Architettura Greca 2

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1. Le idee degli artisti sull'arte. Noi conosciamo l'architettura greca del V e del IV secolo soprattutto dalle rovine, la scultura classica dalle copie e la pittura soltanto dalle descrizioni; ma queste rovine, queste copie e queste descrizioni sono sufficienti a convincerci che l'arte classica greca fu una grande arte. Età posteriori produssero un'arte diversa, ma è opinione generale, formatasi attraverso i secoli, che tale arte è rimasta insuperata. Parallelamente a questa grande arte si sviluppò, in stretta connessione, la teoria. Artista e teorico si identificavano persino nella stessa persona: infatti molti tra gli artisti di quel tempo, non soltanto costruivano, scolpivano e dipingevano, ma scrivevano anche sull'arte. I loro trattati non consistevano soltanto in informazioni tecniche e in principi fondati sull'esperienza pratica, ma anche in discussioni generali intorno «alle leggi e alla simmetria» e ai «canoni dell'arte » e contenevano principi estetici che servivano da guida agli artisti contemporanei. Tra gli architetti che scrissero intorno alla loro arte troviamo Sileno, autore di un libro dal titolo Sulla simmetria dorica , Ictino, l'artefice del Partenone, e molti altri. Il grande Policleto scrisse sulla scultura, al pari di Eufranore. Il celebre pittore Parrasio lasciò un trattato Sulla pittura e cosí pure il pittore Nicia. Il pittore Agatarco scrisse intorno alla pittura per le scene e sollevò al suo tempo grandi discussioni circa l'effetto scenico del trompe d’oeil. Come dice Filostrato, «i saggi dei tempi antichi scrissero intorno alla simmetria nella pittura», e per «saggi» egli intendeva gli artisti. Tutti questi scritti teorici sono andati perduti; alcune opere d'arte classiche sono però sopravvissute e permettono allo storico di scoprire le idee estetiche di quel periodo. Egli noterà che a) in linea di principio tali opere si conformano a canoni, b) in certi casi si allontanano consapevolmente da essi, e c) che abbandonano i modelli tradizionali piuttosto schematici, in favore di forme organiche. Dobbiamo ora analizzare separatamente ognuna di queste tre caratteristiche dell'arte classica, giacché esse hanno un significato estetico generale. W. Tatarkiewicz, Storia dell’estetica. L’estetica antica, 1979 Figg. 1.2. I disegni mostrano le proporzioni costanti degli antichi templi.Secondo Vitruvio erano determinate in modo che l’ampiezza del portico a 4 o a 6 colonne misurasse 27 moduli (il modulo era pari al raggio di base della colonna

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architettura greca, l'acropoli di atene

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1. Le idee degli artisti sull'arte. Noi conosciamo l'architettura greca del V e del IV secolo soprattutto dalle rovine, la scultura classica dalle copie e la pittura soltanto dalle descrizioni; ma queste rovine, queste copie e queste descrizioni sono sufficienti a convincerci che l'arte classica greca fu una grande arte. Età posteriori produssero un'arte diversa, ma è opinione generale, formatasi attraverso i secoli, che tale arte è rimasta insuperata.Parallelamente a questa grande arte si sviluppò, in stretta connessione, la teoria. Artista e teorico si identificavano persino nella stessa persona: infatti molti tra gli artisti di quel tempo, non soltanto costruivano, scolpivano e dipingevano, ma scrivevano anche sull'arte. I loro trattati non consistevano soltanto in informazioni tecniche e in principi fondati sull'esperienza pratica, ma anche in discussioni generali intorno «alle leggi e alla simmetria» e ai «canoni dell'arte » e contenevano principi estetici che servivano da guida agli artisti contemporanei.Tra gli architetti che scrissero intorno alla loro arte troviamo Sileno, autore di un libro dal titolo Sulla simmetria dorica , Ictino, l'artefice del Partenone, e molti altri. Il grande Policleto scrisse sulla scultura, al pari di Eufranore. Il celebre pittore Parrasiolasciò un trattato Sulla pittura e cosí pure il pittore Nicia. Il pittore Agatarco scrisse intorno alla pittura per le scene e sollevò al suo tempo grandi discussioni circa l'effetto scenico del trompe d’oeil. Come dice Filostrato, «i saggi dei tempi antichi scrissero intorno alla simmetria nella pittura», e per «saggi» egli intendeva gli artisti.Tutti questi scritti teorici sono andati perduti; alcune opere d'arte classiche sono però sopravvissute e permettono allo storico di scoprire le idee estetiche di quel periodo. Egli noterà che a) in linea di principio tali opere si conformano a canoni, b) in certi casi si allontanano consapevolmente da essi, e c) che abbandonano i modelli tradizionali piuttosto schematici, in favore di forme organiche. Dobbiamo ora analizzare separatamente ognuna di queste tre caratteristiche dell'arte classica, giacché esse hanno un significato estetico generale.

W. Tatarkiewicz, Storia dell’estetica. L’estetica antica, 1979

Figg. 1.2. I disegni mostrano le proporzioni costanti degli antichi templi.Secondo Vitruvioerano determinate in modo che l’ampiezza del portico a 4 o a 6 colonne misurasse 27 moduli (il modulo era pari al raggio di base della colonna

2. Il canone. L'arte classica dei Greci presumeva che in ogni opera esistesse un canone (kànon), cioè una forma a cui l'artista è vincolato. Il termine kànon è l'equivalente, nelle arti plastiche, del termine nómos nella musica; fondamentalmente entrambi i termini hanno lo stesso significato. Come i musicisti greci avevano fissato il loro nómoso legge, cosí gli artisti dediti alle arti plastiche fissarono il loro kanono misura; lo cercarono, si convinsero di averlo trovato e lo applicarono alle loro opere.La storia dell'arte distingue tra periodi «canonici» e «non canonici», Ciò significa che in alcuni periodi gli artisti cercano e rispettano un canone, quale garanzia di perfezione, mentre in altri lo evitano, considerandolo un pericolo per l'arte, una limitazione della propria libertà. L'arte greca del periodo classico fu «canonica».

3. Il canone nell'architettura. Tra gli artisti greci, gli architetti furono i primi a fissare delle forme canoniche. Nel v secolo le applicarono ai templi e le enunciarono in trattati; i frammenti che risalgono a questo periodo dimostrano come il canone fosse già allora comunemente applicato, sia agli edifici nel loro complesso, sia alle loro parti, quali colonne, capitelli, cornicioni, fregi e timpani. Le forme canoniche fisse conferirono all'architettura greca un aspetto oggettivo, impersonale e necessario. Le fonti di rado ci forniscono i nomi degli artisti, quasi essi fossero degli esecutori piuttosto che dei creatori, e le opere architettoniche seguissero leggi eterne indipendenti dall'individuo e dal tempo.Il canone dell'architettura greca classica aveva un carattere matematico. Il romano Vitruvio, che seguiva la tradizione degli architetti greci del periodo classico, scrive: «La composizione dipende dalla simmetria, le cui leggi gli architetti dovrebbero rigidamente osservare. La simmetria è creata dalle proporzioni... noi definiamo le proporzioni di un edificio per mezzo di calcoli relativi sia alle sue parti sia al tutto, conformemente a un modulo stabilito». (Gli archeologi non sono concordi sul fatto che il modulo del tempio dorico fosse il triglifo oppure il raggio di base di una colonna, ma entrambe le ipotesi rendono possibile la ricostruzione dell'intero edificio).Nel tempio greco ogni particolare si attiene a proporzioni stabilite. Se prendiamo come modulo il raggio di una colonna, il tempio di Teseo ad Atene ha una facciata a sei colonne di 27 moduli: le sei colonnemisurano 12 moduli, le tre navate centrali comprendono 3,2 moduli, le due navate laterali 2,7 ognuna e 27 in tutto. Il rapporto tra una colonna e la navata centrale è di 2: 3,2 oppure di 5: 8. Il triglifo ha la larghezza di un modulo e la metopa è 1,6, di modo che il loro rapporto è di nuovo di 5: 8. Gli stessi numeri si possono ritrovare in molti templi dorici (figg. 1 e 2).

Fig. 3. L’architettura greca era regolata da un canone generale che definiva le proporzioni dei suoi vari elementi, ma entro la struttura di questo canone vi erano almeno tre ordini: il dorico, lo ionico e il corinzio. Queste proporzioni potevano risultare più pesanti o più leggere , producendo un effetto di maggiore rigidità o di maggiore scioltezza.

Vitruvio scrive: «Il modulo è la base di ogni calcolo. Il diametro di una colonna deve corrispondere a 2 moduli, l'altezza della colonna, incluso il capitello, a 14 moduli. L'altezza del capitello deve essere di 1 modulo, la larghezza di 2 moduli e 1/6... L'architrave insieme al fregio e alle gocce deve avere l'altezza di 1 modulo... Sopra all'architrave devono essere posti i triglifi e le metope; i triglifi devono avere una larghezza di mezzo modulo e una altezza di 1 modulo». Egli descrive in modo analogo altri elementi dell'ordine. I dati spiccioli presentano scarso interesse per lo storico dell'estetica, paragonati al fatto estremamente importante che tutti gli elementi erano determinati numericamente (fig. 3).Nell'antichità il canone era soprattutto applicato ai templi, ma da esso dipendeva anche la costruzione dei teatri (fig. 4).Il canone architettonico regolava anche dettagli quali le colonne (fig. 5), la trabeazione e persino le volute dei capitelli e le scanalature delle colonne. Col sussidio dei metodi matematici gli architetti applicavano il canone con accuratezza e meticolosità a tutti questi dettagli. Il canone prescriveva le volute nei capitelli ionici e gli architetti tracciavano geometricamente la curva di questa voluta (fig. 6). Il canone decretava non soltanto quale dovesse essere il numero delle scanalature della colonna (20 nelle doriche, 24 nelle ioniche) ma anche la loro profondità.

Fig. 4. Un teatro romano costruito su principi geometrici. Il teatro greco è simile anche se si basa su quadrati invece che su triangoli

Fig.5. L’altezza e la disposizione delle colonne nei templi greci era generalmente in accordo con i cosiddetti triangoli pitagorici, i cui lati erano nella proporzione 3:4:5.

Fig.6. I disegni illustrano il sistema con cui gli architetti dell’antichità disegnavano una voluta: la curva era determinata geometricamente con riferimento a punti derivati da quadrati inscritti in un cerchio. Questi erano i cosidetti quadrati platonici che stavano rta loro in un determinato rapporto

4. Il canone nella scultura. Gli scultori greci tentarono di definire un canone anche per la loro arte. E’noto che Policleto ottenne i risultati più soddisfacenti in questo tentativo. Anche il canone della scultura era numerico e dipendeva da una proporzione fissa. Come attesta Galeno, la bellezza nasce «dall'esatta proporzione non degli elementi ma delle parti, di un dito rispetto a un altro dito, di tutte le dita rispetto al carpo e al metacarpo, di questi rispetto all'avambraccio, e insomma di tutte le parti tra di loro, com'è scritto nel Canone di Policleto». Vitruvio insiste nello stesso senso: «La natura ha disposto il corpo umano cosí che il capo, dal mento alla parte superiore della fronte e alla radice dei capelli, corrisponde a un decimo dell'altezza del corpo» e prosegue definendo numericamente le proporzioni delle varie parti del corpo. Questo canone veniva strettamente rispettato dagli scultori classici.L'unico frammento rimasto del trattato di Policleto afferma che in un'opera d'arte «la perfezione [tó éu] dipende da vari rapporti numerici, e anche le piccole varianti sono decisive».Il canone degli scultori di fatto non riguardava l'arte ma la natura; misurava le proporzioni quali apparivano in natura, in particolare in un uomo ben fatto, piuttosto che quelle che avrebbero dovuto figurare in una statua. Era quindi, come lo definisce Panofsky un canone «antropometrico».Vitruvio continua: «Pittori e scultori celebri si valsero della loro conoscenza di queste proporzioni (che sono in realtà le proporzioni di un uomo ben fatto) ed acquistarono fama perenne». (I Greci davano per scontato che la natura, e in particolare il corpo umano, contenesse proporzioni matematicamente definite, e ne deducevano che la rappresentazione della natura nell'arte doveva conservare le stesse proporzioni).Durante il periodo greco classico si afferma anche l’idea secondo cui il corpo umano idealmente costruito può essere compreso entro semplici figure geometriche del cerchio o del quadrato. «Se distendiamo un uomo sul dorso con braccia e gambe allargate e disegniamo un cerchio avente per centro l’ombelico, la circonferenza del cerchio toccherà le punta delle dita delle mani e dei piedi».I Greci pensavano che il corpo umano potesse analogamente essere inscritto entro un quadrato e ciò diede origine all’idea dell’uomo quadrato, idea sopravvissuta nell’anatomia artistica sino ai tempi moderni.Gli artisti greci erano convinti di applicare e di rivelare nelle loro opere le leggi che governano la natura, di rappresentare non soltanto l'apparenza delle cose, ma anche la loro struttura eterna. Il concetto per loro fondamentale di simmetria designare proporzioni che non sono inventate dagli artisti ma sono una proprietà della natura stessa. Vista sotto questo aspetto, l'arte era unaforma di scienza. Soprattutto la scuola di scultura di Sicione considerava la propria arte come scienza. Questa concezione era simile a quella assai diffusa in Grecia per cui i poeti, e Omero in particolare, erano «maestri di saggezza». Plinio ci racconta che il pittore Panfilo, maestro del grande Apelle e insigne matematico, asseriva che nessuno poteva essere un buon artista senza conoscere l'aritmetica e la geometria. Molti artisti greci, non soltanto scolpirono e dipinsero ma studiarono anche la teoria della loro arte. Il canone nell'arte era considerato una scoperta e non una invenzione, una verità obiettiva piuttosto che un espediente umano.

7. Il triplice fondamento dei canoni. Nel fissare i loro canoni i Greci tennero conto di parecchi principi:a) Anzitutto esisteva un fondamento filosofico generale. I Greci erano convinti che le proporzioni del cosmo fossero perfette, per cui

le opere umane dovevano conformarsi a esse. Vitruvio scrive: «Poiché la Natura creò il corpo in modo che le sue membra fossero proporzionate al complesso della corporatura, gli antichi si attennero al principio per cui anche nelle costruzioni il rapporto tra le parti doveva corrispondere al tutto».

Un altro fondamento dei canoni risiedeva nell'osservazione dei corpi organici, la quale aveva una funzione decisiva per la scultura e per il suo canone antropometrico.

Un terzo fondamento, significativo nell'architettura, era rappresentato dalla conoscenza delle leggi della statica. Piú alte erano le colonne, piú pesante doveva essere la trabeazione, e maggiore il sostegno necessario: di conseguenza le colonne greche erano distanziate in modo diverso, a seconda dell'altezza (fig. I2). La struttura del tempio greco era il frutto dell'esperienza tecnica e della conoscenza delle proprietà dei materiali usati. Questi fattori erano in larga misura responsabili di quelle forme e proporzioni che i Greci e noi stessi sentiamo perfette.

8. Arte ed esigenze visive. Sebbene i Greci eseguissero le loro opere in conformità alle proporzioni matematiche e alle forme geometriche, in certi casi se ne scostarono. Queste deviazioni sono troppo coerenti per non essere consapevoli, deliberate, ed effettuate con una chiara intenzione estetica. Alcune di queste irregolarità avevano lo scopo di adattare le forme alle esigenze della vista umana. Diodoro Siculo scrive che sotto questo aspetto l'arte greca differiva da quella degli Egizi, che calcolavano le proporzioni senza tener conto delle esigenze della vista. I Greci invece ne tenevano conto, cercando di compensare le deformazioni ottiche; essi davano alle figure dipinte o scolpite forme irregolari, consapevoli che proprio per mezzo di questo procedimento, esse sarebbero apparse regolari.

Metodi simili erano usati nella pittura, in particolare nella pittura teatrale. Poiché questi dipinti dovevano essere visti da una certa distanza, si dovette adottare una tecnica specifica che tenesse conto della prospettiva.

Gli architetti lavoravano con lo stesso sistema, e nel loro caso queste modificazioni assumevano un'importanza speciale. I templi dorici costruiti a partire dalla metà del v secolo in avanti, presentano un ampliamento delle parti centrali. Nei porticati le colonne laterali sono piú distanziate e leggermente inclinate verso l'interno, poiché con questo accorgimento sarebbero sembrate diritte. Giacché le colonne colpite dalla luce sembrano piú sottili di quelle in ombra, si correggeva questa illusione ottica con opportune rettifiche allo spessore delle colonne in questione (figg. 14-16). Gli architetti ricorsero a questi metodi perché, come Vitruvioavrebbe osservato piú tardi, «l'illusione ottica deve essere corretta per mezzo di calcoli».

Fig. 12. Il disegno mostra come erano distanziate le colonne: più alte erano, più piccolo era lo spazio che le separava. Il disegno a mostra nel primo caso le colonne di altezza 10 moduli e l’intercolunnio di un modulo e mezzo; il disegno b l’altezza di 9 moduli e ½ e l’intercolunnio di 2 moduli; il disegno c l’altezza di 8 moduli e ½ e l’intercolunnio di 3 moduli; il disegno d l’altezza di 8 moduli e l’intercolunnio di 4 moduli

9. Le deviazioni. Gli architetti greci andarono anche oltre nello scostarsi dalle linee rette, e curvarono quelle linee che si presumerebbero rette. Nell'architettura classica i contorni di piedistalli, cornici e colonne, cosí come le linee verticali e orizzontali, sono lievemente incurvati. Lo si osserva nelle piú belle costruzioni classiche quali il Partenone e i templi di Paestum. Queste deviazioni dalla linea retta sono lievi e sono state scoperte soltanto di recente. La scoperta risale al 1837 ma non venne resa nota che nel 1851. Dapprima accolta con incredulità, è ora considerata un fatto indiscutibile, anche se ne rimane dubbia la spiegazione.Queste deviazioni possono essere interpretate come tentativi di correggere le deformazioni ottiche? La figura 18 attesta questa possibilità. Era questo il caso di quegli edifici, la cui ubicazione determinava il punto da cui avrebbero dovuto essere guardati, in particolare quando — come per il Partenone — questo punto era a un livello diverso da quello dell'edificio stesso. Le deviazioni dalle linee e dagli angoli retti nelle costruzioni greche avevano senza dubbio un duplice scopo: evitare sia la deformazione ottica sia la rigidezza. Questo duplice scopo era particolarmente evidente nel caso delle linee verticali: gli architetti antichi davano alle colonne esterne una inclinazione verso il centro, per evitare che l'illusione ottica le facesse apparire divergenti dal centro. Tuttavia questo espediente aveva probabilmente anche lo scopo di rafforzare l'impressione di solidità e di stabilità dell'edificio. Tutto sommato, a questi architetti riusciva piú facile costruire piuttosto che spiegare perché le loro costruzioni erano perfette. Essi avevano sviluppato nella pratica la loro abilità, in modo empirico e intuitivo, piuttosto che sulla base di premesse scientifiche, e tuttavia formularono una teoria per fondare la loro prassi: questo era il modo di procedere tipico dei Greci.

a. Mostra l’aspetto che un tempio deve avere: deve dare l’impressione di un rettangolo. Gli architetti greci osservarono però che se l’avessero costruito come un rettangolo dato il nostro tipo di percezione , le linee verticali sarebbero apparse divergenti, come mostra il disegno b, mentre le linee orizzontali si sarebbero incurvate come mostra il disegno c. Così per neutralizzare le deformazioni di b e di c e per raggiungere l’effetto a gli architetti dell’antichità costruivano nel modo illustrato dal disegno d. Modificavano le forme in modo che dessero l’impressione di non essere deformate.

10. L'elasticità dei canoni. Se è certo che gli architetti greci possedevano un canone e si conformavano a proporzioni semplici, è anche vero che non esistono due templi greci che siano uguali. Se il canone fosse stato applicato rigidamente, ce ne sarebbero. La varietà si spiega col fatto che gli architetti si permettevano una certa libertà nell'applicazione dei canoni e delle proporzioni; non li seguivano ciecamente, li consideravano piuttosto come indicazioni che come precetti. Il canone aveva un valore generale, e le deviazioni non erano soltanto permesse ma largamente praticate. Queste deviazioni dalla linea retta e dalla verticale, le curvature e le inclinazioni, diedero origine a delle varianti che, anche se lievissime, erano nondimeno sufficienti a dare libertà e individualità agli edifici, e a rendere perciò piú libera la severa arte greca.L'arte classica ci dimostra che i suoi creatori erano consapevoli dell'importanza estetica sia della regolarità, sia della libertà e dell'individualità.L'arte greca approfondí la conoscenza delle forme organiche con incredibile rapidità. Il processo ha inizio nel v secolo a. C. e si completa verso la metà del secolo stesso. Mirone, il primo grande scultore del secolo, riesce a liberare la scultura dallo schema arcaico ed a portarla piú vicina alla natura, mentre Policleto, che viene dopo di lui, ne stabilisce il canone, che già si fondava sull'osservazione della natura organica. Ben presto Fidia, un altro scultore del v secolo, avrebbe raggiunto il vertice della perfezione, secondo il consenso unanime dei Greci.

Fig. 15 Il principio di inclinare le colonne esterne per neutralizzare le deformazioni ottiche

Fig. 14. Il disegno a mostra come una colonna che si elevi in piena luce appaia piùsottile di un’altra in ombra. Poiché si vole che tutte le colonne apparissero identiche, quelle esterne in piena luce erano più massicce, quelle interne in ombra più sottili.

Questo era uno dei tanti accorgimenti impiegati dagli architetti antichi per neutralizzare le deformazioni ottiche. Un procedimento analogo è illustrato nel disegno b: le colonne esterne sono inclinate verso il centro perché appaiano dritte, altrimenti avrebbero dato l’impressione di divergere al centro

I templi dorici del VI-V sec. a.C. nell'equilibrio proporzionale delle forme, nella semplificata chiarezza e severità dell'insieme, rappresentano l'espressione piùfelice dell'evoluzione dell'arte greca dall'arcaico al classico. Colonne, gradini e trabeazione costituiscono gli elementi fondamentali della perfetta unità della struttura del tempio ed avvolgono in un sottile gioco di pieni e di vuoti il nucleo centrale della cella. I fusti scanalati e rastremati delle colonne, gli echini rigonfie arrotondati dei capitelli sviluppano una tensione longitudinale, arrestata soltanto dal piano orizzontale della gradinata e della trabeazione col suo geison (insieme di architrave, fregio e cornicione). "E solo col tetto però che viene ristabilito il giusto equilibrio tra le varie parti del sistema `trilitico', unendo l'architettura all'immagine vivente della casa-tempio" (F. Krauss). La perfetta compiutezza e l'esemplare concretezza dell'edificio trovano infine la loro unitaria conclusione nel rivestimento policromo, che sottolinea e valorizza la già ricca articolazione degli elementi architettonici, rendendoli indipendenti dall'incidenza della luce naturale. In base a tali considerazioni è facilmente desumibile l'appartenenza all'architettura dorica classica del tempio periptero, detto di Poseidone, a Paestum. Sorto intorno al 450 a.C. nell'area in cui nella metà del V sec. a.C. venne edificata la basilica, presenta ancora leggeri arcaismi, riscontrabili nel numero delle colonne sui lati lunghi, 14 invece delle consuete 13 o12, e nelle scanalature, 24 invece delle canoniche 20,1e quali, pur alleggerendo la struttura possente e un po' tozza delle colonne, determinano sempre un'articolazione plastica e mai grafica della superficie del fusto. Il tempio si innalza su un basamento di tre gradini: i greci, per sollevarlo rispetto alla zona circostante, avevano creato una collina artificiale che, essendo col tempo franata, aveva lasciato allo scoperto le fondamenta rendendo necessaria l'aggiunta, in epoca romana, di una scalinata. leggermente curva, di ingresso all'edificio. Il tempio di Poseidone rappresenta uno dei casi più rari di adozione in Occidente della "curvatura delle orizzontali", in base alla quale tutte le linee, invece di essere parallele al piano presentano una leggera convessità, onde correggere le deformazioni prospettiche. Per raggiungere lo stesso risultato, nei templi greci le colonne angolari sono inclinate verso l'interno; a Paestum l'inclinazione si realizza non nelle colonne, perfettamente verticali, ma nelle soluzioni angolari rappresentate dalle colonne "ellittiche" finora inusate. A differenza dei templi dorici greci, quello di Poseidone non ha decorazione plastica sul frontone e rilievi nelle metope. All'interno, preceduta da un vestibolo, si innalza la cella, posta ad un livello più elevato, con doppio ordine di colonne a sostegno della travatura del tetto. Si ricorse a tale sistema in quanto le proporzioni delle colonne doriche potevano variare soltanto entro certi limiti ed era quindi difficile per ragioni di spazio renderle di eguale altezza di quelle esterne. Alla riduzione delle misure corrisponde un notevole ingrandimento dei capitelli. I fusti delle colonne interpretano liberamente i moduli proporzionali di quelli esterni: le scanalature non sono più 24, ma 20 nell'ordine inferiore e 16 in quello superiore. Davanti al frontone orientale del tempio sorge l'altare, ricostruito di minori dimensioni in epoca romana, allorché si ridusse l'area sacra per costruirvi strade di accesso al Foro.

A Paestum quando si decise di costruire il nuovo tempio lo si fece lasciando in situ il vecchio tempio di Era. La città, nonostante la grande distanza aveva preso parte ai giochi olimpici. Il suo artefice aveva avuto con ogni probabilità l’occasione di studiare il tempio Zeus di Olimpia e a far proprio quanto aveva visto.

Nel tempio di Zeus ad Olimpia era stata realizzata quella che gli archeologi definiscono la prima semplificazione classica, ossia l’introduzione di una misura fondamentale interna l’interasse di 16 piedi uniformando tutte le misure in pianta a questo fondamentale modulo.

Il tempio è pervenuto a noi pressocché intatto

Un famoso gruppo di templi dorici sopravvive a sud di Napoli in quella che era una colonia greca divenuta poi romana Poseidonia, la romana Paestum. Il più antico dei tre templi, quello di Herachiamato anche la basilica, della metà del secolo VI. Accanto ad esso quello di Poseidone costruito un secolo più tardi con l’imponente interno a due piani è il meglio conservato. Su un rilievo poco più a nord il tempio di Atena.

I profili incurvati delle colonne del primo tempio Hera e del tempio di Atena, che conferiscono al loro fusto l’effetto di un rigonfiamento, propriamente detto entasi, sono i più vistosi di tutti i templi antichi. A Paestum i profili sono ripresi nelle sagome dilatate dei tozzi capitelli che le sorreggono. Questa pesantezza radicata alla terra, questo senso di vicinanza alla natura sono involontariamente sottolineati dalle grezze superfici porose del calcare locale.

Tempio di Poseidone

I templi dorici del VI-V sec. a.C. nell'equilibrio proporzionale delle forme, nella semplificata chiarezza e severità dell'insieme, rappresentano l'espressione più felice dell'evoluzione dell'arte greca dall'arcaico al classico. Colonne, gradini e trabeazione costituiscono gli elementi fondamentali della perfetta unità della struttura del tempio ed avvolgono in un sottile gioco di pieni e di vuoti il nucleo centrale della cella. I fusti scanalati e rastremati delle colonne, gli echini rigonfi e arrotondati dei capitelli sviluppano una tensione longitudinale, arrestata soltanto dal piano orizzontale della gradinata e della trabeazione col suo geison (insieme di architrave, fregio e cornicione). "E solo col tetto però che viene ristabilito il giusto equilibrio tra le varie parti del sistema `trilitico', unendo l'architettura all'immagine vivente della casa-tempio" (F. Krauss). La perfetta compiutezza e l'esemplare concretezza dell'edificio trovano infine la loro unitaria conclusione nel rivestimento policromo, che sottolinea e valorizza la già ricca articolazione degli elementi architettonici, rendendoli indipendenti dall'incidenza della luce naturale. In base a tali considerazioni èfacilmente desumibile l'appartenenza all'architettura dorica classica del tempio periptero, detto di Poseidone, a Paestum. Sorto intorno al 450 a.C. nell'area in cui nella metà del V sec. a.C. venne edificata la Basilica, presenta ancora leggeri arcaismi, riscontrabili nel numero delle colonne sui lati lunghi, 14 invece delle consuete 13 o12, e nelle scanalature, 24 invece delle canoniche 20, le quali, pur alleggerendo la struttura possente e un po' tozza delle colonne, determinano sempre un'articolazione plastica e mai grafica della superficie del fusto. Il tempio si innalza su un basamento di tre gradini: i greci, per sollevarlo rispetto alla zona circostante, avevano creato una collina artificiale che, essendo col tempo franata, aveva lasciato allo scoperto le fondamenta rendendo necessaria l'aggiunta, in epoca romana, di una scalinata. leggermente curva, di ingresso all'edificio. Il tempio di Poseidone rappresenta uno dei casi più rari di adozione in Occidente della "curvatura delle orizzontali", in base alla quale tutte le linee, invece di essere parallele al piano presentano una leggera convessità, onde correggere le deformazioni prospettiche. Per raggiungere lo stesso risultato, nei templi greci le colonne angolari sono inclinate verso l'interno; a Paestum l'inclinazione si realizza non nelle colonne, perfettamente verticali, ma nelle soluzioni angolari rappresentate dalle colonne "ellittiche" finora inusate. A differenza dei templi dorici greci, quello di Poseidone non ha decorazione plastica sul frontone e rilievi nelle metope. All'interno, preceduta da un vestibolo, si innalza la cella, posta ad un livello più elevato, con doppio ordine di colonne a sostegno della travatura del tetto. Si ricorse a tale sistema in quanto le proporzioni delle colonne doriche potevano variare soltanto entro certi limiti ed era quindi difficile per ragioni di spazio renderle di eguale altezza di quelle esterne. Alla riduzione delle misure corrisponde un notevole ingrandimento dei capitelli. I fusti delle colonne interpretano liberamente i moduli proporzionali di quelli esterni: le scanalature non sono più 24, ma 20 nell'ordine inferiore e 16 in quello superiore. Davanti al frontone orientale del tempio sorge l'altare, ricostruito di minori dimensioni in epoca romana, allorché si ridusse l'area sacra per costruirvi strade di accesso al Foro.

Soltanto due facciate sensibilmente diverse l'una dall'altra e due contrastanti linee diagonali, potevano togliere la preminenza a quel proporzionato equilibrio di verticali ed orizzontali che, attraverso l'ininterrotto colonnato e la trabeazione continua, cingono il volume del tempio, conferendo così alla struttura un senso di maggiore compattezza. Alla base, tre gradini, privi di ombra e modellati in relazione alla loro collocazione ambientalee visiva, distaccano ed innalzano l'intera facciata dal terreno,esaltandone l'aggettante frontone. Mentre a scendere con lo sguardo dalla punta estrema del timpano, i gradini appaiono ricollegare complessivamente l'edificio al territorio. Come in tutta la costruzione ogni elemento diventa più ricco e raffinato verso l'alto, così an-che la colorazione, che una volta rivestiva il tempio, cresceva d'intensità man mano che si raggiungeva l'estremità superiore dell'organismo architettonico, quasi ad esaltare e valorizzare cromaticamente le forme plastiche, su cui, tra l'altro, l'incidenza della luce creava già vibranti effetti chiaroscurali. Bianchi erano quindi le colonne, l'architrave, lemetope, le parti della cella; rossi gli elementi divisori; neri i triglifi, gli anelli sopra le colonne, i capitelli, il tenia e il fondo della parte sottostante del geison. Il tutto infine inglobava la complessa e ricca decorazione pittorica del frontone. Quasi a sottolineare che l'immutabilità dell'edificio è pura apparenza e che esso è, invece, una struttura animata, le facciate dopo un attento esame, ci appaiono diverse, e giustamente, perchédifferente è l'approccio al sito, differenti le funzioni da svolgervi. Ad est, dove si apre l'unico ingresso al naos, all'inclinazione apparente delle colonne d'angolo, corrisponde infatti una leggera curvatura verso l'alto degli elementi orizzontali del timpano, che in tal modo acquista un senso di allargamento in avanti e di ampliamento verso i lati. Tali correzioni, sebbene impercettibili (2 cm) in una lunghezza dell'architrave di 23,55 m, sono tuttavia chiaramente individuabili allorché ci si pone frontalmente al tempio. E mentre le colonne, tutte eguali della facciata orientale vengono ingrandite esclusivamente nel mezzo, in corrispondenza del diametro maggiore, in quella occidentale "i capitelli sono allargati gradualmente e si pensa con intenzione, poiché le misure crescono simmetricamente dall'angolo al centro" (Krauss). Ad ovest quindi prevalgono invece le linee orizzontali, che conferiscono all'architrave e alla fascia inferiore del geison, qui non incurvata, una maggiore compattezza di insieme.

Molteplici furono gli accorgimenti cui ricorse l’architettura greca per correggere le deformazioni prospettiche . Al leggero andamento convesso degli elementi orizzontali quali stilobati, architravi e cornici … corrispondeva per analoghe esigenze ottiche una inclinazione verso l’interno e verso l’alto degli elementi verticali. Le colonne angolari inoltre , non solo risultavano più vicine a quelle adiacenti ma avevano anche dimensioni maggiori, in modo che il loro diametro venisse a coincidere, rispetto al punto di vista dell’osservatore , con quello delle colonne che avevano come fondale il muro della cella. Nel caso del tempio di Poseidone il conflitto angolare è risolto magistralmente , sebbene si apportino sensibili trasformazioni alle pur sofisticate soluzioni adottate in Grecia. Le colonne d’angolo sono infatti disposte secondo una perfetta verticale e solo le scanalature vengono fatte convergere leggermente verso l’interno, a partire dalla base: questa di conseguenza non risulta più in pianta perfettamente rotonda, ma di forma elissoidale, ricavata dall’accrescimento di uno dei due diametri. Viste frontalmente tali colonne appaiono identiche a quelle laterali con il diametro normmale, viste dal lato sembrano invece colonne della facciata. Si realizza così un equilibrio proporzionale che conferisce all’edificio un senso di unità sintattica sinora mai raggiunta. La soluzione del conflitto angolare implica, comunque, necessariamente il coinvolgimento della zona alta della struttura. Nel Partenone per ampliare l’effetto prospettico prodotto dalla diminuzione dell’intervallo tra le colonne angolari e quelle adiacenti, si avvicinarono i triglifi, l’un l’altro dal centro verso l’esterno, sui due lati brevi, in modo tale da non porli esattamente in asse sopra la colonna. A Paestum invece essi cadono esattamente al centro dell’intercolunnio, sebbene all’estremità bisognasse spostarli fuori , a causa dell’allungamento dell’architrave. A tal fine si sono allargate le due metope estreme e si è ridotto lo spazio dell’ultimo intercolunnio. Questa discordanza èavvertita per chi osserva il monumento da vicino, mentre sfugge a chi lo osserva nel suo insieme.