Architettura virtuale: ossimoro di pietra

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52 Ordinè 1/2007 Il compositore 53 Quali sono i domini in cui l’informatica sta modi- ficando la pratica architettonica, intendendo qui “pratica” nel senso più ampio del te rmine, e quindi nei suoi aspetti fattuali, produttivi, ma anche sotto il profilo teorico? Qual è il rapporto tra l’elettronica e la costruzione? Cominciamo dall’attività quotidiana di uno studio professionale: il rilievo. Già da tempo ormai vediamo in azione teodoliti ed altri strumenti di collimazione dotati di processori o collegabili a processori, che sono in grado di re- stituire in formato elettronico quanto rilevato. Una volta memorizzata tutta la fase di campagna, torna- ti in ufficio si “scarica” la memoria dello strumento nel computer e, attraverso un software dedicato, si ottengono degli elaborati planimetrici o planoalti- metrici ed una sequenza di dati tabellati (libretto delle misure). Se in un primo momento i software erano rivolti al mercato della topografia in senso stretto, lo stesso mercato ha ormai virato decisa- mente anche sul rilievo architettonico. Anche qui, in una prima fase, vi erano dei software che consentivano di restituire alcuni punti rileva- ti tramite teodolite. Il sistema hardware e software era dunque un’evoluzione di quello “topografico”. Molti di noi hanno sicuramente notato in questi anni particolari edifici oggetto di rilevamento, sui quali, in determinati punti, erano poste delle mire, dei target . In ufficio occorreva se non “vettorializza- re” i risultati grafici del file, almeno editarli: pulirli, correggerli. Inutile dire come anche questo settore si è evoluto, arrivando a precisioni eccellenti e alla superfluità, in alcuni casi, dei bersagli. Un altro filone è costituito dal fotoraddrizzamen- to, che consente di avere una proiezione piana da una o più fotografie prese da punti di vista ordinari. Completa l’operazione di rilievo sul campo la col- limazione di punti attraverso distanziometri laser portatili. Come si può intuire dalle poche note fin qui espo- ste, è molto probabile che il rilievo sarà sempre più un rilievo di tipo  laser-scan, e cioè un rilievo che basa la propria efficacia su un’enorme quantità di dati numerici da rielaborare attraverso i software di restituzione. Un’ulteriore fonte è data dai satelliti, che fornisco- no ormai informazioni di elevata precisione. Ritengo che prossimamente il rilievo architettonico sarà fornito dall’integrazione di queste metodolo- gie: fotoraddrizzamento, laser-scan, foto satellitari. Sarà un rilievo quasi del tutto automatico, dove la necessità di una strategia di “avvicinamento” cono- scitiva all’oggetto sarà ridotta o del tutto assente. Chi ha condotto operazioni di rilievo sa bene che un edificio rivela molto di più se lo si è studiato e “capito”, prima di arrivare con gli strumenti sul campo. Questo approccio rispetto all’edificio forse in futuro non avrà più senso. Pensiamo infatti al Guggenheim di Bilbao e all’impossibilità di un ri- lievo canonico. Mentre Fedro può dire «Io chiamo “geometriche” le figure che son tracce dei moti che possiamo esprimere con poche parole», Derrida non può più dirlo per le figure di Gehry o Eisenman. Le forme create da questi architetti sono inenarrabili, non sono geometriche. La loro legge di formazione ci sfugge, né può essere raccontata. Il Guggenheim di Bilbao non può essere raccontato, può essere solo mostrato, esibito. Occorre inventare tutto un altro vocabolario, se vogliamo parlarne. Non è richiesta nessuna capacità di lettura critica dell’oggetto, nessuna capacità di gerarchizzare, di ordinare ciò che viene visto e misurato. I miliardi di miliardi di dati digitali saranno tutti elaborati dal software, senza necessità di distinguere se quella “nuvola” (la metafora della nuvola è molto impor- tante, oggi), di punti è la foglia di acanto scolpita da Palladio in persona o il lembo di una lama di titanio. Il rilievo deontologicamente corretto (ma anche molto pratico, molto utile), non si esaurisce nell’in- cameramento e restituzione di un oggetto tridimen- sionale, ma si spinge fino alla conoscenza intima dei componenti dell’oggetto: i suoi nervi, i suoi mu- scoli, le sue ossa. Anche in questa fase l’informatica ha modificato la  praxis. Bombardando il fabbricato con onde o rag- gi di varia natura (X, ultrasuoni, infrarossi, laser, ecc.), abbiamo sempre più risposte sia sul materiale con cui è composto un fabbricato, sia su come esso reagisca sotto sforzo. Modificando infatti le situa- zioni di carico e analizzando le risposte, si ottengo- no informazioni anche sul funzionamento e sulla resistenza del fabbricato. La stessa composizione dei materiali interni, nascosti, sarà dunque a dispo- sizione dei restauratori. Per utilizzare una metafo- ra, possiamo pensare sempre più ad una sorta di TAC del fabbricato. L ’aspetto conoscitivo del luogo e dell’oggetto archi- tettonico, nella sua consistenza, materica e metri- ca, sarà dunque esaurito con una maggior facilità rispetto ad ora. L ’oggetto architettonico, frutto di un rilievo accura- to, o creatura ex-novo (qui non fa differenza), sarà poi sottoposto a modellazione strutturale , a calco- lo impiantistico, a calcolo economico. Il file con la descrizione completa dell’oggetto permetterà delle elaborazioni tematiche: strutturali, impiantistiche, acustiche, ambientali, economiche, energetiche, re- lative alla sicurezza. Non è difficile immaginare poi uno scenario in cui i materiali avranno una durata prevista e a lla data giusta avviseranno automaticamente il computer centrale che è giunta l’ora della manutenzione pre- vista o meglio della sostituzione. Come il lettore avrà già capito, qui si apre la finestra sul mondo della domotica, e cioè su quell’aspetto che consente di integrare l’informatica con la gestione della casa o di un qualunque fabbricato. Tuttavia preferisco non approfondire in questa sede, per questioni di economia, l’argomento. Infine non è difficile immaginare che nel futuro si progetterà sempre più in rete. Anche perché questo futuro è già qui. Il progetto “girerà” da computer a computer, ognuno apportando il proprio valore ag- giunto. Non solo, molte soluzioni vedranno la luce “scaricando” da internet parti intere di progetti o di software addirittura. Dalle banche dati di imprese costruttrici sarà possibile ottenere il modello tridi- mensionale dell’oggetto parametrico (leggasi: adat- tabile), da inserire nel progetto, la sua voce di capi- tolato, il suo costo. Alla fine del disegno avremo già il costo totale ed il comp uto metrico. Ritengo che si andrà verso una sorta di standardizzazione dei file e dei software, che consentiranno la più ampia “modulazione”, senza i vincoli di un certo software piuttosto che di un altro. E’ solo questione di tempo perché le case costruttrici riescano ad ammortizza- re i costi sostenuti per i propri pacchetti e per con- vergere su un unico standard grafico. Il vantaggio competitivo dei software sarà quello di legarsi ad elementi presenti in rete e di inserirli nella propria filiera di produzione. I programmi saranno spinti all’integrazione verso valle (se è concesso mutuare questo termine dal mondo economico), per cui il software vincente sarà quello che riesce a dialogare con tutto ciò che viene dopo nella pratica professionale: computo metrico, durata, sicurezza, certificazione di qualità, manutenzione, domotizzazione, ecc. Questo è un aspetto apparentemente secondario che tuttavia rischia di premiare un’architettura basata sul marketing e sulla velocità di ottenere il prodotto finito. Non so se sia corretto, sotto un pro- filo economico l’uso del termine, ma mi sembra che il TTM (Time To Market) diventerà sempre più un fattore critico della progettazione architettonica. Il professionista vincente sarà colui che meglio riesce ad organizzare queste conoscenze, informazioni e competenze disperse in rete. E mi pare che siamo già immersi in questo modo di operare. A fronte del quale mi sembra di poter dire, tuttavia, che la velocità di produzione di un esecutivo non ha portato paradossalmente ad investire più tempo nella progettazione ma, al massimo, a prendere altri incarichi, da espletare in tempi sempre più corti. L’anello “debole” di questa catena di processi au- tomatizzati, digitalizzati, è paradossalmente ancora il cantiere, la costruzione. Ma i tempi sono ormai maturi e si arriverà ad automatizzare molto anche lì. Non è difficile immaginare che il file possa esse- re trasmesso al cantiere, dove ci sarà un software in grado di condurre l’opera, di manovrare le gru, di impastare le malte, di automatizzare qualche fase lavorativa, il magazzino, il riordino, i fornitori, di gestire il cronoprogramma. Ma ormai chi legge avrà capito che il punto di arri- vo della narrazione fin qui condotta è riassumibile in questa frase: tutto ciò che può essere automatiz- zato lo sarà. La scelta, per l’architetto, non è più che cosa automatizzare, ma cosa tirar fuori, se e cosa ri- servarsi come momento unico ed individualistico, quanto integrarsi in un processo di pianificazione complesso, quale ruolo giocare in questa partita in cui vi sono più attori, più procedimenti, più tecno- logie. Proprio perché tutto ciò che può essere automa- tizzato lo sarà, il fattore concettuale, concezionale direi quasi, aumenterà di peso, di importanza. E’ uno spazio disciplinare e fondativo che andrà dife- so con i denti, di fronte all’avanzata e alla continua erosione esplicata dall’automazione. Rispetto a tutti questi aspetti innovativi (il cui quadro ho cercato di ricomporre in sintesi sopra), quello che ci interessa di più, in quanto architetti, è l’influsso del computer nella fase di concezione, sul disegno architettonico. Nel 1991, ancora studente scrivevo (in una tesina per un esame incipiente) che il computer avrebbe imposto un’estetica al disegno d’architettura. E lo ha fatto. Sia nella modalità di impaginazione di ta- vole grafiche, sia nella possibilità di produrre mo- delli. Basta guardare le tavole dei concorsi o degli esami di progettazione all’Università. Bruno Mario Broccolo* scrive di computer e disegno architettonico ragionando su un paradosso molto stimolante, architettura virtuale: un ossimoro di pietra *Bruno Mario Broccolo, architetto, è Responsabile del Settore urbanistica del Comune di Bastia Umbra (PG). Come docente a contratto tiene corsi di Teoria dell’architettura contemporanea presso la Facoltà di architettura di Firenze.

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Quali sono i domini in cui l’informatica sta modi-

ficando la pratica architettonica, intendendo qui“pratica” nel senso più ampio del termine, e quindinei suoi aspetti fattuali, produttivi, ma anche sottoil profilo teorico? Qual è il rapporto tra l’elettronicae la costruzione?Cominciamo dall’attività quotidiana di uno studioprofessionale: il rilievo.Già da tempo ormai vediamo in azione teodoliti edaltri strumenti di collimazione dotati di processorio collegabili a processori, che sono in grado di re-stituire in formato elettronico quanto rilevato. Unavolta memorizzata tutta la fase di campagna, torna-ti in ufficio si “scarica” la memoria dello strumentonel computer e, attraverso un software dedicato, siottengono degli elaborati planimetrici o planoalti-metrici ed una sequenza di dati tabellati (librettodelle misure). Se in un primo momento i softwareerano rivolti al mercato della topografia in sensostretto, lo stesso mercato ha ormai virato decisa-mente anche sul rilievo architettonico.Anche qui, in una prima fase, vi erano dei softwareche consentivano di restituire alcuni punti rileva-ti tramite teodolite. Il sistema hardware e softwareera dunque un’evoluzione di quello “topografico”.Molti di noi hanno sicuramente notato in questianni particolari edifici oggetto di rilevamento, suiquali, in determinati punti, erano poste delle mire,dei target . In ufficio occorreva se non “vettorializza-re” i risultati grafici del file, almeno editarli: pulirli,correggerli. Inutile dire come anche questo settoresi è evoluto, arrivando a precisioni eccellenti e alla

superfluità, in alcuni casi, dei bersagli.Un altro filone è costituito dal fotoraddrizzamen-

to, che consente di avere una proiezione piana dauna o più fotografie prese da punti di vista ordinari.Completa l’operazione di rilievo sul campo la col-limazione di punti attraverso distanziometri laserportatili.Come si può intuire dalle poche note fin qui espo-ste, è molto probabile che il rilievo sarà sempre piùun rilievo di tipo  laser-scan, e cioè un rilievo chebasa la propria efficacia su un’enorme quantità didati numerici da rielaborare attraverso i software direstituzione.Un’ulteriore fonte è data dai satelliti, che fornisco-

no ormai informazioni di elevata precisione.Ritengo che prossimamente il rilievo architettonicosarà fornito dall’integrazione di queste metodolo-gie: fotoraddrizzamento, laser-scan, foto satellitari.Sarà un rilievo quasi del tutto automatico, dove lanecessità di una strategia di “avvicinamento” cono-scitiva all’oggetto sarà ridotta o del tutto assente.Chi ha condotto operazioni di rilievo sa bene cheun edificio rivela molto di più se lo si è studiatoe “capito”, prima di arrivare con gli strumenti sulcampo. Questo approccio rispetto all’edificio forsein futuro non avrà più senso. Pensiamo infatti alGuggenheim di Bilbao e all’impossibilità di un ri-lievo canonico. Mentre Fedro può dire «Io chiamo“geometriche” le figure che son tracce dei moti chepossiamo esprimere con poche parole», Derrida non

può più dirlo per le figure di Gehry o Eisenman. Leforme create da questi architetti sono inenarrabili,non sono geometriche. La loro legge di formazioneci sfugge, né può essere raccontata. Il Guggenheimdi Bilbao non può essere raccontato, può esseresolo mostrato, esibito. Occorre inventare tutto unaltro vocabolario, se vogliamo parlarne.Non è richiesta nessuna capacità di lettura criticadell’oggetto, nessuna capacità di gerarchizzare, diordinare ciò che viene visto e misurato. I miliardidi miliardi di dati digitali saranno tutti elaborati dalsoftware, senza necessità di distinguere se quella“nuvola” (la metafora della nuvola è molto impor-tante, oggi), di punti è la foglia di acanto scolpitada Palladio in persona o il lembo di una lama dititanio.

Il rilievo deontologicamente corretto (ma anchemolto pratico, molto utile), non si esaurisce nell’in-cameramento e restituzione di un oggetto tridimen-sionale, ma si spinge fino alla conoscenza intimadei componenti dell’oggetto: i suoi nervi, i suoi mu-scoli, le sue ossa.Anche in questa fase l’informatica ha modificato la

 praxis. Bombardando il fabbricato con onde o rag-gi di varia natura (X, ultrasuoni, infrarossi, laser,ecc.), abbiamo sempre più risposte sia sul materialecon cui è composto un fabbricato, sia su come essoreagisca sotto sforzo. Modificando infatti le situa-zioni di carico e analizzando le risposte, si ottengo-no informazioni anche sul funzionamento e sulla

resistenza del fabbricato. La stessa composizionedei materiali interni, nascosti, sarà dunque a dispo-sizione dei restauratori. Per utilizzare una metafo-ra, possiamo pensare sempre più ad una sorta diTAC del fabbricato.L’aspetto conoscitivo del luogo e dell’oggetto archi-tettonico, nella sua consistenza, materica e metri-ca, sarà dunque esaurito con una maggior facilitàrispetto ad ora.L’oggetto architettonico, frutto di un rilievo accura-to, o creatura ex-novo (qui non fa differenza), saràpoi sottoposto a modellazione strutturale, a calco-

lo impiantistico, a calcolo economico. Il file con ladescrizione completa dell’oggetto permetterà delleelaborazioni tematiche: strutturali, impiantistiche,acustiche, ambientali, economiche, energetiche, re-lative alla sicurezza.Non è difficile immaginare poi uno scenario in cuii materiali avranno una durata prevista e alla datagiusta avviseranno automaticamente il computercentrale che è giunta l’ora della manutenzione pre-vista o meglio della sostituzione. Come il lettoreavrà già capito, qui si apre la finestra sul mondodella domotica, e cioè su quell’aspetto che consentedi integrare l’informatica con la gestione della casao di un qualunque fabbricato. Tuttavia preferisconon approfondire in questa sede, per questioni dieconomia, l’argomento.

Infine non è difficile immaginare che nel futuro siprogetterà sempre più in rete. Anche perché questofuturo è già qui. Il progetto “girerà” da computer acomputer, ognuno apportando il proprio valore ag-giunto. Non solo, molte soluzioni vedranno la luce“scaricando” da internet parti intere di progetti o disoftware addirittura. Dalle banche dati di impresecostruttrici sarà possibile ottenere il modello tridi-mensionale dell’oggetto parametrico (leggasi: adat-tabile), da inserire nel progetto, la sua voce di capi-tolato, il suo costo. Alla fine del disegno avremo giàil costo totale ed il computo metrico. Ritengo chesi andrà verso una sorta di standardizzazione deifile e dei software, che consentiranno la più ampia“modulazione”, senza i vincoli di un certo software

piuttosto che di un altro. E’ solo questione di tempoperché le case costruttrici riescano ad ammortizza-re i costi sostenuti per i propri pacchetti e per con-vergere su un unico standard grafico. Il vantaggiocompetitivo dei software sarà quello di legarsi adelementi presenti in rete e di inserirli nella propriafiliera di produzione.I programmi saranno spinti all’integrazione versovalle (se è concesso mutuare questo termine dalmondo economico), per cui il software vincentesarà quello che riesce a dialogare con tutto ciò cheviene dopo nella pratica professionale: computometrico, durata, sicurezza, certificazione di qualità,manutenzione, domotizzazione, ecc.

Questo è un aspetto apparentemente secondarioche tuttavia rischia di premiare un’architetturabasata sul marketing e sulla velocità di ottenere ilprodotto finito. Non so se sia corretto, sotto un pro-filo economico l’uso del termine, ma mi sembra cheil TTM (Time To Market) diventerà sempre più unfattore critico della progettazione architettonica. Ilprofessionista vincente sarà colui che meglio riescead organizzare queste conoscenze, informazioni ecompetenze disperse in rete. E mi pare che siamogià immersi in questo modo di operare.A fronte del quale mi sembra di poter dire, tuttavia,

che la velocità di produzione di un esecutivo nonha portato paradossalmente ad investire più temponella progettazione ma, al massimo, a prendere altriincarichi, da espletare in tempi sempre più corti.

L’anello “debole” di questa catena di processi au-tomatizzati, digitalizzati, è paradossalmente ancorail cantiere, la costruzione. Ma i tempi sono ormaimaturi e si arriverà ad automatizzare molto anchelì. Non è difficile immaginare che il file possa esse-re trasmesso al cantiere, dove ci sarà un software ingrado di condurre l’opera, di manovrare le gru, diimpastare le malte, di automatizzare qualche faselavorativa, il magazzino, il riordino, i fornitori, digestire il cronoprogramma.

Ma ormai chi legge avrà capito che il punto di arri-vo della narrazione fin qui condotta è riassumibilein questa frase: tutto ciò che può essere automatiz-zato lo sarà. La scelta, per l’architetto, non è più checosa automatizzare, ma cosa tirar fuori, se e cosa ri-servarsi come momento unico ed individualistico,quanto integrarsi in un processo di pianificazionecomplesso, quale ruolo giocare in questa partita incui vi sono più attori, più procedimenti, più tecno-logie.

Proprio perché tutto ciò che può essere automa-tizzato lo sarà, il fattore concettuale, concezionaledirei quasi, aumenterà di peso, di importanza. E’uno spazio disciplinare e fondativo che andrà dife-so con i denti, di fronte all’avanzata e alla continua

erosione esplicata dall’automazione.Rispetto a tutti questi aspetti innovativi (il cuiquadro ho cercato di ricomporre in sintesi sopra),quello che ci interessa di più, in quanto architetti,è l’influsso del computer nella fase di concezione,sul disegno architettonico.

Nel 1991, ancora studente scrivevo (in una tesinaper un esame incipiente) che il computer avrebbeimposto un’estetica al disegno d’architettura. E loha fatto. Sia nella modalità di impaginazione di ta-vole grafiche, sia nella possibilità di produrre mo-delli. Basta guardare le tavole dei concorsi o degliesami di progettazione all’Università.

Bruno Mario Broccolo* scrive di computer e disegno

architettonico ragionando

su un paradosso moltostimolante, architettura

virtuale: un ossimoro di pietra

*Bruno Mario Broccolo, architetto,

è Responsabile del Settore urbanistica del Comune

di Bastia Umbra (PG). Come docente a contratto

tiene corsi di Teoria dell’architettura contemporanea 

presso la Facoltà di architettura di Firenze.

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54 Ordinè 1/2007 Il compositore 55

Il mezzo mi appariva talmente potente che avrebbeobbligato ad adeguarsi alla sua potenza di calcoloe al suo modo di funzionare. Perché è vero che tut-ti i mezzi di disegno hanno, nella loro evoluzione,segnato la produzione dell’architettura, ma con ilcomputer mi pare ci sia stato un elemento di discon-tinuità, di frattura. Mentre infatti per due millenniabbiamo solo perfezionato carta, righe, squadre ecompassi, qui qualcosa è profondamente mutato.Anche accantonando per un attimo il romanticismodella manualità della matita, è evidente che ci sonofattori di novità dirompenti.

Il prodotto ottenuto non è più solo cartaceo: esco-no rendering, filmati ed altre cose da vedere su unmonitor. Il costo della simulazione è drasticamentediminuito. Siamo portati dunque a fare modelli tri-dimensionali ed animazioni con molta più facilità,con più lusso. Ormai non c’è più nemmeno biso-gno di macchine costose CAD-CAM: tra un po’ sa-ranno disponibili a prezzo accessibile a tutti dellestampanti “tridimensionali”, che potranno costrui-re piccoli oggetti. Tra poco infileremo un guanto oun casco e passeggeremo nei nostri modelli. D’al-tra parte molta della nuova architettura, fatta dielementi che si piegano, si distorcono, fluttuano,ecc., trova nei software di modellazione un mezzodi rappresentazione molto più adeguato rispetto al

disegno piano.Più ci si sposta dal disegno in due dimensioni e siva verso modelli tridimensionali, e maggiore deveessere la definizione globale del modello. E’ infattipoco opportuno realizzare un modello (di qualsiasimateriale), con gradi di definizione eterogenei trale varie parti. Mentre nel disegno “piano” (e quinon c’è molta differenza tra il disegno manuale edil 2D di un CAD), si disegna solo quello che neces-sariamente serve, il disegno dell’oggetto tridimen-sionale richiede invece una definizione omogeneadell’intero edificio. Ogni buon architetto sa che cisono nel progetto delle cose che si possono per unmomento trascurare, che otterranno la nostra atten-zione più tardi. Nel disegno bidimensionale alcunidettagli secondari possono rimanere inespressi ad-

dirittura fino alla fase esecutiva, o differiti secon-do tempi diversi. Con il modello tridimensionale èrichiesto invece fin da subito uno sforzo in più didefinizione formale, magari banale, ma di tutto ilmodello.

Il punto decisivo è proprio nel passaggio dal dise-gno al modello. Ma non parlo evidentemente di unpassaggio operativo (si sono sempre fatti i modelli: i“plastici”), quanto di un passaggio tutto concettua-le. A dire il vero si tratta di un modello particolare,poiché qui viene eluso il salto di scala che inveceera costitutivo del modello vecchia maniera. Anzi,vorrei dire che il modello si definiva rispetto all’ori-

ginale soprattutto per una diversità di scala, e poi(quasi sempre), per la diversità del materiale costi-tutivo. Anche se nemmeno il modello della cupo-la del Brunelleschi (in mattoni), riusciva a dare ilsenso dell’immensa costruzione che aveva in testa,essendo formidabile il salto di scala richiesto.Nel modello virtuale non vi è più riferimento al ma-teriale, se non per l’aspetto meramente visivo, ed ilconcetto di scala non è più pertinente. Paradossal-mente risulta invertita la cronologia delle due fasi:prima si disegnava e poi si faceva un modello diverifica, adesso si costruisce un modello da cui sideclinano disegni.Prima l’architetto disegnava: ora modella. Model-la in due sensi: il primo, secondo il quale si tendesempre più a fare modelli da cui derivare disegni; ilsecondo, nel quale l’architetto modella con le manii suoi oggetti di cartapesta.Il mondo attuale spinge sempre più verso questaarticolazione del disegno, che prende le mosse dal-la costruzione di un modello tridimensionale. Daquesto modello derivano sia elaborazioni dedicatea presentazioni pubbliche che elaborazioni destina-te al cantiere, o comunque al momento esecutivo.Sono tavole di presentazione. Mentre in Ridolfi viè quasi la perfetta identità tra disegno da presen-tazione e disegno da cantiere, ormai il disegno diUnstudio (uno a caso) è da tematizzare. Il disegno

non è più lo spartito del musicista (come continua-va a dirci Leoncilli Massi): al massimo è il trailer  del prossimo film in uscita.

Per tener fede al titolo scelto e per concludere,dobbiamo tuttavia decidere se l’architettura abbiaancora un legame con la costruzione, o se l’abbiadefinitivamente persa. Perché se ancora vi è un rap-porto tra architettura e Baukunst , esiste un ossimo-ro più evidente dell’architettura virtuale?La virtualità dell’architettura sembra consistere so-prattutto nel fatto che viene disegnata al computercon un grado sempre più alto di simulazione reale.E dunque il virtuale consiste nel riprodurre quantopiù possibile il reale. Chiamerei l’ultima frase “de-finizione ingenua” di architettura virtuale.

Il reale in cui inseriamo la nostra architettura non èla realtà, è una realtà mediata, ricostruita, riprodot-ta, con meno informazione, meno dettagli. E’ unarealtà che ovviamente deve sottostare alla stessaconvenzione della costruzione della mia architet-tura. Così come era (per onestà intellettuale), unaconvenzione la maquette fatta di compensato e dialberi di spugna.

La definizione ingenua dell’architettura virtuale ètuttavia un punto di partenza. Molti professionistilavorano proprio in questo senso e vi sono studispecializzati solo nella produzione di questi model-li e conseguenti viste fotorealistiche.

Ma vi sono anche dei grandi architetti che hannocreato se non un nuovo linguaggio, se non una nuo-va estetica, un nuovo stile, una cifra personale. Pen-so a Purini, a Ch ipperfield, a Fuksas, a Zaha Hadid.Che cosa hanno di volutamente reale quei disegni,quelle rappresentazioni? Niente, ormai hanno co-stituito un universo a parte. E se il discorso risultacoerente per Purini, per esempio, che aveva elet-to il disegno come ambito disciplinare autonomo(da tempo), la cosa appare meno coerente per glialtri. I loro “disegni” sono destinati ad un pubbli-co particolare. Siamo in un ambito culturale moltosimile a quello descritto da Baudrillard a propositodell’arte in Casabella n. 747. Quei rendering , queglischemi, quei reticoli, dunque, sono un codice, unlinguaggio particolare destinato a pochi eletti. Cer-to occorrerebbe approfondire quale sia il grado dicausalità tra la nuova produzione architettonica edi software di progettazione oggi presenti sul mer-cato. Voglio dire cioè che è difficile comprenderese questi software siano conseguenza delle nuovearchitetture o se invece siano queste architetturead essere possibili grazie a questi nuovi software dimodellazione, calcolo e restituzione. Probabilmen-te (ed è forse l’ipotesi più ragionevole), il progressodi uno riverbera sull’altro e amplifica i propri effettiin maniera ricorsiva.Abbiamo dunque due tendenze: da una parte l’uso

dello strumento per ottenere una simulazione s em-pre più accurata, precisa; dall’altra la creazione diun mondo comunicativo a parte.In quest’ultimo caso quello che vediamo è un uni-verso formale fatto di flussi, di diagrammi, di con-cept, che non sono una simulazione della realtà:sono una concettualizzazione, un’astrazione. E’ unmodo di rappresentare ciò che sta prima dell’archi-tettura, oltre l’architettura.

Ma quest’ultima accezione della virtualità è un“cavallo di Troia”, e non deve trarre in inganno: glischemi, i concept , i flussi, i frattali, i diagrammi,le metafore, le nuvole, si trasformano benissimo insolido cemento armato, acciaio, vetro, e altrettantospesso vi è una “caduta di tensione” tra la rappre-

sentazione ed il costruito.