbolo di eterogeneità, un

assemblage culturale oltre che pratico.

Più volte l’arte ci ha insegnato che non sempre la presenza di

un soggetto sia sufficiente a dare pathos all’opera. Talvolta è

l’assenza stessa del soggetto a conferire un certo tipo di aura: si

pensi a una delle monocromie di Yves Klein, in cui l’unicità

deriva dalla presenza di un singolo colore che ricopre l’intera

superficie della tela, colore che diventa a priori il soggetto

incontrastato dell’opera. Può avvenire lo stesso per un metodo

di lavoro come il collage?

.Monogram, Robert Rauschenberg

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

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Oltre che come rappresentazione artistica dell’espressività

urbana, per rotella il manifesto, il cartellone pubblicitario si

sono rivelati terreni fertili sui quali far crescere un tipo di arte

quasi del tutto privata dei soggetti. Le procedure che Rotella

mette in atto non hanno nulla a che vedere con il metodo di

Klein, ma il concetto di “immateriale” è comune. Il decollage è

chiaramente la manifestazione di tale concetto, che Rotella usa

per creare, nel 1955, il cosiddetto Manifesto Lacerato.

Invece di aggiungere elementi, egli fa uso di un oggetto

prelevato dal suo ambiente

(e quindi decontestualizzato,

netta ispirazione ai ready-

made “duchampiani”) dal

quale vengono tolte alcune

parti. L’appropriazione

indebita è altrettanto

evidente, e qui si rivela in

tutta la sua fisicità, con un

artista che esce di casa e

strappa via da un muro un

manifesto pubblicitario, al

quale poi conferito un

significato del tutto

rinnovato. È la città,

l’ambiente urbano che ridefinisce il livello comunicativo delle

opere di Rotella, le quali suggeriscono sia un atteggiamento

riottoso nei confronti della passività dello spettatore, sia un

desiderio di rappresentazione logora e lacerante della società,

abbrutita dalla sua stessa cultura. Nello specifico, comunque, il

decollage rimane una tecnica che mira alla spersonalizzazione

dell’opera e che potrebbe, magari, attuare un’operazione di

“riciclaggio” dei pezzi tolti; in questo modo si potrebbe

ridefinire un metodo che sembra essere univoco, ma che in

.Manifesto Lacerato, Mimmo Rotella

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

67

realtà offre all’opera molte variabili, tanto nella sua

scomposizione quanto nella sua ricomposizione. Detto

volgarmente, sarebbe come prendere due piccioni con una fava;

del resto, qualsiasi cosa prescinde il suo contrario, e all’artista

non resta che capire quale di queste sia attuabile, se non

entrambe.

.We in 1984

In una rappresentazione figurativa non è poi così difficile

capire se il plagio sia stato effettivamente attuato, poiché

facciamo meno fatica nel ricollegare un’immagine a un ricordo.

Ad esempio, in un collage composto da ritagli di celebrità il

nostro occhio riconoscerà le figure e la memoria le ricollegherà

automaticamente al mondo del cinema, o della televisione.

Anche se nell’opera è presente un concetto che sfrutta le figure

delle celebrità rappresentate per comunicare qualcosa di

completamente distaccato, la mente le riporterà alla loro

origine; attraverso un esame più attento si potrebbe allora

carpire il messaggio, ma solo dopo l’impatto visivo.

Il mondo che percepiamo è fatto di immagini che la memoria

archivia continuamente: perciò se vedessimo una foto di

Marilyn Monroe il soggetto risulterebbe tanto riconoscibile

quanto nel celebre dipinto di Warhol, poco importa se il

significato delle due rappresentazioni è differente. Quella

donna, sia su tela artistica che su carta fotografica, è e rimane

Marilyn Monroe, una vera e propria icona oltre che un’attrice.

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

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.1984, George Orwell .We, Yevgeny Zamyatin

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

69

Finora abbiamo parlato di immagini, tralasciando un aspetto

che spesso, purtroppo, non viene associato direttamente all’arte

come tutti la intendono; vale a dire la scrittura.

Le parole sono assolutamente riconoscibili, assimilate dalla

mente e interpretabili quanto le immagini stesse, poiché il loro

obiettivo è determinato dal contesto in cui vengono dette. Per

la scrittura vale la stessa cosa. Il genere e il target di uno scritto

danno sostanza al pensiero dell’autore e ne caratterizzano

l’impostazione; ad esempio, in un testo satirico non bisogna

prendere alla lettera ogni singola parola all’interno di una frase,

ma percepire la frase nella sua interezza per coglierne le

sottigliezze, l’ironia, le sfumature, il messaggio.

Ora, in un’opera narrativa come un romanzo è raro riscontrare

un impatto visivo, o cognitivo, dato dalle parole, poiché in

questo caso contribuiscono a farci immaginare una certa

situazione in modo lineare, senza troppi espedienti.

A nessuno, però, è vietato appropriarsi di un testo qualsiasi in

modo del tutto personale. L’argomento centrale che stiamo

esaminando è la serie d’implicazioni che si hanno dal momento

in cui si decide di plagiare qualcosa: opere letterarie incluse.

In questo caso il plagio assume forme molto più complesse, tra

le quali può risultare non facile identificarlo. È possibile, infatti,

copiare un testo parola per parola, nel qual caso non potremmo

parlare di Plagiarismo nel senso “creativo” del termine

(risulterebbe un semplice plagio); o ancora, prendere un testo e

usarlo come base per creare un inedito. Non a caso, però,

abbiamo parlato di collage, dal momento che può essere

applicato praticamente a qualsiasi supporto cartaceo (e non,

come si è visto).

Sarebbe forse più costruttivo analizzare una possibile perdita

dell’immutabilità del testo. Il risultato finale, il significato se

vogliamo, rimane sempre in sospeso e aperto a una molteplicità

di percorsi e di conclusioni.

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

70

William Burroughs utilizzava qualcosa simile al decollage, un

metodo di scomposizione, e lo sperimentava applicandolo in

diversi modi. La forma basilare del suo cut up, consiste nel

tagliare una pagina in quattro sezioni, per poi fornirle di una

sequenza nuova. Si prosegue suddividendo queste parti in unità

ancora più frammentate, e così via.

Ma il cut up può trovare dei modi di utilizzo anche in forme

diverse dal testo scritto: anche il nastro di una cassetta audio

può essere ritagliato e ricomposto in modo casuale o meno; ma

di questo parleremo più avanti.

Dalle sperimentazioni condotte in questo campo, Burroughs

pone attenzione all’inintelligibilità delle parole originali, che

lasciano il posto a nuove parole composte dai diversi pezzi; in

tal modo si creano situazioni totalmente differenti dall’opera

originale, mentre il destinatario diverrà parte attiva nella

manipolazione dell’informazione; assumerà uno spirito critico

nei confronti dei messaggi a cui viene sottoposto fino a

riutilizzare la tecnica per i suoi scopi.

Con il cut up, in pratica, si mantiene lo spirito del testo

originale per creare nuovi significati. Si pensi a una serie di

romanzi distopici scritti in periodi caratterizzati da forti tumulti

politici e diplomatici, dittature, regimi.

Yevgeny Zamyatin e George Orwell (ai quali aggiungerei

J.R.R. Tolkien, per le similitudini che ho trovato tra la figura di

Sauron, de Il Signore degli Anelli, e Il Grande Fratello di 1984)

descrivono società, regolate da potenze totalitarie, in cui il

libero pensiero viene bandito e la cultura ridotta al minimo del

suo spessore. Dei romanzi We (Zamyatin) e 1984 (Orwell) si è

parlato spesso, poiché si ritiene che il primo sia la fonte da cui

è stato massicciamente tratto il secondo 2

. Ma sarebbe giusto

accusare Orwell di plagio e non di Plagiarismo?

Secondo Stewart Home, attraverso un’analisi non troppo

scrupolosa del testo di 1984, sarebbe possibile riscontrare una

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

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forte somiglianza non solo con lo stile di We, ma anche con

alcune intere frasi, liberamente copiate e rimaneggiate con la

tecnica del cut up.

D’altra parte sarebbe ingiusto non riconoscere in Zamyatin una

prospettiva della società e una contenutistica di grande impatto

emotivo, una qualità che rende la sua narrativa, a mio parere,

fonte di grande ispirazione per un genere letterario tra i più

difficili e avveniristici (il fantapolitico, a cui la letteratura

cyberpunk dei primi anni ottanta deve molto).

È logico supporre, quindi, che molti altri autori in seguito si

siano liberamente ispirati agli scenari ideati dallo scrittore

russo, particolarmente dettagliati e originali. Qualsiasi

proprietà intellettuale in grado di suscitare grande interesse

diventa automaticamente un patrimonio culturale, poco importa

se è protetta da copyright. Questo è un altro degli aspetti che

sintetizzano e caratterizzano il Plagiarismo: l’ispirazione da

altri non può essere incriminabile, poiché non si tratta di una

pratica a tutti gli effetti imputabile, pur esistendo dei parametri

che identificano eventuali casi di plagio. Per questo motivo ho

citato Il Signore degli Anelli: chi avesse letto o anche solo

sentito parlare di 1984 e del suo misterioso Grande Fratello,

come non potrebbe ricondurlo al grande occhio “che tutto vede”

e che si erge a Mordor? È solo un’ipotesi, che nel caso fosse

attestata, non sarebbe comunque sufficiente per accusare

Tolkien di plagio vero e proprio; tutt’al più per incolparlo

d’ispirazione. Stessa ispirazione che nel 1929 influenzò il

regista russo Dziga Vertov nel film/documentario L’Uomo con

la Macchina da Presa, in cui fa la sua comparsa, verso la fine

del film, il primo piano dell’obiettivo di una macchina da presa;

anche qui, l’accostamento tra mezzo di riproduzione e

organismo di controllo delle masse appare eloquente. Come si

può notare, il contesto storico non contempla il furto

intellettuale, dal momento che l’ispirazione creativa diventa

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

72

comunitaria a causa di fattori sociopolitici che influenzano il

pensiero di tutti. Tornando al cut up, esso può essere

interpretato in diverse forme; si pensi al cosiddetto “flusso di

coscienza” applicato da Filippo Marinetti alla poetica futurista

(1909), o al “monologo interiore” presentato ne L’Ulisse (1922)

di James Joyce 3

. In entrambi i casi, pur non trattandosi di un

collage “materico”, il cut up è sfruttato quasi a livello

inconscio, come un flusso di parole, onomatopee e spesso

formule matematiche; è come se la memoria dell’artista fosse

la fonte da cui vengono tagliati dei pezzi e assemblati su carta

per comporre il cut up. Forse è stata proprio la poesia visiva dei

futuristi a ispirare il concetto di “ritaglio/ricomposizione” di

Burroughs. Già di per sé ritenuta una tecnica irriguardosa nei

confronti della ricerca dell’originalità e del valore delle idee, il

cut up è anche un modo per manipolare l’informazione e,

quindi, la realtà oggettiva. Non ci sono limiti nell’adeguatezza

delle fonti, qualsiasi opera può essere “cutuppata” per suscitare

una reazione programmata nel lettore. Per Luther Blissett

dissacrare un testo come l’Apocalisse per esprimere la sua

visione di un mondo utopico, libero dal capitalismo e

dall’egemonia delle informazioni, è un modo tanto

provocatorio quanto rapido per attirare l’attenzione (e le

polemiche). Reinterpreta a modo suo un evento che, da quanto

si può notare nel cut up che segue, assume quasi i tratti di un

proclama sociopolitico, non più profondo, a livello di

personaggi e situazioni, di un moderno romanzo fantasy.

Il testo seguente è tratto dal suo libro Mind Invaders e, benché

la traduzione dall’inglese non sia proprio identica al testo in

italiano dell’Apocalisse (come anche l’impaginazione), il cut

up appare comunque più che evidente:

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

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.Apocalisse 4

Primo Sigillo

Quando l’Agnello sciolse il primo dei sette sigilli,

vidi e udii il primo dei quattro esseri viventi che gridava

come con voce di tuono: “Vieni”. Ed ecco mi apparve un

cavallo bianco e colui che lo cavalcava aveva un arco, gli

fu data una corona e poi egli uscì vittorioso per vincere

ancora.

(Libro dell’Apocalisse di San Giovanni Apostolo 6, 3-4)

Secondo Sigillo

Quando l’Agnello aprì il secondo sigillo,

udii il secondo essere vivente che gridava: “Vieni”.

Allora uscì un altro cavallo, rosso fuoco. A colui che lo

cavalcava fu dato potere di togliere la pace dalla terra

perché si sgozzassero a vicenda e gli fu consegnata una

grande spada.

(Apocalisse 6,5-6)

Terzo Sigillo

Quando l’Agnello aprì il terzo sigillo,

udii il terzo essere vivente che gridava: “Vieni”. Ed ecco,

mi apparve un cavallo nero e colui che lo cavalcava

aveva una bilancia in mano. E udii gridare una voce in

mezzo ai quattro esseri viventi: “Una misura di grano per

un danaro e tre misure d’orzo per un danaro! Olio e vino

non siano sprecati”.

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

74

(Apocalisse 6,7- 8)

Quarto Sigillo

Quando l’Agnello aprì il quarto sigillo,

udii la voce del quarto essere vivente che diceva: “Vieni”.

Ed ecco, mi apparve un cavallo verdastro. Colui che lo

cavalcava si chiamava Morte e gli veniva dietro l’Inferno.

Fu dato loro potere sopra la quarta parte della terra per

sterminare con la spada, con la fame, con la peste e con

le fiere della terra.

(Apocalisse 6,9-11)

Quinto Sigillo

Quando l’Agnello aprì il quinto sigillo,

vidi sotto l’altare le anime di coloro che furono immolati

a causa della parola di Dio e della testimonianza che gli

avevano resa. E gridarono a gran voce:

Fino a quando, Sovrano,

tu che sei santo e verace,

non farai giustizia

e non vendicherai il nostro sangue

sopra gli abitanti della terra?

Allora venne data a ciascuno di essi una veste candida e

fu detto loro di pazientare ancora un poco, finché fosse

completo il numero dei loro compagni di servizio e dei

loro fratelli che dovevano essere uccisi come loro.

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

75

(Apocalisse 6,12-17)

Sesto Sigillo

Quando l’Agnello aprì il sesto sigillo, vidi che vi fu un

violento terremoto. Il sole divenne nero come sacco di

crine, la luna diventò tutta simile al sangue, le stelle del

cielo si abbatterono sopra la terra, come quando un fico,

sbattuto dalla bufera, lascia cadere i fichi immaturi. Il

cielo si ritirò come un volume che si arrotola e tutti i

monti e le isole furono smossi dal loro posto. Allora i re

della terra e i grandi, i capitani, i ricchi e i potenti, e

infine ogni uomo, schiavo o libero, si nascosero tutti

nelle caverne e fra le rupi dei monti; e dicevano ai monti

e alle rupi: Cadete sopra di noi e nascondeteci dalla

faccia di Colui che siede sul trono e dall’ira dell’Agnello,

perché è venuto il gran giorno della loro ira, e chi vi può

resistere?

(Apocalisse 8,1-5)

Settimo Sigillo

Quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio

in cielo per circa mezz’ora. Vidi che ai sette angeli ritti

davanti a Dio furono date sette trombe. Poi venne un

altro angelo e si fermò all’altare, reggendo un incensiere

d’oro. Gli furono dati molti profumi perché li offrisse

insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli

sull’altare d’oro, posto davanti al trono. E dalla mano

dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio,

insieme con le preghiere dei santi. Poi l’angelo prese

l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

76

gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori,

fulmini e scosse di terremoto.

.Mind Invaders 5

I sette sigilli

Quando il novello Luther aprì il primo dei sette sigilli,

udii in visione il primo dei quattro Viventi dire con una

voce di tuono: “Vieni!” E vidi apparire un cavallo bianco,

su cui sedeva un cavaliere neoista con il volto di Luther:

venne dunque per vittorioso per vincere ancora.

All’apertura del secondo sigillo udii il secondo Vivente

esclamare: “Vieni!”. Allora usci un cavallo rosso vivo, a

colui che lo cavalcava era stata data la potestà di togliere

via dalla Terra la pace e le mezze misure. Per questo

portava nelle mani un Transmaniacon.

All’apertura del terzo sigillo udii il terzo Vivente dire:

“Vieni!” Apparve allora un cavallo nero cavalcato da un

hacker: le sue mani recavano floppy disk e sulla sua

corona bruciava una password. Udii fra i quattro viventi

come una voce dire: “Un fascicolo elettronico per un

denaro e tre password per un denaro. Ma ai nostri archivi

non recar danno”.

All’apertura del quarto sigillo udii il quarto Vivente dire:

“Vieni!”. Ed ecco, apparve un cavallo verdastro, colui

che lo montava aveva il nome di Creatore di Interzone, e

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

77

Sabotaggio e Occupazione e Faccio del Mio Meglio lo

seguivano

All’apertura del quinto sigillo apparvero le facce stanche

di coloro che erano stati martoriati per le ragioni

d’azienda. Essi si misero a gridare a gran voce:

Fino a quando Luther

continuerai con le tue pippe

e non farai giustizia

sugli abitanti del centro!

Ma a ciascuno di essi fu data una veste bianca e fu detto

di pazientare ancora un poco, finché non si completi il

numero dei loro compagni che ancora dovranno partire.

All’apertura del sesto sigillo apparve ai miei occhi questa

visione: si udì un gran terremoto, il Sole si offuscò, da

apparire nero come un sacco di crine, e vidi Bill Gates ed

Elisabetta di Inghilterra e Bobby di Dallas giacere su

sedie di plastica in un corridoio della Asl di Bari

circondati da altre centinaia di (im) pazienti in attesa e

tutti dicevano ai muri verdi lavabili e ai regolamenti

ingialliti: “Chi potrà resistere?”.

All’apertura del settimo sigillo si fece silenzio per circa

mezz’ora. Poi mezz’ora di handbag music, poi mezz’ora

di ohm. Quindi vidi che ai sette Luther ritti davanti a

Luther furono date sette trombe e i sette Luther si

disposero a dar fiato.

(Luther Blissett, Mind Invaders, Castelvecchi, 2000)

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

78

.Blob

A questo punto potremmo dire che il collage, in ogni sua forma,

è teoricamente applicabile a qualsiasi supporto. Lo sviluppo dei

mezzi di comunicazione rende possibile una sperimentazione

senza freni di nuove forme artistiche che con il tempo si

conformano al target cui è destinato il mezzo.

L’arte interpreta il periodo in cui si sviluppa e la società,

soprattutto quella capitalistica, plasma l’arte in diverse forme,

che vanno dal design al mezzo mediatico; si crea una simbiosi

quasi naturale, in cui entrambi i fenomeni si evolvono, legati

indissolubilmente. Ma quale dei due influenza l’altro?

In realtà non c’è modo di dirlo con certezza.

Da una parte gli artisti rappresentano esteticamente il panorama

socioculturale che li circonda, spesso mettendo le arti

direttamente al servizio pratico, e non solo cognitivo, della

comunità.

Dall’altra, e qui forse troveremmo molti più riscontri, la società

capitalistica ha comprato l’arte, rendendola un lussuoso,

esclusivo bene di consumo. Probabilmente la simbiosi è

attuabile solo in questo contesto, in cui l’arte tenta di cambiare

una società che ha il potere di appropriarsene e di sfruttarla.

Non è facile, se non addirittura impossibile, che un movimento

controculturale trovi spazio nel calderone dei media, proprio a

causa delle sue caratteristiche principali, la satira e la

provocazione, fattori ritenuti antietici e scomodi dalle autorità

che controllano i mezzi di comunicazione.

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

79

È probabile, però, che malgrado le restrizioni burocratiche, una

certa corrente di pensiero riscuota ampi riscontri in un periodo

storico particolare, caratterizzato da un’ideologia rivoluzionaria

collettiva; in un ambiente del genere la sperimentazione

artistica trova terreno fertile per riassumere la sua autonomia,

anche come servizi d’informazione.

Se, come abbiamo già detto, la linea culturale si riflette sulla

società, allora in un contesto rivoluzionario anche l’arte diventa

rivoluzionaria; un metodo artistico “virale”, che s’insinua a

livello ipodermico attraverso gli strati culturali, media inclusi.

La caduta del Muro di Berlino nel 1989 è stato il segnale più

evidente dei forti mutamenti ideologici iniziati anni prima. In

un clima del genere, sia prima che dopo il fatto, è plausibile

che la cultura si sviluppi in un certo modo, più o meno in linea

con il pensiero collettivo legato a un evento così simbolico e

internazionalmente condiviso.

Non andremo a esaminare l’eventuale comparsa di correnti e

opere legate a questo periodo, ma ci soffermeremo su un

prodotto in particolare che per molti è stato, e forse rimane,

unico nel suo genere. Non consideriamo i primi collage

cinematografici di Luis Buñuel, né la vivacità compositiva di

Dziga Vertov, né i collage inclusi nelle sperimentazioni

audiovisive di Nam Jun Paik.

Da un’idea del direttore di Rai Tre, Angelo Guglielmi,

nell’aprile dello stesso anno due critici televisivi, Enrico

Ghezzi e Marco Giusti, realizzano una trasmissione che da quel

momento, in Italia, sarà una delle più seguite e longeve.

Blob, attualmente in onda tutte le sere alle 20.00, è un collage

televisivo che si avvale di spezzoni di varie trasmissioni per

comporre una situazione apparentemente casuale.

In realtà le immagini sono intrecciate tra loro da un metodo

narrativo che le ridefinisce per raccontare qualcosa a cui, prese

individualmente, sono estranee. La chiave satirica è spesso

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

80

evidente: in effetti l’idea stessa che dà corpo al programma è

ironica, dal momento in cui ogni spezzone proveniente da

qualsiasi tipo di prodotto può essere decontestualizzato.

Come è accaduto per il Muro, Blob abbatte le barriere tra gli

strati culturali portando l’informazione a un livello

sperimentale, pur mantenendo l’attendibilità delle fonti e la

legalità dei procedimenti con cui è costruito l’intero

programma. Sono già stati fatti esperimenti di “video collage”

in passato, in particolare da dadaisti e surrealisti (ma

probabilmente da qualsiasi movimento avesse un’attitudine

sperimentalista), ma nessuna opera precedente a Blob è mai

riuscita a sbarcare su una rete pubblica riscuotendo, malgrado

tutto, un successo inaspettato e una longevità degna delle serie

televisive più seguite.

In poche parole, si tratta di un collage mediatico, non soltanto

televisivo, per via della varietà di scelta nella manipolazione

degli spezzoni; infatti alcuni di questi presentano solo l’audio,

altri rimangono muti, altri ancora vengono rallentati o

velocizzati a seconda delle necessità comunicative, e vengono

aggiunti filtri o effetti particolari. Il più delle volte, comunque,

lo spezzone viene lasciato così com’è proprio per favorire la

purezza del metodo narrativo.

La forza di Blob, a mio parere, è la sua capacità di trasformare

l’abitudine in eccezione: nell’interezza di un programma non è

facile cogliere i punti nodali all’interno dei suoi contenuti, si

tende a fare una stima approssimativa delle tematiche

trasmesse; la programmazione fa perdere di vista ciò che Blob

sfrutta per raccontare una certa situazione.

Ciò che per noi è un programma ormai assimilato, abitudinario,

viene frammentato in modo da ricavarne materiale che, una

volta messo a fuoco nella varietà del collage mediatico, appare,

a seconda dei casi, scandaloso, deprimente, divertente, ironico,

riflessivo. Si sviluppa un metodo autocritico che dalla semplice

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

81

fruizione sposta l’attenzione sulla selettività dei prodotti

mediatici che più rispettano i propri gusti e le proprie

aspettative. Inoltre suggerisce diverse interpretazioni su una

singola scena o soggetto, a dispetto dell’impatto emotivo o

visivo.

.Saccheggio sonoro

Quando parliamo di plagio, una delle prime cose al quale lo

associamo è la musica, a causa di una quantità di episodi

praticamente incalcolabile. Ora, sarebbe inutile per me, e per

voi, cominciare a elencare alcuni dei plagi musicali più

conosciuti; se siete però incuriositi da quest’argomento potrete

sempre consultare Falso è Vero, della AAA Edizioni, oppure

l’innumerevole mole di informazioni su Internet. Trovo invece

più interessante esaminare un fenomeno che ancora oggi offre

spunti e contributi al moderno remix, mettendo a fuoco metodi,

tecniche e pratiche ideate per permettere a chiunque di fare

musica.

Quando Stewart Home afferma che il bello del praticare il

Plagiarismo sta nell’assenza del talento, e che quindi

teoricamente tutti potrebbero sviluppare una loro creatività,

probabilmente prende molto in considerazione il fenomeno del

“saccheggio sonoro”.

Thomas Edison parla, già nella seconda metà dell’ottocento,

del suo grammofono come di un tentativo nel creare “il più

grande strumento musicale di tutti i tempi” 6

. Riesce già a

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

82

intravedere un ulteriore uso, oltre la funzione originaria della

sua invenzione.

Nell’accezione comune, il grammofono non è altro che uno

strumento di riproduzione sonora, ma l’affermazione di Edison

parte da un’esperienza diretta con esso; esperienza che si

riferisce a una valutazione tecnica dello strumento che solo un

visionario può avere.

In effetti, se pensiamo al moderno scratching, s’intuisce che

con il grammofono la modificazione del suono è praticamente

a portata di mano già sul finire del diciannovesimo secolo. Un

ingegnere parigino, Pierre Schaeffer, raccoglie positivamente il

messaggio di Edison e lo mette in pratica in diversi modi;

siamo nei primi anni venti. È possibile, infatti, variare la

velocità o invertire la rotazione del disco, o ancora intervenire

a livello materiale sulla superficie del disco creando graffi,

solchi e altro. Prendete il caso di Steve Stein, produttore di

Master Mix. I deejay di Master Mix usano i dischi come

macrocampionamenti, cambiando, combinando costantemente i

suoni protetti da copyright di vari brani. I collage di Stein sono

conglomerati di registrazioni originali di Otis Redding, Walter

Cronkite, Led Zeppelin e una serie di altri autori mescolati in

eccentriche sovrapposizioni. 7

L’evoluzione del grammofono si concretizza nel meno

versatile nastro magnetico di Luca D’Ammora nel 1925, al

quale i tedeschi applicano alcune modifiche dopo la Seconda

Guerra Mondiale. In tal modo, la rivalutazione del nastro

magnetico fu tale che ancora oggi, nell’era del CD e del mp3, i

remixer più nostalgici mettono in atto i loro interventi creativi

proprio sulle ormai dimenticate cassette a nastro, con forbici e

adesivo.

Ma è negli ambienti urbani delle periferie, teatro della cultura

underground, che sul finire degli anni settanta si sviluppano

metodi ed esperienze innovative e sperimentali in campo

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

83

musicale, o meglio, sonoro.

L’eterogeneità etnica mette

insieme contesti culturali diversi

tra loro e li mescola per creare

nuove forme artistiche che si

riferiscono a una serie di

metodologie creative considerate

“basse”, ma comunque in ascesa.

Ci troviamo di fronte, inoltre, a

una periodo storico fortemente

caratterizzato da controculture di

vario genere; tra queste, il movimento hippie, il punk e tutta

una serie di gruppi antirazzisti, come le Pantere Nere. È quindi

intuibile che in un ambiente del genere le nuove arti si sono

fortemente ispirate alla lotta di classe, all’attivismo politico e a

una profonda rivalutazione dei diritti umani e civili. La musica

è forse uno dei campi più influenzati dall’ascesa della cultura

underground in cui, tra l’altro, si riconsidera l’importanza del

suono grezzo.

Partendo da queste considerazioni, un compositore canadese,

tale John Oswald getta le basi della plunderfonia, da plunder,

“saccheggio” con l’aggiunta di phony, “fonia” (il termine

“phony”, in qualità di aggettivo, si traduce come “falso”: è una

pura coincidenza?).

È la cosiddetta corrente di “musica plagiarista” o plunderfonica,

che appunto si serve di materiali già registrati per comporre i

propri dischi, e si diffonde massicciamente con la comparsa di

computer e campionatori che rendono il “taglia/incolla” di

brani musicali più rapido e meno costoso.

Sul piano teorico, la musica plagiarista riprende i vecchi temi

del riciclaggio artistico e dell’ibridazione di stili già utilizzati

da Duchamp in poi. Stili che non comprendono solo la musica,

ma anche il packaging e il merchandise dell’opera.

.Plunderphonic, John Oswald

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

84

Non potremmo fare a meno

di notare il titolo a tutta

pagina dell’album U2, dei

Negativland. Contestatissimo

dal punto di vista pubblico e

perseguito legalmente,

l’album rappresenta una

provocazione satirica nei

confronti dei cavilli

burocratici sul copyright e

dell’ingenuità della società.

In principio, infatti, nel 1991,

tutti pensavano che “Negativland”, scritto a caratteri molto più

piccoli di U2, che occupa quasi l’intera copertina, fosse il titolo

dell’ennesima produzione della celebre rock band irlandese.

Immaginate la reazione di quei fan che, acquistato il CD, si

trovarono ad ascoltare eclettici campionamenti dei loro

beniamini. La Island Records, etichetta di produzione degli U2,

fece causa ai Negativland accusandoli di violazione del

copyright e di aver volutamente confuso i fan della band per

ottenere grande visibilità e grande guadagno.

Riferendosi alla clausola del Fair Use 8

, i Negativland

contestarono l’esclusività del nominativo U2, poiché è anche il

nome di un aereo-spia, e quindi utilizzabile in quel termine.

Tornando alla musica, la plunderfonia non è altro che un

elaborato remix, da non confondere con altre pratiche, come il

mash up (una sovrapposizione di due brani musicali diversi tra

loro). Secondo le norme legislative che tutelano la proprietà

intellettuale, ogni pezzo preso da un’opera altrui deve essere

riconosciuto, accreditato e pagato in base a criteri precisi; ma

se John Oswald, o i Negativland, o ancora Girl Talk, dovessero

denunciare l’utilizzo di tutti i frammenti presenti nelle loro

composizioni, le cifre delle royalties ammonterebbero a

.U2, Negativland

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

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centinaia di migliaia di dollari, o euro.

Si esclude a priori un’originalità nella composizione dei brani

remixati e, quindi, di un possibile ritorno di pubblicità per quei

musicisti che hanno concesso (involontariamente) l’uso delle

loro opere.

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

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Note

1

I Fondamenti dell’Arte Moderna - il Novecento, Werner Hofmann,

traduzione di Caterina Cardamone, Donzelli Editore, 1996;

2-6-7

Falso è Vero - plagi,cloni, campionamenti e simili, Enrico Baj,

Vittore Baroni, Franco Berardi, Luther Blissett, Chris Cutler, Aurora

Fornuto, Enrico Ghezzi, Stewart Home, Loredana Lipperini,

Giuseppe Marano, Gianluca Marziani, Enrico Mascelloni, Carlo

Masi, Negativland, Gianluca Nicoletti, John Oswald, Static Output,

Enrico Sturani, AAA Edizioni, 1998;

3

(cfr.) L’Ulisse, James Joyce, 1914-1921;

4

Nuovo Testamento, Libro dell’Apocalisse, Libro dei Sette Sigilli,

San Giovanni Apostolo;

3

Mind Invaders – come fottere i media: manuale di guerriglia e

sabotaggio culturale, Luther Blissett, Castelvecchi, 2000;

8

(ndr.) Il Fair Use (in italiano “uso” o “utilizzo legale”, “equo” o

“corretto”) è una clausola legislativa presente nel Copyright Act

(Articolo 17, Paragrafo 107), la legge statunitense sul copyright. La

clausola stabilisce come lecita la citazione non autorizzata o

l’incorporazione di materiale protetto da copyright nell’opera di un

altro autore, tenendo conto di varie condizioni e clausole.

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Capitolo 4 Verso un’arte del plagio

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Capitolo 5 L’uso del plagio

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Capitolo 5

L’uso del plagio Esempi pratici di Plagiarismo

.I primi Romeo e Giulietta

Non tutti sanno, o vogliono sapere, che anche i più grandi

autori della storia della letteratura si sono, in qualche caso,

“fortemente ispirati” ad opere a loro precedenti.

Niente di più comprensibile; dopotutto, come accade il più

delle volte, il futuro si costruisce dal passato.

Come già accennato nel capitolo Dov’è la fregatura?, Stewart

Home dichiara di aver riscontrato un “metodo plagiarista”

nientemeno che in William Shakespeare, senza però specificare

l’opera da cui è stato “ispirato”.

Ebbene, si tratta della tragica vicenda di Piramo e Tisbe nel

poema epico Le Metamorfosi, un’ampia raccolta di racconti in

versi del poeta romano Ovidio.

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Capitolo 5 L’uso del plagio

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.Le Metamorfosi, Libro IV, Piramo e Tisbe, Publio Ovidio

Nasone, 8 d.C. 1

Piramo e Tisbe, due fanciulli babilonesi, abitano in due

case contigue; grazie alla vicinanza si conoscono e col

tempo nasce l’amore. Si sarebbero uniti in legittime

nozze, se non l’avessero impedito i genitori, ma il loro

amore cresceva sempre più. Non si confidano con

nessuno e si parlano con cenni e gesti. Il muro comune

alle due case è solcato da una sottile fessura, la quale si

era formata al tempo in cui era stato costruito.

La crepa viene così usata dagli innamorati per parlarsi e

sussurrarsi dolci parole. Restando divisi, una sera si

salutano e ciascuno dà alla sua parte del muro dei baci

che non arrivano di là. L’indomani tornano tutti e due al

solito posto. Allora, dopo essersi a lungo lamentati,

stabiliscono di eludere la vigilanza e di tentar di uscire di

casa nel silenzio della notte, e una volta fuori, di lasciare

anche l’abitato e incontrarsi al sepolcro del re Nino e

nascondersi al buio sotto l’albero. C’è lì infatti un albero

tutto carico di bacche bianche come neve, e un alto gelso

sull’orlo di una freschissima fonte. Rimangono d’accordo

così.

Di soppiatto, aperta con cautela la porta, Tisbe esce nelle

tenebre senza farsi sentire dai suoi, e col volto velato

arriva al sepolcro e si siede sotto l’albero prestabilito.

Quand’ecco che una leonessa, che aveva appena fatto

strage di buoi, giunge con la schiuma alla bocca e il muso

intriso di sangue a dissetarsi alla fonte lì accanto. Tisbe di

Babilonia la vede al chiarore della luna, e con piede

trepidante corre a rifugiarsi in una grotta oscura, ma

mentre fuggiva il velo le scivola dalle spalle. La leonessa,

sedata la sete, stava tornando nel bosco, quando per caso

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Capitolo 5 L’uso del plagio

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trova il delicato velo abbandonato, e lo straccia con le

fauci insanguinate. Piramo, uscito più tardi, scorge

nell’alta polvere le orme inconfondibili di una belva e

impallidisce dalla paura. Quando poi trova anche la veste

macchiata di sangue piange la morte della sua amata e

invoca anche per se stesso la morte, essendo causa della

tragedia dell’amata. Raccolti i brandelli del velo di Tisbe,

li porta ai piedi dell’albero convenuto e si conficca il

pugnale nel ventre. Morente, lo ritrae dalla gorgogliante

ferita e cade a terra supino. Il sangue schizza in alto e i

frutti della pianta, spruzzati di sangue, divengono scuri;

la radice inzuppata continua a tingere di rosso cupo i

grappoli di bacche. Nel frattempo Tisbe ritorna al luogo

stabilito e cerca il giovane innamorato. Ritrova e

riconosce la forma della pianta, ma il colore dei frutti la

fa restare incerta. Mentre è in dubbio, vede un corpo

agonizzante a terra, in una pozza di sangue, e

rabbrividisce.

Riconosciuto il suo amore, si batte le braccia, si straccia i

capelli, abbraccia il corpo amato e bacia il suo gelido

volto. Piramo alza per un attimo gli occhi e li richiude.

Tisbe riconobbe il suo velo e, preso il pugnale di Piramo,

si uccide. Prima di morire però rivolge ai genitori di

entrambi una preghiera: di restare uniti nella morte in un

unico sepolcro, mentre all’albero di serbare il ricordo di

questa tragedia e in segno di lutto di conservare dei suoi

frutti il colore scuro. Puntandosi il pugnale sotto il petto,

si curva sulla lama che ancora era calda di sangue. Per

questo il colore delle bacche, quando sono mature, è nero,

e ciò che è avanzato dal rogo riposa in un’unica urna.

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Capitolo 5 L’uso del plagio

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.Romeo e Giulietta, William Shakespeare, 1594-1596 2

Romeo, figlio ed erede della famiglia Montecchi, è

innamorato della bella Rosalina e non teme di affrontare

a questo riguardo gli scherzi dei suoi amici Benvolio e

Mercuzio. Capuleti, il capo della famiglia rivale, si

prepara a dare una grande festa per permettere a sua

figlia, Giulietta, di incontrare il Conte di Parigi.

Quest’ultimo, in effetti, l’ha richiesta in matrimonio ed i

genitori di Giulietta sono favorevoli a quest’unione.

Romeo, che crede di trovarvi Rosalina, si autoinvita con

gli amici Benvolio e Mercuzio a questo grande ballo

mascherato. Scorge Giulietta e resta folgorato dalla sua

bellezza cadendo follemente innamorato di lei; è il colpo

di fulmine reciproco. Le si avvicina e l’abbraccia due

volte quindi si ritira. Romeo e Giulietta scoprono adesso

la loro identità reciproca. Disperati si rendono conto di

essersi innamorati ciascuno del proprio peggior nemico.

Al cader della notte, Romeo si nasconde nel giardino del

Capuleti. Quindi si avvicina sotto il balcone di Giulietta e

le dichiara il suo amore.

Tutti e due fanno a gara nel pronunciare dichiarazioni

d’amore appassionate. Perdutamente innamorato, Romeo

si confida il giorno dopo con Fra Lorenzo, il suo

confessore. Inizialmente incredulo, Fra Lorenzo promette

tuttavia a Romeo di aiutarlo e di celebrare il suo

matrimonio, nutrendo anche la speranza di riconciliare

Capuleti e Montecchi. Tebaldo, cugino di Giulietta, sfida

Romeo a duello. Ma il giovane, al colmo della felicità e

pieno di una simpatia “fraterna” per l’aggressore, rifiuta

di battersi. Mercuzio, il confidente e amico di Romeo,

giovane coraggioso e brillante, si affretta a sostituirlo

battendosi contro Tebaldo. Quest’ultimo lo ferisce a

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Capitolo 5 L’uso del plagio

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morte. Mercuzio muore maledicendo il litigio delle due

famiglie nemiche. Romeo vendica la morte del suo amico

e uccide Tebaldo. Romeo ormai ricercato deve fuggire in

esilio. Giulietta è in preda al dolore. Suo padre, reso

inquieto dallo stato d’animo della figlia, decide di

accelerarne il matrimonio con il Conte di Parigi. Il

matrimonio avrà luogo il giorno dopo. Giulietta si rifiuta.

Suo padre la minaccia: o sposa il Conte, o la disereda.

Lei corre da Fra Lorenzo che le propone di bere un filtro

che può darle l’aspetto della morta per quaranta ore:

credendola morta, la chiuderanno nella tomba del

Capuleti. Fra Lorenzo verrà allora con Romeo a liberarla.

Il frate promette di informare Romeo dello stratagemma.

Giulietta accetta il piano. Rimasta sola nella sua camera,

beve il filtro. La mattina del giorno dopo la governante la

scopre inanimata. Tutta la famiglia piange la morte di

Giulietta. Fra Lorenzo fa sì che tutto si svolga secondo i

suoi piani. A Mantova, dove Romeo è in esilio, riceve la

visita di Baldassarre, suo servo, che gli annuncia la morte

di Giulietta. Ha soltanto un rapido pensiero: procurarsi

del veleno e ritornare a Verona per morire accanto alla

sua Giulietta. Durante questo lasso di tempo, Fra Lorenzo

apprende che un intoppo ha impedito al suo messaggero

di informare Romeo del suo stratagemma. Decide di

recarsi alla tomba del Capuleti per liberare Giulietta. Ma

il dramma precipita. Romeo si reca sulla tomba di

Giulietta e v’incontra il Conte di Parigi venuto a portare

fiori alla fidanzata morta. Un duello ha luogo tra i due

giovani e il Conte, morente, chiede a Romeo che accetta,

di adagiarlo vicino a Giulietta. Romeo contempla la

bellezza luminosa di Giulietta e la abbraccia prima di

bere il veleno e morire a sua volta. Fra Lorenzo è

sconvolto nello scoprire i corpi di Romeo e del Conte di

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Capitolo 5 L’uso del plagio

93

Parigi. Assiste al risveglio di Giulietta e tenta di

convincerla a seguirlo e andarsi a rifugiare in convento.

Ma Giulietta che scopre il corpo di Romeo mortogli

vicino si pugnala con la spada del suo amante e muore al

suo fianco.

.Vaticano.org e Luther Blissett

Nel 1999 il gruppo 01.org pubblica una sua personale versione

del sito ufficiale del Vaticano, che riesce a rimpiazzare

l’originale per ben un anno. Anche qui, si tratta di

détournament, poiché i visitatori del sito restano increduli o

turbati nel vedere pubblicati testi sacrileghi e brani scaricabili

degli 883 3

. Un esercizio plagiarista del genere mette in luce la

labilità dei sistemi che controllano e tutelano la proprietà

intellettuale attraverso i temi dell’ironia, della provocazione e

della satira più libertaria. Si riafferma, inoltre, un’assenza di

compromessi che l’arte d’avanguardia concretizza nello

sviluppo di opere che entrano nella sfera della fruizione

mediatica.

A un primo impatto visivo, Vaticano.org è la copia quasi esatta

del sito originale, URL incluso. 01.org, quindi, sfrutta appieno

sia le potenzialità delle nuove tecnologie, che permettono di

evitare facilmente i controlli primari di base, sia l’attendibilità

dei materiali che vengono rimaneggiati. In questo caso

specifico, si parla anche di appropriazione, volta a indurre

nell’utente la stessa sicurezza che avrebbe se si trovasse a

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Capitolo 5 L’uso del plagio

94

navigare sul vero sito del Vaticano.

I concetti di “appropriazione” e “attendibilità” sono alla base

dell’intera produzione di 01.org, creatori, tra l’altro, del nome

multiplo Luther Blissett. Il nome multiplo, come già anticipato

da Stewart Home nei capitoli precedenti, è liberamente

utilizzabile da chiunque voglia aderirne; da quel momento in

poi, le opere del singolo saranno firmate “Luther Blissett”.

Comunque, l’adesione a un collettivo che rende la

provocazione una tattica per ottenere una rapida visibilità non

si rivela molto allettante; l’elenco delle cause intentate ai danni

di Luther Blissett è pari alla quantità di opere da esso realizzate.

Una delle “performance” più divertenti (e oltraggiose) è, a mio

parere, la beffa del 1995 alla trasmissione di RaiTre Chi l’ha

visto? 4

. L’arte è stimata dal gruppo come un mezzo influente

per sviluppare argomenti politici e sociali privi di mezze

misure. L’individuo è immerso quotidianamente in flussi

continui di messaggi di ogni tipo, mentre l’artista non si limita

a riappropriarsi di tale flusso, ma ne ricrea un panorama

mediatico in cui è protagonista. I media costruiscono la

percezione della realtà e manipolare i media significa

modificare la realtà.

Partendo da questi concetti, Luther Blissett crea a sua volta una

personalità fittizia di nome Harry Kipper, un performer inglese

scomparso tra Italia e Gran Bretagna. Dopo aver arginato i

controlli ANSA, la descrizione del personaggio, della sua

vicenda unita a una mole dettagliatissima di materiale sulla sua

vita, opere e poetica (viene addirittura creato un sito auto-

biografico) è tale da indurre negli autori della trasmissione la

fondatezza della segnalazione; le ricerche vengono interrotte

solo dopo una confessione telefonica dello stesso Blissett alla

redazione del programma.

Pur trattandosi di individui e situazioni mai esistiti, 01.org e

Luther Blissett, attraverso l’appropriazione indebita (o forse

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Capitolo 5 L’uso del plagio

95

debita, dato che comunque ci troviamo di fronte a fatti e

persone inventate) di personalità, delineano nuove metodologie

nella campagna anti-mediatica delle controculture, intaccando

direttamente l’autorità degli strumenti e dei mezzi di diffusione

informatica.

.Dalla guerriglia al pop: Scream

La digitalizzazione rende possibile lo sviluppo delle

potenzialità creative di ognuno.

Internet è un contenitore virtualmente infinito di cultura,

universalmente riconosciuto e globalmente sfruttato. Tra i

milioni di suoi utenti vi sono anche gli artisti, o almeno coloro

che si definiscono tali; ma queste etichette vengono

accantonate dal momento in cui a tutti, artisti e non, vengono

offerti i mezzi per produrre testi, musica, immagini, video

eccetera.

I plagiaristi, grazie alla condivisione di materiale digitale,

rielaborano in modo creativo praticamente qualsiasi cosa

catturi la loro attenzione e che susciti in loro una certa

ispirazione. Possono, inoltre, avvalersi di fonti già esse stesse

celebri, per arrivare con più rapidità all’attenzione del pubblico.

Non dobbiamo dimenticare che la visibilità e la condivisione

trasformano un prodotto in un’icona, mutando anche la valenza

del suo contenuto. È possibile assistere a reinterpretazioni e

manipolazioni che sfruttano la fama di icone universali. In

questi casi, plasmare il significante stesso di un’opera d’arte

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Capitolo 5 L’uso del plagio

96

come L’Urlo di Munch, che da rappresentazione drammatica di

uno stato d’animo diviene un prodotto popolare che sfrutta la

ricchezza contenutistica della sua fonte, ne stravolge anche

l’essenza culturale.

Dalla guerriglia psicologica di Blissett si passa a un metodo più

“ipodermico” di diffusione dell’opera plagiarista e

dell’ideologia controculturale. È ciò che ha fatto Amy

Alexander quando, prendendo il busto della figura al centro del

dipinto, ha trasformato e ampliato quello che l’opera

rappresenta; ha seguito le leggi che oggi regolano la

distribuzione e la diffusione dei prodotti commerciali. La

Alexander ha decontestualizzato il dipinto, privandolo di quella

drammaticità che l’ha reso celebre e ha riplasmato, inoltre,

l’estetica del soggetto fino a renderlo più “versatile”, o “pop”,

se vogliamo. Un soggetto nuovo, quasi un logo, da apporre su

t-shirt o da usare come adesivo; o ancora, nel caso dell’opera

della Alexander, trasformato in un’applicazione per sistemi

operativi con cui si possa interagire. 5

In che modo possiamo identificare il talento nel Plagiarismo? È

evidente che non ci vogliono grandi capacità nel copiare e

un’opera già esistente. Altrettanto evidente è la riconoscibilità

del soggetto quando è ispirato a un’opera così celebre.

È il modo in cui essa è rimodellata che rende il Plagiarismo un

esercizio creativo. Del resto l’artista si ritrova a fare i conti non

solo con un’infinita gamma di possibilità e di fonti, ma

soprattutto con un’opinione pubblica che ancora accosta il

Plagiarismo al plagio, etichettandolo come semplice furto. Per

alcuni potrebbe essere una forma d’arte “parassita”, che

agevola la visibilità delle opere sfruttando la celebrità del

materiale originario. In realtà ciò rende il Plagiarismo un

metodo per creare qualcosa di nuovo che nel tempo può

lasciarsi alle spalle ogni riferimento della fonte da cui ha preso

spunto. L’opera diviene, in questo modo, un prodotto non solo

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Capitolo 5 L’uso del plagio

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.http://amy-alexande.com/Alexander_Artistic_Software.html

.Scream, applicazione per Windows, Amy Alexander

.http://scream.deprogramming.us/

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Capitolo 5 L’uso del plagio

98

distaccato, ma a suo modo originale; è ciò che oggi

riscontriamo nei remix dei brani più celebri del passato, per

non parlare dei remake, attualmente molto in voga in campo

cinematografico (credo per giustificare una mancanza di idee a

dir poco imbarazzante).

.Deprogrammazione

http://amy-alexander.com/Alexander_Artistic_Software.html

Scream è un software per Windows che reagisce alle urla

umane; si scontra con una passività data dalla frustrazione e

dalla disfunzionalità umane all’interno di una sfera culturale

caratterizzata dai software. Così come nega l’apparente perdita

di fascino del disturbo emotivo e dell’espressione pubblica. Il

software Scream può essere scaricato solo dagli utenti membri;

insieme al software scaricabile, il sito stesso fa parte dell’intero

progetto. Il sito, inoltre, sfida il territorio dei software e

dell’arte digitale, proponendo, quasi ironicamente, Scream in

un contesto memonico localizzato nella Street Art; come quello

rappresentato, nella Street Art tradizionale, da opere come

Shepard Fairey di Obey Giant.

http://scream.deprogramming.us

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Capitolo 5 L’uso del plagio

99

Scream è un software che ti spinge a urlare.

Scream risiede tranquillamente nel menù di sistema del vostro

computer, e automaticamente entra in azione quando viene

rilevato un urlo.

Scream distorce l’interfaccia di Windows. Ma non si occupa

soltanto di confondere le immagini del computer. In un

contesto dove “la rabbia” è spesso collegata alla “gestione”,

Scream incoraggia il ritorno alla ribalta dell’urlo quale pratica

in declino. Come Howard Beale afferma nel 1976, “Non devo

dirvelo io che le cose vanno male […] Tutto quello che so è

che prima di tutto dovete arrabbiarvi…” 6

.

Ma mentre Howard consiglia ai suoi spettatori di spegnere i

loro televisori per potersi arrabbiare, Scream propone che si

lasci il computer acceso.

Scream può essere utilizzato in privato. O in pubblico. Può

essere utilizzato a casa, al lavoro, o per strada; al centro

commerciale o presso il vostro locale preferito. […] Usa

Scream per dare inizio a un’ideologia. O semplicemente come

atto casuale di deprogrammazione.

Scream, The Screaming Enhancer (L’Intensificatore di Urla)

(Indicato con l’utilizzo di liti domestiche, porte sbattute ed

elicotteri della polizia.)

Scream-In

Portate Scream al vostro prossimo raduno, concerto rock o

evento Fluxus. Raccogliete uno, mille amici e organizzate uno

Scream-In. Portate con voi un telefono cellulare e catturate uno

Scream-A-Thon!

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Capitolo 5 L’uso del plagio

100

Realizza una Scream T-Shirt

È divertente e alla moda. Scarica qui l’immagine di Scream e

trasferiscila su una t-shirt applicandola con il ferro da stiro

(l’immagine può anche essere usata per fare adesivi o qualsiasi

altra cosa!).

.POPlagiarismo

Lo indica il nome stesso dell’URL del sito della Alexander:

“deprogramming.us” 7

. Indica, cioè, una volontà in linea con

l’intero pensiero che distingue le teorie controculturali di Home

e, facendo un balzo indietro, con le tematiche già focalizzate

dal Dadaismo.

“Deprogrammar.ci” sarebbe la traduzione letterale, e mette in

luce una serie di concetti che meritano una certa riflessione.

In primo luogo, l’accostamento tra uomo e macchina, poiché

sappiamo che la deprogrammazione è un’azione associabile

specificatamente alla sfera artificiale. Attraverso di essa, una

macchina, o un meccanismo, subisce la cancellazione totale o

parziale di una o più funzioni che lo caratterizzano. Seppur in

modo particolare e metaforico, stiamo parlando di “memoria”.

L’uomo si evolve proprio in base alla memoria, ai ricordi, alle

esperienze che accumula nel corso della vita. Uno stile di vita è

continuamente influenzato da un’ideologia comunitaria

veicolata dall’andamento politico, economico e sociale di una

civiltà. Allo stesso modo mutano le nostre abitudini, il nostro

pensiero che, se non assistiti da una volontà autocritica,

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Capitolo 5 L’uso del plagio

101

possono portare all’opinione di massa, all’alienazione.

La Alexander affranca la mente umana alla scheda madre di un

computer. Attraverso la deprogrammazione, quale liberazione

da un pensiero collettivo pilotato dall’alto, l’individuo diventa

realmente singolare, unico.

L’ipocrisia del buon costume induce la massa ad adottare una

morale che scinda l’uomo dall’animale, cioè un essere che

agisce per istinto.

Dando adito a un atteggiamento ribelle contro questi “dogmi”,

l’individuo comunica il suo stato d’animo in modo spontaneo e

personale. In pratica, la Alexander vuole dirci “Se avete voglia

d’incazzarvi, se non sapete come sfogarvi… urlate! Perché non

dovreste farlo?”.

Una volta definito questo punto, non resta da dire che l’opera

di Amy Alexander, composta da software e sito web insieme,

non è molto dissimile dalle consuete manovre di merchandising

e di promozione di un prodotto commerciale, più che culturale.

Per inserirsi a livello “ipodermico”, talvolta un pensiero deve

trovare dei compromessi; lo stesso vale per un’opera che voglia

lasciare un’impronta nell’immaginario collettivo.

Come già accennato, il Plagiarismo si avvale di questa sorta di

“mimesi”: non solo nella caratterizzazione dei soggetti delle

opere, che spesso sono riconoscibili in altri autori, ma anche

nella circolazione di quest’ultime. Con Scream, il Plagiarismo

assume le sembianze di una manovra commerciale con intenti

sociali mirati alla diffusione di un’ideologia contro il mercato

dell’arte e il Sistema. Rende visibili (e vendibili) i suoi prodotti

attraverso metodi troppo popolari per l’arte “alta”, e allo stesso

tempo rema contro il Sistema assumendone le sembianze.

È fin troppo evidente che il soggetto di Scream fa riferimento a

L’Urlo di Edvard Munch. L’esercizio creativo, qui, sta nel

reinterpretare e nel decontestualizzare la figura dell’opera

originale.

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Capitolo 5 L’uso del plagio

102

Al soggetto viene conferito un aspetto più contemporaneo

attraverso una tecnica che ricorda il rastering, cioè una

ridefinizione digitale mediante pixel di un’immagine analogica;

una tecnica che si riferisce a un tipo di grafica tornato in voga

negli ultimi tempi, oltre che molto popolare.

L’aura culturale che circonda la fama del dipinto di Munch, in

Scream viene completamente abbandonata. Il dipinto diventa

un’applicazione che capta le urla umane trasformandole in

impulsi che distorcono l’interfaccia del computer. Mette in

evidenza la partecipazione attiva dell’utente, in parole povere,

l’interazione; una caratteristica propria delle tecnologie

informatiche moderne, ancora troppo ignorata dalle arti

accademiche che spingono gli spettatori alla mera

contemplazione dell’opera.

La commerciabilità rimane il fattore chiave e le istruzioni sulle

possibilità d’uso di Scream indicate dalla Alexander sono

accattivanti, moderne e alla portata di tutti. Decontestualizzano

la sacralità del dipinto di Munch, che viene rimodellato per

poter essere trasferito su supporti che nulla hanno a che vedere

con una prospettiva canonica di arte: magliette, cellulari e

computer, vale a dire beni di consumo.

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Capitolo 5 L’uso del plagio

103

Note

1

(cfr.) Ovidio: Le metamorfosi - sintesi critica e contributo per una

rivalutazione, Antonio Menzione, Rivista di studi classici, 1964;

2

(cfr.) Romeo e Giulietta, William Shakespeare, trad. Salvatore

Quasimodo, Oscar Mondadori, 2001;

3-4

http://www.lutherblissett.net/archive/033_it.html;

5-7

http://scream.deprogramming.us;

6

Howard Beale (Peter Finch), giornalista TV fittizio dal film

Network, USA (1976):

“Non devo dirvelo io che le cose vanno male. Tutti sanno che le cose

vanno male. Parliamo di depressione. Chiunque può perdere il

proprio lavoro o ha paura di perdere il proprio posto di lavoro. Il

dollaro comincia a non valere più di un nichelino; le banche stanno

andando a rotoli; i negozianti hanno una pistola sotto il bancone; i

punk corrono per le strade come impazziti, e pare non ci sia nessuno

in giro che sappia cosa fare, in un circolo senza fine.

Sappiamo che l’aria che respiriamo e il cibo che ingeriamo sono

nocivi. E ci sediamo a guardare la TV, mentre un notiziario locale ci

informa che oggi ci sono stati quindici omicidi e altri sessantatre

reati di violenza, come se questo fosse la normale routine!

Tutti sappiamo che le cose vanno male (peggio che male) che si

tratta di follia.

È come se dappertutto ogni cosa stesse impazzendo, spingendoci a

non uscire più. Ci sediamo nelle nostre case mentre il mondo in cui

viviamo si fa sempre più piccolo, e tutto quello che abbiamo da dire

è: “Ti prego, fa’ che possa restare in pace almeno nel mio salotto.

Lascia stare il mio tostapane, la mia TV, i miei cerchioni cromati, ed

io non dirò nulla. Lasciami in pace e basta”.

Beh, io non ho alcuna intenzione di lasciarvi in pace.

Voglio che vi arrabbiate!

Non voglio che protestiate. Non voglio farvi ribellare. Non voglio

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Capitolo 5 L’uso del plagio

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che scriviate a un membro del Congresso, perché non saprei proprio

cosa possiate scrivere. Non so che fare riguardo alla depressione e

all’inflazione e ai russi e al crimine per strada. Tutto quello che so è

che prima di tutto dovete arrabbiarvi. Dovete dire: “Sono un essere

umano! La mia vita ha un valore!”

Quindi, voglio che ora vi alziate. Voglio che tutti vi alziate dalle

vostre sedie. Voglio che vi alziate subito e andiate alla finestra,

aprirla, e ficchiate la testa fuori per urlare.

“Sono incazzato di brutto, e non ho più intenzione di sopportare

tutto questo!”.

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Capitolo 5 L’uso del plagio

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

106

Capitolo 6.

Dov’è la fregatura? Analisi del saggio Nessuno osi chiamarlo plagio,

di “Tom Vague”

Premessa: l’analisi che segue è tratta dal libro di Tommaso

Tozzi, Arte di Opposizione. Ogni citazione o opera riportate in

questo capitolo sono contenute nel testo di Tozzi (vedi note).

“Il grande problema dell’arte del ventesimo secolo è la

continua richiesta di qualcosa di nuovo e originale, con la

conseguenza che ogni cosa sembra cambiare, per quanto di

fatto niente cambi realmente […]. Sono necessari migliaia di

anni per sviluppare del prospettive, mentre oggi la gente

richiede innovazioni radicali ogni settimana. Il risultato è che

ottengono ciò che si meritano: insulti.”

(da Nessuno osi chiamarlo plagio, “Tom Vague”) 1

“Tom Vague” associa il fattore della novità all’insulto, inteso

come dissociazione dalle etiche imposte dalla cultura borghese

e come trasgressione dal pensiero comune e dalle religioni. In

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

107

poche parole si tratta di provocazione.

Seguendo ancora le leggi che regolano il flusso

pubblicitario/commerciale, la provocazione diviene così la via

più rapida per il successo nel bene e nel male.

Del resto non ci vuole molto per destare una certa reazione

quando si vuole remare contro qualche principio: basta fare ciò

che le istituzioni sanciscono come “sbagliato, distruttivo,

intollerabile”, nel caso dell’arte, “anti canonico”; da qui è

possibile ipotizzare che dall’espressionismo a oggi l’artista

abbia desiderato provocare, in misura sempre maggiore, il

pubblico proponendo continuamente qualcosa di nuovo.

“Tom Vague”, però, ci allontana da questa visione. Afferma

che in realtà queste innovazioni, dalla committenza

rinascimentale in poi, non hanno effettivamente influenzato il

modo di vedere l’arte e, in particolare, non hanno influenzato

l’opinione pubblica che percepisce ancora l’arte come attività

elitaria, sebbene i movimenti che la caratterizzano abbiano

provato spesso ad accostarsi al grande pubblico. In molti casi i

risultati sono stati ininfluenti, frivoli e, perciò, effimeri.

Secondo “Vague”, si esigono cambiamenti radicali in tempi

molto ristretti; esattamente la stessa necessità che regola il

Mercato.

Qui però non si tratta di produrre qualcosa che soddisfi le

necessità del consumatore, bensì qualcosa che abbia un valore

aggiuntivo in un contesto culturale (e magari, in seguito,

economico). L’arte non vuole soddisfare i bisogni materiali del

potenziale acquirente, ma deve in qualche modo coinvolgerlo

attraverso i suoi contenuti, per trarre tutti i benefici possibili.

Benefici quali una buona visibilità e il “passaparola”; sono

fattori che incrementano la domanda.

Ciò che in un primo momento, però, risulta efficace e

d’impatto (o provocatorio) potrebbe venir meno nello sviluppo

di opere successive, poiché l’elemento fondamentale rimane

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

108

sempre la ricerca dell’originalità.

Purtroppo, pur di non perdere questo primato, non si può fare a

meno di rielaborare qualcosa che già esiste, ad esempio

un’opera altrui: si parla di plagiare.

Il plagio è la base dell’incremento culturale ed è tra i fattori

primi del miglioramento. “Tom Vague” lo dimostra, seppur

sommariamente, citando Shakespeare e Marlowe i quali spesso

plagiavano trame e idee da scrittori a loro precedenti. Più

avanti vedremo come il plagio, o meglio il Plagiarismo, sia un

metodo in uso da molto più tempo di quanto crediamo e in

modi che non ci aspetteremmo.

Le “prospettive” di cui parla “Vague” sono frutto di teorie

solide sulle quali è possibile costruire un nuovo livello

socioculturale che sia riconosciuto dalle generazioni a venire;

evidentemente i tempi dell’arte si sono susseguiti tanto

rapidamente da rendere impossibile, a oggi, lo sviluppo di un

bagaglio contenutistico realmente valido da applicare alle

opere, sia a livello sociale che culturale. Ciò crea

inevitabilmente una situazione in cui il plagio diviene la base

su cui costruire il proprio “fare” creativo. Del resto è anche un

metodo tanto rapido quanto pratico, soprattutto nell’era della

digitalizzazione, in cui la copia viene riconosciuta come punto

di partenza nella creazione di qualcosa di nuovo (si pensi al

remix).

Analogamente alla musica, per i plagiaristi il terreno più fertile

su cui iniziare la propria attività è sicuramente la scrittura. Sia

“Vague” che Home concordano sulla possibile assenza di

talento, poiché il plagio offre un raggio di azione molto ampio

che non prevede necessariamente un’innata creatività né

particolari doti artistiche e concettuali. Entrambi indicano al

neoplagiarista di scegliere un testo da plagiare e di copiarlo:

non vi è alcun talento in questo, tuttavia “Vague” in particolare,

incita a una manipolazione, o rilettura, del testo attraverso

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

109

l’introduzione di piccole frasi o parole che possano, in qualche

modo, sconvolgere o addirittura invertire il significato stesso

del testo originale.

Con la stessa facilità si potrebbe copiare un testo parola per

parola, ma questo porterebbe quasi spontaneamente ad

applicare un qualche intervento creativo, poiché il plagio

schietto risulterebbe obsoleto.

Ancora, “Vague” cita alcuni esempi di questo Plagiarismo

creativo: “1984 di Orwell è una riscrittura precisa di We di

Zamyatin” e nel riff di Simpathy for the Devil dei Rolling

Stones “Vague” riconosce il principio dell’intera produzione

rock moderna. Questo riff è, a sua volta, un plagio del brano

Lust for life di Iggy Pop.

Lo stesso Ivo Milazzo, autore del celebre Ken Parker e mio

docente di Tecniche e Teoria del Fumetto, presso l’Accademia

di Belle Arti di Carrara, durante la sua prima lezione affermò:

“Non abbiate la presunzione di intraprendere una carriera

creativa credendo di inventare qualcosa di nuovo e non

pensiate che l’originalità porti dei risultati a breve termine; se

volete avere successo dovete necessariamente copiare da altri

autori”.

Da tutte queste riflessioni e dalle esperienze vissute da chi si è

trovato plagiato o plagiario (o plagiarista) torna di nuovo un

argomento affrontato in precedenza, ovvero il talento. Da

quanto riportato finora, risulta evidente l’assenza di un talento

pratico nell’esercizio di selezione e plagio di materiale;

soprattutto oggi, quando persino un bambino è in grado di fare

“copia/incolla” dal suo computer.

Dal canto suo però, “Vague” non affranca in alcuna occasione

il termine “Plagiarismo” a “arte”, ma, come lui stesso afferma,

“è un esercizio fortemente creativo”. Se il Plagiarismo fosse

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

110

riconosciuto come movimento artistico, allora chiunque in

grado di copiare qualcosa diverrebbe, quasi automaticamente,

un artista, senza nemmeno il bisogno di autoproclamarsi tale.

Non diversamente dai processi in atto nel progresso scientifico,

in cui un progetto può essere analizzato e migliorato. Perciò il

talento risiede nella capacità di rimodellare l’idea e lo spirito di

un’opera senza copiarla semplicemente e quindi di farne

assumere una funzione, un messaggio, un concetto differenti se

non complementari all’opera già esistente.

“Per selezionare materiale bisogna essere dei geni” conclude

“Vague”, riprendendo una massima di Pablo Picasso (“I

mediocri imitano, i geni copiano.”). Egli conferma il fatto che,

se si volesse racchiudere il Plagiarismo all’interno di un’area

culturale con valenza artistica, esso risulterebbe concettuale

non meno della Merda d’Artista; poiché è nel messaggio e nel

contesto che si richiede un talento contenutistico non

accessibile a tutti. Il Plagiarismo, comunque, non ha questa

pretesa e Home stesso lo ripete più volte negando a esso

persino l’etichetta di “movimento”; infatti egli consolida l’arte

in una “celebrazione acritica e snob dello stile di vita

borghese”.

La tesi più specifica e che più ha ispirato pensieri e critiche

rimane quella di “Vague”, dunque, che riassume la pratica del

plagio nel talento di stravolgere un contenuto senza violare i

diritti di copia e nell’esercizio di sviluppo delle capacità

creative di ognuno. In definitiva non è altro che la parodia di

un metodo in uso da anni, che nel nostro secolo trova non

poche difficoltà sia in termini di legalità che di opinione

pubblica a causa delle restrizioni del copyright, frutto “delle

forze capitalistiche che controllano la cultura occidentale”. Il

Plagiarismo è una controcultura d’avanguardia che ricorda in

particolare le azioni di “estetizzazione” del quotidiano, già

teorizzate da Fluxus e concretizzate nell’opera letteraria

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

111

minimalista di George Brecht, Water Yam (1964). Si tratta di

un libro d’artista, all’interno del quale sono riportati bizzarri

elenchi di azioni da eseguire: in tal modo il lettore può

dislocarsi dalla comune fruizione del mondo che lo circonda.

Non si tratta di semplice detournément, ma di una vera e

propria ispirazione applicata contro il Sistema, inteso nel più

ampio quadro delle regole che determinano il modo di agire di

chiunque. Three Thelephone Events ne è un esempio 3

.

Non bisogna ignorare o accusare precipitosamente le

similitudini che l’opinione pubblica percepisce tra Plagiarismo

e furto di proprietà intellettuale; al contrario, ciò autentica il

lavoro di produzione artistica, in cui i plagiaristi si trasformano

in una specie di sociologi/antropologi che tentano un approccio

culturale non stereotipato in una società disinteressata. E su

questo concetto basilare, partendo da Internazionale

Situazionista, passando da Fluxus fino ad arrivare al Neoismo,

Home affronta il problema dell’estetica del plagio.

.Esercizio creativo

La visione di Plagiarismo come arte è irta di contraddizioni. Se

ci soffermiamo sull’idea che si possa liberamente produrre arte,

copiando un’opera altrui già esistente, si rischierebbe di

incappare nella concezione comune che il Plagiarismo è solo

un tentativo di istituzionalizzare e in qualche modo incentivare

il furto intellettuale.

Ciò che il Plagiarismo prevede, è l’esercizio dello sviluppo

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

112

culturale, estetico e concettuale che prevede l’uso e il consumo

di opera che sono liberamente fruibili dal momento che sono

anche pubbliche.

Tentando di non infrangere apertamente il copyright, il

neoplagiarista cerca in modo creativo di mutare il concetto

implicito dell’opera originale, dando forma pian piano a un

prodotto distaccato e fondamentalmente diverso. Si tratta

dunque di una pratica innegabilmente liberale, che non prevede

margini di errore, ma che dà accesso a un’infinita gamma di

soluzioni e possibilità, sulla scia dell’ideologia sperimentalista

che accompagna tuttora le avanguardie.

La si potrebbe etichettare come “arte democratica”, o meglio

“attività democratica”; ciò fornisce un ulteriore valore al

Plagiarismo, valore che ne ridetermina tanto il campo d’azione

quanto il contesto, poiché si definisce attività una serie di

azioni che naturalmente esulano il semplice “fare” artistico.

Tra queste azioni vi è anche l’esercizio creativo citato da

“Vague”.

Duchamp dimostra che effettivamente il divario tra arte e

ordinario, e tra opera e oggetto, è regolato dal contesto. Bertolt

Brecht tenta, ottenendo scarsi risultati, di elevare una serie di

azioni quotidiane a un livello estetico/poetico, immettendole

direttamente nella sfera del quotidiano; egli vuole rendere l’arte

un bene fruibile dalle varie classi sociali, nessuna esclusa.

Citando l’ideologia Fluxus, Home definisce l’opera di Brecht

una “produzione di semplici compiti che possono in teoria

essere svolti da chiunque”. 4

Allo stesso modo, chi oggi possiede un computer è in grado di

copiare praticamente tutto ciò che vede sullo schermo, e di

disporne come vuole. È fondamentale ricordare che Home non

pretende di enfatizzare il Plagiarismo, ma di presentarlo sotto

le vesti della parodia di una pratica insita nell’evoluzione della

cultura stessa, software inclusi.

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

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L’arte si rende democratica rendendosi oggettivamente

semplice, facilmente utilizzabile e mimetizzata tra le azioni

quotidiane; azioni che normalmente svolgiamo quasi

inconsciamente e a cui Fluxus ha tentato di fornire spessore

estetico e artistico.

Quando Duchamp abbatte le barriere che separano forma e

funzione, allo stesso tempo dichiara che l’arte, dalla Fontana in

poi, sarà sempre più concettuale e quindi sempre più dislocata

dalla riproduzione oggettiva del reale. A dimostrazione del

fatto che l’arte sia diventata un palcoscenico sul quale le opere

vengono esposte in base alla celebrità degli autori e degli indici

di gradimento (o del passaparola), Duchamp stesso ammette di

non saper dipingere. Si è avverato ciò che Marx profetizza già

alla fine del diciannovesimo secolo: che tutti debbano avere il

diritto di accostarsi all’arte e la possibilità di svilupparla. Nel

qual caso, ciò includerebbe una circolazione di cultura libera

dalle restrizioni giuridiche.

Quest’ideologia ha però condotto gli artisti a pretendere che

ogni cosa da loro prodotta fosse ritenuta arte, probabilmente a

causa dell’avanzante scarsità di idee. A oggi non è semplice

(forse impossibile) creare qualcosa di originale, e forse è

proprio per questo che il Plagiarismo, da esercizio finalizzato

alla creatività, è divenuto probabilmente il metodo più usato

nell’arte, soprattutto in quella digitale.

È bastato semplicemente fornire i mezzi per farlo.

.Vi sarete chiesti…

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

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Vi sarete forse chiesti il perché di una

tale abbondanza di virgolette. “Tom

Vague”: è un nome proprio di persona,

non una citazione, né un discorso

diretto, né una parola o frase gergale,

né un neologismo. Allora perché le

virgolette?

Prima di tutto, una premessa: questo

capitolo è stato scritto prendendo in

esame un breve saggio dal titolo

Nessuno osi chiamarlo plagio,

realizzato da “Tom Vague” e inserito

nel libro di Tommaso Tozzi (mio

docente di Net Art e Culture Digitali), Arte di Opposizione.

Ebbene, apporre le virgolette mi è sembrato un modo ironico

per indicare che la persona a cui si fa riferimento in realtà non

è Tom Vague, ma Stewart Home; il quale ha creato

volutamente questo détournement plagiando lo stile di Vague e

appropriandosi temporaneamente del suo nome. Quanto gli è

bastato, evidentemente, per pubblicare un editoriale dal titolo

Nessuno osi chiamarlo plagio inserito nel numero 18/19 della

rivista underground britannica Vague (di proprietà, appunto,

del vero Tom Vague, complice dell’idea di Home).

La fonte di questo confronto è contenuta in Falso è Vero, della

AAA Edizioni di Vittore Baroni, nel quale è riportato lo stesso

testo contenuto nel libro di Tozzi. 2

A questo punto, però, sorge una problematica del tutto

inaspettata. La traduzione dall’inglese di None dare call it

plagiarism non è chiara nel libro di Tozzi, né in quello di AAA.

Nel primo si legge Nessuno osi chiamarlo plagio, mentre nel

secondo è Nessuno osi chiamarlo Plagiarismo. Non è facile

capire quale possa essere la giusta traduzione, se consideriamo

.Vague, n. 14, Tom Vague

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

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che, in inglese, “plagiarism” significa sia “plagio” che

“Plagiarismo”: è una questione, a mio parere, importante, che

merita un’analisi. Nel capitolo successivo tratterò appunto

questa dicotomia in modo del tutto personale, assolutamente

opinabile.

Vorrei concludere confermando pienamente la carica ironica di

tutte quelle arti che aboliscono una cultura “seria”, come

appunto fanno Neoismo e Plagiarismo. Devo dire che, quando

ho scritto che “sia “Vague” che Home concordano sulla

possibile assenza di talento”, mi sono divertito, e non poco.

Ovvio che entrambi siano d’accordo: sono la stessa persona!

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

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Note

1

(cfr.) Arte di Opposizione - stili di vita, situazioni e documenti degli

anni ottanta, Tommaso Tozzi, Shake Edizioni, 2008;

2

(cfr.) Falso è Vero - plagi,cloni, campionamenti e simili, Enrico Baj,

Vittore Baroni, Franco Berardi, Luther Blissett, Chris Cutler, Aurora

Fornuto, Enrico Ghezzi, Stewart Home, Loredana Lipperini,

Giuseppe Marano, Gianluca Marziani, Enrico Mascelloni, Carlo

Masi, Negativland, Gianluca Nicoletti, John Oswald, Static Output,

Enrico Sturani, AAA Edizioni, 1998.

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Capitolo 6 Dov’è la fregatura?

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Capitolo 7 “Plagiarism” e “Plagiarism”

118

Capitolo 7

“Plagiarism” e “Plagiarism” Ipotesi di détournement

È interessante notare la differenziazione che vige attualmente

sulla sintassi stessa della parola “Plagiarism”. In lingua italiana

c’è una netta distinzione nella struttura lessicale, data

dall’aggiunta del suffisso “-ismo”, che si usa per associare un

nome comune a una categorizzazione di varia entità, come un

movimento, un gruppo, un comportamento, eccetera. Senza di

esso, ovviamente, della parola resterebbe il termine “plagio”,

inteso come appropriazione di materiale altrui, o furto.

Un’accortezza del genere nasce dalla necessità di porre una

netta distinzione tra entità originaria e categoria derivante da

essa, in tal caso “plagio” e “Plagiarismo”, con lo scopo di

delineare la specificità dei singoli termini.

Difatti, se al primo vengono riconosciuti elementi associabili a

una violazione della legge, ciò non accade nel secondo caso, in

cui s’intende mantenere un distacco da un’interpretazione

semplicistica derivante dalla semantica del termine d’origine.

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Capitolo 7 “Plagiarism” e “Plagiarism”

119

Nell’accezione comune, spesso la parola “Plagiarismo” viene

comunque collegata al plagio in senso stretto, risultando una

categoria in relazione a pratiche illegali quali il furto e

l’appropriazione indebita di materiale prodotto da terzi.

D’altro canto la distinzione semantica delle due parole attenua

la percezione negativa di “Plagiarismo”, che invita a porre le

basi per una riflessione critica sulle procedure, sulle

caratteristiche e sull’etica del plagio culturale, o artistico.

Inoltre, a mio parere, offre una visione rincuorante

sull’illegalità di certe procedure, dando un’idea di

“accettazione” del plagio, poiché, in fin dei conti, l’intera

cultura si fonda su basi in cui il plagio getta le fondamenta del

continuum creativo, cambiando, trasformando, rimodellando,

rimanipolando; fino a produrre elementi completamente

differenti dalle fonti originarie.

È altrettanto interessante notare l’assenza di questa distinzione

nel lessico inglese, in cui la parola “Plagiarism” ha avuto

origine. Qui non esiste un distacco tra i due termini: se in

italiano “plagio” e “Plagiarismo” offrono una riflessione

sintattica dei termini, in inglese si uniscono in un’unica parola.

“Plagiarism”, in definitiva, indica e mescola entrambe le cose,

confondendole.

Per dimostrarlo, riporto una parte di un questionario inviato per

e-mail all’artista californiana Amy Alexander sulla questione

dell’etica del plagio:

STEFANO Can we talk about an ethic of the crib?

[Si può parlare di un’etica del plagio?]

AMY I don’t understand this question, must be a

translation problem.

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Capitolo 7 “Plagiarism” e “Plagiarism”

120

[Non ho capito questa domanda, deve esserci un

problema di traduzione.]

STEFANO Oh, sorry, I forgot to explain the 8 question: can

we talk about an ethic of the crib (“crib” is for

“plagiarized stuff” XD)?

[Scusa, ho dimenticato di spiegarti l’ottava

domanda: si può parlare di un’etica del plagio?

(“plagio” sta per “cose plagiate” XD)?]

AMY Aha... ok, ethics of Plagiarism...

[Aha… ok, etica del plagio…] (o Plagiarismo?)

Benché, precedentemente, la Alexander abbia distinto

chiaramente i termini “copy”, “appropriation” e “Plagiarism”.

Riporto un frammento (tradotto) del questionario a cui lei ha

risposto:

AMY: Inizierei chiarendo il modo in cui uso alcuni

termini: “copia”, “plagio” e “appropriazione”. Userei

“copia” per indicare una semplice duplicazione: come

l’inserimento di un video che appartiene a qualcun altro

su YouTube, in cui i dati dell’autore originario sono

comunque ben visibili. Con “plagio” indicherei il

tentativo di spacciare per propria un’opera altrui. Infine,

definirei “appropriazione” un procedimento col quale si

usano le referenze di un’opera altrui per creare qualcosa

di nuovo.

Ecco che la confusione si fa più pressante. La Alexander

identifica nell’“appropriazione” le caratteristiche del

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Capitolo 7 “Plagiarism” e “Plagiarism”

121

Plagiarismo, mentre associa “Plagiarism” al furto intellettuale.

In seguito Amy non ha risposto direttamente a questa domanda.

Evidentemente, “crib”, che tra l’altro significa “piccolo furto”,

non è sufficiente a fornire una chiara percezione di “plagio”

come furto. Non viene associato al termine universalmente

riconosciuto come “plagio” e in tal modo finisce

inesorabilmente per stravolgere una frase in cui è necessario

distinguere nettamente l’atto illegale dall’esercizio creativo.

Osserviamolo nel dettaglio:

n. crib (krĭb)

1. A bed with high sides for a young child or baby.

2.

a. A small building, usually with slatted sides, for storing

corn.

b. A rack or trough for fodder; a manger.

c. A stall for cattle.

3. A small crude cottage or room.

4. Slang Onès home.

5. A framework to support or strengthen a mine

or shaft.

6. A wicker basket.

7.

a. A petty theft.

b. Plagiarism.

c. See pony.

8. Games A set of cards made up from discards by each

player in cribbage, used by the dealer.

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Capitolo 7 “Plagiarism” e “Plagiarism”

122

v. To crib, cribbed, cribbing, cribs

1. To confine in or as if in a crib.

2. To furnish with a crib.

3.

a. To plagiarize (an idea or answer, for example).

b. To steal.

Come si può vedere, “crib” non è associato direttamente al

plagio, ma possiede una serie di significati diversi tra loro. Lo

stesso vale per il verbo, che inoltre presenta “to steal”, che

tradotto significa letteralmente “rubare”.

Si potrebbe giungere presto alla conclusione che plagio e

Plagiarismo, secondo gli inglesi, hanno lo stesso valore e che

non esiste un bisogno concreto di separare le due cose, dal

momento che una appare illegale quanto l’altra. Però non credo

che un intellettuale come Stewart Home abbia tralasciato un

punto importante come questo, poiché una distinzione concreta

tra le due cose, di fatto, esiste. Il plagio è un furto, è

un’appropriazione indebita volta, nella maggior parte dei casi,

a scopo di lucro; il Plagiarismo è sempre un’appropriazione

indebita, finché non viene riplasmata, al compiersi della quale

il prodotto finito dovrà essere così concettualmente diverso

dalla fonte d’origine da risultare un elemento a sé (questo

accade solo nel caso si voglia seguire un’etica creativa).

La questione si complica se mettiamo in gioco il vero motore

di questo “movimento”, e cioè gli artisti, o meglio i plagiaristi.

Se andiamo a sfogliare un qualsiasi dizionario inglese

noteremo che immediatamente sotto il termine “Plagiarism”

compare “plagiarist”; ma se il primo viene tradotto in “plagio”,

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Capitolo 7 “Plagiarism” e “Plagiarism”

123

ciò trasforma il significato del secondo, che da “plagiarista”

diventa “plagiario”. Un’affermazione del tutto inesatta, vista la

natura del lavoro svolto dal plagiarista, che copia-per-

trasformare (e solo in alcuni casi, per vendere), e non ruba-per-

lucrare.

L’attività creativa del plagiarista non ha nulla a che vedere con

il furto compiuto per fini economici. Di fatto, nella definizione

da vocabolario, “crib” non è associato direttamente al plagio,

ma presenta una serie di vari significati, mentre “Plagiarism”

possiede un’unica possibile traduzione; in effetti, nemmeno il

vocabolario italiano presenta il termine “Plagiarismo”, poiché

ritengo si tratti di un neologismo.

C’è da domandarsi perché in Italia si sia rivelato necessario

creare un nuovo termine che indicasse un movimento

altrettanto inedito, mentre in Gran Bretagna (Stewart Home è

londinese) questo bisogno non si sia manifestato, se di

“bisogno” si possa realmente parlare. Si tratta forse di un

tentativo di détournament.

Un’altra ipotesi potrebbe risiedere nell’impossibilità di creare,

in inglese, un neologismo conforme alla pratica e al contesto

ideologico che Home aveva in mente.

In effetti, se consideriamo “Plagiarism” inteso come “plagio”,

ci accorgiamo subito della presenza del suffisso “-ism”, che

rende la parola molto simile all’italiano “Plagiarismo”.

Abbiamo già detto, inoltre, che tale suffisso serve a fornire una

categorizzazione della parola che lo precede, quindi

risulterebbe non proprio semplice coniare il nome di un

movimento da una parola che possiede già quel suffisso. Se

pensiamo, ad esempio, a “surreal”, con l’aggiunta di “-ism”

diverrebbe “surrealism” che, benché di rado venga riportato nei

vocabolari, è comunque riconosciuto nel lessico inglese come

il celebre movimento artistico (ironicamente “Plagiarism”

diventerebbe “Plagiarismism”). D’altra parte quasi tutti i

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Capitolo 7 “Plagiarism” e “Plagiarism”

124

movimenti artistici moderni sono identificati da neologismi e

perciò non sempre compaiono nei vocabolari. Nel nostro caso

invece, tra “Plagiarism” e (perdonate il gioco di parole)

“Plagiarism” esiste una chiara e netta distinzione solo a livello

concettuale; è come se in ogni altro caso, lessicale, sintattico,

colloquiale, si volesse omettere la differenza tra le due cose.

O ancora, sappiamo che il metodo plagiarista consiste nel

copiare e manipolare materiale altrui; ma non esiste un’etica

che dica al neo-plagiarista di non usare ciò che plagia a fini di

lucro, né che lo costringa a riplasmare ciò che plagia. Bisogna

inoltre considerare che non sempre la legge riesce a intercettare

un possibile plagio, sempre che esso non risulti sfacciatamente

visibile.

Non c’è un’etica che pone effettivamente un limite al metodo

da utilizzare, poiché il Plagiarismo si affida alla sensibilità

autocritica dell’artista o del creativo, che può produrre

un’opera plagiarista o un’opera semplicemente plagiata e

decidere liberamente se venderla e produrla, o soltanto esporla.

Nel caso più semplice, quello del plagio, l’esercizio creativo

identificato da Home diverrebbe una pratica illegale senza

alcuno scopo artistico e sociale. E non è solo un caso, ma una

possibilità concreta, che, di fatto, trasformerebbe il

“Plagiarism/movimento” nel “Plagiarism/reato”, eliminando

così ogni differenza. Quindi è la mancanza di un’etica che

rende il Plagiarismo una branca possibile, ma illegittima, del

plagio.

Ritengo probabile che la posizione politica di Home abbia

influenzato la “scelta di termini” per il movimento che

intendeva fondare, contro il Sistema e contro il Potere.

La parola “Plagiarism” contiene già il suffisso “-ism” pur non

indicando una categorizzazione del nome comune che lo

precede: che sia un espediente per includere il plagio entro un

certo tipo di violazioni? Non potrei affermarlo con certezza.

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Capitolo 7 “Plagiarism” e “Plagiarism”

125

Come non potrei accertare il fatto che Home abbia “plagiato” il

termine con il preciso scopo di confondere le acque, d’inserire

una pratica creativa (per quanto rischiosa) nell’ambito

dell’illegalità, enfatizzando un’ideologia anti-sistemica

presente sia nelle controculture sia nell’attivismo politico di

stampo anarchico, di cui Home fa parte. Oppure per indicare,

senza mezzi termini, un nuovo fenomeno che vede nel plagio la

possibilità di fare satira “copiando” persino il nome del

movimento che lo pratica.

Resta il fatto che, qualunque sia il motivo, questo crei

confusione; e, a tal proposito, non mi stupirei se Home avesse

volutamente evitato una differenziazione tra “plagio” e

“Plagiarismo”, poiché l’intento delle controculture (ispirate,

ricordiamo, da Fluxus e Internazionale Situazionista) è di

sconquassare il sistema culturale corrente. Sotto quest’aspetto,

dunque, la coniazione di un termine che divida il plagio dal

Plagiarismo si rivelerebbe superflua, inefficace da un punto di

vista ideologico.

Sono solo supposizioni, che però, forse, meritano una certa

attenzione.

Nel colloquio con Vittore Baroni, durante una pausa riflessiva,

ho dichiarato di avere posto un questionario anche a, Salvatore

Iaconesi e ad Amy Alexander. Nel momento in cui gli ho

esposto il mio dubbio sul termine “Plagiarism”, Baroni mi ha

confessato di non aver mai fatto caso a questo particolare; ed è

stato proprio questo che mi ha spinto a esaminare l’argomento.

La mia conclusione è che, nella lingua inglese, il termine

“Plagiarism” sia facilmente confondibile, dal momento che non

si riscontra alcuna differenza tra l’atto illegale e l’esercizio

creativo.

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Capitolo 7 “Plagiarism” e “Plagiarism”

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Capitolo 8 L’etica del plagio

127

Capitolo 8

L’etica del plagio Amy Alexander, Salvatore Iaconesi, Vittore Baroni

Ho pensato che sarebbe stato molto interessante, sia per me sia

per il lettore, raccogliere le autorevoli testimonianze di chi ha

vissuto e vive in prima persona le esperienze dell’arte

contemporanea e delle avanguardie.

Il questionario che segue pone attenzione alle diverse

problematiche inerenti al Plagiarismo e a una sua possibile

applicazione etica, viste attraverso gli occhi di alcune

importanti personalità che vi hanno partecipato, attivamente o

meno.

Amy Alexander, artista audiovisiva e performer californiana,

pone l’accento sulle modalità con cui le società controllano i

media. È autrice, tra l’altro, del sito www.plagirist.org.

Salvatore Iaconesi è un giovane net-artista italiano ispirato

fortemente dalla cultura hacker; con molto entusiasmo, vede

nelle nuove tecnologie un mezzo con cui ridefinire il concetto

di proprietà intellettuale.

Infine, Vittore Baroni, uno dei pionieri della Mail Art in Italia,

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Capitolo 8 L’etica del plagio

128

ha condiviso personalmente le influenze neoiste diffuse da

Home stesso sul nostro territorio. Ha registrato cassette e dischi

“plagiaristi” come Lieutenant Murnau, e dal 1991 fa parte del

gruppo, sempre plagiarista, Le Forbici di Manitù.

Ancora oggi pratiche e artisti coinvolti nel Plagiarismo

rimangono spesso incompresi e/o denigrati, quando non

vengono addirittura perseguiti penalmente. Gli artisti

plagiaristi ritengono le loro opere una delle forme per

comunicare il dissenso sulle restrizioni applicate alla

circolazione di cultura e informazioni. La comunità invece

reputa tali pratiche come semplice plagio o furto di

materiale altrui.

Secondo te, come può essere ridotta questa differenza nella

considerazione delle operazioni plagiariste?

AMY: Inizierei chiarendo il modo in cui uso alcuni termini:

“copia”, “plagio” e “appropriazione”. Userei “copia” per

indicare una semplice duplicazione: come l’inserimento di un

video che appartiene a qualcun altro su YouTube, in cui i dati

dell’autore originario sono comunque ben visibili. Con “plagio”

indicherei il tentativo di spacciare per propria un’opera altrui.

Infine, definirei “appropriazione” un procedimento col quale si

usano le referenze di un’opera altrui per creare qualcosa di

nuovo. Naturalmente tra queste pratiche restano delle zone

ambigue, spesso non esenti da manipolazioni. Ad esempio, una

società, che non vuole parodisti che critichino i suoi prodotti,

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Capitolo 8 L’etica del plagio

129

trasformerebbe la parodia in plagio al fine d’intraprendere

un’azione legale. In molti casi si tratta effettivamente di

appropriazione, e probabilmente dovrebbe essere legale

secondo il Fair Use; o al limite moralmente difendibile. Ma

presentandola come plagio, inteso come “furto di proprietà

intellettuale”, “violazione di copyright”, eccetera, allora

l’opinione pubblica potrebbe essere manipolata. Questo accade

al tal punto che spesso anche appropriazioni più evidenti

vengono indicate dal pubblico stesso come plagi, perché si è

persa l’idea che una distinzione tra i due non esista.

Ironicamente se chiunque scovasse in un’opera un riferimento

a un’altra, allora non sarebbe possibile parlare di plagio.

Un’altra cosa da considerare è l’opinione all’interno della

comunità artistica. Dato che l’appropriazione è così prevalente

nella cultura mainstream (ne è un esempio il remix musicale e

video) la comunità artistica sembra essere divisa sul parere di

considerarla come una pratica dell’arte.

Alcuni artisti la considerano positivamente e la ritengono una

pratica essenziale per riflettere sulla cultura mainstream,

mentre per altri non è che un rimaneggiamento di pratiche

antiquate o una mancanza di originalità da parte dell’artista.

SALVATORE: Penso che si tratti di una questione di

linguaggio e di immaginario. Perché in realtà non è nemmeno

verissima questa cosa. Nel senso che molti artisti sono riusciti a

formare linguaggi e immaginari capaci di comunicare in

maniera accessibile e suggestiva le possibilità che sono oramai

alla portata di tutti: la fine di un’idea e di una definizione di

“realtà” e “originalità” che deriva sostanzialmente dall’autorità

e dal potere.

Volendo avvicinare la questione da un punto di vista storico,

questo è un tema che si apre tanti anni fa e che diventa evidente

all’inizio del novecento. Non si può parlare di plagio, ma i temi

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Capitolo 8 L’etica del plagio

130

del Surrealismo, di Dada e, dopo, delle arti concettuali e delle

avanguardie riguardano molto l’idea dell’originalità,

dell’unicità, dell’autorialità e, più in generale, della possibilità

o opportunità di definire il “reale”. Che sono i presupposti su

cui si fondano le pratiche che utilizzano le tecniche del plagio,

del fake, del re-enactment (ricostruzione, riemanazione). Con

l’arrivo del postmoderno, poi, c’è proprio un’accelerazione in

questo senso, e ne sentiamo gli effetti ancora oggi.

In sintesi: artisti come Andy Warhol hanno trovato chiavi di

lettura interessanti. E solo per citare un’esperienza eclatante.

Basta andare a un concerto di Girl Talk 1 per vedere come

l’idea del “furto” scompaia completamente in quanto

rimpiazzata da una esperienza che è creata in maniera molto

intelligente, fondandosi su studi e/o sensibilità profonde verso

le culture visuali, le possibilità offerte dalle tecnologie e dalle

reti, e le loro ripercussioni sulla nostra concezione di società e

sulla nostra percezione delle possibilità di espressione.

Io ho l’impressione che quando interviene un giudizio tipo “è

solo un plagio” in realtà sia più “colpa” del progetto piuttosto

che della “gente”. Mi pare, per usare una terminologia

lontanissima da quella dell’arte, che manchi il “valore aggiunto”

che potrebbe essere la poetica, l’emozione, la strategia di

comunicazione, l’immaginario. Nei lavori più interessanti

questo non avviene.

Magari qualcuno ti deve spiegare quello che stai vedendo,

perché potrebbe non essere poi così ovvio o di semplice e

immediata comprensione, ma se, dopo aver compreso il

concetto, il giudizio dovesse rimanere semplicemente e

costantemente “sì, ma l’artista ha solo rubato una

canzone/rifatto una performance/estratto una parte di testo”

o cose simili, forse è anche l’artista che dovrebbe/potrebbe

mettersi un po’ in discussione. D’altra parte è da qualche anno

che siamo oramai consapevoli che lo status di “opera d’arte”

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Capitolo 8 L’etica del plagio

131

non lo possiamo assegnare noi, ma è significativo solo quando

riconosciuto dagli altri.

In sintesi ancora maggiore: io non ho questa esperienza, quindi.

I progetti che usano il Plagiarismo come strumento o tecnica,

quando colgono, al modo dell’arte, una tensione del mondo,

riconoscibile, sentita e riconosciuta (o quantomeno sospettata),

suscitano delle reazioni molto belle. Tanto che diventa

immediata la percezione di come si possa usare un “falso” per

creare realtà in maniera libera.

VITTORE: Credo che la situazione non stia esattamente in

questi termini. Gli artisti “plagiaristi”, in particolare i musicisti,

sono ben consapevoli di infrangere in molti casi alcune norme

vigenti in materia di copyright, eque o sbagliate che queste

siano. L’eventuale azione penale nei loro confronti non è tanto

il frutto di una volontà censoria preconcetta né di un particolare

accanimento persecutorio nei loro confronti da parte della

comunità (accanimento ci può essere casomai da parte di

alcune “parti lese”, come le società che rappresentano i diritti

degli autori), quanto il risultato della normale e prevedibile

applicazione di norme vigenti.

Va detto che in molti casi, la querela è ampiamente prevista o

addirittura cercata ad arte dall’autore, sia per generare

pubblicità attorno al proprio lavoro sia per accelerare il

dibattito intorno ad una normativa comunque obsoleta e in

larga parte iniqua.

Il successo di un’operazione plagiarista si misura anche sulla

risposta mediatica che questa riesce a generare, comprese le

cause legali e il conseguente interessamento degli organi di

stampa. Quindi, paradossalmente, i lavori plagiaristi più

“incompresi” alla fine sono proprio quelli che vengono meno

“denigrati”!

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Capitolo 8 L’etica del plagio

132

I nuovi mezzi d’informazione permettono una circolazione

di materiale libera e fruibile da tutti in modo semplice e

rapido. Inoltre tali mezzi incoraggiano non solo la

circolazione, ma anche la manipolazione di materiale

seppure protetto da copyright.

Quali potrebbero essere le conseguenze nella disputa tra le

multinazionali e il fenomeno della condivisione tramite reti

peer-to-peer?

AMY: Credo che questo non sia quel grande cruccio che

affligge la gente. Non sono una grande esperta riguardo

quest’argomento, ma credo che la filosofia del “meglio che

libero” permeerà e le grandi compagnie distribuiranno ancora i

mezzi mediatici. Sembra inoltre che queste compagnie abbiano

ottime opportunità per la distribuzione di media, rendendoli

semplici da trovare e da scaricare con una qualità migliore

rispetto alle reti peer-to-peer. D’altra parte ci sarà sempre gente

che ha più tempo che denaro, che affianca la cultura peer-to-

peer, o che vede nella duplicazione in peer-to-peer il modo più

etico per ottenere dei media. Però, una trentina di anni fa,

c’erano già delle persone che non acquistavano dischi. Li

registravano direttamente da quelli di altri o dai brani che

passavano dalla radio.

Naturalmente il confronto con la nostra epoca non è possibile,

poiché oggi è molto più semplice copiare una grande mole di

materiale. Però dovrebbe essere anche più facile ed economico

per le società distribuire dei media che non richiedono l’uso di

materie prime, mezzi di trasporto e immagazzinaggio. Quindi

credo che il prezzo medio del “meglio che libero” debba essere

adeguato di conseguenza.

Altro fattore di cui tenere conto è che ogni brano disponibile

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Capitolo 8 L’etica del plagio

133

gratuitamente su una rete peer-to-peer ha valore promozionale

anche per gli altri lavori dell’autore di quel brano, alcuni dei

quali sono invece acquistabili.

Talvolta ho il sospetto che gli avvocati delle grosse aziende

interessati alla proprietà intellettuale siano il peggior nemico

delle compagnie!

SALVATORE: Forse l’idea di base in questa disputa è che

siamo in un momento di profonda trasformazione.

Siamo sul bordo del “nuovo” e del “vecchio” e i bordi, i

confini, sono i luoghi in cui avvengono gli scontri. Questo

conflitto, in particolare, è tra una tipologia di soggetto che è già

un cadavere e un altro tipo di soggetto che ancora non ha bene

capito cosa farà da grande.

Il modello proposto dalle multinazionali e, in generale,

dall’autorità è già morto. Non può più esistere. Se non

attraverso la repressione e l’esercizio dell’autorità. Ma la storia

ci insegna come questa modalità (che è quella che questi

soggetti stanno cercando di mettere in atto in tutti i modi a loro

disposizione) non può durare in maniera indefinita: non si può

resistere per sempre a una trasformazione della società che, di

fatto, è già avvenuta. Sempre la storia ci racconta anche le

vicende degli ordinamenti giuridici, e del sedimentarsi delle

pratiche sociali, che sono sempre in ritardo con la società stessa.

Gli ordinamenti giuridici in particolare hanno, secondo temi e

luoghi del pianeta, ritardi colossali con lo stato attuale delle

società del mondo: dieci, venti, cento anni!

Questo perché l’autorità non ama abbandonare il suo ruolo e il

suo potere e quindi nel conflitto si crea attrito che rallenta in

modo enorme la trasformazione a livello formale.

E quindi, come già successo per altri temi per esempio anche

nei riguardi della sessualità e della famiglia, ci si riconduce a

situazioni paradossali in cui, stando allo stato delle cose per

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Capitolo 8 L’etica del plagio

134

come questo è definito dal potere e dagli ordinamenti giuridici,

la maggior parte della popolazione si trova in un sostanziale

stato d’illegalità.

Perché rendiamoci conto che la quasi totalità delle persone

viola sistematicamente il diritto d’autore per come questo è

definito dalle nostre leggi.

Quali sono gli effetti di questa situazione? Sono effetti

estremamente sfortunati per chi si trova nel “posto sbagliato al

momento sbagliato”, perché, ad esempio su questi temi, ci

saranno molte persone che riceveranno multe, incriminazioni e

altri fastidi da una cosa che non è più come la definiscono le

leggi e che, tra pochissimi anni, sarà cambiata radicalmente.

E, per quanto riguarda il conflitto in maniera più diretta, non

c’è in realtà nulla di nuovo: tutto questo s’inserisce nello stato

di perenne nomadismo ed evoluzione dei tanti confini su cui si

muove lo scontro tra società e autorità. Come dire che non c’è

fine al conflitto. Quello che è nuovo su questi temi è la portata

del conflitto.

Che riguarda l’informazione, la cultura e la libertà di

espressione e comunicazione a livello globale.

Simultaneamente, attraverso nazioni, lingue, società, religioni.

È un cambiamento globale e, quindi, un conflitto i cui effetti

avranno rilevanza globale.

VITTORE: La gente utilizza la tecnologia che ha a

disposizione, fregandosene bellamente della legge, è sempre

stato così e sempre così sarà. Nell’Europa dell’Est, prima della

caduta del muro, in paesi come la Polonia era proibito fare

liberamente fotocopie, occorreva un permesso dalla locale

questura per ogni singola copia, eppure tutti gli “artisti postali”

con cui ero allora in contatto fotocopiavano e spedivano di

nascosto tutto quello che volevano, bastava avere un amico

compiacente che possedesse una fotocopiatrice. Il peer-to-peer,

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Capitolo 8 L’etica del plagio

135

sia che veicoli contenuti in modo legale (materiali esenti da

vincoli di copyright) sia che lo faccia in violazione di qualche

norma, è nella pratica quotidiana inarrestabile. È ormai una

situazione di fatto, del tutto impossibile da contenere e arginare.

E come passano materiali del tutto illegali, passano anche

materiali “plagiaristi”, come quelli che fanno un “fair use”

creativo delle varie opere campionate/riciclate.

Le multinazionali, fossero intelligenti, dovrebbero attuare una

politica di apertura e integrazione col mondo del peer-to-peer,

non mantenersi su posizioni di scontro muro-contro-muro

dettate da miopi interessi economici, suicide sulla lunga

distanza. Ovvero, se l’acquisto legale di prodotti musicali via

internet avesse un costo molto più contenuto, magari con

l’aggiunta di bonus di vario tipo (brani inediti, grafiche, testi,

eccetera), molti fruitori sarebbero tentati di ricorrere meno

frequentemente al download selvaggio. Allo stesso modo, se il

libero riutilizzo di “campioni” da opere altrui prevedesse costi

estremamente contenuti, o anche formule volontaristiche (come

i programmi shareware che prevedono la possibilità di

effettuare una donazione all’autore), forse molti più artisti

sarebbero invogliati a “regolarizzare” il loro impiego di

campioni altrui, mentre oggi per far ciò occorre spendere una

fortuna in studi legali.

Credo che fino a quando l’industria non comprenderà che il

rapporto col pubblico deve basarsi sulla reciproca fiducia e

onestà (una pura utopia?), sarà inevitabile che larghe fette di

pubblico e di artisti continuino a preferire di operare nella

semi-illegalità.

Spesso innovazioni e miglioramenti si basano sulla

manipolazione o la rivisitazione di materiale già esistente.

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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Nelle pratiche di produzione culturale e materiale del

mondo tecnologizzato la copia ha già un valore positivo

riconosciuto e sfruttato.

Come può essere riconosciuto tale valore anche nel senso

comune?

SALVATORE: L’innovazione è per definizione una

manipolazione dell’esistente: innovo qualcosa che esiste, una

realtà precedente e, quindi, la manipolo, la rivisito, la reinvento.

Non si sfugge a questo meccanismo. Si può essere più o meno

creativi nel farlo, ma tutto ciò che facciamo è per definizione

una manipolazione delle cose che sappiamo, che abbiamo visto,

che abbiamo imparato, letto, sentito, usato.

Il “problema” è sempre comunicativo, di linguaggio e di

immaginario. Se la nostra “innovazione” è in grado di

comunicare, allora il suo valore viene percepito. E, tra l’altro,

la storia è piena di esempi per cui l’autore (o il designer, o

l’ingegnere, o lo scienziato) era convinto di aver inventato

qualcosa che poi si è rivelata innovativa per qualcos’altro di

completamente differente. Quindi è anche interessante mettere

in mezzo a questo “gioco” anche il tentativo di comprendere

chi e come rende una cosa innovativa.

Ma, affrontando un argomento per volta, l’idea di rendere

percepibile un’innovazione è un problema sottile e delicato, ed

è fondato sulla costruzione del progetto e sulla strategia che

usiamo nel comunicarlo.

Non vedo, in realtà, una differenza in quei progetti che trattano

copie o reinvenzioni di cose esistenti. Progettando la

comunicazione in maniera intelligente è possibile addirittura

raggiungere degli estremi abbastanza interessanti, come ad

esempio non intervenire del tutto sull’oggetto reinventato (o

copiato, o plagiato, o piratato...) facendolo percepire come

qualcosa di nuovo e innovativo comunicandolo in maniera

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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differente.

VITTORE: Io credo che il senso comune sia perfettamente in

grado di riconoscere un valore positivo in un’opera plagiarista

di buona qualità. Ad esempio, tutti siamo capaci di cogliere il

valore satirico/drammatico dei montaggi nel programma

televisivo Blob, uno “smontaggio” plagiarista della TV del

giorno prima che difatti esiste da molti anni, segno di un alto

rating di ascolti. Il problema casomai è che l’indistinta area

plagiarista (non solo musica e arti visive, ma anche letteratura,

fumetto, cinema, ecc.) non ha prodotto tanti “capolavori”

quanti forse sarebbe stato lecito attendersi. ma se

un’operazione plagiarista è ben fatta, credo abbia le medesime

potenzialità di conquistarsi un suo pubblico di altre forme

espressive.

Il concetto di copia è da tempo parte del nostro dna, nessuno

più si scandalizza se in una galleria d’arte viene esposta al

muro una fotocopia, o la fotocopia manipolata di una celebre

opera d’arte. Del resto, da Warhol fino a Banksy, l’arte

contemporanea si è ampiamente caratterizzata in senso

citazionista, autoreferenziale e plagiarista.

Il Plagiarismo può essere considerato di valore aggiuntivo

al panorama artistico contemporaneo? Oppure è sbagliato

parlare di Plagiarismo come “movimento artistico” e se ne

dovrebbe parlare come di una forma di attivismo sociale e

politico che ha segnato un punto di svolta nella percezione

sociale dell’uso dei media?

SALVATORE: Le arti che lavorano con il plagio sono

importantissime.

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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Come detto già prima, l’idea di realtà (e quindi di originalità) è

un prodotto dell’autorità e del potere. Se accettiamo l’idea di

una realtà unica, di un oggetto che può essere solo una cosa, di

un luogo che può servire solo a una specifica destinazione

d’uso, cediamo alla violenza del potere e alla possibilità di

“scrivere sul mondo” la nostra interpretazione di luoghi, cose e

processi.

La moltiplicazione dei significati prevede un atto performativo:

la copia. La copia è per definizione un “falso” e, sempre per

definizione, è anche un “vero”, un altro vero, differente

dall’oggetto “originario” (piuttosto che originale). È un’altra

cosa, perché copiandolo posso reinterpretarlo, riutilizzarlo,

rimetterlo in scena, reinventarlo completamente. Attuare il

plagio, o falsificare qualcosa, equivale a creare un nuovo pezzo

di realtà.

Che è un modo molto bello e positivo di percepire il mondo,

perché come io copio un qualcosa, creando un nuovo pezzo di

reale che esprime la mia visione del mondo, così lo possono

fare altri. Le tecnologie digitali (con un occhio, in particolare, a

quelle che chiamiamo ubique) portano questo genere di visione

del mondo all’estremo in maniera molto potente, perché questa

moltiplicazione di significati, questa falsificazione-che-crea-

realtà, ora la si può fare in maniera completamente libera e

autonoma.

Tutto questo è oltre l’arte. O, forse, è una nuova arte. E, però,

in questo caso, è anche una nuova architettura, una nuova

letteratura, una nuova poesia, una nuova politica, un nuovo

marketing, un nuovo attivismo, una nuova economia. Invade e

rimischia tutte le discipline e le scienze, facendole convergere

verso una modalità che è polifonica dalla nascita, che ospita

molte voci che descrivono molte visioni sulla stessa realtà.

VITTORE: Le tecniche del collage fanno parte, almeno

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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dall’inizio del secolo scorso, del bagaglio degli artisti visivi e

anche degli scrittori (vedi in particolare il cut up letterario di

William S. Burroughs e Brion Gysin). Nel momento in cui gli

strumenti di registrazione e riproduzione del suono lo hanno

permesso, anche i musicisti hanno iniziato a far uso di tecniche

di collage, utilizzando materiali grezzi (come nella Musique

Concrete) ma anche porzioni di opere già registrate. Il fatto di

operare un collage di materiali altrui non esaurisce però

l’operazione plagiarista, che può avere gli intenti più diversi e

ibridare i più diversi linguaggi, in chiave satirica, umoristica, di

denuncia, ma anche puramente astratta, enigmatica,

provocatoria.

Se esiste un nucleo di autori che negli anni Ottanta/Novanta ha

fatto uso del termine Plagiarismo (o plunderfonia) dando forma

a una sorta di corrente artistica (Negativland, The Tape Beatles,

John Oswald, eccetera), l’utilizzo di tecniche di collage e

riappropriazione è in realtà talmente più vasto e diversificato

che dovremmo parlare, più che di un vero e proprio movimento

artistico, di una delle caratteristiche più originali e

caratterizzanti dell’espressione artistica (in senso lato, incluse

le forme di attivismo di base) a cavallo tra secondo e terzo

millennio.

Sono tecniche alla portata di tutti e che tutti usano, è quindi

difficile e forse poco corretto volerle racchiudere e limitare a

un “movimento” con precise coordinate storiche e un numero

relativamente esiguo di affiliati.

C’è la possibilità che i concetti, le tecniche, gli strumenti

plagiaristi siano sviluppati in modi riconoscibili di

realizzazione di opere definendo metodi, parametri, vincoli

e regole nelle pratiche di copia e mescolamento delle fonti?

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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SALVATORE: Questa cosa è molto bella, e qui mi rendo

conto che parlando di questi argomenti si va avanti per cose

che sembrano sempre degli enormi paradossi. Le tecniche del

plagio sono uno strumento potentissimo per far emergere le

espressioni personali.

Copiando faccio un’affermazione. La copia dimostra la mia

scelta. La copia è libera: non è l’originale, è meglio. La posso

sfasciare, mettere in contesti paradossali, farla sembrare il più

possibile come l’”originale”, distorcerla, aggiungervi caos,

cristallizzarla, moltiplicarla milioni di volte, trasformarla in un

gadget. È il luogo dell’invenzione, della libertà e, soprattutto, è

un atto performativo e, come tale, è quello che modifica il

mondo secondo le mie inclinazioni, desideri, forme, azioni.

Facendo un falso divento un agente di mutazione performativa

del mondo, definendo la realtà: un altro pezzettino di realtà che

posso determinare in maniera libera grazie alla libertà della

copia, alla sua non originalità e alla fluidità, all’assenza di

vincoli, che ne consegue. Questa mutazione che io metto in atto

copiando e usando la copia per i miei liberi fini, ha la mia

forma e, quindi, è riconoscibile. La differenza è nel mondo, che

può ospitare infinite di queste copie, fatte da infiniti soggetti e

quindi questa modalità è la modalità dell’espressione, ben oltre

l’idea dell’autorialità intesa in senso classico, che invece di

forme di espressione ne ospita solo una, quella accettata

dall’autorità, riconosciuta nell’autore.

VITTORE: Parte dell’impatto di un’opera plagiarista è dovuta

al fatto che questa si pone, più o meno consapevolmente, in

aperta contrapposizione con i materiali di cui si appropria. È

una pratica anarchica e di confine, a cui poco si adattano regole

e parametri riconoscibili, anche se poi molte soluzioni

finiscono con l’assomigliarsi.

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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Il pericolo del “manierismo” è doppiamente insidioso in

un’opera plagiarista e forse nulla è altrettanto noioso di un

collage sonoro privo d’inventiva e gusto della sorpresa. Meglio

quindi che non esista alcuna “accademia” del Plagiarismo, che

le regole del taglia-e-cuci siano riscritte ogni giorno da

chiunque si cimenti in un’opera di questo tipo. E non si pensi

che sia più facile realizzare un buon collage da materiali altrui

rispetto a comporre un’opera ex novo, direi anzi che è vero

l’esatto contrario.

Le nuove tecnologie di comunicazione permettono una

circolazione rapida e semplice d’informazioni e di cultura.

Lo stesso vale per quei mezzi che permettono teoricamente

a chiunque di realizzare opere proprie ed originali senza

pagare nulla ai creatori di tali mezzi (basti pensare ai

software open-source).

Perché, secondo te, nel momento in cui la cultura open ha

reso universalmente più facile la creazione di opere

originali, il Plagiarismo si è concentrato sull’attenzione alle

fonti altrui?

AMY: È una domanda molto interessante. Hai ragione, c’è un

gran fermento di produzioni originali in atto. Ma in qualche

modo continuiamo a sentire cose come “YouTube è pieno di

materiale illegalmente copiato, rubato dai media!”.

Facciamo attenzione alla provenienza di questi commenti

perché spesso vengono dalle stesse aziende mediatiche. Il loro

scopo potrebbe essere quello di mettere a tacere i produttori

indipendenti dei mezzi di comunicazione in modo da eliminare

più concorrenza possibile. Ma potrebbe anche rivelarsi

un’interpretazione eccessivamente sospettosa. È più plausibile

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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che vogliano richiamare quanta più attenzione possibile dalla

gente che copia la loro proprietà intellettuale per ottenere un

maggior controllo; ad esempio, legislazioni o politiche fatte per

YouTube che rendano più semplice ad una compagnia

denunciare una violazione.

Ma più interessante ancora, credo, è che critici e teorici citino

spesso una duplicazione dilagante, non a livello giuridico o

etico, ma critico. Ad esempio, i critici a volte si lamentano di

quanto Twitter sia invaso da retweet 2

, come se fosse prova di

una mancanza enorme di originalità. Ma in realtà ci sono più

contenuti originali su Twitter di quanto chiunque possa

desiderare! Inoltre, il retweet stesso rappresenta di per sé una

forma di creazione-di-contenuto populista. Scegliendo cosa

“retweettare”, gli utenti di Twitter diventano in qualche modo

editori. È altrettanto interessante notare che abbiamo una lunga

storia di editoria fatta di libri composti spesso da materiale di

altri scrittori. Però nessuno ha mai condannato il libro come

una minaccia per la creatività.

SALVATORE: Partiamo da un concetto: definire cos’è

un’opera originale non è semplice come sembra. L’originalità

non è in un campionamento audio, o nel fatto che io abbia

scattato una fotografia o che io abbia materialmente mosso un

pennello su una tela o cose del genere.

Questa idea in generale non vale neanche per gli artisti del

passato, che conoscevano il collage, la copia, la citazione ed

anche l’outsourcing, la produzione in serie e il falso. Quindi in

realtà possiamo invertire la domanda senza nessun problema

ovvero concentrarsi su quali sono le opportunità che abbiamo a

disposizione cercando di lavorare secondo modelli più

“ecosistemici” (come ad esempio quelli suggeriti dall’open

source). Perché il nodo è qui. Tutte queste tematiche sono un

“problema” solo per le autorità, per quelli che traggono

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vantaggio da poteri centralizzati e dal coprire il ruolo

dell’intermediario.

La cultura è diversa da così: la cultura è una rete, si crea per

differenze, per discorsi tra soggetti che si contaminano a

vicenda. La cultura è open source. Come l’arte e tante altre

cose.

Senza il dialogo con la sua realtà contemporanea, senza il

confronto con il mondo e, quindi, senza il prendere a piene

mani, secondo la sensibilità e possibilità del tempo, da ciò che

lo circonda, l’artista non è nulla, è un essere inutile messo sotto

vetro che potrà pure produrre l’artefatto più esteticamente bello

del mondo, ma quell’artefatto non avrà nessun valore.

Quindi l’attenzione (e quindi l’uso, e il riuso) alle cose che

producono gli altri (o che produce il mondo col suo incedere) è

un ritorno alle origini piuttosto che una novità. Il plagio, la

copia, il falso, riattivano una modalità naturale dell’essere

umano: quella di produrre, tramite la sua esistenza,

un’interpretazione del mondo, una performance, la propria

espressione.

Le tecnologie digitali cambiano la scala e la velocità,

permettendoci di essere liberi e autonomi in questo (sempre se

scegliamo tecnologie e metodologie “giuste”, altrimenti ci

infiliamo in altri tipi di labirinti di schiavitù, ma questo è un

altro discorso).

VITTORE: La cultura open ha permesso a tutti di diventare

scrittori aprendo un blog personale o pubblicando libri in

digitale on demand, ha permesso a tutti di diventare registi

diffondendo video su YouTube, di diventare musicisti

mettendo in rete canzoni, ecc. Il risultato è la totale saturazione,

per cui nessuno più ascolta nessuno perché tutti parlano a tutti.

Di questa situazione caotica approfitta soprattutto l’ancient

regime, per continuare a spacciare i suoi libri best seller ideati a

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Capitolo 8 L’etica del plagio

144

tavolino, le sue superstar musicali, ecc.: il pubblico disorientato

preferisce ripiegare su abitudini acquisite, quindi continua a

comprare il nuovo album di Vasco o Madonna, l’industria

continua a costruire personaggi di quel tipo.

Il Plagiarismo s’inserisce in tutto ciò come un grillo parlante,

una mosca bianca, una zanzara insidiosa, ricicla il già fatto per

additare le nudità regali, per rendere palesi certi meccanismi

subdolamente autoritari (e per mille altri motivi).

Non tutto il Plagiarismo però, per come la vedo io, deve per

forza di cose riciclare quanto fatto da altri. Si possono plagiare

identità inesistenti, ad esempio, moltiplicandole all’infinito,

come ha fatto il progetto Luther Blissettt. Si può operare un

auto-Plagiarismo, rimontando i propri lavori passati. Le

possibilità, concettuali e pratiche, sono più vaste di quanto si

possa pensare.

Quale può essere la distinzione tra programmatori e utenti,

o autori e fruitori, nel momento in cui i ruoli si mescolano

nella produzione globalizzata dei contenuti software?

SALVATORE: Questa è una cosa interessantissima. Perché col

software si rimescola tutto. Le discipline iniziano a convergere

le une sulle altre, attraversando arti, scienze, pratiche. È oramai

difficilissimo, se non inutile, cercare di capire chi è il

programmatore, chi il designer, chi l’artista, chi lo scrittore, chi

il ballerino, chi il saltimbanco, chi l’attivista, chi il politico, chi

l’imprenditore e così via. E inizia anche a essere difficilissimo

immaginare di fare le cose da soli, senza coinvolgere tante

discipline, senza aprire conversazioni.

Il grande cambiamento è quello, è in una fluida convergenza.

Non si tratta nemmeno più di usare parole come “autore-

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Capitolo 8 L’etica del plagio

145

fruitore” o “pro-sumer” o cose del genere.

Siamo già oltre quel punto. Siamo in un momento in cui per

capirci qualcosa bisogna immaginare le persone come immerse

contemporaneamente in molte reti che operano tutte

simultaneamente.

In questa situazione la persona può assumere molti ruoli

contemporaneamente, in maniera disgiunta, congiunta, fluida,

non c’è una regola. L’unica cosa che assomigli vagamente a

una regola è la moltiplicazione.

Cosa ci possiamo aspettare? Forse, se proprio dobbiamo

formulare delle ipotesi, ci potremo aspettare dei nuovi modi di

operare. Saremo costretti ad assumerne. Lo siamo già. Dei

modi di operare in cui ci sentiremo un po’ spaesati,

probabilmente, un po’ persi e senza senso.

Perché saremo costantemente in preda ad una specie di

nomadismo mentale, che ci porterà con continuità di concetto

in concetto, di ruolo in ruolo, d’interfaccia in interfaccia, di

rapporto in rapporto, simultaneamente e continuamente. Però, a

fronte del senso di smarrimento e di difficoltà di attenzione che

questa modalità comporta, ci si apriranno probabilmente molte

strade nuove, che portano a mutare quello che noi intendiamo

per i concetti di conoscenza, apprendimento, sensazione, valore,

comprensione, collocazione, lettura, scrittura. E potremmo

andare avanti per un bel po’.

Non penso si tratti di un valutare questi cambiamenti in

positivo o negativo. Penso che siano da prendere per quello che

sono: trasformazioni. E usarli per decidere le prossime mosse,

contromisure, strategie. Di sicuro c’è il rischio di soccombere:

c’è la possibilità di non riuscire a trovare senso, significati e

valore, e di sentirsi soli e smarriti.

Ma c’è anche la possibilità che assumendo il nomadismo e

l’autonomia come strategia si possano inventare nuovi modi di

relazionarsi col mondo e con le persone, più liberi ed efficaci.

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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VITTORE: In una condizione ideale di tecnologia “open” i

ruoli sono elasticamente reversibili, un utente può suggerire

una miglioria a un programma che viene poi recepita e

integrata al software stesso, se giudicata utile. Un brano

musicale può essere remixato e perfino migliorato da altri, si

può creare una catena infinita in cui il remixatore è remixato e

così via.

Ogni caso quindi va valutato singolarmente, per cercare di

capire quale può essere, se c’è, la linea di demarcazione fra

autore e fruitore. Del resto, questo accade dall’inizio dei tempi.

Le canzoni popolari tramandate dalla tradizione orale, ad

esempio, spesso hanno perso memoria del loro autore originale

e sono disponibili in una varietà infinita di variazioni: diverse

persone in diverse epoche, anonimamente, hanno aggiunto o

modificato una strofa. Quando in un disco un brano viene

classificato come “traditional” senza specificarne l’autore,

quello è già un bell’esempio di creazione condivisa. Qualcosa

di simile potrebbe benissimo verificarsi anche oggi con nuove

composizioni originate dalla “cultura popolare” della rete.

Si può parlare di un’etica del plagio?

AMY: Non capisco questa domanda, deve esserci un problema

di traduzione.

Ma vorrei ricordare ancora una cosa, che credo si riferisca a

diverse domande di cui sopra. Quando ho lanciato il sito

www.plagiarist.org nel 1998, c’era molta paura fra tutti, dagli

artisti ai media; si temeva che Internet potesse significare la

morte della paternità in favore di un plagio dilagante e della

perdita totale dell’”originale”. Lo stesso timore si è riscontrato

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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già in passato per tecnologie quali fotocopiatrici, e persino per

la fotografia. Il mio intento è di rendere plagiarist.org un luogo

per sfatare ironicamente alcuni di questi scenari di “plagio

fuori controllo”. Ad esempio, un plagiarista potrebbe cercare di

rubare dei manifesti famosi, mescolarli e spacciarli per il vero

Manifesto Plagiarista; ma ovviamente i risultati sono spesso

insignificanti e comunque il “furto” resta evidente. Volevo

dimostrare che tutte quelle teorie su un plagio incontrollato in

rete non avrebbero trovato riscontri, perché i furti sarebbero

stati immediatamente riconosciuti. Internet, che permette a tutti

di prendere da tutti, consente inoltre a chiunque di identificare

chiunque. Dopo tredici anni da allora credo ancora che ciò sia

vero, ma ho dovuto appurare le mie teorie sulla base delle mie

osservazioni nel corso degli anni. Sembra ancora impossibile

plagiare bene opere molto conosciute perché troppe persone

conoscono il lavoro originale e finiscono per accorgersi del

plagio. Tuttavia le opere meno note sono spesso plagiate senza

che la fonte venga riconosciuta. Sto parlando di Plagiarismo,

non di copia. Ma la confusione creata da questi termini ha

spostato il discorso sui temi della proprietà intellettuale delle

grandi società che controllano i media, temi che vedono le

società come vittime e le persone come responsabili. Chi esce

vincitore da questo contesto? I legali d’impresa che si

occupano della proprietà intellettuale.

Forse c’è bisogno di ricordare che anche le persone che non

hanno o che non possono permettersi un avvocato riescono a

creare mezzi di comunicazione!

SALVATORE: Assolutamente sì! E coincide probabilmente

con una cosa che ricorre nelle mie risposte: un abbandono

dell’idea di un reale, definito in maniera autoritaria, in favore

di una realtà che può essere costruita in maniera libera e

autonoma.

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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VITTORE: Se vediamo il plagiarista come una sorta di Robin

Hood, allora esiste un’etica del “furto sonoro”, per cui è lecito

rubare alle major del disco, ma un po’ più antipatico “rubare”

senza chiedere il permesso ad autori indipendenti.

Rubare qualcosa dallo scaffale di un grande magazzino non è la

stessa cosa che rubare in un cassetto a casa di un amico. Anche

se quello “plagiarista” è solo un furto virtuale che perlopiù non

causa alcun danno a quanti ne restano vittime, credo che si

dovrebbe sempre rispettare una sorta di “etichetta” (netiquette 3)

dettata dalla sensibilità di ciascuno.

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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Note

1

(cfr.) Rip! A Remix Manifesto, Brett Gaylor, USA, 2008 (edito e

distribuito in Italia da Feltrinelli, DVD + libro);

2 (ndr.) Un retweet è un post su Twitter che fa riferimento

direttamente ad un altro post, al quale viene aggiunta la sigla RT ed

un reply all’utente citato;

3

(ndr.) Una specie di codice etico, un insieme di regole non scritte

che regolano il comportamento di un utente di Internet nei confronti

degli altri utenti (modalità nella condivisione di risorse, nello

scambio di informazioni, ecc).

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Capitolo 8 L’etica del plagio

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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Capitolo 9

Concetto plagiarista Colloquio con Vittore Baroni

(18 Aprile 2011, Viareggio)

Il Plagiarismo è frutto del Neoismo e delle controculture,

ma può essere veramente considerato come un movimento

vero e proprio?

Ricordarlo o meno come “movimento” nei libri di storia

dell’arte sarebbe uno sbaglio; secondo me si trattava più di una

satira dell’arte, di una presa in giro, di un gioco. D’altro canto,

però, non possiamo dire che la controcultura non abbia avuto

una certa rilevanza nei primi anni ottanta.

In quel periodo c’erano vari festival sul Neoismo, alcuni anche

in Italia; mi ricordo in particolare di uno di questi svoltosi a

Ponte Nossa, in provincia di Bergamo 1, presso il quale

conobbi di persona Stewart Home e altri scrittori neoisti.

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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Anche il Neoismo, come il Plagiarismo, aveva la caratteristica

di essere un movimento artistico alquanto fittizio, perché

costituito soltanto da un prefisso, neo, cioè nuovo, e da un

suffisso, ismo, che sta ad indicare vagamente una caratteristica

d’insieme, o in questo caso di un movimento o di un gruppo,

come il dadaismo o il surrealismo; è una sorta di parodia di un

movimento artistico, una satira senza troppe pretese.

Quando ho tentato di intervistarlo tramite un questionario

via e-mail, Stewart Home si è dimostrato restio a fornirmi

informazioni sul Plagiarismo. Secondo te quale può essere il

motivo?

Sul Plagiarismo c’è poco da dire. Non credo che lo stesso

Stewart Home abbia basi solide per fornire una spiegazione di

questo “movimento”. Quando io e Piermario Ciani, verso la

metà degli anni novanta, scrivemmo Assalto alla Cultura 2

,

Home venne qua per promuoverlo e mi regalò un timbro che

recava la scritta “PLAGIARISM”; allora pensava che non

l’avrebbe più usato, e non sapeva effettivamente cosa farsene.

Tuttavia erano state fatte diverse operazioni tra mail art e

controculture, sfociate poi in un festival a tema di cui non

ricordo il nome; ma non c’era molto. Era una mostra il cui

invito era stato diffuso tramite e-mail, e il tema era, appunto, il

Plagiarismo. Ognuno poteva spedire quello che voleva e in

particolare ricordo che c’erano imitazioni di dipinti di Pollock;

comunque alcuni presero la cosa quasi per gioco, mentre altri

proposero opere più “concettuali”.

La mostra era abbinata ad una conferenza svoltasi in Scozia e

tenuta da Pete Horobin, anch’egli neoista, nonché stretto

collaboratore di Stewart Home, che cambiò nome varie volte,

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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seguendo lo stesso concetto del nome collettivo, come nel caso

di Luther Blissett.

Fra i partecipanti vi era anche un certo Lloyd Dunn, membro di

un gruppo musicale simile ai Negativland, i The Tape Beatles;

e lì si parlò già delle problematiche del Plagiarismo.

Infatti non ha preso piede e non ci furono già all’epoca molte

persone disposte a farne parte, per così dire, altrimenti

troveresti sicuramente più fonti. Anche le mostre erano

occasionali e gli artisti spedivano le loro opere pur non sapendo

effettivamente nulla sul Plagiarismo, o sul Neoismo. Per me il

Plagiarismo rimane un esperimento che ha avuto un’eco molto

limitata, e comunque andrei cauto nel chiamarlo “movimento”.

Al contrario, il Plagiarismo, inteso come concetto e non come

movimento vero e proprio, è molto fertile e d’impatto dalla

seconda metà del secolo scorso, poiché i mezzi tecnici hanno

incoraggiato musicisti e artisti ad appropriarsi liberamente di

lavori già esistenti.

Quindi è per questo che il Plagiarismo non può essere un

movimento: non si può farne parte. È un’attività cui tutti

possono partecipare.

Di fatto noi stessi oggi viviamo in un’epoca molto “plagiarista”,

perché la tecnologia permette di copiare facilmente quasi ogni

cosa. Ho un gruppo musicale, Le Forbici di Manitù, con cui

compongo musica prendendo pezzi di brani già esistenti e

suoni campionati. La tecnologia oggi permette di fare musica

pur essendo privi sia di strumenti sia di conoscenze applicate

allo studio della musica.

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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Nel caso il Plagiarismo fosse diventato una corrente

artistica, attualmente avrebbe quindi perso ogni significato?

Sì, ed è meglio così; i movimenti lasciano il tempo che trovano,

pur portando avanti un’idea concreta. Parlavi di fenomeno

sociale, e probabilmente è così. Il Plagiarismo è anche un

fenomeno creativo; i dadaisti facevano dei bellissimi

fotomontaggi, purtroppo le risorse tecniche erano limitate e la

produzione esigeva uno studio considerevole dei materiali e

delle procedure.

Oggi persino un bambino che abbia un po’ di dimestichezza

con Photoshop è in grado di produrre un fotomontaggio,

magari qualitativamente e concettualmente inferiore ai lavori

dadaisti, facendo semplicemente copia/incolla.

Prendendo ad esempio un fenomeno del genere è logico

supporre che nessuno crei qualcosa. Anche quando ti pare di

scrivere una poesia di tua invenzione, in realtà in essa riversi

tutto ciò che hai acquisito in precedenza da scritti di altri autori

che magari hanno fatto la stessa cosa prima di te.

Il plagiarista è solo un individuo che produce alla luce del sole

ciò che altri farebbero di nascosto. La questione non è dunque

copiare, ma usare degli strumenti e riuscire a produrre opere

valide. Probabilmente è molto più facile scrivere un romanzo

partendo da zero, inventando situazioni e personaggi, che non

fare come certi scrittori, come William Burroughs o Kathy

Acker, che hanno costruito dei romanzi “campionando” frasi

da libri già prodotti; è un lavoro certosino che richiede

comunque una grande abilità, ed è un’operazione altrettanto

complessa quella di ottenere un filo logico a questo collage di

parole.

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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La Gioconda con i Baffi, o L.H.O.O.Q., di Marcel Duchamp,

può essere considerato uno dei primi espliciti esperimenti di

Plagiarismo?

Certo, è uno dei più famosi. Ci sono vari modi di impossessarsi

di un’opera altrui, come il cut up, ideato da William Burroughs

e Brion Gysin negli anni cinquanta, che ne fecero una vera e

propria scuola basata sull’aleatorietà e sul caso: producevano

libri tagliando pagine da altri scritti e le componevano in strisce

che, muovendole, rendevano le frasi senza senso, o talvolta

assumevano significati sensati per quanto bizzarri, pur costruiti

sul caso, appunto.

Sempre negli anni cinquanta cominciano ad apparire i primi

registratori a nastro disponibili al pubblico, pur essendo

abbastanza costosi; Burroughs e Gysin sperimentarono con

questi registratori sempre sul filone del cut up. Era una sorta di

primitivo mixaggio, che assumeva gli aspetti di un collage di

suoni e parole che loro in seguito componevano o

trascrivevano.

Mi ricorda la poetica Fluxus.

Sì, difatti anche Fluxus fece sperimentazioni simili, che hanno

in qualche modo anticipato il Plagiarismo. Il rap e l’hip hop dei

primi anni ottanta sono stati comunque i primi segnali che

hanno esplicitamente usato strumenti, come il campionatore,

per cantare sopra dischi o ritmiche altrui, anche se a volte

suonavano con il consenso dei musicisti dei quali usavano i

pezzi. Inizialmente comunque non c’erano molte cause legali

legate al copyright, poiché quello del remix era un fenomeno

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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ancora molto underground, che riusciva a sfuggire al “radar”

della diffusione commerciale; l’effetto era la scarsa notorietà.

Sul loro manifesto i secessionisti di Vienna scrissero “… noi

non conosciamo alcuna differenza tra “arte maggiore” e

“arte minore”, tra arte per ricchi e arte per poveri. L’arte è

bene comune”. Potrebbe essere d’ispirazione a una cerchia

di artisti, come i neoisti, che rifiutano l’esclusività dell’arte?

Può essere, ma personalmente non credo che i secessionisti

abbiano ispirato le controculture, o i primi plagiaristi. Dovresti

cercare di focalizzare una serie di opere e artisti che

identifichino meglio il fenomeno del plagio, come nel caso

della Gioconda con i Baffi appunto, o il ritratto di Leonardo da

Vinci con il sigaro in bocca di Man Ray. Nella Plagiarismo ci

sono molti esempi di questo genere; le serigrafie di Wharol,

oppure i collage di Hamilton sono opere associate in qualche

modo al Plagiarismo e ricordano in qualche modo i cut up di

Burroughs. Comunque non credo sia facile associare i

secessionisti al Plagiarismo vero e proprio.

Infatti recuperare del materiale in merito non è facile,

poiché le fonti a disposizione sono scarse. Inizialmente

potevo solo intuire qualcosa dal nome, che mi faceva

pensare al plagio, appunto.

In effetti non è associato ai movimenti artistici come li

conosciamo. Facendo una piccola indagine fra libri d’arte

contemporanea che si occupano di underground o movimenti

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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minori potresti trovare qualcosa, poiché in fin dei conti si trova

sulla scia dell’arte contemporanea. Ma non sono molto sicuro

di questo.

Nell’ambito del festival Galaxia Medicea, presso Seravezza,

gruppi come Negativland e artisti mediatici anti-copyright

come RT Mark fanno riferimento a un’etichetta discografica di

nome Illegal Art che promuove quei gruppi che fanno uso della

plunderfonia. In Italia, per esempio, un dj di Roma, tale Okapi,

ha creato la pagina su Wikipedia di un musicista italo africano,

un certo Aldo Kapi, che fa riferimento a una raccolta postuma

mai esistita, pubblicata appunto per l’Illegal Art.

Quest’anno il tema principale del festival sarà il rapporto tra

design e suono di Bruno Munari, tematica riflessa nell’Opera

Rotta, per la realizzazione della quale Munari collaborò con un

musicista, Davide Mosconi. Era un’opera che permetteva di

creare un collage di varie opere, e fu presentata un’unica volta

a Milano negli anni sessanta. Oggi un procedimento del genere

sarebbe facilmente attuabile attraverso il remix, ma all’epoca

non esisteva il campionatore; pezzi di scenografie e un sacco di

musicisti e cantanti venivano diretti e composti per creare un

remix delle più celebri opere sinfoniche, dal vivo e in tempo

reale. Ho proposto agli organizzatori del festival di contattare

Okapi per riprendere quest’opera in chiave moderna, che poi

lui ha ribattezzato Opera Riparata: in pratica si tratta di

riprendere lo stesso schema compositivo di Munari e di

riprodurlo, assieme ad un collage video, con il computer.

Hai parlato di plunderfonia: che cos’è?

Il nome, coniato dal suo ideatore, un musicista californiano di

nome John Oswald, deriva dal verbo inglese to plund, che

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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significa rubare. Egli non fa altro che prendere pezzi di brani e

pezzi di copertine da dischi altrui, per poi ricomporli in un

collage sia audio, per la musica, che grafico, per le copertine.

C’era sempre una correlazione tra ciò che veniva raffigurato

sulla copertina e ciò che conteneva il disco: per esempio, se era

riportata un’immagine di Bruce Springsteen in copertina,

significava che nei brani erano presenti pezzi di sue canzoni.

Tutti questi riferimenti al collage, al remix e al cut up mi

fanno pensare alla trasmissione Blob, di Enrico Ghezzi.

Difatti è un ottimo esempio di cut up, cioè montare varie cose

per dare un significato diverso rispetto a quello che vedi. Tra

l’altro, quando per la prima volta intervistai i Negativland e

loro mi parlarono della plunderfonia, scrissi un articolo in cui

chiamai il loro genere Blob Music, tenendo conto anche del

contenuto satirico all’interno delle tracce. Tornando a Blob, il

montaggio, realizzato più da Marco Giusti che da Ghezzi, non

è casuale, assolutamente, e, anzi, credo sia un programma

unico al mondo. Sono riusciti ad avere spazio e fama proprio

per quest’originalità narrativa.

Forse definire Blob un programma “plagiarista” non è del

tutto corretto: magari si tratta più di “citazionismo”?

Sì, in fondo il concetto di plagio rimane sempre abbastanza

vago, altrimenti dovresti escludere anche operazioni come il

cut up o il collage, che in fin dei conti creano opere a sé. È

importante quindi distinguere il Plagiarismo dal comune plagio,

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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poiché quest’ultimo si riduce a una copia della fonte scelta.

Un’operazione plagiarista, invece, mette assieme vari pezzi di

materiale altrui per creare qualcosa di nuovo e concettualmente

differente, spesso tenendo conto dei vari cavilli burocratici che

fanno parte del copyright. Ma questa è una questione molto

complicata, che riguarda gli avvocati e le procedure legali.

Penso che la tua tesi proponga una panoramica sul Plagiarismo

in termini più “creativi” che legali, o penali: in quest’ultimo

caso, credo, rischieresti di impelagarti in questioni veramente

intricate.

Mi piaceva l’idea di includere un capitolo sulla questione

legale, magari intervistando o avendo un confronto con un

avvocato.

Te lo sconsiglio, è una faccenda molto complicata.

Nel libro di Tommaso Tozzi, Arte di Opposizione, viene

riportato un capitolo scritto da Tom Vague, il quale

dichiara che il Plagiarismo “è un esercizio fortemente

creativo”.

Lo è, ma non è altrettanto facile capire in quale momento il

Plagiarismo si sia imposto maggiormente sulla storia dell’arte.

A tal proposito sarebbe interessante costruire una linea

cronologica degli esempi o delle opere plagiariste nel corso

degli anni.

Per esempio, il mash up, in seguito chiamato bastard pop,

ispirato al cut up di Burroughs, si è sviluppato in un contesto

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

160

favorevole alla sperimentazione musicale, alla creatività e alle

culture underground. In fin dei conti si tratta di sovrapporre un

brano musicale su un altro di un genere differente; il prodotto

finale, puoi immaginare, non è qualitativamente eccellente e

non potrebbe avere lo stesso riscontro di un brano originale.

Infatti, un prodotto che in qualche modo è collegato alle

pratiche di mixaggio, è altresì destinato a un successo effimero,

ed è per questo che il materiale a disposizione è scarso. Rimane

un genere musicale di nicchia.

È un bene che resti tale?

Diciamo che è logico che sia così. Il mercato attuale non pone

attenzione a quel tipo di prodotto, ma ciò non preclude che un

bravo musicista non sia tale. Per farti un esempio: Finnegan’s

Wake, di James Joyce, non potrà mai essere un’opera di largo

consumo, poiché richiede un metodo di lettura vincolato a un

certo livello culturale. Ciò non significa che Joyce sia un

pessimo scrittore. La stessa cosa vale per la plunderfonia, non

si può apprezzarla se non si hanno gli strumenti critici

necessari a decodificarla.

Ci sono anche casi in cui un brano plunderfonico riscuote un

discreto successo grazie ad un mixaggio ottenuto da frammenti

di canzoni celebri; come nel caso di un certo Dj Mouse, che

pubblicò The Grey Album, remixando interamente il famoso

The White Album dei Beatles. O ancora, il caso dell’album dei

Negativland intitolato U2; ciò crea un’eco mediatica che può

accrescere la visibilità di un prodotto.

Quando lavorai con lo pseudonimo di Liutenant Mourneau, che

usai anche come nome collettivo (tipo Luther Blissett) il mio

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

161

scopo era di coinvolgere quante più persone in questo progetto,

senza troppi clamori.

Come Liutenant Mourneau ho realizzato i miei primi “collage

musicali” utilizzando le cassette a nastro. A quel tempo

esistevano le Tape Label, etichette discografiche che si

occupavano della distribuzione su cassette; una di queste,

olandese, distribuì centocinquanta copie dei miei primi lavori.

In seguito ho realizzato anche dei vinili, ma non mi rendevo

conto effettivamente di creare un tipo di prodotto che aveva già

preso piede attraverso quella tecnica che poi avrebbe preso il

nome di plunderfonia; posso dire di averlo scoperto quasi per

caso. Non sapevo di far parte, involontariamente, di questo

piccolo movimento; realizzavo i miei collage più che altro per

divertire la gente e me stesso, e tutto senza aver bisogno di uno

strumento. Come del resto già Pierre Schaeffer, negli anni

sessanta, faceva utilizzando giornali, oggetti vari e suoni

registrati in ambienti urbani, creando collage di suoni che

andavano a comporre quella che oggi conosciamo come musica

concreta.

Quella che poi è divenuta la noise music?

Non è proprio così, poiché ancor prima, con il Futurismo,

Russolo sperimentò il concetto di “rumore” come mezzo

compositivo, realizzando anche apparecchi adatti allo scopo

come, per esempio, l’Intonarumori.

Questi concetti sono stati ripresi dopo l’avvento del punk,

quando persone, che non sapevano effettivamente scrivere tre

accordi, potevano realizzare musica partendo dai rumori.

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

162

Lo scopo dell’Internazionale Situazionista è la soppressione

dell’arte tramite un concetto ludico del “fare arte”?

In primo luogo, quello dei situazionisti era più un movimento

sociale che artistico. Guy Debord, che ne faceva parte, era più

un filosofo che poneva attenzione all’ingerenza dei media nella

società, e spesso si esprimeva attraverso brevi filmati

d’ispirazione dadaista (monologhi fuori campo, schermi neri,

eccetera). Anche i dadisti e fluxus riducono l’arte a una battuta

o a una satira, che nel caso del Dada trova espressione

soprattutto nei ready-made.

Si può dire quindi che anch’essi facciano parte delle

controculture?

Le controculture esistono nel momento in cui nella società si

afferma un certo tipo di pensiero; in definitiva, c’è sempre chi

va “contro” qualcosa. Lo stesso vale nell’arte, da quando il

mercato ha cominciato ad affermarsi pesantemente su di essa.

L’esempio più lampante di controcultura, e probabilmente il

più influente, si è manifestato verso la seconda metà degli anni

sessanta con il movimento hippie, cioè una schiera politicizzata

di sostenitori dei diritti civili. Prese corpo soprattutto con

l’inizio della guerra in Vietnam e andò poi a influenzare vari

aspetti della società, dalla musica alla moda.

Fino a quel momento le controculture erano state piccole

frange di artisti e scrittori poco o per nulla note, come il

movimento esistenzialista o la Beat Generation del secondo

dopoguerra, che già si opponevano alle regole imposte dal

mercato ufficiale. Per esempio, un certo Wallace Berman, della

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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Beat Generation, oltre a realizzare opere con oggetti di scarto e

rifiuti, allestiva le sue mostre in una casa abbandonata. Come

vedi, un’idea che sembra appartenere a uno squatter dei primi

anni ottanta, in realtà è ispirata un fenomeno in vigore già dalla

fine degli anni cinquanta, ma che è rimasto misconosciuto.

Il movimento hippie si è sviluppato un momento in cui si

esigeva un nuovo modo di pensare che portasse a un

rinnovamento nei rapporti sociali, un’esigenza cui oggi

sopperisce internet, se vogliamo. Successivamente, negli anni

settanta, è stata la volta del punk, che ha portato innovazioni

nel panorama musicale ampolloso degli Emerson, Lake &

Palmer; e non solo in quello musicale, basti pensare alle prime

fanzine, che sostituivano un tipo di stampa ufficiale che

impiegò molto tempo per adeguarsi a questa rivoluzione.

Tipi di espressione artistica che in qualche modo abbracciano il

concetto abbastanza vago di “Plagiarismo” sono sempre rimasti

un po’ fuori dal mercato dell’arte perché si riconoscono sia

nell’ambito dell’illegalità sia in un contesto ideologico di

controcultura.

Personalmente, intravedo nell’arte delle possibilità che la

trasformino in un evento collettivo e di scambio culturale e

sociale, per questo riterrei più costruttivo, per esempio, fondare

una casa editrice per distribuire materiale a un prezzo

accessibile, che vendere semplicemente le proprie opere a cifre

esorbitanti solo per fare soldi.

Mi pare che tutto ciò che è collegato al concetto plagiarista si

muove sul versante dell’arte alternativa, pur non essendo in

aperta opposizione con lo status quo dell’arte ufficiale: e

probabilmente nemmeno si pone il problema.

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

164

Però non credi che, intervenendo in un modo così “ludico”,

le controculture di stampo artistico possano contribuire a

donare nuovo spessore alle arti ufficiali? Insomma, non

rischiano di essere additate come frivoli prodotti di finti

artisti?

Tutto ciò che conosciamo fin dall’antichità ha segnato uno

stato rispetto a ciò che esisteva prima, e spesso anche una

rivoluzione. Qualunque epoca tu analizzi, non troverai un’arte

tronfia e ufficiosa che ha dettato legge sulla cultura di ieri: ai

tempi di Mozart la gente teneva più in considerazione Salieri,

proprio perché Mozart, che era un rivoluzionario a suo modo,

non trovò inizialmente un pubblico capace di apprezzare il suo

stile. Nella maggior parte dei casi il successo è postumo; molti

artisti, oggi quotati per milioni, sono morti poveri.

Io non so se a oggi esiste un’arte che è riuscita a caratterizzare i

primi anni del duemila, un’arte o un’opera che in futuro sarà

l’emblema della nostra epoca. Comunque penso che non sarà il

teschio tempestato di diamanti di Damien Hirst a caratterizzare

questo periodo: quello è già l’“Emerson-Lake-&-Palmer” degli

anni settanta. Probabilmente nemmeno le operazioni artistiche

svolte su internet o via e-mail potranno giungere a questo

traguardo. Ciò che è certo è che la controcultura di ieri spesso

diventa l’accademia di oggi.

Comunque credo che la chiave per identificare un’ipotetica

“arte” del nostro tempo risieda in internet e nelle tecnologie

informatiche, di cui ancora non sfruttiamo il pieno potenziale.

Quando è scoppiata la rivolta in Egitto, mi sono accorto del

vero potere che internet e le sue varie applicazioni possono

offrire, poiché si pensi che la rivoluzione è stata organizzata e

coordinata con un massiccio scambio d’informazioni attraverso

canali video, blog, e-mail, eccetera.

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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In generale, però, non sappiamo ancora utilizzare appieno le

nuove tecnologie, probabilmente a causa di un ingolfamento

creato da fattori economici e pubblicitari. La cosa più curiosa è

che il messaggio non passa poiché si è in troppi.

Cioè?

Ti faccio un esempio: anni fa, se si fosse pubblicato un disco

che potesse diventare un inno della controcultura lo si sarebbe

subito identificato e in seguito condiviso, poiché il panorama

artistico non era così saturo come oggi. Ci viene continuamente

proposto di tutto, senza filtri. Oggi vengono pubblicati talmente

tanti dischi che in quest’affollamento potresti trovare non uno,

ma cento dischi significativi come quello. Purtroppo è come se

non esistessero, persi in un mare magno dal quale non riescono

a emergere.

È possibile quindi che abbiamo assimilato passivamente le

controculture senza prestarvi realmente attenzione?

Forse un prodotto del genere non riesce a liberarsi da questo

sovraffollamento perché non è più originale: per renderlo

realmente diverso dagli altri dovresti usarlo in modo quasi

disperato, come se usassi un coltello per andare a caccia.

Ho passato trent’anni a creare progetti portandoli all’attenzione

degli altri attraverso lettere. Talvolta questo metodo si rivelava

futile, ma spesso funzionava, soprattutto se a sostenere la causa

c’era un fine sociale o ideologico; come la volta in cui siamo

riusciti a liberare dei prigionieri politici in Uruguay.

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Se delle comuni lettere potevano ottenere un effetto così

importante, pensai, figuriamoci internet! Eppure il numero dei

net artisti oggi attivi è esiguo, se non addirittura quasi del tutto

assente; ciò è dovuto all’accanimento da parte di un sistema

antiquato che dà importanza all’oggetto e non al progetto

d’arte.

A mio parere, l’arte contemporanea risulta molto meno

credibile rispetto a dieci/venti anni fa; da quel periodo in poi

movimenti come le transavanguardie venivano creati a tavolino

dalle grandi gallerie.

C’è chi associa l’arte contemporanea di una serie di

produzioni commerciali, come il design e l’artigianato.

Magari! Con la permanenza dell’arte concettuale in molto casi

si è persa l’abilità manuale.

Però, un mio professore, Pierluigi Capucci, mi ha fatto

notare quanto negli ultimi tempi arte e design si siano

effettivamente avvicinati.

Per la verità anch’io ho notato che le cose più interessanti

prodotte negli ultimi anni sono legate all’ambito di un tipo di

design affine ai campi più disparati, dal fumetto all’edilizia.

Non dimentichiamo l’arte da strada, la Toy Art e il graffitismo,

che nel caso di Banksy, ha avuto anche molto successo;

secondo me, forse, movimenti del genere rispecchiano

maggiormente il nostro periodo. Anzi, spesso trovo più

ricchezza stilistica e impegno nei normali designer, grafici e

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writer che in tutti quegli artisti contemporanei che espongono

le loro opere nei grandi musei.

Hai accennato a un accostamento tra design e fumetto.

Sì, ma già Andy Warhol utilizzò Popeye come soggetto di una

sua opera, facendo riferimento alla copertina di uno dei suoi

fumetti. O ancora, Roy Lichtenstein e i suoi soggetti copiati

dalle vignette di fumetti Marvel. Il problema rimane il

copyright.

Secondo me, comunque, non è molto interessante porre merito

alla faccenda del copyright e a tutte le cause legate a esso,

quanto dimostrare che di fronte ad un’opera concettualmente e

stilisticamente valida non si parli più di plagio vero e proprio.

In fondo l’artista, come chiunque del resto, riutilizza sempre

qualcosa di ciò che ha visto o imparato, elabora una sintesi di

ciò che ha assimilato dalla cultura del suo tempo e dalla sua

vita. L’opera che produce può contenere parti di materiali altrui,

ma con un significato totalmente diverso.

Una curiosità: pare che in Italia sia scaduto il copyright di

Braccio di Ferro, quindi, in teoria, saresti liberissimo di

stamparlo su delle magliette. Mentre in America alcune grandi

corporazioni, come la Walt Disney, sono riuscite nell’intento di

aumentare la durata del copyright da cinquanta a settant’anni.

Ultimamente la Disney sta avviando una causa legale per

portare il copyright del primo Topolino a una durata di cento

anni, dal momento che tra poco dovrebbe scadere.

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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Quindi, come sempre, è il contesto che distingue l’oggetto

comune dall’opera d’arte?

Certo, l’esempio lampante è proprio Duchamp e la sua Fontana.

Una volta a Milano, durante la presentazione di BAU, ebbi una

disquisizione con Arturo Schwartz, dove era ospite.

Egli, grande amico di Duchamp e autorevole storico e critico

d’arte, tendeva, a mio parere, a “romanzarne” un po’ troppo la

vita e le opere. La discussione nacque intorno all’opera ready-

made, Pala da Neve, alla quale Schwartz attribuiva una grande

presenza materica e contenutistica, pur essendo effettivamente

una comunissima pala da neve. Per me resta un oggetto di uso

comune privato della sua funzione originaria, semplicemente

decontestualizzato.

A questo proposito organizzai nel 2010 un evento, della durata

di un anno, chiamato Art Detox 3

, per evidenziare il problema

della saturazione che sta invadendo il panorama artistico

odierno. L’operazione, tra l’altro, proponeva a coloro che

aderirono di infilarsi un sacchetto in testa durante le visite nei

musei, per “desensibilizzarsi” da ogni eccesso. Realizzai

inoltre un’installazione in cui si potevano pettinare delle

bambole (prendendo spunto dal famoso detto), come a indicare

che la nostra presenza nei musei è inutile. Quello che voglio

dire è che si possono compiere operazioni che magari

diventeranno artistiche, in qualsiasi modo possibile, bello o

brutto; sta poi ai critici o alla tua stessa sensibilità giudicare il

valore del tuo lavoro, che acquisterà un senso preciso in base al

tuo talento.

La mia tesi esposta ad Arturo Schwartz trovava probabilmente

conferma nella sorte toccata alla Fontana originale, che è

andata perduta: questo però non turbò più di tanto il suo autore,

poiché il valore della sua opera risiedeva non tanto nell’oggetto

quanto nell’idea.

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

169

Successivamente è stata fatta una copia, ma l’obiettivo di

Duchamp era ormai raggiunto. Proprio quest’appropriazione

indebita e ricontestualizzazione di oggetti o materiali vari ha

ispirato quasi tutti gli artisti e tutte le correnti successive.

Hai parlato di talento: a questo proposito Luther Blissett,

nel Manifesto Neoista, scrive che “il grande vantaggio del

Plagiarismo come metodo letterario é che elimina la necessità

del talento…”. È veramente così?

Non è esattamente così. Talvolta si tende a generalizzare

questo discorso, un po’ come si è fatto con il punk, sul quale si

è detto che non occorre saper effettivamente suonare, cosa non

vera per tutti i gruppi, ovviamente.

Nel caso del Plagiarismo, cito Pietro Grossi, uno dei più grandi

compositori di musica elettronica contemporanei, che ha anche

partecipato al festival Galaxia Medicea. Secondo lui non è più

necessario, con tutti i mezzi tecnologici che abbiamo a

disposizione, avere una grande abilità come violoncellista: in

quel senso non occorrono più certi talenti, perché le macchine

permettono di raggiungerli quasi del tutto. Però occorre un

criterio e una sensibilità che accompagnino le potenzialità delle

macchine verso un’opera che abbia un senso e concetti ben

definiti.

Quindi, in tal caso, un’operazione del genere, rende il

mondo artistico teoricamente accessibile a chiunque? È

sufficiente avere un concetto valido e preciso?

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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In realtà quest’affermazione è un po’ fittizia, poiché qualsiasi

cosa è accessibile a tutti, teoricamente. Persino i pittori

all’esterno del Louvre dopo qualche giorno sono in grado di

realizzare una copia quasi perfetta della Gioconda. La

Gioconda è un’opera valida non tanto perché tutti potrebbero

rifarla tale e quale, ma perché è stata realizzata in un periodo in

cui si richiedeva un certo tipo di qualità, sia contestuale sia

stilistica: è stata fatta seguendo l’idea giusta nel momento

giusto. Chiunque saprebbe ripetere i tagli sulle tele come

Fontana, ma è l’idea, la ricchezza di contenuto che dona corpo

all’opera, altrimenti si rischierebbe di confondere l’arte con

l’artigianato. Per esempio, se la mail art fosse fatta senza

perseguire un’idea che prescinda la funzione originaria del

sistema postale, allora in questo caso si realizzerebbero delle

comuni lettere, cartoline, e-mail; oppure tutta la posta nel

mondo potrebbe essere mail art. George Maciunas, avendo

focalizzato la possibilità di mettersi in contatto con vari artisti

sparsi per il mondo, è riuscito a fondare un movimento come

Fluxus; e questo solo perché egli andò oltre il normale uso

della posta.

Personalmente, a coloro che mi spediscono materiale

spacciandolo per mail art, io nemmeno rispondo, poiché nella

loro realizzazione non riesco a carpire il minimo impegno.

Ciò che rende l’arte democratica è la sua struttura.

Ciò è dato dal fatto che io posso realizzare un’opera contenente

un ideale che comunichi un mio punto di vista da condividere

con altri; per questo ho realizzato Art Detox, perché volevo

dare uno spunto di riflessione autocritica sul senso dell’arte

contemporanea.

Qualsiasi cosa s’intenda realizzare dovrà essere sempre

accompagnata da un’idea che porti innovazione, senza

rivangare troppo tra le cose già fatte. Ho conosciuto un gruppo

di ragazzi che avevano creato un nome collettivo, come Luther

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

171

Blissettt, ma che non ottennero molto successo. L’originalità,

la novità è tanto forte inizialmente quanto effimera, e trovare

sempre nuove, valide idee non è cosa in cui tutti riescono. Sì,

ovviamente ci si può provare, ma il successo non è garantito.

L’arte è accessibile a tutti, ma non tutti riescono a creare

qualcosa di innovativo.

Vale a dire che le controculture (e il Plagiarismo) non sono

movimenti artistici, bensì correnti legate a un contesto

sociale?

Sono l’una e l’altra cosa. Spesso preferisco la “non-arte”

plagiarista che le opere di certi artisti che vedo esposte nelle

gallerie. D’altra parte, purtroppo, la controcultura ha avuto fine

da un pezzo, più precisamente nel momento in cui le nuove

tecnologie hanno permesso a tutti di costruire il proprio blog, o

il proprio forum, o comunità virtuali, e soprattutto da quando

tali tecnologie sono state rese economicamente accessibili al

grande pubblico.

Perciò è inutile voler dare nuova linfa a un’ideologia di quel

tipo in una società globalizzata. Aggiungiamo una saturazione

di materiale che confonde, o mescola, prodotti commerciali e

prodotti artistici, e ci accorgeremmo che del Plagiarismo

effettivamente resta soltanto il concetto; che può ancora essere

sfruttato, credo, e in modi originali.

In questo panorama, comunque, l’attenzione sugli artisti si è

ristretta assieme al mercato stesso, proprio a causa di questo

ingolfamento. Basti pensare che con Liutenant Mourneau, che

aveva un’etichetta indipendente, riuscivamo a pubblicare dalle

cinquecento alle mille copie attraverso canali di distribuzione

improvvisati. Oggi, pur svolgendo ogni operazione su internet,

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

172

con conseguente riduzione dei costi, la tiratura media di un

prodotto è di cinquanta/cento copie. Persino gli appassionati di

musica indipendente fanno fatica ad acquistare, o anche solo

scaricare, tutti i prodotti di tutti gli artisti che operano nel

settore: ce ne sono troppi.

Credi che in questo clima di saturazione possano ancora

essere realizzati prodotti d’arte validi e innovativi?

Oggi come oggi è una vera e propria sfida, ed è difficile che

qualcosa catturi l’attenzione come poteva accadere venti o

trent’anni fa.

Ho vissuto di persona il periodo delle controculture e devo dire

che è stato un modo appassionante di approcciarsi a un filone

letterario, musicale e artistico molto originale, all’epoca, ma

anche, purtroppo, effimero. L’ultima vera controcultura ad

avere ottenuto un discreto riscontro, probabilmente, è stata il

cyberpunk degli anni ottanta, un genere letterario molto

politicizzato in Italia, tanto da diventare un vero e proprio

movimento politico, che sicuramente avrà ispirato molti dei

tuoi stessi professori. La causa della rapida scomparsa del

contesto creato dalle controculture è da attribuirsi a una

progressiva diminuzione di un interesse culturale inghiottito da

un vortice mediatico, forse creato a tavolino. Si è sfaldato,

inoltre, quel tessuto ideologico che teneva insieme istituzioni e

ideologie.

Probabilmente stiamo vivendo un periodo segnato dall’assenza

di idee concrete, ma può darsi che si tratti solo di una fase,

come del resto è accaduto per tutta la storia dell’arte. Essa è

fatta di periodi caratterizzati da movimenti artistici più o meno

influenti, regolati in base ad un sistema dell’arte che

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rispecchiava la società dell’epoca: Duchamp, o Maciunas, sono

riusciti a rovesciare quel sistema. Per me, quella è innovazione,

quella è arte.

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Capitolo 9 Concetto plagiarista

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Note 1

(ndr.) Il nono Festival Neoista fu organizzato da Pete Horobin

presso l’Arte Studio Emilio Morandi di Ponte Nossa, in Italia, dall’1

al 7 Giugno 1985;

2

Assalto alla Cultura - le avanguardie artistico-politiche, Lettrismo,

Situazionismo, Fluxus, Mail Art, Stewart Home, traduzione di Luther

Blissett, 2008;

3

(ndr.) Art Detox è un evento artistico di stampo sociale che pone le

basi per una riflessione sulla propaganda artistica e culturale. Vittore

Baroni ammette un’eccessiva quantità di annunci di mostre e gallerie

che circolano in rete tramite e-mail; spesso in forma di spam. A oggi

Art Detox è alla sua seconda edizione.

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Conclusioni

176

Conclusioni

Ho voluto deliberatamente evitare di esaminare troppo sia

l’infinita sequenza dei plagi più celebri della storia, sia la

spinosissima questione della circolazione legale o meno di

materiale in Internet; e ho voluto evitare gli ormai ridondanti

termini con i quali distinguiamo i vari software. Reti peer-to-

peer, open source, file sharing, e altro ancora. Non volevo

descrivere un fenomeno, una corrente che semplicemente

investe ogni campo della cultura e ogni ceto sociale; ho voluto

invece approfondire l’aspetto più creativo, in termini d’arte,

che circonda il Plagiarismo come “concetto”.

L’appropriazione è legittimata (che le autorità lo vogliano o no)

dal fatto che non si può farne a meno. Quando Karl Marx

identifica una fruizione comune dell’arte, vuole al contempo

comunicare che essa, essendo uno dei fondamenti della nostra

intera cultura, necessita anche di una libera circolazione in

quanto bene intellettuale; non, invece, “proprietà”. Sappiamo

che ormai la proprietà in pratica non esiste più; ci sono stati

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Conclusioni

177

messi a disposizione fin troppi mezzi per appropriarci di opere

già esistenti e per trasformarle in un traffico così enorme da

sfuggire alla maggior parte dei controlli. Ricordo un evento in

particolare, un piccolo aneddoto che mi ha fatto riflettere a

lungo sull’autenticità del nostro sapere. Un episodio che, nella

sua goliardia e semplicità, pone l’attenzione su un fatto tanto

grave quanto cruciale, nell’arte come nella vita: l’attendibilità.

Tempo fa, nel 1984, fu organizzata a Livorno una grossa

operazione al Fosso Mediceo dove, secondo fonti non così

certe, Amedeo Modigliani avesse gettato alcune sue sculture.

Quando l’operazione stava ormai per concludersi

infruttuosamente, ecco che furono rinvenute alcune sculture di

granito. L’entusiasmo fu grande e furono subito esposte in un

museo, tra le acclamazioni della critica internazionale e

l’assalto di media e turisti provenienti da mezzo mondo. Un

entusiasmo fin troppo affrettato, poiché alcuni giorni dopo si

scoprì che tutte le opere, false, erano state abbozzate da alcuni

studenti con dei semplici trapani Black & Decker. La mostra fu

immediatamente sospesa, gli studenti furono invitati in diverse

trasmissioni e l’azienda Black & Decker avviò una grossa

campagna pubblicitaria, forte dello scalpore suscitato

dall’episodio.

Ecco che qui il détournement si esprime al suo massimo livello.

La burla, lo scherzo, il gioco, la goliardia fanno ormai parte di

un’arte contemporanea che sempre più si distacca da quei

fattori che caratterizzano la cultura “seria”. In un panorama in

cui l’attendibilità è soppressa da un entusiasmo quasi isterico

per i frutti che l’arte, sopratutto postuma, porta con sé, non è

obsoleto continuare a parlare di “proprietà”? Quest’ultima è

consolidata dalla sua attendibilità; ma se essa viene a mancare,

per di più in un secondo momento, dove sta la differenza fra

una ruota esposta da Duchamp e una esposta da me? Non c’è

differenza a livello visivo, ma concettuale; e il concetto è

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Conclusioni

178

convalidato solo quando la fonte e la figura dell’artista sono

attendibili. Se George Maciunas fosse stato ancora in vita

all’epoca dei fatti di Livorno, probabilmente avrebbe

organizzato una mostra dove esporre quelle stesse teste che

hanno svergognato l’autorevolezza dei vertici dell’arte

contemporanea.

Stewart Home lo ribadisce continuamente nel suo libro Assalto

alla Cultura. Abbattere “quel” tipo di cultura è oggi diventata

un’operazione virale, quasi involontaria. Hanno contribuito

fortemente i media che, avviando un vero e proprio processo

di simbiosi con un’arte libertina e consenziente, hanno

condiviso le loro icone, le loro tematiche, le loro idee sul modo

di concepire un altro tipo di cultura. Una cultura più

commerciale, più vicina al ceto medio e sempre più distante da

un’ideologia borghese che acclamava il nudo del David e

disprezzava un nudo di Klimt. Oggi un programma dissacrante

e ironico come Blob, che è riuscito a entrare nelle case degli

italiani, sarebbe stato per Fluxus la materializzazione di

un’utopia che prevede una fusione tra arte e quotidianità, verso

la possibilità di un’estetizzazione anti-Sistema nello stile di vita

di ognuno. Purtroppo l’innovazione, tecnica o simbolica,

spesso non è accolta con immediato entusiasmo. È accaduto ai

secessionisti di Vienna, che proponevano un’arte molto vicina

alla grafica e al design, ai dadaisti, per l’estremo minimalismo

delle loro opere, alla Pop Art, che classicizzava il prodotto di

consumo; infine, a Fluxus, Internazionale Situazionista,

Neoismo e Plagiarismo, per il loro carattere autosoppressivo,

cinico, contro le regole e la standardizzazione culturale.

Spesso un atteggiamento riconoscitivo, nei confronti di

un’innovazione, giunge molto dopo la nascita del movimento,

della corrente o del singolo individuo che la propone. Per

questo, tutto ciò che in un primo momento può risultare

indegno o oltraggioso, a una successiva riflessione diventa

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prima opinabile, poi, col tempo, accettabile o, nei migliori casi,

riconosciuto.

Personalmente ho provato la stessa cosa nei confronti del

Plagiarismo. Dapprima non vedevo altro che un’assenza di idee,

frutto di un rimestamento quasi obbligato di materiale già

esistente; una pretesa di affermare il proprio talento attraverso

un modus operandi assai discutibile.

Grazie, però, agli interventi della Alexander, di Baroni e di

Iaconesi, ho cominciato a intravedere nell’“arte del plagio” un

metodo, ma soprattutto un’etica legata a un concetto

estremamente solido, seppur inizialmente difficile da accettare.

L’originalità è un derivato delle esperienze passate.

Inconsapevolmente creiamo qualcosa che è implicitamente

caratterizzato da un bagaglio esperienziale sviluppato da

conoscenze altrui. Consapevolmente, invece, prendiamo in

esame, sfruttiamo, ricomponiamo, trasformiamo l’opera di

qualcun altro per fare emergere la nostra, che potrà essere

totalmente differente dall’originale. O più semplicemente, in

mancanza di creatività e di un’etica, copiamo spudoratamente

un’opera sperando di affermare un talento che in realtà non c’è.

Quando iniziamo a entrare nell’esercizio del plagio creativo

dobbiamo tenere a mente una questione fondamentale; c’è la

possibilità che qualche altro neoplagiarista possa copiarci. Non

possiamo non accettare questa realtà, poiché significherebbe

rinunciare a un’etica che prevede, in primis, la condivisione

culturale. “L’arte è un bene comune”, affermano i secessionisti

di Vienna; deve, cioè, essere fruibile e praticabile da tutti a

dispetto delle possibilità. Per loro, l’arte, in ogni suo aspetto,

deve essere caratterizzata dalla condivisione e dalla libera

circolazione. Chi vuole fare arte deve avere tutte le opportunità

per sviluppare un proprio stile, per aggiungere un tassello al

mosaico che la compone, secondo Marx.

A tal proposito, sono rimasto un po’ sbigottito, lo ammetto,

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Conclusioni

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quando per la prima volta ho visto il documentario Rip! A

Remix Manifesto (Brett Gaylor, USA, 2008, edito in Italia da

Feltrinelli); un’elegia moderna contro la proprietà intellettuale,

un’inchiesta in cui si usano termini come copyleft (un marchio

contrapposto al copyright), o “open source”, o “condivisione”.

Non avevo ancora finito di guardare il video, che detti

un’occhiata sul retro della copertina del DVD: e cosa lessi, tra

le altre cose?

“… Sono assolutamente vietati e sono punibili a norma di

legge la duplicazione e l’utilizzo per la visione in pubblico e la

diffusione via cavo/etere in quanto costituiscono violazione dei

diritti di copyright.”

Ora, non dico che, forse, dietro alla distribuzione del DVD ci

siano degli obblighi contrattuali che prevedono un certo tipo di

uso del prodotto. Credo solo che non si possa affermare con

forza un’ideologia comunitaria e di libera condivisione

attraverso dei canali che privatizzano un bene culturale (poiché,

a dispetto del “taglio” spesso ironico del video, è di questo che

si tratta). Ma allora perché non cercare un altro distributore,

che magari permetta la copia e il libero utilizzo del prodotto?

Oppure, non si potrebbe cercare di annientare la validità delle

normative con un avviso scritto? Per esempio, nell’articolo in

cui si finge Tom Vague, Stewart Home spinge il lettore a

copiare il testo e ad utilizzarlo come vuole.

In ogni caso, non appena il video farà la sua comparsa su

Internet, automaticamente diverrà condivisibile ed utilizzabile;

nessuno terrà più conto delle norme che ne regolano la

distribuzione; esso sarà copiato, remixato, “uploadato” su

μTorrent o su qualche altro software open source.

La libera circolazione è ormai inevitabile; il Plagiarismo, sotto

le mentite spoglie del “copia/incolla”, sfrutta appieno questo

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Conclusioni

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fenomeno e decreta la nascita di nuovo Sistema dell’Arte in cui

il plagio è legittimato dalle infinite possibilità creative che i

software mettono a disposizione.

Non posso prevedere se l’attendibilità prescinderà sempre più

dalla fonte, come conseguenza di una progressiva perdita del

controllo sulla proprietà intellettuale. Però posso affermare che,

in una società globalizzata, il Plagiarismo potrebbe finalmente

rivelarsi in un modo che non gli è stato ancora riconosciuto;

potrebbe divenire un vero e proprio movimento artistico che

trae ispirazione dai simboli di una comunità internazionale

sempre più eterogenea, che si arricchisce di nuove forme,

contenuti, pratiche e tematiche. Fattori, questi, che descrivono

e rappresentano intere comunità e culture specifiche. Pensiamo

ai primi esperimenti di “remixaggio”, che si collocano in un

ambiente urbano underground composto da etnie diverse con

valori e ideologie diversi tra loro.

Pensiamo ai remix dei primissimi anni ottanta, alla

plunderfonia, ai primi mash up e alle prime manipolazioni dei

dischi in vinile; tutte tecniche nate da esperienze multietniche

che, con il passare del tempo, si sono affermate con grande

successo nel panorama musicale internazionale.

Non dobbiamo dimenticare che l’arte rispecchia una società in

un tempo circoscritto: è un fenomeno inevitabile quanto il

progresso stesso, e il progresso è la copia delle cose già

avvenute.

Che lo si voglia o no, nel momento in cui creiamo siamo tutti

plagiaristi.

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Stefano Cortese, Giugno 2011

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Bibliografia e Webliografia

Secessione Viennese: da Klimt a Wagner, Eva Di Stefano,

Giunti Editore, 1999;

I Fondamenti dell’Arte Moderna - il Novecento, Werner

Hofmann, traduzione di Caterina Cardamone, Donzelli Editore,

1996;

Il Manifesto del Partito comunista: guida per la lettura

dell’intero Marx, Karl Marx e Friedrich Engels, a cura di

Mario Cassa, Sapere, 1974;

L’Ideologia Tedesca, Karl Marx e Friedrich Engels, traduzione

di Fausto Codino, Editori Riuniti, 2000;

Neoismo e Altri Scritti - idee critiche sull’avanguardia

contemporanea, Stewart Home, a cura di Simonetta Fadda,

Costa & Nolan, 1997;

Assalto alla Cultura - le avanguardie artistico-politiche,

Lettrismo, Situazionismo, Fluxus, Mail Art, Stewart Home,

traduzione di Luther Blissett, 2008;

Falso è Vero - plagi, cloni, campionamenti e simili, Enrico Baj,

Vittore Baroni, Franco Berardi, Luther Blissett, Chris Cutler,

Aurora Fornuto, Enrico Ghezzi, Stewart Home, Loredana

Lipperini, Giuseppe Marano, Gianluca Marziani, Enrico

Mascelloni, Carlo Masi, Negativland, Gianluca Nicoletti, John

Oswald, Static Output, Enrico Sturani, AAA Edizioni, 1998;

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Nuovo Testamento, Libro dell’Apocalisse, Libro dei Sette

Sigilli, San Giovanni Apostolo;

Mind Invaders - come fottere i media: manuale di guerriglia e

sabotaggio culturale, Luther Blissett, Castelvecchi, 2000;

Ovidio: Le metamorfosi - sintesi critica e contributo per una

rivalutazione, Antonio Menzione, Rivista di studi classici,

1964;

Romeo e Giulietta, William Shakespeare, trad. Salvatore

Quasimodo, Oscar Mondadori, 2001;

Arte di Opposizione - stili di vita, situazioni e documenti degli

anni ottanta, Tommaso Tozzi, Shake Edizioni, 2008;

http://www.lutherblissett.net

http://scream.deprogramming.us

http://amy-alexander.com

http://www.lastampa.it

http://www.stewarthomesociety.org

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Ringraziamenti

Vorrei dedicare questa tesi a tutti, ma veramente a tutti. A chi

mi è vicino e a chi non lo è, chi mi è amico e chi meno, a chi ha

contribuito e mi ha sostenuto e a chi non ha fatto alcuna di

queste cose. Non so se quest’opera possa essere definita un

“traguardo”, ma per me è sicuramente qualcosa di importante

che merita di essere ricordata, tenendo presenti tutti coloro che

fanno parte della mia memoria, nel bene e nel male. Per creare

un bel mosaico ci vogliono tanti colori, anche quelli che ci

piacciono meno.

In primis dedico questo libro ai miei genitori, Massimo e

Vincenza, e alla mia ragazza Silvia per il loro costante,

prezioso e paziente sostegno, e per il loro appoggio morale e

pratico. E a chi, con la sua esperienza, mi ha permesso di

sviluppare una coscienza sui temi affrontati; perciò dedico

questo libro anche a Vittore Baroni, Amy Alexander, Salvatore

Iaconesi, Stefano Genick. Il loro intervento è stato per me

preziosissimo.

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