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Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola I ribelli della Presa § 1 Per leggere la seconda parte del racconto cliccare qui: I ribelli della Presa § 2 di Mariuccia Andreani I ribelli della Presa § 1 | Archivio Iconografico del Verbano C... http://archiviodelverbanocusioossola.com/2015/05/12/i-ribelli... 1 di 31 28/05/15 07:56

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Archivio Iconografico del Verbano CusioOssolaI ribelli della Presa § 1

Per leggere la seconda parte del racconto cliccare qui:

I ribelli della Presa § 2

di Mariuccia Andreani

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L’Archivio Iconografico del Verbano Cusio Ossola pubblica qui una lunga testimonianza ineditadi Mariuccia Andreani, giovanissima staffetta, classe 1929, che racconta l’esperienza della suafamiglia con i partigiani del Mottarone. Si tratta di uno scritto molto importante perchéricostruisce una parte poco conosciuta della resistenza nel Nord Italia. Per facilitarne la lettura èstata divisa in tre parti: cliccare qui per leggere la seconda parte e qui per leggere l’ultima.

La storia, che si svolge a Gignese, nell’Alto Vergante, inizia l’8 Settembre 1943 e si conclude il 25Aprile del 1945. In quel paese, il padre di Mariuccia, Desiderio Andreani era custode della Presa,una piccola diga nascosta in una valletta a due chilometri dal borgo, che assicurava acqua allacentrale idroelettrica. Proprio in quel luogo “Derio” nascose gli uomini della missione Apricot –Salem di Enzo Boeri (di cui abbiamo raccontato la prima parte qui) e, in seguito, ospitò diversipartigiani della Brigata Stefanoni, comandata dal fratello di Enzo, Renato Boeri. La Presa eral’unico luogo sicuro dotato di elettricità, elemento fondamentale per trasmettere ogni giorno ibollettini alla base alleata di Brindisi. Da quel momento Radio Salem, collegata con Milanoattraverso una rete di staffette, diventa la radio ufficiale del Corpo Volontari della Libertà.

Mariuccia, figlia del custode della Presa, aveva allora 14 anni. Era incaricata, all’inizio, ditrasportare le batterie dalla Presa all’Alpe Formica e di reperire i viveri per i partigiani. Ilracconto, pieno di avvenimenti drammatici e colpi di scena, fa rivivere al lettore quei due annidifficili sul Lago Maggiore, visti con gli occhi di una ragazza determinata e coraggiosa.

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La Stampa del 9 Settembre 1943 riporta la notizia dell’Armistizio tral’Italia e gli anglo-americani

Otto settembre 1943. Dopo oltre tre anni di un inutile guerra (questa guerra che già ha fatto troppimorti sui campi di battaglia e tra i civili, vittime degli innumerevoli bombardamenti) il marescialloPietro Badoglio proclama l’Armistizio. Molti credono che sia finita. Ci si abbraccia, commossi. Edinvece è il caos, molti militari lasciano l’esercito, i prigionieri fuggono e incomincia la più terribileed atroce guerra. La guerra fratricida. La guerra che mette i padri contro i figli, i fratelli contro altrifratelli. La cosa più triste che in un paese possa capitare. Nel mio ricordo di ragazza, allora appenapiù che quattordicenne, quei momenti sono rimasti nella mia mente con una strana chiarezza.Senza accorgersene, la mia famiglia si trovò coinvolta in certe circostanze che fecero poi di leiun’alleata dei partigiani, una famiglia patriottica, una vera famiglia italiana. Cominciamo conordine. Mio padre, Desiderio Andreani (“Derio”), era allora guardiano alla diga chiamata “LaPresa”, molto isolata, che distava tre chilometri da Gignese.

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Desiderio Andreani, detto “Derio”, nato a Montegrino in provincia di

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Varese il 29 Giugno del 1901 era il papà di Mariuccia. Dopo aver lasciatola divisa di carabiniere era diventato gestore della Presa di Gignese per laSvel. Sposato con Angela Molinari aveva avuto tre figli: Fernanda, nata il14 Novembre 1925, Pierangelo, nato il 5 Maggio 1927 e Mariuccia, natail 3 Marzo 1929

Non vi era a quel tempo nessuna abitazione nei dintorni. Era il 10 settembre, verso le otto delmattino. Tre inglesi – un ufficiale con due soldati – fuggiti dalla prigionia, avevano seguito ilfiume “Airola” e si erano trovati finalmente davanti alla nostra casa. Erano stanchi ed affamati.Noi avevamo pochissimo da mangiare, ma demmo loro tutto quello che si poteva. Rimasero da noitre giorni e tre notti. Poi passò da noi uno del paese e li vide. Bisognava quindi farli fuggire al piùpresto (c’era la pena di morte per chi aiutava i prigionieri evasi). Mio padre procurò loro degliindumenti borghesi e le loro divise vennero immediatamente bruciate. Demmo loro quel pò dipane tesserato che avevamo, con una fetta di polenta, e mio padre li accompagnò di notte,seguendo un pò i fiumi e rasenti ai boschi e li condusse fino alla frontiera Svizzera. Ritornò lanotte del giorno seguente. Non lo sentii neppure arrivare. Doveva aver camminato parecchio!

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Una vista della Presa dall’alto: sulla destra la casa della famiglia Andreani,con il vascone di carico dell’acqua e, sulla sinistra, la cascina doveverranno nascosti i radio telegrafisti

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ll comandante Harold Rupert Alexander inviò a Derio Andreani unriconoscimento per aver salvato tre soldati inglesi, dando loro abiti civili eaccompagnandoli fino in Svizzera

Che ne fu di quei militari? Non si seppe più nulla, tranne che, a guerra finita, mio padre ebbe unriconoscimento dagli Inglesi per aver aiutato tre dei loro a fuggire. Passarono ancora diversigiorni. Molti uomini ritornarono alle loro case e si nascosero per mesi. Più tardi, alcuniraggiunsero i partigiani mentre altri rimasero nascosti. Vi furono anche quelli che, incitati dallafamiglia, ritornarono all’esercito. Nessuno li vide più. Noi non avevamo più notizie di mio zioMaurizio Molinari, che si trovava a Rochemolles vicino a Bardonecchia nel periodo di guerra e cisi chiedeva cosa ne era di lui. Eravamo molto preoccupati. Mia nonna, una donna piena di

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iniziativa e molto coraggiosa, senza dire niente a nessuno, partì alla sua ricerca portando abitifemminili in una borsa. Con mio zio così vestito, arrivarono in treno a Stresa e, di notte,raggiunsero Gignese a piedi. Era certo impensabile tenerlo a casa, in pieno centro del paese.Arrivò così alla Presa una notte e ci rimase. Eravamo tanto contenti d’averlo con noi perchè glivolevamo tutti molto bene. A Gignese, mai nessuno seppe della sua presenza.

Lo zio di Mariuccia, Maurizio Molinari, era fratello di sua mamma AngelaMolinari Andreani. Nel 1943 si trovava a Rochemolles, vicino aBardonecchia, dove era a servizio militare come guardia di frontiera.Grazie alla mamma Cesarina, che gli portò dei vestiti femmili, riuscì atornare a Gignese. Non si sarebbe più ripresentato miliare e fu il primo“ribelle” che trovò rifugio alla Presa di Derio. Collezione Bianca, Maria

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Molinari e Maurizio Potenza

La carta d’identità falsa di Maurizio Molinari, che, in caso di cattura,avrebbe protetto la sua famiglia dalla vendetta. Molinari, che avrebbetrasportato la radio a Milano e scortato Ferruccio Parri in Svizzera con lamacchina, si rivelò una delle staffette più affidabili e precise. Collezione diBianca, Maria Molinari e Maurizio Potenza

Per noi era il primo “ribelle” (erano così chiamati dai fascisti) che ospitavamo. Ce n’erano certostati altri sulle montagne, ma dove ? So che la gente dell’alpe Formica e i Basalini furono tra iprimi e che da loro si formarono i primi nuclei di resistenza. Nel frattempo, Mussolini era statoliberato dai tedeschi e aveva formato la Repubblica di Salò. I fascisti si sentivano più sicuri di sèora che avevano di nuovo il loro grande capo. Gli aerei incominciarono a sorvolare le montagnelanciando manifestini a migliaia che dicevano: “Ribelli, arrendetevi. Rientrate ai vostri repartimilitari. Non vi sarà fatto nulla. Combatteremo nuovamente insieme“. Questo durò parecchigiorni, anzi, settimane. Poi, dalla supplica, si passò alla minaccia. Ora i volantini si centuplicavano: “Chi nasconde i ribelli verrà passato per le armi. Arresteremo la famiglia di chi non si presentadi sua volontà. Chi verrà arrestato sarà fucilato”. Intanto, i ribelli raggiungevano le montagne.

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Battista detto “Titta” Basalini di Gignese era collaboratore del gruppoRadio Trasmittente. Fu il Basalini che, fra i primi, aveva preso con sè deipartigiani all’Alpe Formica

Noi, per un pò, avemmo solo mio zio. Ma gli Inglesi avevano già lanciato col paracadute i primipartigiani con la radio trasmittente. Mio zio, Bino De Gasperi, ci ha raccontato che erano statiparacadutati al Lagone, sopra Massino. C’era con loro il Dott. Enzo Boeri, che si ferì leggermente,cadendo su un cespuglio. In un primo tempo, andarono in una mansarda di villa Boeri, a Stresa,ma poi la villa venne requisita dai fascisti e dovettero trasferirsi all’alpe Formica, nella zona diSovazza. Con Enzo Boeri, c’erano l’operatore Gianni Bono e Renato, fratello di Enzo. I primi

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collaboratori del gruppo Radio Trasmittente furono Pietro Carnevali (“Piero”), Albino De Gasperie Battista Basalini (“Titta”). La radio di Enzo Boeri teneva i collegamenti del comando C.V.L.Alta Italia di Ferruccio Parri (“Maurizio”) col Comando Anglo-Americano del Mediterraneo delGenerale Alexander. Un giorno, arrivai a casa di mio zio Bino De Gasperi e conobbi i primipartigiani: Pietro Carnevali detto “Piero”, Giancarlo Castelnuovo, Umberto Lilla di Armeno detto“Berto”. Piero così buono, Giancarlo e Berto tanto allegri.

Umberto Lilla di Armeno, detto “Berto”, fu tra i primi collaboratori fidatidella missione RT

Era da un bel pò che mio zio li ospitava, e, come loro, anche altri. Ora avevano bisogno chequalcuno caricasse gli accumulatori della radio perchè potessero continuare a trasmettere dall’alpeFormica, dove non c’era la corrente elettrica. Mio zio pensò subito a mio padre. Conoscendo lesue idee, e sapendo che avevamo mio zio Maurizio in casa, era sicuro di noi. Fui io a condurre allaPresa per la prima volta Giancarlo, Piero e Berto. Lì si misero subito d’accordo con mio padre: danoi si caricava le batterie, poi uno di loro le veniva a prendere e portava quelle scariche.

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Caricabatterie Sylvania dell’esercita americano e valvola per radioricetrasmittenti. La batterie, all’inizio, venivano caricate alla Presa eriportate su all’Alpe Formica. Archivio Renato Borroni di Stresa. DaRicordi della Resistenza, 2004, Comunità Montana Valle Ossola

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Foto di partigiani a Gignese: Albino De Gasperi, detto “Bino” (il secondoda sinistra) era lo zio di Mariuccia, sposato con Giustina, sorella dellamadre. Fu lui che portò gli operatori della radio alla Presa, dal cognatoDerio Andreani. Alla sua destra Giancarlo Castelnuovo di Parabiago eSettimo Tabarini, cugino della madre di Mariuccia

Succese allora una cosa orribile. I tedeschi erano arrivati fino a Sovazza per una perlustrazione.Quando Piero li vide, corse e cercò rifugio in un fossato, nel bosco, ma fu crivellato di pallotole.Piansi tanto la sua morte. Mio zio e mio padre andarono a prendere il suo corpo e lo portarono, suun carro, nascosto sotto il fieno, al suo paese, Magognino, dove fu seppellito. Dopo pochi giorni,venne da noi sua moglie, madre di tre bambini, per ringraziare mio padre. La rivedo ancora, tuttavestita di nero, con uno scialle sul capo; le lacrime le scorrevano sul giovane viso, ma nel suodolore c’era tanta dignità. Andai in camera e piansi a lungo. Con Piero incominciavo ad intuiretutto l’orrore e l’angoscia che ci attendevano.

Pietro Carnevali con il figlio e un amico sul Mottarone nella primavera del

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1944. Nato a Chignolo Verbano, oggi Stresa, il 18 Aprile del 1911,Carnevali era un valente alpino del Battaglione Intra. Nel 1936, con ilgrado di sergente, era partito per l’Africa. Rientrato a Intra nel 1937 tornòa fare il suo lavoro di piastrellista e conobbe Renato Boeri. Nel 1940Carnevali fu richiamato a La Thuile, dove rimase fino al 14 Settembre1943. Avendo maturato un pensiero antifascista, Pietro scappò a Stresa persottrarsi alla cattura dei tedeschi e decise di unirsi ai partigiani. Si occupò,su incarico di Renato Boeri, dei contatti radio tra OSS e i reparti nascostitra i monti

L’ultima fotografia di Carnavali al Mottarone nel Luglio del ’44. Fu uccisoil 27 Luglio durante di un rastrellamento, in prossimità di Sovazza. Aveva33 anni, una moglie Elisabetta e tre figli

Dopo quella morte, si ebbe paura che i tedeschi avessero un sospetto. Così non fu più Giancarlo aportare gli accumulatori ma fui io, o, a volte, mio fratello. Con lo zaino in spalla (e pesava!)andavo su molto lontano fino a un punto dove un’altra staffetta lo prendeva in consegna e mi davale batterie da caricare. Era pesante e faticoso ma lo facevo volentieri. Quando mio fratelloPierangelo era a casa (lavorava sul trenino della Ferrovia del Mottarone, che collegava Stresaall’Alpino ed al Mottarone), era lui ad andare.

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Pierangelo Andreani, il fratello di Mariuccia Andreani, lavorava sultrenino del Mottarone

Durò questo fino alla soglia dell’inverno. Poi si ebbe paura che con la prima neve si lasciassero leorme. Così fu deciso che la radio trasmittente fosse trasferita alla Presa. Ci trovammo lì conGianni, Bruno, Gigi, Rosso e Nando. Gigi e Bruno erano sposati. Quest’ultimo aveva unabambina. Le loro mogli e le loro mamme avevano saputo da una staffetta dove si trovavano,inoltre mio padre aveva messo a loro disposizione la casa che aveva a Gignese. Così, i nostrioperatori ebbero spesso la possibilità di trovarsi con le loro consorti. D’altronde, sempre grazieall’aiuto di una staffetta, potemmo far venire i genitori di Gianni (i suoi “cari vecchietti“, come lichiamava), con un suo cugino. Rivedo ancora la mamma che abbracciava senza sosta suo figlio. Cifece tanta pena vederli partire raccomandandoci tanto il loro Gianni. Fu quella l’ultima volta cheebbero la possibilità di vedere il loro unico figlio.

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Una veduta di Gignese nella prima metà del Novecento

I primi giorni, mi ricordo, si soffrì tanta fame. Fui mandata verso gli alpeggi a cercare un pò diburro. Quanti ne passai, quel giorno? Non so, ma quando rincasai piangevo di rabbia e diumiliazione. Avevo sentito solo insulti e minacce. Non chiedevo l’elemosina. Avrei pagato quelburro! Ricordo che mancava il sale e che facevamo la polenta con quel poco granoturco che siaveva, macinato con un vecchio macinacaffè (ora l’ho io a casa, come ricordo).

Il granturco disponibile alla Presa veniva macinato per fare la polenta conquesto macinacaffè

Intanto i partigiani diventavano più numerosi e si organizzavano. Con le prime armi cheriuscivano a procurarsi, cominciarono a compiere i primi sabotaggi: tagliare le linee telefoniche,

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far saltare qualche fortino o delle ferrovie, a modo di recare il più danno possibile ai tedeschi. Se siprendevano dei fascisti, venivano subito fucilati (da noi non si torturava). C’era però l’ordinepreciso che nessun tedesco doveva essere ucciso, per evitare ai paesi le rappresaglie. Sapevamoche, per ogni tedesco ucciso, dieci civili avrebbero pagato con la loro vita ed il paese avrebbecorso il rischio di essere bruciato. Questa era la legge tedesca: ogni volta che iniziavano unrastrellamento, arrestavano molti civili al solo scopo di tenerli in ostaggio. Se si fosse potuto agirequando passavano i convogli, la guerra sarebbe finita prima, ma lì era la loro forza. Se riuscivamoa catturare un tedesco, lo si teneva bene, poi si faceva un cambio. Il primo a fare uno di questicambi fu il partigiano chiamato “Tom Mix”, comandante la formazione “I Falchi del Mottarone”.

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Il leggendario Giulio Lavarini, conosciuto con il nome di battaglia “TomMix”, comandante della Brigata Franco Abrami. Da Ricordi dellaResistenza, 2004, Comunità Montana Valle Ossola

Io ero una spericolata, sapevo sempre tutto, correvo, avvisavo. Mio fratello, pure lui, lavorando sultram, sapeva tante cose e ci informava. Quante volte mi dicevano : “Mariuccia, va ad avvertireLandi o Il Pompiere (erano le nostre staffette, venivano da Milano) di non scendere a Gignese cheè pieno di fascisti“, e io correvo. Ma una volta, nell’autunno del ’44, mi ero incamminata per

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avvertirli ma c’erano dei fascisti sul Sciarè. Non sò se fu per paura, ma spararono nella miadirezione. Sentii le pallotole fischiare sopra di me, però riuscii a buttarmi a terra e, strisciando, asfuggirgli. Spesso, sempre di notte, passavano da noi piccoli gruppi di partigiani, affamati, stanchie intirizziti dal freddo (avevano poco per vestirsi). Mio padre mi diceva : “Mariuccia, prendi lozaino, va in paese e vedi se trovi qualcosa da mangiare“.

Il quadratino al centro del cerchio rosso è la Presa della Svel, dovevivevano gli Andreani

Era buio ma, stranamente, non avevo paura. Una cosa importante è da notare: la gente del paeseera al corrente ma seppe tacere. Infatti, arrivata a Gignese, andavo a bussare dal prestinaio,Angiulin Motta. Si affacciava, gli dicevo piano: “Sono Mariuccia, vengo a vedere se avetequalche pezzo di pane“. Lui non fiatava, ma poco dopo usciva dal portone, mi faceva entrare e miriempiva lo zaino. Anche la Rina Ferri faceva così, ma lei tutte le volte mi ammoniva : “Staattenta cara, una volta o l’atra ti fai prendere!“. C’era ancora un altra persona, Virginia, la nipotedell’Aristide, il tabaccaio di Gignese. Fingeva di non sapere che facevo parte dei partigiani, peròmi dava tante informazioni, così, come se si parlasse del tempo. Chi se la ricorda? Era una ragazzadai lunghi cappelli neri, l’aria assente, ma come mi è stata cara e preziosa! E la signora Maria,qualcuno se la ricorda? Abitava appena sotto la chiesa, e anche lei nascose spesso dei partigianinel suo granaio. Grazie a tutti voi, Cari. Non vi dimentico.

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Il Municipio di Gignese in una cartolina degli anni Trenta

Il comandante per la nostra zona era Renato Boeri (fratello di Enzo). Su di lui, i tedeschi avevanomesso una taglia di 30’000 lire per chi sarebbe riuscito a farlo catturare. Renato si trovava pressouna famiglia di sfollati, la quale, avendo appreso della taglia, fu presa dal panico, il che eracomprensibile: essendo la somma assai importante allora (circa quarante milioni negli anninovanta), avrebbe certamente fatto gola a qualcuno. Perciò lo condussero di notte alla Presa.Rimase da noi un pò, poi si trasferì all’Alpe Formica, ed infine da mio zio Bino, che, malgrado iltremendo rischio (stava in pieno centro di Gignese) aveva sempre la casa piena di partigiani.Anche in questa occasione, i Gignesini seppero stare zitti.

Un gruppo di partigiani della Brigata Stefanoni, Divisione Valtoceall’Alpe Formica. Il terzo da sinistra in piedi è il comandante RenatoBoeri, detto “Renatino”. Rimase per poco tempo nascosto alla Presa, mapoi trovò riparo in centro a Gignese, a casa di Albino “Bino” De Gasperi

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Intanto i fascisti e i tedeschi diventavano sempre più cattivi. Arrivò l’inverno. Fu la nipote deltabaccaio, Virginia, ad avvertirmi: “Sai, i tedeschi organizzano un grande rastrellamento, sono inmolti“. Mio padre, quando glielo dissi, scavò una fossa sotto al locale dove si teneva lo strame perle bestie, per nascondervi Gigi, Gianni, Bruno, Rosso e Nando, e fece una bottola in cemento. Chinon ricorda quei giorni? Quando arrivarono, erano migliaia. In un attimo invasero il paese, preseroostaggi che portarono alle scuole (se un tedesco fosse stato ucciso, li avrebbero passati per learmi). Le ragazze giovani del paese furono costrette a presentarsi all’Albergo Due Riviere, dove sitrovava il comando tedesco, per servire gli ufficiali.

La buca scavata da Derio Andreani all’interno della cascina vicino allaPresa. Serviva per occultare i cinque operatori della radio trasmittente incaso di rastrellamento. Sopra la botola veniva sparso lo strame per lebestie in modo che non si vedesse nulla. Rimasero nascosti per quattrogiorni e tre notti dal 29 Novembre del 1944

Così cominciarono quattro giorni e tre notti d’angoscia. Al primo giorno (il 29 novembre ’44), sisentì già sparare e lanciare bombe vicino alla Presa. Io, come al solito, presi il mio zaino e mi recaia fare la spesa. Incrociai parecchi tedeschi. Sentii le gambe che mi tremavano ma sorrisi loro.Arrivata a Gignese, feci la spesa poi andai a prendere il giornale. La tabaccaia mi disse piano, econ calma: “Sai: hanno preso tuo zio Bino e ferito tre altri“. Capii subito chi erano. Mi disse pureche uno era stato ucciso ed era rimasto nella grotta dove si erano nascosti. Come feci a rimanerecosì calma? Gli dissi solo che avevo dimenticato qualcosa e di tenermi un attimo lo zaino e, pianopiano, mi avvicinai all’albergo. Fingevo di niente; ero così giovane, come avrebbero potutodubitare di me? Gironzolai un pò e vidi che con mio zio c’erano Renato Boeri, De Mori eMichelino. Immaginai immediatamente che colui che era stato ucciso era il Fachiro, un ragazzopieno di brio e sempre pronto a scherzare.

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In alto Guido Tilche insieme a Renato Boeri. Giovanissimo, era nato adAlessandria d’Egitto il 6 Luglio 1921. Tornato a Milano ammalato dallacampagna di Russia, aveva raggiunto i partigiani a Gignese, dove eraconosciuto con il nome di “Fachiro”. Restò vittima di un rastrellamento il29 Novembre del ’44, quando Boeri fu catturato dai tedeschi e portato aBaveno, per essere interrogato dal Capitano Stamm. La cattura sulMottarone di due tecnici della Siemens, che erano venuti dalla Germaniaper trovare la radio, consentì di fare lo scambio e liberare così Boeri

Non tremai, non gridai, anche se ne avevo voglia. Anzi, sorrisi ai due tedeschi che mi guardavano.Ritornai sui miei passi, presi il mio zaino, che era pesante perchè portavo da mangiare per diecipersone, e che allora sembrava pesare ancora di più. Camminavo piano, con una gran voglia dipiangere. Pensavo ai prigionieri; se i tedeschi avessero saputo che tenevano Renato Boeri, sarebbestato difficilissimo fare uno scambio, pensavo a mio zio ferito e pensavo anche ai nostri cinquepartigiani nascosti nella buca, a cosa sarebbe successo se li avessero trovati. Incrociai di nuovo deitedeschi. Ce n’erano dovunque. Arrivata a casa, non dissi niente ai miei. Mio padre mi chiese sesapevo a chi avevano sparato. Risposi di no, che non sapevo niente. Mia mamma era lì, con unviso pallidissimo sul quale le si leggeva l’angoscia. Cara mamma, quanta paura hai preso! E poitremavi tutte le volte che mi vedevi partire con lo zaino. Solo ora, con il passare degli anni mirendo conto di tutte le tue ansie. Mia madre si mise a fare da mangiare. Io e mia sorella Nanda laaiutammo. Stavamo per andare a tavola, quando la casa fu tutta circondata dai tedeschi.Piazzarono la mitragliatrice con la canna rivolta verso l’entrata, ed entrarono di colpo. Noi si finsed’essere sorpresi. Salirono verso le camere, andarono in cantina. Mia mamma li seguì sempre. Inquel momento sembrava un altra donna. Poi si recarono nella cascina dove mia mamma prese iltridente e rimosse lo strame dicendo “Vedete, qui non c’è niente“, intanto il nascondiglio si coprivasempre di più.

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Il tesserino del Corpo Volontari della Libertà di Angela Andreani, lamadre di Mariuccia e moglie di Desiderio. Quando arrivarono i tedeschiAngiolina dimostrò un notevole sangue freddo, fingendo che nella cascinaci fosse solo del fieno, quando invece vi erano cinque persone nascoste

La perquisizione durò circa un’ora, poi se ne andarono. Allora vidi mia mamma cambiare viso.Era pallida, cominciò a tremare, si comprimeva il petto e singhiozzava. L’aveva presa una veracrisi di nervi. Pensai allora che avevo fatto bene a non dire niente di zio Bino, di Renato, e deglialtri. Poi, ad un tratto, si calmò. Disse: “Quei figlioli là sotto devono tremare ancora, perchè hannosentito tutto, e poi devono anche mangiare“. Preparò cinque razioni, le posò nella gerla, le coprìcon un panno, poi con un sacco e si avviò verso la cascina, chiamando le galline. Sollevò labottola di cemento, fece scendere loro il cibo e, piano, disse loro : “Ragazzi! Per oggi cel’abbiamo fatta. Vi raccomando, non muovetevi, ce ne sono dapertutto“. Ci si mise a tavola, manessuno di noi aveva fame. Ecco arrivare il mio cuginetto – era un bambino, ma sapevacomportarsi da uomo -. Entrò e annunciò quello che io sapevo già: hanno preso suo papà, Renato,gli altri, e il Fachiro è stato ucciso. Non dimenticherò mai i visi sconvolti di mia mamma, miopapà e mia sorella. C’era una tale angoscia, pensavamo ai nostri cinque partigiani, nascosti là fuorie, quasi inconsciamente, pregammo insieme. Arrivò la notte, e i tedeschi illuminarono la casa espararono continuamente. Mia sorella, accanto a me, tremava come una foglia. Ad un tratto si alzòe andò nell’altro letto, accanto alla mamma. La sentii a lungo singhiozzare. Poi, sentimmo bussarepiano. Scendemmo, ed era Gianni. Disse: “Non si può più respirare, la candela si spegne, mancal’ossigeno“. Allora, mio padre, che aveva scavato una fossa nascosta dietro un albero, tra unchiarore e l’altro, vi fece passare Gianni e Rosso.

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Il tesserino della Divisione Valtoce di Fernanda Andreani, la sorella diMariuccia. Fernanda era fidanzata con Giovanni Bono, operatore radio diBoeri, che si nascose nella cascina della Presa con i suoi compagni. Inseguito fu catturato, torturato e ucciso a Valbondione, in provincia diBergamo. Da Istituto Nazionale per la Storia del Movimento diLiberazione in Italia

Ma, al mattino, dovettero rimettersi tutti sotto la cascina. Era troppo pericoloso tenerli nella fossa,fuori. Mio padre disse: “Se sentite che è tranquillo, alzate ogni tanto la bottola. Se invece sentitechiamare le galline, tirate giù in fretta, e noi verremo a coprire con le foglie”. Il giorno seguente,mio cugino Piergiovanni, informato da mia zia Derina Molinari, che si trovava all’Albergo DueRiviere a Gignese per servire gli ufficiali, mi avverte che sono segnalata dai tedeschi. Con queigrandi zaini, a chi porto da mangiare? E così, sarò pedinata fino alla fine del rastrellamento. Oraprendo pochissimo, una piccola borsa. Saltiamo spesso il pasto. Però, tutti i giorni vado in paese ecosì posso apprendere che hanno bruciato delle case. Cara gente di Gignese! Eravate al correntema avete saputo resistere alla pressione.

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Il ricordo di Guido Tilche pubblicato sulla rivista clandestina “IlFuorilegge”

In apertura: una ritratto di Mariuccia Andreani.

Per scaricare il pdf della prima parte cliccare qui: I ribelli della Presa § 1

Per leggere la seconda parte cliccare qui.

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I ribelli della Presa

on 22 magamTue, 12 May 2015 01:12:53 +00001312015 2011 at 9.41 Lascia un commentoModificaTags: "Giorgio" Migliari, 10 Settembre, 11 Dicembre 1944, 13 Giugno 1944, 17 Marzo 1944,1944, 20 Novembre 1944, 24 Marzo 1944, 25 Aprile 1945, 30.000 Lire, 8 Settembre 1943, abiti,abiti femminili, acceso un fuoco, accumulatori, aerei, Aereo, Airola, albergo Bellavista, AlbergoDue Riviere, Albino De Gasperi, Aldo, Aldo Buffa, Aldo Campanella, Aldo Casanova, AldoIcardi, alfabeto Morse, Alfonso Beltrami, Alla faccia del pifffero, alleata dei partigiani, alleati,Alpe Formica, Alpino, Alpino Fiorente, Alto Vergante, amercano, Angela Molinari, AngiolinaMolinari, Angiulin Motta, Antifascista, appiccare fuoco, Archivio Iconografico del Verbano CusioOssola, Aristide, Armeno, Armi, armistizio, Arona, Aroni, arresto, Asnaghi, Badoglii, Balilla,bambina, Bardonecchia, Barigia, Basalini, Base, bassa quota, batteria, batterie, Battista "Tito"Basalini, Battista Basalini, Baveno, Bergamasco, Berto, bidone, bidoni, Bino De Gasperi, bio,biscott, biscotti, Bismarck, bombe, bombe a mano, Bondione, borghesi, borgo, borsetta, botola,Brigata Abrami, Brigata F. Abrami, Brigata P. Stefanoni, Brigata Stefanoni, Brindisi, Bruciare,bruciato, bruciato case, Bruno, Bruno Parnisari, buca, burro, C.V.L. Alta Italia, Cadavere, cadere,

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