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Acqua Libera Novembre 2005 Marmolada: i danni al ghiacciaio sono reali La perizia del Corpo Forestale non lascia dubbi: i danni sono reali ed irreversibili! Ora chi li ha provocati deve risarcire la collettività pubblica Nella giornata di ieri, 12 novembre, il Corpo Forestale nazionale incaricato dalla Procura della Repubblica di Trento ha portato al tavolo dei magistrati le conclusioni della perizia che riguarda i lavori di sbancamento effettuati sul ghiacciaio della Marmolada nel tratto compreso fra Seruata (2950) e Punta Rocca (3250, terzo tronco della funivia che sale da Malga Ciapèla). Nell’importante documento la forestale afferma che questi lavori hanno compromesso la capacità di recupero stagionale del ghiacciaio, che si è intaccato la coltre glaciale ben oltre la superficie nevosa, come con tempestività, determinazione e chiarezza aveva denunciato l’associazione ambientalista Mountain Wilderness (3 agosto 2005). I gatti della neve, (solo quelli?) con il loro passaggio hanno così accelerato l’agonia del ghiacciaio, lo ricordiamo, l’ultimo grande ghiacciaio presente nelle Dolomiti, area SIC tutelata dall’Unione Europea e dalle norme della legge Galasso, oltre che dal Piano Urbanistico Provinciale di Trento, un sito in procinto di essere dichiarato Patrimonio dell’Umanità tutelato dall’UNESCO. La nostra associazione rimane sconcertata dalle dichiarazioni del Presidente della società impiantistica che si ostina, anche davanti all’evidenza dei fatti, a negare il danno apportato al ghiacciaio causa comportamenti inadeguati e assolutamente privi di sensibilità e rispetto verso l’ambiente e la sacralità della montagna. Forse l’ing. Vascellari non ha ancora compreso, dopo gli scandali dei rifiuti nei crepacci in Marmolada (1988 –89), dopo lo scandalo dell’attività dell’eliski, che la Marmolada non è proprietà della sua società, ma che la sua impresa sta lavorando in concessione su una proprietà demaniale, cioè su un bene collettivo, proprietà pubblica. E’ questo atteggiamento imprenditoriale tanto spudorato e insensibile che impedisce all’ente pubblico, sia di parte veneta che trentina, di riportare in Marmolada, a vantaggio delle popolazioni che vivono sotto la protezione della Regina delle Dolomiti, un disegno di sviluppo sostenibile condiviso e

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Acqua Libera

Novembre 2005Marmolada: i danni al ghiacciaio sono reali

La perizia del Corpo Forestale non lascia dubbi: i danni sono reali ed irreversibili! Ora chi li ha provocati deve risarcire la collettività pubblica

Nella giornata di ieri, 12 novembre, il Corpo Forestale nazionale incaricato dalla Procura della Repubblica di Trento ha portato al tavolo dei magistrati le conclusioni della perizia che riguarda i lavori di sbancamento effettuati sul ghiacciaio della Marmolada nel tratto compreso fra Seruata (2950) e Punta Rocca (3250, terzo tronco della funivia che sale da Malga Ciapèla). Nell’importante documento la forestale afferma che questi lavori hanno compromesso la capacità di recupero stagionale del ghiacciaio, che si è intaccato la coltre glaciale ben oltre la superficie nevosa, come con tempestività, determinazione e chiarezza aveva denunciato l’associazione ambientalista Mountain Wilderness (3 agosto 2005). I gatti della neve, (solo quelli?) con il loro passaggio hanno così accelerato l’agonia del ghiacciaio, lo ricordiamo, l’ultimo grande ghiacciaio presente nelle Dolomiti, area SIC tutelata dall’Unione Europea e dalle norme della legge Galasso, oltre che dal Piano Urbanistico Provinciale di Trento, un sito in procinto di essere dichiarato Patrimonio dell’Umanità tutelato dall’UNESCO.La nostra associazione rimane sconcertata dalle dichiarazioni del Presidente della società impiantistica che si ostina, anche davanti all’evidenza dei fatti, a negare il danno apportato al ghiacciaio causa comportamenti inadeguati e assolutamente privi di sensibilità e rispetto verso l’ambiente e la sacralità della montagna. Forse l’ing. Vascellari non ha ancora compreso, dopo gli scandali dei rifiuti nei crepacci in Marmolada (1988 –89), dopo lo scandalo dell’attività dell’eliski, che la Marmolada non è proprietà della sua società, ma che la sua impresa sta lavorando in concessione su una proprietà demaniale, cioè su un bene collettivo, proprietà pubblica.E’ questo atteggiamento imprenditoriale tanto spudorato e insensibile che impedisce all’ente pubblico, sia di parte veneta che trentina, di riportare in Marmolada, a vantaggio delle popolazioni che vivono sotto la protezione della Regina delle Dolomiti, un disegno di sviluppo sostenibile condiviso e partecipato.La perizia della Forestale conferma i contenuti della nostra prima denuncia: il danno è grave e irreversibile. Ci aspettiamo ora interventi coerenti da parte della provincia di Trento, in particolare riguardo il ripristino immediato del divieto di transito dei mezzi battipista sul ghiacciaio fino al momento dell’apertura della stagione sciistica, non si comprende quale logica abbia portato alla sospensione del provvedimento. E’ deplorevole che la Provincia, ormai da venti giorni, abbia permesso ai mezzi battipista di ripercorrere il tracciato così gravemente danneggiato nel corso dell’estate.Mountain Wilderness Italia, davanti a tanta chiarezza presente nella relazione della Forestale, chiede che la Provincia di Trento da subito si costituisca parte civile all’interno di questa complessa istruttoria richiedendo da subito un congruo e adeguato risarcimento dei danni apportati al ghiacciaio.

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Aree protette e biodiversita’

Agosto 2006Incontro aperto per l'altopiano di Folgaria

Folgaria - TN

Domenica 27 agosto i rappresentanti delle associazioni appartenenti al Coordinamento delle Associazioni Ambientaliste del Trentino, i liberi cittadini che vorranno partecipare ed i rappresentanti delle associazioni ambientaliste e dei Verdi veneto-vicentini si incontreranno a quota 1820 m sulla Cima Costa d'Agra.

Non si tratta di una manifestazione di protesta ma di un'assemblea dei vari rappresentanti delle associazioni, un'assemblea auto-convocata in un luogo simbolo, cioè cima Costa d'Agra (confine tra altopiano di Folgaria e comune di Lastebasse ma anche confine tra Trentino e Veneto) dove i progettati impianti folgaretani (cioè trentini) dovrebbero agganciarsi ai progettati impianti sciistici veneto-vicentini.L'appuntamento è alle ore 10.00 in località Fiorentini, si salirà la Val delle Lanze (la bellissima valle incontaminata, situata in prossimità del confine regionale, destinata a venir deturpata da seggiovie e piste), verso mezzogiorno raggiungeremo la cima di Costa d'Agra e verso le ore 13 si svolgerà l'assemblea. Sarà l'occasione per fare il punto della situazione, per valutare lo stato delle cose e per proporre eventuali nuove iniziative. Gli ambientalisti trentini si presenteranno all'appuntamento forti della proposta avanzata recentemente dal presidente della giunta provinciale Dellai di far partecipare il Coordinamento delle associazioni ambientaliste ad un tavolo di lavoro assieme ai comuni di Folgaria, Lavarone e Luserna per discutere del grande progetto di espansione e di collegamento nell'area di Lavarone, di Carbonare, di Costa, di Passo Coe e di Costa d'Agra.Dall'altra parte, da parte veneta, arriveranno notizie meno positive in quanto sono in avanzato stato di progettazione e in fase di realizzazione le seggiovie quadriposto di Monte Coston e di Baito Tomasella - Cima Costa d'Agra, gli impianti che andranno a colpire l'area più pregiata dell'altopiano dei Fiorentini, cioè l'alta Val delle Lanze.

Settembre 2005StelvioSettanta, i 70 anni del Parco Nazionale dello Stelvio

Valle di Rabbi - TN

In occasione del 70° anniversario d'istituzione del Parco Nazionale dello Stelvio, l'ente parco organizza una settimana di festeggiamenti e discussioni. Un'occasione importante per ripercorrere con consapevolezza i passaggi storici più significativi dell'area protetta e, nel contempo, mettere a fuoco le criticità dei modelli organizzativi e gestionali che si sono succeduti nel tempo. E' prevista la partecipazione di MW Italia

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"Stelvio Settanta" è articolato in quattro parti, tre di carattere scientifico nel corso delle quali si affrontano i seguenti temi:

Biodiversità, dinamica del paesaggio e gestione delle aree protette; Conservazione e gestione della fauna nelle aree protette: l’esempio del

cervo; Aree protette: origine, valori, obiettivi, problematiche emergenti.

Le lingue ufficiali dei convegni di carattere scientifico sono l’italiano, il tedesco e l’inglese. E’ prevista la traduzione simultanea per le tre lingue.La quarta parte del simposio è una seduta plenaria celebrativa, riservata all'ufficialità e ai contributi dei rappresentanti istituzionali. "Stelvio Settanta" si conclude domenica con la manifestazione d'inaugurazione della nuova porta del Parco cui fa seguito un'escursione lungo itinerari d'interesse naturalistico e/o culturale.La partecipazione al simposio prevede, oltre alla presentazione delle relazioni degli esperti, anche momenti di intrattenimento con il folklore locale in programma venerdì sera ad ore 21.00, e la cena sociale offerta sabato sera dal Parco Nazionale dello Stelvio.

Nel pomeriggio di sabato 10 settembre è in programma il momento di festa per celebrare i 70 anni del Parco Nazionale dello Stelvio: uno spazio aperto alla riflessione sulle tappe, contenuti e scelte che hanno segnato e reso unico un percorso importante, iniziato nel 1935. A descrivere vissuto ed esperienze entrate ormai nella coscienza collettiva è Franco Pedrotti, direttore della Scuola di Specializzazione in gestione dell'ambiente naturale e delle aree protette dell'Università di Camerino e una delle più illustri memorie storiche del Parco Nazionale dello Stelvio. A seguire sono previsti gli interventi di esponenti del Ministero dell’Ambiente, della Provincia Autonoma di Trento, della Provincia Autonoma di Bolzano, della Regione Lombardia, del Consorzio e dei Comitato di Gestione e dei Comuni compresi nell’area protetta.Domenica 11 settembre è prevista una breve manifestazione per inaugurare la Porta del Parco cui segue una visita-escursione nel Parco con possibilità di scelta fra un’uscita breve per conoscere i paesaggi culturali dell’area protetta ed un’altra di media difficoltà in luoghi d’interesse botanico e faunistico.

Il programma in dettaglio:

Giovedì 8 settembre mattinaIscrizioni e apertura del ConvegnopomeriggioBiodiversità e paesaggio: I - Le Alpi: vegetazione e biogeografiaGestione del cervoVenerdì 9 settembre mattinaBiodiversità e paesaggio: II - Effetti dei cambiamenti globali nelle aree montaneGestione del cervo pomeriggioBiodiversità e paesaggio:III - Processi ecologiciGestione del cervo

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Sabato 10 settembre mattinaBiodiversità e paesaggio: IV - L’azione dell’uomoI valori delle Aree protette pomeriggioSeduta plenaria e cerimonia ufficialeDomenica 11 settembre mattinaInaugurazione della porta del ParcopomeriggioEscursione finale

Vedi anche:  http://www.stelviopark.it/PNS70/Default.htm

Per iscriversi al convegno e/o ulteriori informazioni sull'evento visitate il sito ufficiale della manifestazione

Maggio 2005Due giorni per i Parchi

Valle di Ledro (TN)

Escursione guidata in Val Concei per conoscere le bellezze naturalistiche del proposto Parco Naturale "Cadria-Tenno"ATTENZIONE: La giornata di sabato è stata annullata. Resta valido l'incontro per Domenica 29. Per informazioni contattare Stefano Mayr.

L’iniziativa vuole essere un momento di conoscenza di un territorio di alta valenza ambientale e riflessione sulla situazione attuale e le prospettive dei Parchi in Italia e in Europa, in occasione dell’annuale giornata europea dei Parchi (24 maggio). L’organizzazione è a cura di Mountain Wilderness Italia. E' previsto il coinvolgimento delle sezioni Sat locali, sostenitrici della proposta di parco.Il ritrovo è fisato per le ore 15 di sabato 28 maggio presso Lenzumo, Val di Concei (Ledro) per poi portarsi in auto verso la Bocca di Trat, vicino al Rif, Nino Pernici dove è possibile pernottare. Sabato 28: Breve escursione di interesse botanico e panoramico all’interno del proposto Parco Naturale Cadria-Tenno verso la Bocca di Saval-Dromaè in cui è possibile ammirare una splendida fioritura di peonie selvatiche. Cena al rifugio. Domenica 29 ore 9.00: incontro con il consigliere Provinciale Roberto Bombarda che illustrerà la sua proposta di istituzione di nuove aree protette in Trentino (un Terzo al Futuro), seguirà escursione ad anello di 4-5 ore lungo le suggestive e panoramiche creste del Pichea e del Monte Tofino (sentiero Garda-Brenta) per poi tornare sul versante di Val di Concei alla bocca di Trat.

Stefano [email protected]: 328.5423635

Maggio 2004

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Visita guidata al Parco delle Dolomiti Bellunesi

P.so Croce d'Aune

Appuntamento alle ore 9:00 al passo Croce D'Aune per salire tutti assieme al rifugio Dalpiaz e testimoniare il proprio desiderio che i parchi continuino ad esistere !

Domenica 23 maggio precede la giornata europea dei Parchi (24/05). Mountain Wilderness Italia, associandosi alle azioni che verranno portate avanti nello stesso giorno dalle altre sezioni nazionali di Mountain Wilderness ha deciso di inaugurare la stagione 2004 di Mountain Wilderness in cammino con un momento di riflessione collettiva e denuncia della gravissima situazione in cui versano i Parchi Nazionali in Italia e in molte altre nazioni europee. E' stata programmata un'escursione nel Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, recentemente commissariato su ordine del ministero, in modo da trasformare uno dei pochi parchi che stava funzionando bene ad un futuro pieno di grigiore e di ombre, seguendo il destino di altre aree protette. L'imperativo governativo sembra essere o "contenitori naturaliformi" per logiche produttive-affaristiche o insabbiati, senza risorse e destinati al declino. Per parlare di questo ed altro vi invitiamo domenica 23 maggio a Passo Croce d'Aune, raggiungibile da Feltre via Pedavena, da cui saliremo fino al rifugio Dalpiaz (circa 1000 metri di dislivello, affrontabili anche per una comoda mulattiera). Ritrovo ore 9.00, partenza (effettiva!) ore 9.30.

Stefano Mayr 328.5423635 - [email protected]

Marzo 2004Missione:  Proteggiamo le Alpi!

La manifestazione internazionale dedicata alla Convenzione per la Protezione delle Alpi

Nella settimana compresa tra sabato 14 e domenica 21 marzo 2004, si è tenuta in Trentino una manifestazione internazionale di Mountain Wilderness Italia. L'obiettivo è stato quello di diffondere informazioni, attirare l'attenzione pubblica sui temi contenuti negli 8 protocolli della Convenzione per la Protezione delle Alpi, (documento europeo di programmazione per una crescita ed uno sviluppo eco-sostenibile delle regioni alpine), e chiederne il rispetto. Dal 1994 a oggi, tutti i protocolli della Convenzione sono stati firmati dalle sette nazioni interessate e dall'Unione Europea e molti di essi sono già stati ratificati dai rispettivi governi. Ma qual è il reale stato delle cose? Gli impegni presi vengono effettivamente rispettati? Domande alle quali abbiamo provato a rispondere durante il percorso. Durante ogni giorno della manifestazione, è stata recapitata ai media una lettera di denuncia riguardante un diverso tema della Convenzione. Ogni lettera è stata letta ogni sera da un esponente diverso della comitiva al resto del gruppo. Alle principali associazioni alpinistiche ed ambientaliste

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europee è stato spedito un resoconto della manifestazione. Durante la manifestazione è stato realizzato un filmato-documentario che verrà presentato, come evento fuori concorso, al Festival Internazionale del Cinema di Montagna di Trento (maggio 2005).

Il programma della missione

1º GIORNO DOMENICA 14: Trento 200m-M.ga Cazzorga 1660m

Trento (palazzo della provincia), Palu del Fersina località Battisti 1300m(in corriera o automomezzi soci MW), p.so Palu’ 2071m, m.ga Cagnon di Sotto 1725m , m.ga Cagnon di Sopra 1885m, p.so Cadin 2108m, m.ga Agnelezza 1660m, ponte delle stue 1250m, m.ga Cazzorga 1845m (rifornimento viveri) - Notte in malga o tenda. Dislivello: 1554m in salita, 1209m in discesa Tempo: 7.00 ore Difficolta’:MSPossibilita’ di salita al Monte Croce 2490m BS (382m in più, ovvero 1936m in salita e 1591m in discesa)IL TEMA: Protocollo Trasporti.2º GIORNO LUNEDI’ 15: M.ga Cazzorga 1845m-M.ga Laghetti 1582mM.ga Cazzorga 1845m, forc.la di Valsorda 2256m, p.so val di Cion 2076m, m.ga val Ziotto alta 1841m, p.so Cupola’ 1959m, m.ga Cupola’ 1825m, m.ga Laghetti 1582m - Notte in malga o tendaDislivello: 800m in salita, 1000 in discesa Tempo: 6.30 ore Difficoltà: MSIL TEMA: Protocollo agricoltura di montagna3º GIORNO MARTEDI’ 16: M.ga Laghetti 1582m-m.ga Miesnota di sopra 1879mM.ga Laghetti 1582m, masi di Fossernica 1319m, m.ga Fossernica di dentro 1777m, c.ma dei Paradisi 2206m, c.ma Fossernica 2100m, m.ga Miesnota 1879m - Notte in malga o tendaDislivello: 1100m in salita, 700m in discesa Tempo: 6.00 ore Difficoltà: MS IL TEMA: Protocollo protezione della natura4º GIORNO MERCOLEDI’ 17: M.ga Miesnota di sopra 1879m- p.so Rolle 1972mM.ga Miesnota di sopra 1879m, forc.la Miesnotta 2282m, forc.la Valcigolera 2420m, quota 2215m sotto p.ta Ces, quota 1844m, p.soColbricon 1908m, rif. Colbricon 1927m, m.ga Rolle 1910, p.so Rolle 1972m (rifornimento viveri) - Notte in albergo o tendaDislivello: 1100m in salita, 1000 in discesa Tempo: 6.30 ore Difficoltà: BSAIL TEMA: Protocollo foreste montane5º GIORNO GIOVEDI’ 18: P.so Rolle 1972m-P.so S.Pellegrino 1907mP.so Rolle 1972m, Malga Juribello 1868m, pian Casoni 1760m, forc.la Juribrutto 2381m, Negritella 1770m, p.so S.Pellegrino 1907m – Notte in malga o tendaDislivello: 900 m in salita, 900 in discesa

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Tempo: 6.00 ore Difficoltà: BSIL TEMA: Protocollo pianificazione territoriale e sviluppo sostenibile6º GIORNO VENERDI’ 19: P.so S.Pellegrino1907m-m.ga Ciapela 2100mP.so S.Pellegrino1907m, rif. Fuciade 2100m, Forca rossa 2490m, m.ga Ciapela 1465m - Notte in rifugio o tendaDislivello: 1300 m in salita, 1100 in discesa Tempo: 6.30 ore Difficoltà: BSAIL TEMA: Protocollo Turismo7º GIORNO SABATO 20: Escursione naturalistica in val Ombrettola m.ga Ciapela 1465m, val OmbrettolaDislivello: -.- Tempo: 5.00 ore Difficoltà: accessibile a tuttiIL TEMA: Protocollo difesa del suolo8º GIORNO DOMENICA 21: P.so Fedaia 2100m-p.ta Rocca 3200m P.so Fedaia 2100m, p.ta Rocca 3200mDislivello: 1200 m in salita, 1200 in discesa Tempo: 4.00 ore Difficoltà: MSAIL TEMA: Protocollo Energia e acquaDocumento: Protocollo trasporti

I luoghiLa comitiva degli scialpinisti parte da una delle valli "dimenticate" del Trentino, ma forse proprio per questo una valle significativa, un esempio di conservazione paesaggistica, culturale, di identità del vivere in montagna. Per arrivarci si passa da Trento a Pergine, nella trafficata Valsugana, uno dei corridoi maggiormente utilizzati dal trasporto su gomma nella direttrice Monaco-Venezia, verso il multiforme universo produttivo del Nord-est. La Val dei Mocheni è una valle dove vive una delle minoranze linguistiche delle Alpi, quella mochena, un luogo dove possiamo riscoprire lavori perduti, tipologie architettoniche modellate dalla fatica degli uomini, ma anche esempi di insensata gestione del territorio e dei suoi patrimoni naturali a favore di un guadagno economico estemporaneo di pochi ed a discapito del bene primario dell'intera comunita': l'integrita' della natura. E' il caso della nuova strada forestale dei Laner, 3 km attraverso un (ex) bellissimo bosco misto di conifere e latifoglie, una follia per salire a 3 baite (di cui una diroccata) chiuse per 8 mesi l'anno, che, una volta ristrutturate, si vorranno probabilmente proporre ai turisti per bucoliche "Vacanze in Baita & auto". Andando di questo passo il Trentino e' riuscito a battere il triste record Svizzero di Km di strade forestali per Km2 di superficie boschiva. Dalla caratteristica frazione dei Tasaineri i nostri attivisti saliranno attraverso i boschi fino ai pascoli alpini per arrivare, dopo un faticoso itinerario che comporta lo scavalcamento di alcuni valichi, a Malga Cazzorga, nel cuore del Lagorai.

Il protocolloLa nostra attenzione oggi è concentrata sul protocollo Trasporti, uno dei più

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controversi e delicati dell'intera Convenzione, l'attraversamento della Valsugana ce lo impone.Le Alpi sono atraversate da piu' di 4000Km di autostrade e superstrade ed attraverso i loro valichi passano ogni anno piu' di 85 milioni di tonnellate di merci di cui 27milioni solo atraverso il passo del Brennero, che assieme al Moncenisio (22 milioni di tonnellate) costituisce di gran lunga il passo piu' frequentato.Il Protocollo attuativo "Trasporti" è stato approvato nel corso della VI Conferenza delle Alpi, tenutasi a Lucerna il 30-31 ottobre 2000 dopo anni di difficili trattative, ma la sua ratifica vede ancora la vistosa assenza di molte nazioni importanti come Svizzera, Francia e Italia.Il suo stato legislativo attuale e' riassunto nella tabella seguente:

A CH D F FL I MC SLO EU FIRMA31.10.00 31.10.00 31.10.00 31.10.00 31.10.00 31.10.00 31.10.00 06.08.02 RATIFICA10.07.02 12.07.02 18.04.02 28.11.03

L'obiettivo "generale" previsto dal trattato, che le parti contraenti si impegnano a perseguire è l'attuazione di una politica sostenibile dei trasporti (art. 1), che in estrema sintesi e semplificazione potremo riassumere nei seguenti punti chiave: attuazione di una politica di riduzione dei consumi e di conseguenza delle merci trasportate razionalizzazione dei trasporti (aumento dell'efficacia e dell'efficienza dei trasporti) favorire l'utilizzo dei vettori (mezzi di trasporto) meno inquinanti: rete ferroviaria e navigazione astensione dalla costruzione di nuove strade di grande comunicazione per il trasporto transalpino (articolo 11, co. 1); creazione e conservazione zone di bassa intensità di traffico o vietate al traffico, nonché l'istituzione di località turistiche vietate al traffico e tutte le misure atte a favorire l'accesso ed il soggiorno dei turisti senza automobile (articolo 13, co. 2); La realta': (dal primo rapporto sullo stato delle Alpi, CIPRA, CDA, giugno 1998 e alpenkonvention.org, febbraio 2004)

Il nero: realta' negative Nonostante la miriade di progetti di ampliamento e realizzazione di nuove infrastrutture viarie attraverso le Alpi (12.000 nuovi Km di autostrade di cui buona parte in Italia) in Europa non e' stato ancora affrontato nessun intervento serio di pianificazione e razionalizzazione dei trasporti, ne' tanto meno una politica di riduzione dei consumi. Dal 1970 a oggi il trasporto attraverso le Alpi e' più che triplicato e con esso l'inquinamento nelle valli attraversate ha subito un forte incremento. Nelle Alpi, la quota complessiva di trasporti su rotaia e' scesa del 50%, ossia e' circa il 40% del totale. in Italia, durante la seduta del Senato del 14 novembre 2003, su esplicita richiesta del governo, è stato stralciato il protocollo relativo ai trasporti per liberarsi dai "vincoli" delle direttive dello stesso e permettere la realizzazione di

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diversi nuovi progetti viari (più di 10) altamente impattanti come la Torino-Lione, la Valdastico (Vicenza-Trento), l'Alemagna (Venezia-Monaco) e altri. La percentuale di merci trasportate su rotaia rispetto alla reale capacita' di trasporto dell'attuale rete ferroviaria e' del 31%. La velocità media europea del trasporto merci su rotaia e' di 14Km/h, ma questa estrema lentezza non e' dovuta alla bassa velocità cui viaggiano i treni, ma bensì agli interminabili tempi di attesa ai confini e negli scali di smistamento: manca quasi totalmente un'automatizzazione. L'alta velocità non risolve il problema, non serve !!! Il bianco: alcuni esempi imitabili Nel Salisburghese (Austria), alcuni comuni consorziati hanno costruito progetti di mobilità rivolti ai turisti, dove si invita a fermare l'auto privata e si incentiva l'utilizzo dei mezzi pubblici o ecologici: i successi dell'iniziativa sono esaltanti. La quota complessiva di trasporti su rotaia in Svizzera e' al 70%. Ad oggi, solo la Svizzera ha attuato una politica di razionalizzazione dei trasporti attraverso i loro territori: imposizione di un limite di carico, imposizione di un pedaggio comprensivo di un risarcimento danni legato degli effetti antiecologici causati dai trasporti. In questa prima tappa abbiamo voluto affrontare uno dei temi più scottanti, una vera emergenza per tutti gli stati dell'arco alpino. I dati sono sin troppo chiari e l'inettitudine progettuale delle classi politiche appare disarmante. In Italia non siamo in grado di affrontare il tema della mobilità con progetti lungimiranti e di ampio respiro, ci limitiamo a rimandare le emergenze potenziando le vie di traffico, incuranti dei problemi di salute e sopravvivenza per l'uomo, la fauna, la flora ed i loro habitat (articolo 1, co. 1, let. a).

Documento: Prot agricoltura di montagna

I luoghiLa tappa odierna porta il nostro gruppo di attivisti a scavalcare Forcella Valsorda, Malga Valcion e raggiungere il Vanoi. Ci troviamo in grandi spazi liberi, nel cuore della catena del Lagorai, passando di pascolo in pascolo, fra rocce mai imponenti, ma sempre aspre e suggestive, dolci dossi e lariceti. A sud giganteggia la massa granitica del massiccio di Cima d'Asta. Ci troviamo in un antico nodo di scambi pastorali ed umani tra varie genti delle vallate dolomitiche, dove sono transitati recentemente anche i nuovi ospiti di queste foreste, l'orso bruno e la lince, purtroppo mal accolti (molto probabilmente uccisi) dagli uomini.

Il protocolloIl protocollo che analizziamo oggi e' quello sull'Agricoltura di Montagna, un protocollo che specialmente in Italia viene sovente emarginato, e ritenuto a torto meno importante di altri. A nostro avviso e' un errore, in esso, infatti, e' racchiusa l'essenza del programma per uno sviluppo sostenibile delle nostre montagne e per la conservazione del caratteristico paesaggio alpino. Alcuni dati significativi: Aziende agricole operanti nel territorio alpino: 482.248, di cui 247.110 in Italia Superficie agricola utilizzata: Alpi circa 4,5 milioni di ettari; Italia 1.370.000 ettari Percentuale delle aziende agricole con meno di 10 ettari di superfici agricola utilizzata in Italia: 90%.

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Distribuzione della superficie agricola utilizzata per tipo di coltura: prativa e foraggera 83,3% (Italia 85,6%), seminativi 12,6% (6,3), colture permanenti 3,2% (6,4) Patrimonio zootecnico: bovini 3.336.283 (Italia 793.014), ovini 1.941.425 (Italia 302.331) Percentuale dei titolari di aziende agricole di età superiore ai 45 anni: Alpi 68,3; Italia 75,8 Occupati in agricoltura sul totale della popolazione attiva: Alpi 5,1%; Italia 5,4%, Svizzera 6,9% Il Protocollo attuativo "Agricoltura di Montagna" è stato approvato a Chambery (Francia), nel corso della III Conferenza delle Alpi, il 20 dicembre 1994, ma anche in questo caso alcune nazioni, tra cui l'Italia, stentano a ratificarlo. A 10 anni di distanza dalla firma, la situazione legislativa e' la seguente:

A CH D F FL I MC SLO EU FIRMA31.10.00 16.10.98 20.12.94 20.12.94 16.10.98 20.12.94 20.12.94 20.12.94 20.12.94 RATIFICA10.07.02 12.07.02 18.04.02 28.11.03 Gli obiettivi generali del Protocollo, che le Parti contraenti si impegnano a perseguire, prevedono in sintesi: la conservazione e l'incentivazione dell'agricoltura di montagna adatta ai siti e compatibile con l'ambiente (riduzione massima dell'uso di sostanze chimiche e tassazione degli inquinanti) (art.1, comma 1) lo sviluppo ottimale dei compiti multifunzionali dell'agricoltura di montagna(art.1, comma 2) sviluppo di metodi di produzione e prodotti tipici conformi alla natura (art. 9) commercializzazione a favore dei prodotti di montagna (art. 11) Prima di entrare nel vivo delle problematiche legate a questo protocollo vorremmo provare a spiegare in poche righe ed in modo molto schematico quali sono le ragioni per cui e' così importante conservare l'agricoltura di montagna:Le Alpi sono abitate da millenni e nel corso di tutto questo tempo molte specie animali e vegetali si sono adattate alle caratteristiche del territorio. L'abbandono delle coltivazioni mette a forte rischio la sopravvivenza di molte specie vegetali ed animali e di conseguenza la biodiversità generale dell'ecosistema alpino. L'abbandono delle terre coltivate aumenta i rischi idrogeologici. L'agricoltura e l'allevamento estensivo e nel rispetto della natura costituiscono una fonte di reddito assolutamente sostenibile e contribuiscono a rafforzare il legame tra uomo ed ambiente. L'agricoltore di montagna, apparentemente posizionato ai margini del sistema produttivo, svolge un ruolo sociale nei confronti degli utenti di pianura che vogliono usufruire del paesaggio tipico alpino; tale presidio del territorio va quindi sostenuto ed incentivato. La realta' : (dal secondo rapporto sullo stato delle Alpi, CIPRA, CDA, marzo 2002 e dai nostri occhi)Il nero: realta' negativePiù della metà delle aziende agricole alpine sono in Italia, ma sono quasi tutte da piccole a piccolissime (65% meno di 2 ettari di superficie, 20% tra 2 e 10

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ettari). I due terzi delle attività agricole sono ormai gestite come attività accessorie. Nei prossimi anni in Italia e Slovenia e' atteso un fenomeno di forte abbandono delle aziende agricole ed in questo senso nessun intervento di alcun genere (politoco, amministrativo o economico) e' stato ancora previsto. In diverse vallate alpine, specie in Trentino Alto Adige, si pratica ancora un'agricoltura intensiva sul modello di quella delle grandi pianure, con largo uso di pesticidi. Gli effetti sulla natura e sulla salute degli abitanti sono spesso molto pesanti: rischio di estinzione per alcune specie animali, altissime incidenze di tumori per gli uomini. L'utilizzo e la vendita negli esercizi commerciali alpini (alberghi, rifugi, mercati ecc.) di prodotti di vera produzione locale tipica e' quasi trascurabile. In Sudtirolo, per esempio, si importano maiali di allevamento intensivo dall'Olanda (aumentando tra l'altro anche il volume dei trasporti) per poi produrre lo speck che viene venduto come prodotto tipico locale.

Il bianco: alcuni esempi imitabiliDi fronte al deserto istituzionale nascono iniziative autonome di grande interesse. Ad esempio nel luogo dove ci troviamo è nata nel 2003 la libera Associazione Pastori e Malghesi del Lagorai, in alcune malghe si producono e commercializzano latticini biologici ed è in ripresa l'allevamento caprino. Iniziative simili stanno sorgendo in molti punti delle Alpi, spesso portate avanti da cittadini delusi dal lavoro metropolitano. Se correttamente mescolate con gli antichi saperi locali sono esperienze che indicano la strada da seguire. L'agricoltura in montagna deve trovare il proprio sviluppo in nicchie di alta qualità di produzione biologica, nell'allevamento di specie locali in estinzione, ma per essere mantenuta viva, la qualità da sola non basta, e' essenziale il ruolo dei contributi statali. Chi spende la propria fatica in montagna lavora in realtà anche per la pianura ed e' quindi necessario che la pianura contraccambi. Serve una volontà precisa da parte delle istituzioni. Esempi di questo genere sono già ampiamente diffusi in Svizzera (lo stato che più di ogni altro al mondo eroga contributi pubblici all'agricoltura) e Austria. Investire in agricoltura di qualità significa garantire maggiore qualità paesaggistica, minori rischi idrogeologici, maggiore qualità e salubrità dei nostri cibi, maggiore biodiversità.

Documento: Prot. protezione della natura

I luoghiCon la tappa di oggi il gruppo dei nostri attivisti percorre ancora suggestivi angoli del gruppo del Lagorai. Vi si vive il trionfo del silenzio, l'emozione della solitudine, la ricerca della traccia degli animali selvatici che indisturbati possono percorrere questi ampi spazi alla ricerca delle migliori condizioni climatiche, della sicurezza, della presenza di cibo. E' un percorso che unisce il parco da anni annunciato e atteso da tutta Italia, il Parco Naturale del Lagorai al già istituito Parco di Paneveggio-Pale di San Martino, nella zona di incontro tra la piattaforma porfirica atesina, il massiccio granitico di cima d'Asta e l'esteso e affascinante mondo delle Dolomiti. Oggi pernotteremo in una malga che rappresenta un piccolo gioiello, un investimento esemplare: Malga Miesnota. Il difficile recupero di questa malga ha permesso il ritorno della zootecnia nei

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pascoli alti del Vanoi. Ha permesso il consolidamento del percorso etnografico che unisce con sentieri in alta quota San Martino di Castrozza, area che vive di un turismo affermato, alla valle del Vanoi, una zona ormai quasi dimenticata che oggi torna a vivere proprio grazie alle bellezze naturali che qui si sono conservate con originalità, determinazione ed alta qualità.

Il protocollo Durante l'attraversamento di questi luoghi abbiamo deciso si parlare del protocollo della Convenzione delle Alpi sulla Protezione della natura, per affermare con forza il ruolo propositivo che i parchi naturali devono avere nello sviluppo delle popolazioni alpine, nell'investimento sociale, nei tanti valori della conservazione della wilderness (natura selvaggia).

Il Protocollo attuativo "Protezione della natura e tutela del paesaggio" è stato approvato a Chambery (Francia), nel corso della III Conferenza delle Alpi, il 20 dicembre 1994, ma anche in questo caso alcune nazioni, tra cui l'Italia, stentano ancora a ratificarlo.A 10 anni di distanza dalla firma la situazione legislativa e' la seguente:A CH D F FL I MC SLO EU FIRMA31.10.00 16.10.98 20.12.94 20.12.94 16.10.98 20.12.94 20.12.94 20.12.94 20.12.94 RATIFICA10.07.02 12.07.02 18.04.02 28.11.03

Gli obiettivi generali del Protocollo, che le Parti contraenti si impegnano a perseguire, prevedono in sintesi la protezione, la cura ed il ripristino, se necessario, lo stato naturale ed il paesaggio in modo da assicurare l'efficienza funzionale degli ecosistemi, la conservazione degli elementi paesaggistici e delle specie animali e vegetali selvatiche insieme ai loro habitat naturali attraverso alcune specifiche misure, tra le quali ricordiamo: adottare le misure necessarie alla conservazione e allo sviluppo degli habitat naturali e quasi naturali delle specie animali e vegetali selvatiche (art. 8); valutare, nei casi di misure e progetti pubblici o privati capaci di compromettere la natura o il paesaggio, gli effetti diretti e indiretti sull'equilibrio naturale e sul quadro paesaggistico (art. 9); ridurre gli impatti ambientali e le compromissioni a danno della natura e del paesaggio, tenendo in considerazione gli interessi della popolazione locale (art. 10); conservare e gestire le aree già protette e delimitare nuove aree da proteggere (art. 11); promuovere l'istituzione e la gestione dei parchi nazionali (art. 11, comma 2); assumere misure idonee alla conservazione dei biotipi, naturali e quasi naturali, e delle specie animali e vegetali autoctone, provvedendo, in particolare, ad assicurare habitat sufficientemente estesi (art. 13 e 14); vietare la cattura, il possesso, il disturbo e l'uccisione di determinate specie animali (art. 15); promuovere la reintroduzione e la diffusione di specie animali e vegetali autoctone, nonché di sottospecie, razze ed ecotipi, a condizione che sussistano i presupposti necessari (art. 16); La realta':

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Il nero: realta' negative Manovre speculative e interessi di parte stanno attentando pesantemente agli scopi istitutivi dei parchi, anche per l'inadeguatezza o la colpevole assenza di molti strumenti di pianificazione. In Italia c'è una forte spinta, sostenuta dalla maggioranza di governo, per riaprire la caccia nei parchi nazionali e naturali. Per favorire chi pensa che i parchi siano solo "imprese che devono rendere" non si esita a utilizzare lo strumento del commissariamento, per avere le mani libere e porre l'opinione pubblica di fronte al fatto compiuto. Quest'anno il Parco Nazionale del Gran Paradiso e' stato costretto a sospendere i suoi servizi turistici ed informativi a seguito di una riduzione al bilancio pari a 619.880,51 EUR sui 4.372.880, 51 preventivati. Il Parco Nazionale dello Stelvio e' gravemente minacciato dalla costruzione di diversi nuovi impianti sciistici (S.Caterina Valfurva e Pejo) Nel parco Adamello Brenta verra' realizzato un nunovo collegamento sciistico Pinzolo, Campiglio Nel cuore del territorio del parco di Paneveggio e Pale di S.Martino rischia di essere costruito un nuovo collegamento sciistico S.Martino di Castrozza-Laghi si Colbricon Il parco delle Orobie Valtellinesi (44.000 ettari) ha 1 guarda parco Il bianco: alcuni esempi imitabili È nata ed attiva da alcuni anni la Rete alpina dei Parchi. Con l'anno in corso diventa effettiva la Natura 2000 di cui fanno parte molti parchi o settori di essi, identificati come Siti di Importanza Comunitaria e Zone Speciali di Conservazione o Zone di Protezione Speciale. Tale condizione permette di tutelare maggiormente le aree da opere impattanti, anche se necessita di tutta l'attenzione da parte delle ONG. In Lagorai è stata istituita in Valtrigona la prima Oasi alpina del WWF. La reintroduzione dell'orso in Trentino Con questo tragitto il nostri gruppo lascia alle spalle il tanto atteso parco del Lagorai ed entra in quello di Paneveggio. Un passaggio di consegne che vuole essere un segnale di speranza per i tanti potenziali parchi ancora presenti sulle Alpi, che attendono l'attenzione meritata ed il risveglio dell'addormentato mondo politico. Pensiamo al parco del Centro Cadore (Marmarole), al parco della foresta del Cansiglio, al parco dei Monti Lessini, al parco del Monte Baldo, al parco del Disgrazia-Bernina, ….al parco internazionale del Monte Bianco….

Missione:  Proteggiamo le Alpi!

Documento: Prot. foreste montane

I luoghiIl gruppo dei nostri scialpinisti scavalca con questa trappa le aree sciistiche di Tognola e Malga Ces e attraverso Val Bonetta si porta al passo Rolle. E' una tappa che attraversa una zona "ricca" di significative contraddizioni, frutto di una gestione politica monoculturale del territorio. Siamo nel cuore del Parco Naturale di Paneveggio - Pale di san Martino, ma si attraversano infrastrutture sciistiche e turistiche di alto impatto paesaggistico ed ambientale. Le aree naturalistiche pregiate che si percorrono hanno subito negli ultimi anni i pesanti e privilegiati potenziamenti di tutte le infrastrutture turistiche e

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sciistiche della zona, senza godere di altrettanti investimenti economici sostenibili. Si passa per Val Bonetta, la forcella che ci porta ai laghi di Colbricon, area di riserva integrale, luogo in cui la Provincia Autonoma di Trento con l'ultima variante al Piano Urbanistico Provinciale ha previsto il collegamento sciistico tra l'area di San Martino di Castrozza e quella di Passo Rolle. Un collegamento che, qualora fosse realizzato, distruggerebbe oltre che una delle aree naturalistiche di maggior pregio dell'intero parco, anche la sua anima storica. Proprio a ridosso dei bellisimi laghi di Colbricon infatti, sono stati rinvenuti i resti dei primi insediamenti dell'uomo-cacciatore, risalenti a circa 10000 anni fa, quando nel periodo estivo risaliva le valli per insediarsi temporaneamente in queste zone alla ricerca della selvaggina necessaria alla sua sopravvivenza. E' una tappa importante anche perché ci porta a ridosso della foresta demaniale di Paneveggio, quattromila ettari di boschi gestiti attraverso una selvicultura naturalistica che riprende i dettati del protocollo Foreste Montane della Convenzione delle Alpi.

Il protocolloIl Protocollo attuativo "Foreste Montane" è stato approvato a Brdo (Slovenia), nel corso della IV Conferenza delle Alpi, il 27 febbraio 1996. A 8 anni di distanza dalla firma la situazione legislativa e' la seguente: A CH D F FL I MC SLO EU FIRMA31.10.00 16.10.98 27.02.96 20.02.96 16.10.98 27.02.96 27.02.96 27.02.96 RATIFICA10.07.02 12.07.02 18.04.02 28.11.03

Alcuni dati significativi: Superficie forestale delle Alpi: 7,5 milioni di ettari Superficie forestale utilizzabile: 6,2 milioni di ettari Quantità di legname disponibile in seno alle superficie forestali utilizzabili: 1,5 miliardi di metri cubi Alberi presenti nei boschi alpini: oltre 3 miliardi Ettari di bosco al di sopra dei 1800 metri: oltre mezzo milione Perché è importante una corretta gestione delle foreste sulle Alpi? I motivi sono veramente molteplici ma senza entrare troppo in dettaglio ci limiteremo a ricordare che foreste alpine svolgono innumerevoli funzioni essenziali per l'uomo, la conservazione della biodiversita' alpina e la difesa dai cambiamenti climatici. Gli obiettivi generali del Protocollo, che le Parti contraenti si impegnano a perseguire, prevedono in sintesi che: siano adottati metodi di rinnovazione forestale naturale; sia perseguita una costituzione del patrimonio forestale ben strutturata e graduata con specie arboree adatte al sito; sia impiegato materiale di riproduzione forestale autoctono; siano evitate erosioni e compattazione del suolo, mediante metodi di uso e di prelievo rispettosi dell'ambiente. creazione di zone completamente escluse dal taglio e dallo sfruttamento forestale e creazione di collegamenti tra le stesse (aree di wilderness). La realta'

Il nero: realta' negative

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Nonostante le innovazioni tecnologiche nel campo delle gru a cavo si continua ad insistere nella costruzione di strade forestali che provocano un'innaturale frequentazione delle foreste alpine e contribuiscono pesantemente a comprometterne l'entita' e la biodiversita'. La spinta verso l'utilizzo dei processori forestali (macchine industriali da taglio) va in controtendenza alla selvicoltura naturalistica non essendo in grado di garantire la conservazione della ricchezza naturale del bosco Le foreste vergini alpine sono una vera rarita' e nei pochi luoghi in cui ancora esistono, la loro conservazione e' principalmente dovuta all'impossibiita' materiale di costruzione di strade. La visione del patrimonio boschivo da parte dei propietari degli appezzamenti e' ristretta al solo fine di produrre legname. Il bianco: alcuni esempi imitabili È nata Pro Silva, un'associazione di forestali che cercano di propagandare i principi della selvicoltura naturalistica. I principi cui e' ispirata la politica forestale svizzera attribuiscono alle diverse funzioni del patrimonio forestale (tutela, ricreazione, conservazione della biodiversita', sfruttamento economico, ecc) la stessa priorita' ed importanza. È bello attraversare queste vaste distese forestali dove si riforniva del legname di risonanza Paganini, qui ancora oggi, maestri liutai vengono a cercare il legname più idoneo a realizzare armonie eleganti e sicure. Certo, i boschi sono gestiti perché offrano una reddittività economica, ma altrettanta attenzione viene portata ai temi della sicurezza idrogeologica, alla naturalità della foresta, ai bisogni reali della fauna selvatica, ai nostri bisogni ricreativi. All'interno delle foreste demaniali di Paneveggio e Caoria viene dimostrato come sia possibile, con una oculata gestione, offrire una risposta equilibrata e di alto profilo a tutte le risorse che un bosco alpino ci offre.

Documento: Prot pianificazione territoriale e ...

I luoghiLa tappa di oggi porta il gruppo ad uscire dal Parco Naturale di Paneveggio Pale di san Martino e attraverso lo scavalcamento di monti porfirici quali la catena di Bocche a giungere a Passo San Pellegrino. Si attraverseranno aree di grande fascino: la Val Venegia, l'area di Malga Bocche e la catena omonima, che si inserisce tra i due gruppi dolomitici delle Pale di San Martino e della Marmolada. Sono zone che presentano una grande varietà di fauna selvatica: fra gli ungulati troneggia il cervo. Troviamo tutti e quattro i tetraonidi delle alte quote, il gallo cedrone nei boschi con numerose arene di canto, il francolino, il gallo forcello e la pernice bianca. La Convenzione delle Alpi oggi ci presenta una delle "colonne portanti" dell'intero trattato, il protocollo per la Panificazione territoriale e lo Sviluppo sostenibile. Un protocollo troppe volte disatteso e dimenticato.

Il protocollol Protocollo attuativo "Pianificazione Territoriale e Sviluppo Sostenibile" è stato approvato a Chambery, nel corso della III Conferenza delle Alpi, il 20 dicembre 1994. A 10 anni di distanza dalla firma la sua situazione legislativa e' la seguente: A CH D F FL I MC SLO EU FIRMA

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31.10.00 16.10.98 27.02.96 20.02.96 16.10.98 27.02.96 27.02.96 27.02.96 RATIFICA10.07.02 12.07.02 18.04.02 28.11.03 Perche' uno sviluppo sostenibile e' particolarmente importante nelle Alpi? il profilo aspro e ripido del territorio comporta un maggiore dispendio energetico i contrasti climatici sono molto accentuati le precipitazioni sono intense con notevoli movimenti di masse rocciose e di suolo i corsi d'acqua ed il suolo hanno capacita' molto limitata di assorbire e neutralizzare le sostanze nocive immesse i danni al patrimonio ambientale si manifestano con maggiore rapidita' e gravita' rispetto alle zone collinose e di pianura al di sopra del limite boschivo qualsiasi alterazione dell'equilibrio del suolo e' praticamente irreversibile le alterazioni climatiche generano sconvolgimenti ed alterazioni in modo piu' rapido ed intenso che in zone collinose e di pianura L'obiettivo "generale" previsto dal Protocollo, che le Parti contraenti si impegnano a perseguire, è: riconoscere la peculiarità delle Alpi nel quadro delle politiche nazionali e europee; armonizzare l'uso del territorio con le esigenze e con gli obiettivi ecologici; gestire le risorse in modo misurato e compatibile con l'ambiente; riconoscere gli interessi specifici della popolazione del territorio alpino mediante un impegno rivolto ad assicurare nel tempo le loro basi di sviluppo; favorire contemporaneamente uno sviluppo economico e una distribuzione equilibrata della popolazione nel territorio alpino; rispettare le identità regionali e le peculiarità culturali; favorire le pari opportunità della popolazione residente nello sviluppo sociale, culturale e economico, nel rispetto delle competenze territoriali; tener conto degli svantaggi naturali, delle prestazioni d'interesse generale, delle limitazioni dell'uso delle risorse e del loro valore reale nella determinazione dei relativi prezzi. La realta'

Il nero: realta' negative Le valutazioni di impatto ambientale vengono spesso e volentieri piegate alla volonta' delle classi politiche ed economiche. Casi esemplari: Val Jumela (TN), Altopiano di Folgaria, S.Caterina Valfurva (SO), Valle di Susa (Olimpiadi Torino 2006, … ) Il condono edilizio costituisce di fatto una palese violazione di ogni forma di pianificazione Nessun piano concreto di sviluppo sostenibile su larga scala e' stato effettivamente realizzato in nessuna nazione Nessun progetto attuativo di riduzione degli inquinanti e' stato programmato in nessuna nazione Per permettere la realizzazione di progetti altamente impattanti non si esita a modificare PUP e piani dei parchi sottaendo agli stessi intere aree integre. Casi esemplari: Malga Ciapela, Parco Nazionale dello Stelvio, Parco di Paneveggio, Parco Adamello Brenta …) Le stagioni turistiche cosi' fortemente caratterizzate arrivano privare per alcuni

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mesi i lavoratori di ogni possibilità di socialità, o peggio, dei diritti elementari e causano continui collassi ed intasamenti del sitema viario. Il bianco: alcuni esempi imitabili IL comune di Grossraming (Austria) ha ridotto del 40% il consumo energetico nei propri edifici Il comune di Naturno (Bz) ha realizzato un piano di sviluppo sostenibile coinvolgendo direttamente i cittadini. Piu' di 150 gli interventi realizzati Il progetto della CIPRA "Alleanza nelle Alpi". 27 comuni alpini di 7 diversi stati hanno elaborato i principi e creato i presupposti per una crescita ed uno sviluppo in completa coerenza ecologica. In Trentino MW Italia e altre associazioni ambientaliste stanno provando ad attuare progetti di riduzione degli sprechi (zero waste) con alcuni alberghii, rifugi e uffici comunali. Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi promuove i rifugi alpini come strutture fondamentali di supporto alla conoscenza del Parco, conservandoli però nei modesti volumi attuali e qualificando i gestori. Non si rincorre il turista mordi e fuggi ma quello contemplatore e attento osservatore, costruendo l'alleato del Parco. La pianificazione di uno sviluppo sostenibile nelle Alpi non può essere improvvisata ne' ulteriormente rimandata, i danni arrecati all'ambiente dalle miriadi di progetti insensati che ogni anno vengono proposti e spesso realizzati sta provocando danni irreversibili. Anche nelle Alpi è possibile investire in ricerca, in innovazione e consolidare la presenza di professionalità di alto profilo e dignità. Il parco appena lasciato, confinante con il parco Nazionale delle Dolomiti bellunesi, ci offre esempi di alto valore sulla pianificazione sostenibile di un territorio, ma nel contempo ci porta a riflettere su scelte errate come il previsto collegamento sciistico San Martino Passo Rolle, o i previsti parcheggi a Passo Rolle e Passo San Pellegrino.

Documento: Protocollo turismo

I luoghiCon questa tappa il gruppo dei nostri attivisti abbandona la catena porfirica del Lagorai e della catena di Bocche e si inoltra nel cuore delle Dolomiti, nella complessa geologia del gruppo della Marmolada. Da Passo san Pellegrino gli scialpinisti attraverseranno le radure prative della conca di Fuchiade per salire a Forca Rossa. Da qui scenderanno in Val Franzedas per portarsi a fine giornata a Malga Ciapèla. In questa tappa abbiamo deciso di affrontare il protocollo turismo perché si entra in aree dove questa economia si presenta dominante sino ad arrivare a soffocare ogni altra attività. Il Passo san Pellegrino ha ogni suo versante intasato da piste da sci e impianti di risalita, si sono incisi perfino lariceti secolari d'alta quota (loc. Zingari). Sul finire degli anni '80 c'era l'intenzione di collegare il passo e il Comune di Falcade a malga Ciapèla, demolendo di ben 50 metri la parte alta di Forca Rossa e sacrificando allo sci l'intera Val Franzedas. Grazie all'impegno di tutte le associazioni ambientaliste, coordinate dalla gloriosa SOS Dolomites, il progetto sembra sconfitto, anche se qualche amministratore ogni tanto viene solleticato a riproporlo. La conca di Malga Ciapela, gia' abbruttita da grandi strutture alberghiere prive di ogni attenzione alla tutela del paesaggio e dell'ambiente circostante, e' il luogo da cui parte una delle funivie più umilianti ed offensive delle Dolomiti (e ce ne vuole!): la funivia che sale con tre tronconi a Punta Rocca, una delle cime della

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Marmolada. Una storia orribile, la sua, ma non unica nelle Alpi. Una storia passata attraverso l'abbandono di rifiuti in mezzo alle rocce e fra i crepacci del ghiacciaio, una storia di scarichi fognari lasciati colare lungo le grandi vie alpinistiche che salgono la vertiginosa e compatta parete sud, una delle pareti rocciose più belle e famose del mondo. Una storia che non e' ancora finita, alimentata da un'arroganza senza confronti. Gli stessi proprietari hanno infatti totalmente evitato l'attuazione del Patto della Marmolada (stipulato fra le Province di Trento e Belluno e le realtà amministrative comunali nell'aprile 2003) preferendo imporre la ricostruzione della funivia nei suoi passaggi tradizionali. Non contenti di questo già grave passo, i proprietari hanno poi proposto la costruzione di un'immensa struttura alberghiera, oltre 140.000 mc di cemento che dovrebbero, come si legge nella relazione del progetto, costruire effetto paese, cioè diventare autosufficienti nell'offerta al turista, soggiorno, commercio, fitness e sci. Mentre avviene questo il Comune di rocca Pietore ha autorizzato la costruzione di altri imponenti alberghi, lungo la statale che sale a Passo Fedaia, in zone a rischio geologico. Ogni minimo spazio libero, edificabile della conca di Malga Ciapèla verrebbe così occupato dal cemento, dai parcheggi, dalle strade. Nessuna attenzione alla socialità, alla qualità del lavoro offerto, alla qualità del vivere dei professionisti della montagna e del turismo: ogni scelta viene decisa sulla base di un unico parametro, l'immediata redditività economica. I grandi valori racchiusi nel gruppo della Marmolada vengono così schiacciati dalla politica della cementificazione. Non si parla di fauna selvatica, della storia dell'alpinismo, del recupero dei percorsi della grande guerra, di conservazione del ghiacciaio, di investimento scientifico e paesaggistico, della complessità geologica del gruppo, di un'altra economia riferita allo sviluppo dell'artigianato, della ripresa dell'agricoltura d'alta quota, della cura dei boschi, dell'attenzione ai temi della sicurezza idrogeologica. Non si parla di qualità del vivere degli abitanti di Val Pettorina, delle loro reali necessità: istruzione, salute, servizi sociali e ricreativi.

Il protocolloIl Protocollo attuativo "Turismo" è stato approvato nel corso della V Conferenza della Alpi, tenutasi a Bled il 16 ottobre 1998. Il suo stato legislativo attuale e' riassunto nella tabella seguente: A CH D F FL I MC SLO EU FIRMA31.10.00 16.10.98 16.10.98 02.12.98 16.10.98 08.02.01 16.10.98 16.10.98 RATIFICA10.07.02 12.07.02 18.04.02 27.01.03 28.11.03

L'obiettivo "generale" previsto dal trattato, che le Parti contraenti si impegnano a perseguire, è in estrema sintesi quello di contribuire ad uno sviluppo sostenibile dell'area alpina grazie ad un turismo che tuteli l'ambiente ed in particolare: provvedere ad uno sviluppo turistico sostenibile, favorendo a tal fine l'elaborazione e la realizzazione di linee guida, programmi di sviluppo e piani settoriali,capaci di tenere in considerazione tale obiettivo (art. 5). incoraggiare progetti che rispettino i paesaggi e siano compatibili con l'ambiente, provvedendo affinché nelle zone fortemente turistiche, sia perseguito un rapporto equilibrato tra forme di turismo intensivo ed estensivo. La realta'

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Il nero: realta' negative Nonostante piu' del 65% dei turisti sciatori reputino lo sci uno dei maggiori pericoli per le zone alpine (Pröbstl U., 1996, Wintersport) non si fa nulla per alimentare una concreta presa di coscienza da parte degli stessi. Le informazioni statistiche riguardanti le "esigenze" dei turisti delle Alpi sono fortemente contrastanti e spesso utilizzate in modo fazioso. Ad esempio, e' si vero che il 52% dei turisti ritengano il numero di Km di piste da sci presenti nel comprensorio un fattore determinante, ma e' altrettanto vero che il 73% degli stessi intervistati, ritiene fondamentale la qualità dell'ambiente naturale circostante. Nelle Alpi il numero e la dimensione di attività sportive altamente impattanti (sci, eliski, motoslitte, down hill, golf, discese dei corsi d'acqua, ecc) e' in spaventoso aumento ed in moltissimi casi non si esitano a sacrificare anche le aree protette. L'offerta commerciale complessiva del turismo di montagna e' decisamente sbilanciata a sfavore di quella parte di turisti che nelle Alpi cerca silenzio e rapporto con la natura Diversi studi recenti (Grandi manifestazione nelle Alpi, CIPRA, piccola documentazione n.13/98 e altri) hanno dimostrato come i grandi eventi sportivi invernali (Olimpiadi, Mondiali ecc.) nelle Alpi siano, per le valli ospitanti, estremamente negativi dal punto di vista ambientale e, a lungo termine, anche da quello economico. Come giustificare allora gli scempi in valle di Susa e in alta Valtellina ? In Italia pare non esistere un senso del limite. E' evidente che la costruzione di nuovi impianti di risalita e altre strutture turistiche impattanti non puo' continuare all'infinito. Il bianco: alcuni esempi imitabili La regione austriaca del Tirolo ha definito dei limiti definitivi di ampiamento per gli impianti di risalita vietando la creazione di nuove zone sciistiche. I piccoli centri e vallate alpine che hanno scommesso sul turismo diffuso, culturale e naturalistico senza o con modesti impianti di risalita, al più con piste da fondo e per slitte, hanno una qualità di vita invidiabile e riescono a conservare meglio alcune attività lavorative tradizionali (esempi: Val d'Ultimo, Val Sarentino, Val d'Anterselva, Val Monastero, molte realtà svizzere e austriache, alcuni paesi della Carnia, …) La realtà di Chamois contrapposta allo sviluppo delirante di Cervinia Il successo turistico dei musei all'aperto inseriti armonicamente nel territorio e "vivi", come ad esempio il Ballemberg in Svizzera o il Sentiero Etnografico del Vanoi, nel Parco Naturale di Paneveggio-Pale di S.Martino Il successo di iniziative di chiusura al traffico di strade montane con servizio navetta sostitutivo e attività culturali connesse attuato dal Parco Adamello Brenta in Val Genova. Un certo numero di rifugi alpini, grazie alla lungimiranza dei propri gestori, stanno trasformandosi da ristoranti e alberghetti d'alta quota in centri di cultura alpina (es. Rif. Città di Chivasso al Colle del Nivolet)

Marzo 2003Proteggiamo le Alpi

Dolomiti - Trentino

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8 giorni con la Tenda Gialla per chiedere il rispetto della Convenzione per la Protezione delle Alpi

Nella settimana compresa tra sabato 14 e domenica 21 marzo 2004, si terrà in Trentino una manifestazione internazionale organizzata da Mountain Wilderness Italia. L'obiettivo sarà quello di diffondere informazioni, attirare l'attenzione pubblica sui temi contenuti negli 8 protocolli della Convenzione per la Protezione delle Alpi, e chiederne il rispetto. Dal 1994 a oggi, tutti i protocolli della Convenzione sono stati firmati dalle sette nazioni interessate e dall'Unione Europea e molti di essi sono già stati ratificati dai rispettivi governi. Ma qual è il reale stato delle cose? Gli impegni presi vengono effettivamente rispettati? Domande alle quali proveremo a rispondere durante il percorso.Durante ogni giorno della manifestazione, verrà recapitata ai media una lettera di denuncia riguardante un diverso tema della Convenzione. Ogni lettera sarà letta ogni sera da un esponente diverso della comitiva al resto del gruppo.Alle principali associazioni alpinistiche ed ambientaliste europee sarà spedito un resoconto della manifestazione e saranno forniti gli strumenti (web) per seguire ed approfondire l'evento.Durante la manifestazione verrà realizzato un filmato-documentario che verrà successivamente presentato, come evento fuori concorso, al Festival Internazionale del Cinema di Montagna di Trento (maggio 2004).

Una traversata scialpinistica di 7 giorni con la Tenda Gialla, con partenza domenica 14 marzo dagli uffici della provincia di Trento, ed arrivo a passo Fedaia, ai piedi della Marmolada, dove cominceranno le altre iniziative. Ritrovo domenica 14 marzo a Pergine Valsugana, piazza Gavazzi ore 8:30, per info chiamare 348.4026740

sabato 20 marzo 04, ore 9:00, ritrovo presso rif. Castiglioni al passo fedaia: un momento alla portata di tutti (sci da scialpinismo o ciaspole). Escursione naturalistica guidata nel gruppo della Marmolada (val Franzadas e Ombrettola). Per info chiamare: Stefano: 328.5423635, o Paolo: 349.5610167

domenica 21 marzo 04, ore 9:00, ritrovo presso rif. Castiglioni al passo fedaia: salita (ciaspole o sci da scialpinismo)verso p.ta Rocca, Marmolada con traguardo intermedio alla portata di tutti a pian dei Fiacconi. Per info chiamare: Stefano: 328.5423635, o Paolo: 349.5610167

Cristiano [email protected]

giugno 2006Lo scandalo dello sci estivo in Marmolada e sulla Tofana

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Cavalese, 26 giugno 2006.

All’Assessore all’Ambiente Mauro GilmozziProvincia Autonoma di Trento

All’assessore all’AmbienteGiancarlo ConteRegione VenetoPalazzo BalbiDorsoduro 390130123 VENEZIA

All’Assessore all’AmbienteProvincia di BellunoIrma VisalliVia S. Andrea, 532100 Belluno

Al Sindaco di CanazeiFernando RizVia Roma 1238032 Canazei (TN)

Al Sindaco di Rocca PietoreMaurizio de CassanVia Capoluogo 232020 Rocca Pietore (BL)

Al Sindaco di Cortina d’AmpezzoGiacomo GiacobbiMunicipioCorso Italia 3332043 Cortina d’Ampezzo (BL)

Oggetto: lo scandalo dello sci estivo in Marmolada e sulla Tofana.

Egregi Assessori, Egregi Sindaci,

è notizia recente raccolta dalla stampa locale che la società impiantistica Marmolada – Tofane apra gli impianti a metà luglio, precisamente il 17 luglio. I proprietari della società hanno annunciato che contemporaneamente all’apertura delle funivie ci sarà la possibilità di praticare sui relativi ghiacciai lo sci estivo. Non c’è che dire, siamo alla follia.La società impiantistica è protagonista in una complessa indagine della Procura della Repubblica di Trento riguardo i danni provocati al ghiacciaio, causa la movimentazione della superficie e del ghiaccio con mezzi meccanici, con i lavori del rifacimento del terzo tronco nell’estate del 2005.Un minimo di correttezza vorrebbe che la pratica dello sci estivo e qualunque manomissione del ghiacciaio venisse al momento sospesa in attesa della

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conclusione delle indagini in corso.Ma non solo. Un minimo di attenzione verso l’ambiente naturale delle alte quote ed il dovuto rispetto verso i ghiacciai delle Dolomiti impone a tutti noi la messa in atto di comportamenti virtuosi tesi a conservare nel modo più integro possibile questi lembi di ghiaccio, lo ricordiamo per l’ennesima volta, demanio pubblico della collettività, patrimonio indisponibile dell’intera umanità e non proprietà privata gestita nella più assoluta anarchia.Nonostante le nevicate un po’ abbondanti dello scorso inverno, le temperature di questo inizio d’estate ci impongono di prestare la massima attenzione nella conservazione di questi beni. Non vi è dubbio che l’attività dello sci estivo risulti devastante per la manutenzioni delle superfici dei ghiacciai, specie quando ridotti nelle dimensioni come lo sono quello della Marmolada e quello della Tofana. Orami da oltre una settimana lo zero termico alle ore 14.00 lo ritroviamo sopra quota 4.000 metriVista l’assoluta mancanza di rispetto verso l’ambiente che la società funiviaria insiste nel dimostrare Mountain Wilderness Italia rivolge un pressante appello alla Provincia Autonoma di Trento ed al Comune di Canazei affinché venga vietata l’attività dello sci estivo in Marmolada e perché si vigili con determinazione e continuità sulla allegra gestione estiva da parte della società impiantistica della superficie del ghiacciaio da Punta Rocca fino a Serauta, anche avvalendosi, qualora necessario, dell’intervento della magistratura;Agli enti pubblici veneti, Regione e Comuni interessati, chiediamo che per ragioni etiche, di tutela del paesaggio, della necessità di conservare il più a lungo possibile la risorsa naturale dei ghiacciai, di vietare la pratica dello sci estivo e qualunque incisione o lavoro sui ghiacci sia in Marmolada che in Tofana.Certi di trovare attenzione e sensibilità, porgo i più cordiali saluti.

Per Mountain WildernessIl PresidenteFausto De Stefani

Ottobre 2005Le fotografie di una montagna ferita: il collegamento Pinzolo - Campiglio

MW presenta le immagini dell'ennesimo scempio ambientale per fare spazio a nuove piste da sci

Le immagini di quanto sta accadendo nel Parco Adamello - Brenta (Tn) Come per l’ormai perduta val Jumela, come per Val della Mite, la Marmolada, Mountain Wilderness presenta ai cittadini le fotografie di un recente reportage nella zona del gruppo dolomitico del Brenta (Parco Adamello-Brenta). Non dimentichiamo che stiamo parlando di sito protetto da una certificazione d’interesse comunitario più comunemente chiamato SIC. Si tratta di un’area meravigliosa, una terrazza che offre un panorama a 360°. Infatti appena sopra alti larici, ad est, svetta la cima Tosa e ad ovest si può quasi toccare con la mano il Carè Alto e la Presanella fino ad arrivare al Vioz. Questa vuole essere la testimonianza di quanto sta avvenendo nel nostro Trentino, come per la Val della Mite: la trasformazione violenta di un territorio, un atto prepotente ed insensato che passa nella totale indifferenza, se non con

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la complicità delle autorità tecniche e politiche provinciali. Ho voluto documentare quanto visto per invitarvi ad essere il più possibile partecipi dello scempio che si sta compiendo in tale zona. Per essere incisivo nella denuncia, teniamo anche presente il mancato rispetto dei vincoli, che sarebbe dovuti, visto che siamo su di un territorio sito all’interno di un parco naturale di notevole valore e notorietà.Vorrei poter trasmettere, oltre all’ impatto visivo non certo gradevole che le immagini documentano, il disagio ed il senso di nausea che ho provato trovandomi immerso in un ambiente che ho frequentato per anni, apparsomi ora completamente modificato ed umiliato dall’insensibilità e dalla cupidigia di chi sostiene che queste scelte siano le uniche possibili per dar lustro allo sviluppo di un territorio, ponendo come alibi, ormai poco credibile, il conseguente miglioramento del benessere e di un profitto che sarà equamente ridistribuito sulla popolazione locale. Per il momento si vede un fiume di abeti e larici abbattuti ed accasciati al suolo in attesa di essere tolti, trasferiti da una teleferica un po’ più in basso e poi caricati su dei camion: dovranno percorrere una quindicina di km di strada forestale per essere scaricati a valle. Mezzi pesanti di uguale stazza hanno portato per gli stessi km. fino all’impianto a valle, a m 1600 di quota, trasportando con numerosi trasferimenti tonnellate di cemento per costruire una struttura delle dimensioni di un condominio di città. Non esente da impatto è l’impianto a monte, quota 1900m, un’area ritrovata rasata e spianata, messa in sicurezza presumo in base alle norme vigenti in materia.A questo punto aver appreso, che per favorire e non disturbare il periodo del canto del gallo cedrone, sia stato posticipato l’inizio dei lavori di una decina di giorni dalla data stabilita, se non fosse per la gravità degli eventi farebbe sorridere, essendo la risultanza della classica ciurlatina nel manico.Cari amici, le foto parlano da sole: sono giornate tristi che nella nostra provincia si sommano a troppe di simili: Jumela, Paganella, Val della Mite, Bondone. E fra poco tempo Tremalzo, Passo Broccon, Lastebasse, Col dei Rossi. Le montagne, le Dolomiti devastate. E vallate che non riconosciamo.

Franco Tessadri [email protected]

Maggio 2004Stelvio. La festa al Parco

23 maggio 2004, giornata internazionale dei parchi. Una giornata di festa e promozione dei valori della natura in tutto il mondo, una giornata che permette di conoscere le aree protette e di rilanciarle come aree di sperimentazioni scientifiche sui temi della conservazione della natura e dello sviluppo sostenibile, di diversa convivenza fra uomo e ambiente. In Italia invece siamo costretti ad assistere al deprimente scenario della progressiva demolizione dei nostri parchi nazionali. E’ una azione complessa, che si articola in diverse fasi promosse dall’attuale governo, con i risultati che cominciano a delinearsi e purtroppo non scuotono allarme, né tantomeno preoccupazione, nei partiti dell’opposizione.Con la prima finanziaria il governo aveva tagliato i fondi destinati alle aree

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protette. Un semplice passaggio burocratico che ha avuto effetti immediati: uno stop alla ricerca, il blocco delle assunzioni, anche stagionali, l’incentivazione dei lavori precari specialmente nel campo delle alte professionalità. Nel frattempo la pianificazione territoriale avviata dai parchi veniva bloccata in sede di ministero, si lasciava invece imperare l’eccesso di burocrazia degli enti sulle piccole questioni, dallo scalino da rifare alla finestrella da aprire, quelle che toccano direttamente i cittadini. Non soddisfatti, da Roma si ritardavano pagamenti promessi da anni causando azzeramenti di risorse ed indebitamenti degli enti. Nelle vallate interessate trovava subito voce il partito degli antiparco: troppa burocrazia, aree museali che impediscono lo sviluppo, i diritti dell’uomo calpestati. Ora siamo giunti ad una fase quasi definitiva: l’allontanamento di tutti i Presidenti dei parchi voluti dal centro-sinistra, presidenti competenti, attenti, che ovunque stavano costruendo e promuovendo azioni culturali ed interventi di sviluppo che in alcuni casi avevano dell’incredibile.Per rimanere in ambiti territoriali a noi vicini in questi giorni è stato commissariato il Parco delle Dolomiti bellunesi con il diktat del ministro all’ambiente Altero Matteoli (AN) che ha sponsorizzato il sindaco De Zordo di Cibiana (AN), un paesino del Centro Cadore divenuto famoso più che per i suoi straordinari murales, perché ha facilitato a Messner la conquista dei forti del Monte Rite inserendovi una delle sue scatole museali. E’ stato così allontanato Walter Bonan, un Presidente stimato ovunque, preparato e che aveva rilanciato la presenza del parco in un contesto culturale e progettuale che veniva imitato anche oltre confine.Ora siamo alla resa dei conti nel Parco dello Stelvio: scaduto il mandato del Presidente ambientalista Arturo Osio, uno dei fondatori del WWF Italia, il ministro Franco Frattini, sostenuto dal governatore della Lombardia Roberto Formigoni, propone presidente Ferruccio Tomasi, amico di Frattini, dirigente della scuola di sci del ministro, uomo forte nel settore degli sport invernali.Ma, ci dice fin dal lontano dicembre 2001 il comitato tecnico di valutazione lombardo, questo Tomasi è persona non di certo idonea a ricoprire incarichi direttivi in un parco, in quanto il suo curriculum è totalmente privo delle competenze previste (persone di sperimentata competenza in materia di tutela della natura e dell’ambiente).Da Bolzano non ci si poteva aspettare una difesa del parco e della sua qualità, sono anni che la SVP lavora per cancellarlo. Lascia invece sconcertati il comportamento dei politici trentini. La sindaca di Rabbi Franca Penasa non perde l’occasione per manifestare la sua gioia nell’eliminazione di Osio e arriva a giustificare la costruzione dei nuovi impianti in Val della Mite e quelli della stazione di Bormio. Mentre l’assessora provinciale dei verdi, Oliva Berasi, forte di alte competenze naturalistiche e di ormai dimostrata coerenza ambientalista, nel protestare si limita a chiedere un presidente trentino, i DS mantengono una costante assenza dal problema e il Dellai, protettore dei cacciatori, ripropone la sua totale insofferenza verso le tematiche della difesa della natura.“Non spetta ai politici trentini, - dice il Presidente della Giunta Provinciale - indagare sulla presenza dei requisiti del candidato proposto dal Ministero dell’Ambiente”.Saremo quindi costretti a subire la presidenza del parco dello Stelvio affidata ad uno sciatore, ad uno strenuo sostenitore dei mondiali di sci in Valtellina, ad una persona che studierà come organizzare l’attacco alle alte quote del parco

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per mantenere sicure le stagioni invernali ai suoi colleghi maestri di sci.Il parco dello Stelvio non ha mai avuto vita facile: da un ventennio si sta attendendo il Piano del Parco, il documento è ormai pronto, ma con questo passaggio potrà trovare ulteriori ritardi in quanto è ovvio attendersi ripensamenti sui confini, sulla zonizzazione, sulla delimitazione delle aree sciabili in quota. Ma anche la fauna selvatica rischia dentro quest’isola di serenità.Il Ministro dell’Ambiente attende il momento propizio per far passare una legge che permetta l’attività venatoria nei parchi nazionali, ed i cacciatori trentini, bolzanini e lombardi sono ormai impazienti e scaldano i loro fucili. Centinaia di cervi, camosci, caprioli ogni anno sarebbero uccisi dentro un territorio che ormai da settanta anni li protegge. Il lupo, nel suo eterno peregrinare, nella sua straordinaria volontà di sopravvivenza, sta arrivando anche in queste zone, come del resto la lince ha già avuto qualche fugace apparizione. Si dovesse aprire la caccia dentro il parco, accadrebbe quanto già visto nel Lagorai negli anni ’80: la fauna selvatica predatrice in poco tempo verrebbe eliminata dai cacciatori.Altro che festa dei parchi: stanno invece maturando sempre più le condizioni politiche e culturali per fare la festa definitiva ai parchi.

Luigi Casanova [email protected]

Maggio 2007Escursione e manifestazione contro le cave (truccate da miniere) diSchievenin e Alano di Piave (prov di Belluno).

Un appuntamento da non perdere, una manifestazione a cui essere presenti per la difesa delle nostre montagne che sono sempre più minacciate da cave e miniere. Dobbiamo accogliere il grido di pericolo e sostenere la richiesta di aiuto dei Comitati locali che si stanno impegnando per la difesa del territorio. In questo caso la storica Palestra di roccia di Schievenin in Comune di Quero, sulla quale si sono esercitate generazioni di alpinisti, corre un grave pericolo. C’è il concreto rischio che venga riaperta la cava di pietra dismessa da anni, col nome di “Miniera Schievenin”: ciò rappresenterebbe una gravissima aggressione al patrimonio naturalistico e ambientale della Valle e metterebbe a repentaglio la fruizione stessa della Palestra di roccia. Ma è una situazione sempre più frequente per molti massicci e valli delle Prealpi: vecchie cave dimesse, per lo più di piccole dimensioni ed ormai ricolonizzate dalla vegetazione, vengono riaperte e trasformate in voragini da milioni di metri cubi, con un notevolissimo impatto ambientale ed un irrecuperabile danno paesaggistico.Inoltre, il vicino Comune di Alano di Piave è interessato da un altro progetto di escavazione che comporterebbe l’abbassamento della sommità del Col de Roro di circa 80 metri.

Il COMITATO COL DE RORO con l’adesione delle associazioni ambientaliste e locali, organizza per domenica 6 maggio 2007 un incontro comune fra alpinisti, escursionisti, ambientalisti e popolazione locale per riaffermare il NO a qualsiasi progetto di

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escavazione nelle due Valli.

La giornata è articolata come segue.

1. Per gli escursionisti viene proposta una facile escursione sui sentieri del Col de Roro, con partenza alle ore 10.30 da Campo (frazione di Alano di Piave) e arrivo a Schievenin alle ore 13.30, ove si pranzerà al sacco. Lungo il percorso saranno illustrati i luoghi che verrebbero interessati dai cantieri.

2. Gli alpinisti potranno arrampicare per tutta la mattinata sulle vie della Palestra di Schievenin.

3. Alle ore 15.00 ritrovo di tutti presso l’area pic-nic di Schievenin per l’incontro comune e gli interventi del Comitato Col de Roro, delle associazioni presenti e di noti personaggi. Fra gli altri hanno assicurato la loro presenza Mauro Corona, Manolo, Pier Verri, Manrico Dall’Agnola, Luca Visentini e tanti altri.

WWWF - CAI - LIPU - LEGAMBIENTE - MOUNTAIN WILDERNESS - ITALIA NOSTRA - ECOISTITUTO DEL VENETO ALEX LANGER

e molti altri gruppilocali

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Wilderness

Ottobre 2004L'altra faccia della montagna

Zambana - TN

Il Gruppo Consigliare "Lista Aperta per Zambana" organizza una serata dal titolo "LA PAGANELLA FERITA, un' occasione per ripensare il rapporto tra turismo e rispetto dell'ambiente in montagna". MW parteciperà con un intervento del consigliere nazionale Cristiano Ghedini dal titolo: "L'ALTRA FACCIA DELLA MONTAGNA: Trentino tra immagini da cartolina e progetti di espansione sciistica insostenibili".

Il programma della serata

Michele Moser, capogruppo consigliare "Lista Aperta per Zambana" Introduzione. Perché una serata sulla Paganella a Zambana?Con proiezione di diapositive Cristiano Ghedini, Consigliere Nazionale di "Mountain Wilderness Italia" L'altra faccia della montagna: la realtà impiantistica trentina ed i previsti sviluppi futuriCon proiezione di slide e diapositive Roberto Bombarda, Consigliere Provinciale dei Verdi, già Presidente dell'Apt Terme di Comano - Dolomiti Brenta Turismo e Trentino: la sfida della qualità Roberto Pinter , Consigliere Provinciale dei Democratici di Sinistra, Presidente della Commissione Ambiente del Consiglio Provinciale La sostenibilità della gestione urbanistica ed ambientale Tavola rotonda relatori e coinvolgimento del pubblico presente

Cristiano [email protected]

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Mobilita’

Marzo 2003Marmolada la nostra regina

Per protestare contro l'eliski, lo sci estivo ed il progressivo degrado cui è sottoposto l'ultimo vero grande ghiacciaio delle dolomiti.

Da domenica 23 marzo 2003 alla domenica successiva una tenda gialla è stata l'avamposto di Mountain Wilderness in vetta alla Marmolada. Sette notti e otto giorni sulla vetta delle Dolomiti per rinnovare l'impegno che da sempre l'associazione ambientalista, nata nel 1987, ha dedicato alla salvaguardia delle montagne, ed in particolare di questa.Per una settimana i 3325m di Punta Rocca sono stati dunque presidio e fulcro di varie iniziative per sensibilizzare, l'opinione pubblica e le amministrazioni locali, sulla necessità di proteggere la "Regina delle Dolomiti" con interventi immediati. Gli stessi interventi che negli ultimi tempi sono stati più volte oggetto di proposte e discussione tra Mountain Wilderness e i rappresentati delle Amministrazioni locali del Veneto e del Trentino.Perchè la Marmolada. E' la vetta più alta delle Dolomiti, la Regina. E' stata oggetto di mortificazioni continue. La grande guerra con centinaia di morti e sofferenze oggi incredibili. La disputa sui confini fra Trentino e Belluno terminata solo da un anno. L'umiliazione dei rifiuti sparsi ovunque: nei crepacci, disseminati nei valloni, nelle viscere del ghiacciaio, ai piedi della parete Sud fino al passo dell'Ombrettola. L'umiliazione di una funivia che raggiunge la vetta racchiusa in osceni scatoloni in lamiera. L'eliski che offende sciatori, escursionisti, chi cerca montagna autentica. La sceneggiata della partita a golf sul ghiacciaio. I mezzi battipista che in inverno ed in estate incidono in modo irreversibile il capitale del ghiacciaio, un capitale sacro, universale. Plinti e scalini di cemento disseminati ovunque, fino a quota 2900, tutto abbandonato nella più totale incuria. Decenni di sofferenza imposti a questa nostra straordinaria montagna, decenni che oggi possiamo recuperare attraverso una riqualificazione ambientale complessiva, con un intervento che deve offrire risposte economiche e sociali alle popolazioni locali costruendo uno sviluppo che porti vantaggi a tutti, non solo ai soliti poteri forti

Il programma della missione

Domenica 23 marzo

Si installa la Tenda gialla a Punta Rocca, quota 3325.

Ritrovo ore 8:30 alla diga di passo Fedaia per portare in vetta, a Punta Rocca, la tenda gialla ed installarla. Da qui partiranno giornalmente i messaggi via e-mail per i media nazionali, le osservazioni di alpinisti ed amici: un nostro gruppo garantirà la presenza stabile in tenda, proprio a ridosso dell’area di atterraggio degli elicotteri.Ai media sarà spedita la lettera sulla storia delle aggressioni subite dalla Marmolada e la sintesi delle azioni di Mountain Wilderness, 1988-2003, curata da Alessandro Gogna e dall’associazione.La salita sarà possibile effettuarla con sci d'alpinismo, racchette da neve o a

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piedi. Sono consigliati ramponi e piccozza nello zaino in caso si incontrino condizioni particolarmente sfavorevoli di neve.

Lunedì 24 marzoIl silenzio e le emozioniDalla tenda partirà la lettera di Carlo Alberto Pinelli che racconterà fascino e stimoli offerti dal silenzio, dall’esplorazione, dal camminare con lentezza e profondità. Escursioni durante la giornata.Martedì 25 marzoIl ghiaccioLa lettera di Fausto De Stefani racconterà del perché tutelare la Marmolada, il valore del ghiacciaio, i rischi che sta correndo. Escursioni durante la giornata.Mercoledì 26 marzoLa montagna al femminileLa lettera scritta da Maddalena Di Tolla racconterà la montagna letta con gli occhi ed il sentire di donna. Escursioni durante la giornata.Giovedì 27 marzoLa fauna selvatica e l’habitatLa lettera di Stefano Mayr parlerà del valore della fauna selvatica, dell’habitat necessario a stambecchi, aquile, tetraonidi. Ritrovo alle 8:30 a Malga Ciapela. L'itinerario inizia da Malga Ciapela a 1450 m, dopodiché si percorre su stradina il fondovalle della Val Pettorina, quindi su mulattiera o sentiero (a seconda delle condizioni) si risale lo "Scalon" e si entra in Val Ombretta, si raggiunge la malga omonima per poi dirigersi verso il Rif. Falier (2074 m) (3 ore). Causa la scarsità della neve, presente in quantità sufficiente solo in val Ombretta, si consiglia l'uso delle ciaspole piuttosto che quello degli sci. Molto utile l'utilizzo di binocolo per l'osservazione della fauna generalmente presente in zona. Venerdì 28 marzoLa cultura ladinaLa lettera di Stefano Dell'Antonio ci raccontera' attraverso una storia la cultura e la volontà del popolo delle cinque valli dolomitiche Sabato 29 marzoLo sviluppo e l’ambienteLa lettera di Luigi Casanova parlerà delle lotte ambientaliste a difesa del gruppo della Marmolada.L’escursione prevede una straordinaria staffetta ambientalista da Passo San Pellegrino a Malga Ciapèla e viceversa, attraverso Forca Rossa, un ambiente salvato dalla tenacia degli ambientalisti ladini. Ritrovi ore 8:00 a passo San Pellegrino e ore 8:00 a Malga Ciapela. I due gruppi si incontreranno e si scambieranno alla Forca Rossa (circa 2 ore e mezza). Domenica 30 marzoL'alpinismo, la guerra, la rocciaRitrovo ore 8:30 alla diga di passo Fedaia per salire a Punta Rocca e togliere il presidio. Si raccomanda una forte partecipazione alla giornata per lasciare un segno indelebile dell’azione culturale portata dall’associazione durante una settimana tanto impegnativa e complessa. La lettera della giornata sarà di Maurizio Giordani affronterà tematiche che hanno profondamente inciso la storia della Marmolada.Chi volesse raggiungere la tenda gialla anche in giornate dove non sono previste escursioni potrà farlo attraverso gli itinerari citati nella sezione "Info e logistica/Percorsi di salita a Punta Rocca". Troverà un presidio in vetta e potrà

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contribuire portando qualche rifornimento di conforto a chi passerà la notte in tendaIl diario degli attivisti

20-03-2003 Roma. Una giornata triste per ogni persona. È iniziata una nuova guerra. Non importa tanto se legittimata o meno dall'ONU e non importano tanto i motivi. Chiunque sia obiettivo comprende e legge i perchè della guerra, le sue conseguenze nell'immediato e in tempi lontani. Vi leggo invece una nuova sconfitta dell'uomo, della sua intelligenza; della politica. Ogni guerra è una sconfitta. Ogni guerra porta ulteriori motivi di futuri conflitti, disegna altre ingiustizie sociali, emargina energie vive e positive della nostra società. Ogni guerra è una sconfitta collettiva. Ogni guerra è ingiustizia. Mentre tutto questo avviene nel mondo, Mountain Wilderness Italia, nel suo piccolo, prepara la settimana di presidio in Marmolada. è un presidio che raccoglie quindici anni di impegno. è un presidio che consolida un percorso di preoccupazioni e denuncie, ma anche di proposte. È un presidio che urla a voce alta la necessità di un altro impegno, di un'altra vita, di un altro rapporto con le montagne, con quanto ci circonda. È un presidio che chiede rispetto verso le diversità, verso "l'altro". Scrivo ed invio questo diario parlando da Roma. Mentre aspsetto il treno, il televisore sopra la mia testa trasmette una delle trasmissioni più demenziali ed idiote che potessero venire ideate. Qui da Roma, la capitale d'Italia parte un ponte verso la vetta più alta delle Dolomiti, la Marmolada, la regina e madre. Un ponte ideale, un ponte di confronto, di dialogo, ma anche di conflitto. Luigi CasanovaCom'è andata

9 giorni senza eliski

Un'informazione diffusa su tutto il territorio nazionale con la Marmolada ritornata Regina delle Dolomiti Una lettura ampia di valori della montagna che si stavano perdendo: silenzio, armonia, dolcezza, la protezione della fauna selvatica, il ricordo della grande guerra, l'alpinismo come vero amore per i monti, il dovere della conservazione dei monumenti naturali del mondo Sul sito internet aperto appositamente dalla associazione (www.tendagialla.it) abbiamo registrato oltre 500 diversi passaggi Interviste con decine di radio e televisioni nazionali e locali, l'interessamento della stampa regionale e nazionale Abbiamo ricevuto la solidarietà di associazioni alpinistiche, di movimenti ambientalisti austriaci e tedeschi, di tutto l'ambientalismo italiano che fa riferimento a CIPRA (Commissione Internazionale per la protezione delle Alpi). La redazione di un documento ufficiale "il patto per la Marmolada", cui hanno partecipato entrambe le provincie di competenza (Trento e Belluno), i comuni di Canazei e Rocca Pietore, il CAI, l'istituto culturale Ladino di Fassa e l'associazione albergatori alta valle di Fassa in cui e' chiaramente sancita la fine dell'eliski, la necessità di riqualificare paesaggisticamente gli attuali impianti presenti sul ghiacciaio e la necessità di un approfondito studio di impatto ambientale per la pratica dello sci estivo.

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Documento: La scommessa della Marmolada

Molti alpinisti, appassionati di montagna e osservatori in genere, non compresero lo spirito di iniziative ambientali a carattere provocatorio, come quella sul Monte Bianco del 16 agosto 1988. Non avevano riconosciuto il valore simbolico di quella dimo-strazione e la qualificarono un'utopia. Mountain Wilderness non si ribellò a quella condanna, anzi ribadì che la provoca-zione ha sempre accenti utopici. Quelle persone in-vece considerarono di buon occhio e di buon grado l'altra azione estiva del 1988, quella della Marmolada. Dalla dirigenza di Mountain Wilderness questo era stato previsto: fu infatti volutamente approvato per la stessa estate un programma con due azioni diverse: una simbolica e di rottura provocatoria, l'altra più inserita nel benpensare comune. Nessuno infatti giudicò male la nostra iniziativa di ripuli-re la Marmolada. Questo genere di azioni non era certo una novità: per anni e anni c'erano state iniziative varie (del CAI, dei boy-scout ecc.), nelle più disparate zone montuose: non eravamo i primi e non saremmo stati gli ultimi. Siamo però dell'opinione che ripulire le montagne non risolva il vero problema, a volte pensiamo perfino che la presenza degli spazzini delle Al-pi incoraggi lo spargimento di pattume. Le immondizie sono un sintomo, non una causa. A monte di esse c'è una cattiva utilizza-zione della montagna, un "uso" sempre più protervo e rapinato-re e sempre meno ricco d'Uomo e di Natura. Per la legge i responsabili di questo sono i frequentatori della montagna, gli operatori turistici e i gestori delle strutture: ma il vero responsabile è l'insieme di ciò che chiamiamo Cultura. Le informazioni di Maurizio Giordani sullo stato miserando della Parete Sud e del Ghiacciaio della Marmolada si erano non solo rive-late tragicamente esatte: in alcuni casi il degrado che si venne poi a scoprire assomigliava ad un cancro a prima vista insospet-tabile. All'inizio, il luglio 1988, ci fu la raccolta lattine al Passo Ombretta. Al Bivacco Dal Bianco 2727 m, con i volontari riempimmo 43 sacchi di barattoli: in vent'anni quel bivacco era diventato una pattumiera senza una vera utilità. Un foglietto dattiloscritto, appeso sull'interno della porta e firmato dall'allora presidente del Club Alpino Accademico Italiano, Ugo di Vallepiana, pregava "i Signori Alpinisti ed Escursionisti" di "gettare i propri rifiuti nel canalone ad ovest"! Naturalmente questo canalone, di scomodo accesso, era pulito: i rifiuti erano ad est, nel canaletto proprio sotto alla porta! In seguito facemmo una proposta, quella di spostare il bivacco ac-canto al Rifugio Falier, a mo' di ricovero invernale. Ma non vi fu mai dato seguito in sede competente. La colpa di quel degrado era unicamente degli anonimi visitatori, i cosiddetti appassionati di montagna: e nessuno potrà mai incol-parli di niente. Lungo il sentiero tra il Rifugio Falier 2074 m e il Passo Ombretta 2702 m, in altre date, furono raccolti 40 sacchi. Sotto alla Parete Sud, a una quota variabile tra i 2600 e 2750 m, e precisamente nei pressi degli attacchi delle vie Gogna, Messner e Tempi Moderni, il 31 luglio ne riempimmo altri 60. Qui la responsabilità, a giudicare dalla tipologia del barattolo, era da attribuire in buona parte ai resti della prima guerra mondiale e in minima parte agli arrampicatori. Il resto era dovuto alle discariche (solo recentemente impedite e poi risolte) della Capanna Punta Penìa, un piccolo ri-fugio sulla vetta della

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Marmolada 3343 m. Il materiale fu raccolto grazie solo ad una decina di volontari, per un totale effettivo di circa 25 giornate-uomo, con la coordinazione di Gianfranco Sperotto. I 143 sacchi furono evacuati il 3 ottobre dello stesso anno con l'aiuto dell'eli-cottero dei VVFF di Trento. Ma, come tutti sapevano, l'inquinamento maggiore era attribuibile alle funivie. Sapevamo che per anni dalla stazione terminale (Stazione di Punta Rocca 3250 m) un'enorme quantità di materiale era stato getta-to nel vuoto dei 900 metri della Parete Sud. Ancora prima in L'Avventura Alpinismo, Reinhold Messner raccontava come nel 1967 egli fosse salito con due compagni per la via dell'Ideale, aperta da Armando Aste e Franco Solina nel 1964. Gli altoatesini fecero una variante finale che non era altro che lo scarico dell'ora smantellato Rifugio Dallago. Nello stesso punto, poco tempo dopo, fu costruita la Stazione Punta Rocca e in quel momento si ebbe la discarica di materiali da costruzione più alta delle Alpi. Nel 1982 Igor Koller, primo salitore della via del Pesce, scrisse che durante l'ascensione fu sfiorato da una "valanga", composta da un tron-cone di tre metri e da altri materiali (Der Bergsteiger 9/1982). È del 1986 una foto di Giordani che mostra l'uscita della variante Messner completamente colma di rifiuti solidi ingombranti. Ma nel 1987, per via delle prime esperienze giudiziarie, la gestione delle funivie si affrettò a fare una sommaria pulizia, semplicemente gettando giù tutto ciò che ostruiva l'uscita. Ma non basta. Durante tutti quegli anni, sempre lungo la linea della via dell'Idea-le, si era creata una visibilissima striscia marrone, alta circa 800 metri e larga 10-15. Rifiuti organici? Anche, ma sopratutto liquidi oleosi per la manutenzione dei motori (siti appunto a monte dell'impianto, nella Stazione Punta Rocca). Ogni giorno avveniva uno scarico in parete di circa 150 litri di liquido, con partenza da un tubo ben visibile da chiunque. Il 23 luglio 1988, con Giordani, Rosanna Manfrini, Giusto Callegari, Paolo Leoni e Graziano Maffei, salimmo la via dell'Ideale con uscita Mariacher. Facemmo due docce al gasolio e altre sostanze e potemmo osservare, documentandolo, il getto quotidiano. Pochi giorni dopo Mountain Wilderness riuscì ad avere la col-laborazione della Guardia di Finanza: quindici uomini ripulirono integralmente la variante Messner, tramite una calata di 160 me-tri. Ma il getto di liquami ed oli esausti continuava quotidiano. Si era perciò cominciato ad affrontare il problema, ciò nono-stante eravamo ancora ben lontani da un'apparenza di dignità. Alla base della via dell'Ideale la discarica era ancora intatta: ci voleva altro che un pugno di giovani volontari per ripulire quel canaletto ghiaioso dalle sue ingombranti macerie. Serviva il lavoro di una squadra di operai per parecchi giorni e l'aiuto dell'elicottero. Mountain Wilderness aveva ripulito quanto era in suo potere e cioè la sporcizia di alpinisti ed escursionisti. Il resto avrebbe dovuto essere compiuto dai responsabili dell'inquinamento. Ma vediamo da vicino cosa emerse durante l'estate 1988, al di là del-la già nota discarica dalla Parete Sud. Ghiacciaio della Marmolada. Grazie all'abbondante documentazione fotografica dei mucchi di spazzatura rovesciati dai gatti delle nevi, e grazie alle calate nei crepacci che rivelarono quanto sconvolgente fosse il loro interno, Mountain Wilderness rivolse una precisa accusa contro chi, per il divertimento di pochi sciatori estivi e uno sbandierato ma dubbio vantaggio economico per la valle, contribuiva (ed ancora oggi lo fa) ad un deci-sivo e galoppante ritiro del ghiacciaio. Nella conca glaciale racchiusa tra la Marmolada di Rocca 3309 m e la Forcella Seràuta 2878 m ancora oggi si scia d'estate. La neve è martoriata quotidianamente da due gatti che la ribaltano, la im-pastano, la spruzzano: la pappa che ne risulta non può che scio-gliersi con celerità. I cristalli si

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trasformano molto più velocemente di quanto non accada se lasciati stare nel normale accumulo e riposo. I resti di skilift in disuso erano abbandonati in luogo e così pu-trelle, blocchi di cemento, ringhiere, tettoie. E accenniamo solo agli sbancamenti insensati fatti per ricavare piste sciistiche sempre più veloci e sempre più equalizzate. Grazie ad una denuncia di un ex-operaio delle funivie si era venuti a sapere della pratica, poi interrotta dai carabinieri, di gettare verso fine agosto di ogni anno tonnellate di strisce di polietilene espanso nei crepacci, in modo da poterli riempire più facilmente con la neve di riporto che i gatti prelevavano dai bacini di accumulo naturale (le riserve del ghiacciaio) e rendere possibile quindi la continuazione anche in settembre dello sci estivo. Per la verità, nelle nostre ricognizioni del 10 settembre 1988 e 11 settembre 1991, non trovammo traccia nei crepacci di quel materiale, che le funivie si procuravano in una discarica di Bolzano. Ne rinvenimmo solo qualche quintale, ancora chiuso nei sacconi neri di plastica, depositato a monte della galleria di collegamento tra la pista di sci e la Stazione Seràuta. Probabilmente il movimento dei ghiacci aveva completamente macerato il tenero materiale plastico a strisce grige. Vallone di Antermoia. Dalla Stazione intermedia Seràuta, durante la costruzione dell'impianto, vi fu uno spargimento di rifiuti edili lungo l'in-tero vallone (3 kmq) racchiuso tra Punta e Piz Seràuta. Il Vallone d'Antermoia era infatti letteralmente tappezzato di ri-fiuti: dove prima avrebbe potuto essere fatto un bellissimo sentiero, ricavandone una specie di museo bellico a cielo aperto, perché in una zona tra le più ricche di residui in quanto a più alta densità di combattimenti, allora si sarebbe potuto fare solo il "trekking delle discariche". Dal self service della Stazione Seràuta colavano i liquami di sca-rico tramite un tubo di gomma di qualche decina di metri. Il tutto, non depurato e a dispetto dei regolamenti vigenti, da ormai 20 anni si spandeva nel vallone. Intere funi di acciaio, fino a cento metri di lunghezza, erano ab-bandonate nelle ghiaia e così, in gran quantità, fusti vuoti di combustibile, bombole di gas ed altro. Canalone sotto la Prima Stazione (Banc del Gigio). Un profondo colatoio nella roccia, visibile solo da Ciamp d'Arei vicino a Malga Ciapela e immediatamente sottostante la Prima Stazione (il Banc del Gigio 2311 m), era stato scelto dal-la Funivia come discarica occulta. Questo canalone, chiamato anch'esso «del Gigio», ha un dislivello di 276 metri ed è largo in genere dai due ai cinque metri. La sua esposizione è NNE. Situato sulla destra idrografica del Vallone d'Antermoia, è ubicato proprio alla fine di questo, poco prima dell'orlo del grande salto roccioso che divide appunto il Vallone d'Antermoia dalla Val d'Arei (carrozzabile Passo di Fedaia - Malga Ciapela). Ricordo che lo osservai da Ciamp d'Arei un pomeriggio, ed ebbi subito il sospetto di come fosse stato utilizzato. L'11 settembre 1988, assieme ad un gruppetto di volontari, iniziai a risalire questo canalone. Eravamo appena #3333CCuci dalla discesa del Vallone d'Antermoia, nauseati da tanta raccapricciante devastazione. Non sapevamo che il peggio dovevamo ancora incontrarlo. Il Canalone del Gigio alla sua base (posta a 2055 m) era un solo accumulo di macerie e rifiuti grossi, assieme a migliaia di lattine sparse. Per tutto il suo sviluppo era ingombro di solidi e rifiuti di ogni tipo, fino ad uno spessore di più di un metro. Vi fi-gurava pure una buona camionata di quel polietilene espanso che tanto era stato cercato, anche dai carabinieri, in precedenza. Giunti più o meno a metà del dislivello, giudicai troppo pericolosa la prosecuzione in quell'antro infernale: la nostra arrampicata su reti metalliche, lamiere ed altro rischiava di provocare una frana di rifiuti su di noi. Così decidemmo di scendere a corda doppia, non prima di aver documentato lo

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scempio. Qualche giorno dopo, il 14 settembre, tornammo, questa volta decisi a scendere il canalone dall'alto e con una serie di corde statiche. La squadra era composta da Reinhold Messner, Roland Losso, Giuseppe Miotti e da me: con noi scesero pure i giornalisti Leonardo Bizzaro e Marco Benedetti. La seconda visita confermò la prima: l'ingombro era totale, un'ininterrotta discarica presumibilmente di 290-300 metri di lunghezza, con forte pendenza e con qualche raro salto verticale. Per la sua pericolosità e difficile accessibilità, giudicai la bonifica di quel luogo la più grande impresa possibile (o forse impossibile) nel campo delle azioni ambientali in montagna. E fu in quell'occasione che giurai a me stesso che un giorno quel canalone sarebbe stato interamente ripulito. Intanto il clima era davvero diventato rovente. Una buona parte della popolazione valligiana ci era contro: mentre la sera del 14 settembre, quando, presente Messner, denunciammo in una sala di Canazei la situazione, l'accoglienza fu f#3333CCdina ma tollerante, la sera del giorno dopo, a Rocca Piétore, i carabinieri fecero fatica a proteggerci. Sostanzialmente, a Canazei pensavano che tutto ciò non fosse affare loro; a Rocca Piétore invece si sentivano danneggiati e temevano un contraccolpo delle presenze turistiche. Nell'ottobre 1988, a conclusione dell'operazione Marmolada, durante un processo per diffamazione intentato dalla gestione delle funivie al giornalista Giordano De Biasio e ad altri due suoi colleghi che si erano occupati del caso, i testimoni di Mountain Wilderness ac-cusarono i responsabili della Società Funivie Tofana Marmolada SpA di aver provocato lo scempio ventennale che ho appena finito di descrivere. L'Amministratore venne condannato a un miliardo di lire di multa (da spendere per la bonifica) e a 6 mesi di reclusione (con condizionale). Cessò lo scarico sulla Parete Sud e iniziò un lungo braccio di ferro tra le USSL (poi ASL) e gli esercizi di ristorazione degli impianti. Nel 2000 l'amministrazione trentina, definiti finalmente i contrasti territoriali con Belluno, realizzò finalmente un'accurata bonifica dell'intero ghiacciaio, con il giusto impiego di uomini e mezzi, senza badare a spese. Nel frattempo, nell'ambito di un programma di risanamento avviato da una rinnovata (e indubbiamente più avveduta) gestione delle funivie, nel 1999 e nel 2000 gli altri luoghi deturpati videro una prima revisione. Autori di queste operazioni furono alcuni operai delle funivie, coordinati da Leo Olivotto (ex direttore tecnico degli impianti) e da Attilio Bressan. Ma vi collaborarono anche dei volontari e perfino squadre del corpo degli Alpini. Furono così ripuliti la base della Parete Sud in corrispondenza dell'ex-discarica della via dell'Ideale e naturalmente fu affrontato il Vallone d'Antermoia. Vista la mole del materiale recuperato, una ventina di rotazioni di elicottero, il lavoro fu indubbiamente accurato, anche se sappiamo purtroppo bene che solo dopo un po' di passaggi il terreno ghiaioso permetterà una pulizia completa. In più il Vallone d'Antermoia spesso e volentieri è invaso dalla neve residua dell'inverno e questo certo ha impedito una pulizia totale. Per esempio, nell'estate 2001, dopo una stagione invernale di abbondanti nevicate, non vi fu possibile alcuna azione di recupero, per gli spessi nevai che ricoprivano le ghiaie anche d'agosto e settembre. L'1 agosto 2001, Marco Preti, Mario Pinoli ed io, scendemmo ancora una volta nel Canalone del Gigio per fare un film per una possibile sponsorizzazione da parte della Luxottica, constatammo che il fondo del canale era invaso da decine di metri cubi di neve residua che avrebbe impedito qualunque asportazione di materiale sottostante. Inoltre, da alcuni mozziconi di sigarette, ci accorgemmo che qualcuno era sceso nel canale, non sappiamo se l'anno prima: probabilmente uomini del Soccorso Alpino. Questo

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voleva dire che i tempi erano maturi: forse avevo la possibilità di vincere la scommessa che avevo fatto con me stesso t#3333CCici anni prima. Era quello il momento di avviare la lunga e costosa operazione di bonifica del Canalone del Gigio. Quell'atto finale non sarebbe servito solo a dare lavoro agli specialisti: sarebbe stato un primo passo, un esempio sopratutto per altre strutture turi-stiche che, ben sappiamo, avevano fatto buona compagnia ai misfatti della funivia del-la Marmolada. Luca Grigolli (della Tequila ProAd) doveva darsi da fare e convincere la Luxottica che quella era davvero una splendida iniziativa. Il 21 settembre, ad Agordo, ci fu la presentazione ufficiale del progetto. Cominciava qui anche l'importante lavoro di Mario Pinoli (di Montana srl), un'accurata tessitura di relazioni pubbliche e private che ci avrebbe permesso di mandare avanti l'operazione: infatti i rapporti che intercorrevano tra la gestione delle funivie, il comune di Rocca Piétore, la provincia, Mountain Wilderness, il CAI, il Soccorso Alpino e tutti coloro che avevano lavorato nel 1999 e 2000 erano così delicati da rischiare che il nostro improvviso inserimento facesse saltare in aria le buone volontà di tutti. Solo Mario "Richelieu" Pinoli poteva garantire il successo nella mediazione.

La bonifica del Canalone del Gigio

A fine giugno 2002 volevo sapere quanta neve residua era al fondo del canalone. La bonifica era stata programmata di lì a qualche giorno e non volevo andare inutilmente. Con i binocoli osservai la base del canale dal solito Ciamp d'Arei e vidi che il nevaietto era proprio piccolo e ben distaccato dalle pareti rocciose del canalone. Quindi tutto andava avanti come previsto. La Luxottica ci aveva finanziato una quindicina di giorni di lavoro per quattro persone. Secondo i miei calcoli sarebbe bastato. Assieme a Lorenzo Merlo, guida alpina di Milano, e a Pascal van Duin, guida alpina di Mello in Valtellina, avevamo passato parecchio tempo a pensare come agire. Calarsi in quel posto comportava armonia, idee chiare. Diversamente ogni momento sarebbe stato buono per alzare i rischi d'imprevisto. Si poteva ipotizzare un intervento pesante, con tanto di cavo d'acciaio. Ma alla fine prevalse l'idea di scendere leggeri, anche considerato che il canalone non dava spazio a tante persone contemporaneamente. Sapevamo che già il semplice movimento di un singolo metteva a rischio l'incolumità dei sottostanti, figuriamoci un singolo che menava picconate. E questo sia a causa dell'instabilità dei rifiuti, sia a causa della roccia talvolta friabile e della ghiaia onnipresente sul fondo. Le misure del canalone, da me prese con il GPS nei primi giorni, confermavano una prudenza davvero obbligatoria. La base del Canalone del Gigio era situata a 2055 m, 46° 26' 137 N di latitudine e 11° 53' 942 E di longitudine; l'inizio della discesa, nei pressi della Stazione del Banc del Gigio, è situato a 2331 m, a 46° 26' 089 N di latitudine e 11° 53' 860 E di longitudine. Il dislivello è quindi di 276 metri, lo sviluppo esatto 298 m, con una pendenza media di 68°. Il 6 luglio 2002 arriviamo a Malga Ciapela: con noi è il quarto della squadra, il geologo e alpinista Luca De Franco, già mio compagno nella bonifica del Ghiacciaio delle Platigliole allo Stélvio nel 2001. Siamo ancora in tempo per prendere contatto con il direttore tecnico delle funivie, Luciano Sorarù, e con il sindaco di Rocca Piétore, Maurizio De Cassan. Il clima, rispetto al 1988, è davvero cambiato. Entrambi ci confermano il sostegno totale all'iniziativa e, come già d'accordo nei mesi precedenti, avremo dalle funivie aiuti tecnici e passaggi gratuiti. Il giorno dopo, mentre Luca continua le prese di contatto, soprattutto per

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garantire un corretto smaltimenti dei rifiuti che andremo a raccogliere, Pascal, Lorenzo ed io saliamo in funivia al Banc per una prima ricognizione. Per loro il canale è una totale novità e vorrei che fossimo in tre a controllare la tattica della bonifica. La discesa si svolge senza incidenti, sfruttando e rinforzando gli ancoraggi delle otto corde doppie necessarie. Per me è la quarta volta, ma i due miei compagni sono allibiti di fronte al compito che ci attende: ma, senza ulteriori commenti, raggiungiamo la base del canale. Qui passiamo tre ore ad agg#3333CCire a picconate e a colpi di pala il nevaio che ostruisce il fondo: cerchiamo di provocare il distacco di blocchi squadrati di neve dura, in modo da poterli spingere e farli rotolare il più in basso possibile sul ghiaione, dove il sole li scioglierà. Alla fine, con la schiena rotta, scendiamo per circa tre quarti d'ora il sentierino di costruzione militare, a volte decisamente esposto, che collega il fondo del Vallone d'Antermoia con il Ciamp d'Arei e Malga Ciapela 1449 m. La giornata è finita. L'8 luglio ci dividiamo: dalla stazione della funivia Luca ed io scendiamo per un sentierino aereo, ripido e a volte un po' invaso dai baranci, tracciato circa 35 anni fa in occasione della costruzione degli impianti. Anche questo si chiama "del Banc del Gigio" e bisogna stare attenti a percorrerlo, non tanto nel breve tratto attrezzato con un cavo metallico, quanto sulle ripidissime pale erbose. Carichi come somari, la traccia ci porta una cinquantina di metri sotto ai baranceti che sono ai piedi del conoide ghiaioso alla base del Canalone del Gigio; qui si arriva perciò con un'ultima salita, per cominciare subito una raccolta del materiale sparso sul ghiaione. Intanto Pascal e Lorenzo salgono in funivia al Banc (Prima Stazione) per incominciare la pulizia di grosso della prima sezione. Ci hanno concesso l'uso di una stanzetta in cui scegliere di giorno in giorno i materiali che abbiamo depositato lì. Abbiamo le radio, ma dopo un po' rinunciamo a chiamarci continuamente. Presto infatti, noi che siamo alla base, impariamo a capire, dai rumori terrificanti che fa, di che tipo è il materiale che precipita; per prevedere i rimbalzi e i tempi di atterraggio nei nostri paraggi. Specialmente se si è proprio nel fondo del canale, là dove la neve residua si sta sciogliendo, si è davvero esposti, come al tiro al bersaglio. Se si è invece un po' più distanti, allora il rischio è di essere colpiti da certe lamiere di zinco che addirittura sembrano volare mentre sfuggono alla prigionia del canalone. Lorenzo e Pascal si stanno infatti dedicando ai grossi rifiuti, tralasciando la prima parte in cui enormi quantità di plastica, vetro e lattine sono praticamente sepolte da una coltre vegetale che li ha ricoperti. Nel frattempo, data l'enorme quantità di legno presente, decidiamo di farne delle cataste e di appiccarvi fuoco. Così la neve si scioglierà ancora più in fretta. Un fumo denso si alza e s'infila ovviamente nel canalone, che fa da camino. Uno spettacolo davvero infernale. Alle 17 smettiamo di lavorare e scendiamo tutti insieme a Malga Ciapela, sempre per il solito sentierino di guerra. Il giorno dopo ci sono poche varianti al programma. Continua il grande lavoro di Lorenzo e Pascal, dissodare e spingere verso il basso tonnellate di materiale, che in genere scende veloce per un tratto per poi arenarsi una decina di metri sotto al primo mucchio che fa da diga. Il tutto insieme alla ghiaia. Bisogna lavorare appesi alle corde, una alla volta. Poi si scende un poco, si scava, si risale e si ricomincia da capo. Ogni tanto riescono a buttare giù qualcosa di grosso e questo, nella sua caduta, riesce a trascinare con sé altro materiale. In genere il rumore di fondo è una scala musicale con echi provocata dai rimbalzi continuati di decine di barattoli. Al fondo, noi siamo con le orecchie tese, e ci spacchiamo la schiena per radunare, a portata di elicottero, il materiale raccolto nei sacchi. Il rogo era continuato per tutta la

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notte, non abbiamo difficoltà a rifornirlo continuamente di assi marce e gelate. Il fumo questa volta arriva a dare fastidio a Lorenzo e Pascal, che più volte ci pregano per radio di smettere. Ma ormai non possiamo più spegnere nulla, bisogna solo attendere che il legname si consumi. A metà pomeriggio, improvvisamente per radio Lorenzo ci comunica che Pascal si è fatto male, devono scendere subito. Sembra però che ce la faccia da solo. Con ansia li aspettiamo, per poi vedere un sanguinante taglio proprio sopra l'occhio, già medicato alla meglio e bendato. Proprio a metà canale, nello spingere un lungo tubo idraulico per far leva su un enorme "tappo" di ferri rugginosi, putrelle, rotaie, lamiere varie e cavi d'acciaio di variegata foggia e lunghezza, c'è una coordinazione mancata tra Lorenzo e Pascal, combinata con la "giusta" ondulazione della parte di tubo libero: ed ecco che il ritorno elastico del tubo lo va a colpire con violenza. Pascal si accascia sul fondo di detriti putridi, la corda lo tiene. Lui si tiene la testa. Qualche secondo di paura per Lorenzo che non lo vede reagire. Poi, seppur molto dolorante e "stonato", Pascal si riprende. I due iniziano a scendere. La giornata per oggi… è andata bene. Non sarà una cosa grave, ma ci rende tutti pensierosi. La discesa a Malga Ciapela è silenziosa, questa sera. Siamo tutti stanchi, scoraggiati dalla quantità di lavoro che ancora ci attende. Il tempo per il momento tiene, ma se si mettesse a piovere? La sera in albergo cerchiamo di non pensarci: e nel frattempo incontriamo finalmente il forte Attilio Bressan, nei giorni prima non disponibile. Da domani sarà con noi a lavorare. Bressan, ai tempi di Mountain Wilderness 1988, dopo una prima collaborazione aveva pesantemente litigato col coordinatore Sperotto, per motivi che non ho mai avuto modo di chiarire del tutto. E in ogni caso era ovvio che a quel tempo noi fossimo visti come dei veri e propri intrusi rompicoglioni. Poi, nel 1999 e nel 2000, Bressan si era dato molto da fare per realizzare le bonifiche promosse dalla gestione delle funivie cui ho accennato prima. Attilio si sarebbe rivelato una vera forza della natura: nonostante l'età non più così verde non smetteva mai di lavorare, con uno spirito pratico ed un'esperienza davvero ammirevoli. 10 luglio. Nel canalone stavolta scendiamo in tre, anche se una persona in più fa aumentare il rischio. La mia presenza infatti è necessaria per documentare fotograficamente la bonifica. Pascal è tranquillo, ma non ha passato una buona notte. Il volto e la ferita gli dolgono ma non fa parola. Fa f#3333CCdo, dalle pareti sgocciola acqua addosso a quelli che stanno fermi in piedi e in posizione scomoda, chi lavora invece suda come una bestia. Soprattutto difficile da sopportare è la sensazione di non vedere progressi: è vero che ogni tanto qualcosa va giù fino in fondo, con un rumore così forte e intenso da essere consolante, ma in genere il materiale scorre per pochi metri per poi ammucchiarsi miseramente in cataste sempre più grandi, sempre più faticose da sgombrare. Ore e ore per sbrogliare funi di metallo che legano il resto in un ammasso senza risoluzione, ore e ore per dissodare una lamiera: e pochi metri più sotto occorrerà fare le stesse cose sulle stesse funi e sulle stesse lamiere. Dopo l'episodio di Pascal, pur avendo spessi guanti da lavoro, abbiamo paura ugualmente di tagliarci, oppure di ferirci una caviglia quando si fa leva per estrarre qualcosa. Ci sembra una condanna, eppure l'abbiamo scelta noi. Alla base intanto vediamo agitarsi Attilio e Luca. Questa mattina sono scesi veramente appesantiti per il sentierino del Banc, perché hanno portato con loro due reti da elicottero a testa, in modo da poter disporre finalmente i carichi per l'elicottero.I rifiuti sono sparsi non solo sul ghiaione, ma fino a 200 metri distante nei baranci, ormai semiseppelliti dalla vegetazione. Occorre setacciare la zona, reperire il materiale, dissodarlo e trascinarlo ai

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carichi previsti. La variante serale è che siamo in cinque a scendere il sentierino, ma siamo così stanchi da non fare quasi neppure una battuta di spirito. Solo la birra al Bar del Gigio ci tira su di morale. Il giorno dopo, stessa storia. Scendo ancora nel canalone, perché voglio aiutarli un poco e fare altre foto che il giorno prima non avevo pensato di fare. L'osso più duro di tutti si rivela essere un tratto più o meno a metà: qui il canale è privo di salti verticali, il materiale si è ammassato in modo preoccupante, lo sgombero è lentissimo. Due lunghe curve di rotaia, circa 7-8 metri sono una non metaforica spina nei fianchi del canalone: non scivolano giù che pochi metri e trattengono molto bene ogni detrito che le incontra. Più sotto, in corrispondenza di un anfratto, il giorno prima avevamo lasciato del materiale da lavoro (sacconi, corde, mazzette, chiodi, spezzoni, piccone, pala, seghetto, leverino): facciamo fatica a trovarne alcuni, perché nel frattempo il livello di detriti è salito di più di un metro, ed è stato tutto seppellito! Appena ho finito il mio compito scendo velocemente da Attilio e Luca, per aiutarli a preparare i carichi. Le prime rotazioni d'elicottero sono infatti previste per domani. Ormai la caduta di materiale è davvero pericolosa per chi sta sotto. Si può lavorare un minuto, poi scappare per il minuto dopo. Meglio perciò essere in tre. Il legno accatastato intanto ha assunto proporzioni gigantesche, quindi, approfittando di un po' di vento, non resisto alla tentazione di appiccare ancora fuoco… Questa volta il fumo si disperde e non dà fastidio ai poveretti del canalone. A fine pomeriggio ci ritroviamo tutti al Bar del Gigio, dove, più allegri del solito, sperimentiamo le birre con variante all'anice. Al terzo giro tutti e cinque siamo assolutamente alticci, e ci ripromettiamo di riprendere altre volte questa splendida bibita, ringraziando Attilio per questo nuovo suggerimento della tradizione valligiana. 12 luglio, ancora bel tempo, siamo davvero fortunati. In compenso Lorenzo e Pascal cominciano a dare segni di qualche stanchezza. Decido di scendere ancora con loro, in modo da alternarci al lavoro più frequentemente. La pulizia è ormai senza storia, anche se ogni lamiera, ogni trave, ogni fune ha la sua storia di lotte, di bestemmie. La sfida è per ogni oggetto diversa. In tre riusciamo a spedire nell'abisso una quantità di roba davvero confortante: i pezzi grossi sono rari e con la caduta di solo materiale piccolo, siamo sicuri che sotto possono continuare a lavorare. Oggi ad aiutarli è con loro anche Leo Olivotto. Quando arriva l'elicottero, sono sotto anch'io. Deposita a terra il tecnico con una manovra a dir poco ardita, in pochi minuti ritorna e incomincia la corvée. Dopo mezz'ora è tutto finito. Non ci sembra reale che una prima parte di lavoro si sia davvero realizzata. Mi precipito in basso per il sentiero militare per poter documentare l'ammasso recuperato e lasciato dall'elicottero al Passo Fedaia dopo una decina di rotazioni, prima che il camion dello smaltimento, munito di gru, porti via tutto. Ed è a cuore più leggero che ancora una volta ci ritroviamo assieme al bar. 13 luglio. Scendo con Luca con altre reti per il sentierino del Banc, ma poi risalgo il canalone usando la corda fissa che mi hanno lanciato Pascal e Lorenzo dall'alto. Lavoriamo ancora in tre, ormai con molta coordinazione. Ci siamo davvero organizzati ed è difficile che si verifichino lunghi tempi morti per qualcuno dei tre. C'è sempre qualche manovra che si può fare assieme ad un'altra, perciò non stiamo mai fermi. E il lavoro comincia a vedersi. La metà superiore del canale si può definire pulita, i frammenti di plastica e i barattoli di latta più piccoli ancora seppelliti e invisibili nella ghiaia verranno pian piano espulsi negli anni, la natura farà ancora una volta il suo dovere. Perciò è nella metà inferiore che ci concentriamo, gasati dall'aver visto la luce alla fine del tunnel. Sotto, Luca è da solo, Attilio oggi non

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ha potuto venire. 14 luglio, domenica. Il tempo è assai minaccioso. Faccio un salto veloce al Rifugio Castiglioni al Lago di Fedaia, da dove so che stanno per partire i ragazzi di Mountain Wilderness: la loro meta è la vetta a piedi da lì, per sottolineare ancora una volta che il problema della Marmolada e della sua gestione generale è ancora ben vivo e occorre vigilare perché non si realizzino progetti che nulla hanno a che fare con l'attenzione all'ambiente e con il turismo sostenibile. Alle 9 sono già in funivia per raggiungere i miei compagni. Luca oggi scende con Lorenzo e Pascal, in modo da fare anche lui il suo "giro turistico", almeno una volta. Attilio ed io lo incontreremo già alle 10, alla base del canalone, pronto a ricominciare. Per fortuna non piove: fa f#3333CCdo, ma il vento è riuscito a spazzare via il pericolo d'acqua. Anche oggi possiamo lavorare tutto il giorno e concluderlo degnamente al solito bar. 15 luglio. Torniamo a rivedere l'arcata sopraccigliare di Pascal, priva di benda. Piuttosto che scendere ancora una volta per il "maledetto" sentierino del Banc, Luca preferisce scendere carico di reti per il canalone. E mentre Pascal e Lorenzo riprendono la loro odissea, Attilio ed io ci dedichiamo ad un altro compito, la pulizia di fino della parte alta. Come ho già detto in precedenza l'inizio del canale è caratterizzato da un ripido pendio erboso, inframmezzato da un risalto. Qui, negli anni, i sacchi di spazzatura si sono trasformati in "cotica". Non vogliamo ovviamente rovinare il "maquillage" della natura, soltanto asportare ciò che di visibile c'è ancora. Qui stiamo parlando di tonnellate di sacchi neri sui quali è cresciuta l'erba. Poco sotto il primo salto verticale, un vero e proprio "pozzo" speleologico, l'antro si dischiude a campana e su una cengia laterale si sono depositati quintali di roba assai minuta. È lì che scendo, in verticale dal piazzale di manovra sito proprio sotto alla Stazione. Io raccolgo il materiale, Attilio lo tira su. Dobbiamo stare attenti, perché sotto di me, ma a portata di sassi, stanno lavorando Lorenzo e Pascal. Allorché ho finito, risalgo a jumar la campana e il pozzo. E invece di andare al bar, Attilio ed io scendiamo ancora per il sentierino del Banc, per aiutare Luca a fare altri carichi. Alla fine del pomeriggio comincia a piovere, scendiamo tutti sotto l'acqua. So che le previsioni per il domani non sono confortanti. 16 luglio. Alla mattina, grande fermento alle funivie, per la visita di ben due vescovi (Belluno e Trento): c'è anche tanta gente in più del solito. Però sta per piovere, saliamo ugualmente. Lorenzo e Pascal, coraggiosi, iniziano la discesa nel canalone: di per sé già poco attraente, un buco senza ombre da immaginare oggi con un temporale di acqua, sassi e fulmini. Ma alla fine tutto è inutile e devono scendere veloci alla base, bagnati fradici, e da lì a valle. Anche per noi, e per il nostro previsto lavoro di fino, nulla da fare. Ci ritroviamo tutti a visitare gli interessanti impianti della centrale elettrica di Malga Ciapela. E per oggi si chiude lì. 17 luglio. Il tempo ci dà tregua. Luca, Attilio ed io siamo ben decisi a bonificare il famoso prato iniziale; Lorenzo e Pascal scendono per l'undicesima volta nel canalone. Approfittando di una piccola teleferica di servizio della funivia, Attilio si piazza proprio sulla verticale del prato, mentre Luca ed io gli mandiamo su una ventina di sacchi della spazzatura belli carichi: sembra facile a dirsi, in realtà è solo con la forza delle bestemmie che i sacconi riescono a disincastrarsi dagli intoppi che incontrano ogni due o tre metri. Impieghiamo tutta la mattina, e alla fine non siamo così soddisfatti. Più si scava, più materiale appare. Ci convinciamo che sarebbe controproducente disfare un lavoro che la natura così pazientemente ha fatto. E così, dopo aver racimolato solo ciò che era ancora visibile, abbandoniamo l'ambizioso progetto di estirpazione totale del bubbone. Mentre siamo riuniti sul piazzaletto di servizio, dal basso la ricetrasmittente ci

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segnala un altro incidente. Nel gracchiare della radio, appare evidente che questa volta è più serio. Lorenzo è stato colpito ad una mano da un sasso. Pascal lo medica, poi, dopo aver srotolato la fissa per la discesa, lo cala fino alla base. Intanto scendo anch'io nel canalone, per fare da secondo a Pascal e continuare a lavorare. Attilio scende il sentierino del Banc per operare alla base e infine Luca scende in funivia per andare incontro a Lorenzo e portarlo in ospedale. Ci ritroviamo tutti alla sera, Lorenzo sta bene, gli hanno solo dato qualche punto. Ma è sicuro che domani non potrà scendere nel canalone, perché è prevedibile una mano gonfia come un pallone. 18 luglio. Le bizze del tempo ci hanno consigliato di anticipare di un giorno l'arrivo dell'elicottero per terminare il lavoro. Lorenzo ha passato una notte d'inferno, ma scenderà comunque per il sentierino del Banc assieme a Luca, Leo e Attilio, per dare loro una mano (nel senso letterale della parola). Io scendo il canalone con Pascal, per dare la botta definitiva: sappiamo infatti che sarà l'ultima volta. Deve esserlo. C'impegnamo infatti al massimo. Quando arriviamo al luogo dell'incidente di ieri, è davvero impressionante. In mezzo a grandi macchie di sangue, troneggia il guanto giallo da lavoro abbandonato lì, tolto dalla mano colpita e anch'esso insanguinato. Mi domando se quello che stiamo facendo ha ancora un senso. Poi riprendiamo il lavoro, con un accanimento che ha dell'insensato. Dopo anni e anni io sto vedendo la fine di quest'avventura della volontà, Pascal ha deciso di farla finita una volta per tutte. La sua rabbia, dopo questi giorni di follia, è pari alla mia. Non c'è più un movimento che non facciamo senza un mugolio, senza stringere i denti e un'imprecazione a mezza voce. Sotto il lavoro è altrettanto febbrile, le due squadre sono assai vicine: praticamente noi stiamo lavorando a non più di 40 metri da loro, è facile capirsi e non utilizziamo neanche le radio ricetrasmittenti. Alla fine siamo tutti al fondo, cercando di trascinare un po' più all'aperto il mucchione di materiale, per fare gli ultimi carichi. L'elicottero arriva sul tardi ma svolge il suo lavoro egregiamente. C'è perfino il sole, io sono felice, è davvero finita. Ci concediamo perfino una rotazione solo per il nostro ritorno, per ritrovarci tutti dopo pochi minuti al bar del Passo di Fedaia. Festeggiamo. Anche Leo Olivotto, l'ex-direttore degli impianti, è contento. Mi sembra si sia tolto un peso dal cuore. Girano le "ombre" di vino, è un momento davvero magico in cui sembra che il mondo cittadino e quello valligiano possano essere la stessa cosa gioiosa. Per il domani è prevista un'ultima capatina di Luca e Pascal nel canalone, per il recupero del materiale tecnico, cioè corde, chiodi, cordini, sacchi: ma già da stasera sappiamo che tutto è finito. Anche se alla base rimane da appiccare il fuoco all'ultima catasta di legname, un compito che ho affidato ad Attilio e che lui svolgerà appena possibile.

ConclusioneI numeri finali sono, con buona approssimazione, i seguenti. Sono stati raccolti 13.225 kg di materiale, di cui 50 di lattine di alluminio, 500 di barattoli, 3.990 di lamiere di zinco, 200 di tubi di fogna, 225 di plastica, 10 di cavi elettrici, 200 di tubi di zinco, 8.050 di ferro. Sono stati inoltre dati alle fiamme 24.000 kg circa di legname altrimenti inutilizzabile. Queste cifre non rendono la minima giustizia a quello che è stato il lavoro necessario, prima alla denuncia, poi alla ricerca sponsor, poi alla bonifica. Se io dovessi trarre la mia soddisfazione solo dalle cifre, non sarei per nulla contento. Ciò che invece mi fa camminare a mezzo metro da terra è l'aver incontrato uno spirito di gruppo, una voglia di fare come raramente mi era capitato, neppure nelle spedizioni extraeuropee.

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L'aver fatto amicizia con Attilio è stata una delle cose più belle in tanti anni di montagna. Certo, le cose bisogna farle, realizzarle. Questo vuol dire un sogno di meno e una certezza in più. Per qualche motivo che ignoro, la Luxottica non ha voluto fare nulla per "comunicare" l'evento: si è limitata a mantenere la sua promessa, senza volere nulla in cambio. Ma anche codesta è una questione di "stile".

Alessandro Gogna

Documento: Ghiaccio: tra fantasia e realtà

La piccozza entra nel ghiaccio. Schizzi argentati volano nell'aria.I polpacci sono tesi.La tensione dei primi passi si attenua mentre salgo,il mio progredire diventa sempre più armonico con la montagna. Non sento più la fatica, ho solo voglia di salire.Ho la percezione di essere entrato nella parete: siamo una cosa sola.Ricordo di un vecchio che con la sua fantasia mi trasportava, già bambino su queste grandi montagne.Su, su fino ai grandi ghiacciai.

Fausto De StefaniDocumento: Il canto della Marmolada

Questo racconto è dedicato alle nostre genti, alla parte "femminile e selvatica" che è in loro, che è contatto profondo e creativo con l' abbondanza della natura e con il suo mistero. Rosalya era un antico nome ladino della Marmolada. Questo racconto è un umile atto d'amore per la Regina delle nostre montagne e per l'arcipelago delle Dolomiti: che l'uomo rispetti ciò che milioni di anni di evoluzione hanno creato. Il giovane geologo aveva un bagaglio pieno di conoscenza. All' alba s'incamminò per il sentiero: era forte, agile, veloce. Il suo passo sicuro lo faceva procedere rapido e nervoso. A tutto sapeva dare un nome e un perché e come tutti gli uomini fanno misurava il mondo e sé stesso e la montagna con un criterio di quantità: le ore di cammino, il dislivello, la quota della neve, le specie animali incontrate. Davanti a lui la Marmolada, Regina delle Dolomiti. Quel giorno avrebbe compiuto un'impresa solitaria: avrebbe scalato la parete difficile per una via nuova; ne pregustava i passaggi complessi, la tecnica. Mentre camminava, quasi correva, con lo sguardo avvolgeva rapidamente ogni dettaglio, ogni particolare. Sulle sue labbra affioravano i nomi, delle rocce, dei grandi alpinisti prima di lui, le date delle importanti ascensioni; saliva respirando a pieni polmoni l'aria fresca del mattino e conquistava quota. Il giovane geologo, con la sua scienza, con il suo alpinismo di quantità dominava la montagna, come gli uomini fanno e aspirava a dominare il suo mondo ma gli sfuggiva la intima bellezza delle cose, non ne coglieva nel profondo l'eterna promessa di abbondanza e di vita. I monti pallidi per lui erano una sfida emozionante per il corpo e per la mente, erano strati di filladi, micascisti, arenarie, quarzi, molluschi e calcare; erano milioni di anni di mare che muta e corrode, di eruzioni vulcaniche, di fiumi e

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lagune calde, di pioggia di sali. Erano un meraviglioso spettacolo naturale, da attraversare con la mente, da sperimentare con picozza e ramponi. Il sussurro veloce del volo di un rondone lo distolse dai suoi pensieri, sorrise e si fermò, abbassò lo sguardo, c'era una grande pietra che faceva ombra a un giaciglio di muschio; calò lo zaino e si sedette a riposare. Era salito con buon ritmo, aveva tempo. Notò allora una piccola dorata lumaca che adagio adagio saliva sullo zaino. Quel movimento lento lo attirava, rimase a guardare il buffo animale fino a che arrivò alla tasca sopra lo zaino e lì rimase. In quella tasca c'era la cartina della montagna, la estrasse e la aprì. Il vento ottusamente la piegava, con i suoi codici e i suoi colori, pensò, era solo una mimesi di quel luogo incredibile, poteva decifrarlo, non conoscerlo. Ripiegò la cartina e socchiuse gli occhi abbagliato dal sole e cadde in un sonno profondo. In sogno gli apparve una fanciulla selvatica, dolce e vitale, con lunghi capelli di grano. La sua pelle, i suoi capelli intrappolavano la luce del sole. Lui si alzò e la seguì. Dal suo petto la fanciulla sorridendo senza parlare iniziò un canto che era per il giovane potente e pauroso. Camminavano per pendii e prati, per rocce e ruscelli, luoghi non nuovi ma ora improvvisamente eloquenti perché tutto era toccato dal canto. Il suono melodioso e potente toccava le corolle dei fiori, gli steli d'erba, le gocce di rugiada appese tra i mughi, le pietre grigie e chiare, le guglie su in alto e perfino le nuvole. Cose, animali, piante erano scossi e rispondevano al canto di un' eco intensa e misteriosa. Il giovane geologo era turbato, ora questa natura evocava sé stessa. Poi la fanciulla smise di cantare e si sedette in cima al sentiero, al limite della neve. Infilò i piedi nudi nel candido, gelido manto e allegramente cominciò a intrecciare i suoi bei capelli e ne lasciava volare qualcuno nel vento. Quando i capelli cadevano nella neve misteriosamente in quel punto fiorivano gialli fiori di arnica. Il giovane geologo era incantato e non cercava una spiegazione, solo assorbiva quella energia vitale diffusa. Rosalya sorrise e disse al giovane solo poche parole: "Io sono la voce della natura, ascoltala. Essa è generosa, luminosa abbondanza ma solo per chi ama ogni cosa, cammina lento, rispetta questa ricchezza e i suoi misteri. Non chiedere il mio nome. Non desiderare di domarmi. Accetta il mistero. Ti lascio; ti faccio dono del potere eterno di luna e sole." Si alzò e cantando risalì il ghiacciaio a piedi nudi, danzando lentamente; non aveva bisogno di nulla per farlo. Là dove era stata seduta rimase un mazzo di stelle alpine: il suo raro e prezioso dono dall'abbondanza della natura, per lui. In quel punto del sogno il giovane si svegliò, il sole aveva girato oltre la linea del mezzodì; aveva dormito profondamente. Stirò i muscoli indolenziti, incrociò le gambe e levò gli occhi al cielo; era profondamente scosso, cercò i fiori di arnica, le stelle alpine, le impronte di piedi leggiadri nella neve: non vi era nulla. Non provava più alcun desiderio di superare un limite, di definire lo spazio e gli eventi. Riprese il cammino lentamente. La lumaca era sempre sopra il suo zaino. Arrivò ai piedi della sua parete e incominciò a prepararsi per l'ascesa; non

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sarebbe stata un'impresa o una conquista; sarebbe stato un viaggio e così fu. Scalò la parete in un tempo dilatato ferendosi gli occhi per guardare il sole sopra di lui; incontrò sé stesso nella lentezza. Poi ridiscese felice e stanco e si incamminò verso valle ormai sotto le stelle luminose della sera. Era un uomo, il giovane geologo e le ferite sulle mani impresse dalla nuda roccia erano un patto di amore e rispetto per la montagna e il creato.

Documento: La vita in Marmolada

Marmolada, una montagna che evoca un paesaggio unico di roccia e ghiaccio e viene dai più identificata solo nella vetta principale di un massiccio che invece è vasto, vario, articolato e ricco di vita selvatica e ambienti naturali ancora affascinanti, nonostante l'impegno profuso dall'uomo nel comprometterli. In questo settore delle Dolomiti infatti troviamo concentrati una serie di habitat di grande interesse in cui si intersecano rocce vulcaniche, dolomie e calcari. Tale variabilità è esasperata da un elevato gradiente altitudinale: quasi duemila metri di dislivello separano le creste sommitali dal fondovalle e la conseguenza è una notevole varietà dei paesaggi vegetali e della fauna associata. Il massiccio della Marmolada si è formato circa 235 milioni di anni fa, nel Triassico, in un ambiente di mare tropicale dove le attuali vette emergevano come atolli. Le rocce attuali derivano dalla mineralizzazione del sedimento composto dai resti di organismi marini e dalla solidificazione delle lave derivanti da vulcani molto attivi all'epoca. Un'escursione naturalistica attraverso il massiccio della Marmolada potrebbe iniziare dalle verdi pendici delle valli dove affiora la matrice vulcanica delle rocce, di cui l'esempio più significativo sono la Val Jumela e la Val di Crepa, comprese tra Pera di Fassa e Alba. Sono montagne dolci, la cui morfologia esalta le slanciate architetture dolomitiche sullo sfondo, dove le caratteristiche del terreno e la ricchezza di acque superficiali permettono lo sviluppo di una flora rigogliosa. Non per niente tali settori erano i preferiti dall'economia pastorale, in quanto vi predominavano i pascoli pingui, ricchi di foraggi e quindi importanti per garantire una produzione elevata di latte e derivati. Oggi, con l'abbandono dovuto alla monocoltura turistica, tali zone appaiono "meno verdi e meno vive", perché a causa dell'infeltrimento dei pascoli alcune specie che nel corso dei secoli si erano adattate alle migliori condizioni dell'habitat indotte dall'uomo hanno indotto la propria densità o si sono allontanate. Ma nella condizione attuale costituiscono dei laboratori unici per studiare le dinamiche di ricolonizzazione della vegetazione e per assistere alla successione delle specie animali, come ad esempio all'ingresso del gallo forcello nei siti in cui si erano sempre incontrate le coturnici o l'insediamento di vaste colonie di confidenti marmotte prima insidiate dai cani da pastore e dai pastori stessi. È questo anche il mondo variegato e multicolore dei minerali contrapposto al mondo dei fossili che caratterizza dolomie e calcari. Il fatto di essere a cavallo di due situazioni ambientali così diverse tra loro ma a distanza di poche ore a piedi una dall'altra attira l'interesse di studiosi e appassionati che vengono in visita anche da molto lontano. Gli attuali progetti di valorizzazione turistica attraverso i collegamenti sciistici mettono però seriamente in pericolo la possibilità di godere di questo tipo di esperienza. Dove oggi raccogliamo dal fondo di un ruscello un piccolo, ma affascinante, frammento di malachite, contempliamo le singolari lotte di una colonia di marmotte e ne percepiamo

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l'angoscia alla comparsa dell'aquila reale, domani potrebbe sorgere un "punto di ristoro con annesso solarium", compromettendo per sempre uno dei pochi paesaggi che ricordano le splendide tele dedicate alla montagna dal Segantini. Proseguendo nel viaggio attraverso la natura della Marmolada va segnalato l'ultimo esempio di paesaggio agricolo montano tradizionale costituito dai prati attorno a Penia. L'armoniosa associazione di piccoli coltivi, tabià, prati da fieno, boschetti, inseriti in un contorno di boschi di conifere, rappresenta un esempio di inserimento efficace di attività umane nell'ambiente naturale. Si verifica una sorta di rapporto mutualistico: l'uomo sfrutta alcune risorse, ma molte specie selvatiche sfruttano il lavoro dell'uomo, che permette ad esempio di trovare alimento concentrato nelle stagioni sfavorevoli. È questo il caso degli Ungulati e della lepre, che si possono osservare sui prati a primavera, incuranti delle macchine che salgono verso Passo Fedaia. Poco più a monte, da Pian Trevisan, si ammira un fantastico scorcio sulla natura selvaggia e dirupata del maestoso Gran Vernel e sulla parete Nord della Marmolada. Gli arbusteti, i piccoli pascoli ed i ghiaioni che fasciano la base delle pareti sono frequentati dai camosci e per prendere contatto con la natura dei luoghi è consigliabile salire a piedi e con il binocolo lungo la vecchia mulattiera che porta al rifugio Castiglioni. In inverno i camosci si spostano sui ripidi pendii erbosi esposti a sud che sovrastano la strada per Fedaia, dove per l'azione combinata di irraggiamento solare e caduta di valanghe si scoprono porzioni di pascolo. Pochi se ne accorgono, eppure è su questi pendii di fronte al ghiacciaio che è più facile incontrare la fauna alpina e che sono insediate interessanti stazioni di flora. Il settore forse meno popolato di fauna del massiccio è proprio la zona del ghiacciaio, dove, a causa di condizioni climatiche che limitano fortemente lo sviluppo della vegetazione e per le notevoli modificazioni antropiche che inducono una massiccia e diffusa presenza umana in tutte le stagioni, le poche specie adattate all'alta quota si trovano seriamente in difficoltà. Le vallette nivali e le zone rocciose con la prima colonizzazione erbacea alla base delle lingue glaciali costituirebbero un habitat ottimale per la pernice bianca, ma la specie mal sopporta l'eccessivo disturbo da parte di mezzi battipista, di sciatori che passano dappertutto ed è sicuramente spaventata dal continuo passaggio di elicotteri. Il ghiacciaio ed il territorio circostante sono avvolti da un reticolo di piste da sci, impianti, percorsi pedonali e vie alpinistiche che stanno snaturando le peculiari caratteristiche ed il fascino che dovrebbe assumere il più vasto ghiacciaio delle Dolomiti. L'istituzione recente di un Sito di Importanza Comunitaria appare purtroppo tardiva, anche se dovrebbe permettere la conservazione di questo peculiare habitat almeno nelle condizioni attuali, stante che la direttiva di riferimento prevede espressamente l'esame preventivo da parte della Commissione Europea delle opere che possono interferire con le caratteristiche fondamentali degli habitat compresi nel sito. Percorrere la regione fino al ghiacciaio è comunque di grande interesse: si passa infatti dagli arbusteti a mugo, rododendro e mirtilli, con gli ultimi larici, nella zona sopra il lago di Fedaia, ambiente tipico del gallo forcello e della lepre variabile, per raggiungere il deserto nivale, attraversando tutte le fasi di colonizzazione della vegetazione. Da una copertura continua si passa a una serie di cuscinetti o di macchie di muschi e licheni per poi giungere ai pochi steli e ai piccoli fiorellini osservabili dove il ghiacciaio si è ritirato negli ultimi anni. Potremo anche incontrare qualche piccolo uccello, come il poco appariscente sordone o il vistoso fringuello alpino, un micromammifero adattato alla vita in montagna, l'arvicola delle nevi e il suo principale

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predatore, l'ermellino. Nelle zone sommitali e intorno ai rifugi invece potremo fare la conoscenza con i simpatici ed adattabili gracchi alpini. Se vogliamo però conoscere a fondo la fauna, i paesaggi e gli habitat della Marmolada non possiamo esimerci dal visitare le valli che si spingono sul versante meridionale o che raggiungono il nodo del Sasso Vernale. Grazie alla lunghezza dei percorsi e all'assenza di impianti di risalita è in queste zone che si racchiude la maggiore riserva ambientale del massiccio. L'indicatore migliore di questa situazione positiva è costituito dalla regolare presenza, per lo più nel periodo invernale, di un buon numero di stambecchi provenienti dal vicino massiccio dei Monzoni. Anche le pernici bianche sono ancora presenti nei circhi glaciali dei settori di maggiore quota. Vista l'elevata concentrazione di ungulati di montagna (stambecco e camoscio) è possibile che tale zona della Marmolada torni ad essere frequentata dal maggiore rapace delle alpi, il gipeto (l'aquila reale è già presente). Il ritorno del grande avvoltoio potrebbe essere indotto anche dalla progressione dell'epidemia di rogna sarcoptica che sta colpendo le specie citate, provocandone forte mortalità. Lo spettacolo dell'elegante sagoma del rapace che volteggia, giocando con le ascensionali, tra i pilastri monolitici della parete sud della Marmolada sarebbe senza dubbio un momento indimenticabile. In conclusione questa montagna simbolo delle Dolomiti va vissuta e conosciuta dalle sue radici, magari avvicinandola da lontano e a piedi, per apprezzarne le sfumature e le molteplici variazioni di paesaggi naturali ed habitat, prima di raggiungerne il cuore. Sarà meno duro sopportarne il degrado e impegnarsi per frenarlo.

Stefano MayrDocumento: Aneka e la Marmolada

Stava appoggiata alla porta come chi aspetta di entrare o di uscire, o come chi non sa e non saprà mai. Nella vecchia stube del rifugio gli ultimi tedeschi impregnati di fumo e vino di Caldaro si stavano alzando e tra poco, tra le vecchie assi di cirmolo scuro, l'aria del ghiacciaio avrebbe ballato la danza del vento dell'est. Era tardi e dalla Regina, una brezza sottile, fredda e pungente, annunciava tempo buono, fortuna, salite e discese sicure. Lei stava lì, appoggiata a ad un qualcosa di solido, in contrasto con i suoi pensieri, con la sua infelicità. Trenta soldi e un viaggio troppo breve, l'avevano portata dalla Slovacchia nel cuore della Marmolada, lassù, dove il freddo è padrone, la solitudine amica e vecchia compagna di tutti. Da quelle parti, proprio per le particolari caratteristiche ambientali, non si sentiva straniera, anzi, per certi aspetti si sentiva a casa, conosceva quell'aria che porta a cercare conforto e calore, un angolo dove ascoltare le voci del silenzio, le melodie del vento e il richiamo dei ricordi. Era lì, appoggiata a quella porta che le piaceva pensare, perdersi tra le pieghe di una memoria chiara e precisa, inesorabile, a volte severa. Tutto tornava a farle visita, la famiglia, la scuola, la fuga e la nuova via della seta, il sud, il lavoro, tanti forse, speranze, nuovi sogni. In quell'essere in mezzo, né dentro né fuori, sentiva, considerava, rifletteva. Così, pensava a quel nuovo mondo: pensava ai volti di legno e di pietra che in qualche modo le raccontavano la storia di quel posto, di quel piccolo anfiteatro di ghiaccio intrappolato tra impianti e rimpianti, vecchie e nuove possibilità, piccola e grande gente dalla parlata strana e musicale, visi abbronzati, anime in pena. Sapeva poco dei ladini e quel che sapeva lo aveva imparato conoscendoli. Di solito erano grandi lavoratori, parlavano volentieri e in modo molto rumoroso,

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mangiavano velocemente per lavorare e correre, fare, rifare. Sembravano estranei alla loro identità, consideravano stranieri un po' tutti e nessuno, si sforzavano di parlare e a capire ci provavano raramente. A giudicare, emettere sentenze e condannare erano bravi, conoscevano quasi tutte le ragioni e le imponevano a chiunque provasse a parlare. Sembrava vivessero tra gli anfratti sicuri del manto lucente dell'orco che cade, sembravano alla fine di un viaggio lungo e difficile, ricco di crescita economica, benessere, cambiamenti e rinunce. Di sera, guardava quegli uomini-bambini seduti a bere, senza più parlare, senza più maschere. Vedeva gli eredi della solitudine e della povertà, perdersi nel vuoto e nella noia. Li vedeva soli, oltre la preoccupazione, forse oltre l'esserci davvero. C'erano pensieri pesanti nelle loro teste che riguardavano il futuro, possibili ulteriori modifiche del loro modo di fare e di essere. Erano ladini per scelta che abitavano uno dei luoghi più belli della Terra. Sapevano di esagerare nello sfruttamento di quel territorio ma non sapevano come fermarsi: ormai erano in ballo da maestri, confezionavano e vendevano una torta buona e appagante, erano una parte dorata dell'ingranaggio quasi perfetto che della montagna vendeva l'anima ed il cuore, coca e cola e identità, lingue autoctone e straniere, bandiere della pace e della guerra, carri allegorici latori di sorrisi, carri armati latori di pianto. Aneka guardava quella gente come si guardano gli indiani nei film americani, in qualche modo li capiva, li difendeva, stava dalla loro parte. Forti della loro apparenza erano fragili dentro, cantavano di rado, ridevano bevendo. Come nel suo paese, la macchina industriale avanzava devastando, gli uomini vivevano un po' liberi e un po' schiavi, la vita e la morte giocavano a dadi le sorti ed il destino di un'esistenza esitante e di fretta. La Marmolada, piccolo Tibet dai cristalli grigio-verdi, un tempo regina, alta padrona del sole più caro, guardava e ascoltava. Partecipava ma non capiva. Sapeva e pensava. Temeva per sé stessa e per l'uomo. Aveva paura dell'ultima bomba, corto pensiero di un essere distratto, calcolatore e ragioniere, imprenditore, un po' freddo, un po' altro. Ma ancora, ancora una volta, ascoltava il canto della neve silenziosa, quello che altrove aveva portato pace e serenità, benessere diverso, compatibilità, armonia. Nonostante tutto, dall'alto della sua regalità, credeva ancora nel cuore ladino e nell'intelligenza dell'uomo, si fidava, piangendo un po' come le giovani spose, ma si fidava. Contava di poter crescere ed esistere senza più pagare, senza più guerra, senza più subire. Aneka sentiva quella brezza fiduciosa arrivarle tra i capelli, scuoterli un po', ripartire. E con la Marmolada anche lei ripartiva serena, forte, sorridente. Si capivano quelle due anime sorelle e zingare, bianche fuori e solari dentro, condividevano un destino di fragile e dolce provvisorietà. Domani, insieme, avrebbero affrontato altre vie, altre salite, discese, fughe e ritorni. Domani, se al presente sarà dato pensare, scegliere, capire e diversamente esserci.

Stefano Dell'Antonio

Documento: La montagna vista dalla pianura

Dalla mia città, nelle giornate di cielo limpido, si vedono in lontananza i profili sfumati degli Appennini; basta però spostarsi di pochi chilometri verso nord, in direzione del Po, per ritrovarsi in una terra i cui rilievi più alti sono rappresentati dagli argini dei fiumi e dalle discariche dei rifiuti urbani. Questa è la pianura padana, qui si cresce diversamente. Pochi mesi fa, in visita ad una

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coppia di amici trentini con un figlio piccino, tra i giochi del bimbo ho trovato un moschettone e per un attimo mi sono stupito; ma ragionavo con la mentalità di pianura. Da noi è difficile iniziare a frequentare le montagne fin da piccoli, ci sono gli scout oppure il settore giovanile del CAI, ma per la mia generazione trascorrere le vacanze in montagna significava già il raggiungimento di un discreto benessere economico oppure la cura a malattie respiratorie, altrimenti non c'era scampo allo iodio salutare della riviera romagnola. Non so perché ad un certo punto dalla pianura si arrivi a pensare alle montagne: so però che da più di vent'anni continuo a frequentarle, e il mare ormai lo vedo quasi solo in cartolina. La prima volta che ho visto la Marmolada è stato dalla balconata del rifugio Lagazuoi, individuata dalla targhetta posta sulla balaustra in legno. La Regina delle Dolomiti. Immaginando le Dolomiti come un'immensa scacchiera, mi sono chiesto chi impersonasse il Re: l'imponente roccia del Cristallo, forse? Oppure la sagoma del Sella, che ricorda una corona? E le Torri, gli Alfieri, i Pedoni? Ogni singola montagna gioca un ruolo che può sembrare marginale, ma che assume un preciso significato nell'economia dell'evoluzione delle mosse. L'apparente immobilità delle vette nasconde in realtà movimenti impercettibili in tempi brevi, ma che nel lungo periodo si configurano in un'interminabile partita contro il nero che avanza. Possiamo allora interpretare le strade di penetrazione, le speculazioni edilizie ed impiantistiche, l'eliski e le motoslitte secondo un disegno preciso; dall'altra parte le frane e le alluvioni, le grandi valanghe, disastri come il Vajont. Attacco e difesa si confondono: forse da quaggiù, dalla pianura lontana, la distanza offre una prospettiva diversa, o forse tutto questo è solo una grande visione ad occhi aperti e siamo qui a ragionare sul niente con funambolismi dialettici. Scacco alla Regina bianca. Oggi la partita a scacchi sulle Dolomiti rischia di essere persa, perché si svolge simultaneamente su più fronti; noi abbiamo scelto di non fare gli spettatori ma di schierarci, insignificanti pedine al confronto della più piccola delle montagne in gioco ma convinti di poter svolgere un ruolo che possa in qualche modo spostare gli equilibri. Perché negli scacchi esistono solo il bianco ed il nero, non esistono sfumature di grigio. E noi ci sentiamo bianchi, dentro.

Fabio Valentini

Documento: Marmolada e alpinismo

Maurizio Giordani, di Rovereto, è uno degli alpinisti che ha segnato le arrampicate dell'impossibile sulla parete sud della Marmolada, un vero e proprio protagonista della salita in libera. E' un garante di Mountain Wilderness International, presente sulla montagna anche nell'azione di pulizia del 1988 assieme ad Alessandro Gogna e Reinhold Messner. Della Marmolada, in passato, ho scritto molto, talmente tanto che ora mi riesce difficile aggiungere qualcosa di nuovo; ma essa ha occupato gran parte del tempo che ho dedicato a soddisfare le mie ambizioni giovanili ed anche se oggi le motivazioni che mi spingevano a scalarne le rocce non sono più così insistenti, la mia mente torna spesso oltre i prati della valle Ombretta e posso così riaffacciarmi facilmente al suo prospetto, anche solo con i ricordi e la fantasia. Non che ne abbia abbandonato le lastre di grigio calcare compatto; la scorsa estate ero ancora aggrappato ai minuscoli appigli di uno dei miei progetti ancora da completare, ma come è logico, è finito il tempo di intere estati passate ad esplorare ogni

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minima piega della grande parete ed oggi preferisco dedicarvi dei ritagli di tempo, di tanto in tanto, perché la passione non si è ancora assopita, anche se non invade più la mia mente come un tempo. E' curioso, ma non ho mai fatto un bilancio della mia attività in Marmolada, forse perché non l'ho mai considerata conclusa; se mi si chiede quante volte io abbia raggiunto la cresta sommatale, quante vie io abbia ripetuto, aperto, scalato da solo o d'inverno, giuro che non lo so. So che sono molte, moltissime più di chiunque altro alpinista e per questi miei piccoli successi mi sento soddisfatto ed orgoglioso, ma soprattutto padrone di una grande consapevolezza: quella di aver vissuto, su quelle rocce, alcuni dei momenti più belli, significativi, importanti per lamia crescita di alpinista e di uomo. Momenti irripetibili! Ma perché la Marmolada? Perché fra tante rocce proprio la sua ha animato in me la passione e l'ha ravvivata nel tempo? Perché il mio modo di intendere l'arrampicata si adatta in modo ideale, come i pezzi di un puzzle che si incastrano perfettamente fra loro. Non mi sono mai dedicato ad allenamenti intensi ed il mio tempo libero ho preferito spenderlo curiosando un po' qua ed un po' là invece di soffermarmi a lungo per arrivare ad un unico obiettivo: questa scelta ha allargato il campo delle mie esperienze ma mi ha pure precluso la strada per arrivare ad una forma fisica particolare per puntare alle massime difficoltà in arrampicata. Ho quindi dovuto adattarmi a sfruttare in parete il movimento anziché la forza: meno strapiombi e più placche quindi, dove poter sostituire il lavoro prepotente dei muscoli con quello più gentile ma altrettanto efficace del movimento delicato e coordinato dei piedi e di tutto il corpo. Nemmeno mi sono mai adattato ad accettare la possibilità di "volare", essenziale per arrivare oltre i propri limiti; pure in falesia, con lo spit a pochi centimetri dalla pancia, l'accettare l'idea di "cadere" non è da me mai stata presa in seria considerazione e questo ha mantenuto nel tempo un ampio margine fra la difficoltà che normalmente salgo e quella che potenzialmente potrei salire. Ma se questo da una parte risulta essere un freno, vantaggio certo è quello di essere assoluto padrone dei propri limiti perché valutati per difetto e non certo per eccesso. Ho sempre cercato la massima sintonia possibile fra mente e muscoli tanto che, raggiunto questo obiettivo, il movimento in verticale scaturisce da una sicurezza di base che trascende i mezzi usati per l'autoassicurazione: la corda, i chiodi, l'imbrago, tutto c'è, per precauzione, ma potrebbe anche non esserci, e cambierebbe poco. Una predisposizione che non necessariamente dipende dal grado di allenamento: per motivi di lavoro spesso smetto di arrampicare anche per molti mesi e di conseguenza quando riprendo devo ricominciare dal "baso", ma questo non mi preclude la possibilità di scalare slegato. Mi adatto a salire gradi inferiori ma la corda su di essi non è mai elemento determinante. E nemmeno i chiodi. Qualche anno fa la parete sud della Marmolada offriva un terreno di gioco ideale aa queste mie predisposizioni: pochi strapiombi ma immense lavagne di roccia compatta, all'apparenza inaccessibile oltrechè inchiodabile, dove la forza pura era più un handicap che un aiuto e dove la capacità di concentrazione vinceva su tutto. Mi offriva però anche la cosa più importante e cioè la possibilità di esplorare, di liberare la mia fantasia per capire i segreti più reconditi della grande muraglia, infinito paradiso per chi ama incognito ed avventura. Ecco perché proprio lì ho insistito, perché proprio lì sono riuscito dove altri, anche più "bravi" di me, hanno rinunciato. Racconterò l'episodio di "Meteora" che spesso con gli amici che mi seguirono in quella particolare ripetizione, ricordiamo con allegria. L'avevo aperta slegato in circa un'ora di piacevole scalata, per i suoi 700 metri

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di parete. Un'arrampicata facile su placche compatte di bellissimo calcare grigio; e l'avevo valutata 5°+. Tornammo per ripeterla dopo un paio d'anni e ci trovammo di fronte ad un tracciato ben più impegnativo di come lo ricordavo: il 5° era diventato 7° e con le corde ed i chiodi incontravo ora i miei bei problemi dove prima ero salito senza nessun tipo di materiale. E me la ricordavo facile! Rimasi perplesso, e se non fossi stato io il protagonista di entrambe le esperienze, avrei dato del pirla a chi aveva steso una relazione tanto fuorviante. Ma ero in buona fede perché Meteora l'ho aperta in un momento particolare preparazione psico-fisica mentre l'ho ripetuta meno allenato, al rientro da una spedizione in Karakorum. Questo cosa significa? Che nulla in alpinismo si può dare per scontato, definire con matematica certezza. Il "più forte del mondo" può fare la figura del pivello se si confronta su di un terreno che non è il "suo2, mentre anche chi non è così "forte" può facilmente eccellere sullo stesso terreno, se, con passione ed impegno, lo ha fatto suo. Questo, in Marmolada, vale cento volte: inutile affrontarla con presunzione, assurdo sottovalutarla. Le sue vie più difficile diventano ogni giorno più inaccessibili, anche ai migliori arrampicatori di oggi, e questo, non perché siano meno bravi di noi in passato, ma perché nessuno oggi vi si dedica con la passione necessaria. Quel fuoco che ricordo infiammava il mio entusiasmo per tutta la stagione in vista dell'obiettivo finale, che poteva essere l'apertura di "Fantasia", "Specchio" o "Fortuna", o la solitaria del "Pesce", o "Tempi moderni", o…altro, mi sembra non ci sia più: non solo nel mio cuore (è logico che in esso quel fuoco sia attenuato), ma non lo scorgo nemmeno nel cuore di altri, come se ciò che ci spingeva allora, si fosse perso nel tempo, assopito in attesa di un nuovo risveglio.

Maurizio Giordani