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www.artforbusiness.it/forum2011 INFORMAZIONI, ISCRIZIONI E AGGIORNAMENTI Siamo abituati a comprendere quello che è accaduto perché a scuola impariamo a studiare la storia, nella legittima convinzione che la conoscenza del passato possa fornirci gli spunti migliori per affrontare gli eventi che ci attendono. Siamo bravi a ipotizzare quello che accadrà, perché in ufficio cerchiamo di ammaestrare il futuro attraverso la sua prefigurazione dando vita al “disegno strategico”. Ma quando passato e futuro si somigliano sempre meno, come accade oggi, la qualità di un progetto emerge dalla capacità del progettista di interpretare i segnali che emergono qui e ora. Interpretare questi segnali non è facile per chi vive nelle organizzazioni d’impresa, dove è tutt’altro che agevole essere contemporanei. Per farlo occorre una sensibilità particolare, che sa emanciparsi dalla lezione del passato senza abbandonarsi a un futuro illusorio. Le antenne più adeguate per trasformare la percezione istantanea in strumento di efficacia non si trovano nella tradizionale cassetta degli attrezzi del manager. Di quelle antenne sono dotati gli artisti. Ed è a loro che dobbiamo volgerci se vogliamo finalmente imparare il presente. Benvenuti alla quarta edizione di Art For Business Forum.

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IMPARARE IL PRESENTE INTERVISTE AI PROTAGONISTI E APPROFONDIMENTI SUI TEMI AL CENTRO DEL FORUM Una guida per entrare nel mondo di Art For Business e comprendere come le arti possono essere un prezioso strumento per aumentare le proprie potenzialità professionali.

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www.artforbusiness.it/forum2011

INFORMAZIONI, ISCRIZIONI E AGGIORNAMENTI

Siamo abituati a comprendere quello che è accaduto perché a scuola impariamo a studiare la storia, nella legittima convinzione che la conoscenza del passato possa fornirci gli spunti migliori per affrontare gli eventi che ci attendono. Siamo bravi a ipotizzare quello che accadrà, perché in ufficio cerchiamo di ammaestrare il futuro attraverso la sua prefigurazione dando vita al “disegno strategico”.

Ma quando passato e futuro si somigliano sempre meno, come accade oggi, la qualità di un progetto emerge dalla capacità del progettista di interpretare i segnali che emergono qui e ora. Interpretare questi segnali non è facile per chi vive nelle organizzazioni d’impresa, dove è tutt’altro che agevole essere contemporanei. Per farlo occorre una sensibilità particolare, che sa emanciparsi dalla lezione del passato senza abbandonarsi a un futuro illusorio.

Le antenne più adeguate per trasformare la percezione istantanea in strumento di efficacia non si trovano nella tradizionale cassetta degli attrezzi del manager. Di quelle antenne sono dotati gli artisti. Ed è a loro che dobbiamo volgerci se vogliamo finalmente imparare il presente.

Benvenuti alla quarta edizione di Art For Business Forum.

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Valeria Cantoni > Per il secondo anno La Triennale ospita e contribuisce a produrre Art For Business Forum. Guardando a quanto è successo lo scorso anno, qual è il valore più grande nato da questa collaborazione?

Severino Salvemini > Nel 2010 per la prima volta la Triennale ha ospitato Art For Business Forum, contribuendo, con la sua tradizione di istituzione che longevamente si è occupata di va-lorizzazione delle arti e dei mestieri creativi, a tessere una forte integrazione tra il mondo della cultura e il mondo dell’econo-mia. Nel campo dell’architettura del design, e più recentemente delle arti figurative e della fotografia, La Triennale ha sempre testimoniato quanto gli investimenti negli ambiti creativi producano impatti economici significativi sul territorio e sulla trasformazione del patrimonio cognitivo dei cittadini.

Art For Business Forum è pertanto una manifestazione che si sposa perfettamente con la missione de La Triennale di Milano e che ancor più fortifica la correlazione positiva tra cultura e sviluppo economico.

La Triennale è una delle istituzioni milanesi più attenta ai linguaggi del contemporaneo. Come un luogo così centrale nella vita culturale della nostra città può essere d’aiuto e stimolo alle persone nella comprensione e interpretazione del tempo presente?

In questi ultimi anni il culture mix de La Triennale si è molto concentrato sulla contemporaneità, in una città che parados-salmente è molto proiettata nel futuro ma ha scarsi luoghi di manifestazione del linguaggio artistico contemporaneo. È quindi beneaugurante che ABF quest’anno sottolinei il tema cruciale di quanto il contemporaneo sia utile per il progresso civile, tipicamente perché gli artisti riescono a interpretare prima della popolazione più ampia le onde di senso che tra-sformeranno la civiltà. Ed è altrettanto utile che il Forum sia proprio ospitato in Triennale, casa eccellente per illustrare la contemporaneità delle muse nazionali.

Al centro del Forum ci sarà anche una riflessione sui princi-pali trend di cambiamento delle organizzazioni contemporanee. Dalla tua posizione di osservatore accademico, quale credi che siano i principali motori di cambiamento che le organizzazioni di oggi devono fronteggiare o favorire in ottica di valorizzazio-ne delle proprie risorse? E le arti che ruolo giocano in questa visione?

Le odierne organizzazioni devono saper uscire dalle nebbie dell’economia fordista e industriale per interiorizzare consape-volmente gli aspetti intangibili dell’economia post-moderna. Che si parli di imprese manifatturiere o di servizio oppure di istituzioni pubbliche e non profit, gli elementi simbolici che caratterizzano oggigiorno la produzione e il consumo non sono così facili da comprendere e da progettare nelle diverse modalità di offerta. La cultura può aiutare questa transizione perché aiuta l’organizzazione a spostarsi da un baricentro troppo basato su una concezione solo utilitaristica del prodot-to a una produzione di senso dove, accanto alla soddisfazione utilitaristica, si ampli il valore dello scambio a elementi evoca-tivi ed estetici.

INTERVISTA A SEVERINO SALVEMINI, MEMBRO DEL COMITATO SCIENTIFICO DE LA TRIENNALE DI MILANO E DOCENTE ALL’UNIVERSITÀ BOCCONI

DALL’ESPOSIZIONE ALLA CREAZIONE

di Valeria Cantoni, Presidente di Art For Business

In latino il verbo imparare significa acquisire, pro-cacciarsi nuova cognizione. Riferito al presente, il verbo imparare esprime bene l’azione di entrare in possesso di questa cognizione che sembra essere così vicina e affer-rabile, così nota perché presente, e che insieme sfugge di continuo a ogni tentativo di definizione tanto da essere sempre nuova.

Art For Business, associazione nata nel 2009 per dare vita a un centro di ricerca sperimentale di respiro inter-nazionale, lavora sul tema dell’apprendimento, alla base dello sviluppo d’impresa, confrontandosi con alcuni tra i più grandi esperti di organizzazione per capire come le arti, portate nella vita reale e nei problemi quotidiani, possano essere messe al servizio della creatività e dell’in-novazione, per uno sviluppo economico più consapevole.

La crisi economica non è solo un momento di débâcle nel nostro sistema finanziario e produttivo; è un segno più forte, lasciato sulla pelle di molte imprese, persone, famiglie e interi progetti industriali. Mentre questo acca-de gli artisti continuano, come fanno da secoli, a raccon-tare il presente con simboli che ormai i nostri uomini d’impresa non sanno più leggere.

Ecco da dove nasce il titolo di Art For Business Forum 2011: è presente “ciò che è al cospetto di qualcuno, immi-nente, inevitabile” e ci rende tutti molto concentrati a viverlo piuttosto che a leggerlo, subendone la presenza e l’affermazione, senza poter fare altro che metterci al lavo-ro per assecondarlo, portando sulle spalle la conoscenza del passato (quando c’è) e l’obiettivo puntato sul futuro.

Presentare significa mettere sotto gli occhi di una per-sona e presente significa anche dono, offerta. La riflessio-ne su questi molteplici significati del presentare, unito al verbo imparare, ci ha portati alla definizione della quarta edizione del Forum, in cui vogliamo creare un confronto vivo sugli strumenti di cui dotarsi oggi per afferrare, fare nostro questo dono inevitabile che è il presente.

L’innovazione, da più parti acclamata a gran voce, non può concentrarsi solo su alcuni aspetti della realtà econo-mica e sociale e ignorare del tutto altri territori.

Innovazione non è semplicemente nuova tecnologia che ci viene offerta per rispondere a bisogni immagina-ti da qualcun altro da noi; innovazione è un’aria che si respira, uno stile di pensiero e di azione, un insieme di comportamenti che agiscono nel mondo, un sistema di tessere relazioni; innovazione, nel percorso individuale, è programmatica libertà di pensare in modo autonomo, of-frendo un contributo alla comunità in cui siamo inseriti e alla quale dobbiamo rispondere, che sia essa professio-nale o sociale, a qualsiasi livello ci troviamo. Innovazione è tante altre cose che, da semplici idee possono trasfor-marsi in stili, prodotti, processi per far ripartire la nostra economia.

Innovative sono le arti, a volte, perché perseguono, nell’intenzione più ancora che nel risultato, l’obiettivo di leggere la realtà con sguardi sempre rinnovati, di metter-si in ascolto con l’idea che ci sia ancora tutto da impa-rare e per restituire queste esperienze in sintesi visive o sonore fatte di simboli che raccontano infiniti modi di vedere il mondo non tanto così com’è, ma così come si pone alla nostra presenza. Perché il mondo che ci viene imposto dai nostri sensi dipende da come noi scegliamo di vederlo.

La visione scientifica della realtà, quella affermata-si nel Rinascimento con l’elezione della prospettiva a unico modo di rappresentarne la verità, “non ha biso-gno dell’occhio”, diceva il grande pensatore russo Pavel Florenskij nel 1918, nella convinzione che la naturale capacità umana di sentire e pensare stesse subendo un lento e inesorabile deterioramento.

Per provare a uscire da questi schemi e ritornare ad avere fiducia nel nostro sentire, i due giorni di Art For Business Forum vogliono esser l’occasione per tornare ad ascoltare la lingua dei sogni, l’arte, in tutte le sue forme, e insegnare alla ragione a parlare questo linguaggio, che di certo ci aiuta a comprendere meglio cosa sta accadendo e come fare per entrare in dialogo con il nostro presente, senza l’ambizione di dominarlo, ma con il coraggio di co-crearlo insieme.

EDITORIALEIMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

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COMPRENDERE LA CINA PAG 03

LECTIO MAGISTRALISIMPARARE IL PRESENTE, RICONOSCERE IL CAMBIAMENTO -

CHIFRANÇOIS JULLIEN CON ODILE DECQ, RENZO LIBENZI, ENZO RULLANIINTRODUCE E MODERA LEONARDO PREVI-

QUANDOVENERDÌ 18 NOVEMBREORE 19.00-

DOVETEATRO DELL’ARTE,LA TRIENNALE DI MILANO

IMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

Paolo Antonini > In varie interviste ho letto che la sua volontà di studiare il pensiero e la cultura cinese deriva dal necessario percorso di alterità che un filosofo deve compiere. In Pensare l’efficacia mette in luce come la Cina si stia occidentaliz-zando, annacquando il proprio sistema culturale. A dieci anni da quella pubbli-cazione riconosce ancora questo proces-so? Che conseguenze può portare?

François Jullien > Ci sono due aspet-ti che bisogna evidenziare nel processo di occidentalizzazione del pensiero cinese. Da un lato il pensiero europeo si sta sempre più globalizzando, si sta mo-dellizzando, uniformando le differenze interne alla cultura europea. Dall’altro la Cina oggi guarda al modello tradizio-nale occidentale, dal quale apprendere diverse cose, confrontandosi con para-digmi inconsueti e molto differenti. Ciò nonostante siamo ancora lontani dal poter osservare la Cina come qualcosa di diverso da una grande cultura stori-camente estranea e radicalmente diver-sa dalla storia e dalla cultura europea.

Per questo confrontandoci con essa riusciamo a introdurre nel nostro pen-siero tradizionale uno sguardo obliquo che origina proprio dallo scambio che può nascere dialogando con la cultura cinese. Ci troviamo così ad affrontare il presente potendo utilizzare questo doppio registro.

Ne Le Trasformazioni Silenziose scrive che la difficoltà di noi occidentali nel pensare il cambiamento sta nel fatto che il nostro pensiero è basato sul concetto di Essere. Questo ci ha portato molti vantaggi, ma ci causa difficoltà quando si tratta di riconoscere il cambiamento e apprendere da esso. In che modo il pensiero cinese ci può aiutare a Imparare il Presente?

Siamo figli della filosofia greca, che si fonda sul principio della causalità (della teoria causa - effetto) e della determina-zione. Più un’entità è determinata più è reale. La trasformazione silenziosa è discreta, non si sente, ma è in movimen-to, rimanda a una realtà fluida e indeter-minata. Mette in discussione i princìpi sui quali si fonda la filosofia occiden-tale. In Occidente si crede che il luogo privilegiato per osservare le trasforma-zioni siano i media: realtà che narrano il divenire attraverso gli eventi costruiti come sequenze di accadimenti. Se que-sto è il modo con cui noi affrontiamo la realtà, è evidente che siamo incapaci di comprendere le trasformazioni silenzio-se. La trasformazione silenziosa rimette in discussione il principio d´identità e il principio di non contraddizione, due cardini dell’ontologia occidentale, per-ché ciò che è, contemporaneamente è già anche qualcos’altro. Si potrebbe dire da una cultura fondata su l’aut /aut a una fondata su l’et/et. Il pensiero cinese ci può aiutare ad apprendere il presente proprio perché strutturalmente evita lo scontro frontale e agisce progressiva-mente attraverso piccoli e impercettibi-li cambiamenti, senza accelerazioni che possono essere drammaticamente rifiu-tate, dando vita a importanti evoluzioni.

PUBBLICHIAMO UN’INTERVISTA AL SINOLOGO E FILOSOFO FRANCESE FRANÇOIS JULLIEN, PROFESSORE ALL’UNIVERSITÀ PARIS VII E DIRETTORE DELL’INSTITUT DE LA PENSÉE CONTEMPORAINE DI PARIGI

AFFRONTARE LA DIVERSITÀ

L’opera di François Jullien ci pone davanti agli occhi, con forza e chiarezza non comuni, le sfide che le organizzazioni contemporanee devono affrontare. La prima che mi viene in mente è legata alla diversità. Jullien ci racconta come ricono-scerla, affrontarla, trarne vantaggio. Offre così un’occasione di riflessione per manager a capo di organizzazioni sempre più globali e “contaminate”. Riflessione utile forse soprattutto perché noi occidentali abbiamo colto poco di questo feno-meno pensando di esserne salvi, forti di logiche di mercato e di governance ancora considerate la one best way. La globa-lizzazione ci ha portato un enorme aumento di ricchezza e complessità. Questo significa che non possiamo affrontare il mercato con strumenti previsionali tradizionali. Un secondo tema evocato da Jullien, quello della saggezza, riassume un concetto classico di tipo imprenditoriale che deve rinascere all’interno dell’organizzazione. Penso, riprendendo le parole di Jullien, alla volontà di muoversi senza mai fermarsi in una posizione statica, di assumere rischi e condividere responsa-bilità. Queste, che tradizionalmente sono skill dell’impren-ditore, non possono non essere trasferite al management e all’impresa. Siamo infatti chiamati a immaginare una cultura manageriale diversa nell’affrontare le cose e in questo proces-so di cambiamento continuo non possiamo negare la neces-sità di sperimentare, ovvero di fare prove e ammettere errori. Se ricerchiamo qualità dobbiamo lasciare che le persone sperimentino le loro capacità, entrino in connessione, passino dall’io al noi. Si tratta di scatenare una “mobilitazione”, perso-nale e collettiva, alla generazione del cambiamento. Non farlo significa chiudere le nostre sinapsi, precludersi opportunità di miglioramento. Evidentemente questo porta con sé ripen-samenti sull’idea di leadership e sui modelli di valutazione delle performance. Fatichiamo perché combattiamo ancora con schemi che fanno riferimento alla cultura della suddivi-sione del lavoro o a modelli gerarchico-funzionali, paradigmi che fanno fatica a morire. “Imparare il presente” è una neces-sità impellente, che ci offre l’opportunità di gestire adegua-tamente le forti accelerazioni e gli scontri pesanti che questo mercato genera. Il recupero di un approccio riflessivo, a suo modo slow, sarà fondamentale perché in grado di aumentare la nostra capacità percettiva e consentire di elevare la qualità di quello che facciamo, che siano prodotti o processi.

Michelangelo Patron, Direttore Generale CFMT

Ne La Philosophie du vivre affronta il tema del Presente. Le parole che associa a que-sto concetto sono Pensiero, Prossimità, Decisione, Attenzione e soprattutto In-contro. Ne deriva una visione del presente come momento di attiva negoziazione dell’uomo rispetto al suo ruolo. D’altra parte si sottolinea come molto spesso siamo “assenti seppur presenti”. Si potreb-be dire che siamo insensibili al contesto. Quali sono gli effetti di questa tendenza?

La relazione tra presenza e assenza. Eraclito scriveva: “assomigliano a sordi coloro che, anche dopo aver ascoltato, non comprendono: presenti, essi sono assenti”. Molto spesso siamo presenti fisicamente, ma abbiamo lo spirito altro-ve: al futuro, al passato, ad altri luoghi. Il futuro è ciò che aspettiamo. Il passato è ciò che ricordiamo. Il presente, e qui viene il difficile, è ciò a cui attendiamo. Potremmo dire che il presente si defi-nisce attraverso l’attenzione. Passato e futuro non esistono. Il presente si confi-gura invece come quell’istante che passa, estendendosi come un’esigenza che ri-getta la ripetizione e la conservazione. Al contempo è il solo luogo dove possiamo essere e generare senso e valore. La cul-tura cinese ragionando solo con il modo infinito si trova invece particolarmente a suo agio nell’evocare questa operatività che si sviluppa anch’essa camminan-do in silenzio e della quale si impara a disporre, captandola come una fonte, ma senza possibilità di governarla. In Cina la disposizione del saggio è fondata sulla disponibilità: ovvero un’apertura dove tutto rimane possibile. Ciò che fa dell’uo-mo un saggio è il non fermarsi mai in una posizione precisa e statica. Pensiamo al periodo storico che stiamo vivendo. Si parla molto della crisi economica: a mio avviso è il risultato drammatico della trasformazione silenziosa che ha favorito il passaggio del potenziale economico dall’Occidente all’Oriente, dagli Stati Uni-ti alla Cina di cui non siamo stati capaci di curarci a dovere.

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IMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

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UN ACCADEMICO E UN IMPRENDITORE A CONFRONTO: ALBERTO DE TONI, PRESIDE DELLA FACOLTÀ DI INGEGNERIA E PROFESSORE PRESSO L’UNIVERSITÀ DI UDINE. CLAUDIO BERNARDINI, AMMINISTRATORE UNICO DI COMVERT.

LE ORGANIZZAZIONI CONTEMPORANEE

Cosa vorresti chie-dere al tuo “vicino d’intervista”?

Quali sono le 3 parole che sceglie-resti per descrivere le Organizzazioni contemporanee?

Cosa succede quando passione personale e attività lavorativa si unisco-no? Quali benefici ne trae l’Impresa?

Il lavoro come strumento di autorealizzazio-ne, luogo di dispiegamento dei propri carismi e ambito di gratificazione personale è la conquista principale del Rinascimento. Prima il lavoro era per schiavi o servi della gleba. Il termine latino labor significa fatica, il termine francese travaux significa travaglio. L’uomo moderno, quello delle

botteghe rinascimen-tali, è tale in quanto

realizza se stesso nelle proprie azioni artigianali, artistiche, economiche. Dal Rinascimento in poi gli uomini tenteranno di far coincidere passione e lavoro. Ma non è sempre facile.

Le parole chiave sono quattro. Interconnessione. Le reti sociali sfruttano l’effetto small worlds: tutti possono raggiungere tutti con percorsi molto brevi. Ridondanza. Entro certi limiti “tutti imparano a fare tutto” e, se necessario, è possibile spostare persone verso mansioni diverse. Il maggiore costo nel breve termine è più che compensato dai vantaggi di lungo termine. Condivisione. Le unità autonome sono efficaci solo se agiscono in maniera coordinata, median-te forti meccanismi di condivisione interna. Riconfigurazione. Le unità autonome sono chiamate a cambiare continuamente co-evol-vendo con l’ambiente.

Lo skateboard rappresenta nell’immaginario collettivo gioventù, libertà, leggerezza, abilità, armonia, coraggio, agonismo, energia, auten-ticità. Un grande patrimonio intangibile da trasformare in patrimonio tangibile. In che modo Bastard riesce a tradurre questi significati in successi economici?

risponde Bernardini > Gli elementi che hai indicato non solo rappresentano bene l’imma-ginario collettivo, ma penso siano anche le fon-damenta delle persone che fanno il brand: noi e i collaboratori da un lato e i clienti e supporters dall’altro. Quando l’intangibile lo ritrovi in un prodotto o nella comunicazione del brand allora si è trasformato in tangibile e la nostra organiz-zazione è la macchina che si occupa di questa trasformazione. Quanto più questa macchina riesce a essere efficiente e rinnovabile, tanto più grandi saranno le possibilità di successo econo-mico e lunga la permanenza sul mercato. Ana-lizzando quello che negli ultimi 15 anni abbiamo fatto con Bastard si nota una grande coerenza e attenzione a questi elementi intangibili che non sono scritti da nessuna parte, ma tuttavia fanno parte del brand e sono alla base della sua cultura.

Parlando di Bastard: Aperta perché favorisce il flusso di informazioni tra settori tradizionalmente differenti. Perché la sua sede è uno spazio aperto progettato proprio per questo scopo. Divertente perché penso che, sebbene le scaden-ze e gli impegni che deve affrontare a volte siano davvero pressanti, la tendenza è sempre volta a cercare di far fronte in modo divertente. Non abbiamo mai organizzato una cena azienda-le ma spesso usciamo insieme perché abbiamo voglia di farlo o ci fermiamo a skateare nella bowl. Rinnovabile perché si mette costantemente in discussione e punta al cambiamento.

Vorrei chiedergli quale è la sua opinione a riguardo del modello Spaghetti Organization pro-posto da Lars Kolind.

risponde De Toni > All’inizio degli anni novanta, per superare la fase di stagnazione che l’azienda danese Oticon attraversava, il nuovo Ceo Lars Kolind ridisegnò in modo radicale l’organizzazio-ne, ponendo al centro l’interazione, la collabora-zione e la connettività del personale, dei clienti e dei fornitori. La riorganizzazione ha consentito all’azienda di superare la fase di crisi; tuttavia, a distanza di anni, agli analisti l’azienda appariva come una tradizionale organizzazione a matri-ce. Il caso Oticon dà indicazioni contrastanti: mentre nella prima fase l’auto-organizzazione ha mostrato la sua superiorità in termini di prestazioni, nella fase successiva la stabilizza-zione dell’organizzazione ha fatto riemergere i comportamenti tipici che si accompagnano alla gerarchia. Probabilmente, l’affermazione stabile dell’auto-organizzazione richiede un cambia-mento più ampio di ordine culturale e sociale.

Le imprese nascono spesso da un sogno im-prenditoriale. La molla che spinge un individuo a costruire un’impresa non è tanto da ricercare nel desiderio di una maggiore gratificazione economi-ca, quanto piuttosto nell’aspirazione ad autorea-lizzarsi, nella soddisfazione di creare qualcosa di nuovo, di proprio, di distintivo. La spinta rincorre un vero e proprio sogno. Per Carl Sandburg: Nothing

happens unless first a dream, mentre per Walt Disney: Se lo sogni, allora

lo puoi fare. Non a caso Martin Luther King disse agli afroamericani: I have a dream, e non disse: Ho un piano quinquennale… Gli imprenditori sono dei sognatori che agiscono. La condizione indispen-sabile per diventare imprenditori è il fare. È un po’ come andare in bicicletta: si riesce a non cadere solo stando in sella e pedalando.

Penso che se hai una grande passione per qual-cosa e riesci a farla diventare un business allora probabilmente una gran parte del risultato lo hai già ottenuto. Ti sentirai felice e forte perché starai giocando su un campo che conosci alla perfezio-ne. Probabilmente ti divertirai moltissimo. Vorrai

accrescere la tua conoscenza, condividerla con altri e con-

frontarti su nuovi campi da gioco. A quel punto probabilmente staranno arrivando anche i risul-tati economici. Mantenere sempre viva questa condizione è una delle sfide che le organizzazioni devono affrontare ciclicamente. I benefici che l’impresa trae da lavoratori motivati che mettono la loro passione in quello che fanno sono enormi.

ALBERTO DE TONI CLAUDIO BERNARDINI

Come nascono le imprese? Quale idea inseguono gli imprenditori?

Bastard è nato nel 1994 come marchio italiano di tavole da snowboard, da tre persone unite dalla passione per lo skateboard. Fino ad allora avevo sempre cercato di tenere lontane dal lavoro le mie passioni per lo skate e lo snowboard. Avevo il timo-

re che trasformandole in un lavoro non sarebbero più state

stimolanti. Certe cose però forse non si scelgono davvero e prima o poi le passioni si fanno vive nel modo giusto. Con Bastard abbiamo coperto le esigenze degli snowboarder di quel periodo, quindi innanzitutto di noi stessi. Quello che veniva propo-sto dalle imprese del settore era inadeguato e la loro comunicazione sembrava viaggiare su un binario parallelo; utilizzava un linguaggio e un’estetica non attuale che non toccava per nulla la nuova genera-zione di snowboarder, composta in gran parte da skater che temporaneamente abbandonavano la città e iniziavano ad assaggiare la montagna.

INCONTRO CHE COS’È UN’ORGANIZZAZIONE CONTEMPORANEA?-

CHIEMILIO PETRONE,LUCA DE MEO*, LEONARDO PREVI-

QUANDOVENERDÌ 18 NOVEMBRE ORE 10.15 - 11.30-

DOVESALONE D’ONORE,LA TRIENNALE DI MILANO

il sogno

la passione

la realizzazionela felicità

* in attesa di conferma

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THE PLAY FACTORY PAG 05

LECTIO MAGISTRALISIMPARARE IL PRESENTE, RICONOSCERE IL CAMBIAMENTO -

CHIFRANÇOIS JULLIEN CON ODILE DECQ, RENZO LIBENZI, ENZO RULLANIINTRODUCE E MODERA LEONARDO PREVI-

QUANDOVENERDÌ 18 NOVEMBREORE 19.00-

DOVETEATRO DELL’ARTE,LA TRIENNALE DI MILANO

IMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

INTERVISTA A RENZO LIBENZI, GENERAL MANAGER GRUPPO LOCCIONI

Camilla Bettiga > Trecentocinquan-ta collaboratori in un piccolo paese alle porte di Ancona, il Gruppo Loccioni si presenta come un gruppo giovane. Che cosa significa?

Renzo Libenzi > Non è solo un fatto anagrafico legato all’età media delle per-sone che lavorano nella nostra organiz-zazione e che si aggira intorno ai 32 anni, ma riguarda anche la nostra filosofia di business: “cerchiamo di restare giovani” per non restare ancorati a un successo del passato, ma continuare a crescere, guardando altri ambiti di applicazione all’interno del nostro settore. Impresa giovane vuol dire per noi stare attenti a settori nuovi, essere in grado di ricono-scere esigenze sempre diverse, svilup-pare progetti che mettono al centro la ricerca, coltivare rapporti privilegiati con le università.

Anche per questo avete deciso di di-versificare negli anni il vostro mercato. In che modo riuscite a lavorare in settori sempre nuovi lontani dal vostro core business?

Il caso più interessante è la start up creata nel campo della sanità, attra-verso la realizzazione di Apoteca, una macchina che prepara dosi chemiote-rapiche in automatico. Non avevamo competenze in campo sanitario, eppure il nostro sistema ha risolto un proble-ma che le multinazionali del farmaco non erano riuscite a risolvere. Questo è un tema che riguarda da vicino la questione delle competenze: il punto non è conoscere già tutto, ma ascolta-re le esigenze di un mercato, proporre

un metodo, operare con uno stile. Le competenze vengono aggregate in un secondo momento.

Il tema delle reti sta particolarmente a cuore al Gruppo Loccioni. Che cosa signifi-ca lavorare con il modello a rete?

Le nostre relazioni si sviluppano su tre livelli: il primo riguarda il business. Quando iniziamo un progetto ci chie-diamo quali sono gli attori fondamen-tali a livello europeo, in quale scenario lavoriamo, con quali interessanti realtà possiamo unire le forze. Il secondo livello riguarda le persone: quanto ogni persona è una rete? È fondamentale capire qual è il network delle relazioni, potenziali o già esistenti nella nostra organizzazione, perché solo uscendo dal proprio “quartiere” si amplia la propria competenza; il terzo livello riguarda come è strutturato il Gruppo, che è composto da realtà imprenditoriali che spesso sono nate da idee e progetti proposti da nostri collaboratori cui ab-biamo offerto sostegno con lo scopo di aumentare la rete dei nostri partner.

Qual è il rapporto con il territorio e la sua comunità?

Vogliamo crescere insieme al territo-rio. Da tanti anni abbiamo azzerato qua-lunque forma di contributo economico o sponsorizzazione perché ci siamo resi conto che distribuire un budget tra tante iniziative non lasciava il segno. Abbiamo intrapreso un percorso che si sviluppa nel lungo periodo e che mette al centro i giovani con il progetto BluZo-ne: un gruppo di circa trenta studenti ogni anno, nel periodo estivo, partecipa

allo sviluppo di un progetto all’interno dell’azienda lavorando a stretto con-tatto con le persone del Gruppo. Non ci interessa fare formazione, ma far vivere ai ragazzi un’esperienza formativa, che significa valorizzare ogni momento, da quando si parcheggia la macchina prima di entrare in azienda al racconto di quanto ideato: per noi è importante non solo sapere fare, ma anche sapere raccontare. Parallelamente abbiamo dato vita a un’attività di mentorship, la Silver Zone, in cui professionisti che hanno raggiunto la pensione vengono ospitati nel gruppo per trasferire il loro know how ai giovani. Questa nuova politica comincia a essere riconosciuta, basti pensare che abbiamo vinto il pre-mio “Impresa e Cultura” pur non legan-doci ad alcuna istituzione culturale.

Un’ultima domanda, in che senso il Gruppo Loccioni è un’impresa divertente?

Ci siamo concentrati su questa visione dopo aver conosciuto Isao Hosoe, un ingegnere giapponese aeronautico spe-cializzato nel campo del design. Nel suo libro Play office descrive come si possa dare vita a un ufficio “con una marcia in più”. Abbiamo provato a sviluppare insieme a lui questo approccio dando vita a un nuovo modello organizzativo, che non è né gerarchico né a matrice, ma è basato su un approccio play ovvero un modello che promuove l’intrapren-ditorialità e l’imprenditorialità delle sue persone. Sempre senza prenderci mai troppo sul serio.

C’era una volta il “piano”: chi non se lo ricorda? Era mitico e onnipresente, nel management della buona cultura mana-geriale, durante tutta l’epoca fordista e nelle sue sopravvivenze di oggi. Rendeva superflue le spiegazioni, semplificando e meccanizzando la vita della gente, in nome dell’efficienza e del controllo: si fanno le cose non perché convincono o servono (a giudizio di chi le fa), ma perché sono scritte nel piano, quinquen-nale, triennale o annuale, che sia.

Il piano era il mezzo con cui l’azienda ben governata sopprimeva l’apprendi-mento del presente – con le sue incer-tezze, inquietudini, responsabilità - in nome di una programmazione del tem-po guidata dall’ultimo piano di qualche grattacielo, con decisioni irreparabil-mente lontane dagli eventi e dalla loro, implicita, domanda di senso.

Il piano stabiliva, insomma, la signoria del futuro programmato sul presente vissuto. Una signoria fissata “a prescindere”, coerente con la logica di quella che si auto-definiva decisione razionale, tout court. Gli uomini che, in fabbrica o in ufficio, erano chiamati

ad applicare il programma, seguendo decisioni prese altrove e anzitempo, erano presenti fisicamente, ma as-senti nello spirito, come dice François Jullien. Un’espressione fulminante che bene esprime la perdita di senso di chi è condannato ad abitare un presente governato a priori da un meccanismo anonimo, che lo configura in astratto prima che esso possa acquistare signifi-cato per le persone chiamate a viverlo, a farne esperienza diretta.

Questa ingessatura del presente che gli toglie senso, e rischio, era frutto della drastica semplificazione del reale imposta da due secoli di modernità. Una modernità che, in Occidente, ha puntato tutte le sue carte sulla potenza della tecnologia, delle macchine e di altri automatismi impersonali (il mer-cato, il calcolo, le procedure, le norme generali e astratte). Per applicare questi automatismi era necessario ridurre la complessità della vita, creando un ambiente artificiale semplice e sot-to controllo, in cui diventa superfluo l’esercizio della soggettività e della sua intelligenza fluida.

Ma da quando, a partire dagli anni settanta, il mondo è andato fuori con-trollo, diventando nuovamente com-

plesso e imprevedibile, la modernità meccanica si è scoperta orfana, priva di ciò a cui aveva rinunciato: la capacità di dare soggettivamente senso a un pre-sente diventato fluido, avendo in mente le molte possibilità latenti che – nonostante calcoli, tecnologia e auto-matismi vari - continua a contenere.

Proprio nel momento in cui la mo-dernità occidentale investe con la sua potenza di fuoco l’Oriente, i nodi del mancato apprendimento del presente sono venuti al pettine, rendendo pre-ziosa – per noi - la complessità olistica conservata nella tradizione orientale. C’è dunque bisogno di una nuova sinte-si. Nelle nostre, come nelle loro impre-se, tocca all’intelligenza dei soggetti dare un senso condiviso al presente, nel viaggio sperimentale e indeterminato verso il futuro che si sono scelti, e a cui tengono. Salvando così le organizza-zioni impersonali dal rischio della loro (crescente) anomia e instabilità: sorda potenza dei mezzi che non sa più come trasformarsi in valore dal punto di vista dei fini che dovrebbe servire.

IL SENSO DEL PRESENTEIMPRESE CHE ESPLORANO IL FUTURO POSSIBILE

Enzo Rullani, Direttore t.Lab, CFMT

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Paolo Antonini > Il titolo di Art For Business Forum 2011 é Imparare il Presen-te. La cultura punk, alla quale sei molto legata, è nata come un forte j’accuse verso il presente. Oggi, trent’anni dopo Anarchy in the UK e del No Future, come ti relazioni con il tempo presente?

Odile Decq > Innanzitutto vorrei dire che io non mi vedo proprio come una punk. Ho conosciuto da vicino la cultu-ra punk così come ho conosciuto nella mia vita altri tipi di cultura. La cultura punk fa parte delle cose che erano mol-to importanti in quell’epoca, perché era una presa di posizione netta rispetto al presente, una presa di posizione nei confronti di una società che non era ri-tenuta soddisfacente da un certo nume-ro di persone che sentivano un grande bisogno di cambiare le cose. Penso che oggi ci ritroviamo in una situazione molto simile, ma nella quale le reazioni sono totalmente differenti. Penso che oggi molte persone non amino la socie-tà nella quale vivono, non comprendo-no in quale direzione stiamo andando, per quale motivo le cose stiano peggio-rando. Negli anni ‘70 si aveva l’impres-sione di sapere verso cosa si andasse, si intravedeva un percorso, accettabile o no, verso un maggiore progresso e si riconosceva una forte distinzione ide-ale fra il mondo occidentale e il mondo sovietico. Oggi queste “certezze” non esistono più, i giovani non hanno un orizzonte con cui essere in accordo o contro il quale ribellarsi. C’è una sorta di disfattismo verso il presente e verso il futuro. Non so quale sia la posizione degli artisti riguardo questo aspetto. Mi sembra che gli artisti sempre di più si comportino come fanno molti studenti: vogliono ottenere tutto subito e tutto velocemente perché domani chi sa che cosa succederà. Personalmente lo trovo molto negativo nella misura in cui ragionare in questo modo non ci porta a riflettere sulle sue conseguenze. Quello che conta è avere rendiconto per sé ed è per questo che il mercato dell’arte è qualcosa che non mi piace. Il valore dell’opera è legato al numero di zeri che l’artista o la galleria possono ricavare da quell’opera e non dalla qualità dell’o-pera o delle esperienze che si possono fare grazie a essa. Non c’è una linea di-retta fra la qualità dell’opera e il valore monetario che produce. Questo modo di pensare sta facendo scomparire il concetto di coinvolgimento. La cultura del No Future ostentava la sua voglia di ingaggio, si accorgeva che era necessa-rio cambiare le cose, urlava che non era d’accordo, richiedeva impegno da parte dei suoi membri. Oggi mi sembra che non ci sia un corrispettivo.

Durante il Forum interpreterai la pa-rola Coraggio. La radice latina di questa parola ci dice che significa “dotato di un cuore”. In che modo un progetto può essere coraggioso?

Il coraggio è la necessità di prendere posizione, di assumersi rischi, di farsi carico di responsabilità. La volontà di andare più lontano rispetto a ciò che ci viene richiesto. Il lavoro dell’archi-tetto, e non solo quello, funziona così:

INTERVISTA A ODILE DECQ, ARCHITETTO FRANCESE, AUTRICE DEL PROGETTO DI RIQUALIFICAZIONE DEL MACRO - MUSEO D’ARTE CONTEMPORANEA DI ROMA

IL CORAGGIO DEL PROGETTOIMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

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ci viene chiesto di fare qualcosa. Non è un lavoro volontario, come spesso può essere quello dell’artista. Il che significa che è necessario prendersi dei rischi, voler stupire l’interlocutore, fare qual-cosa di più rispetto alle sue aspettative. Questo vuol dire anche assumersi la responsabilità che qualcosa vada storto, di perdere il progetto, di non soddisfare le richieste del committente, non ve-dere capita immediatamente la vostra proposta, sapendo che qualche volta alla fine del processo il cliente potrebbe cambiare idea. È bizzarro ma è così. Per esempio, se penso al lavoro fatto per il Macro a Roma, tra il momento in cui ho fatto il progetto partecipando al concor-so nel 2000 e il momento dell’inaugura-zione nel 2010 sono passati dieci anni. Questi dieci anni richiedono la neces-sità di non abbandonare la determi-nazione per non intaccare il livello di qualità richiesta. La nozione di coraggio è anche la necessità di impegno. Vuol dire affermare chiaramente quello che si pensa, quello che si vuole, quello che si desidera e poi farlo, qualunque siano le conseguenze. Si possono perdere dei soldi, perdere un progetto, avere un cliente momentaneamente scontento, subire delle critiche. L’importante è essere coerenti con le proprie scelte.

Nelle interviste che hai rilasciato dopo il vernissage del Macro hai parlato della tua volontà di creare un luogo con un’anima, della necessità di rischiare e sognare. Che relazione esiste tra queste parole e il Coraggio?

Rischiare e sognare. Esattamen-te quello che cercavo di dire prima. Bisogna sognare perché ogni giorno bisogna volere di più. Bisogna sempre aspirare a qualcosa di meglio, qualcosa di più piacevole, qualcosa di impossibi-

le, qualcosa che si ritiene inafferrabile, ma per il quale vale la pena di mettersi in cammino. Il sogno è l’impossibile e l’impossibile è ciò che ogni giorno vo-gliamo raggiungere. Durante il cammi-no sarà pieno di persone o circostanze che proveranno a farci tornare con i piedi per terra. Per questo è necessario rischiare, anche a costo di sbagliare o di fare qualcosa che va a nostro detrimen-to. Il coraggio è darsi interamente.

Art For Business ha condotto una ricerca, pubblicata da Umberto Alleman-di & C., intitolata Che cosa me ne faccio dell’arte? Alla fine di questa ricerca ci siamo domandati come fare per aiutare le persone a vivere l’esperienza dell’arte con più coraggio. Il coraggio di esplorare, di mettersi in ascolto delle opere, di met-tere in discussione le proprie convinzio-ni. In questo processo, qual è il ruolo di chi i luoghi dell’arte li progetta?

Non direi che si tratti di infondere co-raggio. Non possiamo aiutare le persone a essere più coraggiose, ma possiamo provare a incuriosirle, offrire loro delle occasioni di scoperta. Nessuno è obbligato ad avere coraggio, tanto meno all’interno di un museo. Siamo esseri umani, ognuno con le proprie carat-teristiche, pregi e difetti. Credo che si tratti di creare le condizioni affinché le persone che entrano dentro un museo siano coinvolte in un gioco di scoperta, abbiano voglia di andare più lontano, si sentano coinvolte in un percorso di apprendimento. Quello che un archi-tetto può fare è provare a creare queste condizioni. Non possiamo obbligare le persone ad avere coraggio.

Non è possibile.

FOTO © Gitty Darugar

LECTIO MAGISTRALISIMPARARE IL PRESENTE, RICONOSCERE IL CAMBIAMENTO -

CHIFRANÇOIS JULLIEN CON ODILE DECQ, RENZO LIBENZI, ENZO RULLANIINTRODUCE E MODERA LEONARDO PREVI-

QUANDOVENERDÌ 18 NOVEMBREORE 19.00-

DOVETEATRO DELL’ARTE,LA TRIENNALE DI MILANO

SEMINARIO PARTECIPATIVO6X6 ESPLORARE LE PAROLE-

CHIGIORGIO BARBERIO CORSETTI, ODILE DECQ, GIANANDREA NOSEDA, CESARE PIETROIUSTI, DAVID RIONDINO, MAURO SARGIANI-

QUANDOVENERDÌ 18 NOVEMBREORE 14.30-

DOVESALONE D’ONORE,LA TRIENNALE DI MILANO

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pensare e assegnare progetti, finalizzati a mettere in discussione quanto è già stato fatto e viene ritenuto una ricchez-za, al fine di produrre idee che altrimenti sarebbero escluse perché interessanti ma troppo fuori dallo script consolidato. Lo scopo è scoprire quali manager han-no il coraggio e l’intelligenza di pensare al di fuori dei “corridoi dell’azienda”, e dargli il mandato di farlo. Probabilmen-te la maggior parte dei loro progetti verrà uccisa dalle forze conservatrici che hanno sempre un grande potere nelle organizzazioni, ma i semi e la rete per la necessaria rivoluzione saranno stati posti. Le aziende che creano mura impenetrabili al loro interno, penso ai tradizionali top player che si circonda-no di persone fidate e leali, non stanno rendendo facile questo processo, ma un manager veramente intelligente cono-sce come creare un percorso di succes-so per il suo successore. Il fenomeno del “ramo d’oro” dei primitivi prevede un cambiamento di potere con altro potere. Oggi ci vuole un diverso tipo di coraggio.

Quali capacità che provengono da passioni e interessi apparentemente lontani dal tuo lavoro hanno contribuito a formare e arricchire il modo in cui ti relazioni alla tua vita professionale?

Un sano interesse per tutto, letteral-mente tutto, è una buona partenza. Io penso che in questo modo una persona possa apprendere come guardare con sospetto i pregiudizi, e dare spazio a nuove idee. Ad esempio, mi piace molto disegnare, e questo mi è di grande aiuto quando ho bisogno di visualizzare me-tafore che mi aiutano a comprendere alcune circostanze. Come diceva Kant, se non sai trovare una metafora per quel problema, non puoi comprender-lo. Penso che un disegno, anche fatto rapidamente, sia di grande aiuto per comprendere un problema e soprattut-to facilita la sua condivisione. Mi piace “fare arte” insieme ai miei col-laboratori, e questo è un buon esercizio per allenare la mia capacità di lasciarmi andare, un’abitudine difficile da segui-re per tutti i manager ossessionati dal controllo. Quando siamo coinvolti nel creare una scultura o un’installazione la nostra capacità di focalizzarci su quello che vogliamo fare e comunicare e su quali siano le nostre priorità è molto sti-molata, e questo credo che sia una buona descrizione per il lavoro di un manager.

Design e progetto sono un modo di os-servare il mondo che può essere applica-to alla produzione di oggetti ma non solo. Sempre di più si parla di Team Design. Come scegli le persone che lavorano con te? Quali caratteristiche devono avere? Quali tratti sono decisivi?

Per prima cosa cerco di evitare di circondarmi di stronzi. Questa grande parola italiana si presta a molteplici in-terpretazioni che lascio a voi, ma credo che il concetto sia chiaro per tutti. Se le persone sono serie, portano energia al gruppo e sono realmente eccitate dall’idea di condividere il loro lavoro tutto è più facile. Cerco di mettere alla prova le loro capacità, di offrirgli sfide

e opportunità per aiutarli a imparare qualcosa di nuovo, anche se ovviamente non sono sicuro che questo porti buoni risultati. Le persone rispondono alla fi-ducia, per questo cerco di creare oppor-tunità da offrire. Parlo apertamente dei problemi nella speranza che lo facciano anche le persone che lavorano con me, ma so che gli old dog come me possono incutere un po’ di timore nelle perso-ne con cui lavorano, così sono molto attento nel non sovrastarli e nell’inco-raggiare ogni segno di indipendenza ed espressione che colgo. Quando assegno un progetto spesso do indicazioni su come lo farei io, ma con un preciso mandato: se hai una soluzione migliore proponila, se no andiamo con la mia. In questo modo pongo l’asticella a un’al-tezza ragionevole, ma con la chiara aspettativa che ci sia qualcuno in grado di porla ancora più in alto. Cerco persone che sappiano comunicare le loro idee sapendole raccontare scriven-do, ma se devono tenere un discorso, voglio che pensino a quello che stanno dicendo, che lo facciano con personalità e non che si perdano in un mare di cose che hanno già sentito altrove.

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LECTIO MAGISTRALISDESIGNING THE PRESENT-

CHICHRIS BANGLE-

QUANDOSABATO 19 NOVEMBREORE 19.30-

DOVETEATRO DELL’ARTE,LA TRIENNALE DI MILANO

L’incontro è dedicato ai principali addetti ai lavori (soprintendenti, curatori e direttori di musei, dirigenti delle pubbliche amministrazioni) e alle aziende interessate al tema della valorizzazione delle intelligenze del territorio attraverso la promozione delle arti.

IMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

DISOBBEDIRE PER CREAREINTERVISTA A CHRIS BANGLE, (NON-SOLO-CAR) DESIGNER TRA I PIÙ INNOVATIVI E INFLUENTI DEGLI ULTIMI VENT’ANNI.

AUTO, UVA E LUCE

Americano dell’Ohio, classe 1956, più che un car designer, Chris Bangle è un talento assoluto. Nei 17 anni in cui è stato a capo dell’ufficio stile di BMW ha rivoluzionato il mondo delle auto di lusso, facendo fare alla casa automobilistica tedesca un balzo in avanti senza precedenti sia in termini di innovazione che di fatturato. Quando, all’inizio del 2009, ha lasciato Monaco, in molti lo davano di ritorno in FIAT (dove aveva lavorato negli anni ‘80), ma Bangle ha stupito tutti preferendo agli uffici tecnici delle macro-imprese le vigne delle Langhe. Lì produce uva, impara dalle maestranze locali l’arte di occuparsi della terra e si dedica alla ristrutturazione del suo piccolo borgo. E da lì si muove spesso per insegnare, scovare giovani talenti e fare consulenze strategiche alle imprese.

La cifra distintiva del suo approccio all’industrial design è un eclettismo a dir poco sorprendente: Bangle parla di origina-lità di un prodotto citando Kant, ride a crepapelle ricordando un’intervista sul sex appeal delle automobili concessa qualche anno fa a Playboy, si illumina d’entusiasmo quando racconta delle sue sculture monumentali in marmo di Carrara, si fa serissimo quando racconta di quanto sia importante per un designer contare su una buona squadra. Il design è il suo lavo-ro, ma è soprattutto la sua passione. Convinto che non ci sia innovazione senza coraggio e che ogni evoluzione (di un brand o di una tipologia di prodotto) abbia bisogno di una rivoluzio-ne come condizione ineludibile. È per questa sua capacità di pensare oltre gli schemi che Lorenzo Targetti l’ha voluto al suo fianco con il compito di definire la design guideline dell’azien-da e di rinforzare i valori fondamentali che hanno portato il brand TARGETTI al successo, adattando le strategie ai mutati contesti. E prendendosi la libertà di osare, in un mondo in cui l’innovazione tecnologica (legata in particolare alle sorgenti LED e alla digitalizzazione della luce) e una nuova sensibilità nei confronti delle profonde connessioni tra illuminazione ar-chitettonica, benessere, sostenibilità e istanze sociali rendono improcrastinabile la traduzione della consapevolezza dell’ine-vitabilità del cambiamento in una significativa spinta verso l’innovazione anche in termini di design.

Consuelo De Gara, Fondazione Targetti

Stefano Cardini > Arriva un momen-to in cui le organizzazioni d’impresa, an-che quelle di maggior successo, devono cambiare il loro contesto di riferimento, guardare al mercato in modo differente, sorprendere i loro clienti. In base alla tua esperienza, perché e quando questo pro-cesso è essenziale, e quali sono gli aspetti organizzativi necessari affinché questa scommessa si trasformi in un processo di successo?

Chris Bangle > Molti biologi sosten-gono una teoria evoluzionista nota come “Equilibrio Puntuale”. Questa teoria sostiene che anziché esserci un graduale e progressivo sviluppo, le specie biologiche vivano lunghi periodi in cui non c’è nessun tipo di cambiamento, intervallati a momenti di cambiamento dirompente. Dal mio punto di vista questo è esattamente il modo in cui si sviluppano le industrie, in particolare quella dell’automotive. Le forze che guidano i momenti di grande cambiamento sono molte; un accumulo di discrepanze tra le sfide esistenti e le passate soluzioni può essere uno di questi. Le case automobilistiche, con un ciclo di rinnovamento che dura sette anni, non sono molto stimolate a cam-biare all’interno di quel periodo, perché le leggi o i bisogni dei consumatori si saranno sviluppati, ma difficilmente in maniera decisiva. Ma in quattordici anni i cambiamenti si accumulano e c’è di certo bisogno di un nuovo approccio. In più, gli ingegneri che hanno lavorato al primo modello, sette anni dopo sa-ranno ancora presenti in azienda e dif-ficilmente vorranno rinnegare il lavoro che hanno fatto in passato. Ma se guar-diamo questo processo su quattordici anni, ci sarà una nuova generazione di ingegneri al lavoro, per cui uno scarto significativo è possibile, anzi probabile. Naturalmente tutti i tipi di fenomeni esterni possono condizionare questo processo, esattamente come nel mondo biologico. Per quanto riguarda gli ele-menti necessari affinché un processo di forte divergenza accada in un’orga-nizzazione, cito quello fondamentale: la capacità dei vertici di nutrirsi delle idee di coloro che, sviluppando la propria carriera nell’azienda, progettano con-travvenendo alle norme interne. Ogni azienda dovrebbe seriamente

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VENERDÌ 18 NOVEMBRE

IMPARARE IL PRESENTE

CHE COS’È UN’ORGANIZZAZIONE CONTEMPORANEA?

ORE 10.00SALONE D’ONORE-APERTURA DEI LAVORI

www.artforbusiness.it/forum2011

ORE 10.30SALONE D’ONORE-DIALOGO

INFORMAZIONI, ISCRIZIONI E AGGIORNAMENTI

INCONTRI GRATUITI, SU ISCRIZIONE

Come si possono intercettare i segnali che il nostro tempo ci manda per trasformarli in strumento di efficacia professionale e personale? L’incontro introduce i temi al centro della quarta edizione di Art For Business Forum.

Con Davide Rampello, Presidente de La Triennale di Milano, Valeria Cantoni, Presidente di Art For Business e i rappresentanti delle Istituzioni.

Le organizzazioni contemporanee vivono un momento di profondo cambiamento in cui molti dogmi del passato vengono continuamente messi in crisi. L’incontro prova a esplorare gli elementi che caratterizzano le organizzazioni chiamate a interpretare a pieno la contemporaneità e a decodificare i segni del presente in termini di identità, servizi, prodotti, relazioni interne ed esterne.

Dialogo tra Emilio Petrone, AD di Sisal e Leonardo Previ, Presidente di Trivioquadrivio.

MATTINA

DALLA SPONSORIZZAZIONE ALL’APPRENDIMENTO ORE 12.00SALONE D’ONORE-PRESENTAZIONE DEL RAPPORTO SPONSORIZZAZIONI 2011

Come valorizzare all’interno dell’organizzazione gli investimenti che le aziende compiono nelle arti? L’incontro presenterà i risultati del lavoro di indagine sul tema dell’apprendimento organizzativo attraverso le arti condotto da Art For Business all’interno del Rapporto Sponsorizzazioni 2011 edito dal Giornale dell’Arte.

Cura l’incontro Valeria Cantoni, Presidente di Art For Business, assieme a Jens Jenssen, Direttore HR di Statoil.

In che modo possiamo apprendere dal presente, riconoscendo e valorizzando i costanti cambiamenti all’interno dei quali viviamo quotidianamente?

Come pensare la contemporaneità a partire dalla lezione culturale ed economica che ci arriva dai Paesi lontani e diversi dalla nostra Europa?

Grazie alla testimonianza del sinologo francese, condurremo i partecipanti in un viaggio per capire che cosa significa abitare la contemporaneità e viverla con pienezza, di quali strumenti culturali dotarci per poter esservi immersi fisicamente, emotivamente, cognitivamente.

ORE 19.00-20.30TEATRO DELL’ARTE-

in collaborazione con CFMT

Sei esponenti di sei differenti linguaggi artistici, si interrogano sul significato di sei parole comuni all’arte e al management, per offrire ai partecipanti stimoli per affrontare in modo nuovo e più consapevole il proprio lavoro. Segue debrief per comprendere come trasferire le sollecitazioni degli artisti nella propria quotidianità lavorativa.

Giorgio Barberio Corsetti, regista e attore teatrale, Odile Decq, architetto, Gianandrea Noseda, direttore d’orchestra, Cesare Pietroiusti, artista e performer, David Riondino, attore, poeta e musicista, Mauro Sargiani, designer. Introduce e modera Valeria Cantoni, Presidente di Art For Business.

6X6: ESPLORARE LE PAROLEINSTABILITÀ | CORAGGIO | DETTAGLIO | PIACERE | MALINTESO | GIOCO

IMPARARE IL PRESENTE, RICONOSCERE IL CAMBIAMENTO

FRANÇOIS JULLIEN

ORE 14.30-18.00SALONE D’ONORE-SEMINARIO PARTECIPATIVO

in collaborazione con Sisal

POMERIGGIO

SERA

François Jullien, professore all’Università Paris VII e Direttore dell’Institut de la Pensée Contemporaine di Parigi, Odile Decq, architetto, Renzo Libenzi, General Manager del Gruppo Loccioni, Enzo Rullani, Direttore di t.Lab - CFMT. Introduce e modera Leonardo Previ, Presidente di Trivioquadrivio.

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ORE 15.30-17.30SALONE D’ONORE-SEMINARIO PARTECIPATIVO

ORE 10.30-13.00SALONE D’ONORE-WORKSHOP CON L’ARTISTA-in collaborazione con Editalia

Un workshop condotto da un artista per produrre un grande libro d’arte. A partire dai segni e dagli interventi dei partecipanti al Forum si comporrà un racconto collettivo sul tempo presente in forma di libro d’artista. Scopo del laboratorio è quello di aiutare i partecipanti a riconoscere il valore della rappresentazione nel processo di comprensione della contemporaneità e della generazione di valore.

Con l’artista Patrick Tuttofuoco, Marco De Guzzis, AD di Editalia, Stefano Cardini, Art Director di Trivioquadrivio e docente al Politecnico di Milano.

RACCONTARE IL PRESENTE Osservare una mostra d’arte con ottiche molto differenti, costruendo inediti percorsi di visita che aiutino l’osservatore a cogliere appieno la molteplicità di significati che si possono trovare all’interno di una mostra e a comprendere come le opere d’arte siano strumenti nati per raccontarci delle storie che riguardano molto da vicino la nostra vita nelle sue molteplici forme. Questo l’obiettivo del progetto Nuove Visioni.

A partire dal tema di quest’anno – Imparare il presente – coinvolgeremo un gruppo di studenti universitari che verranno chiamati a condurre i partecipanti in un percorso di appropriazione delle opere d’arte in mostra in Triennale nel periodo del Forum.

SABATO 19 NOVEMBRE

TUTTI I GIORNI

MATTINA NUOVE VISIONI

Un momento musicale, a cura del compositore e musicista Ferdinando Faraò, per condurre il pubblico in un processo di ascolto e di partecipazione, anche emotiva, agli incontri del Forum.

ACCORDATURE DEL PENSIERO

INCONTRI GRATUITI, SU ISCRIZIONE

La metafora fotografica al servizio dell’apprendimento organizzativo. Framing Decisions nasce dall’intercettazione di uno dei più sottili e insidiosi malesseri delle organizzazioni contemporanee. Il concetto di decision making, per tradizione uno dei capisaldi delle competenze manageriali, rischia di sgretolarsi di fronte a un contesto business in cui la rapidità e la flessibilità imposte dal mercato si scontrano con dinamiche interne di crescente frammentazione gerarchica e fragilità processuale.

Dario Villa, responsabile delle attività di Formazione Manageriale di Trivioquadrivio e docente all’Università Cattolica di Milano.

ORE 10.30-13.00BIBLIOTECA DEL PROGETTO-WORKSHOP CON L’ARTISTA-SU INVITO, A NUMERO CHIUSO

Come funziona la comunicazione? Chi ne è responsabile?

Un workshop con l’artista ideato e condotto da Art For Business per analizzare, comprendere e acquisire maggiore consapevolezza nei processi comunicativi.

BUSINESS WORKSHOP: I NODI DELLA COMUNICAZIONE

FRAMING DECISIONS ORE 14.00-15.30TEATRO AGORÀ-LEZIONE

CULTURA DI MASSA E CULTURA D’ÉLITE

Che rapporto esiste tra il linguaggio dell’arte contemporanea e il consumo di massa? Perché esso è meno intuitivo della cultura mainstream, tipica del grande pubblico popolare? Perché si polarizza la produzione d’élite, affermata dagli addetti ai lavori e dagli esteti raffinati, da una parte e una cultura per tutti dall’altra, spesso liquidata come più rozza e standardizzata? È così vero che il prodotto di massa può nascere solo da una cultura di massa?

Con Antonio Ricci, autore di Striscia la Notizia, Carlo Guglielmi, Presidente di Fontana Arte e Presidente di Cosmit, Elena Miroglio, Executive Vice President di Miroglio Group, Claudio Bisio*, attore e autore, e Ramin Bahrami, musicista. Introduce e modera Severino Salvemini, professore di Organizzazione Aziendale all’Università Bocconi, membro comitato scientifico La Triennale di Milano.

POMERIGGIO

ORE 18.00-19.00SALONE D’ONORE-CONCERTO

ACCORDATURE DEL PENSIERO - CONCERTO

Un sistema di “accordatura” razionale ed emotiva tra le persone per predisporle all’ascolto reciproco. Dopo la collaborazione del 2010 con il maestro Fabio Vacchi, il 2011 vede il jazz e il compositore Ferdinando Faraò come protagonisti durante i due giorni del Forum, dove un’insolita parentesi sonora accoglierà partecipanti e relatori prima di tutte le sessioni di lavoro. Un percorso conoscitivo basato sull’ascolto e sull’esplorazione della relazione tra esecuzione e interpretazione che culminerà con un concerto in cui verranno riproposti e arricchiti tutti i momenti musicali delle due giornate.

Con Ferdinando Faraò quartet. Introduce Dario Villa, responsabile delle attività di Formazione Manageriale di Trivioquadrivio e docente all’Università Cattolica di Milano.

SERA

Come possiamo progettare il nostro presente, manifestandolo negli oggetti, nei processi e nelle relazioni che dovranno condurci nel futuro?

I partecipanti saranno condotti dal grande designer americano, che dal 1992 al 2010 è stato a capo del design center di BMW, in un’avventura in cui le idee, l’arte, la passione, la creatività e l’amore per il progetto muovono verso la realizzazione di prodotti, processi e relazioni che incarnano e interpretano al meglio il nostro presente.

ORE 19.30-21.00TEATRO DELL’ARTE-in collaborazione con Fondazione Targetti

DESIGNING THE PRESENTCHRIS

BANGLE

ORE 13.00-14.00NEGLI SPAZI ESPOSITIVI DELLA TRIENNALE

IN APERTURA DI OGNI INCONTRO

* in attesa di conferma

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IMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

PAG 10 COME NASCE LA CREATIVITÀ

SEMINARIO PARTECIPATIVO6X6 ESPLORARE LE PAROLE-

CHIGIORGIO BARBERIO CORSETTI, ODILE DECQ, GIANANDREA NOSEDA, CESARE PIETROIUSTI, DAVID RIONDINO, MAURO SARGIANI-

QUANDOVENERDÌ 18 NOVEMBREORE 14.30-

DOVESALONE D’ONORE,LA TRIENNALE DI MILANO

Maria Chiara Buffoni > Ad Art For Business Forum 2011 sei chiamato a interpretare la parola Malinteso. Sebbene sia parte ineliminabile di ogni processo comunicativo, molto spesso nei contesti lavorativi il malinteso è condannato come tabù, pensando che una manciata di procedure possa abbatterlo. In che modo la poesia, che accosta le parole cre-ando significati sempre diversi da quelli del pensare comune, può insegnare alle persone a trarre valore e ricchezza dal malinteso, dalla diversità di interpreta-zione e di visione?

David Riondino > Della poesia si può dire tutto e il contrario di tutto, come di ogni arte complessa. Certamente, a volte, accostando parole si accendono significati inediti, si creano corti circu-iti, ma in genere la poesia rende conto di una visione, di un modo di percepire e creare la vita. La vita è evidentemente un insieme di tracce, ben più complesse di quelle cui può al massimo alludere una poesia o l’opera intera di un poeta. Si può quindi dire, quasi invertendo i termini della domanda, che la poesia è

una punta di iceberg, è la parte visibile e in qualche modo chiara di una monta-gna immersa nell’oceano: mi pare che sia la vita a essere assai contraddittoria, fortunatamente, e la poesia ogni tanto suggerisce un sentiero.

Parlando di malinteso, errore e ina-spettato, un tema molto caro ad Art For Business è quello che Arthur Koestler ha definito come bi-sociazione, ovvero-sia la condizione necessaria alla base di qualunque creazione artistica, scoperta scientifica, innovazione di business: una intersecazione tra due sistemi di riferi-mento, solitamente considerati incom-patibili, ciascuno dotato di una propria logica interna. Questo stesso aspetto è anche quello che rende una battuta di spirito qualcosa di indimenticabile. Come nascono i tuoi monologhi?

Koestler ha ragione: sono due sistemi autosufficienti che si specchiano. Un esempio sulla coppia: “La coppia è per definizione/ un insieme di tre perso-ne/ di cui momentaneamente/ uno è assente”. In questo caso si intreccia un codice più o meno matematico con

un codice più o meno sentimentale. I miei monologhi seguono spesso questi doppi binari e nascono come prologhi a canzoni: si parla come introducendo il “pezzo”, che è un brano musicale, e poi, un altro monologo e un altro “pezzo”. E avanti così.

Nella tua biografia definisci l’intel-lettuale come “una persona fisica, che comunica, che partecipa, che sa trasfor-mare la sua esperienza in qualcosa che serva anche agli altri, che non trasforma il sapere in potere, che è alla ricerca di un nuovo linguaggio”. Che cosa ha in co-mune l’intellettuale con l’imprenditore?

I due hanno a che fare moltissimo. È istruttivo che si parli di “capitale di idee”: le idee si organizzano, balzano sui mercati, maturano nel tempo, rendono alla distanza, vengono imitate, sfruttate da altri, contrabbandate, svendute. Pos-sono essere economizzate, insomma. Auguro comunque agli imprenditori di coltivare una parte artistica che abbia esiti migliori della parte imprenditoria-le con la quale mi diletto io.

UN DIALOGO CON DAVID RIONDINO,POETA, ATTORE E MUSICISTA, ALLA SCOPERTA DEI SUOI PROCESSI CREATIVI

LA

SIAMO

NOILIRA

Un prezioso album dei ricordi con unacopertina scultorea interamente realiz-zata a mano: un bassorilievo in argentoche raffigura la dea Minerva sul versodelle 100 lire del 1955. All’interno, foto-grafie che raccontano la grande storia ele storie di tutti i giorni. E insiemeimmagini insolitamente ravvicinate dimonete e banconote della Lira, per unaspettacolare e inconsueta galleria d’arte

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PAG 11

Valeria Cantoni > Che relazione esiste tra Sisal e l’arte contemporanea?

Emilio Petrone > Abbiamo fatto del rapporto con l’arte un elemento strategico di sviluppo. Mi spiego meglio. Si tratta di un investimento a lungo ter-mine che dà forma alle nostre politiche di Social Corporate Responsibility. Per un’azienda come la nostra si tratta di un’area molto importante, per questo abbiamo dato vita a un insieme di atti-vità molto strutturato che ruota attorno all’arte contemporanea. Potremmo dire che il tema di fondo è restituire parte di quello che l’azienda ottiene dalla sua attività alle comunità che le ruotano attorno, sia internamente, i dipendenti e i portatori d’interesse, sia esterna-mente all’azienda. Uno dei pilastri si chiama Sisal per le Arti. Grazie a una serie di partnership con istituzioni culturali molto radicate sul territorio, cerchiamo di supportare la creazione artistica in Italia. Sostenere l’arte e permetterne la fruizione è un diktat anche per quan-to riguarda l’interno dell’azienda. Per questo stiamo iniziando un programma che impatta sull’ambiente di lavoro, gli uffici, le aree comuni, luoghi in cui passiamo la maggior parte del nostro tempo, attraverso la presenza di opere d’arte contemporanea.

Spesso i progetti artistici nelle orga-nizzazioni nascono perché un decisore influente è un appassionato d’arte. Sono scelte passionali o strategiche?

Io sono un appassionato d’arte ed evidentemente ho piacere che questo

possa essere una parte della mia atti-vità. Però quando si è responsabili di un’azienda le proprie passioni vengono in secondo piano e si deve guardare alle esigenze dell’organizzazione, i suoi obiettivi, i mezzi migliori per favorirne lo sviluppo. Devo dire che questo è un caso felice in cui la razionalità si può fondere alla passione, mia e di gran parte del management di Sisal. Nello specifico credo che creare un luogo di lavoro sensibile all’eccellenza sia uno degli aspetti più interessanti del mio lavoro. Rendere più stimolante l’espe-rienza quotidiana del lavorare è un dovere della mia posizione. L’arte può essere uno strumento decisivo. L’arte è occasione di confronto con l’innova-zione, è la volontà di essere in continua evoluzione, in continuo movimento, è motore di novità e a volte anche di sfida. Se ci si ferma a riflettere sono gli elementi che rendono vincente un’or-ganizzazione e ogni singolo lavoratore. L’ arte, per come la intendiamo noi, è un grande esempio di eccellenza, la stessa eccellenza che Sisal ha eletto come suo primo elemento strategico.

François Jullien, main lecturer di Art For Business Forum 2011, affronterà il tema della presenza, intesa sia come evi-denza fisica legata all’incontro che come attenzione al contesto. Per ogni manager gestire la propria presenza all’interno dell’organizzazione è un tema priorita-rio, anche se i processi organizzativi che sfuggono al nostro controllo - e dunque non possono essere gestiti in presenza - sono sempre in crescita.

Che ruolo possono giocare cultura, valori e stile di un’organizzazione?

Questo è un tema molto interessante e complesso. Io mi confronto quotidia-namente con la sfida dell’essere presen-te. Ci sono dei modi classici per provare a ovviare a questa assenza, che non vanno trascurati. Predisporre strumenti di comunicazione che garantiscano un flusso di informazioni a due vie - top down e bottom up - è molto importante. In questo l’utilizzo delle tecnologie ci avvantaggia molto. Noi richiediamo ingaggio ai nostri dipendenti, chiedia-mo loro un’opinione sulle scelte fatte, vogliamo che non si sentano solo la parte finale di una catena decisionale. Impegnarsi per far conoscere a tutta l’azienda le linee guida e le direttrici è fondamentale, ma va fatto non concen-trandosi solo nella comunicazione dei risultati o degli obiettivi, ma investendo del tempo per condividere il modo in cui l’azienda ha deciso di raggiungere un certo risultato. Vedo i nostri investimen-ti in arte come la punta di diamante di un atteggiamento costruttivo che deve pervadere l’azienda. Per riassumere, dare l’esempio, guidare l’azienda facen-do scelte d’eccellenza, scelte condivise con i nostri collaboratori.

DIALOGOCHE COS’È UN’ORGANIZZAZIONE CONTEMPORANEA-

CHIEMILIO PETRONE,LUCA DE MEO*, LEONARDO PREVI-

QUANDOVENERDÌ 18 NOVEMBREORE 10.30-

DOVESALONE D’ONORE,LA TRIENNALE DI MILANO

IMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

SEMINARIO PARTECIPATIVOCULTURA DI MASSA E CULTURA D’ELITE-

CHIANTONIO RICCI, CARLO GUGLIELMI, ELENA MIROGLIO, CLAUDIO BISIO *INTRODUCE E MODERA SEVERINO SALVEMINI-

QUANDOSABATO 19 NOVEMBREORE 15.30-

DOVESALONE D’ONORE,LA TRIENNALE DI MILANO

Valeria Cantoni > Miroglio opera in un settore, quello del fast fashion, dove concretezza, affidabilità e rapidità sono le parole chiave. Con quali aspettative una realtà di questo tipo si inserisce in un contesto che si chiama Art For Business?

Elena Miroglio > Miroglio Group opera in diversi settori all’interno del mondo del tessile e dell’abbigliamento. È organizzato in divisioni. La divisione tessile, che è leader in Europa, le divi-sioni abbigliamento, che in totale oggi contano oltre 1500 negozi monomarca, il prêt-à-porter, i cui marchi più noti sono Elena Mirò e Caractère, in cui la fase di creazione del prodotto avviene 8/12 mesi prima della consegna e della presentazione della merce sul punto vendita e il fast fashion, con i marchi Motivi, Oltre e Fiorella Rubino, che presenta caratteristiche di rapidità de-cisionale, indispensabili per presentare un prodotto ideato, sviluppato e distri-buito in tempi molto brevi. Elemento comune e trasversale di tutte le divi-sioni è l’importanza che il gruppo dà ai processi creativi. In questo contesto, s’inserisce la collaborazione con Art For Business. Nella volontà di ampliare gli

orizzonti della ricerca e della creatività. Stimolare i nostri stilisti, le persone del nostro ufficio stile, ma non solo, a usci-re dal tradizionale mondo della moda e prendere ispirazioni e metodologie tipiche del mondo dell’arte.

Arte, quindi, come momento forma-tivo e come occasione per produrre nuove idee.

All’interno del Forum parteciperai al seminario condotto dal professor Salve-mini che mira a comprendere quali rela-zioni possano esistere tra la produzione e la cultura di massa e la produzione e la cultura d’élite. Provando a semplificare: in che modo quantità e qualità possono coesistere in una formula di difficile equilibrio ma, come nel vostro caso, di grande successo?

Oggi è possibile vedere esempi di cultura d’élite portata al pubblico con produzioni di massa. Gli investimenti in ricerca, creatività e innovazione, grazie ai grandi volumi, possono offrire prodotti di massa ricchi di originalità e di ottimo gusto estetico. Indubbiamen-te l’equilibrio sotto il profilo economico è fondamentale. Creare e realizzare un prodotto originale e dal design esclusi-

vo, comporta costi superiori rispetto a un prodotto standardizzato e comune. Tuttavia, con un’adeguata definizione degli obiettivi da raggiungere, un’atten-ta pianificazione e implementazione delle attività il ritorno può essere deci-samente maggiore. In quest’ottica l’ele-vata pressione competitiva che si è già venuta a creare e che si svilupperà ul-teriormente, deve essere tenuta in forte considerazione dalle imprese italiane. Per essere competitivi e di successo sarà necessario puntare all’eccellen-za, a valorizzare al massimo le nostre competenze, la nostra conoscenza, il nostro gusto estetico, le nostre capacità artistiche. Ecco quindi che la forbice tra qualità e quantità dovrà trovare nuovi equilibri per interessare nuovi mercati come quelli riuniti dall’acronimo ormai celebre BRICS, Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa.

COSA ME NE FACCIO DELL’ARTEVALERIA CANTONI INCONTRA EMILIO PETRONE, AMMINISTRATORE DELEGATO DI SISAL ED ELENA MIROGLIO, EXECUTIVE VICE PRESIDENT DI MIROGLIO GROUP

FACCIA A FACCIA CON L’ECCELLENZA

SPERIMENTARE LA DIVERSITÀ

* in attesa di conferma

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Paolo Antonini > Che cos’è Framing Decisions?

Dario Villa > Si tratta di una lezione che utilizza la metafora fotografica per trattare uno specifico tema legato alle competenze manageriali, quello del decision making. La lezione nasce da un più generale progetto di ricerca in-centrato sul ruolo che la fotografia può avere nel facilitare l’apprendimento e la riflessione su temi organizzativi. Que-sto approccio prende il nome di Focus on Business e rappresenta una delle principali direzioni di sviluppo su cui attualmente si concentra Trivioquadri-vio, società in cui mi occupo di forma-zione manageriale per le imprese.

Per quale motivo la fotografia è uno strumento utile per trattare questi temi?

La fotografia porta con sé un po-tenziale metaforico rispetto al quale risultano interessanti, pensando alle imprese, soprattutto due aspetti. Il primo è la sua scarsa frequentazione in ambito organizzativo. Come noto, le metafore legate al mondo delle arti e della cultura proliferano all’interno delle imprese e, ancor più, delle società di consulenza. Noi stessi in Trivioqua-drivio lavoriamo con il jazz (tema da me presentato proprio qui all’Art For Business Forum nel 2010 con una lezio-ne concerto), ambito rispetto al quale la concorrenza è abbastanza agguerrita. Fra le varie metafore praticabili nel contesto organizzativo, quella fotografi-ca è stata fino a ora piuttosto disertata. Al di là di applicazioni giocose, stru-

mentali e di norma poco consapevoli, mancano quasi del tutto teorizzazioni e utilizzi pratici che diano il giusto valore a questo medium. Il secondo e ancora più rilevante motivo di interesse legato alla fotografia si lega al suo essere così presente in molteplici pratiche quotidiane e, al tempo stesso, data per scontata. Come spesso accade, la pros-simità genera una trasparenza che ci fa passare sopra e attraverso le cose senza entrare nel loro senso profondo. Ogni giorno milioni di foto vengono scattate con dispositivi digitali. È cosa nota che l’iPhone, con le sue app per tutti i gusti, sia diventato la più usata macchina fotografica al mondo. Questa grande, ossessiva, frequentazione della foto-grafia come mezzo espressivo è, nella più parte dei casi, progettualmente ed esteticamente ingenua.

E questo cosa ha a che vedere con le organizzazioni?

L’opportunità di guardare da vicino alla pratica fotografica, abituale per ognuno di noi a qualsiasi livello di tec-nica o pretesa di artisticità, può essere messa in parallelo con un’analisi più attenta delle competenze e dei compor-tamenti che attuiamo quotidianamente al lavoro. Si tratta di dare il giusto peso a scelte che, per la loro importanza e le loro conseguenze, non possono essere intenzionalmente vuote. La mia tesi è che quanto accade per la fotografia, in termini di prossimità e trasparen-za, possa essere riscontrato anche in ambito lavorativo. Da qui nasce il parallelismo metaforico messo in atto

LA METAFORA FOTOGRAFICA E LE ORGANIZZAZIONI. INTERVISTA A DARIO VILLA, RESPONSABILE DELLE ATTIVITÀ DI FORMAZIONE MANAGERIALE DI TRIVIOQUADRIVO.

FRAMING DECISIONS

Da sempre l’attenzione per la salute e il benessere ha guidato Rottapharm|Madaus verso importanti scoperte scientifiche che hanno permesso di giungere a soluzioni terapeutiche innovative, efficaci e sicure, nell’ottica di un miglioramento nella qualità di vita di milioni di pazienti, in oltre 85 Paesi nel mondo. Un obiettivo perseguito con costanza, in un contesto di responsabilità sociale e di rispetto dei valori condivisi. Ogni attività di Rottapharm|Madaus aderisce a elevati standard etici e sociali: nel campo della ricerca, nel rispetto della comunità e del territorio in cui opera, nella salvaguardia ambientale, nella promozione dell’arte e della cultura, nel sostegno e nella solidarietà filantropica.

www.rottapharm.it

IMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

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INCONTROFRAMING DECISIONS: LA METAFORA FOTOGRAFICA E I PROCESSI DECISIONALI -

CHIDARIO VILLA-

QUANDOSABATO 19 NOVEMBRE ORE 14.00-

DOVETEATRO AGORÀ, LA TRIENNALE DI MILANO

2011 © Dario Villa

da Focus on Business, che consiste nella riappropriazione critica di qualcosa che agiamo ogni giorno con troppa poca consapevolezza. È questo che, passando dalla fotografia al comportamento orga-nizzativo, trovo sia urgente rimettere a fuoco. Si dice che la grande fotogra-fa Dorothea Lange abbia detto che la macchina fotografica è uno strumento che “insegna alle persone come vedere”. Credo che questo sia un buon modo di leggere cosa la fotografia può offrire a chi lavora nelle organizzazioni.

Decisione, rischio, responsabilità. Sono queste le parole al centro della lezione? Come verranno affrontate?

Qui ci spostiamo sull’ambito speci-fico di Framing Decisions. L’elemento cruciale del fare fotografico è quel-lo di accostare l’occhio a un mirino, comporre un’inquadratura e scattare. La fotografia è dunque frutto di un incorniciamento, di un framing che è decisivo. Nel campo del cinema si usa molto il concetto di fuoricampo, che ov-viamente nasce proprio dalla fotografia. In quest’ultima il lasciare fuori qualco-sa è reso ancora più rilevante dal fatto che l’immagine, come spesso si dice, “congela un momento” e non ammet-te un successivo ingresso, temporale e spaziale, di quanto lasciato fuori. Il framing è parte di un ampio processo di scelte che, trasferendosi dall’occhio alla mano e dunque all’apparecchio foto-grafico, determina la buona o cattiva riuscita di un’immagine. Per questo parlo di decisione, rischio, responsabili-tà e dell’importanza di averne consape-volezza. Lo scopo di Framing Decisions è di offrire a chi deciderà di partecipare alla lezione una metafora in grado di far acquisire maggiore consapevolezza, ispirando un percorso di rifocalizza-zione sulle proprie pratiche decisionali in ambito lavorativo. Se impariamo ad analizzare perché facciamo certe scelte quando scattiamo foto ci dotiamo, metaforicamente parlando, di stru-menti utili per capire come prendiamo decisioni quando lavoriamo.

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INTERVISTA A MARCO DE GUZZIS, AD DI EDITALIA E PATRICK TUTTOFUOCO, ARTISTA, DUE PROTAGONISTI DEL WORKSHOP “RACCONTARE IL PRESENTE”

IL VALORE DELLA RAPPRESENTAZIONE

Valeria Cantoni > Raccontare il Presente è il workshop progettato da Art For Bu-siness ed Editalia in occasione di Art For Business Forum 2011. Insieme a Patrick Tuttofuoco i partecipanti sono chiamati a produrre un grande libro d’arte, un racconto collettivo sul tempo presente in forma di libro d’artista. Il laboratorio è un’occasione per coinvolgere i parte-cipanti in un gioco collettivo al fine di riconoscere il valore della rappresenta-zione e della collaborazione nel processo di comprensione della contemporaneità e della generazione di valore. In che modo i valori che guidano i progetti e la realtà di Editalia si sposano con l’obietti-vo di questo workshop?

Marco De Guzzis > Partiamo dal pre-supposto che gran parte del business di Editalia si costruisce a partire dalle competenze dei propri maestri d’arte nella produzione di multipli d’arte, pen-so ai libri, ma non solo. Abbiamo deciso di essere presenti in questo mondo con la volontà di uscire da logiche conser-vative e museali, cercando di creare occasioni di contatto che impattino sul quotidiano anche dei non addetti ai la-vori. Questo può significare molte cose: da incontri mirati a mettere in luce la tradizione e il valore dei mestieri d’arte, a progetti di comunicazione attraver-so l’arte in cui insieme alle aziende ragioniamo su quali sono i linguaggi e i materiali più adatti a raccontare i valori di quell’organizzazione. Al Forum vogliamo che le persone si misurino con la tecnicalità dell’arte e quindi per una volta si mettano nella posizione dell’artista che crea un multiplo d’arte e dell’artigiano che si trova a doverlo produrre. Condividendo il loro processo ideativo, decisionale e creativo.

Valeria Cantoni > Patrick, che cosa è un libro d’artista?

Patrick Tuttofuoco > Quello che comunemente si definisce “libro d’artista” nasce con le avanguardie storiche del Novecento. Alla base c’è il desiderio di trascendere il libro consue-to trasfigurandolo in forme e materiali differenti che ne portino alle estreme conseguenze l’idea di libro-oggetto d’arte. Diciamo che il formato libro di-venta lo spazio fisico e teorico all’inter-no del quale si sviluppa l’opera. Quindi non più per forza un luogo dove vi è una narrazione lineare o un racconto, ma piuttosto un campo totalmente aperto pronto ad accogliere un concetto, che sia totalmente astratto o narrativo.

Valeria Cantoni > Quale sarà il tuo ruolo in questo workshop? In che modo affiancherai i partecipanti? Agirai come mediatore nell’interpretazione del tem-po presente, come ispiratore di nuove visioni o cos’altro?

Patrick Tuttofuoco > Il ruolo che vorrei riuscire a svolgere in questo progetto è quello di catalizzatore delle idee, pensieri ed emozioni dei parteci-panti. Mi piacerebbe molto riuscire a trasformarmi nel contesto all’interno del quale sviluppare le loro suggestio-ni. Tutto funzionerà in relazione alla nostra capacità di trovare un sistema organico e aperto in grado di tradursi in tante forme differenti quanti saranno i partecipanti.

Valeria Cantoni > Perché rapportar-si personalmente con il mondo delle arti e con gli artisti fa bene agli uomini d’impresa?

Marco De Guzzis > La forza di un bravo manager, a mio avviso, è quella di avere molto buon senso. Quando si lavo-ra in azienda, per fortuna, non bisogna ogni giorno reinventare l’acqua calda. Il buon manager sa come ottimizzare quello che possiede e come replica-re metodi di successo riadattandoli alla propria organizzazione. Questa capacità, che ripeto è un grande punto di forza, si trasforma in un limite in tutte le situazioni in cui è richiesto un salto di qualità, un cambio di contesto. Mediamente quando bisogna cercare di interpretare una realtà complessa in modo originale noi manager andiamo un pò in difficoltà. Le Business School insegnano i casi di successo, raccon-tano come si fanno le cose a partire da modelli rodati e che stanno funzionan-do. Quella del manager è una formazio-ne culturale molto legata all’immediato passato. Esiste pochissima formazione indirizzata invece a valorizzare la capa-cità di leggere la realtà e i problemi che ci si trova a dove affrontare in manie-ra originale. Il contatto con gli artisti porta al confronto con un approccio mentale differente. Questo rappresenta un esercizio immediatamente formati-vo, perché ti costringe a rapportarti con un pensiero non convenzionale, non ripetitivo, curioso di scoprire e utiliz-zare nuovi materiali e nuove tecniche. Anche l’artista, come il manager, ha un suo bagaglio culturale, che lo porta a in-terpretare la realtà, ma è più allenato a tradirlo, a metterlo in discussione. Fre-quentare le arti può aiutare i manager a fronteggiare ciò che fa loro più paura: l’imprevisto.

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WORKSHOP CON L’ARTISTARACCONTARE IL PRESENTE-

CHIPATRICK TUTTOFUOCO, MARCO DE GUZZIS, STEFANO CARDINI-

QUANDOSABATO 19 NOVEMBREORE 10.30-

DOVESALONE D’ONORE,LA TRIENNALE DI MILANO

IMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

Patrick Tuttofuoco, “Map 01”, 2005, Courtesy Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino

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Camilla Bettiga > Al Forum sarai parte di un quartetto di musicisti nell’esecuzione di quattro micro concerti. Quattro variazioni su un tema da te composto. Questo progetto mette l’accento sul rapporto fra esecuzio-ne e interpretazione. Nella pratica musicale, che differenza c’è fra questi due aspetti?

Ferdinando Faraò > Nel jazz, che è il linguag-gio musicale che mi è più caro, il rapporto fra ese-cuzione e interpretazione è molto stretto. Non si può eseguire qualcosa senza interpretare: sono due aspetti strettamente correlati. Il musicista jazz interpreta sempre quello che esegue, lo interpreta sul piano della scrittura, ovvero come mi appro-prio di quanto composto da altri, e lo sviluppa sul piano improvvisativo, cosa aggiungo di mio a quanto “detto” dal compositore. È chiaro che il direttore/compo-sitore è chiamato a dare una linea, un’indicazio-ne sull’interpretazione attesa di un brano, ma tiene sempre presente i musicisti che ha di fronte e l’apporto che ognuno di loro può offrire. Quando suono mi aspetto che chi suona con me mi offra degli stimoli, mi rimandi indietro le idee che io propongo con la scrittura arricchite di nuovi stimo-li. Quando accade questo è un plusvalore per il tuo lavoro.

Cosa può impedire questa produzione di valore?

Può impedirlo una condizione che è quella che non deve mai accadere quando delle persone svolgono un lavoro assieme: la mancanza di ascolto, la man-canza di senso dell’altro. Questo accade quando si è molto concentrati su se stes-si e si perde la visione globale, il senso di quello che si sta producendo insieme. Ritengo che quando i musicisti non si ascoltano quello che stanno producendo non è musica.

Oltre che musicista sei compositore. All’interno del processo di composizione e orchestrazione, quanto spazio lasci alla libertà espressiva dei musicisti in termini di interpretazione e improvvisazione?

Totale libertà. Interpreto il processo compositivo come se offrissi agli altri musicisti delle idee, delle domande che danno spazio a delle risposte. Nel jazz, o quanto meno per me, l’obiettivo della composizione è offrire uno spunto per ricevere sollecitazioni indietro. Chiedo ai musicisti di interpretare quello che scri-

vo a loro modo, di garantire l’armonia, magari inserire dissonanze, ma certa-mente la volontà è quella di coinvolgerli affinché trovino un proprio spazio nell’e-quilibrio della composizione. Se accetti che ognuno possa dare un contributo non puoi definire un limite. Il primo passo da compiere è accettare che quello che tu hai in testa mentre componi non è mai quello che verrà eseguito nella realtà. Questo si impara ad accettarlo con il tempo. Capire che questo è una ricchezza e non un impoverimento è una vera prova di maturità. Quando pro-duciamo siamo abbastanza chiusi sulle nostre idee. Quello che succede è che quando le mettiamo in comunione, que-ste saranno interpretate con sfumature molto differenti dagli altri. Sono con-vinto che l’idea del compositore possa essere arricchita dai punti di vista delle persone che fanno parte del gruppo. Se il tuo atteggiamento è legato al potere fai fatica ad accettare che questo accada e che sia valore. C’è un tema di respon-sabilità diffusa, per cui ogni musicista viene chiamato a partecipare in maniera attiva al risultato collettivo.

ACCORDATURE DEL PENSIEROIMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

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MOMENTI MUSICALI PER PREDISPORCI ALL’ASCOLTO E RIFLETTERE SUL RAPPORTO ESECUZIONE-INTERPRETAZIONE, A CURA DEL COMPOSITORE E MUSICISTA FERDINANDO FARAÒ

CONCERTOACCORDATURE DEL PENSIERO-

CHIFERDINANDO FARAÒ QUARTET INTRODUCE DARIO VILLA-

QUANDOSABATO 19 NOVEMBREORE 18.00-

DOVESALONE D’ONORE, LA TRIENNALE DI MILANO

DA OLTRE 60 ANNI UN PUNTO DI RIFERIMENTO INTERNAZIONALE NEL SETTORE TESSILE.

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IMPARARE IL PRESENTEART FOR BUSINESS FORUM 2011

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UN CICLO DI WORKSHOP, UN BIKE TOUR ATTRAVERSO L’ITALIA DEL TERZIARIO, UN ARCHIVIO DELL’INTELLIGENZA ESTETICA DEL MANAGEMENT CHE FA BENE AL BUSINESS

BELLO GIUSTO EFFICACE

Durante la terza edizione di Art For Business Forum, Howard Gardner ci ha mostrato quanto è facile dare vita a un fraintendimento quando si cerca, con le migliori attenzioni, di sostenere un argomento originale. Durante il suo intervento alla Triennale Gardner ha mostrato la fotografia della “sala arti-stica” di un ospedale statunitense.

A una dozzina di impassibili neo-nati, un solerte direttore sanitario ha imposto l’ascolto di non si sa quale opera sinfonica di Mozart per mezzo di un paio di voluminose cuffie stereofoni-che offerte in dotazione obbligatoria a ciascun bebé.

Dietro un simile spettacolo, ha detto Gardner, figura la convinzione che il contatto con l’arte musicale nella più tenera infanzia giochi un ruolo fon-damentale nello sviluppo cognitivo del bambino. In breve: mentre ascol-ti Mozart nella culla i tuoi genitori compilano i formulari della tua pre-iscrizione ad Harvard. Eccoci di fronte a un malinteso, ha concluso Gardner: frequentare le arti potrebbe forse sti-molare la creatività degli individui, ma non è possibile determinare con preci-sione in che modo. Gardner ha definito

questo “un problema di transfer”. Ecco il punto. Come si trasferisce al business quello che di buono c’è nell’esperienza artistica? Come si ottiene il transfer?

Subito dopo la conclusione del Fo-rum ci siamo messi alla ricerca di una risposta convincente a tali questioni, insieme a CFMT - Centro Formazione Manager del Terziario, che ha ricono-sciuto la rilevanza di questa ricerca e ne ha reso praticabile lo svolgimento.

In questo modo abbiamo progetta-to e realizzato “Bello Giusto Efficace”, un ciclo di workshop che attraversa l’Italia per offrire ai dirigenti del settore terziario l’opportunità di riflettere sul contributo operativo che le arti possono offrire al lavoro del manager.

L’attraversamento dell’Italia non è esattamente una metafora: le città che mi ospitano per le prime otto edizioni del workshop (Roma, Milano, Tori-no, Bologna, Padova, Firenze, Napoli, Bolzano) le raggiungo in motocicletta, in ossequio al principio - caro a molti artisti - che la conoscenza si genera restando ancorati al suolo, esposti al rischio della strada e a quello dei mo-scerini sui denti.

Il bilancio del viaggio è entusiasman-te: durante gli spostamenti motoci-clistici da una città all’altra incontro imprenditori e manager che hanno fatto personale esperienza di quel tran-sfer e che dalla bellezza hanno saputo ricavare una concreta efficacia, spesso servendosi della giustizia quale veicolo del transfer.

Il bilancio dell’attività formativa è ancora aperto: nel 2012 il ciclo di workshop è destinato a proseguire, anche grazie al feedback molto positi-vo offerto dai partecipanti. L’interesse dei dirigenti coinvolti si è concentrato soprattutto sull’impatto generato sul business dalle quattro parole cardinali del workshop: ascolto, esplorazione, congettura, rischio, quattro elementi fondamentali dell’esperienza artistica che giocano un ruolo centrale anche nelle pratiche manageriali.

Per chi volesse saperne di più: www.bellogiustoefficace.org. Se ancora non bastasse, non restereb-be che iscriversi a una delle prossime tappe del tour.

Leonardo Previ, Presidente di Trivioquadrivio

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Nel 1971 Henry Marie Bayle, da tutti noi conosciuto con lo pseu-donimo Stendhal, così descrive-va il suo incontro con l’arte: ero giunto a quel livello di emozione dove si incontrano le sensazioni celesti date dalle arti e i sentimenti appassionati. Uscendo da Santa Croce ebbi un battito del cuore, la vita per me si era inaridita, camminavo temendo di cadere. 

Affascinante e allo stesso tempo terribile. L’incontro con l’arte come momento trascendente. Anche facendo la tara di queste parole ri-spetto all’enfasi romantica propria di quel periodo difficilmente non rimaniamo colpiti dalla loro in-tensità. Slanci come questo o molti altri descritti da intellettuali e storici dell’arte hanno fatto dell’e-sperienza artistica un momento magico, quasi un’occasione di avvi-cinamento al divino. Un peso che noi persone normali difficilmente possiamo sostenere.

A partire da questa convinzione e con lo scopo di provare a capire se e come l’incontro con l’arte possa essere, molto più umilmente, un momento di apprendimento individuale, ci siamo appostati fuori da alcune delle più impor-tanti istituzioni culturali milanesi e abbiamo cominciato a parlare con le persone che incontravamo. Provando a spogliarci - chissà se ci siamo riusciti del tutto - degli innumerevoli luoghi comuni legati all’arte abbiamo dato vita a un’in-dagine per provare a capire cosa effettivamente succede quando ci troviamo di fronte a un’opera d’arte, in special modo di fronte a un’opera d’arte contemporanea.

Ne sono scaturite due indagini qualitative nelle quali le domande sono diventate spunti di conversa-zione e occasione per riavvicinare e mettere a confronto i due poli estremi del processo artistico, chi fruisce l’arte e chi la produce.

La principale consapevolezza che emerge da questo primo lavoro di ricerca è la difficoltà da parte del pubblico di costruire una relazione intima e profonda con le opere,

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COSA SUCCEDE QUANDO SIAMO DI FRONTE ALL’OPERA D’ARTE?

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Corso di Laurea in Economia e Gestione dei Beni Culturali e dello Spettacolo

Valeria Cantoni, Presidente di Art For Business

relazione che genera cambiamenti nelle abitudini emotive e cognitive.

Cosa c’è di interessante per un manager in tutto questo? Appa-rentemente poco, a meno che non sia un appassionato d’arte. Ma se andiamo a scavare nelle parole che le persone ci hanno regala-to, scopriamo che l’incontro con l’opera d’arte è un’occasione per condividere conoscenze, esprimere se stessi, aprirsi a differenti punti di vista, pensare out of the box, imparare a raccontare, in al-tre parole apprendere. Proprio quello di cui le organizzazioni, alle prese con un presente ingovernabile, hanno bisogno.

Tutto questo è raccolto in un volume fatto di molte immagini e qualche parola che si chiama Cosa me ne faccio dell’arte? Al lavoro e nella vita quotidiana. Si tratta del primo libro curato da Art For Bu-siness, edito grazie alla collaborazione di Umberto Allemandi & C.

Le nostre ricerche non si fermano qui. Al Forum presenteremo una nostra indagine contenuta nel Rapporto Sponsorizzazioni 2011 edito dal Giornale dell’Arte. Lo faremo in compagnia di Jens Jenssen, Direttore HR di Statoil, uno dei più rilevanti energy sup-plier europei, che da anni fonda il proprio programma HR sull’in-contro con le arti. Un ulteriore passo verso la comprensione del ruolo delle arti come strumento strategico per ogni organizzazio-ne contemporanea.

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ISCRIZIONI, INFO E AGGIORNAMENTI

UFFICIO STAMPA

La Triennale di Milano, via Alemagna, 6 Milano

18 e 19 novembre 2011

gratuiti, su iscrizione

www.artforbusiness.it/forum2011 [email protected]

Maria Chiara Buffoni, [email protected] Antonella La Seta, [email protected]

INFO ART FOR BUSINESS FORUM