ARCOBALENO 4 2012 ok - aido.it · Prof. Antonio FAMULARI - Regioni Abruzzo e Molise Dott. Angelo...

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Irene Ferri E’ impor- tante che ciascu- no di noi possa decidere in consa- pevolezza e libertà di donare i propri organi quando sarà morto e consentire così a qualcun altro di continuare a vivere. Magari questo qualcun altro è anche più giovane di noi e il nostro gesto gli darà speranza. Attrice Sisma 2012 Fondo A.I.D.O. La Giunta di Presidenza Nazionale ha istituito un Fondo per sostenere in ma- niera prioritaria il ripristino di tutte le attività associati- ve nei territori colpiti dal sisma del maggio scorso e per provvedere al finanzia- mento di progetti specifici di importanza sociale, in accordo con le Sezioni delle Provincie colpite. Sostieni questa iniziativa versando il contributo che riterrai opportuno sui sot- toindicati conti correnti in- testati ad A.I.D.O. Nazio- nale, specificando nella causale CONTRIBUTO PER SISMA. C/C Bancario IBAN IT04J0200803295000004780281 C/C Postale IBAN IT66T0760103200000061589768 L ’etica è il primo argine all’illegalità. Nei contesti professionali non può mai essere vista come un “di più”: non è un obiettivo fra gli altri, ma ciò che deve fare da sfondo a ogni progetto, a ogni investimento e scelta stra- tegica. Essa è il fine di un’attività professionale, raggiungibile solo se le persone che coinvolge (i dipendenti, i collaboratori) sono a loro volta fi- ne, e mai strumento. Il nostro lavoro è “etico” quando non presta il fianco ai compromessi, alle scorciatoie, alle pre- potenze di chi vuole calpestare i diritti in nome del privilegio. Dunque non solo “etica nelle professioni”, ma etica come professione di tutti. Tutti, senza eccezioni, dovremmo diventare dei “professionisti” dell’etica, cioè mettere le nostre migliori capacità, conoscenze e competenze al servizio di un rinnovamento etico, culturale, so- ciale dei contesti in cui viviamo, tanto nella vita privata, come in quella lavorativa e pubblica. La parola professione deriva dal verbo professare, che in latino significa “confessare pubblicamen- te” (un’appartenenza religiosa, un’opinione… e quindi significa insegnare). Assumere l’etica co- me professione significa manifestarla pubblica- mente, renderla visibile in ogni nostro compor- tamento, insegnarla, educandoci a vicenda. Trimestrale dell’Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule- Medaglia d’Oro al Merito della Sanità Pubblica - Reg.Tribunale di Roma n° 224/98 del 19 maggio 1998 Iscritto al Registro Stampa del Garante per l’Editoria - Tariffa R.O.C. - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Roma. Direzione: Via Silvio Pellico 9 - 00195 Roma - Tel. 06/3728139 - Fax 06/37354028 - Internet: http://www.aido.it - [email protected] Si contribuisce alle spese di stampa come amici: Abbonamento 12,00 - Soci Ordinari 26,00 - Sostenitori 52,00 - Versamenti sul c/c postale n. 1007977604 intestato a L’ARCOBALENO - Via Silvio Pellico 9 - 00195 Roma oppure sul c.c. intestato a Aido Nazionale - Unicredit - IBAN: IT04J0200803295000004780281 L’ARCOBALENO per una cultura della donazione Una “banca” per la sicurezza dei trapianti Ricostituita la Consulta Tecnica permanente per i trapianti di Nadia Pietrangeli ____________________________________________ a pag. 2 In questo numero: Anno 15 - n. 4 Dicembre 2012 L’etica della responsabilità LUIGI CIOTTI A febbraio 2013 saranno passati quarant’anni dalla costituzione della nostra Associazione. Quarant’anni in cui i volontari hanno raccolto adesioni, stimo- lato riflessioni, coinvolto strutture mediche e scolastiche. Come tutte le creature che crescono, quarant’anni di vita hanno segnato successi, lotte, ma anche fisiologiche “crisi d’identità”. Passaggi obbligati che hanno visto cambiare, certamente, ma anche rafforzare il nostro ruolo. L’impegno sociale, disinteressato e assolutamente gratuito, che i volontari offrono e sempre hanno offerto, rimane il nostro punto di forza: un’associa- zione che parla per i malati, portavoce di esigenze e bisogni altrui. Ma anche sincero stimolo, nelle sue attività, per la prevenzione medica ed igienica che possa aggiungere utile contributo alla crescita non più solo emotiva - come si usava quarant’anni or sono - ma anche sociale del Paese. Una crescita di cui la società ci è grata: siamo l’unica nazione ad avere una as- sociazione di volontariato (che non sia di autotutela) volta al rispetto dei dirit- ti dei malati, persone in questo caso affette da gravi insufficienze d’organo, con una capillare attività informativa sul territorio. 26 febbraio 1973 – 26 febbraio 2013 40 anni di A.I.D.O. Il cinema e i trapianti di Vincenzo Passarelli ____________________________________________ a pag. 4-5 forum • forum il valore della donazione

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Irene FerriE’ impor-

tante che ciascu-no di noi possadecidere in consa-pevolezza e libertà

di donare i propri organi quandosarà morto e consentire così aqualcun altro di continuare avivere. Magari questo qualcunaltro è anche più giovane di noie il nostro gesto gli daràsperanza.

Attrice

Sisma 2012Fondo A.I.D.O.La Giunta di PresidenzaNazionale ha istituito unFondo per sostenere in ma-niera prioritaria il ripristinodi tutte le attività associati-ve nei territori colpiti dalsisma del maggio scorso eper provvedere al finanzia-mento di progetti specificidi importanza sociale, inaccordo con le Sezioni delleProvincie colpite.Sostieni questa iniziativaversando il contributo cheriterrai opportuno sui sot-toindicati conti correnti in-testati ad A.I.D.O. Nazio-nale, specificando nellacausale CONTRIBUTOPER SISMA.

C/C BancarioIBAN

IT04J0200803295000004780281

C/C PostaleIBAN

IT66T0760103200000061589768

L ’etica è il primo argine all’illegalità. Neicontesti professionali non può mai esserevista come un “di più”: non è un obiettivo

fra gli altri, ma ciò che deve fare da sfondo aogni progetto, a ogni investimento e scelta stra-tegica. Essa è il fine di un’attività professionale,raggiungibile solo se le persone che coinvolge (idipendenti, i collaboratori) sono a loro volta fi-ne, e mai strumento.Il nostro lavoro è “etico” quando non presta ilfianco ai compromessi, alle scorciatoie, alle pre-potenze di chi vuole calpestare i diritti in nomedel privilegio.Dunque non solo “etica nelle professioni”, maetica come professione di tutti.Tutti, senza eccezioni, dovremmo diventare dei“professionisti” dell’etica, cioè mettere le nostremigliori capacità, conoscenze e competenze alservizio di un rinnovamento etico, culturale, so-ciale dei contesti in cui viviamo, tanto nella vitaprivata, come in quella lavorativa e pubblica.La parola professione deriva dal verbo professare,che in latino significa “confessare pubblicamen-te” (un’appartenenza religiosa, un’opinione… equindi significa insegnare). Assumere l’etica co-me professione significa manifestarla pubblica-mente, renderla visibile in ogni nostro compor-tamento, insegnarla, educandoci a vicenda.

Trimestrale dell’Associazione Italiana per la Donazione di Organi, Tessuti e Cellule- Medaglia d’Oro al Merito della Sanità Pubblica - Reg.Tribunale di Roma n° 224/98 del 19 maggio 1998 Iscritto al Registro

Stampa del Garante per l’Editoria - Tariffa R.O.C. - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. In L. 27/02/2004 n° 46) art. 1 comma 1, DCB Roma. Direzione: Via Silvio Pellico 9 -

00195 Roma - Tel. 06/3728139 - Fax 06/37354028 - Internet: http://www.aido.it - [email protected] Si contribuisce alle spese di stampa come amici: Abbonamento € 12,00 - Soci Ordinari € 26,00 - Sostenitori€ 52,00 - Versamenti sul c/c postale n. 1007977604 intestato a L’ARCOBALENO - Via Silvio Pellico 9 - 00195 Roma oppure sul c.c. intestato a Aido Nazionale - Unicredit - IBAN: IT04J0200803295000004780281

L’ARCOBALENOper una cultura della donazione

Una “banca” per lasicurezza dei trapianti

Ricostituita la ConsultaTecnica permanente peri trapiantidi Nadia Pietrangeli____________________________________________ a pag. 2

In questo numero:

Anno 15 - n. 4 Dicembre 2012

L’eticadella responsabilità

LUIGI CIOTTI

A febbraio 2013 saranno passati quarant’anni dalla costituzione della nostraAssociazione. Quarant’anni in cui i volontari hanno raccolto adesioni, stimo-lato riflessioni, coinvolto strutture mediche e scolastiche. Come tutte le creature che crescono, quarant’anni di vita hanno segnatosuccessi, lotte, ma anche fisiologiche “crisi d’identità”. Passaggi obbligati chehanno visto cambiare, certamente, ma anche rafforzare il nostro ruolo.L’impegno sociale, disinteressato e assolutamente gratuito, che i volontarioffrono e sempre hanno offerto, rimane il nostro punto di forza: un’associa-zione che parla per i malati, portavoce di esigenze e bisogni altrui. Ma anchesincero stimolo, nelle sue attività, per la prevenzione medica ed igienica chepossa aggiungere utile contributo alla crescita non più solo emotiva - comesi usava quarant’anni or sono - ma anche sociale del Paese. Una crescita di cui la società ci è grata: siamo l’unica nazione ad avere una as-sociazione di volontariato (che non sia di autotutela) volta al rispetto dei dirit-ti dei malati, persone in questo caso affette da gravi insufficienze d’organo,con una capillare attività informativa sul territorio.

26 febbraio 1973 – 26 febbraio 201340 anni di A.I.D.O.

Il cinema e i trapiantidi Vincenzo Passarelli____________________________________________ a pag. 4-5

f o r u m • f o r u m

il valore della donazione

Una “banca” per la sicurezza dei trapiantiIl Centro nazionale trapianti designato “collaborating centre” dell’Oms nel campo della vigilanza

e sorveglianza di cellule, tessuti e organi di origine umana e utilizzati per scopi terapeutici.

Il 14 novembre scorso hapreso il via ufficialmente ilprimo database mondiale,denominato ‘Notify Li-brary’, (www.notifyli-brary.org) sugli eventi e rea-zioni avverse nei trapiantid’organi, tessuti e cellule.L’annuncio a Roma in oc-casione del meeting inter-nazionale sulla sicurezza neitrapianti, promosso dal-l’Organizzazione Mondialedella Sanità (OMS) in col-laborazione con il CentroNazionale Trapianti(CNT). Notify Library è laprima ‘biblioteca digitale’,di pubblica consultazione,che raccoglie circa 2.000pubblicazioni scientifichesugli eventi e reazioni av-verse in seguito a trapiantodi organi, tessuti e cellule.La Notify Library, coordi-nata dall’OMS e sviluppata dal CNT, nasce dalla collaborazione di oltre 150 medici, scienzia-ti e rappresentanti istituzionali di 40 diverse nazioni con l’intento di realizzare il primo data-base mondiale in grado di riunire l’esperienza sugli eventi e le reazioni avverse nei trapianti.Cinque i gruppi di lavoro: infezioni, tumori, genetica, donazioni da vivente e lavorazione. Lefonti utilizzate sono pubblicazioni scientifiche e report dei sistemi di vigilanza dei vari Paesi.La realizzazione di questa ‘biblioteca digitale’, rappresenta un concreto passo avanti per pro-muovere la sicurezza e la qualità nelle procedure di donazione e trapianto a livello mondiale.

Al Centro nazionale tra-pianti è stato assegnato,per i primi cinque anni, ilcompito di “collaboratingcentre” dell’Oms nel cam-po della vigilanza e sorve-glianza di cellule, tessuti eorgani di origine umana eutilizzati per scopi terapeu-tici. Spetterà ad AlessandroNanni Costa, direttore delCnt, guidare e coordinarele attività di collaborazionecon l’Oms. Tra queste, larealizzazione di un databa-se per la Notify Library cheraccolga i casi riportati inletteratura degli eventi av-versi, secondo le indicazio-ni emerse negli incontri diBologna e Ginevra, quan-do tra 2010 e 2011 furonoposte le basi dell’interoprogetto. Fu la 63ma As-semblea mondiale del-

l’Oms a dar mandato all’Organizzazione stessa, nel maggio 2010, di «facilitare l’accesso de-gli Stati membri a informazioni adeguate sulla donazione, lavorazione e trapianto di cellu-le, tessuti e organi di origine umana, inclusi i dati sugli eventi e le reazioni avverse gravi».In seguito a questa risoluzione, l’Oms, il Cnt e il progetto europeo “Soho V&S” hannomesso insieme le forze per realizzare “Notify”, coinvolgendo esperti internazionali nel coor-dinamento di 10 gruppi di lavoro chiamati a raccogliere dati relativi al proprio settore dicompetenza.

L’ARCOBALENO

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di NADIA PIETRANGELI

Il 23 novembre u.s., il Ministro della salute ha firmato il decreto per la ricostituzione dellaConsulta tecnica permanente per i trapianti. La “Consulta”, ha il compito di predisporre gli indirizzi tecnico-operativi per lo svolgimentodelle attività di prelievo e di trapianto di organi e di svolgere funzioni consultive a favore delCentro nazionale per i trapianti.

La nuova Consulta è composta da:- Dott.ssa Monica BETTONI, Direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, o un suo delegato;- Dott. Alessandro NANNI COSTA, Direttore generale del Centro nazionale per i trapianti;

dai coordinatori dei centri regionali e interregionali per i trapianti e dai rappresentanti diciascuna delle Regioni che abbia istituito un centro interregionale:

Prof. Antonio FAMULARI - Regioni Abruzzo e MoliseDott. Angelo SARACINO - Regione BasilicataDott. Bruno GIACON - Provincia autonoma di BolzanoDott. Pellegrino MANCINI - Regione CalabriaProf. Claudio NAPOLI - Regione CampaniaDott.ssa Lorenza RIDOLFI - Regione Emilia RomagnaDott.ssa Antonella BULFONE - Regione Friuli Venezia GiuliaProf. Domenico ADORNO - Regione LazioDott. Sergio VES CONI - Regione LombardiaDott. Duilio TESTASECCA - Regione MarcheDott.ssa Egidia COFELICE - Regione MoliseDott. Piero BRETTO - Regione PiemonteProf. Francesco Paolo SCHENA - Regione PugliaProf. Carlo CARCASSI - Regione SardegnaDott. Vito SPARACINO - Regione Siciliana

Dott. Giuseppe BOZZI - Regione ToscanaDott.ssa Lucia PILA TI - Provincia autonoma di TrentoProf. Cesare GAMBELUNGHE - Regione UmbriaProf. Francesco CALABRO’ - Regione Veneto

da tre clinici esperti in materia di trapianti di organi e di tessuti:

Dott. Pietro Paolo DONADIO, Direttore della Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazionedell’Azienda Ospedaliera Città della Salute e della Scienza di Torino;Prof. Luigi Rainiero FASSATI, Professore emerito di Chirurgia presso la Facoltà di Medicina eChirurgia dell’Università degli Studi di Milano;Prof. Alessandro RAMBALDI, Direttore U.S.C. Ematologia, Azienda Ospedaliera OspedaliRiuniti di Bergamo;

da tre esperti delle associazioni nazionali che operano nel settore dei trapianti e della pro-mozione delle donazioni:

Dott.ssa Valentina P ARIS, Presidente dell’ Associazione Nazionale Emodializzati (ANED);Dott. Vincenzo PASSARELLI, Presidente dell’ Associazione Italiana per la Donazione di Or-gani, tessuti e Cellule (A.I.D.O.);Avv. Paola DE ANGELIS, Presidente dell’ Associazione Donatori Midollo Osseo (ADMO).

I componenti della Consulta durano in carica due anni, a decorrere dalla data del presentedecreto, rinnovabili alla scadenza. Ai fini dell’istruttoria tecnica e dell’approfondimento dispecifici temi, la Consulta può costituire nel proprio ambito sottocommissioni o gruppi di la-voro. Il Direttore del Centro nazionale per i trapianti ha facoltà di invitare a partecipare ai la-vori della Consulta, su convocazione del Presidente, esperti di altre Istituzioni, ove lo richie-dano gli argomenti in trattazione. La Consulta opera presso il Centro nazionale per i trapian-ti, istituito presso l’Istituto Superiore di Sanità.

Ricostituita la Consulta Tecnicapermanente per i trapianti

Era il Novembre del 1999 e da qualche giorno ero stato as-sunto come infermiere di sala operatoria presso l’Istituto Me-diterraneo Trapianti di Palermo. Tutto era interessante e tut-to mi affascinava. I colleghi più esperti, quelli che erano statia Pittsburgh prima di me, erano determinati nel voler trasfe-rire la loro esperienza e le loro conoscenze a noi nuovi assun-ti. Eravamo molto concentrati sul training che già si annun-ciava pesante ed impegnativo, ancor più che i nostri colleghid’oltreoceano non parlavano una parola d’italiano. Abituatoall’ambiente ospedaliero, frequentato durante il tirocinio in-fermieristico, mi sentivo su un altro pianeta. Uno tra i mieicolleghi più esperti era stato designato come mio “precep-tor”, ma l’intensa attività spesso ci impediva di trascorrere in-sieme il tempo sufficiente a rispondere alle mille domandeche avrei voluto fare.

Ed ecco che spesso mi trovavo affiancato dai colleghi ameri-cani che nonostante l’ostacolo della lingua non demordevanodal tentativo di trasmettermi un nuovo metodo assistenziale,basato sulla centralità del paziente, sulla comunicazione esull’applicazione di “Policy & Procedures” a cui tenevanotanto. Ho scoperto che il piano di nursing studiato a scuolanon era pura teoria ma poteva essere applicato, bastava voler-lo, bastava lavorare in team con dei colleghi collaboranti e unambiente idoneo, dove l’infermiere era finalmente considera-to non più un subalterno del medico ma un professionistacon la sua dignità e la sua autonomia, dotato di conoscenzeed abilità pratiche ma sopratutto di “Critical Thinking” e diquelle che amavano definire “Non Thecnical Schills”.

Dovetti familiarizzare con “Emtek”, la cartella clinica infor-matizzata (rigirosamente in inglese), nonché con svariate“picklists” e “checklists” che contornavano il lavoro quotidia-no dandoci un metodo sicuro e preciso, dove l’errore nonscaturiva dalla casualità ma dalla volontà di qualcuno a nonseguire le regole, troppe regole alle quali dovevamo abituarcima delle quali oggi non sapremmo fare a meno. In questocontesto di crescita, di entusiasmo e di amore verso una pro-fessione che finalmente aveva la possibilità di esprimersi, ar-riva la drammatica notizia che prima o poi mi attendevo: do-

vevamo recarci, per effettuare un prelievo d’organi, pressol’Ospedale Civico di Palermo dove si era appena conclusal’osservazione di un donatore multiorgano.

Per me, che l’essere infermiere aveva sempre significato com-battere per la vita partendo dalla vita, si apriva una nuova di-mensione, quella della sconfitta e dell’accettazione, da cuipoter trarre beneficio per altri innumerevoli pazienti biso-gnosi di aiuto. Insieme cercavo di comprendere il gesto diamore e la sofferenza di quei parenti che in un momento cosìdifficile erano riusciti a dire si. Ho impiegato qualche oraprima di elaborare la mia teoria, quella del dovere e dell’im-pegno a cui ciascun infermiere è chiamato deontologicamen-te e professionalmente.

Come potevo rendermi utile? Cosa era opportuno fare? Misentivo inadeguato a gestire una situazione così grande madovevo impegnarmi responsabilmente in quel difficile com-pito. Dovevo agire professionalmente e diligentemente e do-vevo farlo nel migliore dei modi e nel più breve tempo possi-bile.

I primi donatori erano una importantissima opportunità ditraining per tutti noi neoassunti, bisognava osservare, colla-borare, prendere appunti, studiare, individuare le carenze perporvi rimedio ed essere sempre più pronti la prossima volta.In quella occasione il mio compito era quello di preparare ilsetting della sala operatoria, i tavoli chirurgici, lo strumenta-rio, il materiale occorrente all’intervento. Ben presto mi resiconto che il prelievo d’organo, per molti aspetti consideratoun intervento di secondaria importanza rispetto a quelli ef-fettuati sui pazienti “in vita”, era invece un intervento delica-to e importantissimo perché fondamentale per la riuscita deitrapianti, specie riguardo ad alcuni aspetti fondamentali co-me il mantenimento della sterilità, la gestione degli organi, lariduzione dei tempi di ischemia.

La figura infermieristica, come nella maggior parte dei set-ting assistenziali, anche in quello della donazione giocava unruolo fondamentale. Allora occorreva imparare bene, elabo-

rare conoscenze ed esperienze, mettere nero su bianco e tra-sferire queste conoscenze a tutti i colleghi che con lo stessoentusiasmo e la stessa dedizione si sarebbero occupati di pre-lievo d’organi. Furono scritte checklist e protocolli di gestio-ne, utilizzati sia per lezioni interne ai colleghi neoassunti, siaall’esterno dell’ospedale in diverse opportunità formativepromosse dal nostro Centro Regionale Trapianti (CRT).

Sono passati diversi anni e da allora siamo stati in tanti ospe-dali in Italia, in Grecia, a Malta ma anche in Israele, ex Jugo-slavia ed altre Nazioni fuori dal continente europeo. Ogniposto è diverso dall’altro, con diverse disponibilità di mezzi,risorse, conoscenze ed esperienze ma tutti sono accomunatidallo stesso denominatore, ossia una disponibilità incondi-zionata verso un obiettivo comune: far si che il prelievo vadaa buon fine e che gli organi giungano in buone condizioni alsito del trapianto.

Non voglio tralasciare un aspetto importantissimo, difficileda trasmettere e quasi impossibile da insegnare, perché diret-tamente influenzato dalla sensibilità e dal vissuto di ciascunodi noi, ossia il rispetto per il donatore e per il gesto bellissi-mo della donazione. Anche se il consenso viene dato dai fa-miliari, tale gesto rimane espressione del modo d’essere dicolui che donando gli organi dà la possibilità ad altri pazien-ti, indifferentemente adulti o bambini, di migliorare il pro-prio stato di salute. Già dal mio primo donatore questo ri-spetto mi imponeva un’attenzione particolare in ogni piccologesto che compivo ed in particolare in quello scambio disguardi all’uscita dalla sala operatoria tra noi ed i familiaridel donatore. Tante volte avrei voluto fermarmi, parlare conloro, ringraziarli del bellissimo gesto compiuto, rassicurarlisulla destinazione degli organi, ma sapevo benissimo che nonci era consentito. Ed ecco che allora parlavano gli sguardi, lacompostezza, il rispetto, un sorriso di gratitudine in un maredi dolore.

www.timeoutintensiva.it, N°20

* Nurse Educator ISMETT

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L’ARCOBALENO

“Mi ricordo... il mio primo prelievo d’organo”di GIANCARLO CAPPELLO*

Il 27 novembre scorso è morto a Boston , all’età di 93 anni,Joseph Murray, il chirurgo che nel dicembre del 1954, portòa termine con successo il primo trapianto di reni tra gemelli(i gemelli Herrick) della storia, presso il Peter Pickle BentBrigham Hospital. Nel 1959, eseguì il primo allotrapianto e,nel 1962, il primo trapianto di rene prelevato da un cadave-re. Negli anni successivi, Murray divenne uno dei principalispecialisti nei campi della biologia dei trapianti, dell’uso delletecniche di immunosoppressione e degli studi sui meccani-smi di rigetto. Negli anni sessanta, la scoperta di medicinalianti-rigetto come l’azatioprina gli permise di effettuare tra-pianti da donatori senza vincoli di parentela con i riceventi.Grazie a questi studi nel 1990 aveva ricevuto l’importante ri-conoscimento del Nobel insieme a Edward Donnal Thomas,morto anche lui appena un mese.L’idea che ha portato alla tecnica che oggi si usa in quasi tuttigli ospedali gli venne alla fine della seconda guerra mondiale,

quando venne arruolato come medico dell’esercito: in quelperiodo Murray usava la pelle dei soldati morti per curare leustioni dei soldati ancora vivi. Da lì nacquel’interesse per la ricostruzione facciale e per lapossibilità di trapiantare organi.

Come si può immaginare, questo tipo di ope-razione venne accolto sia da medici che dallasocietà con un po’ di timore. Lo stesso Murraydichiarò in un intervista del 2001 al New YorkTimes che prima dell’intervento che lo portòalla storia fu tormentato dai dubbi: “Dovevoprendere una persona perfettamente sana esottoporla ad un’operazione complicata nonper il suo bene, ma per il bene di qualcun altro”, disse. “Cidissero che stavamo giocando a fare Dio”. Per fortuna le per-plessità e le critiche non fermarono il medico e il suo team:

“Non dimenticherò mai l’eccitazione collettiva che scoppiòin sala operatoria quando il sangue cominciò a circolare nel

rene appena trapiantato, e le urine a passarciattraverso come se fosse sempre stato lì”, con-cluse.

Dopo la pensione lo scienziato è stato spessochiamato a intervenire a convegni e momentidi formazione per i giovani medici. Quandoparlava con gli studenti era solito ricordareloro di “tenere sempre a mente che il loro la-voro è quello di aiutare i pazienti”. E di solitoconcludeva dicendo: “è il momento miglioredi sempre per essere un medico, perché ab-

biamo sviluppato terapie per condizioni che prima eranoassolutamente senza speranza. E invece oggi riusciamo a cu-rarle”.

Addio al professor Joseph MurrayA lui si deve il primo trapianto di rene nel 1954

La testimonianza

Negli ultimi quarant’anni il cinema si è fatto portatore di te-mi che hanno a che fare con lo sviluppo tecnologico da unlato e l’emergere di domande sempre più urgenti sul pianodell’etica e della morale. Il cinema è una sorta di cartina ditornasole che evidenzia con chiarezza le forze nascoste e nonche agitano la nostra realtà se ne fa portavoce, ci offre storieche ci riguardano e rispetto alle quali ci dobbiamo confron-tarci. Ogni film è infatti un crocevia di domande più o menorilevanti che sollecitano lo spettatore alla riflessione.

“E la vita continua”Il corto della durata di 20 minuti, diretto da Pino Quartullo eprodotto da Girolamo Sirchia in collaborazione con Nicola Li-guori e Tommaso Ranchino, vede la partecipazione di un castd’eccezione tra cui spiccano Ricky Tognazzi, Francesco Panno-fino, Andrea Dianetti, Ludovico Fremont, Cesare Bocci, Lau-ra Lattuada, Emanuela Rossi e Saverio Deodato Dionisio.E’ stato concepito come un’opera di marketing sociale e diimportanza nazionale trattando il tema della donazione de-gli organi e dei trapianti. L’iniziativa si iscrive nel program-ma di marketing sociale voluto fortemente dal Professor Gi-rolamo Sirchia (ex Ministro della Salute), al fine di promuo-

vere cambiamenti per indurre nella popolazione comporta-menti utili alla collettività, utilizzando strumenti e tecnichedella pubblicità commerciale mutuate dal mondo cinemato-grafico.“ E’ stato un lavoro importante e stimolante che prende an-cora più sostanza con la presentazione al Festival di Venezia -sostiene il produttore esecutivo Nicola Liguori - infatti ab-biamo cercato di affinare il maggior possibile il tema socialeal linguaggio cinematografico, rendendolo il più possibile at-traente con un messaggio nascosto e non implicito come avolte accade per gli spot commerciali. La partecipazione diun cast d’eccezione sta proprio a significare la valenza delcortometraggio”. Un cast unico ha veramente impreziosito iltutto: da Ricky Tognazzi nel ruolo esemplare del medico, aFrancesco Pannofino padre in presa alla disperazione che siconvince grazie a Andrea Dianetti (nel ruolo di Adriano) cheha confermato ancora una volta le sue indiscusse qualità conl’ottima prova in un ruolo essenziale per il fine dell’opera edi Ludovico Fremont, Cesare Bocci e Laura Lattuada.Importante anche la regia di Pino Quartullo che ha intesoaffrontare questo tema in modo nuovo e originale in un cor-

tometraggio che, grazie alla brillante sceneggiatura, al cast dialtissimo livello, alla fotografia avvincente ed emozionante,saprà attrarre ed emozionare un pubblico sempre più esigen-te e partecipativo, attento alle tensioni e alle esigenze del no-stro tempo. “Lo scopo del corto – ha dichiarato Quartullo -è proprio quello di porre lo spettatore di fronte a un quesitocosì importante, di farlo immedesimare a tal punto da chie-dersi: ‘Come mi comporterei se mi trovassi in una situazionecome questa?’”.Per il Professor Girolamo Sir-chia, produttore del corto e fon-datore del NITp, parlare di do-nazione e di trapianto di organiraccontando, attraverso le imma-gini, una storia di vita quotidia-na “può aiutare lo spettatore arecepire il messaggio, che passaattraverso le cellule emozionalidel cervello e per questo rimaneimpresso. Sebbene la rete dei tra-pianti in Italia funzioni anchepiuttosto bene le persone che

hanno necessità di tra-pianto sono tante e le li-ste d’attesa lunghissime.C’è bisogno di maggio-re consapevolezza persuperare ancora le reti-cenze delle famiglie ita-liane che, a volte, anche di fronte al consenso del-l’interessato, decidono di rifiutare il prelievo”. Profanazione del corpo, paura del commercio di or-gani o che il defunto possa riaversi, fra le ragioniprincipali di questo rifiuto: “La legge italiana prevedeche l’ultima parola spetti comunque ai familiari” con-tinua Sirchia, “andrebbe perfezionata, per far sì che ilvolere del donatore sia rispettato e sia vincolante”. Èanche questo lo scopo di questo cortometraggio:“Venti minuti che parlano d’attualità - spiega PinoQuartullo - Ho voluto che non fosse uno spot, ma un

momento di cinema. Per questo sono partito da un’esperienzache ho vissuto: l’aver conosciutoun ragazzo, un attore, che avevariavuto la vita a seguito di un tra-pianto di fegato. Da lì sono parti-to per raccontare la storia di que-sto bagnino che vittima di un in-cidente restituisce con i suoi orga-ni la vita a un attore gravementemalato”. E il momento più dram-matico è quello in cui la famigliadel ragazzo deve decidere se pro-cedere o meno con l’espianto:“Lo scopo del corto - continuaQuartullo - è proprio quello diporre lo spettatore di fronte a unquesito così importante, di farloimmedesimare a tal punto dachiedersi: ‘Come mi comportereise mi trovassi in una situazionecome questa?’”.

La storiaLorenzo, giovane laureato in filosofia, d’estate lavora comebagnino. Attilio è un noto attore che soffre di una grave pa-tologia epatica. Le loro vite s’incrociano in modo tragico emeraviglioso allo stesso tempo, attraverso la donazione del-l’organo del ragazzo improvvisamente scomparso a causa diun incidente con la moto. Attraverso la sensibilizzazione che

il migliore amico di Lorenzo, Adriano, giovane speaker ra-diofonico, mette in atto nei confronti della famiglia, inizial-mente contraria, e al lavoro del personale del Nord ItaliaTransplant, i familiari di Lorenzo acconsentono alla donazio-ne degli organi. Grazie a questo gesto generoso, Attilio dopo una estenuanteattesa, sempre sostenuto dalla moglie Giovanna e dal figlioSandro, torna a vivere e a regalare al pubblico la sua arte e al-la sua famiglia la passione per la vita. Nel tramonto di Loren-zo, c’è una nuova alba per Attilio, che lo fa sopravvivere eter-namente grato a chi ha compiuto un gesto che regala la vita,la donazione degli organi.

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a cura di VINCEN

Il cinema eDue recenti “corti”affrontano il tem

“E la vita continua’, presentato a settembre alla 69 Moe “Il turno di notte lo fanno le stelle”, presentato a o

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NZO PASSARELLI

e i trapiantima della donazione e del trapianto:ostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Veneziaottobre al Festival internazionale del film di Roma.

“Il turno di notte lo fanno le stelle”Il corto di 23 minuti, è tratto dall’omonimo racconto in forma di sceneggiatura di Erri DeLuca. E’ diretto da Edoardo Ponti e prodotto da Silvia Bizio e Paola Porrini Bisson tramite la lorocompagnia OH!PEN. Il film è stato girato sulle Dolomiti della Val di Fassa, sul Passo Por-doi, sul Col Rodella, al Rifugio Vajolet e Salei, a Soraga e Rovereto, con un cast internazio-

nale composto da Nastassja Kinski, Julian Sands ed EnricoLo Verso. Lo stesso De Luca appare nel ruolo del gestoredel rifugio, Lois. “Il turno di notte lo fanno le stelle” è di-stribuito in versione “cofanetto” da Feltrinelli, insieme al“making of ” e al documentario “Conversazioni all’ariaaperta. E’ recitato in italiano e in inglese.

Il corto e il documentario intendono non solo essere unadoppia produzione cinematografica di indubbia presa nelcircuito dei festival e della televisione, ma anche una fontedi divulgazione e consapevolezza sul tema della donazionedegli organi. Infatti il documentario “Conversazioni all’a-ria aperta”, che accompagna il corto nel cofanetto Feltri-nelli, conduce i protagonisti a riflettere sulle tematiche daesso sollevato (trapianto e donazione d’organi, la monta-gna, il rapporto uomo/donna e uomo/natura), offrendouno sguardo ravvicinato sulla vita e il pensiero di De Luca

e l’intero cast. De Luca è infatti il filo conduttore di una serie di incontri e dialoghi all’ariaaperta nella spettacolare cornice delle montagne del Trentino. Si alternano divagazioni a mo-menti intimistici di grande spontaneità di fronte a una tazza di caffè o un vin brulè. Un in-contro a casa della poetessa Roberta Dapunt e dello scultore Lois Anvidalfarei, passeggiatecon celebri scalatori come Pietro Dal Pra, donatore di midollo osseo e presidente dell’Asso-ciazione per i Trapianti, Nives Meroi e Romano Benet.

La storiaMatteo (Lo Verso) ha subito un trapianto di cuore: in petto ha ora il cuore di una giovanedonna. Ed è con Sonia (Kinski), una donna conosciuta in ospedale, che Matteo andrà a ri-prendersi la vita in cima a una montagna, scalandola.Uno straordinario racconto dove ogni battito del cuore ha un suono mai udito prima. Il ma-rito della donna, Mark (Sands) è preoccupato per lei: teme che la fatica sia prematura. Lei lorassicura: è pronta a realizzare il voto da lei fatto con Matteo quando erano ancora in ospeda-le. Una promessa di guarigione e celebrazione col sole e le stelle come silenziose testimoni.

Dal “Monologo sul dono”Dice un verso di Kohèlet Ecclesiaste: manda il tuo pane sopra i volti delle acque, lancialo allacorrente, a sasso, al mondo, il pane, il tuo indispensabile, il dono di se stessi, del propriotempo, del proprio sangue, di un organo, della vita tutta intera, non esiste offertà così privadi tornaconto…

… Ecco che questi versi raccontano dell’economia sovversiva del dono, del gratis, dello spa-riglio che riceve in cambio una restituzione gigantesca.Questa è l’economia del dono che butta a gambe all’aria i pareggi del bilancio, le partitedoppie dare e avere, grazie al gratis, si tratta del dono da vita a vita.

Racconta un vecchio apologo che l’inferno è una tavolata dove ciascuno sta davanti a unaciotola di riso e ha come strumenti dei bastoncini ma che sono troppo lunghi, smisurati, cosìnessuno riesce a mangiare. Il paradiso è la stessa tavolata, con la stessa ciotola di riso e glistessi bastoncini lunghi ma dove tutti si nutrono perché ciascuno con quei bastoncini nutrequello che gli sta di fronte. Non è utopia, esiste già l’economia del dono e il mondo già si regge sul mutuo soccorso, sul-l’offerta del proprio tempo libero, del proprio sangue, degli organi, della vita stessa.Non è utopia, esiste già.E quando sparirà il sistema artificiale delle monete resterà l’economia del dono, resisterannoquelli che l’avranno saputa praticare.

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Nella tradizione religiosa, per esempio quella islamica, co-me è concepito il corpo?Il concetto di corpo nella cultura islamica è legato ai precettidi purezza e impurità, halal e haram e alla sua dimensione sa-cra (che rappresenta uno dei principi fondanti l’etica e la me-dicina islamica). Nell’Islam la persona umana è sacra come èsacro il suo corpo, concepito come strettamente colle-gato all’anima. Il Corano, come l’Antico Testamento,rifiuta, infatti, il dualismo cartesiano tra anima e cor-po e concepisce l’individuo come un’unità di jism(corpo fisico), nafs (anima razionale, il “sé” che dirigela parte cosciente dell’uomo) e rûh (forza vitale, soffiodivino, che ha origine nel ventricolo sinistro del cuo-re, qalb, ritenuto l’essenza dell’individuo e guida ditutto l’organismo), riflesso di una visione olistica dellacreazione (tawhid) e dell’opera divina, su cui si fondal’antropologia islamica. Come la vita, anche il corpoumano è un dono divino, di cui l’uomo non può di-sporre liberamente, se non rispondendo ai precettidella Shari’a e seguendo il concetto di amana, cioè diaffidamento da parte di Dio al suo portatore.La sacralità del corpo è rappresentata concretamenteanche dalla legittimazione o dal rifiuto di operazionidi tipo medico che possono compromettere la sua in-terezza: l’autopsia ne è un esempio. Per quanto riguar-da la sua accettazione, alcuni dotti islamici (ulama) laritengono assolutamente illecita, contraria alle prescri-zioni sharaitiche e alla sua applicazione sull’essereumano che, nascendo integro, deve poter morire allostesso modo, preservando l’inviolabilità e la sacralitàdel corpo.E i segni sul corpo, i tatuaggi, come sono stati con-siderati nel corso della storia e nelle diverse culture? «Non vi farete incisioni sulla carne per un morto enon vi farete tatuaggi». Mai come in quest’epoca ilprecetto dell’Antico Testamento (Levitico 19, 28) èstato ignorato. Basta fare un giro in una qualunquespiaggia italiana o, più semplicemente, sintonizzare latv su qualche gara sportiva o reality-show e ci si accor-ge di come sia raro, ormai, trovare un dorso o unaspalla privi di decorazione. Ma la storia del tatuaggio ha radi-ci lontane nel tempo e significati che vanno ben oltre le ba-nalizzazioni cui oggi assistiamo. I primi segni di questa prati-ca sono stati individuati nelle mummie egizie e in quelle pe-ruviane. Il più antico esempio di tatuaggio attualmente notoè stato rinvenuto sul corpo di una sacerdotessa di Hator del-l’undicesima dinastia egizia, databile intorno al 2200 a.C. Peralcune culture antiche, il tatuaggio divenne emblema dellaloro originalità, tanto che i pitti della Scozia presero questonome proprio in relazione alla ricchezza delle loro pitturecorporali mentre, secondo Erodoto, fra i traci solo gli espo-nenti delle classi sociali più basse non avevano diritto a farsitatuare. Nei primi secoli della tradizione cristiana, i fedeli si

facevano tatuare il nome o il monogramma di Cristo, sebbe-ne – come in tutti i monoteismi che criticano gli interventisul corpo volti a modificare la natura umana stabilita da Dio– i decreti dei Concili lo vietassero. In realtà, solo in epocamoderna, dalla fine del XVIII secolo, si utilizza il termine«tatuaggio», parola che deriva dalla radice polinesiana tatau,

poi mediata dal francese tatouage, mentre in greco antico siparlava di «stigma», cioè pittura con ferro rosso, marchio.Nella cultura occidentale, secondo una prima interpretazio-ne inficiata da stereotipi, il tatuaggio è stato posto in rela-zione ad ambienti estranei a una presunta normalità, percerti versi portatori di anomalia. Cesare Lombroso correlavail tatuaggio all’atavismo, interpretando questa espressionecome «riproduzione di un costume diffusissimo tra le popo-lazioni primitive e tra i selvaggi, con cui i criminali hannotanta affinità». Il tatuaggio, dunque, era emblema dell’ap-partenenza a gruppi percepiti come devianti (carcerati,esponenti di sette, marinai, mercenari). Dopo un lungo pe-riodo di marginalità, gli anni Sessanta del XX secolo hanno

visto una diffusione del tatuaggio soprattutto nel contestodei movimenti di opposizione alla guerra del Vietnam, dellalotta per i diritti civili e la libertà sessuale, di emancipazionedelle donne e degli omosessuali. Esso traduceva un simboli-smo collettivo, una cosmologia, un segno di appartenenzaidentitaria o di gruppo. Se fino a quel momento il tatuaggio

era soprattutto maschile, connotato spesso comesimbolo di aggressività, ribellione e protesta, a parti-re dagli anni Settanta si diffonde anche tra le donne,senza tener conto della reputazione che spesso deter-mina (come connotazione eversiva o di prostitute) eprivilegia non soltanto i bicipiti o i dorsi maschilima anche altre parti del corpo, così finemente deco-rate da professionisti sempre più esperti. Venendo al-l’epoca contemporanea, intanto va ricordato che iltatuaggio rimane una pratica non solo occidentale.Tutt’oggi, la zona ritenuta più ricca di tatuaggi, siaper quantità sia per complessità dei disegni, è l’O-ceania, dove antiche tradizioni di pittura sul corposono giunte intatte, nelle forme e nei simboli, fino aoggi. A Samoa, per esempio, il tatuaggio inciso sututto il corpo, denominato pe’a, viene eseguito incinque giorni perché concepito come un vero ritualedi passaggio, cui sono sottoposti i giovani che si ap-prestano a entrare nel mondo degli adulti. Nel Bor-neo esso assume significati e simbologie differentiper uomini e donne: mentre per gli uni è segno dieroismo, forza e virilità, per le altre rappresenta unsegno di appartenenza a una stirpe o una tribù, op-pure una sorta di viatico per il regno di morti. Perquanto riguarda la “nostra” società sempre più spessoc’è un impiego del tatuaggio più superficiale, perso-nale, edonistico, legato a tendenze della moda e delmercato, che ne impoverisce il significato originale.In tal senso, si è agli antipodi dei comportamenti ri-belli degli anni Ottanta e Novanta, in quanto oggigli adolescenti, condizionati dalle tendenze delmarketing, personalizzano la decorazione corporeacon immagini stereotipate e di larga diffusione.“Scriversi sul corpo” significa conformarsi al gruppo

con cui si è in relazione, proponendo le stesse immagini esimboli.

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L’ARCOBALENO

Il corpo: significati culturali e religiosi(parte seconda)

Annamaria Fantauzzi, docente di Antropologia culturale e medicapresso l’Università di Torino, nell’intervista analizza il significato del corpo

e dei tatuaggi nelle culture e nella tradizione religiosa

di MARIACHIARA GIORDA

Le Idee - Temi per riflettere

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L’attività fisica è come un vero e proprio farmaco per miglio-rare la salute e qualità di vita dei cittadini e dei pazienti. Perquesto non bisogna rinunciare a praticarla. Neanche dopoche ci si è sottoposti a un trapianto. I primi risultati del pro-tocollo di ricerca del Centro nazionale trapianti “Trapianto…e adesso sport”, presentati il 10 ottobre al ministero della Sa-lute, dimostrano infatti anche sui pazienti trapiantati lo sportmigliora la salute e la qualità di vita. Donando nuovo slancio.Lo studio ha arruolato 120 pazienti trapiantati, 60 sottopostia regolare attività fisica (3 volte alla settimana per 12 mesi)mentre agli altri 60 è stata semplicemente consigliato di pra-ticare attività fisica a domicilio. Entrambe le coorti sono statesottoposte a tre sessioni di valutazione clinica e funzionale: ainizio sperimentazione, a 6 mesi, al termine dello studio.In particolare, i risultati su 22 pazienti trapiantati (2 di fegato e20 di rene) che hanno concluso i primi sei mesi di sperimenta-zione, la regolare e controllata attività fisica ha permesso di:- ridurre la percentuale di grasso corporeo in media del 5%;- aumentare la forza degli arti superiori e inferiori in una me-dia compresa tra l’8 e il 18%;- aumentare la massima potenza aerobica del 10% e quindimigliorare i parametri cardiovascolari.La creatina diminuisce dellì8% e il colesterolo del 4%.Risultati di grande importanza se si considera che la causa dimorte per i trapianti di rene è legata nel 18% dei casi a unapatologia cardiovascolare e che nei trapiantati di cuore e fega-to le patologie vascolari, dopo il primo anno di vita del dopoil trapianto, costituiscono una delle principali case di morte.Non solo. I trapiantati a causa della terapia immunodepressi-va hanno gravi squilibri metabolici e tendono a sviluppare siaun diabete indotto dagli steroidi, sia un’arteriosclerosi preco-ce abbastanza grave. “E’ evidente quindi – ha spiegato il di-rettore del Centro nazionale trapianti Alessandro Nanni Co-sta – che se vogliamo curare i pazienti trapiantati, dobbiamointervenire sulle malattie cardiovascolari”.Ma i benefici dello sport sui pazienti trapiantati non finisco-no qui. Dopo 6 mesi di attività fisica i pazienti, infatti, perce-piscono anche un miglioramento del 9% del proprio stato di

salute fisica, del 7% del proprio stato di salute generale e unmiglioramento del 10% del benessere psico-fisico. Il dolorefisico percepito diminuisce del 5% e la vitalità cresce del 3%,così come del 5% aumenta l’attività sociale e quindi l’inte-grazione con le altre persone e il ritorno a una vita pubblicasoddisfacente come prima del trapianto. “Un soggetto tra-piantato – ha spiegato Giulio Sergio Roi, direttore del Cen-tro studi Isokinetic di Bologna – se in buone condizioni cli-niche e se adeguatamente allenato, è in grado di affrontaresenza problemi uno sforzo fisico intenso e prolungato, comeuna gran fondo di ciclismo, con tempi di recupero fisiologicidallo sforzo paragonabili a quelli dei soggetti sani”.È evidente come, quindi, un’attività fisica regolare e rigorosa-mente controllata (parliamo di palestra ma anche di disciplinecome nuoto e ciclismo) possa aiutare a migliorare il loro statodi salute e la qualità della vita. Ma se già da anni l’uso dell’at-tività fisica come farmaco era già noto per i cittadini comuni eper le popolazioni a rischio come i diabetici e i cardiopatici, ladimostrazione che questo valga anche per i pazienti trapianti èun’assoluta novità. Pazienti che quindi non vanno esclusi dalleattività fisiche, bensì incoraggiate a compierle anche se, sotto-linea Nanni Costa, “sotto rigorosa prescrizione del medicosportivo e sotto la supervisione di personale esperto”.In questo contesto il protocollo “Trapianto… e adesso sport”e il relativo studio, nati dall’iniziativa del Cnt con la collabo-razione di un gruppo di esperti di Medicina dei trapianti eMedicina dello Sport, in collaborazione con l’Università deglistudi di Bologna, il Centro Studi Isokinetic e i laureati inscienze motorie, rappresentano una prima esperienza mon-diale che potrebbe presto portare a una vera e propria som-ministrazione di “terapia di attività fisica” in tutti i trapianta-ti. In Italia le prime Regioni che hanno aderito al protocollosono state Emilia Romagna e Veneto, ma il coinvolgimento siè già esteso a Sicilia, Abruzzo, Molise, Toscana, Piemonte eP.A di Bolzano.L’obiettivo è costruire una rete multidisciplinare di esperti(trapiantologi, medici dello sport e laureati in Scienze moto-rie) che collaborino in modo sinergico accompagnando il pa-

ziente dalla prescrizione all’assunzione della giusta dose di at-tività fisica.Lo studio, infatti, pone lo sport alla stregua di una vera epropria terapia, dal momento che, ha sottolineato Nanni Co-sta, “gli effetti positivi sono misurati da evidenze scientifiche.L’attività fisica mira così a diventare una prescrizione per tuttii trapiantati”.“Bisogna sviluppare un modello organizzativo di prescrizionedi esercizio fisico ma, per farlo, è necessario anche svilupparesul territorio una rete di strutture e occasioni per fare sport”,ha affermato Pierluigi Macini, collaboratore del progetto perl’Emilia Romagna.E questo, in realtà, dovrebbe coinvolgere e valere per ciascu-no cittadino. “La sedentarietà – ha infatti ricordato DanielaGaleone, direttore dell’Ufficio II del Dipartimento della Sa-nità pubblica e Innovazione – è al mondo il 4° fattore di ri-schio per le classi meno agiate ma è tra i primi 10 fattori an-che per le classi sociali più ricche”. E quello della sedentarietàè anche un problema che riguarda tutte le classi di età. Unproblema da combattere perché, ha ricordato Galeone, neibambini lo sport favorisce lo sviluppo fisico armonico e la so-cializzazione, negli adulti fa diminuire il rischio di malattiecroniche e migliora la salute mentale, negli anziani diminui-sce il rischi di fratture, migliora la socializzazione e il deterio-ramento fisico e cognitivo, migliora la socializzazione e lapossibilità di rimanere autonomi.Il fatto, secondo Carlo Lusenti, assessore alla Salute dell’Emi-lia Romagna. è che “oggi la logica dominante per la salute èquella riparatoria e dell’emergenza, mentre la responsabilitàindividuale che ognuno di noi ha sulla propria salute è forte-mente sottovalutata. Questa realtà dovrebbe essere capovoltae ognuno di noi dovrebbe essere responsabile di sostenere ilproprio stato di salute”. Per Lusenti l’attività fisica “non è so-lo un farmaco, ma sostituisce anche il farmaco. Migliorandole condizioni di salute, si può evitare di sviluppare patologieche necessitano di assumere farmaci o, comunque, si puòavere bisogno di inferiori dosaggi di farmaci”.

Ufficio Comunicazione CNT

Dal 2 luglio al 30 ottobre sono 1.516 le dichiarazioni di volontà positive alla donazione giunte alla sede nazionale 621 Ma-schi (41) 895 Femmine (59). Risulta molto alta la percentuale delle persone che dichiarano la propria volontà nella fascia di età compresa tra i 18 e 55 anni.In particolare: dai 18 ai 35 la percentuale è pari al 51%, dai 35 ai 55 al 35%, dai 55 in poi al 13%.I testimonial finora sono 14, l’ultima immagine diffusa è quella di Maria Latella. Anche tra i testimonial, prevale la compo-nente femminile: dei 14 testimonial, 10 sono donne e 4 sono uomini.Le province più virtuose: Roma (193), Milano (108), Napoli (79), Torino (62), Salerno (41), Palermo (39), Cosenza (34), Ba-ri (34), Catania (26), Cagliari (23). Dalle statistiche fornite da Pubblicità Progresso, si può desumere che nelle realtà dove vie-ne condotta una incisiva attività associativa, i numeri non sono molto alti. Al contrario, dove l’attività associativa è carente,Pubblicità Progresso diventa un ottimo canale per dichiarare la volontà.

Aurelio Navarra

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L’ARCOBALENO

Lo sport migliora salute e qualitàdi vita dei pazienti. Lo studio del Cnt

La campagna di Pubblicità Progresso

E’ giusto che la famiglia conosca chi ha ricevutogli organi del proprio caro?

Alla ricerca dei destinatari

Circa due anni fa siamo stati colpiti da un’immensa tragedia: mio fratello Gaetano, disoli 19 anni, è morto a causa di un incidente stradale, travolto da un’auto mentre, apiedi, stava recandosi al lavoro. La sua agonia è durata due giorni. I miei genitori, co-nosciuta la gravità del caso e saputo che per Gaetano non c’era più nulla da fare, hannoacconsentito alla richiesta dei medici, dando il proprio benestare per il prelievo degliorgani. Così un rene è stato trapiantato a un giovane di 26 anni e l’altro a un ragazzi-no di 15; il cuore batte nel corpo di un uomo di 56 anni; una parte di fegato è andataa una donna di 48 anni e l’altra a una di 58. Le cornee sono state trapiantate a un uo-mo di 26 anni e a una donna di 30. La cute è conservata in attesa di trapianto.Noi vogliamo conoscere queste persone: ci aiuterebbe a superare il dolore della fine im-provvisa di Gaetano. II medico del centro trapianti, all’epoca, ci aveva detto che lestesse persone avrebbero voluto comunicare con noi per ringraziarci, ma che, a causadella legge che impone l’anonimato, non avevano potuto farlo.Mi sono allora rivolta ai giornali e a una trasmissione televisiva, invitando coloro cheavevano ricevuto gli organi da mio fratello a contattarci. Non è successo nulla. E tuttomi è parso molto strano. Ho pensato allora a due cose: o i trapianti non sono mai av-venuti o queste persone non hanno coscienza. E non pensano che devono la loro vitaalla morte di Gaetano e al grande gesto dei suoi genitori.II nobile gesto della donazione degli organi sta entrando nella nostra cultura, ma spes-so il silenzio e il non poter sapere arrecano un dolore quasi ancora più forte della per-dita del congiunto. Una parte di Gaetano vive ancora su questa terra, ma noi non lapossiamo “vedere”. Sette persone che, sino al momento della sua morte erano gravemen-te malate, ora vivono grazie a lui. Perché non possiamo sapere chi sono? Perché nel casodi Nicholas Green sono stati fatti conoscere i nomi dei trapiantati e nel nostro no? Per-ché per Nicholas non c’è stato l’anonimato e per noi si? L’anonimato, a mio parere, cideve essere solo quando una delle due parti non vuole conoscere l’altra. Noi non voglia-mo soldi, perché mio fratello non era un pezzo di ricambio. Vogliamo solo conoscerequeste persone, anche solo per telefono, per “sentire” che c’è una parte del nostro Gaeta-no che ancora vive.

MARIA A.

La risposta può suonare antipatica per la nostra lettrice e per quanti si trovasseroin una condizione analoga alla sua e, come lei, volessero far breccia nel muro di ri-servatezza che protegge i beneficiari di organi donati. Tuttavia, senza equivoci, voglio dire che questa norma è giusta. E va rispettata. Setalvolta è stato fatto qualche strappo, come nel caso celebre di Nicolas Green,bisogna riconoscere che é stato un errore. Fatto, certo, con le migliori intenzionidi promuovere una pubblicità positiva alla pratica delle donazioni di organi. Ma ilrisultato é infelice. Se non altro perché quando altri cittadini , si vedono respintala loro richiesta di conoscere i destinatari delle donazioni, hanno la sensazione chesi stia facendo loro un’ingiustizia: perché ad alcuni é concesso e ad altri no?La norma é saggia e nasce dall’esperienza. Si è verificato più volte che i familiaridel defunto si mettano alla ricerca dei destinatari dei trapianti. Le ragioni sottonobili, come quelle che esprime la nostra lettrice: vorrebbe conoscere coloro chedevono la vita o una migliore salute al fratello, deceduto in un incidente. Vorreb-be solo rendere meno straziante la propria perdita, per convincersi che, almeno,èservita a qualcosa. Ma è anche successo che la situazione sia sfuggita di mano agliinteressati, che hanno sviluppato la “sindrome del segugio” (come l’hanno chia-mata, con qualche durezza, gli psichiatn): andare a scovare gli organi trapiantatidel proprio caro é diventata un’idea fissa. E non sempre è facile tracciare una net-ta demarcazione tra le espressioni normali di nostalgia e quelle patologiche.La regola dell’anonimato è rivolta a proteggere i destinatari dei trapianti dall’essereconsiderati “contenitori” di organi altrui. Già integrare nella propria persona unorgano ricevuto in dono - specie se carico di grandi significati simbolici, come ilcuore - è un processo arduo. L’interferenza dei familiari del donatore non può checomplicare le cose. La norma della riservatezza, anche se può sembrare dura aicongiunti, è pensata anche a loro vantaggio. Li aiuta a elaborare il lutto. E’ con-solante pensare che la morte del proprio caro non è stata inutile. Ma è pur sem-pre una morte, accompagnata dai drammatici avverbi: “sempre” (morto per sem-pre) e “mai” (non lo rivedremo mai più). Chi sopravvive deve percorrere questastrada per arrivare, attraverso l’accettazione della perdita, ad aprirsi alla speranza.

Da un corpo all’altro.Storia dei trapianti da vivente

di Giulia GaleottiVita e Pensiero, Milano 2012, € 25,00

Negli ultimi sessant’anni i trapianti di rene, midollo osseo, fegato,polmone, pancreas e intestino da donatore vivente sono diventati unaconsolidata realtà medica, sociale e giuridica, offrendo opportunitàprima inimmaginabili in termini di vite salvate e salute ritrovata. Latrapiantologia da vivente, però, continua a sollevare più di una que-stione. Ad esempio la relazione tra cedente e ricevente a trapianto ef-fettuato, la discussione sugli aventi o non aventi diritto di ricevere (sipensi ai disabili, agli alcolisti, ai sieropositivi), i modi di affrontare il

gender gap (secondo le statistiche, infatti, i cedenti sono in maggior numero donne e i rice-venti uomini). E se sulla carta il legislatore richiede che a donare sia solo la persona capaced’intendere e di volere, nel concreto ci si deve confrontare con casi problematici: basti pensareal donatore minorenne, disabile mentale o concepito allo scopo. E ancora, la donazione di unorgano si può imporre? È una scelta revocabile? Per non parlare, poi, della vendita degli organiumani, opzione legale in pochissimi Paesi, tuttavia ampiamente diffusa sul mercato nero e ac-cettata socialmente da molti. Il volume di Giulia Galeotti ricostruisce, attraverso l’analisi dinumerosi casi italiani e stranieri, tutto ciò che la trapiantologia da vivente è riuscita a fare,mettendone in evidenza con grande efficacia ombre e luci, nella certezza che si tratti di un te-ma destinato ad acquistare sempre più importanza nel quotidiano

Uomini, cyborg e robot umanoidi.Antropologia dell’uomo artificialedi Antonio Marazzzi

Carocci editore, Roma 2012, € 12,00

L’uomo contemporaneo va modificando sempre più le proprie dota-zioni naturali, per correggerle, sostituirle, potenziarle. Le conseguen-ze sulla durata e la qualità della vita sono evidenti. Dalla nascita allamorte, aumentano gli interventi artificiali sul corpo e con essi lepossibilità di manipolare la nostra esistenza. I robot, non più queimostri cari alla fantascienza, assumono ruoli e funzioni umane, pro-ponendosi come interlocutori e compagni di un futuro vicino. Stia-mo passando da un’evoluzione naturale a un’evoluzione artificialedella nostra specie

Segnalazioni L’accertamento della morte e la sua storia

di Bernardino FantinirMH (Rivista per le Medical Humanities, n. 22,pag. 67-84,maggio-agosto 2012

Il dibattito sui criteri da utilizzare per accertare la morte di una personaha una storia antica, ed è stato costantemente presente, soprattutto acausa del timore e talvolta del terrore di seppellire o cremare personesolo credute morte. Pratiche religiose e mediche nei diversi periodihanno trovato soluzioni empiriche per allontanare simili dubbi. L’arti-

colo ripercorre tale storia, mostrando come nel corso del tempo il terrore di essere sepolti viviabbia lasciato il posto a quello di rimanere in uno stato di non-vita e di non-morte.

leggiamolo insieme la letteraa cura di Vincenzo Passarelli

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L’ARCOBALENO

L’ARCOBALENOper una cultura della donazioneDirettore Responsabile: LORETTA CAVARICCI

Hanno collaborato a questo numero:GIANCARLO CAPPELLO, LUIGI CIOTTI, MARIACHIARA GIORDA, AURELIO NAVARRA, VINCENZO

PASSARELLI, NADIA PIETRANGELI, ROSSELLA PIETRANGELI, UFFICIO COMUNICAZIONI CNT.

Proprietario: A.I.D.O. Via Silvio Pellico, 9 - 00195 Roma - http://www.aido.it

Tipografia: TIPOLITOGRAFIA TRULLO

Via Ardeatina, 2479 - 00134 Santa Palomba Roma - Tel. 066535677Finito di stampare nel mese di Dicembre 2012

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