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Collana Perle d’Occidente - Edizioni Circolo Virtuoso

Dedicato a mia iglia Sefora

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Arabia 3 - Giovanni Sartore

CAPITOLO 1

COLLEGAMENTO INTERROTTO

Jack si accese la ventesima sigaretta in meno di due ore, mentre

l’orologio a muro segnava le tre e trenta di notte. La sala com-

puter del distaccamento della CIA di Washington era deserta e

la lunga ila di terminali spenti trasmetteva un senso di profonda malinconia. Gli occhi di Jack erano issi sul monitor silenzioso e senza segno di vita. Il software della gestione del satellite spia Arabia 3, Project Vega, non funzionava più già da qualche ora e, questo, senza nessun giustiicato motivo. Le immagini pervenute prima del blocco riprendevano alcune zone limitrofe della Tur-chia. Poi più nulla, un disturbo radio e il collegamento era stato interrotto.

– Che diavolo ti è preso eh, piccolo? – bofonchiò a mezza voce Jack, quasi ci fosse qualcuno ad ascoltarlo. Ma il software era inchiodato, come lo era anche Jack alla sua postazione, con la consueta testardaggine, convinto che, alla ine, il collegamento si sarebbe ripristinato, d’incanto, così come se n’era andato.

Le ipotesi ioccavano a cascata nella sua mente infervorata dal mistero e dall’angoscia che questo gli provocava. Un micro me-

teorite? Improbabile, ma il solo pensarci lo inquietava non poco. Una questione dannatamente antipatica perché perdere il collega-

mento in tempo reale con un satellite spia di una zona così calda del mondo era sicuramente pericoloso. Poteva accadere di tutto e,

per di più, a loro insaputa. Un guasto meccanico era sicuramente preferibile, anche se si trat-

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tava pur sempre di una seccatura. Riprogrammare gli altri due

satelliti spia Arabia 1 e Arabia 2 non era consigliabile perché avrebbe compromesso la copertura del Pakistan e la zona del Pa-

mir sovietico e dei punti nevralgici di Iran e Iraq. Territori che dal punto di vista politico e militare potevano riservare sorprese di

ogni tipo. Inine, Jack, quasi in un moto di rassegnazione, spense la ventesima sigaretta inondando il monitor dell’ultima folata di fumo rimastagli in corpo e sbuffò, com’era solito fare quando una situazione aveva tutte le caratteristiche di un groviglio irrisolvi-bile.

Callaghan, il suo responsabile di sezione, gli aveva detto di non fare tardi perché il mattino seguente, alle nove, avrebbero dovuto recarsi nella camera ovale della Casa Bianca per conferire con il Presidente circa l’accaduto. Jack ricordò il tono con cui Cal-laghan lo aveva detto, sì, era velato da un disappunto cocente che

forse poteva capire e in parte condividere. Non si trattava sempli-cemente di comunicare al Presidente un’anomalia al satellite spia

di una delle zone più sensibili del mondo, il punto era che non avevano la minima idea di cosa fosse realmente accaduto. Il Pre-

sidente poteva anche accettare l’ipotesi di un malfunzionamento, ma era veramente così? Lo potevano dimostrare? O sotto c’era

qualcos’altro, molto peggiore di quanto potessero immaginare? Ad ogni modo, il Presidente non sarebbe stato contento dell’ac-

caduto.

– Hai ragione, Callaghan – si disse Jack, stanco – ora me ne vado

a letto, domani sarà una giornata dura e affrontarla con le borse sotto gli occhi non sarebbe certo la cosa migliore.

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Inserì il codice segreto digitandolo sulla tastiera ergonomica e

il terminale scivolò nell’oblio con un ronzio sempre più tenue. Inine, il monitor si spense con uno sfarfallio rapido e quasi acce-

cante. Jack si stroinò gli occhi e consultò di nuovo l’orologio…Segnava quasi le quattro. Si alzò dalla postazione di controllo denominata “Zona calda Q” e si avviò verso l’uscita. Un rapido saluto al personale della sicurezza e uscì nella piccola piazzetta antistante. Faceva caldo quel 13 agosto 2009, il cielo era sereno e punteggiato di stelle. Jack esitò con lo sguardo sulla volta stellata e non poté evitare di chiedersi: dove diavolo sei inito Arabia 3? Com’era logico aspettarsi, la domanda inì nel nulla, senza rispo-

sta, e anche se la cosa non gli piacque, Jack comprese che avrebbe dovuto abituarsi.

A dispetto della bella serata precedente, il giorno dopo Jack aprì

gli occhi sotto una pioggia battente e, come se non bastasse, era

tardi. Non aveva molto tempo e doveva decidere se prepararsi il caffè o radersi. A quel punto sarebbe stato meglio radersi, il Presi-dente Arthur Millan era un patito dell’etichetta e non transigeva al riguardo, il suo staff doveva essere impeccabile, lo aveva ripetuto più volte. Il caffè non avrebbe potuto prepararselo, il Presidente avrebbe sorvolato se fosse stato un po’ intorpidito, ma la barba… Ci fosse stata Pamela glielo avrebbe preparato lei il caffè, ma Pa-

mela se n’era già andata da giorni, come d’altra parte se n’erano andate Jessica, Erica, Mirta…

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Jack aveva inanellato tutta una serie di catastroiche relazioni sentimentali, inite poi inevitabilmente nel nulla. Nei suoi ragio-

namenti era indotto ad incolpare sempre le altre, la loro superi-

cialità, lo scarso impegno emotivo, l’assoluta assenza di roman-

ticismo. Ma quando anche Pamela lo lasciò, iniziò a considerare seriamente la sua posizione e a spostare il centro di gravità dei suoi ragionamenti, giungendo alla conclusione inaspettata che,

forse, era lui che non andava, pretendeva la favola, e ciò era as-

solutamente irrealizzabile. Ogni piccolo fraintendimento era per lui motivo d’attrito e segno che il rapporto amoroso iniziava a fare acqua, proteso com’era ad un perfezionismo alieno che esi-steva solo nella sua mente e che nella vita reale non sarebbe mai

riuscito a conseguire concretamente. Il nodo della questione era la sua assoluta mancanza di realismo che lo spingeva a protendersi in una direzione che altri non potevano e, d’altra parte, neanche consideravano possibile raggiungere. Ed era cosa per creature ta-

rate su misure razionali accettare limiti e conini al di là dei quali si sforava nella schizofrenia esistenziale. A quello era giunto Jack dopo tutta una serie di schiette rilessioni: di essere uno schizofre-

nico amoroso, fatto che attribuì ad una deviazione professionale, essendo nel suo lavoro proteso in continuazione alla ricerca della perfezione, anche perché, com’era ovvio, era in gioco la sua stes-

sa vita. Per questo aveva deciso, per il momento, di lasciar stare ogni cosa, anche in considerazione di quell’incidente al satellite che pareva avere tutti i crismi di una questione piuttosto seria che, di conseguenza, l’avrebbe assorbito parecchio nei giorni a venire. Quando inalmente uscì da casa, si rese conto che l’auto del Di-

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partimento era giù che l’aspettava forse già da un po’. Callaghan, sempre puntuale, fece una smoria quando lo vide uscire. Jack aprì la porta dell’auto e s’inilò dentro rapidamente per non ba-

gnarsi più di quanto già lo fosse.– Jack, il Dipartimento non ti paga abbastanza perché tu possa acquistare un comunissimo ombrello? E poi sei in ritardo, a che ora ti sei ritirato ieri?

Jack si sistemò sul sedile prima di rispondere alla selva di doman-

de di Callaghan. L’auto, intanto, si era inilata rapida nel trafico mattutino per raggiungere la Casa Bianca.

– Ero in ritardo, Call, – disse Jack usando un diminutivo buffo che spesso usava quando voleva sdrammatizzare situazioni un po’ pesanti – e ieri sera… o, meglio, ieri notte, erano le quattro. Mentre Jack stava fornendo le sue spiegazioni, Callaghan tirò fuori dalla valigetta la sua inseparabile agenda rossa, sulla quale prese ad annotare qualcosa.– Che stai scrivendo? – chiese Jack.

– Niente di particolare. – Scommetto che è una nota su di me.

– Cosa te lo fa pensare? – La tua aria scocciata.

– Forse hai ragione...

– Cosa hai scritto? – insistette Jack – In fondo è giusto che lo sap-

pia, la tua agenda potrebbe cadere in mani sbagliate.

– Ho scritto: questa mattina Jack è in ritardo come al solito… Adesso sei soddisfatto? – Credevo che su quell’agenda tu annotassi solo commenti o se-

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greti professionali, – commentò Jack – queste sono pure idiozie!– Infatti la tua idiota e indefessa debolezza di arrivare sempre in ritardo è una gamma della tua professionalità che non riesco proprio a gestire.

– E non so se ci riuscirai mai – sentenziò Jack.– Bé, lasciamo stare, parliamo piuttosto di cose importanti, come del nostro problema, ci sono novità ? – chiese Callaghan. – No, il nostro amico tace, pare abbia deinitivamente deciso di smettere di comunicare – rispose Jack, evitando esplicite parole

che dessero ad intendere che stavano parlando di più di un sem-

plice conoscente.

I tergicristalli stridevano sul vetro dell’auto mentre spazzavano la pioggia stizzosa. Dopo una svolta a sinistra, imboccarono il viale del cottage e si prepararono mentalmente ad affrontare il Presidente.

– Che cosa hai detto a Millan? – Gli ho accennato di un problema ad un nostro satellite, nient’al-

tro, – rispose Callaghan, accigliato – è meglio somministrare la

pillola per gradi.

– Prudente, eh?

– No, è che Millan ha dificoltà ad afferrare le situazioni nel loro insieme e potrebbe saltare a conclusioni affrettate.– Tipo? – Catastroismo paranoico.– È una nuova malattia?

– Non per Millan, lui c’è abituato. Se su mille lampadine una è fulminata, lui vede solo quella spenta e non è facile fargli capire

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che l’effetto complessivo è del tutto trascurabile, è già allarme rosso.

– È un aspetto che mi è sfuggito della sua poliedrica personalità, – ammise Jack – forse anche perché ancora non lo conosco per-sonalmente.

L’auto, di lì a poco, giunse a destinazione.– Jack, siamo arrivati – tagliò corto Callaghan.Jack si guardò intorno. Sì, Call aveva ragione, il cancello pre-

sidenziale si stava aprendo davanti al cofano della Ford che era bersagliato dalla pioggia insistente.

L’uomo nella guardiola li salutò facendo cenno di sbrigarsi. L’au-

to si fermò sotto il portico dell’ingresso principale, mentre agenti della sicurezza, che si trovavano un po’ ovunque, controllavano ogni loro movimento. Inine, Jack e Callaghan scesero dall’auto del Dipartimento introducendosi negli ambienti ovattati della re-

sidenza presidenziale.

– Signor Callaghan, lei è un funzionario della sicurezza naziona-

le o, per meglio dire, uno degli alti funzionari… mi corregga se sbaglio.

– No, signor Presidente, non sbaglia.– Bene, ora ricapitoliamo. Uno dei miei alti funzionari mi telefo-

na la sera tardi per informarmi di un malfunzionamento ad uno dei nostri satelliti spia, non un satellite qualunque, ma uno dei satelliti più nevralgici per la nostra sicurezza nazionale. Il punto

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è: cosa intendeva esattamente comunicarmi con il termine “mal-funzionamento”? Il tono del Presidente era velatamente seccato, come lo era sempre

quando provava il sentore che si tentava di nascondergli qualcosa. Callaghan ebbe appena il tempo di deglutire prima di rispondere.

– Signor Presidente, il satellite ha cessato di funzionare ieri sera all’improvviso dopo aver trasmesso le ultime immagini del terri-

torio turco che stava sorvolando.

Il Presidente, un uomo sulla cinquantina, isico atletico e due occhi di un nero profondo che gli conferivano uno sguardo ma-

gnetico, restò in ascolto, attendendo che Callaghan si decidesse a continuare il suo resoconto in lì scarno e ben poco consistente.– Questo già lo sapevo – si decise ad osservare dopo essersi reso conto dell’imbarazzante scorrere dei secondi. Si grattò distratta-

mente una guancia, tipico manierismo per dire “sto perdendo la

pazienza”.– Signor Presidente, ciò che intendo dire è che abbiamo trascorso diverse ore a considerare tutte le possibili cause di una simile

anomalia, ma purtroppo…– Purtroppo?

Callaghan si sistemò gli occhiali, passandosi rapido una mano sui capelli cortissimi.

– Purtroppo non siamo riusciti a venire a capo di nulla.

– Lei sta affermando, con una calma che reputo intollerabile, che un nostro satellite spia di punto in bianco ha smesso di funzionare e voi non avete la minima idea di cosa sia successo?

– Esattamente.

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– Ieri sera non mi ha posto la questione in questi termini.– È vero, signor Presidente, speravo nel frattempo di ottenere più informazioni. Uno dei miei più stretti collaboratori è rimasto al terminale ino a notte fonda, inutilmente però. Abbiamo tentato ogni tipo di sollecitazione meccanica ed elettronica, senza però approdare a nulla.

– Gradirei che in casi così inquietanti foste più schietto, signor Callaghan. Anche perché con le mezze verità non si risolve nulla.Ci fu ancora qualche secondo di sgradevole silenzio, poi il Pre-

sidente Millan chiese: – Non potrebbe dipendere da un difetto di fabbricazione? – Da quanto tempo è operativo Arabia 3? – chiese Callaghan ri-volgendosi improvvisamente a Jack.

Jack sobbalzò sulla poltrona sentendosi chiamare in causa ina-

spettatamente. Si schiarì la voce allargandosi nervosamente il

colletto della camicia.

– Lei è nuovo? – chiese il Presidente Millan, scontroso. Jack, con alle spalle un decennio di servizio nella CIA del tutto rispettabile e con discrete vittorie sul piano diplomatico, si sentì

punto sul vivo.

– Con tutto il rispetto che Le è dovuto, signor Presidente, diciamo

piuttosto che il nuovo ad essere qui è lei, considerando che i due precedenti presidenti mi conoscevano perfettamente.Callaghan si morse il labbro, lanciando verso Jack un’occhiatac-

cia che non dava adito a molte interpretazioni.– Capisco, signor…?!– Warren , Jack Warren.

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– Capisco, signor Warren, è evidente comunque che non deve es-

sere stato un gran che come funzionario, dato che i predecessori da lei chiamati in causa non l’hanno mai menzionata nei loro me-

morandum.

“Me lo sono meritato” pensò Jack rassegnato e ricambiando lo sguardo di Call.

– Allora? Da quanto tempo è operativo il nostro Arabia 3? – Un paio di anni – rispose Jack – e non ha mai dato nessun segno di malfunzionamento o, perlomeno, anomalie di qualunque natu-

ra che potessero far presagire questo blocco totale.– Lei concorda con questo? – chiese poi rivolto a Callaghan.– Sì, signor Presidente, è questo che ci ha spiazzati e che tuttora ci fa brancolare nel buio.Millan sospirò sconfortato, goniando i pettorali sotto l’abito gri-gio e alzandosi dalla poltrona. La preoccupazione si leggeva sui suoi lineamenti contratti e dallo sguardo incerto con il quale os-

servava le scartofie sulla sua scrivania. Prese il rituale andiri-vieni nel salottino della camera ovale per scaricare la tensione e

raccogliere le idee.

– Mi pare di aver capito che, ora come ora, non abbiate risposte e tantomeno la minima idea su come affrontare quest’increscioso episodio – concluse scuotendo il capo molto irritato. – Va bene,

signori, – disse poi in tono conclusivo – mi auguro che si venga al

più presto a capo di questa faccenda sulla quale ritengo sia inutile raccomandare il silenzio più assoluto.Callaghan e Jack si alzarono quasi contemporaneamente. Certo, la questione era TOP SECRET, i loro nemici non dovevano asso-

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lutamente venire a conoscenza che quella vasta zona territoriale era fuori dal loro controllo.

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Nota dell’autore:Ogni riferimento a fatti, nomi o persone è puramente casuale.

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Arabia 3

di Giovanni SartoreA cura dell’Istituto di Arti Terapie e Scienze Creative

ISBN: 978-88-97521-30-3Ed. Circolo Virtuoso

Data pubblicazione: 22 Agosto 2012Prezzo: € 15,00