Argomenti Programmazione economica

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Argomenti Programmazione: Economia positiva Economia normativa Mercantilisti Adam Smith economia classica, fu un teorico della macroeconomia , interessato alle forze che determinano la crescita economica , Nel libro primo de La ricchezza delle nazioni Adam Smith analizza le cause che migliorano il "potere produttivo del lavoro" e il modo con il quale la ricchezza prodotta si distribuisce naturalmente fra le classi sociali. La ricchezza di una nazione viene identificata all'insieme dei beni prodotti suddivisi per l'intera popolazione [1] , si può quindi parlare di reddito pro-capite . La ricchezza (accumulazione del capitale) viene prodotta attraverso il lavoro e può essere incrementata aumentando la produttività del lavoro o il numero di lavoratori. la produttività del lavoro, Aumenta quando cè divisione del lavoro Le ragioni dell'incremento produttivo indotto dalla divisione del lavoro sono tre: (a) aumento dell'abilità manuale di ogni lavoratore (specializzazione), (b) riduzione tempo perso per passare da un'azione o da un'attività all'altra, (c) diffusione, per il desiderio di ognuno di ridurre la propria pena lavorativa Il lavoro permette inoltre di determinare il valore di scambio di un bene: Adam Smith sviluppa così una teoria del valore-lavoro, in contrapposizione all'idea di una ricchezza proveniente dalla natura sostenuta dai fisiocratici . La teoria di una regolazione spontanea dello scambio e delle attività produttive di Adam Smith è incentrata sulla nozione di mano invisibile secondo la quale il sistema economico non richiede interventi esterni per regolarsi, in particolare non necessita l'intervento di una volontà collettiva razionale. Il ruolo della mano invisibile è triplice. "Processo con il quale si crea un ordine sociale " – Dati l'uguaglianza di fronte al diritto, il non intervento dello Stato e il principio di simpatia, la mano invisibile assicura il realizzarsi di un ordine sociale che soddisfa l'interesse generale (convergenza spontanea degli interessi personali verso l'interesse collettivo ). "Meccanismo che permette l'equilibrio dei mercati" – Domanda e offerta su differenti mercati tendono ad uguagliarsi: il libero funzionamento di un mercato concorrenziale, oltre a far convergere il prezzo di mercato al

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esame di programmazione economica riassunto argomenti unimarconi

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Argomenti Programmazione:

Economia positiva

Economia normativa

Mercantilisti

Adam Smith economia classica, fu un teorico della macroeconomia, interessato alle forze che determinano la crescita economica, Nel libro primo de La ricchezza delle nazioni Adam Smith analizza le cause che migliorano il "potere produttivo del lavoro" e il modo con il quale la ricchezza prodotta si distribuisce naturalmente fra le classi sociali. La ricchezza di una nazione viene identificata all'insieme dei beni prodotti suddivisi per l'intera popolazione[1], si può quindi parlare di reddito pro-capite.

La ricchezza (accumulazione del capitale) viene prodotta attraverso il lavoro e può essere incrementata aumentando la produttività del lavoro o il numero di lavoratori.

la produttività del lavoro, Aumenta quando cè divisione del lavoro

Le ragioni dell'incremento produttivo indotto dalla divisione del lavoro sono tre: (a) aumento dell'abilità manuale di ogni lavoratore (specializzazione), (b) riduzione tempo perso per passare da un'azione o da un'attività all'altra, (c) diffusione, per il desiderio di ognuno di ridurre la propria pena lavorativa

Il lavoro permette inoltre di determinare il valore di scambio di un bene: Adam Smith sviluppa così una teoria del valore-lavoro, in contrapposizione all'idea di una ricchezza proveniente dalla natura sostenuta dai fisiocratici.

La teoria di una regolazione spontanea dello scambio e delle attività produttive di Adam Smith è incentrata sulla nozione di mano invisibile secondo la quale il sistema economico non richiede interventi esterni per regolarsi, in particolare non necessita l'intervento di una volontà collettiva razionale. Il ruolo della mano invisibile è triplice.

"Processo con il quale si crea un ordine sociale" – Dati l'uguaglianza di fronte al diritto, il non intervento dello Stato e il principio di simpatia, la mano invisibile assicura il realizzarsi di un ordine sociale che soddisfa l'interesse generale (convergenza spontanea degli interessi personali verso l'interesse collettivo).

"Meccanismo che permette l'equilibrio dei mercati" – Domanda e offerta su differenti mercati tendono ad uguagliarsi: il libero funzionamento di un mercato concorrenziale, oltre a far convergere il prezzo di mercato al prezzo reale, tende a fare scomparire qualsiasi domanda o offerta eccedentaria.

"Fattore che favorisce la crescita e lo sviluppo economico" – La regolazione si applica alla popolazione attraverso il mercato del lavoro (in caso di popolazione eccessiva, il salario scende al di sotto del minimo di sussistenza conducendo ad una riduzione della popolazione e viceversa in caso di popolazione deficitaria); la regolazione si applica pure al risparmio, condizione necessaria per l'accumulazione del capitale e quindi della crescita economica attraverso una maggiore divisione del lavoro (gli individui tendono spontaneamente a risparmiare in quanto desiderosi di migliorare la propria condizione); infine la regolazione si applica anche alla locazione dei capitali (investimenti indirizzati spontaneamente verso le attività più redditizie).

L’egoismo umano avrebbe reso efficiente i mercati,

Laissez Fair Mill,

Marx, Owen

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Keynes

suoi contributi alla teoria economica hanno dato origine alla cosiddetta "rivoluzione keynesiana". In contrasto con la teoria economica neoclassica, ha sostenuto la necessità dell'intervento pubblico statale nell'economia con misure di politica di bilancio e monetaria, qualora una insufficiente domanda aggregata non riesca a garantire la piena occupazione nel sistema capitalista, in particolare nella fase di crisi del ciclo economico.

Le sue idee sono state sviluppate e formalizzate nel dopoguerra dagli economisti della scuola keynesiana. A quest'ultima viene spesso contrapposta la scuola monetarista (o scuola di Chicago), che si originò nel dopoguerra dalle teorie di Milton Friedman.

Keynes pone le basi per la teoria basata sul concetto di domanda aggregata, spiegando le variazioni del livello complessivo delle attività economiche così come osservate durante la Grande depressione.

Il reddito nazionale sarebbe dato dalla somma di consumi e investimenti;

Critica i neoclassici e analizza e teorizza nel fallimento del mercato e la sua incapacità ad autoregolarsi la causa della crisi economica in particolare egli pone attenzione alla sotto-occupazione e capacità produttiva inutilizzata,

sarebbe dunque possibile incrementare l'occupazione e il reddito aumentando la spesa per consumi o degli investimenti.

L'ammontare complessivo di risparmio sarebbe, inoltre, determinato dal reddito nazionale.

Ribalta la legge di Say secondo la quale e è sempre verificata l'equivalenza tra produzione e domanda

Ovvero è la produzione a determinare la doanda.

In breve, la Teoria generale argomenta che il livello della domanda aggregata (in un sistema chiuso agli scambi con l'estero, la domanda aggregata è pari alla somma tra consumo e investimento, pubblico e privato) in un'economia moderna è determinato da una serie di fattori: la propensione marginale al consumo (la percentuale di un aumento di reddito che i cittadini scelgono di spendere per l'acquisto di beni e servizi) e l'investimento in beni capitali (a sua volta dipendente dal tasso di interesse, che ne influenza il costo, e dal tasso di rendimento atteso, attraverso il confronto con l'efficienza marginale del capitale). Il livello del tasso di interesse è, poi, fortemente influenzato dalla preferenza per la liquidità.

La principale argomentazione di Keynes è che in un'economia funestata da una debole domanda aggregata (come nel caso della Grande depressione), con una sentita difficoltà a procedere verso la crescita del reddito nazionale, il governo – o, più in generale, il settore pubblico – ha la possibilità di incrementare la domanda aggregata tramite la spesa pubblica per l'acquisto di beni e servizi, fattore esogeno e finalizzato all'aumento di occupazione. Ciò potrà essere finanziato anche tramite politiche di deficit di bilancio; l'indebitamento pubblico, sotto determinate ipotesi, non aumenterà il tasso di interesse al punto di scoraggiare l'investimento privato.

Secondo Keynes lo stato deve attuare programmi di spesa per incrementare la domanda ed i consumi e ridurre la disoccupazione.

Lo stato poteva anche intervenire attraverso la politica monetaria influenzando il tasso di interesse il tasso di cambio etc.

L’obbiettivo preminente sarebbe il raggiungimento della piena occupazione.

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Con la crisi degli anni 70 e l’incapacita di psegare i fenomeno della saglflazione ritornarono in auge le teorie ispirate al pensiero neoclassico J.S.Mill, i monetaristi rilevarono che il mercato avesse robuste forze per ritornare in equilibrio di piena occupazione (tempi discutibili e costi sociali discutibili).

Sviluppo sostenibile (sociale, economico, ambientale) fornendo una definizione, secondo la quale le tre condizioni di sostenibilità ambientale, economica e sociale partecipano insieme alla definizione di benessere e progresso.[1] e di sviluppo umano caratterizzato dal perseguimento di obiettivi come

Crescita economica, equilibrio sociale, istruzione salute diritti umani etc.

Ambientale: In particolare in ambito ambientale, la sostenibilità è considerata una prerogativa essenziale per garantire la stabilità di un ecosistema,[1] cioè la capacità di mantenere nel futuro i processi ecologici che avvengono all'interno di un ecosistema e la sua biodiversità. Tale concetto di sostenibilità fu il primo ad essere definito e analizzato.[1]

Indice

L'indice di sviluppo umano (in inglese: HDI-Human Development Index) è un indicatore di sviluppo macroeconomico realizzato nel 1990 dall'economista pakistano Mahbub ul Haq, seguito dall'economista indiano Amartya Sen. È stato utilizzato, accanto al PIL (prodotto interno lordo), dall'Organizzazione delle Nazioni Unite a partire dal 1993 per valutare la qualità della vita nei paesi membri.

Dal 1990 l’UNDP utilizza ‘ISU questo indicatore tiene conto del reddito pro capite della speranza di vita alla nascita, kcal disponibili pro capite, alfabetizzazione, scolarizzazione accesso ai servizi sanitari, accessibilità acqua potabile, grado di libertà politica.

In precedenza, veniva utilizzato soltanto il PIL, indicatore di sviluppo macroeconomico che rappresenta il valore monetario dei beni e dei servizi prodotti in un anno su un determinato territorio nazionale e che si basa quindi esclusivamente sulla crescita e non tiene conto del capitale (soprattutto naturale) che viene perso nei processi di crescita. Questi parametri misurano esclusivamente il valore economico totale o una distribuzione media del reddito. In pratica, un cittadino molto ricco ridistribuisce la sua ricchezza su molti poveri falsando in tal modo il livello di vita di questi ultimi.

Il concetto di sviluppo umano viene elaborato, alla fine degli anni ottanta, dal programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo UNDP, al fine di superare ed ampliare l'accezione tradizionale di sviluppo incentrata solo sulla crescita economica.

Lo sviluppo umano coinvolge e riguarda alcuni ambiti fondamentali dello sviluppo economico e sociale: la promozione dei diritti umani e l'appoggio alle istituzioni locali con particolare riguardo al diritto alla convivenza pacifica, la difesa dell'ambiente e lo sviluppo sostenibile delle risorse territoriali, lo sviluppo dei servizi sanitari e sociali con attenzione prioritaria ai problemi più diffusi ed ai gruppi più vulnerabili, il miglioramento dell'educazione della popolazione, con particolare attenzione all'educazione di base, lo sviluppo economico locale, l'alfabetizzazione e l'educazione allo sviluppo, la partecipazione democratica, l'equità delle opportunità di sviluppo e d'inserimento nella vita sociale.

Nozione di programmazione economica

Programmazione economica: insieme di interventi attuati da uno o più attori istituzionali al fine di favorire lo sviluppo esponendo da un lato gli andamenti dell’economia reale dall’altro le dinamiche tendenziali e programmatiche della finanza pubblica, ovvero miglioramento della situazione socio economica delle aree interessate. Quindi rappresenta un metodo di analisi ed una tecnica di attuazione delle politiche economiche di un Paese. Interessa non solo gli orgamismi centrali ma anche le autonomie locali.

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- Sostenibilità è la capacità del processo di sviluppo di sostenere nel corso del tempo la riproduzione del capitale mondiale composto da:1. Capitale economico2. Capitale sociale/umano3. Capitale naturale ambientale

Lo sviluppo umano è un processo di ampliamento delle possibilità umane che consente agli individui di godere di una vita lunga e sana istruiti e con accesso alle risorse necessarie a un livello dignitoso.

Evoluzione storica della pe

- Anni 30: si privilegiata l’idea di una programmazione generale nazionale ma nei fatti si attuarono soltanto progetti di attuazione di settore. Oltre tutto senza un vero e proprio atto formale di programmazione.

- Dopo guerra: programmazione volta alla ricostruzione e risoluzione dei problemi inerenti il divario nord-sud. Piano saraceno 1949 Schema Vanoni 1955.

- Anni 60: programmazione attuata per regolarizzare tutta l’attività economica del Paese - 66-70: programma economico nazionale che associa elementi di programmazione collettivista ad

aspetti di programmazione direttiva e per obiettivi. inizio della programmazione settoriale ed intersettoriale.

- Fine anni 70: disinteresse per la programmazione grandi temi di politica economica attuati senza alcuna programmazione (aggravio sul bilancio pubblico)

- Fina anni 80: assume rilievo programmazione ambientale, passaggio da programmazione nazionale a regionale.

Fonti normative

PROGRAMMAZIONE NAZIONALE E REGIONALE

La politica economica e la programmazione economica vanno sempre riferite al contesto socio eco istituzionale culturale dal quale scaturiscono. Nell’ambito di un progetto di integrazione economica un coordinamento delle politiche economiche si rende sempre più necessario pur nella peculiarità dell’economia degli stati, parimenti assume sempre più rilevanza l’esigenza di un maggior coinvolgimento delle autonomie locali nel processo decisionale sulle politiche che incidono sul proprio territorio. Il coinvolgimento degli enti locali è sancito dal principio di sussidiarietà introdotto con Maastricht e dal principio dell’autonomia. (Sussi le decisioni dovrebbero essere assunte a un livello più prossimo ai cittadini)

Autonomistico: ciascun ente è libero di individuare e selezionare i propri interessi e soddisfarli anche quando non coincidono con quelli degli altri enti.

Sussidiarietà orizzontale: tra pubblico e privato

Sussidiarietà verticale: tra i livelli di organi di governo.

Programmazione nazionale

Occorre distinguere tra programmazione territoriale e programmazione finanziaria. Con la prima si intende la progr che regola gli assetti territoriali con la seconda si intende il tipo di programmazione che attribuisce maggiore valenza all’aspetto finanziario, questa è di notevole importanza a causa degli impegni assunti con Maastricht ed è dipendente dalle prescrizioni della UE v. fiscal compact.

Documenti di programmazione nazionale

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DPEF, BILANCIO PLURIENNALE DI PREVISIONE, LEGGE FINANZIARIA, RELAZIONE PREVISIONALE PROGRAMMATICA.

DPF documento doveva basarsi su una valutazione puntuale e motivata degli andamenti reali ed eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi fissati nei precedenti documenti di programmazione economico finanziaria; il documento doveva contenere:

parametri eco essenziali

obiettivi macroeco

sviluppo del reddito e occupazione

fabbisogno statale

articolazione interventi collegati alla manovra di finanza pubblica per il periodo compreso nel bilancio pluriennale.

Inoltre, si dovevano indicare criteri e parametri per la formazione del bilancio annuale e pluriennale.

BPP veniva redatto dal ministero dell’economia e delle finanze avendo come riferimenti un periodo non inferiore a 3 anni, questo documento doveva rappresentare l’andamento dell’ entrate e delle spese e loro previsioni in relazioni agli interventi programmati dal DPEF.

Legge Finanziaria in coerenza con gli obiettivi del DPF doveva rappresentare per ogni anno considerato nel bilancio pluriennale il quadro finanziario di riferimento cercando di allineare per ogni anno gli effetti finanziari agli obiettivi. Quindi gli aspetti finanziari della manovra di bilancio.

Relazione Previsionale programmatica: da presentare entro 30 sett di ogni anno alle Camere a cura del Mef, deve illustrare sinteticamente il bilanciodello Stato con una dimostrazione degli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni dell’anno precedente.

Quadro economico generale: indica gli indirizzi di politica economica e gli obiettivi programmatici.

Organismi della programmazione

MEF responsabile per l’analisi eco monetaria e fin, elabora le linee di programmazione eco fin,

CIPE organo collegiale del Governo, svolge funzioni di coordinamento in materia di programm eco da livello nazionale internazionale e comunitario. Individua indirizzi e azioni per il conseguimento degli obiettivi di politica economica.

DIPE dipartimento per la programmazione e il coordinamento della programmazione economica, supporta il cipe e la presidenza del consiglio in materia di trasporti infrastrutture regolazione tarrifaria servizi di pubblica utilità riparto delle risorse nazionali e comunitarie per le aree sottosviluppate. Energia, sanità, politiche sociali abitative ambiente e sviluppo della montagna. Cura l’istruttoria delle proposte provenienti dalle amministrazioni competenti che saranno sottoposte all’approvazione del CIPE

Fasi della programmazione economica

Illustra l’andamento dell’eco reale, le dinamiche tendenziali e programmatiche della finanza pubblica. A seconda dell’orizzonte temporale prescelto la PE può essere a breve medio e lungo periodo. A prescindere dalla durata prevista per i singoli piani di intervento si ha l’assunzione di una diretta responsabilità dei pubblici poteri nelle decisioni che incidono sul processo economico.

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Le caratteristiche del programma eco sono sostanzialmente due:

- ESTENSIONE TEMPORALE- SISTEMA DI OBIETTIVI FINALI E INTERMEDI QUANTIFICATI SULLA BASE DI TECNICHE DI PROIEZIONE

STATISTICA E STRUMENTI DI INTERVENTO CHE DEVONO RISULTARE MUTUAMENTE COMPATIBILI.

Occorre determinare la finalità globale dell’intervento e degli obiettivi specifici e verificare gli strumenti più opportuni all’evoluzione delle variabili individuate come obiettivi intermedi. Il processo logico di eleborazione di un piano economico (Jan Tinbergen) può essere schematizzato:

- MACROFASE- FASE INTERMEDIA- MICROFASE

Le tre fasi sono collegate tra loro.

Tipologie di programmazione

In ogni processo di pe una volta analizzato il quadro economico e fissati possibili obiettivi di sviluppo si cerca di individuare la funzione obiettivo. Ovvero quella funzione attraverso la quale raggiungere gli obiettivi per ciascuna funz obiettivo viene definito un valore ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo. I principali obietti della programmazione economica nell’economie di mercato:

- Occupazione- Crescita prodotto reale- Bassa inflazione- Equilibrio bilancia pagamenti- Riduzione diseguaglianze tra i redditi- Riduzione diseguaglianze territoriali- Equo trattamento fiscale- Miglioramento qualità della vita- Miglioramento dotazioni di servizi infrastrutture

Strumenti:

- Politica monetaria finanziaria- Politica di bilancio- Politica valutaria- Politica redditi- Riforme strutturali- Politiche ambientali ed energetiche

Sintetizzando:

la progr eco in un’economia di mercato ha senso se:

- Il settore pubblico interviene nell’economia non solo per sanare i “fallimenti del mercato” e per realizzare quelle opere e servizi che garantiscono esternalità positive, ma anche per alimentare la dinamica produttiva in una prospettiva keynesiana del controllo del ciclo economico;

- L’applicazione di tecniche di programmazione economica può rafforzare la credibilità dei decisori pubblici e rendere più efficienti i meccanismi di assegnazione della spesa ai vari enti della PA.

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- La programmazione è indicativa se può contribuire a stabilizzare le aspettative degli operatori privati, poiché fornisce un quadro di politiche economica più credibile in relazione ad un certo arco di tempo.

Tra i Paesi industrializzati solo Norvegia Olanda e Franca hanno formalizzato e istituzionalizzato la programmazione, intermittenti e fragili sono state le esperienze di UK e Italia; Germania e Usa hanno generalmente rifiutato l’uso del termine stesso.

Un caso a sé stante è costituito dal Giappone (grande influenza della PE).

TECNICHE DI PROGRAMMAZIONE

L’azione programmatoria è rivolta alla riduzione dei rischi e degli imprevisti ripartendo opportunamente le risorse disponibili. I principali compiti sono:

- Fissare obiettivi - Anticipare il futuro- Scegliere soluzioni alternative più convenienti- Decidere successione delle variazioni- Scegliere risorse necessarie- Prevedere tempi e costi degli interventi- Determinare gli standard- Stabilire le modalità di controllo

La programmazione ha un carattere dinamico e rappresenta un processo che si caratterizza da una serie di atti collegati secondo una scala di priorità e fissazione degli obiettivi cercando di evitare:

- Sprechi e duplicazioni- che le azioni siano influenzati da sit di emergenza- di impiegare risorse inefficacemente

consente invece:- controllo attività dei tempi di attuazione- effettuare previsioni.

Affinché si possano innescare circoli virtuosi i programmi devono essere formulati in maniera precisa e sintetica che i programmi siano fattibili dal punto di vista tecnico finanziario.

PRESUPPOSTI PER LA PROGRAMMAZIONE

Per attuare un’efficace programmazione è necessario che si verifichino determinati presupposti:

- stabilità politica- fermo impegno politico della maggioranza di procedere con la programmazione- disponibilità di dati statistici- organizzazione amministrativa specifica- disponibilità di elementi e dati statistici per la valutazione delle programmazioni:

situazione eco passata e presentepotenzialità produttive del Paeseproiezioni medio lungo periodopossibili fonti di finanziamento.

La raccolta di dati di informazioni è necessaria al fine di procedere ad una programmazione globale, regionale, locale e/o settoriale.

Programmazione globale: deve mirare a stabilizzare gli indicatori macro economici

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Programmazione regionale: deve mirare attraverso opportuni strumenti a valorizzare le potenzialità e peculiarità del territorio, ne consegue che, la programmazione possa essere fatta a livello istituzionale dall’alto o dal basso.

Programmazione locale e/o settoriale:

un programma economico deve essere razionale nel senso economico e deve avere dei fini certi che non sono altro che gli obiettivi della politica economica. Gli elementi strutturali di un piano o di un programma sono:

- il soggetto- risorse disponibili- fini- tempi di attuazione- strumenti

PROGRAMMAZIONE EUROPEA

L’inizio di una vera e propria attività programmatoria da parte della Comunità Europea si può far risalire all’adozione dei PIM ovvero piani integrati mediterranei. (perfezionati con Maastricht) Si formalizza l’inizio del coinvolgimento dei vari livelli di governo nei processi decisionali riguardanti gli interventi della comunità europea. Si delinea in sostanza da regionalismo funzionale a regionalismo istituzionale. Da una visione meramente geografica delle varie regioni europee si è passati ad una visione istituzionali in cui le regioni vengono considerate alla pari degli altri organi nazionali comunitari. Un altro importante step è costituito dall’approvazione dell’atto unico europeo – 1987 – per la prima volta viene sottolineata l’importanza di uno sviluppo territoriale equilibrato che garantisca margini di crescita stabili e diffusi. Viene delineata la politica di coesione con la quale la comunità si preoccupa appunto di creare uno sviluppo armonico di tutti i Paesi aderenti e di colmare i ritardi nello sviluppo delle varie aree. Su queste basi i Paesi membri hanno iniziato un processo volto a ridurre il rischio di aggravare il deficit di capitale nelle aree più arretrate della Comunità. Rischio presente in un’integrazione selvaggia tra i mercati dei Paesi Cee che può penalizzare i settori e le aree meno competitive.

Fondi Strutturali Europei

La politica regionale europea nasce per fronteggiare i problemi di natura strutturale presenti in larga parte nei territori dell’Unione. Gli strumenti con cui concretizzare le politiche regionali sono i fondi strutturali, la politica di coesione trae origine dal trattato di Roma del 1957. A partire dal 1958 viene istituito il Fondo Europeo Agricolo di Garanzia e Orientamento - FEOGA – Fondo Sociale Europeo (FSE), e nel 1975 il Fondo Europeo per lo Sviluppo (FESR). Il Fondo Sociale è stato istituito per favorire formazione, riconversione professionale e creazione di posti di lavoro; il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale è finalizzato alla concessione di incentivi agli investimenti produttivi all’infrastrutturazione del territorio del tessuto locale e delle PMI.

FEOGA – costituiva originariamente uno strumento per il perseguimento degli obiettivi della politica agricola comune PAC, nel periodo di programmazione 2007-2013 il fondo è sparito ed è stato sostituito da due distinti fondi: Fondo Europeo di Garanzia Agricolo FEAGA per la parte di garanzia del precedente FEOGA; e Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale FEASR per la parte orientamento del FEOGA.

Nell’atto unico europeo del 1986, è stata definita una vera e propria politica di coesione tesa a riequilibrare gli effetti del mercato unico nel sud europa e nei paesi più svantaggiati. La politica di coesione si basa sul

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cofinanziamento nazionale o regionale si tratta di un sistema che induce gli stati membri a mantenere il loro impegno di investimento anche in periodi di recessione. Gli interventi finanziari dell’unione sono sempre in aggiunta all’ordinaria spesa pubblica degli Stati secondo il principio dell’addizionalità. I fondi europei non hanno lo scopo di consentire agli Stati di risparmiare sui bilanci rispettivi. Dopo i consigli europei di Lisbona e Gotteborg, la politica di coesione si è concentrata sui fattori di crescita e competitività finanziando progetti per creazioni di posti di lavoro e migliorare la qualità della vita e dell’ambiente.

I principi fondamentali dei fondi strutturali.

Codificati nell’ambito del regolamento Ce 1260/1999 regola i principi di attuazione dei fondi strutturali. La politica di coesione economica e sociale si fonda sul principio di sussidiarietà dell’azione comunitaria. Principio volto a garantire che le decisioni prese siano quanto più possibili vicino al cittadino e che l’azione da intraprendere a livello comunitario sia giustificata rispetto all’offerta a livello nazionale regionale e locale. L’azione comunitaria andrebbe ricondotta al livello di governo più basso compatibile con la sua natura. Il principio di sussidiarietà stabilisce una gradazione tra i poteri pubblici. I livelli superiori di governo dovrebbero intervenire solo nel caso in cui i livelli inferiori non siano in grado di agire in modo soddisfacente. Ne consegue che spetta alle autorità nazionali competenti precisare i contenuti degli interventi selezionare i progetti da finanziare con i fondi strutturale e di garantirne l’attuazione.

Principio di paternaliato stabilisce che è necessario assicurare il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti e di tutte le parti economiche e sociali nella definizione della politica di coesione, e di garantire la massima efficacia dell’azione comunitaria. Le azioni comunitarie si infondono tra una stretta concertazione tra paternaliato commissione e stato membro. La prassi prevede che gli organismi le autorità che intervengono sono:

- autorità regionali e locali- autorità politiche pubbliche competenti- parti economiche e sociali- altri organismi competenti.

La previsione del paternaliato istituzionale e socio economico risponde all’esigenza di coinvolgere nel processo decisionale tutti gli organismi coinvolti (regioni, enti locali, organi istituzionali, cittadini, imprese ) nella programmazione e pianificazione degli interventi.

Principio di concertazione è lo strumento che si pone l’obiettivo di ricercare il consenso degli attori locali e delle parti sociali sui contenuti e le modalità degli interventi cofinanziati.

Gli interventi strutturali sono principalmente di competenza nazionale, quindi le azioni strutturali promosse a livello comunitario devono essere concepite secondo il principio di complementarietà, tale finalità è perseguita anche dal principio di addizionalità che come detto ha l’obiettivo di evitare che il contributo dei fondi finisca col sostituirsi con le spese pubbliche nazionali, strettamente connessa alla finalità perseguita dai principi di complementarietà e addizionalità è la modalità del cofinanziamento.

Programmazione dei fondi strutturali

Gli obiettivi dei fondi vengono definiti nel quadro di una programmazione pluriennale e di una stretta cooperazione tra la commissione e ogni stato membro. Il bilancio ue destinato ai fondi è gestito dagli stati e dalla commissione secondo quanto stabilito dal regolamento finanziario. La programmazione pluriennale degli interventi è finalizzata ad ottenere una gestione efficace delle risorse scarse. La programmazione dei fondi strutturali deve assicurare il coordinamento dei fondi e degli altri strumenti finanziari esistenti, tale coordinamento è assicurato tramite:

- documenti programmatici quadri comunitari di sostegno QCS

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- programmi operativi PO- documenti unici di programmazione DOCUp

Da Agenda 2000 alla programmazione 2007 -2013

Nel 1999 al termine del Consiglio Europeo di Berlino si conclude l’accordo politico Agenda 2000, tale programma di azione si è prefisso come obiettivo il rafforzamento delle politiche comunitarie e di dotare l’unione europea di un quadro finanziario per il periodo 2000-2006 tenendo conto delle prospettive di ampliamento. I settori prioritari individuati erano:

- riforma agricola – - accrescimento della competitività - crescita efficace dei fondi strutturali e del fondo di coesione,- potenziare la strategia di preadesione degli stati candidati (ispa)

la programmazione 2007-2013

fallimento

CONCETTO DI REGIONE E TEORIE DELLO SVILUPPO

La programmazione regionale si ispira ai principi di

- Sussidiarietà, concertazione, corresponsabilità, integrazione.

La regione attua il suo intervento attraverso la realizzazione di un programma (insieme coordinato di iniziative) progetti, insiemi di iniziative dirette alla realizzazione degli obiettivi. Gli atti della programmazione economica regionale sono:

- Piano regionale di sviluppo- Piano di settore- Piani intersettoriali- Programmi strutturali regionali del Ue- Programmi integrati intersettoriali- Strumenti della programmazione negoziata- Documento annuale di programmazione- Legge finanziaria regionale- Bilancio pluriennale e di previsione

Piano di sviluppo regionale

Quadri di riferimento :

- Analisi dello scenario e del contesto strutturale contenente l’analisi degli elementi fondamentali dello sviluppo regionale e l’individuazione degli ostacoli allo sviluppo

- Stima previsionale delle risorse - Politiche generali

Determinazione programmatica

Vedi appunti n. 3

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CONCETTO DI REGIONE E TEORIE DI SVILUPPO

Il concetto di regione è stato oggetto di animato dibattito. Semplificando il percorso evolutivo del pensiero sulla questione si può dire che si sia passati da un concetto di regione-area a quello di regione-organismo. L’idea di regione area parte dal presupposto che il territorio assuma aspetti differenti a seconda della configurazione fisica, presenza umana, modalità di utilizzo delle risorse. La regione organismo parte invece dalla relazione stabilite da un gruppo umano e il suo territorio di riferimento. Per definire la regione come quel tratto di territorio in cui le relazioni sono organizzate e coese da far ritenere che le due componenti umane e naturale formino una specie di organismo:

- Regione umanizzata- Regione sistemica- Regione sostenibile

Modelli e teorie dello sviluppo

Il modello di Harrod-Domar

Le teorie della crescita trovano fondamento del modello HD

modello di H-D venne concepito come modello di analisi del ciclo economico. Successivamente venne adottato per spiegare' la crescita economica.Applicato al caso dello sviluppo, il modello stabilisce che La crescita economica dipende dall’ammontare di Lavoro e Kapitale; dato che i PVS hanno spesso un’abbondante offerta di lavoro (L), è un’insufficienza di capitale fisico (K) che lascia indietro questi paesi.· Maggiore capitale fisico K genera una crescita economica più alta Investimenti netti più alti portano ad una maggiore accumulazione di capitale, che genera maggiore prodotto e reddito. Un più alto reddito genera maggiore risparmio S.

Tasso di crescita del PIL y/y = s/Krapporto tra il saggio di

risparmio (s) e il rapporto tra il capitale e il prodotto (k/Y).

La logica dell’equazione (7) è: per crescere, un’economia deve risparmiare e investire una certa porzione del PIL ⇒ più risparmia e investe, più velocemente essa può crescere.La ricetta per favorire la crescita economica e lo sviluppo è di aumentare il risparmio nazionale e gli investimenti!Se il saggio di risparmio è più basso del livello desiderato occorre colmare questo gap di risparmio attraverso l’aiuto estero e gli investimenti diretti esteri.

La principale critica che può essere fatta a questa teoria è che i risparmi e gli investimenti sono condizione necessaria ma non sufficiente per accelerare il tasso di crescita economica.

1Crescita economica e sviluppo economico non sono la stessa cosa e non sono interscambiabili.2. È difficile stimolare il risparmio, sopratutto nei PVS, dove i redditi sono particolarmente bassi.3. Richiedere prestiti dall’estero, per colmare il gap con i paesi più industrializzati, può portare problemi di rimborso di questi prestiti (problema del debito nei PVS).4. La teoria dei rendimenti decrescenti potrebbe suggerire che l’incremento del capitale può diminuire la produttività del capitale e quindi condurre ad un aumento del rapporto capitale/prodotto ⇒ il rapporto capitale prodotto non è costante

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5.Se il saggio di risparmio è più basso del livello desiderato occorre colmare il gap di risparmio attraverso gli

aiuti estero allo sviluppo e gli investimenti diretti esteri.

La teoria di sviluppo equilibrato di Rosestein-Rodan

La teoria dello sviluppo equilibrato di Rosestein-Rodan (1961) è anche nota come teoria del Big Push.Il concetto di “big push”, o grande spinta, nasce dalla constatazione che, nei Paesi in via di sviluppo e nelle aree arretrate dei Paesi ad economia avanzata, risulta particolarmente complesso spezzare i circoli viziosi della povertà senza mettere in atto un grande sforzo iniziale in investimenti, in capitale fisico e in capitale umano, attraverso cui attivare un processo di industrializzazione in grado di auto sostenersi Questo sforzo iniziale, che deve sostenere lo Stato, deve essere tale da permettere di superare la soglia minima di investimento al di sotto della quale il processo di sviluppo non è in grado di innescarsi Tra le ragioni che sostengono la necessità di un intervento pubblico, due meritano una particolare attenzione

1) il forte impegno dello Stato nella formazione rappresenta un presupposto indispensabile per ogni processo di sviluppo,

2) Il considerevole sforzo di industrializzazione iniziale può avviare diverse forme di complementarità tra imprese in grado di agevolare la crescita di ogni impresa e della domanda globale

I sostenitori di quest’approccio hanno anche individuato quantitativamente lo sforzo iniziale che uno Stato deve sostenere per innescare un virtuoso processo di sviluppo:sono necessari un tasso di investimento di almeno il 10% e una percentuale di risparmio interno sul reddito di almeno il 12-15%.Connessa alla teoria del “big push” è la teoria dei poli di sviluppo, che pone a proprio fondamento la necessità di una concentrazione degli investimenti industriali, tale teoria sostiene laopportunità di una concentrazione degli investimenti industriali non solo temporale, maanche spaziale, così da innescare effetti propulsivi di vario tipo. Concentrare gli sforzi in aree ritenute più idonee all’avvio dello sviluppo, per la loro posizione geografica o strategica o per la immediata disponibilità di determinate risorse, trova giustificazione nel fatto che, se si vuole ottenere una rapida industrializzazione, si può realizzare un impiego più efficiente di risorse economiche, comunque limitate,grazie ai possibili effetti indotti dell’industrializzazione (L’effetto di spinta e di sostegno reciproco tra industrie situate nella stessa area)Per garantire un processo duraturo di sviluppo è necessario, tuttavia, non limitare l’impiego delle risorse disponibili ai soli investimenti industriali ma anche in altri settori (agricoltura, aeroporti turismo etc)

Il Modello di Rostow

Il modello di Rostow ripropone i contenuti della teoria dello sviluppo equilibrato inteso come processo lineare di transizione, attraverso cinque stadi, da una condizionedi arretratezza a una condizione di opulenza generalizzata.Arretratezza: è la fase che caratterizza la società tradizionale dedita all’agricoltura di sussistenzaPre take-off: è la fase in cui sono poste le precondizioni per il decollo.L’agricoltura adotta la tecnologia necessaria per sfamare la crescente popolazione; le importazioni vengono finanziate con le esportazioni di risorse naturali, anche primariamente trasformate. Si assiste alla formazione del capitale fisso sociale. Emerge una nuova élite imprenditoriale e non più aristocratica.(Classe dirigente carente)Take-off: è la fase del vero e proprio decollo. Oltre che dal progresso tecnologico, l’organizzazione socioeconomica è scossa dagli elevati investimenti, dallo sviluppo del comparto industriale, dalla forte infrastrutturazione e urbanizzazione, dalla riorganizzazione delle attività agricole e dalla loro forte

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Maturità: è la fase caratterizzata dall’assestamento del sistema. Si osserva unadiversificazione dell’industria in settori diversi da quelli che hanno consentito il decollo, una riduzione degli occupati in agricoltura, un’applicazione delle conoscenze tecnologiche a tutti i campi dell’economia crescita in termini di produttività, dall’espansione della classe imprenditoriale e dallo sviluppo di un apparato politico, sociale e istituzionale efficiente. Si tratta diuna fase propriamente rivoluzionaria e la condizione perché si inneschi, secondo Rostow, è che gli investimenti siano superiori al 10% del PIL nazionaleConsumo di massa: è la fase di opulenza, ma anche di saturazione dei consumi. L’economia deve necessariamente diversificarsi in nuovi settori produttivi; se il sistema sarà in grado di individuare o recepire un’innovazione radicale, passando attraverso una fase di instabilità, riprenderà una dinamica dicrescita, altrimenti tenderà a stabilizzarsi in una condizione di equilibrio

Evoulzione Economia Italiana.

Schematizzando, a partire dall’unità d’Italia ed escludendo i periodi delle due grandiguerre, distinguiamo le seguenti fasi:− 1861-1897, caratterizzata dal prevalere della concezione di uno Stato liberale;− 1897-1913, caratterizzata da un forte interventismo e dall’accumulazionepubblica di capitale;− 1921-1938: caratterizzata da un forte ruolo dello Stato nella produzione, con lacreazione di diversi monopoli e oligopoli;− 1951-1973, caratterizzata dalla figura dello Stato imprenditore, finanziatore epianificatore;− 1973-1992, caratterizzata da una forte spinta all’internazionalizzazione delleeconomie e dalla crisi dell’azione dei singoli Stati.

L’evoluzione economica dei cinque periodi individuati è caratterizzata dalle seguentitendenze di fondo:1) fino alla metà degli anni ’70, la popolazione italiana è cresciuta a un ritmo abbastanza regolare (dallo 0,6% allo 0,8% all’anno), per poi registrare, negli anni successivi, tassi di crescita assai più ridotti (0,2%-0,3%). Inoltre, a partire dal 1972 l’Italia è passata dallo status di Paese di emigrazione netta a quello diPaese di immigrazione netta di forza lavoro. Il prodotto pro capite, eccetto che nella prima fase in cui si è rivelato stagnante e nella quarta in cui è stato molto elevato, è sempre cresciuto a un tasso medio annuo di circa il 2%. Il PIL cresce mediamente del 2%.il primo, il terzo e il quinto periodo sono contrassegnati da un più lento sviluppo del prodotto e degli investimenti, che invece crescono di più nel secondo e nel quarto periodo. Le esportazioni aumentano più rapidamente nel secondo, nel quarto e nel quinto periodo;3) i salari reali crescono in tutti i periodi eccetto che nel terzo, nel quale si riducono notevolmente, essenzialmente a causa di una politica di compressione dei salari e di repressione dei sindacati liberi, condotta dal governo;4) l’occupazione aumenta lentamente, ma in maniera costante, in tutti i periodi tranne che nel quarto, nel quale ha un andamento alterno;5) l’intervento pubblico nell’economia, molto basso nella prima fase liberista, si è accresciuto nella seconda e soprattutto nella terza, quarta e quinta fase.6) il processo di industrializzazione è stato più rapido e intenso nel primo, nelsecondo e nel quarto periodo;7) le disuguaglianze territoriali si sono aggravate notevolmente verso la fine delprimo periodo e nei due periodi successivi;8) dal confronto con gli altri Paesi industrializzati emerge che il grado di arretratezza dell’economia italiana si è accresciuto nel primo periodo, per poi ridursi di molto durante l’età giolittiana (secondo periodo) e aumentare leggermente in epoca fascista (terzo periodo). Il divario è diminuito considerevolmente nel secondo dopoguerra, con il boom degli anni '50 e '60, per poi rimanere invariato o diminuire di poco dopo il 1973.

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Questo tipo di sviluppo ha modificato la composizione della società italiana: è aumentata l’importanza relativa delle classi medie urbane e della borghesia, mentre i coltivatori diretti sono diminuiti in maniera molto significativa.Vd storia economica..

Le fasi dello Svipluppo Economico gli anni 50.Nel periodo della ricostruzione (1945-1950) vi fu complessivamente un recupero delle tendenze liberiste in economia, in parte dovuto alla naturale reazione al climaculturale dominante nel periodo fascista. Vengono smantellano le principali istituzioni corporative, si legittima il diritto di sciopero e viene consentita la rinascita dei sindacati liberi; si riducono le barriere protezionistiche nei confronti dell’estero e si decide di accedere via via a organismi internazionali quali il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Europea di Cooperazione Economica e l’Accordo generale sulle tariffe e sul commercio, che spingono in favore di una crescente liberalizzazione degli scambi.Resta tuttavia notevole l’intervento dello Stato nell’economia: permangono l’IRI, l’AGIP e l’IMI, e rimane relativamente ampio lo spazio delle imprese pubbliche nell’economia. Il grande problema che l’Italia si trova ad affrontare è quello relativo agli altissimi livelli di disoccupazione, sia palese sia occulta, esistenti nell’economia. Tuttavia, la politica keynesiana che poteva essere di sostegno all’occupazione, nonviene realizzata. Il problema della contrastata e tardiva diffusione delle idee keynesiane, e dei relativi suggerimenti di politica economica nel nostro Paese, è stato oggetto di numerose e approfondite indagini. Il contrasto fra posizioni in prevalenza liberiste e quelle keynesiane, risulta evidente in numerose circostanze. Un importante episodio, che testimonia della scarsa o nulla accoglienza del messaggio keynesiano negli ambienti governativi, è dato dalle vicende relative al Piano del lavoro.Il piano, presentato nel 1949 dalla CGIL, ha importanti (anche se non esclusivi) connotati keynesiani ma non viene applicato. Tuttavia Il Paese eredita, una notevole tradizione di interventismo dello Stato nell’economia, nonché numerose istituzioni, quali le imprese pubbliche, atte a fungere da braccio secolare dello Stato. L’intervento dello Stato nell’economia si realizza principalmente attraverso la riforma agraria del 1950 e l’istituzione, nello stesso anno, della Cassa per il Mezzogiorno.

Come accennato, gli anni ‘50 sono caratterizzati soprattutto da una ricostruzionevolta a sanare le profonde ferite inferte dal secondo conflitto mondiale, squilibri territoriali economici strutturali, Aldualismo industria-agricoltura si sovrappone quello Nord-Sud: una grande parte del territorio nazionale e una cospicua porzione di italiani subiscono gli effetti della duplice emarginazione e versano, pertanto, in condizioni di persistente arretratezza economica. È il Mezzogiorno la regione più penalizzata e in quel periodo prendevano forma le prime moderne ipotesi di sviluppo dell’area, allo scopo di dare una soluzionene definitiva al problema. Il 1950, anno della riforma fondiaria e dell’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, è stato definito come l’ “anno decisivo per la riorganizzazione della dipendenza”, a seguito dell’importanza avuta dalla domanda estera nel plasmare il sistema produttivo italiano nel periodo del “miracolo economico”. La scelta liberoscambista e internazionalista del nostro Paese ha però contribuito a provocare una grave distorsione nei consumi interni: dovendo produrre per i più evoluti mercati esteri, anche le regioni italiane (e quelle meridionali di conseguenza) sono state invase da beni di cui non mostrano ancora bisogno, a scapito, evidentemente, di beni e servizi primari la cui produzione continua aessere sottodimensionata rispetto alle esigenze della popolazione. Gli interventi sul Mezzogiorno e la politica regionale degli anni ‘50, pur puntando alla attenuazione dei divari territoriali, di fatto provvedono a organizzare la dipendenza funzionale e produttiva del Sud dalle più sviluppate regioni settentrionali. Gli squilibri territoriali sarebbero stati acuiti dallo sviluppo del nord spinto a confrontarsi con i mercati stranieri.L’atto formale di nascita della nuova politica meridionalista è rappresentato dalla legge 646 del 10 agosto 1950, mediante la quale viene istituito un organo speciale d’intervento: la Cassa per le Opere Straordinarie e di Pubblico Interesse nell'Italia Meridionale (Cassa per il Mezzogiorno). regioni situate a sud del Lazio e delle Marche (Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna). I confini settentrionali attraversano il Lazio e le Marche, ma nell’area vengono fatte rientrare anche le isole della Toscana.

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La dotazione iniziale di capitale della Cassa ammonta a 1000 miliardi di lire, dautilizzare nell’arco di dieci anni.Fin dall’inizio dell’elaborazione del progetto, tuttavia, le funzioni demandate alla Cassa non comprendono strategie di sviluppo e neppure una politica di industrializzazione, ma prevedono la sola costruzione di opere pubbliche.il compito di formulare la strategia globale appartiene a un Comitato di Ministri per il Mezzogiorno (promosso - e poi soppresso – a Ministero per il Mezzogiorno negli anni ‘80), mentre alla Cassa sono demandate le funzioni di proposta e di attuazione dei programmi.

La via Italiana

Questi tipi di intervento dello Stato nell’economia portano a pensare a una sorta di “via italiana” nella fusione fra mercato e Stato. L’economia italiana aveva, infatti, assunto, già nel periodo della ricostruzione, caratteristiche assai lontane da quelle del liberismo puro, ma altrettanto lontane dagli approcci keynesiani puri.Una delle possibili spiegazioni sta nella visione (cattolica) del partito dominante DC che pone al centro della società la famiglia e la Chiesa, non lo Stato, che è perciò largamente utilizzato per favorire gruppi di interesse, senza un vero interesse collettivo.In questo periodo sono stati fatti alcuni tentativi di programmazione ma si è trattato il più delle volte di sole simulazioni, senza una reale strumentazione operativa, e quindi con scarsissima incidenza sulla realtà economica.

Apertura verso l’estero

Se all’interno il recupero del liberismo fu assai parziale e stentato, nei confronti dei rapporti con l’estero la scelta liberista intrapresa nel periodo della ricostruzione e poi consolidata negli anni ’50 e ‘60, risulta nettamente vincente negli anni 80 poi l’Italia risulta essere uno dei paesi piu aperti del mondo occidentale,linserimento dell’Italia nella sfera occidentale, e quindi nell’area d’influenza americana.

LE FASI DELLO SVILUPPO ECONOMICO ITALIANO: I MODELLI DUALISTICI

Terminato il periodo della ricostruzione, si apre in Italia un periodo di crescita economica eccezionalmente rapida, interrotto nel 1963-1964 da una recessione che non ha solo un carattere ciclico, ma che segna anche lo spartiacque fra due differenti fasi storiche. Negli anni successivi, ma in particolare nel periodo 1969-1973, si ha una fase di fortissima conflittualità nelle fabbriche e nel Paese, e una crescita economica più difficile e tormentata, sebbene ancora abbastanza consistente. Il rapido sviluppo degli anni ‘50 e dell'inizio degli anni ‘60 mette ancor più in risalto il permanere di un grave dualismo, sia territoriale sia salariale, nell’economia italiana e nella struttura produttiva. Non deve, quindi, sorprendere che vi sia stata in Italia soprattutto negli anni ‘50 e ‘60 una fioritura di modelli dualistici.Il dualismo economico può essere inteso come l’esistenza, nell’ambito dello stesso sistema economico, di realtà che seguono percorsi differenziati di sviluppo.Il dualismo economico può assumere una triplice configurazione: territoriale, industriale settoriale o nella struttura produttiva e nel mercato del lavoro, In Italia sembra che coesistano tutti e tre.Negli anni 50 si rafforza il tentativo di trovare una soluzione alla disoccupazione meridionale vista come l’elemento centrale del mancato sviluppo.

Il modello di Vera Lutz

La tesi di fondo dell’analisi di Vera Lutz è che le cause del dualismo sono da ricercarsi nel mancato rispetto delle leggi di mercato: se si opera in un regime concorrenziale, lo sviluppo economico avviene in regime di piena occupazione, ogni fattore produttivo ha il medesimo rendimento in ogni settore, lo sviluppo è il massimo consentito dalla disponibilità dei fattori e dalla tecnologia.l’obiettivo dell’autrice è, pertanto, quello di individuare quali imperfezioni del mercato hanno dato luogo a

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questo sviluppo dualistico.

L’analisi si basa sulle seguenti ipotesi:− una funzione di produzione a coefficienti semiflessibili − la flessibilità del rapporto capitale/lavoro, sia sostituibilità diretta siada una sostituibilità indiretta (importazione dei beni basso costo esportazioni beni alto contenuto di capitali)− Un rapporto capitale/lavoro che assicuri la piena occupazione, data la disponibilità dei due fattori ed ad un regime concorrenziale

Nel mercato del lavoro italiano, il principale ostacolo al funzionamento concorrenziale è dato dalla presenza dei sindacati e da altri elementi di disturbo come la presenza dell’intervento statale;Inoltre La dimensione delle imprese italiane, distinte tra poche imprese di grandi dimensioni e moltissime piccole imprese, fa sì che il mercato del lavoro che ne discende sia caratterizzato da una corrispondente dicotomia nel trattamento salariale e dei diritti dei lavoratori impiegati rispettivamente nelle 2 tipologie di impresa.

Altro dualismo è dato da una diversa sostituzione dei fattori Capitale/lavoro a seconda della dimensione aziendale: nelle grandi imprese il rapporto di sostituzione capitale/lavoro è più elevato, e più di quanto giustificato da esigenze tecnologiche; nelle piccole imprese il rapporto di sostituzione capitale/lavoro è più basso

Nel mercato del capitale, il tasso di interesse è più basso per le grandi imprese;

Il mercato dei prodotti finiti si caratterizza per l’esistenza, in alcuni settori, di posizioni monopolistiche che consentono remunerazioni dei fattori più elevate.

Inoltre, la bassa propensione al consumo di prodotti industriali unita alle diverse elasticità della domanda e dell’offerta dei prodotti agricoli fanno sì che, all’aumentare del reddito Si determina, un eccesso diofferta di prodotti industriali e un eccesso di domanda di prodotti agricoli.

Al Sud i maggiori costi di trasporto per le esportazioni, rispetto alle imprese ubicate al Nord, ostacolano lo sviluppo di una industria meridionale competitiva: le importazioni di prodotti agricoli non riescono adessere pagate con l’esportazione di prodotti industriali

Dall’analisi di questi mercati si deduce:− un impiego non ottimale dei fattori produttivi che dà come risultato un minorprodotto totale;− l’elevato costo del lavoro nelle grandi imprese, che ne frena lo sviluppo;− il vantaggio di un basso livello di salario nelle piccole imprese, determinatodall’eccedenza di offerta di lavoro;− l’assunzione di posizioni monopolistiche da parte delle grandi imprese;− una distribuzione distorta del reddito determinata da una retribuzione dei fattoriproduttivi sulla base di meccanismi non solo economici

Dunque, la Lutz conclude che il dualismo è dannoso per il sistema economico genera distorsioni e mantiene la disoccupazione; per superarlo occorre ripristinare le condizioni di concorrenzialità, a partire dal mercato del lavoro, dato che la disoccupazione non ha carattere strutturale, ma è dovuta al comportamento sindacale. Le implicazioni di politica economica suggerite dalla Lutz per ridurre il dualismonello sviluppo economico italiano, riguardano:

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1) dal lato della domanda, la necessità di ridurre la richiesta di prodotti agricoli attraverso una politica favorevole all’emigrazione, che consente di ridurre anchela pressione occupazionale nel settore agricolo, favorendone l’incremento di produttività ed eventualmente di reddito;2) dal lato dell’offerta, politiche di sviluppo dell’agricoltura, in modo da ridurre l’importazione di prodotti agricoli, mediante l’aumento dell’offerta interna.

il modello di sviluppo proposto dalla Lutz ha incontra un certo favore politico, in quanto in questi anni le regioni settentrionali sono in difficoltà nel trovare manodopera per una ulteriore espansione e l’emigrazione interna rappresenta una soluzione al problema. In più, la Lutz ritiene che lo sviluppo delMezzogiorno non possa avvenire in tempi brevi.

Il processo di sviluppo concepito dalla Lutz è un processo equilibrato.

Lewis

Diversa è la premessa su cui è costruito il modello di Lewis: il processo di sviluppo non può avvenire senza squilibri, anzi è lo sviluppo che richiede squilibri e lo squilibrio è l’essenza dello sviluppo. Tuttavia, anche in questo modello, tra l’altro non concepito direttamente per l’analisi dell’economia italiana, l’attenzione è posta prevalentemente sul meccanismo di "riequilibrio" che si determina nel mercato del lavoro.

Nel modello, il sistema economico viene diviso in due settori: il settorecapitalistico e quello di sussistenza. Si ipotizzano, inoltre:− coefficienti produttivi flessibili;− un’ economia chiusa;− un’offerta di lavoro illimitata;-la capacità dei lavoratori di svolgere qualsiasi mansione

Il settore capitalistico utilizza tecniche produttive efficienti ed è costituito da imprese che perseguono la massimizzazione del profitto; i fattori produttivi, capitale e lavoro, sono impiegati nella quantità che consente l’eguaglianza tra prodotto marginale e prezzo. Il settore di sussistenza utilizza tecniche poco efficienti e le imprese adottano criteri anche diversi dalla massimizzazione del profitto, basati su fattori economici ed extraeconomici. La produttività marginale e la produttività media del settore sono basse e vi è sovrabbondanza di manodopera: il livello di salario viene determinato dall’uguaglianza con la produttività media (assunto da Lewis come livello di salario disussistenza), per cui in questo settore trovano occupazione tutti i lavoratori esclusi dalsettore capitalistico.Poiché l'essenza dello sviluppo è una rapida accumulazione, l'espansione del sistema è condizionato dall'aumento dell'offerta di capitale, cioè del risparmio, attraverso il meccanismo di distribuzione del reddito, considerato che i capitalisti hanno una maggiore propensione al risparmio rispetto ai salariati che, invece, tendono a consumare interamente il proprio reddito. Ne deriva che il solo settore in grado di avviare e sostenere il meccanismo di sviluppo dell'economia è il settore capitalistico; il settore di sussistenza svolgerà un ruolo di sostegno. Nella fase di sviluppo si avranno livelli salariali diversi nei due settori considerati; l’espansione di uno dei settori a spese dell'altro; una distribuzione del reddito che privilegia i percettori di profitto. Affinché il processo di sviluppo continui è necessaria, innanzitutto, la presenza di un eccesso di offerta di lavoro nel settore di sussistenza;

gradualmente il settore capitalistico assorbe manodopera dal settore di sussistenza finché non si esaurisce la disponibilità di lavoratori e il tasso di salario nel settore di sussistenza non comincia a salire. A questo punto il sistema economico presenta scarsità del lavoro, con salari crescenti e profitti in riduzione, a cuisi associano riduzione degli investimenti e adozione di tecniche di produzione sempre più intensive di capitale: è questa la fase della maturità economica.

Il modello di Lewis viene applicato al contesto italiano da Kindleberger.

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La caratteristica essenziale del modello di Kindleberger è una offerta di lavoro infinitamenteelastica.Infatti secondo Kindleberger il sistema economico è suddiviso in due settori: un settoretradizionale e uno moderno.Il settore tradizionale coincide con le attività agricole e terziarie tradizionali, non capitalistiche. Invece il settore moderno corrisponde all'industria e al terziario avanzato, oltre che all'eventuale sezione capitalistica dell'agricoltura.Quindi finché esiste un eccesso di offerta di lavoro nel settore tradizionale, e la stessa mantieneelasticità, la crescente domanda di lavoro espressa dal settore moderno non fa aumentare isalari. I profitti delle imprese aumenteranno e, se investiti, determineranno un nuovo incremento delladomanda di lavoro, riattivando il circuito. Essendo il saggio del salario costante, il monte salariaumenterà in proporzione dell'aumento dei lavoratori occupati. Nel settore moderno i continui miglioramenti delle tecniche faranno aumentare la produzione in misura maggiore rispetto all'incremento della occupazione, per cui la quota dei profitti aumenta rispetto alla quota dei salari. Il tasso di sviluppo economico sarà crescente e il sistema economico può svilupparsi virtuosamente. Il processo di crescita potrebbe iniziare per effetto di un aumento della domanda nel settore industriale come ipotizzato nel modello di Lewis o anche per effetto di particolari variazioni delle curve di offerta che attirano risorse produttive in una industria o le distolgono a favore di un'altra attività, a seconda delle elasticità della domanda e della offerta del prodotto. Questo circolo virtuoso cessa nel momento in cui si esaurisce l'offerta di manodopera. Ciò è quanto Kindleberger ritiene sia accaduto in Italia nel 1963: si è semplicemente esaurita l'eccedenza di manodopera proveniente dalle regioni meridionali. tende ad essere "instabile". Se cade l'elasticità della offerta di lavoro, il saggio di sviluppo diminuisce e l'intero processo disviluppoDopo il 1963 questo modello diventa inapplicabile al caso italiano perché il sistema economicoha raggiunto la "maturità" e non potrà più svilupparsi secondo saggi di sviluppo eccezionali.

Graziani

Il dualismo economico e territoriale e il processo di divergenza tra regioni avanzate e regioni arretrate viene accentuato dall'apertura internazionale. Secondo Graziani una rapida crescita delle esportazioni provoca un aumento della domanda globale, sia perché le esportazioni sono una componente della domanda globale, sia perché si può assumere che l'aumento delle esportazioni provochi un aumento degli investimenti, che a loro volta, tramite il moltiplicatore, generano un aumento più che proporzionale della domanda.Se si assume che l'offerta si adegui prontamente e senza tensioni inflazionistiche alle variazioni della domanda, si avrà un aumento del prodotto in termini reali. Tale aumento del prodotto provocherà un rapido aumento della produttività. Il rapido aumento della produttività potrà provocare una rapida crescita delle esportazioni, generando nuovi incrementi del prodotto e così via.

Il modello elaborato da Graziani evidenzia come l'adozione del modello di sviluppo trainato dalle esportazioni da un lato rappresenti un elemento di espansione delle imprese la cui produzione è rivolta al mercato estero ; dall'altro, penalizzi le imprese che hanno una produzione rivolta al mercato interno.Infatti le imprese orientate all'esportazione si indirizzeranno verso l'adozione di tecniche produttive ad elevata intensità di capitale, conseguiranno economie di scala e maggiore competitività anche sul mercato interno. Ma se le imprese che hanno registrato incrementi di produttività e di efficienza sono quelle che producono beni destinati all'esportazione, le imprese la cui produzione è invece destinata al mercato interno, sono interessate da un minor incremento della produttività e della produzione.Si accentua e perpetua così il dualismo industriale. Graziani tende forse a sottolineare eccessivamente una componente della domanda globale (le esportazioni) a spese delle altre componenti (interne) e di altri fattori operanti dal lato dell'offerta, del mercato del lavoro e della distribuzione dei redditi.

ConclusioniIl concetto di dualismo sottintende l’esistenza, nell’ambito dello stesso sistema economico, di realtà cheseguono percorsi differenziati di sviluppo, sia in termini di tassi di crescita del reddito reale procapite, siain termini di trasformazioni socio-economiche, tali da lasciare inalterate nel tempo le differenze tra lerelative specificità. Non attivandosi un processo di integrazione della realtà meno sviluppata con quella

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più avanzata, il sistema economico nel suo complesso si caratterizzerà per un processo di sviluppodistorto e inefficiente.• La peculiarità del caso italiano si rinviene nella circostanza che le tre tipologie di dualismo individuatetendono a coesistere, realizzando così una più o meno netta separazione tra il Nord e il Sud del Paese.• Quando il dualismo economico assume una tale conformazione, lo squilibrio tra le aree determina edaccentua andamenti differenziati e divergenti di sviluppo, favorendo processi virtuosi nella regione piùmoderna ed avanzata e processi viziosi nella regione in ritardo, non spontaneamente risolvibili esuperabili, ma che richiedono politiche economiche sostanziose e durature che insistano sullatrasformazione di un circolo vizioso in un processo virtuoso di sviluppo.

PIANI DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DEGLI ANNI ‘50 E ‘60

Le forme di programmazione proposte o tentate dalle autorità di politica economicahanno sempre rispettato le caratteristiche "miste Si sono, quindi, avute negli anni forme di programmazione che, pur privilegiando il mercato, prevedevano anche interventi pubblici più o meno estesi al fine di correggerel'andamento spontaneo del sistema, cercando di indirizzarlo verso determinati obiettivi di politica economica. Tali obiettivi erano rivolti a superare i problemi di fondo dell’economia italiana, ovvero i problemi del divario Nord-Sud, degli alti livelli di disoccupazione, dei divari intersettoriali di reddito.

Lo Schema Vanoni

Un vero e proprio programma pluriennale globale, cioè riferito all'intera economia italiana, è invece lo Schema Vanoni, o Schema decennale di sviluppo dell'occupazione e del reddito in Italia, nel decennio 1955-64, presentato dall’allora ministro del Bilancio Ezio Vanoni

E’ il primo piano di programmazione pluriennale globale per il periodo 1955 - 1964.Lo Schema, ispirato dalla consapevolezza del persistere di due gravi fenomeni quali la rilevante disoccupazione e il forte divario economico tra il Mezzogiorno e le altre regioni italiane.Gli obiettivi che si proponeva di raggiungere sono:• la creazione di 4 milioni di nuovi posti di lavoro nel settore extra agricolo;• l'annullamento del divario Nord-Sud;• il raggiungimento e il mantenimento dell'equilibrio nella bilancia dei pagamenti.Secondo Vanoni, per raggiungere questi obiettivi sono necessari i seguenti interventi:• un tasso medio di crescita annua del prodotto nazionale lordo a prezzi costanti del 5%;• un aumento della propensione al risparmio della collettività;• un mutamento nella ripartizione territoriale degli investimenti;• un mutamento nella ripartizione settoriale degli investimenti

Lo Schema indica, poi, alcuni settori dell’economia che sono considerati particolarmente idonei a divenire settori propulsivi di una politica di sviluppo, in quanto più facilmente influenzabili dall’azione dello Stato. Tali settori sono identificati nei seguenti:− agricoltura;− imprese di pubblica utilità (energia elettrica, gas naturali, ferrovie, telefoni,acquedotti);− opere pubbliche (strade, scuole, ospedali, porti, aeroporti, sistemazionifluviali e montane);− edilizia per abitazioniIl settore dell’edilizia per abitazioni viene, poi, concepito, al di là della fascia dell’edilizia popolare, come un volano per l’azione congiunturale in funzione di eventuale stimolo al processo di espansione della domanda.

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Per quanto riguarda la politica industriale, l’azione dello Stato viene circoscritta in modo rigoroso. Secondo lo Schema, infatti, lo Stato può procedere con investimenti in via diretta, al di fuori dei settori già considerati propulsivi, solo nel caso in cui ciò sianecessario per:− localizzare attrezzatura industriale addizionale in determinate regioni;− sostenere tutte quelle attività industriali in grado di creare economie esterne necessarie per facilitare gli investimenti privati;− assicurare l’ulteriore sviluppo dei settori industriali già sotto il controllo dello Stato.

lo Schema Vanoni rappresenti il primo vero programma globale di programmazione economica che sia stato presentato in Italia, esso in realtà ha solo rappresentato una dichiarazione di intenti sulla politica economica da condurre (morte Vanoni contrasti politici).

Nonostante lo Schema non sia mai stato seriamente attuato, è stato comunquepossibile evidenziare gli scostamenti tra le intenzioni rappresentate nel piano ele tendenze verificatesi nella realtà, come:• Il mancato raggiungimento dell’obiettivo occupazionale;• L’annullamento del divario Nord-Sud, è stato completamente fallito, dato che nel periodo la disuguaglianza territoriale tra le due aree è rimasta sostanzialmente immutata;• L’unico obiettivo realmente raggiunto è stato quello dell’equilibrio della bilancia dei pagamenti.

Nota Aggiuntiva 1962Nel decennio 1955-64, un reale processo di programmazione non è mai stato attuato: l’economia ha seguito la sua spontanea evoluzione: un'ulteriore apertura economica;− l'ulteriore estensione dell'industria pubblica;− trasporti e comunicazioni;− il passaggio dalla politica infrastrutturale della Cassa per il Mezzogiorno allapolitica di incentivi all'industria.Tutto ciò, se da una parte ha agevolato la rapida espansione dell'industria italiana, all’altra ha penalizzato l'agricoltura e ha mantenuto il divario Nord-Sud e i relativi problemi occupazionali.Con l'avvento nel 1962 del centro-sinistra, il dibattito sulla programmazione acquista un nuovo impulso. Viene presentata, nel 1962, la Nota aggiuntiva di Ugo La Malfa, allora ministro del Bilancio, che riafferma la necessità di ricorrere a forme incisive di programmazione.La Nota aggiuntiva, pur attribuendo minor rilevanza al quadro economico previsionale, traccia un lucido consuntivo dei caratteri salienti dello sviluppo così come si è manifestato nel corso degli anni ’50. Essa rileva come, durante quegli anni, il Paese abbia conosciuto un considerevole sviluppo, determinato da un meccanismo di mercato, in cui hanno agito potenti fattori di sviluppo, e da una politica economica capace di assecondare il mercato stesso. In particolare, si mettono in evidenza l’intensificarsi, a partire dal 1950, della politica di inserimento della economia italiana nel mercato mondiale, e il mantenimento e l’espansione della spesa pubblica. A fronte di questo riconoscimento positivo, tuttavia, la Nota evidenzia come l’andamento spontaneo del mercato, solo in parte corretto da interventi discontinui e non sempre coordinati di politica economica, abbia accentuato il carattere dualistico dell’economia italiana, sia dal punto di vista settoriale, sia dal punto di vista territoriale.

Gli obiettivi della politica di programmazione individuati dalla nota sono:• il mantenimento di un ritmo di sviluppo elevato;• il superamento degli ormai tradizionali squilibri tra le regioni nord-occidentali ed il restod’Italia;• il superamento degli squilibri tra industria ed agricoltura;• un impiego più razionale dei flussi di reddito e di consumo per conseguire un migliorelivello di vita civile

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Viene istituita Commissione nazionale per la programmazione economica: trasformare le direttive contenute nella Nota in un vero e proprio programma di azione politica economica, I lavori dellaCommissione, presieduta dall’economista Pasquale Saraceno, si sono protratti per circadue anni e si conclude con la stesura di un documento preliminare, la Bozza di programma quinquennale per gli anni 1965- 1969, che viene presentata al pubblico dall’allora ministro del Bilancio, il socialistaAntonio Giolitti.

Il Piano di sviluppo economico per il quinquennio 1965 – 1969, ovvero il piano Giolitti, mirava al miglioramento delle condizioni di vita, operando nei seguenti settori:• il mantenimento di un ritmo di sviluppo elevato, anche in presenza di unacongiuntura internazionale meno favorevole che nel passato;• il superamento degli ormai tradizionali squilibri tra le regioni nord-occidentalied il resto d’Italia;• il superamento degli squilibri tra industria ed agricoltura;• un impiego più razionale dei flussi di reddito e di consumo per conseguire unmigliore livello di vita civile

Le finalità di questo piano non si discostano da quelle già individuate dalla Nota aggiuntiva, ma, accanto alla finalità del superamento dei diversi squilibri, viene dato particolare rilievo al miglioramento delle condizioni di vita attraverso un ampliamento degli impieghi sociali del reddito, da realizzarsi, in modo particolare, operando ne seguenti settori:− abitazione e assetto urbanistico;− sicurezza sociale e sanità;− sistema dei trasporti e delle comunicazioniPer quanto riguarda il sistema delle imprese, il piano prevede esplicitamente che il processo di programmazione si compia in una economia mista, in cui - pur nel rispetto della sfera di autonomia dei centri di decisione pubblici e privati - tutte le imprese siano coinvolte nella misura in cui coordinamenti e limiti si rivelino necessari per la realizzazione del programma. Imprese pubblicheconformità delle scelte imprenditoriali rispetto agli obiettivi del programma, prefigurando un esame preventivo dei programmi specifici ed un esame consuntivo dei risultati.grandi imprese private, invece, si stabilisce l’obbligo di comunicazione agli organi di programmazione dei programmi di investimento, così da consentire l’accertamento della loro conformità agli obiettivi del programma e di assumere le necessarie determinazioni in tema di politiche infrastrutturali, di incentivi e di credito.

si distingueva tra Mezzogiorno, aree sottosviluppate esterne al Mezzogiorno e areeindustrializzate ed urbanizzate dell’Italia nord-occidentale;• si decideva di realizzare una concentrazione e qualificazione degli investimenti nellearee maggiormente suscettibili di sviluppo;• si indirizzava il sistema di incentivi verso la media impresa, in grado di garantire unelevato assorbimento di manodopera e adeguati livelli tecnologici;• si stabiliva che tutte le nuove iniziative delle imprese pubbliche venissero realizzatenell’area meridionale;• per prevenire il collasso territoriale delle aree industrializzate dell’Italia nordoccidentalesi affermava la volontà di eliminare ogni forma di incentivi allalocalizzazione delle imprese in queste aree e di predisporre disincentivi;• all’ulteriore addensamento di nuove attività nelle aree più congestionate.Il piano GiolittiAttraverso gli interventi settoriali Giolitti fornisce una prima impostazione programmatica per l’intervento dei pubblici poteri e una sintesi delle azioni e delle riforme necessarie per raggiungere gli obiettivi dl piano:• per la politica sanitaria il piano proponeva, per la prima volta, il progetto di un Servizio sanitario

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nazionale, articolato in unità sanitarie locali e fondato sul carattere preventivo dell’intervento.• per la politica di sicurezza sociale si delineava un sistema fondato sulla istituzione di una pensionebase per tutti i cittadini inabili e per i superstiti, integrata da regimi professionali per i lavoratoridipendenti.• per la politica dell’istruzione il piano poneva due obiettivi fondamentali: l’istituzione di un biennioprofessionale successivo alla scuola dell’obbligo, rivolto alla formazione professionale polivalente, el’istituzione di diplomi a livello universitario, per la formazione di quadri superiori.• per la politica dei trasporti il piano impostava una serie di indirizzi programmatici volti a ridurre ledistorsioni provocate dall’abnorme uso del mezzo stradale, particolarmente antieconomico sulle lunghepercorrenze e responsabile, nelle aree particolarmente urbanizzate, di gravi fenomeni di congestionamento.Inoltre, per ovviare alla cosiddetta distorsione dei consumi che ha caratterizzato lo sviluppo economico italiano fino a quel momento, il piano si propone una serie di interventi a livello settoriale.Per la politica delle abitazioni, il piano Giolitti distingue fra edilizia sovvenzionata, per la quale lo Stato provvede direttamente alla esecuzione e gestione, e edilizia convenzionata, per la quale intervengono i privati e le cooperative nell’ambito di una regolamentazione.

Piano Pierracini

Programma per il quinquennio 1965-69 e la Nota aggiuntiva per il quinquennio 1966-70,

Il piano Pieraccini poneva in evidenza la necessità di elevare il tenore di vita dei cittadini edi continuare a ridurre gli squilibri territoriali.• Il programma si caratterizzava per l'aumento della spesa sociale. Ci si proponeva in sostanza di realizzare più scuole, più abitazioni, di elevare il grado di sicurezza sociale, di accrescere la dotazione di infrastrutture pubbliche, di intensificare l'attività di ricerca scientifica.conseguimento di questi obiettivi era subordinato a varie condizioni:– al protrarsi del processo di sviluppo;– al permanere della stabilità monetaria;– all'equilibrio dei conti con l'esteroFondamentale assicurare un elevato tasso di crescita attraverso il progressivo inserimento nel contestointernazionale:• saggi di produttività non inferiore a quelli dei paesi concorrenti;• Aumento della pressione competitiva;Obiettivo primario del piano era il raggiungimento di un tasso di crescita del 5% annuo: sarebbe dovutoessere il risultato dell’aumento dell’occupazione.Tra il 1964 e il 1969 il prodotto interno lordo ha continuato a crescere a ritmi superiori a quelliprogrammati. Gli investimenti produttivi, dato il forte rialzo del costo del lavoro, venivano diretti a ridurrel'impiego di manodopera.• L'occupazione continuava a crescere ma a ritmi contenuti.• Il nuovo contesto era però caratterizzato da una rilevante conflittualità sociale, dalla forte espansione della spesa pubblica corrente e dalla perdita di efficacia dell'intervento pubblico.Per quanto riguarda gli altri obiettivi del Piano, essi sono riassumibili nei seguentipunti:− un aumento dell’occupazione extra-agricola di 1.500.000 unità, tale, cioè, da portare il livello della disoccupazione totale intorno al 2,8% e da assorbire la fuoriuscita di forza-lavoro dal settore agricolo;− una netta riduzione degli squilibri territoriali, che si pensa di poter eliminare completamente entro la metà degli anni ‘80; per ottenere questo risultato, nel Mezzogiorno si dovrebbe concentrare la creazione del 40-45% della nuova occupazione totale;− un incremento del ritmo di sviluppo del settore agricolo e una riduzione dei differenziali di reddito fra il settore agricolo e gli altri settori economici;− un aumento degli impieghi sociali del reddito al livello del 27% delle risorse interne disponibili, in modo da incrementare sensibilmente la dotazione di servizi collettivi.

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Si può dire che il Piano Pieraccini abbia sostanzialmente fallito il raggiungimento di tutti gli obiettivi socialmente più qualificanti, come il livello di occupazione o il recupero del ritardo del Mezzogiorno, nonostante il tasso di crescita del PIL sia stato nettamente superiore alle previsioniFallimento piano:• sbagliata la previsione del tasso di crescita della produttività del lavoro;• sbagliate sia la previsione della riduzione dell’occupazione nel settore agricolo, sia quellarelativa alla capacità dei settori extra-agricoli di creare nuovi posti di lavoro;• Mancanza di strumenti di intervento innovativi rispetto ad una Cassa per il Mezzogiorno che aveva già mostrato tutti i suoi limiti;• Soltanto cinque riforma applicate delle quattordici previsteCause del fallimento:• scarsa impostazione analitica del piano;• mancata predisposizione di adeguati strumenti operativi e scarsa attenzione data alla fase di attuazione del piano;• Mancata attuazione sia della fase intermedia, sia della fase microeconomica della programmazione;• Assente la verifica dell’adeguatezza degli strumenti operativi disponibili ed di un controlloefficiente sulla reale utilizzazione degli strumenti a disposizione della autorità pubblica.

I PIANI DI PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DEGLI ANNI ‘70 E ‘80

Progetto 80

Il “Progetto 80” è stato un progetto di riflessione e di programmazione promosso nel 1968 dall’Ufficio del programma prima e dal Segretariato della programmazione poi, presso il Ministero del Bilancio e della Programmazione economica, sotto la direzione di Giorgio Ruffolo.Il punto di partenza del Progetto ’80 è la revisione della concezione di programmazione economica dovrebbe servire da supporto ai piani quinquennali 1971-75 e 1976-80.È necessario elaborare un sistema della programmazione molto flessibile, ovvero intendere il piano di programmazione come momento di raccordo tra decisioni del governo e reazioni degli altri sistemi coinvolti nel processo e da costruirsi sulla base delle tecniche di analisi macroeconomiche disponibili, utile per verificare la coerenza delle decisioni strategiche rispetto agli obiettivi del piano.Momento decisivo della costruzione del piano diviene l’identificazione delle azioni programmatiche, che vengono distinte in tre grandi gruppi.1) i progetti sociali, ovvero le azioni pubbliche da realizzare nel campo degli impieghi sociali del reddito. Tali progetti, che sono di preminente responsabilità di amministrazioni ed enti pubblici, 2) i programmi di promozione, ovvero azioni programmatiche da condurre nei diversi campi produttivi (agricoltura, industria e terziario) al fine di coordinare ed armonizzare, sempre su iniziativa pubblica, l’attività di più centri di decisione, sia pubblici, sia privati, per il conseguimento degli obiettivi posti dal piano3) la programmazione di breve periodo, che riguarda le politiche generali di controllo dell’economia (creditizie, fiscali, degli investimenti pubblici, etc.) che possono essere impiegate allo scopo di coordinare le decisioniGli obiettivi del Progetto ‘80 sono:− la massima occupazione;− l’estensione della base territoriale dell’apparato produttivo e la suadiversificazione territoriale;− un decisivo progresso nella quantità e qualità delle infrastrutture pubbliche edegli impieghi sociali del reddito;− un maggior contributo allo sviluppo dei Paesi arretrati;− il mantenimento di una economia aperta e il proseguimento del processo diintegrazione europea

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Le previsioni relative allo sviluppo economico e al tasso di crescita degli investimenti sono molto ottimistiche. Restano nel Progetto 80, sebbene espressi in modo generico, gli obiettivi di una riduzione dei divari territoriali e settoriali che sono poi saranno disattesi. Un altro errore di previsione riguarda la valutazione del ritmo di riduzione dell’occupazione agricola e il ritmo di crescita della produttività, cosa che del resto si era già verificata in occasione della elaborazione dei piani precedenti.L’errore di sopravvalutazione è, tuttavia, dovuto soprattutto alla impossibilità pratica di prevedere le due crisi energetiche che nel corso degli anni ‘70 sconvolgeranno completamente il sistema economico italiano.Nonostante l’ampio dibattito sul Progetto ’80, la sua traduzione in un vero e proprio piano è concretamente resa impossibile dalle confuse vicende politiche di quegli anni. Contemporaneamente si assiste al rapido scemare della fiducia nel metodo programmatorio, man mano che si rende evidente il fallimento del piano Pieraccini e si fanno sempre più gravi i fenomeni di instabilità sociale ed economica.

Piano annuale per il 1972

Con la mancata approvazione, alla fine del 1972, del Piano di programmazione per il 1971-1975, viene a mancare la fiducia nei piani di programmazione globale pluriennale e si manifesta l’esigenza di intervenire nella gestione dell’economia in maniera diversa. Infatti, di fronte al complesso dibattito e ai continui rinvii cui è sottoposto il Documento programmatico per il 1971-75, ma, soprattutto, sotto l’incalzare dellasempre maggiore instabilità del sistema economico nazionale e la conseguente di intervenire nel più breve tempo possibile per cercare di affrontare le questioni più gravi.Diversa metodologia di intervento nella gestione dell’economiaLa preoccupazione fondamentale del piano annuale risiede nel creare uno specifico raccordo fra interventi di sostegno della domanda e azione riformatrice. In particolare, si assegna alla spesa pubblica per investimenti la funzione di principale variabile strategica della politica economica. Si tratta, quindi, di una strategia incompatibile con l’aumento della spesa corrente e alternativa rispetto a una manovra affidata a sgravi fiscali.Il piano si concentrava:1) introduzione della riforma tributaria e, in particolare, di quella dell’Iva;2) impostazione del bilancio e predisposizione di previsioni di cassa;3) adozione di misure per accrescere la flessibilità del bilancio e renderne più spedita l’utilizzazione a fini anticiclici.Anche il piano annuale per il 1972 non viene in concreto realizzato per la crisi di governo verificatasi agli inizi dello stesso anno e la chiusura delle Camere in attesa delle elezioni. Il mancato intervento previsto dal piano produce effettivamente le conseguenze negative previste in assenza di una programmata azione espansiva:− aumento delle tensioni inflazionistiche;− perdurante stasi degli investimenti industriali;− aggravarsi della situazione occupazionale

Piano Annuale 73Dato il perdurare di gravi fenomeni di instabilità, alla fine del 1972 gli organi della programmazione, sempre in collaborazione con l’autorità monetaria, predispongono un nuovo Piano annuale per il 1973.In primo luogo, il Piano mette in evidenza la negatività di specifici e importantiaspetti di politica economica:− la crescita modesta del reddito nazionale per il 1973;− la notevole spinta inflazionistica;− il mancato incremento dell’occupazione;− la crescita apparentemente sostenuta esclusivamente dalle esportazioni e dai consumi privati, aggravando la stasi degli investimenti;− l’esistenza di ampi margini di capacità produttiva inutilizzata nel settore industriale;− un notevole avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti.Tutti questi elementi consentivano, evidentemente, di puntare su una decisa politica di espansione. A fronte del fallimento del precedente piano annuale, basato sulla espansione degli investimenti pubblici, per

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la lentezza dei processi di decisione governativa, il Piano annuale per il 1973 si prefigge di avviare una azione di politicaeconomica volta a:a) migliorare i conti economici delle imprese, così da stimolare gli investimenti;b) contenere gli aumenti dei prezzi, per evitare una compressione della domanda reale per consumi

I suggerimenti del Piano per raggiungere tali obiettivi erano:• fiscalizzare gli oneri sociali in modo rilevante per contenere il costo del lavoro nel settoreindustriale;• condizionare la concessione del suddetto beneficio alle grandi aziende all’impegno abloccare i prezzi per un certo periodo;• applicare interventi più generalizzati di controllo dei prezzi da parte delle autorità.Fallimento del piano:• il Piano annuale per il 1973 è stato esaminato ed approvato dal Cipe soltanto nel marzodel 1973;• il pericoloso incremento delle esportazioni nette di capitali dall’Italia, determinatosoprattutto dalle misure restrittive e dall’aumento dei tassi di interesse dei principali paesiesteri, rendeva poco stabile la nostra bilancia dei pagamenti: le autorità risposero aquesta situazione con l’istituzione del doppio mercato dei cambi, ma, quando il dollaro fusvalutato, venne autorizzata la libera fluttuazione della lira per cercare di allentare ilvincolo della bilancia dei pagamenti sulla politica economica interna

La programmazione settoriale

In sostituzione dei piani globali pluriennali, viene messo in atto un altro tipo di programmazione, quella dei cosiddetti Piani settoriali.I piani settoriali, predisposti ciascuno per ogni specifico settore di intervento ritenuto dagli organi di programmazione e dalle autorità di governo come più idoneo a favorire lo sviluppo del sistema Paese (come il settore chimico, quello elettromeccanico, quello zootecnico etc.), sono elaborati nel corso degli anni ‘70 allo scopo di indirizzare e coordinare gli interventi di politica industriale.Tuttavia, nonostante le intenzioni chiaramente manifestate, l’elaborazione di questi piani non dà risultati particolarmente positivi, poiché la loro elaborazione è affidata a organi non competenti nelle problematiche affrontate e poiché spesso sono stati adattati ai piani di sviluppo forniti dalle stesse grandi imprese operanti nei settori oggetto di intervento inoltre vi fu incapacità dimostrata da numerosi manager pubblici e privati di effettuare corrette scelte di fondo per la strategia di investimento della industria italiana.Una chiara dimostrazione di questa somma di incapacità dalle scelte effettuate nei campi della industria chimica e di quella siderurgica. Mentre, infatti, tutti gli indicatori disponibili, già a partire dai primi anni ’70,, mostrano con evidenza il formarsi di una grave sovrapproduzione mondiale nei campi della siderurgia e della chimica di base, tale da provocare già allora la crisi di tali produzioni, in Italia sono approvati e finanziati piani per incrementare proprio tali tipi di produzione.La programmazione settoriale raggiunge il massimo sviluppo con la approvazionedella legge 675/1977, relativa alla ristrutturazione e riconversione produttiva. Talelegge prevede tra le proprie finalità:− la preparazione di diversi piani settoriali;− la predisposizione di un documento di sintesi annuale sullo stato dell’industria;− l’istituzione del CIPI, comitato dei ministri per il coordinamento industriale;− l’istituzione di un Fondo per la ristrutturazione e la riconversione industriale− la istituzione di una serie di incentivi fiscali per agevolare ristrutturazioni ericonversioni industriali;− il riordino complessivo delle agevolazioni finanziarie

Piano Pandolfi

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Il fallimento dei piani settoriali e annuali e l'incapacità del governo nel ridurre la forte instabilità economica e l'inflazione rampante, oltre che nell'affrontare seriamente i tradizionali problemi strutturali dell'economia, inducono a ritornare al metodo dei piani pluriennali. Data l'elevata instabilità economica, si preferisce tuttavia restringere l'orizzonte temporale al medio periodo, predisponendo dei piani triennali da rivedere poi, eventualmente, anno per anno. Nell'agosto del 1978, il ministro Pandolfi presenta appunto una bozza di piano a medio termine che, completata e arricchita, sfocia infine nel gennaio del 1979, nelPiano triennale 1979-1981 (o Piano Pandolfi). Tale piano, pur ricordando alcuni degli obiettivi tradizionali della programmazione italiana (squilibri territoriali, occupazione ecc.), si preoccupa soprattutto del problema che allora domina il dibattito economico, ovvero l'inflazione: è in sostanza un piano di rientro dall'inflazione.Il Piano Pandolfi si pone due obiettivi finali: l'aumento dell'occupazione e lo sviluppo del Mezzogiorno. La previsione di crescita è assai ottimistica: si ipotizza "uno spostamento di risorse dal consumo agli investimenti", una riduzione del tasso d'inflazione e una riduzione dei divari territoriali nella produzione, nel reddito e nell'occupazione.Per raggiungere questi obiettivi, il piano triennale prevede il rispetto di tre condizioni:− far fronte alla crisi della finanza pubblica riducendo sia il fabbisogno del disavanzo pubblico allargato in percentuale del PIL, sia il disavanzo corrente dello Stato;− una specie di blocco dei salari, auspicando incrementi dei salari monetari non superiori all'aumento dei prezzi;− una politica del lavoro "che consenta modalità più flessibili di utilizzo della forza lavoro" al fine di incrementare la produttività.La crisi energetica, e la successiva recessione, hanno l'effetto di far fallire del tutto il Piano Pandolfi, soprattutto nel suo obiettivo centrale di riduzione dell'inflazione.

Piano La Malfa

Dopo lo scoppio della seconda crisi energetica, il nuovo ministro del Bilancio GiorgiovLa Malfa predispone un piano a medio termine 1981-83, seguito dal Piano 1982- 1984,vaggiornamento reso necessario dai mutamenti dell’evoluzione economica.L'epicentro dell'attenzione si spostava dall'inflazione al vincolo estero e, per la prima volta in un documento ufficiale, si formula nettamente l'obiettivo di ridurre la pressione esercitata dal vincolo esterno sulle possibilità di sviluppo dell'economia.Le linee d'intervento previste sono differenziate:− misure volte a "ridurre la dipendenza dall'estero per le fonti d'energia, per i prodotti alimentari, e per i prodotti legnosi, e incrementare le esportazioni dimanufatti ed il turismo";− altre misure tese a "ridurre lo sperpero di risorse nei punti di crisi (concentrati nella siderurgia, nella chimica, nella cantieristica navale), e migliorare l'uso delle risorse attraverso processi di ristrutturazione, e di riconversione accompagnati dal sostegno pubblico".In ogni caso, il piano sconta anche l'assenza quasi completa di riferimenti quantitativi macroeconomici precisi e dettagliati su cui poggiare l'azione programmatica e l'inadeguato impianto analitico. Rimangono, tuttavia, la corretta intuizione della necessità di una politica d'investimenti volta a ridurre il deficit strutturale di alcune poste della bilancia dei pagamenti e una maggiore attenzione verso la politica degliinvestimenti della pubblica amministrazione.

De Michelis

Dopo il fallimento del Piano La Malfa non viene predisposto alcun programma globale per l'economia italiana, ma solo piani settoriali. Tuttavia, nel 1984-85 il ministro del Lavoro De Michelis elabora un pianodecennale per l'occupazione, sotto forma del rapporto in due volumi “La politica occupazionale per il prossimo decennio”.Secondo le analisi condotte dal Piano, quindi, l’andamento spontaneo dell’economia condurrebbe, nel giro di un decennio, al superamento del fenomeno della elevata disoccupazione al Centro-Nord, mentre la

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disoccupazione del Mezzogiorno continuerebbe a presentarsi come un fenomeno strutturale e permanente di estrema gravità.Per questo si pensa a una serie coordinata di interventi, che aumentino il più possibile la flessibilità del sistema produttivo, con riguardo in particolar modo a:− costo del lavoro aggregato;− differenziali salariali;− orari;− organizzazione del lavoro

De Michelis prevede una serie di altri interventi tesi ad aumentare direttamente l'occupazione, come ad esempio la creazione di nuove forme di lavoro e impegni a favore della piccola e media impresa,per cercare di favorire il Mezzogiorno. Nonostante l’ampia visione manifestata nella elaborazione del Piano, tuttavia esso offre delle politiche di intervento che non risultano ben collegate tra loro. Anche la strumentazione prevista risulta del tutto inadeguata di fronte alla gravità del problema della disoccupazione nel Mezzogiorno. In modo particolare, proprio la mancata individuazione di interventi specifici e la carenza di proposte realmente operative per aggredire il problema della disoccupazione meridionale sembrano rappresentare il punto debole del Piano De Michelis.Lo stesso Piano, infatti, concentrando la propria attenzione in maniera prevalente sui problemi della flessibilità, finisce per porre al centro della propria indagine, e al di là dei semplici enunciati di principio, proprio i problemi della grande impresa del Centro-Nord.

LA Programmazione oggi.

Le politiche di derivazione comunitaria hanno ispirato una nuova concezione programmatoria, che si è sovrapposta all’esaurimento di una lunga stagione di politiche di sostegno alle regioni in ritardo e alla crisi del “vecchio” sistema di regolazione politica. La strada seguita per superare la vecchia impostazione dell’intervento statale a sostegno delle economie regionali depresse, o in crisi funzionale, è stata duplice:- da un lato, l’innovazione nei criteri e nelle procedure generali in cui inquadrare le politiche di sviluppo;- dall’altro, l’innesco di processi locali di sviluppo economico sulla base della valorizzazione delle “capacità localizzate” o, per usare una nozione oggi più in voga, dei beni collettivi locali. In pratica si è assistito a un notevole attivismo programmatorio nel campo della concertazione territoriale;Nello scenario programmatorio è, dunque, in atto il tentativo di costruire in modo congiunto la cornice delle strategie di programmazione economico-finanziaria delle politiche regionali e gli scenari di sviluppo dei sistemi territoriali delle regioni. All’interno del quadro descritto, trova ideale collocazione la programmazione negoziata, così come è stata sperimentata e condotta dal partenariato istituzionale negliultimi anni. Con il termine programmazione negoziata si fa riferimento a un metodo per regolare problemi di interesse pubblico con il concorso di soggetti, pubblici e privati, che possono far convergere le risorse a loro disposizione su obietti comuni.Da sempre le politiche pubbliche sono oggetto di negoziazione per trovare, tra gli interessi in gioco, un punto di mediazione e di convergenza sulle decisioni finali. L’attività di qualsiasi amministrazione pubblica è inserita in una trama fitta di relazioni, intessute con altre istituzioni pubbliche e con soggetti privati.A partire dalla fine degli anni ’80, questo sistema di relazioni ha assunto un carattere di sempre maggiore trasparenza e organizzazione, ed è nato un nuovo modo di gestire le politiche “per mezzo di contratti”. Prendeva forma ciò che da lì a poco sarebbe diventata la "Programmazione Negoziata.LE leggi n. 142/1990 e n. 241/1990), che ebbero il merito di dotare le pubbliche amministrazioni, abituate a muoversi in un quadro di relazioni fortemente gerarchiche e improntate a un rigido formalismo, di regole e strumenti di lavoro più flessibili.Le innovazioni più rilevanti vennero apportate dalla Conferenza dei Servizi e dagli Accordi di Programma, che da un lato riconoscevano un ruolo anche a soggetti terzi rispetto agli enti direttamente coinvolti nel procedimento amministrativo, dall'altro avevano il pregio di velocizzare l'iter burocratico degli atti e di prevedere scadenze cogenti per la chiusura dello stesso procedimento.

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Uno degli obiettivi prioritari di tali innovazioni consisteva nel semplificare e velocizzare le procedure sequenziali il metodo negoziale costruito dal basso (bottom up), nonostante la sua complessità, si ècosì sempre più diffuso insieme all'idea che le parti in gioco, se collaborative, possono costruire soluzioni più rapide (e migliori) di quanto si potrebbero ottenere con processi tradizionali, improntati al ferreo rispetto della gerarchia amministrativa (top down).Una svolta verso l’affermazione della Programmazione Negoziata si è avuta nel 1992, quando il Governo congedò l'intervento straordinario nel Mezzogiorno,Con la Legge n. 662 del 1996 e la Delibera CIPE del marzo 1997 fu istituzionalizzata la programmazione negoziata al fine di "regolare gli interventi che coinvolgono una molteplicità di soggetti pubblici e privati e che comportano attività decisionali complesse, nonché la gestione unitaria delle risorse“. Venne prevista lapossibilità di attivare strumenti quali le Intese Istituzionali di Programma, gli Accordi di Programma Quadro, i Patti Territoriali, i Contratti di Programma ed i Contratti d’Area.Intese istituzionali di programma: vengono definite le scelte e gli interventiinfrastrutturali ritenuti prioritari a livello regionale;• Accordi di programma quadro: declinano gli impegni assunti tramite l’Intesa, in progetti condivisi su specifiche tematiche considerate di massima priorità;• Il Contratto di Programma e il Contratto d’Area: sono rivolti al settore produttivo e occupazionale. Il primo, di iniziativa privata, prevede il contributo dello Stato all’imprenditore che decide di investire in aree svantaggiate del Paese. Il secondo è stato creato per fronteggiare la crisi della Siderurgia e della Chimica negli anni ’90 e riguarda aree che a seguito di delocalizzazioni o riconversioni hanno subito forti crisi occupazionaliIl Patto Territoriale appare lo strumento negoziale più consolidato e nasce dall’abolizione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno (L. 488/1992). Il Patto persegue due obiettivi, distinti, ma interdipendenti:– rafforzare le relazioni orizzontali tra istituzioni locali, nella diffusione di forme partecipative di democrazia; – creare programmi integrati di sviluppo, fondati su bisogni specifici, sulle prioritàdel territorio e su vocazioni produttive preesistenti. Tra il 1998 e il 2001 sono stati cofinanziati in Italia 230 Patti, di cui circa due terzi nel Sud d’Italia.A partire dalla seconda metà degli anni ’90, è cresciuta progressivamente la quantità di politiche pubbliche governate attraverso il metodo della programmazionenegoziata dalle opere pubbliche allo sviluppo economico.

La programmazione economica territoriale riguarda tutti gli interventi attuati da uno o più attori istituzionali, generalmente pubblici ma anche privati, al fine di favorire lo sviluppo di un particolare territorio/regione Obiettivi della programmazione territoriale possono essere:− la crescita economica;− la correzione di eventuali distorsioni nell’uso delle risorse;− la diminuzione dei differenziali territoriali di crescita tra regioni;− il ri-orientamento dello sviluppo verso obiettivi di sostenibilità ambientale e sociale.Gli obiettivi di sostenibilità e coesione divengono di gran lunga predominanti su quelli di sviluppo e riequilibrio, mentre la forma dell’intervento pubblico muta dalla forma diretta alla forma indiretta, vale a dire di indirizzo e di incentivo per la promozione di forme di governance del territorio che vedano la compartecipazione degli attori privati e delle istituzioni locali, più che dell’amministrazione pubblica centrale.Il territorio nella programmazioneL’importanza del territorio nella programmazione:• Si è da tempo affermata una centralità del territorio nella progettazione di azioni, programmi e politiche di sviluppo.• In tempi di globalizzazione la ipermobilità dei fattori e delle risorse che circolano nelle reti globali si combina con la fissità di certe risorse locali, rendendo strategica la mobilitazione delle capacità localizzate nei sistemi territoriali.• Il territorio è il luogo di produzione e di circolazione di conoscenze localizzate e il catalizzatore di esternalità prodotte localmente attivando nel contempo processi di natura sovra locale.• La territorialità non è dunque un oggetto ma un luogo d’azione.

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• Lo sviluppo è sempre territoriale, nel senso che le pratiche che lo connotano hanno sempre una relazione con una specifica territori

L’importanza del territorio nella programmazione:• Lo sviluppo e gli altri processi economici non possono essere interpretati come la mera conseguenza dell’azione di un numero limitato di attori privilegiati, ma emergono piuttosto come il risultato di reti di relazioni che legano soggetti co-localizzati.• L’oggetto delle politiche territoriali non è solo la gestione del territorio materiale (dalle infrastrutture agli insediamenti, residenziali e produttivi) ma anche, e soprattutto, la gestione del territorio immateriale, ovvero delle dimensioni relazionali, socio-culturali e istituzionali su cui si fondano i processi competitivi e innovativi contemporanei.• Il territorio non è più un semplice supporto su cui applicare esogenamente pacchetti di interventi, ma occorre aggiungere un diverso punto di vista nella costruzione dei progetti di sviluppo, in cui protagonisti siano la qualità del partenariato, le risorse impiegate, il ruolo dei soggetti coinvolti

Conseguenze della programmazione territoriale:• L’azione politica dovrà quindi tradursi in un numero selezionato di sistemi strategici da assumere nella loro interezza. Si tratta peraltro di evitare l’assunzione secondo cui ogni luogo possa essere oggetto di politiche di sviluppo territoriale. • Sarebbe questa una concezione massimalista dello sviluppo che ha peraltro ispirato troppo spesso l’esperienza dei Patti territoriali. In realtà, identificare troppi sistemi territoriali equivale a non identificarne realmente nessuno.• E’ peraltro necessario aggiungere che un processo di sviluppo territorializzato non è necessariamente contenuto entro confini “locali” rigidi. E’ invece da attendersi verosimilmente l’esistenza di Sistemi produttivi territoriali (regionali, o addirittura trans-regionali), che condividono fondamentali processi di apprendimentoSistema: il riferimento sono elementi (imprese, Pubblica Amministrazione, Università e centri di ricerca, associazioni di categoria, agenzie di sviluppo locale, consorzi, sindacati ecc.) legati tra loro da due tipi di relazioni, contingenti e organizzazionali. Le relazioni contingenti presuppongono la condivisione di alcuni elementi strutturali (una specializzazione, una divisione funzionale e spaziale del lavoro, una distribuzione delle localizzazioni). Le relazioni organizzazionali presuppongono una condivisione di un livello più profondo di relazioni, rappresentato dalla presenza di un processo cognitivo condiviso.• Produttivo: il riferimento è la produzione di valore, ciò che contribuisce a distinguere il sistema produttivo territoriale da una nozione generica di sistema. Il riferimento è a un processo quantitativo, ma soprattutto qualitativo, alla dimensione innovativa della produzione volta a garantire un vantaggio competitivo che si riproduce nel tempo. • Territoriale: sia le relazioni contingenti che quelle organizzazionali dipendono dalla prossimità geografica fra gli elementi del sistema, ovvero dalla compresenza di prossimità istituzionale e prossimità fisica.Obiettivi:Guidare il consolidamento della struttura policentrica regionale: si tratta diripensare approcci e strumenti di governo del territorio al di là delle strutture giuridicoamministrativedella Regione, della Provincia e del Comune. In realtà, le unità locali più significative non sono i comuni visti nel loro limite amministrativo, ma insiemi di comuni, ovvero famiglie “naturali” (per storia e geografia) o, più spesso, artificiali (per interessi condivisi di tipo strategico) di municipalità che rappresentano spesso “aree vitali e dinamiche”, in genere di livello sub-provinciale, caratterizzate da una struttura insediativapolicentrica e diffusa.• Consolidare i meccanismi di concertazione tra i diversi livelli decisionali, sostituendo le relazioni gerarchiche fra i livelli istituzionali “dati” (essenzialmente le Regioni e le Province) con un approccio cooperativo/negoziale alla scala dei singoli livelli territoriali e istituzionali; si tratta cioè di riconoscere una dimensione dinamica e costruttiva della regione.• Perseguire il coordinamento e l’integrazione tra le politiche regionali di tipo settoriale. Mobilitare risorse non ancora valorizzate e costituire contesti istituzionali e di relazioni che li valorizzino: ciò consentirà, da un lato, di affrontare il nodo dell’equità sociale come inclusione e non come redistribuzione e, dall’altro, di incrementare il valore aggiunto territoriale attraverso la riproduzione del capitale sociale.

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• Pervenire a una revisione di fondo delle politiche territoriali regionali, che trascenda i criteri burocratici, regolamentativi e dirigistici di oggi e del passato. L’obiettivo è mettere a fuoco istituti e strumenti volti a favorire: la cooperazione locale; il coordinamento intercomunale; l’accordo tra i comuni di un sistema locale e tra l’insieme dei sistemi locali e la regione nel suo complesso.• Lo strumento è un contratto istituzionale tra enti territoriali che sancisca la volontaria appartenenza di ogni sistema locale a una più vasta rete regionale di interazioni strategiche e a un più ampio progetto di cooperazione territoriale, il contrario quindi della burocratizzazione e della tecnicizzazione

Programmazione e regionalismo economico

i processi di “globalizzazione” delle relazioni economico-finanziarie, da un lato, e la ri-articolazione della decisione politico-economica in chiave “multilivello”, dall’altro, hanno trasformato profondamente i contenuti e le finalità della programmazione, finendo col ridimensionarne gli strumenti e, sotto certiaspetti, anche il raggio d’azione. Infatti, le mere programmazioni di settore in generale sono sostituite con la sola programmazione della spesa pubblica.Se consideriamo, infatti, più specificamente, il livello regionale, quale cluster di una più ampia e complessa attività di “decisione sulle decisioni” (la cui chiave di volta è costituita dalle determinazioni assunte in sede comunitaria), ci accorgiamo che, nel nostro Paese, le vicende del regionalismo sono intrecciate profondamente da un lato con l’evoluzione del cosiddetto “regionalismo economico” e, dall’altro, con la trasformazione degli strumenti e delle attività di programmazione;L’analisi puntuale dei contenuti e degli strumenti riconducibili alla programmazione ci offre un contributo fondamentale per valutare il “perimetro” e il contenuto effettivo delle competenze riconosciute alle Regioni, mentre il numero e il tipo di soggetti coinvolti attivamente nella “negoziazione” degli obiettivi da perseguire ai differenti livelli di decisione ci consente di individuare l’intensità e la “qualità” del decentramento politico-amministrativo raggiunto

Lo Sviluppo regionale:Blakely definisce lo sviluppo economico regionale come: Un processo nel quale i governi locali o le diverse istituzioni (organizzazioni) di una comunità locale sono impegnati al fine di stimolare o mantenere un certo livello di attività economica e di occupazione. Il principale obiettivo dello sviluppo economico alivello locale è di promuovere le opportunità di occupazione in quei settori che possano portare beneficio all’intera comunità, utilizzando le risorse umane, naturali e istituzionali esistenti a livello territoriale.Dalla definizione fornita da Blakely si evincono elementi chiavi che definiscono ilconcetto di sviluppo:• declinare lo sviluppo.: una concezione di sviluppo che non si riferisce alla sola crescita economica complessiva,ma anche alla crescita qualitativa, e alla distribuzione della ricchezza e del benessere tra i diversi membri della comunità;• identificare le determinanti dello sviluppo: l’identificazione di fattori della crescita che superano i tre elementi tradizionali che entrano nella funzione di produzione aggregata della teoria dello sviluppo neoclassica;• rivalutare la dimensione sociale e politica dello sviluppo: la sottolineatura dell’importanza degli elementi istituzionali formali e informali (norme sociali, fiducia) quali elementi portanti dei processi di sviluppo.

Economia RegionaleL’economia regionale è quella branca dell’economia che inserisce nello studio del funzionamento del mercato la dimensione spazio, esplicitandola in schemi logici, leggi, modelli che regolano e interpretano la formazione dei prezzi, della domanda, della capacità produttiva, i livelli di produzione, di sviluppo, i tassi di crescita, la distribuzione del reddito in condizioni di ineguale dotazione di risorse.Teoria della localizzazione: affronta il problema dell’organizzazione delle attività economiche sul territorio.Teoria della crescita: focalizza l’attenzione sugli aspetti spaziali della crescita economica e della distribuzione territoriale del reddito,Le teorie della localizzazione affrontano il problema dell’organizzazione delle attività economiche sul territorio. Due grandi forze economiche agiscono in direzione opposta:

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le economie di agglomerazione, che spingono a un concentrazione delle attività nello spazio, e i costi di trasporto, che al contrario supportano processi diffusivi delle attività sul territorio. All’interno delle teorie di localizzazione, è possibile individuare tre diversi approcci:a) teoria delle imprese e delle scelte allocative;b) teoria della localizzazione delle attività rispetto a un centro strategico;c) teoria delle località centrali.

Teoria delle imprese e delle scelte allocativeUno dei primi modelli di localizzazione è quello di Alfred Weber (1909). Egli considera il problema dell’ottima localizzazione di un’impresa che deve servire un mercato puntiforme (la domanda è tutta concentrata in un punto) e deve sopportare costi per il trasporto delle materie prime e del prodotto finito. Tale modello cerca di rispondere alla seguente domanda: dati il prezzo e la localizzazione delle materie prime e dei mercati di sbocco, e i costi di trasporto, dove si localizza un’impresa?Le ipotesi di base del modello di Weber sono le seguenti:– le imprese massimizzano il profitto, ovvero minimizzano i costi;– il regime di mercato è quello della concorrenza perfetta;– la funzione di produzione è a coefficienti fissi;– gli input sono localizzati in punti definiti e sono disponibili in quantità illimitata, la curva di offerta è orizzontale e il prezzo costante;– la domanda è fissa e concentrata in un numero di punti noti, e non dipende dal prezzo;– il mercato dell’output è competitivo, il prezzo è fisso a prescindere dalla quantità domandata;– lo spazio è omogeneo in tutte le direzioni, i costi di trasporto sono gli stessi a prescindere dalla direzione in cui ci muoviamo;– i costi di trasporto sono proporzionali alla distanza Lo spazio preso in esame da Weber è un territorio continuo, isomorfo (che ha unaforma uguale in tutte le direzioni) e isotropo (che presenta le stesse proprietà - ad es. uguale penetrabilità per i trasporti - in tutte le direzioni).Se l’impresa vuole massimizzare il profitto, dovrà cercare di minimizzare i costi di trasporto, data la localizzazione degli input e del mercato. Una volta individuata la localizzazione a costo minimo, l’impresa confronta quest’ultima con le altre possibilità, caratterizzate da costi di trasporto più alti, ma anche da economie di agglomerazione di altro tipo che possono compensarli. La scelta della localizzazione ottima dipenderà, quindi, dal luogo di reperimento delle materie prime e dal luogo di mercato:ragionevolmente, la localizzazione avverrà in un punto intermedio fra queste duelocalità. Il principale limite dell’analisi di Weber consiste nel fatto che considera solo i costi di trasporto come fattore di localizzazione. Le assunzioni di omogeneità dello spazio e della domanda non sono realistiche, ma consentono comunque di prescindere da fattori di tipo meramente geografico e concentrarsi sui fattori economici. Il modello, inoltre, è essenzialmente statico e non prende in considerazione fattori dinamici quali, ad esempio, l’innovazione tecnologica o variazioni nella distribuzione del reddito. Anche le ipotesi sulla domanda sono molto forti e molto restrittive.Il quadro che il modello di Weber dipinge è quello di imprese che dovrebbero essere continuamente in movimento in risposta a piccoli mutamenti dei prezzi dei fattori nello spazio. Nella realtà questo non accade, le localizzazioni sono molto vischiose.

Il modello di Hotelling si basa, invece, sulle seguenti ipotesi fondamentali:- esistono due soli produttori (duopolio);- esiste un mercato lineare, sul quale è distribuita omogeneamente la domanda;- il bene prodotto è a sua volta omogeneo;- i costi di ri-localizzazione sono nulli;- la domanda è completamente anelastica al prezzo.Nella forma più semplice, il modello suggerisce la presenza di due imprese che vendonoil medesimo bene, per il cui acquisto i consumatori sostengono determinate spese di trasporto, che variano in funzione della distanza dal mercato. I beni, quindi, sono omogenei, ma differenziati nel prezzo.Il modello assume l’ipotesi di uno spazio lineare (per esempio la strada di una città

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o una spiaggia) dove si devono dislocare due produttori che offrono lo stesso bene, allo stesso prezzo. I consumatori sono distribuiti uniformemente in tale spazio, ovvero in ogni punto vi sarà lo stesso numero di consumatori (ad esempio uno per ogni punto).Se i costi di trasporto non sono nulli, i consumatori preferiranno acquistare il bene dal produttore più vicino. Dato che i produttori non possono competere sul prezzo, essi potranno agire solo sulla localizzazione per acquisire maggiori quote di mercato. Ad esempio, se la prima impresa (A) si colloca a due terzi del segmento (la nostra strada ospiaggia), la seconda impresa (B) si collocherà appena un poco più a sinistra in mododa catturare tutti i consumatori alla propria sinistra, pari a circa i due terzi del totale:-----------B -----A-----------X -----XSe l’impresa A può modificare, a sua volta, la propria posizione si sposterà appenaun poco più a sinistra dell’impresa B, e se la seconda impresa può cambiare ancoraposizione, risponderà spostandosi appena un poco più a sinistra della nuova posizionedell’impresa A e così via, fin quando le due imprese si troveranno all’incirca nel mezzodel segmento. Il risultato è quello della minima differenziazione. Le due imprese sicollocheranno pressoché nello stesso punto dello spazio.Secondo il modello, anche in presenza di costi di trasporto esiste una naturaletendenza delle attività produttive a concentrarsi nello spazio (agglomerazione).Inoltre, la soluzione competitiva ottenuta dalle forze di mercato non coincide conl’interesse pubblico: una volta raggiunto dai produttori l’equilibrio localizzativo, ilconsumatore deve percorrere una distanza maggiore per acquistare il bene.Teorie della localizzazione delle attività rispetto ad un centrostrategicoUna seconda classe di modelli all’interno delle teorie di localizzazione affronta ilproblema della distribuzione territoriale di produzioni/attività alternative in base alcriterio dell’accessibilità a un centro “strategico”, vale a dire un centro che offre aimprese/individui/organizzazioni alcune risorse di elevato valore.Il primo modello è formulato agli inizi del 1800 da Von Thünen: esso affronta ilproblema della distribuzione territoriale di produzioni agricole differenti intorno a unborgo medioevale, che rappresenta l’unico mercato puntiforme di sbocco. Suppostal’esistenza di un certo numero di coltivatori, il problema affrontato da Von Thünen èquello di individuare la suddivisione delle terre tra i coltivatori intorno al borgo.La logica del modello è piuttosto semplice. Se a) il prezzo della terra tende a diminuire all’aumentare della distanza dal centrodella città, eb) l’estensione dell’area occupata da ogni attività tende in media ad aumentarevia via che ci si allontana dal centro cittadino,allora la localizzazione nei pressi del centro della città (o mercato) comporterà minoricosti di trasporto ma, proprio per questo motivo, essa sarà appetibile per tutte leimprese. La domanda elevata, a fronte di un’offerta anelastica, farà aumentare il prezzodella terra. Le decisioni di localizzazione si baseranno, dunque, su un esame del tradeofffra costi di trasporto e prezzo della terra.In particolare, le ipotesi di base del modello sono le seguenti:– esiste un mercato localizzato in un punto (il centro della città) nel quale iprodotti agricoli vengono commerciati;– tutta la terra è posseduta da proprietari non residenti;– tutti gli agricoltori producono beni identici, con la stessa tecnologia e concoefficienti fissi di produzione (gli input sono due: terra e altri fattoriproduttivi diversi dalla terra);– la terra è qualitativamente omogenea;– c’è libertà di entrata e di uscita dal mercato;– la terra viene data in affitto al miglior offerente ed è disponibile in quantità

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fissa;– la rendita per l’uso della terra è determinata in via residuale, ovvero essa èciò che resta del ricavo, una produttivi.La terra è un fattore non riproducibile, quindi disponibile in quantità fissa. Il proprietariodella terra ha, quindi, due possibilità:a) dare in affitto tutta la terra di cui dispone dietro pagamento di una rendita;b) non dare la terra in affitto ottenendo una rendita pari a zero.È evidente che al proprietario conviene sempre dare la terra in affitto a condizione chela rendita sia maggiore di zero, il che implica che sarà disposto ad accettare qualunquerendita i fittavoli siano disposti a pagare e che concederà la terra a quello che èdisposto a pagare la rendita più elevata L’impresa che prende in affitto la terra sostiene costi per gli altri input, ottiene ricavidalla vendita del prodotto e paga una parte del profitto realizzato come rendita alproprietario della terra per poterla utilizzare. L’impresa sarà disposta a pagare la minimarendita possibile, ma se la rendita unitaria pagata è inferiore alla differenza fra prezzo divendita e costo medio totale, l’impresa otterrà un profitto positivo. In un mercato conlibertà di entrata, questa possibilità stimolerà l’ingresso di nuove imprese che sonodisposte a pagare una rendita poco più alta, sottraendo la terra alla prima impresa eottenendo comunque profitti positivi. L’ingresso di nuove imprese continuerà fino a chepermarranno profitti positivi. L’equilibrio si raggiunge quando il numero di imprese ètale per cui la rendita che viene pagata è uguale ai ricavi meno i costi per gli inputdiversi dalla terra, cioè quella che rende i profitti nulli.La rendita massima può essere pagata solo in prossimità del mercato, perchéqualunque terreno situato a una certa distanza comporta costi di trasporto che cresconoal crescere della distanza. La disponibilità a pagare delle imprese sarà, quindi, uguale airicavi meno tutti i costi, compresi quelli di trasporto. Se Se ne può dedurre, che al cresceredella distanza e dei costi di trasporto, la disponibilità a pagare (e quindi la rendita)tenderà a diminuire Il modello di Von Thünen rappresenta il primo tentativo di spiegare la localizzazionedelle attività produttive nello spazio in base all’utilizzo della terra ed è, quindi, moltoimportante per capire come si distribuiscono le attività produttive fra il centro e laperiferia delle città: il modello si applica all’analisi delle scelte di localizzazioni sia diattività produttive omogenee, sia di attività economiche diverse.Il concetto centrale è quello di rendita residuale: la rendita fondiaria viene, così,a essere determinata dalla distanza al borgo e non più solo dalla produttività/fertilità delsuolo. Le attività caratterizzate da una maggiore rendita residuale saranno quelle che silocalizzeranno in prossimità del centro Agli inizi degli anni ’60 Alonso e poi Muth adattano il modello di Von Thünen a uncontesto urbano, dove:– lo spazio è omogeneo (distribuzione omogenea dei fattori produttivi sulterritorio e infrastrutture che coprono in senso radiale -spazio isotropol’interacittà);– vi è un unico centro, il centro degli affari, definito genericamente comel’allocazione più appetibile per ogni attività produttiva e residenziale In modoanalogo alla attività agricole nel modello di Von Thünen, le diverse attività nella città sidisporranno sul suolo urbano a seconda della disponibilità a pagare; l’attività che a ognidistanza dal centro sarà disposta a pagare una rendita superiore, otterrà la disponibilitàdell’utilizzo del suolo.In base al principio della distanza da un centro che determina il “costo del suolo”,sono stati sviluppati, a partire dagli anni ’80, i modelli di equilibrio generale cheappartengono alla cosiddetta “new urban economics” o economia della cittàmonocentrica.La teoria delle località centraliUna terza classe di modelli, nell’ambito delle teorie di localizzazione, è nota come

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teoria delle località centrali. Tali modelli cercano di spiegare le scelte localizzative dipiù imprese e individui tra centri urbani alternativi. I modelli alla Von Thünenconducono allo sconcertante risultato che le città all’equilibrio tendono ad acquisire lastessa dimensione, perché in tal modo è garantita una condizione di indifferenzalocalizzativa, grazie allo stesso livello di utilità e profitto raggiunto in tutte le città.La teoria delle località centrali prende origine dai lavori del geografo WalterChristaller (1933) e dell’economista August Lösch (1954).Il modello di Christaller cerca di risolvere il seguente fondamentale quesito: lecittà o, più in generale gli insediamenti urbani, si distribuiscono sul territorio secondocriteri di casualità e di semplice adattamento alle specificità locali (storiche o ambientali), oppure la loro ubicazione segue una logica o un principio razionale, ovverouna regola?L’autore ipotizza una distribuzione assolutamente regolare in termini assoluti(numero totale di città su una determinata superficie territoriale), di relazionequantitativa (rapporto tra città più importanti e città meno improntanti) e di relazionequalitativa (rapporto tra funzioni svolte dalle città sul territorio). In particolare, la cittàdi Christaller è il luogo di produzione (o comunque il luogo di offerta) dei servizi. Chi livuole acquistare deve recarsi nella città, percorrendo distanze più o meno ampie. Neconsegue che ogni punto di offerta di un servizio avrà la propria area di mercato,determinabile tramite i concetti di soglia e portata di un servizio. La portata è l’area dimercato massima, quella cioè oltre la quale la domanda è nulla a causa della crescitadei costi di trasporto. La soglia, invece, è data dall’area di mercato necessaria pergarantire all’impresa la copertura dei costi di produzione.Un consumatore razionale domanderà, all’aumentare del prezzo, una quantitàsempre minore del prodotto. Il prezzo del bene (per il consumatore) è determinato dalcosto di localizzazione, più il costo di produzione, più il costo di trasporto. Supponendodi non poter agire sui primi due costi, quello che determina la domanda sarà proprio ilcosto di trasporto.Figura 13.1 – Il modello di Christaller

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All’aumentare della distanza dal punto di vendita, aumenteranno proporzionalmentei costi di trasporto che il consumatore dovrà sostenere (ma il discorso non cambia nelcaso in cui sia il produttore a trasportare il bene verso il consumatore), e diconseguenza il prezzo pagato. Se questo aumenta, la domanda tenderà a diminuire.Come si evince dalla figura 1, secondo Christaller, la domanda sarà massima inprossimità del luogo di produzione e via via decrescente man mano che ci si allontana,fino ad annullarsi. Esisterà un punto in cui risiede il consumatore “indifferente”, ovveroquel consumatore che ha un interesse limitato ad acquistare quel servizio da quel puntodi offerta. Individuando tutti i consumatori “indifferenti”, è possibile delimitare l’area dimercato del produttore posizionato sul vertice degli assi. Tutti i consumatori che sitrovano all’interno dell’area di mercato di un produttore acquisteranno il suo prodotto,poiché risulterà il più conveniente (per raggiungere qualsiasi altro punto venditadovranno percorrere distanze maggiori, sostenendo costi di trasporto superiori).Ciascun produttore deve, inoltre, assicurarsi la vendita di una quantità critica, taleda garantirgli la sopravvivenza, ovvero quei ricavi in grado di coprire i costi diproduzione. Nella figura 1, la domanda è misurata in termini di quantità di prodotto. Seindividuiamo sull’asse delle ordinate la quantità minima che il produttore dovrà venderee la trasliamo sull’asse delle ascisse, otteniamo una circonferenza più piccola, cherappresenta appunto la soglia. Il produttore dovrà, quindi, posizionarsi su un’area dimercato di dimensioni superiori alla soglia e inferiori alla portata. Le aree di mercatocosì ottenute sono di forma circolare e hanno una dimensione direttamenteproporzionale all’importanza del bene/servizio offerto.Considerando, infatti, che i beni a uso più raro necessitano di soglie e portate dimaggiore dimensione, l’area di mercato del bene più raro è presumibilmente la piùampia (area di primo ordine). Nelle aree di primo ordine si generano delle economiedi localizzazione che richiamano attività di ordine inferiore (aree di mercato inferiori).Si forma, pertanto, una organizzazione delle aree di mercato “annidata”, al cui internonel centro di primo ordine sono localizzate tutte le n attività, nel centro di secondoordine le n-1 attività, e così via.Secondo Lösch, il luogo ove un’impresa industriale decide di ubicarsi non dipendesoltanto dai costi di trasporto o dalla disponibilità di alcuni fattori della produzioneparticolarmente a buon mercato, ma piuttosto dalla localizzazione degli altri produttori edall’ampiezza delle rispettive aree di mercato. A differenza di Weber, per Löschl’imprenditore, nell’individuare il punto ideale dove localizzare i nuovi impianti (oriallocare quelli già esistenti), punta non tanto alla minimizzazione dei costi (di

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trasporto), quanto alla massimizzazione dei profitti.Lösch, come tutti i predecessori, ipotizza uno spazio isotropo, isomorfo e continuoe, quindi, una regione pianeggiante, uniformemente percorribile in ogni sua direzione ele cui risorse sono, a loro volta, equamente presenti in tutte le compagini territoriali.All’interno della regione non sono presenti forme di squilibrio economico, politico ogeografico. Le eventuali differenze spaziali sono, quindi, la risultante del libero giocodelle sole forze economiche. Come nel modello di Christaller, l’ipotesi è quella di unmercato concorrenziale, in cui i prezzi sono essenzialmente dati e i costi derivano dallasomma del costo di produzione e di quello di trasporto.Lösch afferma che la dimensione dell’area di mercato di un bene è funzione delladomanda dello stesso sul territorio, e la domanda, a sua volta, è inversamenteproporzionale alla distanza tra luogo di vendita del bene e luogo di consumo.I produttori devono alimentare tutto il territorio, senza lasciare spazi vuoti, ovveroogni consumatore necessariamente rientra nell’area di mercato di un produttore. Se cifosse una frazione di territorio non coperta dall’offerta, immediatamente un nuovoimprenditore si insedierebbe con il proprio prodotto: l’area esagonale è l’unica in grado di assicurare la copertura integrale del territorio, evitando sovrapposizioni traimprenditori.Figura 13.2 – Il modello di Lösch

Il territorio risulta pertanto spartito in un insieme continuo di esagoni. La dimensione diesagono e, contemporaneamente, la densità dei produttori sul territorio dipendono dallacurva di domanda; dal momento che si possono considerare n beni, è evidente come incorrispondenza di ciascuno di essi si individui una curva di domanda con la rispettivaarea (esagonale) di mercato (esisteranno, quindi, n aree di mercato). Lo spazioeconomico è, così, scandito da un complesso di reti esagonali sovrapposte, secondo unprincipio gerarchico definito dalle rispettive curve di domanda.Lösch, senza modificare l’equidistribuzione della domanda sullo spazio geografico,introduce un importante elemento: la popolazione (e, quindi, la domanda) non vivesparsa sul territorio, ma si concentra in punti fra loro equidistanti (le città), checoincidono con i centri degli esagoni. La città offrirà, pertanto, quelle quantità dibeni/servizi necessarie per soddisfare la domanda interna alla città stessa e la domandaesterna, ma comunque compresa nella rispettiva area di mercato (l’esagono incentratosulla città). Una città implica generalmente elevata densità demografica e, quindi,grande quantità di consumatori: è, perciò, probabile che stabilirsi all’interno di essapermetta di raggiungere la propria soglia senza troppe difficoltà già all’interno dellacittà. Ne consegue che tutti gli imprenditori cercheranno di localizzarsi all’interno dellacittà, assicurandosi la propria soglia e puntando comunque alla massima area dimercato rappresentata dalla portata.

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Le teorie della crescita regionaleAccanto alle teorie della localizzazione, le teorie della crescita regionale rappresentano il secondo importante ambito di analisi dell’economia regionale. Esse si occupano dell’analisi dei processi di sviluppo economico di aree sub-nazionali, considerando la capacità delle economie regionali di assicurare lo sviluppo (crescita del reddito), l’efficienza nell’uso delle risorse locali, la capacità di attrarre risorse da altri ambiti territoriali, l’eventuale ritardo di sviluppo rispetto a un area di riferimento più vasta, come ad esempio quella nazionale. Da un’altra prospettiva, le teorie della crescita regionale analizzano la capacità di una regione di trovare e mantenere uno specifico ruolo all’interno della divisione internazionale del lavoro.

Le teorie della crescita regionale di tipo tradizionale fanno riferimento alleteorie dello sviluppo di matrice neoclassica e alla teorie del commercio internazionale (o degli scambi interregionali). Ricordiamo qui tre approcci:– la teoria degli stadi di sviluppo;– la teoria della crescita basata sull’analisi della domanda (modello input-output e moltiplicatore);– la teoria della crescita basata sull’analisi dell’offerta (dotazioni fattoriali). Secondo la teoria degli stadi di sviluppo, lo sviluppo regionale si realizza attraverso ilsusseguirsi naturali di fasi, temporalmente una successiva all’altra, caratterizzate da un rapporto capitale/lavoro progressivamente crescente. Tali fasi sono:• fase di autarchia, economia di sussistenza;• fase di specializzazione, sviluppo dei trasporti e primi scambi che portano alla specializzazione delle produzioni agricole;• fase di trasformazione, con il passaggio da una economia agricola ad una di prima industrializzazione;• fase di diversificazione, la crescita del reddito porta ad una diversificazione (più settori produttivi) dell’attività manifatturiera;• fase di terziarizzazione, con lo sviluppo del settore terziario che serve consumi opulenti e un’industria avanzata.

La teoria degli stadi di sviluppo afferma che il sottosviluppo non può che essere interpretato come la permanenza forzata all’interno di una fase.La teoria degli stadi di sviluppo Differenti cause• insufficiente accumulazione di capitale• allocazione poco accorta degli investimenti• domanda insufficiente• carenza di alcune risorse critiche

La teoria della crescita basata sull’analisi della domandaPartendo dal prodotto (reddito) pro capite quale indicatore dello sviluppo, le teorie della crescita basate sull’analisi della domanda, in un’ottica tipicamente keynesiana, vedono nella domanda il motore dello sviluppo. La crescita di una regione è fortemente influenzata dalla domanda (esterna) di beni per l’esportazione, prodotti nella stessa regione. Il modello originale è quello formulato da Hoyt, noto come modello della base di esportazione (1939). L’idea di base è che, se i sistemi economici di grandi dimensioni possono fare affidamento sulle forze interne al sistema per il loro sviluppo, i sistemi economici più piccoli (aree sub-nazionali) sono invece spesso molto specializzati e non possono affidarsi solo sulle capacità endogene di sviluppo. La crescita economica è fortemente condizionata, quindi, da elementi esterni.

La teoria della crescita basata sull’analisi dell’offertaL’idea che siano le determinanti dell’offerta, più che quelle della domanda, a incidere sulle capacità di crescita di una regione è comune alle teorie neoclassiche della crescita e alla teoria degli scambi (commercio) interregionali (internazionale). La crescita, resource based, è sostenuta dalla interazione con i contesti economici extraregionali. Nei modelli neoclassici, si ipotizza mobilità perfetta dei fattori interregionali e immobilità dei beni all’interno della regione. Nei modelli di commercio interregionale, invece, si ipotizza l’immobilità interregionale dei fattori e la mobilità interregionale dei beni.

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Nella visione neoclassica, lo sviluppo dipende dal progresso tecnologico e dalla crescita dei fattori produttivi. Ciò è esemplificato dalla funzione di produzioneaggregata, cha mette in relazione i fattori (capitale e lavoro) con il reddito prodotto attraverso i coefficienti di produzione, che definiscono la produttività dei fattori, determinata a sua volta dal livello di progresso tecnologico.La crescita è una questione di ottima allocazione delle risorse inter e intra-regionali.La mobilità dei fattori interregionale prevede che i fattori si spostino laddove più elevata è la loro produttività. Partendo da condizioni di sviluppo diverse tra diverse regioni, si ha che nelle regioni povere la produttività è bassa e bassa è anche la dotazione di capitale. Il lavoro si sposta nelle regioni ricche, dove la produttività è più elevata e la dotazione di capitale è maggiore. Col deflusso di lavoratori dai Paesi poveri, in questiPaesi aumenta la produttività del capitale e ciò richiama capitale da altre regioni. Le interazioni dinamiche tra le diverse regioni, insieme all’avanzare del progresso tecnico, conducono all’aumento del prodotto intra-regionale. Nei modelli di commercio internazionale, dove i fattori sono immobili e i beni mobili, lo sviluppo regionale sarebbe la conseguenza dell’aumento di ricchezza dovuto agli scambi commerciali di merci, che porterebbe a una specializzazione produttiva delle singole regioni in base alla legge del vantaggio comparato, vale a dire ogni regione si specializza nelle produzioni per le quali detiene un vantaggio comparato (minori costi) rispetto alle altre regioni.

GLI STRUMENTI DELLA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA EUROPEA La politica di coesione economica e sociale implica la solidarietà fra gli Stati membrial fine di promuovere uno sviluppo equilibrato, armonioso e sostenibile, nonché faredelle regioni luoghi più attraenti, innovativi e competitivi in cui vivere e lavorare.Sebbene l’Unione europea sia una delle aree più ricche del mondo, esistono fra lesue regioni forti disparità di reddito e di opportunità. Con la politica regionale dicoesione l'UE trasferisce risorse dalle regioni più ricche a quelle più povere, allo scopo dimodernizzare le aree meno prospere e aiutarle a raggiungere il livello di benessere dellealtre. Gli strumenti con cui concretamente vengono sviluppate queste politiche regionalisono i fondi strutturali, ovvero risorse stanziate dal bilancio dell’UE per finanziare,assieme al Fondo di Coesione (in Paesi membri in cui le condizioni economiche neconsentono l’utilizzo), la politica regionale.Tornando alla politica regionale questa viene definita come lo strumento attraversocui l’UE traduce le sue priorità politiche in risultati concreti

1) il cofinanziamentoil carattere pluriennale della programmazione, che rende possibile la3) l’effetto governance, che implica lo sviluppo, della capacità diiniziativa e di responsabilità di tutti i livelli di governo 4) l’effetto a catena sulle altre politiche europee e cioè lo stimolo allepolitiche dell’occupazione, dello sviluppo rurale, delle reti transeuropee, dellasocietà dell’informazione, degli appalti pubblici, dello sviluppo sostenibile,5) la semplificazione amministrativa e procedurale per la presenza delQuadro Strategico Nazionale (QSN: ha l’obiettivo di indirizzare le risorse chela politica di coesione destinerà al nostro Paese,

Quadro strategico nazionaleè il documento di orientamento strategicoche gli Stati Membri sono tenuti a presentare alla Commissione Europea in attuazione della politica di coesione comunitaria.Nel Quadro, gli obiettivi, le priorità e le regole della politica regionale di sviluppo sono, quindi, stabiliti in modo unitario e orientano la programmazione operativa e l’attuazione di entrambe le fonti di finanziamento della politica regionale comunitaria e nazionale.

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La nuova politica regionale unitaria, finanziata da risorse aggiuntive, comunitarie e nazionali, provenienti, rispettivamente, dal bilancio europeo (fondi strutturali) e dal bilancio nazionale (fondo di cofinanziamento nazionale ai fondi strutturali e fondo per le aree sottoutilizzate), a differenza della politica ordinaria (finanziata con le risorse ordinarie dei bilanci), è specificatamente diretta a garantire che gli obiettivi di competitività siano raggiunti da tutti i territori regionali, anche e soprattutto da quelli che presentano squilibri economico-sociali.Le principali sono le seguenti:– dare centralità all’obiettivo ultimo di migliorare il benessere dei cittadini, per farne il metro ultimo del confronto politico e sociale sulla politica regionale;– fissare obiettivi di servizio, per mobilitare su di essi il processo politico di decisione;– accrescere la selettività degli interventi;– promuovere un ruolo più importante del mercato dei capitali;– integrare politica ordinaria e politica regionale di sviluppo, valorizzando il capitale accumulato di competenze e buone prassi, per rafforzare e riqualificare la capacità di programmazione delle stesse politiche ordinarie

- tutelare l’aggiuntività finanziaria della politica regionale, soprattutto isolando gliobiettivi di spesa da interventi emergenziali di finanza pubblica;– dare dimensione interregionale ed extra-nazionale alla programmazione degliinterventi.Sulla base del quadro concettuale e degli indirizzi sopra elencati, la strategia sideclina in quattro macro obiettivi:a) sviluppare i circuiti della conoscenza;b) accrescere la qualità della vita, la sicurezza e l’inclusione sociale neiterritori;c) potenziare le filiere produttive, i servizi e la concorrenza;d) internazionalizzare e modernizzare l’economia, la società e leamministrazioni.Il Quadro mira a rimuovere la persistente difficoltà a offrire servizi collettivi inambiti essenziali per la qualità della vita e l’uguaglianza delle opportunità dei cittadini eper la convenienza a investire delle imprese. Per il raggiungimento di questi target si è previstoun meccanismo di incentivazione che comprende un premio finanziario. Le Amministrazioni chedirettamente partecipano al meccanismo di incentivazione degli obiettivi di servizio sono le otto regioni del Mezzogiorno e il Ministero della Pubblica Istruzione (quest’ultimo soloper l’obiettivo “elevare le competenze degli studenti e la capacità di apprendimentodella popolazione”).L’attuazione del meccanismo incentivante avviene attraverso l’accantonamento diuna riserva del Fondo per le aree sottoutilizzate per il settennio 2007-2013,indicativamente dell’ordine di 2,5-3 miliardi di euro, che sarà assegnata alleAmministrazioni solo al raggiungimento degli obiettivi di servizio, in proporzione alladotazione totale programmaticamente attribuita a ciascuna Amministrazione e ai targetsoddisfatti.PON Sviluppo per il MezzogiornoL'Unione Europea, nell'assegnazione dei propri fondi per i Programmi Operativinazionali dei Paesi membri, ha introdotto criteri di monitoraggio e fornito indicazionisugli obiettivi da raggiungere per valutarne efficienza ed efficacia, stabilendo anche unsistema di priorità in base al quale assegnare di anno in anno nuovi finanziamentiprogramma Operativo Nazionale "Sicurezza per lo Sviluppo del Mezzogiorno d'Italia". Questo programma ha l'obiettivo di creare condizioni di sicurezza nel sud Italia paragonabili al resto del Paese; maggior sicurezza significaanche sviluppo economico, occupazione giovanile e, soprattutto, migliore qualità dellavita. La capacità di coordinamento tra le politiche locali, regionali e nazionali riveste unruolo importante per il raggiungimento degli obiettivi del programma e per evitaresovrapposizioni di interventi.

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Strategie ed obiettivi del programma:Si delineano due criteri guida prioritari. Da un lato, la necessità di attivare azionisistemiche e coerenti con la politica ordinaria, che promuovano iniziative a caratteresovra regionale in grado di sviluppare le peculiari competenze e capacità tecnicheistituzionalmente rimesse al Ministero dell’Interno; dall’altro, l’esigenza di lavorare perprogetti e obiettivi comuni che, assicurando la condivisione e la complementarietà degliinterventi previsti, garantiscano una governance realmente integrata e trasversale neidiversi profili di policy nazionale, regionale e locale che incidono sulla sicurezza.Obiettivi:-elevare gli standard di sicurezza sia per i cittadini, sia per le imprese,- sviluppare azioni dirette a promuovere la società dell’informazione per tutti alfine di garantire un contesto favorevole alla produzione.-nel contempo, la creazione e lo sviluppo di nuove imprecontrastare l’economia sommersa con interventi volti a far emergere il lavoro nero;-sviluppare azioni volte ad accrescere la qualità della vita,-facilitare l’innovazione e promuovere l’imprenditorialità e tutte le azioni dirette a contrastare il racket delle estorsioni e l’usura;- migliorare la trasparenza nella Pubblica Amministrazione, in particolare nelsettore degli appalti pubblici, dove forte è il rischio che infiltrazioni criminalipossano costituire un pesante ostacolo allo sviluppo socio-economico, laddovenon sia strutturato un attento sistema di controlli.

Piani Operativi Regionali

Il Piano Operativo Regionale (POR) è il documento di programmazione perl’utilizzo dei Fondi Strutturali Europei integrati da quelli del Ministero dell’Economia edelle Finanze. Soffermarci su questo ulteriore Piano Operativo è importante soprattuttoperché dedicato alle regioni del Sud; infatti, in Italia le Regioni titolari di ProgrammiOperativi Regionali nell'Obiettivo 1 sono Basilicata, Calabria, Campania, Puglia,Sardegna e Sicilia. A queste si aggiunge il Molise in sostegno transitorio o phasing out.Le regioni che rientrano nell'obiettivo 1 per il periodo di programmazione 2000-2006 sono quelle in cui il prodotto interno lordo (PIL) pro-capite è inferiore al 75% dellamedia comunitaria

Programmazione economica e benessere sociale

Una buona programmazione economica deve prendere in considerazione gli effettiche ne conseguono dal punto di vista del benessere sociale.Il dibattito economico relativo al concetto di benessere ha prestato, negli ultimianni, sempre maggiore attenzione alla distribuzione del reddito, oltre che alladimensione efficientistica della crescita.

Amartya Sen e il concetto di libertà

Approccio delle libertà associa al benessere la capacità di perseguire fini che alimentano una sorta di benessere omnicomprensivo.Sen supera la tradizionale concezione di benessere inteso come soddisfazionedi preferenze individuali , ampliando la base informativa di cui dispongono gliagenti razionali e focalizzandosi sul perseguimento di alcune realizzazionioggettive, i funzionamenti appunto, che Sen descrive come stati di fare e diessere.Tuttavia, "utilità" è un termine assai controverso che in qualsiasi accezione

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rimanda, secondo Sen, alla soddisfazione di interessi egoistici o al piùaltruistici, e che quindi si basa su un percorso di valutazione esclusivamentesoggettivo, che non prende in considerazione nessuna informazione al difuori di ciò che gli individuai razionali fanno o provano.Il concetto di utilità appena considerato comporta diverse anomalie:• alcuni individui potrebbero avere desideri molto modesti, tali da poter fare ameno di risorse che i più giudicano fondamentali;• altri particolarmente esigenti potrebbero ritenere primario e urgente ilsoddisfacimento di desideri voluttuari. In questi casi le politiche pubbliche basateesclusivamente sull'incremento del benessere sociale inteso in senso utilitarista, provocherebbero distribuzioni inique delle risorse fra gli individui.Più in generale, Sen sostiene che tutte le teorie che si basano sul principiodell'uguaglianza delle risorse sono fallimentari: solo l'uguaglianza delle capacitàindividuali permette di raggiungere migliori risultati redistributivi, coerentemente con irequisiti di libertà per ciascun individuo di perseguire i propri progetti di vita. Sen,partendo da un approccio di scelta sociale formalizzata "alla Arrow", ha quindisviluppato un percorso con forti implicazioni filosofiche basato sulle capacità individualidi raggiungere determinati states of being: i funzionamenti

Il reddito non è una corretta misura del benessere economico e socialeper tre motivi principali:• modalità della sua determinazione, che esclude alcune voci e ne includeerroneamente altre;• le unità di conto, che spesso non rendono i valori sottostanti;• inadeguatezza nel catturare il benessere degli individui e della società nelle suevarie ramificazioni.

Funzionamenti:

Sen parte dall'idea che la vita umana possa essere letta come un insieme di funzionamentiinterrelati, consistenti nelle diverse "cose" che un individuo riesce a essere o a fare.• Essi sono distinti dai beni: questi ultimi sono oggetti che gli individui possono utilizzare,mentre i primi sono aspetti della vita.• Nella tradizione utilitarista, l'utilità intesa come misura della soddisfazione dettata dallepreferenze è l'unica grandezza attraverso cui si misura il benessere degli individui,nell'approccio di Sen essa è solo una dei molti aspetti che sono rilevanti per unavalutazione complessiva del benessere stesso. Il benessere degli individui è dato pertantoda un insieme di funzionamenti, fra i quali anche l'utilità.• La scelta del progetto di vita da portare a compimento coincide con la scelta del vettore difunzionamenti, e l'insieme dei possibili vettori per ogni individuo coincide con l'insiemedelle sue capacità.

Uguaglianza di possibilità

Sen privilegia il valore della libertà, che nella sua visione coincide con la capacità diraggiungere i funzionamenti desiderati, cioè con ciò che un individuo puòeffettivamente fare o essere. Nel valutare il well-being di un individuo occorreconcentrarsi sui suoi funzionamenti e sulle sue capacitàSen sostiene che non esista un insieme oggettivo di pesi per i funzionamenti,in quanto il well-being è un concetto di per sé intrinsecamente ambiguo, le cuicomponenti possono al più essere ordinate in modo parziale.• Sen fa riferimento principalmente alle relazioni di dominanza come mezzo

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per definire ordinamenti condivisi.• Meno evidente risulta essere il processo di valutazione degli insiemi di vettoridi funzionamenti, cioè le capacità: infatti l'economista indiano suggerisce che sidebba seguire un processo di valutazione elementare, vale a dire suggerisceche il valore di un insieme sia dato dal valore di uno dei suoi elementi, il piùimportante, il migliore, quello sceltoI limiti dell’approccio seniano:• Il principale limite alla teoria seniana consiste nella "conversione" del redditonei funzionamenti. In realtà, la comprensione delle potenzialità applicativedell'approccio rappresenta la vera sfida degli studiosi.• Sen stesso ha condotto dei tentativi cercando di ovviare tale limite:– La prima applicazione dimostra che nonostante il Pil pro-capite di Brasile e Messico sia più disette volte il Pil pro-capite di India, Cina e Sri Lanka, gli indicatori di speranza di vita e dimortalità infantile sono i migliori proprio nello Sri Lanka, e sono più elevati in Cina che inIndia, e in Messico piuttosto che in Brasile.– La seconda applicazione di Sen esamina le discriminazioni di genere in India, giungendo allaconclusione che le donne raggiungono livelli più bassi degli uomini per quanto riguardaalcuni funzionamenti, quali i tassi di mortalità per classe di età, la morbilità e lamalnutrizione.

L'approccio degli indicatoriL'approccio alternativo, che si applica nell'esercizio di misurazione del benessere inuno spazio multidimensionale, è stato definito nel corso degli anni da ParthaDasgupta.L'impianto delineato da Dasgupta consente di pervenire a una dimensione ampia dibenessere economico e sociale, in grado di catturarne le diverse ramificazioni, nonchédi fornire un supporto al processo di valutazione delle politiche pubbliche. Secondol'autore, infatti, misurando un indice di "qualità della vita", composto da una serie diindicatori, è possibile scegliere fra differenti opzioni di policy-making, in quanto cosìfacendo l'intero processo valutativo, riferito a desideri e aspettative di individuieterogenei, è in grado di sintetizzare interessi confliggenti.In altre parole, la multidimensionalità è il tratto saliente di questo percorso, inquanto solo aggregando più grandezze con significato, portata e unità di misuradifferenti si può approssimare la complessità del benessere.Per misurare il benessere in accezione ampia bisogna rendere quantitativo unostato esperienziale.

Multidimensionalità: solo aggregando più grandezze consignificato, portata e unità di misura differenti si può approssimarela complessità

Indicatori di benessere economico e sociale Orientano e valutano le politiche pubbliche; Le teorie contrattuali dello stato leggono la società come un sistema cooperativo fra individui per il perseguimentodel reciproco vantaggio Il ruolo principale dello Stato è quello di definire un quadro di regole che consentano agli individui di perseguire i propri fini.

Il contratto sociale non può farsi carico della felicità degli individui

L’approccio degli indicatori Esistono due vie per definire il benessere economico e sociale:Si misurano i costituenti del benessere, cioè gli output, per esempio gli indicatori di salute e dilibertà civili e politiche.

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Si considerano i determinanti del benessere, cioè gli input: il reddito, le spese per la salute e le risorse impiegate per la promozione e la protezione delle libertà civili e politiche.L’approccio degli indicatori Studiare le componenti

Valutare i beni/servizi che determinano il benessere sociale

Si considerano i determinanti del benessere, cioè gli input: il reddito, le spese per la salute e le risorse impiegate per la promozione e la protezione delle libertà civili e politiche.

Secondo Dasgupta è opportuno comunque utilizzare entrambi i metodicontemporaneamente, impiegando una collezione eterogenea di indicatori socioeconomici.• L'approccio in questione si concentra sulla valutazione del benessere economico e socialeindividuale. In questa accezione il benessere aggregato per un dato gruppo di individuicorrisponde con il benessere medio del gruppo.• Occorre, infine, specificare i motivi dell'utilizzo di questo approccio nel successivo esercizioapplicativo. Essi non vanno ricercati nella convinzione di una sua superiorità, né teorica néapplicativa.• L'approccio seniano è più ricco e conduce a una visione del benessere più articolata.Infatti gli indicatori di Dasgupta sono sostanzialmente “quality of life measures”, cherimandano a un concetto di benessere statico. Quindi, rispetto ai funzionamenti e allecapacità di Sen, il quale infatti concepisce il benessere specificamente come well-being,manca l'aspetto dinamico, inteso come libertà di scelta del progetto di vita da portare acompimento.La misurazione del benessere economico e sociale secondo l'approccio degli indicatoriIl punto focale, per una profittevole applicazione dell'approccio delineato daDasgupta, consiste nell'identificazione di una serie di indicatori che coprano ledimensioni di benessere economico e sociale corrente, coerentemente al contestosociale, politico ed economico della realtà di analisi.Sono, tuttavia, necessarie alcune precisazioni, in quanto la scelta degli indicatoririmane problematica, vuoi per il grado di arbitrarietà intrinseco in ogni processo diquesto tipo, vuoi per le diverse visioni etiche che ne orientano la selezione.Innanzitutto, secondo quanto suggerito da Dasgupta, il set di indicatori deve essereminimo, in modo da trovare un equilibrio fra completezza e pesantezza• Il set di indicatori deve essere minimo, in modo da trovare un equilibrio fracompletezza e pesantezza.• Inoltre deve essere selezionato in modo da evitare sovrapposizioni :devono cioè essere evitati indicatori con elevata correlazione

Contemporaneamente, è molto utile considerare il dibattito in corso a livelloeuropeo in tema di indicatori sociali di performance nazionale, in quanto esprime puntidi vista estremamente autorevoli in grado di indirizzare l'azione dell'Unione Europea. Piùspecificamente, si fa riferimento al rapporto "Indicators for social inclusion in theEuropean Union" preparato per il Governo belga con la finalità di definire una guida perla costruzione di una piattaforma di indicatori sociali da impiegare per controllare evalutare le situazioni dei paesi membri e le loro risposte alla politica sociale dell'Unione.In sintesi, il rapporto suggerisce che le aree su cui verificare gli indicatori diinclusione sociale sono:- la dimensione economica (reddito, sua distribuzione e povertà),- la (dis)occupazione,- le differenze regionali,- l'istruzione, le condizioni abitative, la salute e la partecipazione sociale

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LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICOFINANZIARIA NEL CONTESTO DELLA NUOVA GOVERNANCE ECONOMICA EUROPEA

Fin dagli inizi del processo di integrazione economica in Europa, è emersa la necessità di coordinare le politiche economiche degli Stati membri, con l’obiettivo di individuare un comune percorso e una coerente strategia di crescita e sviluppo dell’Unione e ovviamente una progressiva riduzione degli ambiti di manovra delle politiche economiche nazionali,

Allo scopo di allineare gli andamenti di finanza pubblica dei Paesi dell’Eurozona con il Trattato di Maastricht e con il Patto di Stabilità e Crescita, sono state definite le logiche e le procedure per il controllo delle politiche economiche e delle principali dimensioni macroeconomiche degli Stati membri. I fondamentali principi sottesi alle regole europee sono quelli di una stabilità interna dei singoli Paesi e di una stabilità complessiva dell’Unione economica e monetaria La crisi finanziaria ed economica del 2007-2009, evoluta nel 2010 in una crisi del debito sovrano, ha rivelato una fondamentale debolezza e una pericolosa insostenibilità del modello di governance economica europea. La consapevolezza di tali limiti hacondotto a una importante revisione delle regole e delle strategie tese a rafforzare il coordinamento delle politiche economiche nazionali e la sorveglianza macroeconomica, e a delineare una nuova traiettoria per lo sviluppo e la crescita dell’economia europea.

16.2.1. Il Trattato di MaastrichtIl Trattato di Maastricht, ovvero il Trattato sull’Unione Europea firmato il 7febbraio 1992 ed entrato in vigore il 1 novembre 1993, rappresenta il riferimentocostituzionale dell’Unione attraverso il quale i Paesi membri hanno sottoscrittoimportanti obiettivi macroeconomici. Quelli che approfondiremo in questa lezione siriferiscono all’introduzione di vincoli alle politiche fiscali nazionali, che hanno trovatoespressione nel Patto di Stabilità e Crescita.Nella logica del Trattato, il controllo delle politiche economiche deve realizzarsiattraverso un sistema di vincoli ai quali le stesse devono sottostare, ovvero attraverso:– il rispetto di parametri economico-finanziari comuni a tutti i Paesi membri;– il monitoraggio degli andamenti di finanza pubblica al fine di valutare ilrispetto dei suddetti parametri;– l’applicazione di meccanismi sanzionatori per gli Stati membri che nonrispettano tali parametri.

Gli elementi individuati dal Trattato, che dovrebbero rendere realizzabili lastabilizzazione economica e l’elaborazione di strategie di crescita e di sviluppodell’economia europea, sono sostanzialmente cinque:– la definizione di procedure riguardanti la condotta dei Paesi in relazione allepolitiche fiscali (Procedure di mutua sorveglianza e sui disavanzieccessivi la previsione di una clausola di no bail-out, ovvero di salvataggiofinanziario di uno Stato membro, che impedisce all’Unione Europea diacquistare direttamente il debito emesso da uno Stato membro o da altriorganismi pubblici, allo scopo di tutelare l’economia comunitaria da effettiinflazionistici;– la previsione di un ruolo di sorveglianza della Commissione europea suibilanci pubblici e sull’entità dell’indebitamento, sulla base di due parametrieconomico-finanziari: il rapporto deficit pubblico/PIL e il rapportodebito pubblico/PIL;– la definizione dell’obiettivo di un andamento sostenibile dei prezzi e di untasso medio di inflazione che non superi di oltre 1,5 punti percentualiquello dei tre Stati membri più virtuosi dell’Unione in termini di stabilità deiprezzi;– la definizione dell’obiettivo di un tasso di interesse nominale a lungo

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termine non eccedente di oltre 2 punti percentuali quello dei tre Statimembri più virtuosi in termini di stabilità dei prezzi In particolare, i valori di riferimento per i vincoli di bilancio sono stabiliti nelProtocollo sui disavanzi pubblici allegato al Trattato:– il rapporto tra il disavanzo pubblico, previsto o effettivo, e il PIL nondovrebbe superare il 3%, a meno che tale rapporto non sia diminuito inmodo sostanziale e continuo e abbia raggiunto un livello che si avvicina alvalore di riferimento o, in alternativa, il superamento del valore di riferimentosia stato eccezionale e del tutto temporaneo;– il rapporto tra il debito pubblico complessivo e il PIL dovrebbe essereinferiore al 60%, a meno che il predetto rapporto non sia in via di riduzionein misura sufficiente e non si avvicini con il ritmo adeguato al valore diriferimento.Il compito di sorvegliare l’evoluzione delle politiche e dei saldi di bilancio nazionali,al fine di valutarne la conformità con le previsioni contenute nei Trattati, è affidato allaCommissione che, nel caso rilevi uno scostamento o anche solo il rischio di unoscostamento, agisce di concerto con il Consiglio, esercitando pressioni sullo Statomembro affinché ponga in essere adeguate azioni correttive per riportare i fondamentalidi bilancio in linea con i parametri europei.Nel caso in cui lo Stato inadempiente non adotti opportune misure necessarie a farrientrare i propri saldi di bilancio nazionale, il Consiglio – su raccomandazione dellaCommissione – può adottare una decisione (e dunque un atto vincolante), con la qualeintima allo Stato membro le misure da assumere entro un termine stabilito.In caso di ulteriore persistenza dello Stato membro a non ottemperare alladecisione del Consiglio, questo può decidere di applicare specifiche misure sanzionatorie(richiesta di pubblicazione di informazioni supplementari prima dell’emissione diobbligazioni o altri titoli di stato, riconsiderazione della politica di prestiti a favore delloStato membro, costituzione da parte dello Stato membro di un deposito infruttiferopresso l’UE, commisurazione di un’ammenda di entità adeguata) Dopo il Trattato di Maastricht, il Patto di Stabilità e Crescita, firmato adAmsterdam nel giugno 1997, ha rappresentano un nuovo importante atto politico teso arafforzare il coordinamento e l’integrazione delle politiche di bilancio dei Paesi membri.Il Patto è un quadro di norme per il coordinamento delle politiche di bilancionazionali nell’ambito dell’Unione, creato a tutela della solidità delle finanze pubbliche,quale essenziale requisito per il corretto funzionamento dell’Unione economica emonetaria. Con il Patto, gli Stati membri si impegnano a rispettare l’obiettivo a mediotermine di un saldo di bilancio vicino al pareggio o attivo e a provvedere ai necessariaggiustamenti in caso di disavanzi eccessivi, nonché a garantire adeguata trasparenza epubblicità delle proprie situazioni di bilancio.Formalmente il Patto è costituito da una risoluzione e da due regolamenti delConsiglio europeo, che hanno forza di legge per gli Stati membri e ne precisano gliaspetti tecnici.Il Patto si articola, infatti, in due parti: una preventiva, l’altra dissuasiva. Perquanto concerne la prima, gli Stati membri devono presentare Programmi annuali distabilità (o di convergenza), nei quali devono essere specificate le modalità con le qualisi intendono conseguire o salvaguardare sane posizioni di bilancio a medio termine,tenendo conto dell’incidenza finanziaria dell’invecchiamento demografico. LaCommissione valuta i programmi nazionali e il Consiglio esprime un parere in proposito.La parte preventiva del Patto prevede due fondamentali strumenti che possonoessere utilizzati per evitare la formazione di disavanzi “eccessivi”. Il Consiglio, suraccomandazione della Commissione, può attivare la procedura di allarme preventivo,rivolgendo un formale avvertimento (early warning) allo Stato membro nel qualerischia di determinarsi un disavanzo eccessivo. La Commissione può richiamare, inoltre,

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uno Stato membro al rispetto degli obblighi del Patto di Stabilità e Crescita formulandoapposite raccomandazioni di politica economica (early policy advice).Gli elementi dissuasivi del Patto sono quelli previsti dalla procedura per i disavanzieccessivi, che scatta quando il disavanzo supera la soglia del 3% del PIL prevista dalTrattato. Se il Consiglio ritiene che vi sia un disavanzo eccessivo, allora formula delleraccomandazioni agli Stati membri interessati affinché adottino delle misure correttive,indicando un termine entro il quale deve essere riassorbito il deficit. L’inosservanzadelle raccomandazioni fa scattare le successive fasi della procedura, fino allacomminazione, per gli Stati membri dell’Eurozona, di sanzioni.A causa dell’invecchiamento della popolazione, dovuto all’allungamento della vita ealla bassa natalità dei cittadini europei, gli Stati membri dell’UE si trovano di fronte alproblema di garantire la sostenibilità a lungo termine delle finanze pubbliche, inconsiderazione dell’incidenza che tale fenomeno ha sui bilanci. Per affrontare questasfida, nella riforma del Patto di Stabilità e Crescita, operata nel 2005, sono stateelaborate proiezioni di bilancio comuni a lungo termine a livello di UE, in base alle qualila situazione relativa ai singoli Stati membri viene sottoposta a controlli e valutazioni.Fin dalla sua adozione, il Patto di Stabilità e Crescita è stato oggetto di ampiediscussione, principalmente in relazione alle limitazioni che impone alle politiche dibilancio nazionali, con conseguenti ricadute sugli obiettivi di crescita e occupazione.Nel 2005, si è ritenuto di dover intervenire sulle disposizioni previste dal Patto diStabilità e Crescita, confermando la validità dei vincoli di bilancio individuati nelTrattato, ma modificando le disposizioni relative alla sorveglianza multilaterale e allaprocedura dei disavanzi eccessivi, al fine di rendere più flessibile l’applicazione delPatto.La strategia Europa 2020 e il percorso verso una nuova governance economica europea

La recessione che ha colpito l’economia globale tra il 2008 e il 2009 ha prodotto unforte deterioramento delle finanze pubbliche in molti Paesi dell’Eurozona, che hannodovuto operare interventi di salvataggio per le banche. A tale indebolimento dellefinanze pubbliche si sono aggiunte, nel 2010-2011, tensioni sui debiti sovrani di alcuniPaesi (specialmente quelli dell’area mediterranea), che hanno aggravato la crisifinanziaria, hanno arrestato il processo di ripresa economica, faticosamente avviatodopo la grave crisi del 2007-2009, e sprofondato l’economia europea in un nuovoscenario recessivo, determinando una forte incertezza sulla tenuta dell’Eurozona e sulleprospettive della moneta unica.Questi eventi hanno riproposto con forza il problema del governo economicodell’Europa. Così, nel novembre 2009, quando la crisi era ancora in atto, laCommissione Europea ha lanciato una consultazione pubblica per individuare unastrategia in grado di offrire all’economia dell’Unione nuove e migliori prospettive, eopportunità di crescita. Il nuovo disegno programmatico, denominato Europa 2020, èstato presentato dalla Commissione nel marzo 2010 e approvato dai capi di Stato e digoverno dei paesi dell’UE nel giugno 2010.A partire dai risultati conseguiti con la precedente Strategia di Lisbona, Europa 2020punta a garantire una crescita più equilibrata nel futuro, fondata su tre fondamentalipriorità: quelle di un’economia intelligente, sostenibile e solidale (cfr. Figura 1).

Europa 2020 deve essere incentrata su tre priorità:- crescita intelligente: sviluppare un’economia basata sulla conoscenza esull’innovazione;- crescita sostenibile: promuovere un’economia più efficiente sotto il profilo dellerisorse, più verde e più competitiva;- crescita inclusiva: promuovere un’economia con un alto tasso di occupazione, chefavorisca la coesione economica, sociale e territoriale.

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Queste tre priorità, che si rafforzano a vicenda, delineano un quadro dell'economia dimercato sociale europea per il XXI secolo.»

Per ottenere questi risultati, occorre impegnarsi per il raggiungimento di un limitatonumero di obiettivi fondamentali, concretamente realizzabili, concentrando gli sforzi emonitorando i progressi. Cinque, dunque, sono i macro-obiettivi in materia dioccupazione, innovazione, istruzione, integrazione sociale e clima/energia, daraggiungere entro il 2020, fissati dal Consiglio europeo, su proposta della Commissione:1. occupazione: il tasso di occupazione delle persone di età compresa tra20 e 64 anni dovrebbe passare dall’attuale 69% ad almeno il 75%, anchemediante una maggiore partecipazione delle donne e dei lavoratori piùanziani e una migliore integrazione dei migranti nella popolazione attiva;2. R&S/innovazione: l’obiettivo attuale dell’UE per gli investimenti in R&Sè pari al 3% del PIL. A tal fine, occorre riconsiderare l’opportunità di investimenti pubblici e privati. La Commissione propone di mantenerel’obiettivo al 3%, definendo al tempo stesso un indicatore che rilevil’intensità in termini di R&S e innovazione;3. cambiamenti climatici/energia: l’obiettivo è quello di ridurre leemissioni di gas a effetto serra almeno del 20% rispetto ai livelli del 1990o del 30%, se sussistono le necessarie condizioni; portare al 20% la quotadelle fonti di energia rinnovabile nel consumo finale di energia e, infine,migliorare del 20% l’efficienza energetica;4. istruzione: l’obiettivo è la riduzione del fenomeno dell’abbandonoscolastico dall’attuale tasso del 15% a quello del 10%, contestualmenteall’aumento della quota della popolazione di età compresa tra 30 e 34 anniche abbia completato gli studi superiori, portandola dal 31% ad almeno il40% nel 2020;5. povertà/emarginazione: su questo fronte, l’obiettivo è quello di ridurreil numero di cittadini europei che vivono al di sotto delle soglie di povertànazionali, riducendo la percentuale al 25%, salvando dalla povertà più di20 milioni di persone.

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Nell’ambito dei suddetti obiettivi, per ciascun settore, ogni Stato membro adotta ipropri obiettivi nazionali

Il disegno programmatico di Europa 2020 per un nuovo governo dell’economiaeuropea deve, in particolare, fondarsi su tre pilastri:

Un’agenda economica rafforzata, con una maggiore sorveglianza daparte dell’UE. Ne fanno parte le priorità e gli obiettivi strategici concordatinell’ambito della strategia Europa 2020; gli impegni aggiuntivi assunti dagliStati membri attraverso il Patto Euro Plus; la sorveglianza delle politicheeconomiche e di bilancio nazionali attuata dalla UE attraverso il Patto diStabilità e Crescita, integrato da nuovi strumenti per affrontare gli squilibrimacroeconomici; un nuovo metodo di lavoro – il Semestre Europeo – perdiscutere annualmente le priorità economiche e di bilancio.– Interventi per salvaguardare la stabilità dell’area dell’euro. Nel 2010,l’UE ha reagito alla crisi del debito sovrano istituendo a favore degli Statimembri meccanismi di sostegno temporanei, che nel 2013 saranno sostituitida uno strumento permanente, vale a dire il Meccanismo Europeo di Stabilità(ESM). Il sostegno (realizzato in stretta collaborazione con l’FMI) è, tuttavia,subordinato al risanamento delle finanze e a rigorosi programmi di riforma.– Misure per rimediare ai problemi del settore finanziario.L’ambizioso percorso di rilancio dell’economia europea si imbatte, nella primaveradel 2010, in una prima grande difficoltà costituita dalla crisi dell’economia greca: se ifondamentali di alcuni Paesi europei (vedi ad esempio l’Irlanda) risultano fortementeindeboliti a causa degli interventi pubblici di salvataggio di istituti di credito nazionali indefault, la crisi ellenica è essenzialmente dovuta a comportamenti fraudolenti, connessia falsificazioni dei conti pubblici.La paura del possibile contagio di altri Paesi europei, ritenuti più a rischio daimercati a causa della debolezza dei conti pubblici nazionali, alimentata da una serie diondate speculative contro i Paesi dell’area mediterranea, ha spinto l’Unione adapprontare nuove e più stringenti misure di emergenza, ovvero:– la creazione di un meccanismo europeo temporaneo di stabilizzazione peraffrontare le situazioni di emergenza, lo European Financial StabilisationMechanism (EFSM), reso poi permanente attraverso lo European StabilityMechanism (ESM), finalizzato a interventi di salvataggio di Paesi membrisottoposti a tensioni, a causa di squilibri delle finanze pubbliche;– l’istituzione di un veicolo societario, l’European Financial Stability Facility(EFSF), per raccogliere risorse sui mercati, beneficiando della garanzia deiPaesi dell’Eurozona.Il 30 giugno 2010 la Commissione propone un ulteriore approfondimento deglistrumenti di governance economica, di sorveglianza e allarme preventivo, con l’obiettivodi estendere la sorveglianza agli squilibri macroeconomici, migliorare il funzionamentodel Patto di Stabilità e Crescita, armonizzare la programmazione di bilancio e la politicanazionale, attraverso l’istituzione del cosiddetto Semestre Europeo.

Il 29 settembre 2010 la Commissione propone, quindi, un pacchetto di 6 propostelegislative, il cosiddetto Six Pack, composto di 5 proposte di Regolamento

Semestre Europeo

Il Semestre Europeo, la cui istituzione è stata approvata dal Consiglio Europeo aluglio 2010, è un periodo, di sei mesi appunto, coincidente con il primo semestre di ognianno, in cui le politiche strutturali, macroeconomiche e di bilancio degli Stati membri

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vengono coordinate ex ante, ovvero prima che le manovre di bilancio siano sottoposteal vaglio dei Parlamenti nazionali, affinché gli inviti e le eventuali raccomandazioniprovenienti dal Consiglio della UE possano essere integrati nei documenti nazionalioggetto della discussione parlamentare.Il Semestre Europeo inizia, dunque, a gennaio con la presentazione, da parte dellaCommissione, dell’analisi annuale della crescita (Annual Growth Survey), in cui sonofissate le priorità dell’Unione per l’anno, finalizzate a promuovere la crescita e lacreazione di posti di lavoro (cfr. Figura 2)

Ad aprile, gli Stati membri, tenendo conto degli orientamenti espressi dal Consiglio,predispongono nell’ambito dei Parlamenti nazionali e presentano alla Commissione ipropri piani per il risanamento delle finanze pubbliche (Programmi di stabilità oconvergenza), e le riforme e le misure che intendono adottare per conseguire unacrescita intelligente, sostenibile e solidale (Programmi nazionali di riforma).

Il rafforzamento del Patto di Stabilità e Crescita

Nella riunione del 24-25 marzo 2011, il Consiglio europeo ha adottato un pacchettoglobale di misure intese a:– rispondere alla crisi – ormai conclamata – dei debiti sovrani;– preservare la stabilità finanziaria;– porre le basi di una crescita intelligente e sostenibile, all’insegnadell’inclusione sociale e della creazione di nuova occupazione, con unrafforzamento della governance economica e della competitivitàdell’Eurozona e dell’Unione europea nel suo complesso.Il nuovo patto per la competitività, è denominato Patto Euro Plus, L’accordo resta apertoall’adesione di altri Stati membri.I 23 Paesi firmatari si sono impegnati ad adottare tutte le misure necessarie astimolare la competitività e l’occupazione, e a rafforzare la sostenibilità delle finanzepubbliche e la stabilità finanziaria. Il Patto prevede impegni concreti e un controllo“politico” sugli stessi, esercitato a livello di capi di Stato e di governoIl Patto di Stabilità e Crescita rappresenta, come detto, l’insieme di regole chedovrebbero indurre gli Stati membri a mantenere sane e solide finanze pubbliche. Leesigenze di un rafforzamento del Patto hanno riguardato, in particolare:– il legame tra debito e deficit, soprattutto nei Paesi con un elevato debitopubblico (superiore al 60% del PIL);– l’accelerazione della procedura per i disavanzi eccessivi e l’imposizionesemiautomatica delle sanzioni agli Stati membri;– la migliore definizione del quadro di riferimento per i bilanci nazionali,affrontando questioni contabili e statistiche, nonché di tecnica di previsione

LA nuova governance Europea

Il 28 settembre 2011 il Parlamento Europeo ha approvato il pacchetto di misuresulla governance economica europea (Six Pack) presentato dalla Commissione nelsettembre 2010, con l’obiettivo di prevenire il ripetersi di crisi del debito sovrano,rafforzare l’esame dei conti pubblici e delle politiche economiche nazionali e, infine,introdurre un sistema sanzionatorio più rapido per punire eventuali infrazioni. Ilpacchetto è stato definitivamente approvato il 4 ottobre 2011 dal Consiglio europeo edè entrato in vigore il 12 dicembre 2011.Dei sei provvedimenti, tre si focalizzano sui bilanci pubblici, due prevedono lacostituzione di un nuovo sistema di allerta e di sanzione in caso di squilibri economici, euno stabilisce gli standard da seguire nella redazione dei conti pubblici nazionali:

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La sorveglianza economica e di bilancioIl Six Pack ha modificato la disciplina della parte preventiva del Patto di Stabilità eCrescita, fondando il controllo delle finanze pubbliche sul nuovo concetto di una politicadi bilancio prudente, la cui funzione è quella di agevolare il percorso di convergenzaverso l’obiettivo di medio termine (OMT).Pur mantenendo la previsione di un percorso verso l’OMT, basato sul miglioramentodel saldo strutturale (pari allo 0,5% annuo), il criterio di convergenza è stato resooperativo con l’introduzione di un ulteriore principio basato sulla evoluzione della spesaPer i Paesi che hanno già raggiunto l’obiettivo di medio termine, la crescita annualedella spesa non dovrebbe essere superiore a un tasso di crescita del PIL a mediotermine definito come “prudente”. Per i Paesi che non hanno raggiunto l’obiettivo dimedio termine, il tasso di crescita della spesa dovrebbe essere inferiore al tassoprudente di crescita del PIL a medio termine. Tuttavia, se un Paese volesse comunquetenere un livello di spesa superiore ai limiti coerenti con l’evoluzione del PIL “prudente”,l’eccedenza dovrebbe essere coperta da misure discrezionali sul lato delle entrate.La verifica del rispetto degli obiettivi di medio termine si basa sui programmi distabilità che i Paesi membri sono tenuti a inviare alla Commissione Europea, nell’ambitodelle procedure previste dal Semestre Europeo

La procedura per disavanzi eccessivi

Un altro provvedimento del Six Pack ha modificato, invece, la parte correttiva delPatto di Stabilità e Crescita, intervenendo sulla procedura di disavanzo eccessivo. Insostanza, si rende operativo un criterio, quello del debito, già presente nei Trattati, maconsiderato in via marginale nell’applicazione della procedura di sorveglianza.La nuova disciplina dispone che i Paesi che non rispettano il limite del 60% nelrapporto debito pubblico/PIL (anche quando il deficit è al di sotto della soglia del 3%del PIL) devono adottare adeguate misure in grado di ridurre il differenziale rispetto allimite indicato a un ritmo sufficiente, pari a un ventesimo all’anno nell’arco di untriennio.Il mancato rispetto del criterio del debito non implica l’automatica apertura di unaprocedura per disavanzo eccessivo nei confronti di un Paese, poiché la valutazionefinale dovrà essere complessiva e dovrà tener conto anche di ulteriori fattori di rischio,quali ad esempio un tasso di crescita del PIL nazionale particolarmente basso, lastruttura del debito, il livello di indebitamento del settore privato, le passività impliciteconnesse all’invecchiamento (ovvero, la sostenibilità a lungo termine dei sistemiprevidenziali).

I meccanismi sanzionatori

Al fine di intervenire più efficacemente sugli Stati membri dell’Eurozona che violinole nuove regole, il braccio correttivo del Patto di Stabilità e Crescita è stato rafforzatoattraverso un nuovo regolamento sull’effettiva applicazione della sorveglianza di bilancionell’Eurozona. Sono state introdotte nuove sanzioni finanziarie, applicatepreventivamente e con un approccio graduale.A partire dal 2012, il mancato rispetto del limite sul tasso di crescita della spesa (odell’attivazione delle eventuali misure compensative dal lato delle entrate), comporteràun avvertimento da parte della Commissione che, in caso di scostamento persistente oparticolarmente grave, implicherà il coinvolgimento del Consiglio Europeo, attraversol’emissione di una raccomandazione ad adottare misure correttive. Nel caso della mancata implementazione di tali misure, la Commissione potrà imporre un depositofruttifero pari allo 0,2% del PIL che scatterebbe, su proposta della Commissione, ameno che il Consiglio – entro 10 giorni – non decida, con maggioranza qualificata, di

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rigettare la proposta della Commissione (reverse majority). Il Consiglio potrebbedecidere di ridurre l’importo del deposito soltanto all’unanimità, oppure sulla base diuna proposta della Commissione e di una richiesta motivata dello Stato membroinadempiente. Il deposito verrebbe restituito soltanto quando il Consiglio abbiaaccertato che la situazione a seguito della quale è scattato l’obbligo di deposito sia statasanata.Quanto alla parte correttiva, il rispetto della normativa è garantito dalla previsionedell’obbligo per Paesi membri dell’Eurozona di effettuare un deposito infruttiferopari allo 0,2% del PIL al momento dell’apertura di una procedura di disavanzoeccessivo. Esso verrebbe convertito in ammenda in caso di non osservanza, da partedello Stato interessato, della raccomandazione a correggere il disavanzo eccessivo. Lasanzione sarebbe ulteriormente inasprita in caso di persistente inosservanza.La procedura di adozione della decisione di comminare le sanzioni nel caso diprocedura di eccessivo disavanzo è analogo a quello previsto per la sorveglianza nellaparte preventiva (reverse majority). In caso di mancata restituzione, le entrate derivantida queste ammende (o dagli interessi maturati sul deposito fruttifero) verrebberodistribuite, sulla base dei rispettivi PIL, tra i Paesi membri dell’area Euro non sottopostia procedura di disavanzi eccessivi.

Gli squilibri economici

Il regolamento sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici haintrodotto un nuovo sistema di monitoraggio degli squilibri, demandando allaCommissione una valutazione periodica dei rischi derivanti dagli squilibrimacroeconomici in ciascuno Stato membro.La valutazione periodica è basata su un quadro di riferimento composto daindicatori economici (scoreboard), tesi a rilevare l’esistenza di un grave squilibrio, talecioè da compromettere il corretto funzionamento dell’economia di uno Stato e/ominacciare la stabilità dell’Unione economica e monetaria nel suo complesso.

In tali circostanze, il Consiglio - su proposta della Commissione – può adottareraccomandazioni con il suggerimento di misure correttive tese a sanare lo squilibriomacroeconomico, da adottare entro un preciso termine Qualora lo Stato omettaripetutamente di dare seguito alle raccomandazioni del Consiglio formulate nel quadrodella procedura per gli squilibri eccessivi, a partire dal 2012, sarà tenuto a pagareun’ammenda annuale pari allo 0,1% del suo PIL, fino a quando il Consiglio non avràstabilito che esso ha adottato le necessarie misure correttive.La decisione di imporre un deposito è proposta dalla Commissione e si consideraapprovata dal Consiglio a meno che esso non la respinga con voto a maggioranza qualificata degli Stati membri dell’Eurozona (escluso il voto dello Stato interessato). IlConsiglio, sulla base di una proposta della Commissione, può decidere di annullare oridurre l’ammenda. In caso di mancata correzione degli squilibri, l’ammenda costituisceun’entrata che verrebbe distribuita, sulla base dei rispettivi PIL, tra i Paesi membridell’Eurozona non sottoposti a procedura.

I requisiti dei quadri di bilancio

La riforma del Patto di Stabilità e Crescita è completata dalla nuova direttiva sullecaratteristiche dei quadri di bilancio, che elenca alcuni standard che gli Stati membridevono osservare nella redazione delle statistiche e dei conti economici, al fine digarantire, da un lato, la piena efficacia delle procedure di sorveglianza e, dall’altro, laqualità e la solidità delle politiche fiscali nazionali.Lo scopo della direttiva è quello di:

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– migliorare l’attendibilità dei conti nazionali, includendo nei sistemi contabili– allineare il sistema di regole interne con il Patto di Stabilità e Crescita– aumentare la trasparenza: gli Stati membri devono garantire la trasparenza Agli Stati che, deliberatamente o per grave negligenza, dovessero manipolare i datirelativi al disavanzo e al debito potrà essere comminata una ammenda da parte delConsiglio – su proposta della Commissione – in relazione alla natura e alla gravità dellaviolazione, nonché alla durata della stessa, per un ammontare non superiore allo 0,2%del PIL dello Stato in questione.

Il nuovo Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance dell’Unione economica e monetaria

Il 23 novembre 2011 la Commissione europea ha presentato due ulteriori proposte di regolamento concernenti, rispettivamente, il rafforzamento della sorveglianza economica e di bilancio degli Stati membriLe due proposte intendono rafforzare il pilastro economico dell’Unione economica emonetaria, completando e rendendo più efficaci sia la procedura del Semestre Europeoper il coordinamento ex ante delle politiche economiche, sia la parte preventiva ecorrettiva del Patto di Stabilità e CrescitaNella riunione dell’Ecofin del 30 gennaio 2012 è stata, quindi, definita la bozza delTrattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unioneeconomica e monetaria Il nuovo Trattato, che agisce in accordo con le preesistenti regole europee, è statosottoscritto da 25 Paesi: oltre al Regno Unito, anche la Repubblica Ceca, che nel verticedi dicembre aveva aderito all’iniziativa, si è sfilata dall’accordo. Il Trattato entrerà invigore il 1 gennaio 2013, previa ratifica di almeno 12 Paesi dell’Eurozona, o il mesesuccessivo alla ratifica del 12° Paese contraente dell’area Euro.La nuova disciplina di bilancio (definita “Fiscal Compact”) prevede che l’impegno,da parte Paesi contraenti, a mantenere un saldo dei conti pubblicisostanzialmente in equilibrio, ovvero in pareggio o in avanzo.Tale condizione si intende rispettata in presenza di un deficit pubblico pari, almassimo, allo 0,5% del PIL calcolato ai prezzi di mercato (la cosiddetta “goldenrule”). Il rapporto può aumentare fino a un massimo dell’1%, se lo Stato in questioneha un rapporto debito pubblico/PIL inferiore al 60%.In caso di scostamento dal vincolo del deficit, il Paese deve adottare opportunemisure di convergenza nei tempi e secondo il programma concordati con laCommissione, considerando i rischi specifici del Paese sul piano della sostenibilità.È possibile derogare alle regole di bilancio solo in caso di circostanze eccezionali,come definite dal Trattato e come già previsto dal Patto di Stabilità e Crescita.In caso di significativi scostamenti dall’obiettivo di medio-lungo termine o dalpercorso di aggiustamento concordato con la Commissione, la bozza di Trattatoprevede l’attivazione automatica di un meccanismo di correzione, che dovrà essereistituito a livello nazionale.La “regola d’oro” dovrà essere prevista nella Costituzione o in leggi di pari gradoentro un anno dall’entrata in vigore del Trattato: sarà la Corte di giustizia a vigilare sulla corretta trasposizione della norma. Qualora il vincolo di bilancio non sia recepitoattraverso le leggi nazionali, l’UE potrà comminare multe che dovranno essere versateall’ESM (European Stability Mechanism). A decidere l’importo delle ammende “adeguatealle circostanze” sarà la Corte di giustizia della UE e la sanzione pecuniaria potràscattare quando il Paese oggetto della procedura risulterà recidivo, ovvero colpevole dinon aver rispettato una prima sentenza di condanna emessa dalla stessa Corte. In casodi inadempienza alle raccomandazioni fornite dalla Commissione, la Corte di giustiziapotrà imporre multe fino allo 0,1% del PIL.Per quanto concerne il vincolo sul rapporto debito pubblico/PIL, resta confermato ilvalore soglia massimo del 60%. Il nuovo accordo - in linea con quanto già previsto dal

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“Six Pack” - prevede l’obbligo di rientrare verso il tetto del 60% del PIL al ritmodi un ventesimo l’anno per la parte di debito eccedente.In caso di applicazione della procedura per i disavanzi eccessivi, lo Stato membro siimpegna a elaborare un programma di riforme strutturali per una correzione effettiva edurata del disavanzo eccessivo, che dovrà essere sottoposto, per approvazione emonitoraggio, alla Commissione e al Consiglio europeo. In tali circostanze, gli Statiinadempienti si impegnano ad approvare le raccomandazioni della Commissione UE peril rientro da un disavanzo eccessivo; tali decisioni potranno essere bloccate solo con unvoto a maggioranza qualificata degli Stati membri.Il potere di “denunciare” ai giudici europei un Paese “indisciplinato” potrà essereesercitato sia dalla Commissione europea, sia da un altro Paese dell’Eurozona firmatariodell’accordo. Le decisioni della Corte di Giustizia sono vincolanti e, in caso di mancataconformità alle stesse, la Corte può comminare al Paese inadempiente il pagamento diuna multa non eccedente lo 0,1% del PIL. Se il Paese appartiene all’Eurozona, ipagamenti saranno versati al Meccanismo Europeo di Stabilità.Al fine di un più efficace coordinamento delle emissioni di debito nazionale, gli Statimembri si impegnano a comunicare ex ante i piani di emissione del debito pubblico.Essi assicurano, altresì, una discussione ex ante e, ove appropriato, un coordinamentodelle politiche economiche nazionali.Con l’obiettivo di rafforzare la governance economica, i capi di Stato o di governodell’Eurozona si incontrano nelle riunioni del Vertice euro, insieme con il presidente dellaCommissione europea. Il presidente del Vertice euro è nominato a maggioranzasemplice dai capi di Stato o di governo; le riunioni sono convocate quando necessario, ecomunque almeno due volte all’anno, per discutere questioni concernenti la governancee le regole dell’Eurozona, nonché gli orientamenti strategici per la condotta dellepolitiche economiche.Come già evidenziato, il “Fiscal Compact” è strettamente collegato al Trattatoistitutivo dell’ESM, il fondo salvastati permanente, la cui entrata in funzione,originariamente prevista per il 2013, è stata anticipata a luglio 2012. Potranno farericorso al fondo solo gli Stati che avranno sottoscritto il nuovo patto di bilancio.

La programmazione economico-finanziaria nazionale

Nei recenti anni, il sistema delle decisioni di bilancio e l’assetto della contabilitànazionale hanno subito ampie e radicali modificazioni La norma, che abroga (e sostituisce) la legge 468/78, ha profondamente rivisitato ilprecedente sistema di contabilità pubblica nei seguenti aspetti:– principi fondamentali del sistema;– processo di assunzione delle decisioni economico finanziarie;– forma e contenuto dei documenti di finanza pubblica.In relazione al primo punto, la legge 196/2009 tende a realizzare un organicosistema di assunzione delle decisioni di finanza pubblica, che renda possibile ed efficaceil coordinamento tra i diversi livelli in cui è organizzata la gestione della pubblicaamministrazione, garantendo, al contempo, la tempestività dell’attività di controllo sugliandamenti di finanza pubblica. Il nuovo assetto si basa sul principio di sistematicitàdella finanza pubblica, prevedendo un ambito di applicazione più ampio del solo Bilanciodello Stato, in modo da coinvolgere l’intero comparto delle Amministrazioni pubbliche,secondo una logica di armonizzazione dei sistemi e degli schemi contabili. In taleapproccio, centrale è il ruolo del Governo (responsabile a livello europeo del rispetto deivincoli finanziari in tale sede stabiliti), ma anche del Parlamento (detentore, ai sensidell’articolo 81 della Costituzione, dello specifico potere di approvazione del bilancio) edegli Enti territoriali, per i quali è stata prevista una più intensa partecipazione alla faseascendente di definizione degli obiettivi economico-finanziari, ciò anche al fine di tener

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conto dell’evoluzione dell’ordinamento in senso federale.Obiettivo primario sotteso a tutto l’impianto dalla legge di contabilità e finanza èrappresentato dall’aumento della capacità di controllo della spesa nella Pubblicaamministrazione attraverso il miglioramento dei sistemi di misurazione contabile el’esplicitazione dei legami di responsabilità tra decisione di spesa, struttura (o Ente)responsabile e obiettivo conseguito. Esplicitando il legame di responsabilità nell’utilizzo

Il Documento di economia e finanza (DEF)

Il Documento di economia e finanza (DEF) subentra alla Decisione di FinanzaPubblica prevista dalla legge n.196/2009, che a sua volta aveva sostituito il DPEF(Documento di Programmazione Economico-Finanziaria), di cui alla legge 468/1978.Il documento, che contiene il quadro della programmazione economico-finanziariasu base triennale, viene presentato annualmente dal Governo alle Camere entro il 10aprile, e alle Istituzioni comunitarie entro il 30 aprile.Il DEF si compone di tre sezioni. La prima reca lo schema del Programma diStabilità, contenente gli elementi e le informazioni richieste dai regolamenti dell’Unioneeuropea vigenti in materia e dal Codice di condotta sull’attuazione del Patto di Stabilitàe Crescita, con specifico riferimento agli obiettivi da conseguire per accelerare lariduzione del debito pubblico.In particolare, la prima sezione contiene:– gli obiettivi di politica economica e il quadro tendenziale delle previsionieconomiche e di finanza pubblica, almeno per il triennio successivo;– gli obiettivi programmatici triennali per l’indebitamento netto, per il saldo dicassa, in rapporto al prodotto interno lordo, al netto e al lordo degli interessie delle misure una tantum, e per il debito, articolati per i sotto-settori delconto economico delle amministrazioni pubbliche;– l’indicazione dell’articolazione della manovra necessaria per il conseguimentodegli obiettivi di finanza pubblica, accompagnata anche da un'indicazione dimassima delle misure attraverso le quali si prevede di raggiungere i predettiobiettivi;– il prodotto potenziale e gli indicatori strutturali programmatici del contoeconomico delle amministrazioni pubbliche;– le previsioni di finanza pubblica di lungo periodo e gli interventi che siintendono adottare per garantire la sostenibilità della finanza pubblica;– le diverse ipotesi di evoluzione dell’indebitamento netto e del debito rispettoa scenari di previsione alternativi riferiti al tasso di crescita del prodottointerno lordo, della struttura dei tassi di interesse e del saldo primario.La seconda sezione del DEF contiene:– l’analisi del conto economico e del conto di cassa delle amministrazionipubbliche dell’anno precedente, e gli eventuali scostamenti rispetto agliobiettivi programmatici;– le previsioni tendenziali triennali del saldo di cassa del settore statale conl’indicazione delle modalità di copertura;– le informazioni di dettaglio sui risultati e sulle previsioni dei conti deiprincipali settori di spesa, nonché sul debito delle amministrazioni pubblichee sul relativo costo medio.Sono, inoltre, esposte le indicazioni triennali delle previsioni a politiche invariate peri principali aggregati del conto economico delle amministrazioni pubbliche e le regole generali sull’evoluzione della spesa delle amministrazioni pubbliche, in coerenza con gli obiettivi programmatici definiti dallo stesso DEF. La terza sezione reca lo schema del Programma Nazionale di Riforma (PNR) con gli elementi e le informazioni previsti dai regolamenti dell’Unione europea e dalle specifichelinee guida. Tra questi si segnalano:

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– le priorità del paese e le principali riforme strutturali da attuare in un quadro di compatibilità finanziaria con gli obiettivi di bilancio;– l’analisi degli eventuali squilibri macroeconomici;– l’indicazione dei fattori che determinano la competitività del paese e lo stato di avanzamento delle riforme avviate;– gli effetti prevedibili delle riforme proposte con riguardo alla crescita dell’economia, al rafforzamento della competitività del sistema economico e all’aumento dell’occupazione. Anche in questo caso, gli ulteriori elementi informativi sono individuati con un rinvio alla normativa europea. Ad integrazione delle informazioni contenute nel DEF, la nuova disciplina prevede, infine, alcuni allegati tra cui l’indicazione degli eventuali disegni di legge collegati alla manovra di finanza pubblica, il programma delle infrastrutture strategiche e lo stato di avanzamento dello stesso programma relativo all’anno precedente.A questi si aggiungono: una relazione di sintesi sugli interventi realizzati nelle aree sottoutilizzate e sui risultati conseguiti; un documento sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra; l’esposizione, con riferimento ai dati di consuntivo disponibili, delle risorse del bilancio dello Stato destinate alle singole regioni e alle province autonome.17.3. La Nota di aggiornamento del DEFLa Nota deve essere presentata alle Camere entro il 20 settembre di ogni anno. Il documento, a differenza della previgente disciplina, è obbligatorio e consente di aggiornare le previsioni economiche e di finanza pubblica in relazione alla maggiore stabilità e affidabilità delle informazioni disponibili sull’andamento del quadro macroeconomico (per cui sono disponibili i dati relativi ai primi due trimestri dell’anno) e di finanza pubblica, rispetto a quelle utilizzate per il DEF.In secondo luogo, la Nota permette di aggiornare gli obiettivi programmatici, in considerazione delle eventuali raccomandazioni approvate dal Consiglio dell’Unione europea sull’Aggiornamento del Patto di Stabilità, o la loro articolazione, anche sulla base delle intese raggiunte con la Conferenza permanente per il coordinamento dellafinanza pubblica.In questi casi, come anticipato, il Governo invia alla Conferenza e alle Camere le linee guida per la ripartizione degli obiettivi. Nell’aggiornamento del documento di programmazione sono inoltre fissati gli obiettivi di saldo netto da finanziare per il bilancio dello Stato e di saldo di cassa del settore statale. Con lo stesso documento, sono infine stabiliti i contenuti del Patto di stabilità interno, con le relative sanzioni da applicare, e del Patto di convergenza. Per le stesse finalità, gli obiettivi programmatici possono essere aggiornati anche in corso d’annoLa Legge di Stabilità

La Legge di Stabilità, insieme alla Legge di bilancio, costituisce la manovra di finanza pubblica per il triennio di riferimento e rappresenta lo strumento principale di attuazione degli obiettivi programmatici definiti con il DEF. Essa sostituisce la legge finanziaria e rispetto a quest’ultima prevede novità sia in ordine ai tempi di presentazione, sia in merito ai contenuti. In coerenza con la programmazione economico-finanziaria definita con il DEF e con l’obiettivo di rafforzare ulteriormente il ruolo della programmazione di medio periodo, la manovra di finanza pubblica dispone le misure idonee al conseguimento degli obiettivi di bilancio in ciascun anno del triennio di previsione. Il disegno di legge di stabilità viene presentato in Parlamento entro il 15 ottobre. Nella prima sezione, il documento riporta: il livello massimo del saldo netto dafinanziarie e del ricorso al mercato; la variazione delle aliquote delle imposte; l’importo dei fondi speciali; l’importo complessivo destinato al rinnovo dei contratti pubblici; le norme eventuali necessarie all’attuazione del Patto di stabilità interno e alla realizzazione del Patto di convergenza; le misure correttive delle leggi che comportano oneri superiori a quelli previsti; altre regolazioni meramente quantitative.La Legge di Stabilità dispone annualmente il quadro di riferimento finanziario per il periodo compreso nel bilancio pluriennale e provvede alla regolazione annuale delle grandezze previste dalla legislazione vigente per adeguare gli effetti finanziari agli obiettivi. In altri termini, con la Legge di Stabilità le entrate e le spese previste sulla base della legislazione vigente sono adeguate in funzione delle previsioni contenute nella DEF e in considerazione del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica definiti.

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La legge di stabilità presenta un contenuto più snello rispetto a quello della precedente legge finanziaria. Restano escluse dal suo contenuto le norme a carattere ordinamentale o organizzatorio, anche qualora esse si caratterizzino per un rilevante miglioramento dei saldi; le norme di delega nonché quelle relative ad interventi di natura localistica o micro settoriale. Gli interventi di sostegno e sviluppo dell'economia dovranno trovare collocazione in appositi disegni di legge collegati, e pertanto al di fuori della legge di stabilità.

La Legge di bilancioIl bilancio dello Stato rappresenta il documento con cui il Parlamento autorizza l’amministrazione a riscuotere le entrate e a gestire le spese nel corso dell’esercizio finanziario a cui si riferisce.In sostanza, con la Legge di Bilancio, il Governo sottopone all’approvazione del Parlamento il bilancio preventivo dello Stato individuando le differenti tipologie di entrata e le diverse modalità di spesa. Tale documento si forma a seguito di un processo di approvazione articolato in più fasi che prende avvio con la presentazione del Governo al Parlamento del Disegno di legge di Bilancio. Nel disegno di legge sono illustrate, sulla base della legislazione vigente (e quindi senza le disposizioni contenute nella legge di Stabilità), le seguenti previsioni:a) lo stato di previsione delle entrate;b) gli stati di previsione della spesa distinti per Ministeri, con le allegateappendici dei bilanci delle aziende ed amministrazioni autonome;c) un quadro generale riassuntivo.17.6. Il disegno di legge di assestamento di bilancio Il disegno di legge di assestamento di bilancio consente un aggiornamento, ametà esercizio, degli stanziamenti del bilancio dello Stato, anche sulla scorta della consistenza dei residui attivi e passivi accertata in sede di rendiconto dell’esercizio scaduto al 31 dicembre precedente.Sotto questo profilo, il disegno di legge di assestamento si connette funzionalmente con il rendiconto del bilancio relativo all’esercizio precedente: l’entità dei residui attivi e passivi sussistenti all’inizio dell’esercizio finanziario, che al momento dell’elaborazione e approvazione del bilancio di previsione è stimabile solo in misura approssimativa, viene, infatti, definita in assestamento sulla base delle risultanze del rendiconto.