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Appunti per il Corso di Didattica della Chimica Fisica: elettrochimica (potenziometria) Gabriele Balducci Ultimo aggiornamento: 29 marzo 2015

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Appunti per il Corso di Didatticadella Chimica Fisica:

elettrochimica (potenziometria)

Gabriele Balducci

Ultimo aggiornamento: 29 marzo 2015

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Indice

1 POTENZIOMETRIA 3

1.1 Elettrodi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4

1.2 Il potenziale elettrodico . . . . . . . . . . . . 9

1.2.1 Il caso di due o piu’ coppie redox . . 21

1.3 La legge di Nernst . . . . . . . . . . . . . . 26

1.4 Potenziali standard e costante di equilibrio . 33

1.4.1 Costanti di equilibrio per reazioni redox 34

1.4.2 Costanti di equilibrio per reazioni non redox

1.4.3 Il potenziale standard misura la tendenza alla

1.5 Misura dei potenziali elettrodici ed elettrodi di riferimen

1.6 Il potenziale di giunto . . . . . . . . . . . . 65

1.7 Elettrodo a vetro . . . . . . . . . . . . . . . 74

1.8 La potenziometria come tecnica analitica . . 83

1.8.1 Potenziometria diretta . . . . . . . . 83

1.8.2 Elettrodi combinati . . . . . . . . . . 88

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1.8.3 Titolazioni potenziometriche . . . . . 93

1.8.4 Analisi delle curve di titolazione . . . 100

A Il raggiungimento dell’equilibrio in un sistema elettro

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Capitolo 1

POTENZIOMETRIA

1. La potenziometria e’ una tecnica analitica che si ba-sa sulla misura della differenza di potenziale in una cella

elettrochimica in condizioni di equilibrio. Nel seguito ve-dremo come tale differenza di potenziale possa essere messain relazione con la concentrazione dell’analita di interesse.Specificheremo fra breve cosa significhi “condizioni di equi-librio”: per il momento e’ sufficiente dire che in una cellaelettrochimica all’equilibrio non circola corrente elettrica.Questo e’ essenziale: la circolazione di corrente elettricasarebbe infatti inevitabilmente accompagnata da reazio-

ni elettrodiche, che farebbero variare la concentrazionedella specie al cui dosaggio si e’ interessati.

Per cominciare, svilupperemo alcuni concetti fonda-mentali che useremo in seguito per la discussione degli

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aspetti piu’ propriamente analitici di questa tecnica speri-mentale.

1.1 Elettrodi

2. Per gli scopi presenti, possiamo definire elettrodo (osistema elettrodico o semicella) un sistema costituitoda un conduttore elettronico in contatto con un condutto-re elettrolitico. I conduttori elettronici sono quelli in cui lacorrente elettrica e’ dovuta al movimento di elettroni: tipi-ci conduttori elettronici sono tutti i metalli. Nei conduttorielettrolitici, invece, la corrente elettrica e’ trasportata daioni: l’esempio immediato e’ quello di una soluzione salina.

Nel seguito considereremo sempre sistemi elettrodicicostituiti da un metallo immerso in una soluzione che con-tiene una o piu’ specie ioniche.

Un aspetto fondamentale dei sistemi elettrodici e’ lapresenza di una o piu’ coppie redox: una coppia redoxe’ costituita da due specie chimiche che si interconvertonoper acquisto o perdita di elettroni.

Ad esempio, le due specie chimiche Cu2+ e Cu possonotrasformarsi l’una nell’altra per acquisto o perdita di dueelettroni:

Cu2+ + 2e = Cu

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Diciamo quindi che Cu2+ e Cu costituiscono una coppiaredox: Cu2+ si trasforma in Cu per acquisto di due elet-troni e, viceversa, Cu si trasforma in Cu2+ per perdita didue elettroni. In una coppia redox, la specie piu’ povera dielettroni (lo ione Cu2+ nell’esempio) si chiama forma os-

sidata e la specie piu’ ricca di elettroni (il rame metalliconel nostro esempio) si chiama forma ridotta. Il processoin cui la forma ossidata acquista elettroni per trasformarsinella forma ridotta viene detto riduzione, mentre il pro-cesso inverso, nel quale la forma ridotta perde elettroni pertrasformarsi nella forma ossidata, viene detto ossidazio-

ne. Una coppia redox si indica generalmente specificandola forma ossidata e quella ridotta (in questo ordine), se-parate da un segno di frazione: la coppia redox appenavista viene percio’ indicata con Cu2+/Cu. La reazione cheinterconverte i due membri di una coppia redox si chiamageneralmente semireazione redox (o reazione elettro-

dica). Una semireazione redox e’ sempre rappresentata daun’equazione del tipo:

riduzione//

forma ossidata + elettroni = forma ridottaoo

ossidazione

Altri esempi di coppie redox sono:

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coppia redox reazione elettrodicaAg+/Ag Ag+ + e = AgI2/I

− I2 + 2e = 2I−

Fe3+/Fe2+ Fe3+ + e = Fe2+

Fe2+/Fe Fe2+ + 2e = FeMnO−

4 /Mn2+ MnO−

4 + 8H+ + 5e = Mn2+ + 4H2OCr2O

2−7 /Cr3+ Cr2O

2−7 + 14H+ + 6e = 2Cr3+ + 7H2O

Come si vede, una stessa specie puo’ far parte di piu’di una coppia redox (lo ione Fe2+ e’ la forma ossidata dellacoppia Fe2+/Fe e la forma ridotta della coppia Fe3+/Fe2+);inoltre, ad una semireazione possono partecipare altre spe-cie oltre ai due membri della coppia redox implicata (nellasemireazione che interconverte i due membri della coppiaredox MnO−

4 /Mn2+ compaiono anche H2O e H+).

3. I piu’ comuni sistemi elettrodici possono essere classi-ficati sulla base dello stato di aggregazione della coppiaredox che li caratterizza:

• Elettrodi costituiti da un metallo in contatto con unasoluzione che contiene un suo ione, come ad esempioun filo di Ag immerso in una soluzione di AgNO3

(figura 1.1A) oppure una sbarretta di Cu immersain una soluzione di CuSO4: in questo caso, un mem-bro della coppia redox (generalmente la forma ridottadella coppia) costituisce il conduttore elettronico del

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sistema elettrodico, mentre l’altra forma si trova insoluzione.

• Elettrodi costituiti da un metallo inerte immerso inuna soluzione che contiene sia la forma ossidata chequella ridotta di una coppia redox; un esempio po-trebbe essere quello di una sbarretta di Pt o Au im-mersa in una soluzione che contiene ioni Fe2+ e Fe3+

(figura 1.1B). In questo caso, come vedremo, il me-tallo funge solo da “serbatoio” di elettroni, cedendolialla forma ossidata o aquistandoli dalla forma ridottadella coppia redox.

• Elettrodi in cui una o entrambe le forme della coppiaredox si trovano sotto forma di un sale insolubile. Unesempio di questo tipo e’ il cosiddetto elettrodo adAgCl/Ag (figura 1.1C), in cui la reazione elettrodicae’:

AgCl(s) + e = Ag(s) + Cl−

Come si vede, AgCl (la forma ossidata) e’ un saleinsolubile, che si trova depositato su un filo di Ag (laforma ridotta). Osserviamo comunque che e’ neces-saria la presenza di ioni Cl− in soluzione affinche’ lasemireazione elettrodica possa avvenire.

Un altro esempio di questo tipo di sistema elettrodicoe’ l’elettrodo a calomelano. “Calomelano” e’ il nome

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tradizionale del cloruro di mercurio (I), Hg2Cl2, unsale poco solubile. La semireazione che caratterizzaquesto elettrodo e’:

Hg2Cl2(s) + 2e = 2Hg(l) + 2Cl−

In questo caso, la forma ridotta della coppia redox(Hg), si trova allo stato liquido. Da un punto divista pratico, l’elettrodo a calomelano e’ costituitoda un filo di Pt posto in intimo contatto con unapasta ottenuta amalgamando Hg2Cl2(s) e Hg(l), iltutto immerso in una soluzione contenente ioni Cl−.

• Elettrodi in cui un membro della coppia redox si tro-va allo stato gassoso. Un esempio e’ rappresentatoda un filo di Pt immerso in una soluzione satura diH2 e contenente una certa concentrazione di ioni H+

(figura 1.1D); la coppia redox e’ H+/H2:

2H+ + 2e = H2(aq)

La concentrazione di H2 in soluzione e’ mantenuta alvalore di saturazione mediante una campana di ve-tro contenente il filo di Pt e all’interno della qualesi trova H2(g) ad una pressione parziale definita. La

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concetrazione diH2 in soluzione e’ direttamente lega-ta alla pressione parziale dell’idrogeno gassoso nellacampana.

1.2 Il potenziale elettrodico

4. Quando un sistema elettrodico raggiunge l’equilibrio, sicrea una separazione di carica elettrica fra metallo e solu-zione: sul metallo si accumula un eccesso di carica (positi-va o negativa), controbilanciato da una quantita’ di caricauguale ma di segno opposto nella soluzione; si puo’ direequivalentemente che in tali condizioni esiste una diffe-

renza di potenziale elettrostatico fra metallo e solu-zione. Questa differenza di potenziale, che per convenzionee’ sempre misurata come differenza fra il potenziale del me-

tallo e quello della soluzione (e non viceversa), si chiamapotenziale elettrodico e si indica generalmente con ilsimbolo E.

Lo scopo della discussione che segue e’ quello di giustifi-care in modo semplice cio’ che abbiamo appena enunciato.

5. Tanto per fissare le idee, consideriamo un sistema elet-trodico particolarmente semplice: un filo di Ag immersoin una soluzione di AgNO3.

Prima di venire immerso nella soluzione, il filo di ar-gento e’ elettricamente neutro, cioe’ la sua carica elettricarisultante e’ nulla. A questo proposito, conviene pensare il

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Ag

Ag

Ag+Ag+ + e = Ag

Pt

P t

Fe3+

Fe2+Fe3+ + e = Fe2+

AgCl(s)

Cl−

AgCl(s) + e = Ag(s) + Cl−

H2 (g)

H+

2H+ + 2e = H2(g)

Figura 1.1: Diversi tipi di sistemi elettrodici.

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filo di Ag come costituito da un reticolo fisso di ioni Ag+

permeato dal “gas” degli elettroni di valenza (ogni atomodi argento contribuisce un elettrone di valenza): il fatto cheinizialmente il filo sia elettricamente neutro significa sem-plicemente che ogni ione Ag+ del reticolo e’ neutralizzatodal suo elettrone di valenza.

Inizialmente, la neutralita’ elettrica vale anche per lasoluzione, dove ogni ione Ag+ e’ neutralizzato da un cor-rispondente controione NO−

3 .

Appena si immerge il filo di argento nella soluzione, lasemireazione elettrodica relativa alla coppia redox Ag+/Agcomincia ad avvenire. Tale reazione consiste di due pro-cessi che sono uno l’inverso dell’altro:

riduzione: Ag+ + e → Agossidazione: Ag → Ag+ + e

6. Ciascuno di questi due processi provoca dei cambiamen-ti nella concentrazione e nella distribuzione della caricaelettrica fra metallo e soluzione.

La riduzione tende a produrre un eccesso di caricapositiva nel filo metallico e un corrispondente eccesso dicarica negativa nella soluzione: infatti, man mano che ioniargento (cioe’ particelle con carica elettrica positiva) ab-bandonano la soluzione per depositarsi sul metallo, questosi carica positivamente (ogni ione Ag+ “nuovo arrivato”non ha un elettrone di valenza che lo neutralizzi); d’altrocanto, nella soluzione rimangono ioni NO−

3 (cioe’ particellecon carica elettrica negativa) in eccesso.

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E’ chiaro, inoltre, che la riduzione provoca altresi’ unadiminuzione della concentrazione di ioni Ag+ nella soluzio-ne.

La ossidazione tende a produrre effetti contrari a quel-li della riduzione. Ogni atomo di argento che abbandonail metallo passando in soluzione come ione monopositi-vo, lascia sul filo di argento il suo elettrone di valenza,cioe’ una carica negativa; inoltre, gli ioni Ag+ che passanoin soluzione non sono neutralizzati da alcun controione equindi determinano un accumulo di carica positiva nellasoluzione.

Per quanto riguarda i cambiamenti di concentrazione,e’ ovvio che l’ossidazione tende a produrre un aumentodella concentrazione di ioni Ag+ nella soluzione.

7. La cosa importante e’ che la riduzione e l’ossidazio-ne avvengono contemporaneamente e quindi i cambiamentinetti nella distribuzione della carica elettrica e nella con-centrazione dipenderanno dalla velocita’ relativa dei dueprocessi.

Se inizialmente la riduzione e’ piu’ veloce dell’ossida-zione, cio’ significa che, nell’unita’ di tempo, sono piu’ gliioni Ag+ che dalla soluzione si depositano sul metallo chenon quelli che dal metallo passano in soluzione; conseguen-temente, il metallo assumera’ una carica netta positiva (ela soluzione una corrispondente carica netta negativa) ela concentrazione di ioni Ag+ in soluzione diminuira’. Adesempio, se in 1 s 10 ioni Ag+ si depositano sul metallo e

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solo 7 atomi di Ag lo abbandonano per andare in soluzione,si e’ avuto un passaggio netto di 10− 7 = 3 ioni Ag+ dallasoluzione al metallo; conseguentemente, sul metallo si e’accumulata una carica positiva netta pari a 10 − 7 = +3e nella soluzione si e’ accumulata una carica netta nega-tiva pari a −10 + 7 = −3 (cioe’ ci sono 3 ioni NO−

3 nonneutralizzati da corrispondenti ioni Ag+); inoltre, la con-centrazione di ioni Ag+ in soluzione ha avuto un calo netto

corrispondente alla scomparsa di 10− 7 = 3 ioni Ag+.

Se l’ossidazione e’ inizialmente piu’ veloce della ridu-zione, cio’ vuol dire che, nell’unita’ di tempo, sono piu’gli ioni Ag+ che dal metallo vanno in soluzione che nonquelli che dalla soluzione si depositano sul metallo; la con-seguenza e’ che, in questo caso, il metallo assumera’ unacarica netta negativa (e la soluzione una corrispondentecarica netta positiva) e la concentrazione di ioni Ag+ insoluzione aumentera’.

8. I cambiamenti dovuti al fatto che le velocita’ inizialidella riduzione e dell’ossidazione sono (in generale) diver-se non continuano pero’ all’infinito. Infatti vedremo fraun momento che, proprio a causa di questi cambiamenti,il processo inizialmente piu’ veloce viene progressivamenterallentato e quello inizialmente piu’ lento viene progressi-vamente accelerato finche’, inevitabilmente, si raggiunge lasituazione in cui le due velocita’ diventano uguali.

E’ questa la condizione di equilibrio dinamico, che ca-ratterizza tutte le reazioni chimiche: da questo momento in

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poi la separazione di carica e la concentrazione in soluzionerimangono costanti nel tempo.

9. Per comprendere bene come mai le velocita’ della ridu-zione e della ossidazione, inizialmente diverse, inevitabil-mente finiscano per uguagliarsi, facciamo riferimento allefigure 1.2 e 1.3. Nella figura 1.2 e’ schematizzato un elet-trodo ad Ag+/Ag a diversi istanti di tempo: la frecciadiretta verso destra rappresenta la velocita’ di ossidazionementre quella diretta verso sinistra rappresenta la velocita’di riduzione (il verso delle frecce e’ stato fatto arbitraria-mente coincidere con la direzione di movimento degli ioniAg+: cioe’, l’ossidazione produce un flusso di ioni Ag+

dalla sbarretta metallica alla soluzione, mentre la riduzio-ne causa il movimento degli ioni Ag+ dalla soluzione almetallo).

La figura 1.3 mostra l’andamento temporale delle velo-cita’ di ossidazione e riduzione (grafico superiore) e dell’ac-cumulo di carica elettrica nel metallo e nella soluzione (gra-fico inferiore) corrispondenti alla situazione rappresentatanella figura 1.2.

Supponiamo che a t = 0 l’ossidazione sia piu’ velocedella riduzione: nella figura 1.2 la freccia verso destra e’piu’ lunga della freccia verso sinistra. Nel grafico superioredella figura 1.3 si ha (per t = 0): vox > vred. Naturalmen-te, per t = 0, la carica elettrica risultante nel metallo enella soluzione e’ nulla: guardate il grafico inferiore dellafigura 1.3.

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⊕⊕⊕⊕⊕⊕⊕⊕⊕

⊕⊕ ⊕⊕⊕ ⊕⊕

⊕⊕

⊕⊕⊕⊕⊕

⊖⊖

⊖⊖

⊖⊖⊖⊖⊖

⊖⊖⊖⊖⊖

⊖⊖⊖

⊖Ag

AgAg

AgAg

Ag+

Ag+Ag+

Ag+Ag+

t = 0 t = t1 > 0 t = t2 > t1

t = t3 > t2 t→∞

Ag //

oo Ag+ + e− Ag //

oo Ag+ + e− Ag //

oo Ag+ + e−

Ag//

oo Ag+ + e− Ag //

oo Ag+ + e−

Figura 1.2: Il raggiungimento dell’equilibrio in un elettro-do Ag+/Ag: la freccia verso destra rappresenta l’ossida-zione mentre quella verso sinistra rappresenta la riduzione.La lunghezza delle frecce e’ proporzionale alla velocita’ deidue processi.

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v ox,v r

ed

t→∞da qui in poi: equilibrio

vred

vox

t3t2t10

tempo

q metallo,q s

oluzione

←−

q<

0q>

0−→

q = 0

t→∞da qui in poi: equilibrio

qsoluzione

qmetallo

t3t2t10

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Ora vediamo cosa succede dopo che e’ trascorso unpiccolo intervallo di tempo (t = t1 nelle figure 1.2 e 1.3).

In base a quanto gia’ detto al punto 7, siccome la velo-cita’ di ossidazione e’ maggiore della velocita di riduzione,sul metallo si e’ accumulato un eccesso di carica negativae nella soluzione si trova un corrispondente eccesso di ca-rica positiva (guardate il grafico inferiore della figura 1.3per t = t1). Tutti sappiamo che cariche elettriche dellostesso segno si respingono e cariche di segno opposto siattraggono. Sulla base di questa semplice considerazio-ne, giungiamo alla conclusione che la separazione di caricavenutasi a creare ostacolera’ la reazione di ossidazione efacilitera’ quella di riduzione. Infatti per uno ione Ag+

sara’ ora piu’ difficile lasciare un elettrone (negativo) sulmetallo che contiene un eccesso di carica negativa e andarein soluzione dove si trova un eccesso di carica positiva (chelo “respinge”). Viceversa, sara’ piu’ facile per uno ioneAg+ abbandonare la soluzione (esso sara’ “spinto” dall’ec-cesso di carica positiva) e depositarsi sul metallo (che lo“attirera’ ” grazie all’eccesso di carica negativa). Vediamoquindi che la separazione di carica prodotta inizialmenteprovoca proprio un rallentamento del processo piu’ velo-ce (l’ossidazione) e un’accelerazione del processo piu’ lento(la riduzione), come avevamo preannunciato.

10. Oltre all’effetto della separazione di carica, c’e’ da con-siderare anche quello dell’ aumento di concentrazione diioni Ag+ in soluzione (l’effetto della concentrazione non e’

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rappresentato nella figura 1.2 per non appesantirla trop-po). In generale, la velocita’ di un processo chimico cresceal crescere della concentrazione dei reagenti. Nel caso del-l’ossidazione, il reagente e’ l’argento metallico, la cui con-centrazione rimane costante (sapreste dimostrarlo?). Nelcaso della riduzione, invece, il reagente e’ lo ione Ag+, lacui concentrazione in soluzione e’ aumentata (nell’ipote-si che stiamo considerando): cio’ provochera’, per quan-to appena detto, un corrispondente aumento della velo-cita’ della riduzione (il processo inizialmente piu’ lento).La velocita’ dell’ossidazione non risente invece di effetti diconcentrazione (perche’ la concentrazione dell’argento me-tallico non varia): anche i cambiamenti di concentrazionetendono quindi a “livellare” le velocita’ della riduzione edell’ossidazione.

Cercate di ritrovare quanto appena detto nelle figure.Per t = t1, nella figura 1.2 la freccia verso destra (che rap-presenta l’ossidazione) e’ diventata un po’ piu’ corta men-tre la freccia verso sinistra (che rappresenta la riduzione)e’ diventata un po’ piu’ lunga (notate pero’ che la frecciaverso destra rimane sempre piu’ lunga di quella verso si-nistra); inoltre, nella sbarretta metallica si e’ accumulatadella carica negativa e nella soluzione si e’ accumulata unacarica positiva di uguale entita’. Non dovrebbe essere dif-ficile trovare la corrispondenza fra la figura 1.2 e i graficidella figura 1.3 (sempre per t = t1).

11. Col trascorrere del tempo, la sbarretta di argento con-

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tinua a caricarsi negativamente e la soluzione positivamen-te; inoltre, la concentrazione di ioni Ag+ continua a cre-scere: cio’ fa si’ che la velocita’ dell’ossidazione continuia diminuire mentre quella della riduzione continui ad au-mentare (figure 1.2 e 1.3, t = t2, t = t3). E’ inevitabileche queste due velocita’ finiscano per diventare uguali (fi-gure 1.2 e 1.3, t → ∞). In tali condizioni il numero diioni Ag+ che abbandonano il metallo nell’unita’ di tempoa causa dell’ossidazione e’ uguale a quello degli ioni Ag+

che dalla soluzione si depositano sul metallo a causa dellariduzione: ne segue che l’eccesso di carica negativa sul filodi argento, il corrispondente eccesso di carica positiva nel-la soluzione e la concentrazione di ioni Ag+ smettono divariare, e la differenza di potenziale fra metallo e soluzione(in questo esempio negativa) raggiunge un valore asintoti-co costante. Il sistema elettrodico ha raggiunto l’equilibrioe la differenza di potenziale che si e’ cosi’ stabilita fra il filodi argento e la soluzione e’ cio’ che si definisce potenzialeelettrodico.

E’ importante osservare che, in condizioni di equilibrio,l’ossidazione e la riduzione non si sono fermate, ma conti-nuano ad avvenire entrambe alla stessa velocita’ (con rife-rimento alla figura 1.2, le frecce non sono scomparse, masono diventate della stessa lunghezza).

12. Nell’esempio considerato, abbiamo fatto l’ipotesi che,inizialmente, l’ossidazione fosse piu’ veloce della riduzione:provate a ripetere il ragionamento nel caso opposto in cui

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la riduzione sia inizialmente piu’ veloce dell’ossidazione.

Per inciso: e se le due velocita’ iniziali sono identi-che? Nulla di nuovo: significa semplicemente che il siste-ma si trova gia’ all’equilibrio; non si avra’ alcun accumu-lo di carica ne’ variazioni di concentrazione: il potenzialeelettrodico in questo caso sara’ pari a 0.00 V .

13. Vale la pena di osservare che la separazione di carica ele variazioni di concentrazione che si verificano in soluzionein seguito al raggiungimento dell’equilibrio elettrodico so-no piccolissime. Ad esempio, se la concentrazione in solu-zione di ioni Ag+ in un elettrodo ad Ag+/Ag e’ 0.1 mol/L,la variazione di tale concentrazione dovuta ai fenomeni di-scussi implicati nel raggiungimento dell’equilibrio e’ total-mente trascurabile. In altre parole, non pensiate che seimmergiamo una sbarretta di Ag metallico in una soluzio-ne 0.1 mol/L di AgNO3, la concentrazione di ioni Ag+ insoluzione diventa 0.11 mol/L o 0.09 mol/L ! In generale,la separazione di carica elettrica e’ un processo molto co-stoso dal punto di vista energetico e quindi e’ sufficienteche si crei una separazione di carica piccolissima affinche’un sistema elettrodico raggiunga l’equilibrio.

14. Abbiamo discusso il caso di un elettrodo ad Ag+/Ag,ma gli stessi argomenti si applicano in modo identico aqualsiasi altro sistema elettrodico. Provate a descrivere dasoli cio’ che accade quando si immerge un filo di Pt inuna soluzione contenente concentrazioni date di ioni Fe2+

e Fe3+. L’unica variante, in questo caso, e’ che nessuno dei

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due membri della coppia redox si deposita sull’elettrodo,il cui unico scopo e’ quello di fornire elettroni alla formaossidata o accettarne dalla forma ridotta:

Fe3+ + e = Fe2+

Fe2+ = Fe3+ + e

Analogamente all’esempio precedente, la riduzione ten-de ad accumulare carica positiva sul metallo (carica nega-tiva in soluzione), a diminuire la concentrazione di ioniFe3+ e ad aumentare quella degli ioni Fe2+; l’ossidazionetende invece a fare esattamente il contrario. Inizialmentela velocita’ dei due processi sara’ diversa e quindi. . .

A beneficio di coloro che si trovano a proprio agio piu’con i numeri che con le parole, nell’appendice A e’ svilup-pato un semplicissimo modello che descrive matematica-mente il raggiungimento dell’equilibrio di una semireazionee il concomitante instaurarsi del potenziale elettrodico.

1.2.1 Il caso di due o piu’ coppie redox

15. Una semplice estensione di quanto detto nella sezioneprecedente e’ il caso in cui una semicella contenga nonuna, ma due o piu’ coppie redox. Va detto che questa e’la norma, piuttosto che un’eccezione; basti pensare che in

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una soluzione acquosa ci sono sempre almeno due coppieredox che coinvolgono l’acqua:

coppia redox semireazioneH2O/H2 2H2O + 2e = H2(g) + 2OH−

O2/H2O O2 + 4e+ 4H+ = 2H2O

Siccome ci servira’ nel seguito, analizziamo un po’ indettaglio questa situazione; come vedrete, pero’, non cisara’ bisogno di introdurre alcun concetto nuovo.

16. Tanto per fissare le idee, consideriamo una semicellacostituita da un filo di Pt immerso in una soluzione conte-nente le due coppie redox Fe3+/Fe2+ e Sn4+/Sn2+. Comevisto nella sezione precedente, i membri di ciascuna coppiascambiano elettroni con il metallo inerte, interconverten-dosi e generando una separazione di carica fra metallo esoluzione:

Fe3+ + e = Fe2+

Sn4+ + 2e = Sn2+

L’aspetto addizionale da considerare in questo caso e’che i membri delle due coppie redox possono scambiareelettroni anche direttamente fra di loro, senza l’“intermediazione”del metallo inerte; in pratica, la forma ossidata di una cop-pia puo’ acquistare elettroni dalla forma ridotta dell’altra

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coppia e viceversa, in un processo che chiamiamo reazio-

ne redox (notate che qui usiamo il termine “reazione” enon “semireazione”):

2Fe3+ + Sn2+ = 2Fe2+ + Sn4+

17. Quindi, in questo caso, ci sono tre processi che avven-gono contemporaneamente (le due semireazioni elettro-diche e la reazione redox). Ciascun processo puo’ avvenirein due direzioni opposte e ciascuna direzione tende a pro-durre una separazione di carica di un certo tipo fra metal-lo e soluzione (la situazione e’ graficamente schematizzatanella figura 1.4). Per ciascuna delle due semireazioni elet-trodiche, come abbiamo gia’ visto, il verso della riduzionetende a localizzare un eccesso di carica positiva sul metalloe un corrispondente eccesso di carica negativa nella solu-zione; il verso dell’ossidazione tende a fare esattamente ilcontrario.

18. La reazione redox coinvolgente le due coppie in solu-

zione non modifica direttamente la separazione di caricametallo-soluzione; tuttavia, siccome fa variare le concen-trazioni di Fe3+, Fe2+, Sn4+ e Sn2+, influisce sulla ve-locita’ delle semireazioni elettrodiche (punto 10) e quindiinfluenza anch’essa indirettamente la separazione di caricametallo-soluzione.

Quindi, ciascuno dei tre processi influenza la separazio-ne di carica metallo-soluzione e, a sua volta, come abbiamo

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++

Fe2+Fe2+

Fe3+

Fe3+

Sn2+

Sn2+

Sn2+

Sn4+

Sn4+

Sn4+

e

e

2e

2e

fase metallica soluzione

2Fe2+2Fe3+

Figura 1.4: Schematica rappresentazione dei vari proces-si che avvengono in una semicella contenente le due cop-pie redox Fe3+/Fe2+ e Sn4+/Sn2+. All’interfaccia me-tallo/soluzione avvengono contemporaneamente i seguen-ti processi (dall’alto verso il basso): Fe3+ + e → Fe2+;Fe2+ → Fe3++e; Sn4++2e→ Sn2+ e Sn2+ → Sn4++2e.In soluzione, avvengono i seguenti processi (parte de-stra della figura): 2Fe3+ + Sn2+ → 2Fe2+ + Sn4+ e2Fe2+ + Sn4+ → 2Fe3+ + Sn2+.

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visto in dettaglio nella sezione precedente, la separazionedi carica ha un effetto sulla velocita’ relativa di ogni singoloverso in cui ciascuno dei tre processi puo’ avvenire.

19. La cosa essenziale da realizzare e’ che tutti i processiin gioco “vedono” la medesima separazione di carica (chee’ dovuta semplicemente all’eccesso o difetto di elettroniche si viene a stabilire sul filo di Pt, indipendentementedal contributo dovuto a ogni singolo processo): dovreb-be a questo punto essere chiaro che, quando l’intero si-stema della semicella raggiunge l’equilibrio, ciascuno deitre processi sara’ all’equilibrio separatamente (cioe’ la ve-locita’ dei due versi di ciascun processo sara’ la stessa) ela separazione di carica metallo-soluzione (cioe’, in ultimaanalisi, il potenziale elettrodico), sara’ tale da soddisfa-

re contemporaneamente la condizione di equilibrio

per ciascun singolo processo.

20. Quanto visto in questo caso particolare di due solecoppie redox ha validita’ completamente generale: in unsistema elettrodico puo’ essere presente un numero qual-siasi di coppie redox; ci sara’ un corrispondente numerodi semireazioni elettrodiche (in cui i membri di ciascunacoppia redox scambiano elettroni con il metallo della se-micella) e di reazioni redox (in cui la forma ossidata di unacerta coppia acquista elettroni dalla forma ridotta di un’al-tra coppia e viceversa). Tutti questi processi sono fra lorocollegati nel senso che ciascuno influisce sugli altri e daglialtri e’ influenzato e questa influenza reciproca avviene a

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causa della separazione di carica fra metallo e soluzione.L’intero sistema elettrodico raggiunge una condizione diequilibrio in cui ogni singolo processo si trova in uno sta-to di equilibrio dinamico: in tali condizioni, il potenzialeelettrodico sara’ necessariamente tale da soddisfare con-

temporaneamente la condizione di equilibrio per tuttele semireazioni elettrodiche e le reazioni redox presenti insoluzione.

21. La situazione e’ perfettamente analoga al caso di piu’equilibri simultanei in soluzione: se una specie chimica e’coinvolta in piu’ reazioni, la sua concentrazione finale diequilibrio dovra’ essere necessariamente tale da soddisfaresimultaneamente tutte le leggi dell’azione di massa relativea tutte le reazioni a cui partecipa.

1.3 La legge di Nernst

22. Dovrebbe a questo punto essere chiaro che gli “ingre-dienti” dell’equilibrio in un sistema elettrodico sono le con-centrazioni dei partecipanti alla semireazione elettrodica e

il potenziale elettrodico. Come per le reazioni chimiche insoluzione esiste una relazione che lega le concentrazioni diequilibrio dei partecipanti, cosi’ per un sistema elettrodi-co esiste una relazione che lega fra loro le concentrazionidi equilibrio e il potenziale elettrodico: tale relazione sichiama legge di Nernst. Per una generica semireazione:

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aA + bB + cC + · · ·+ ne = xX + yY + zZ + · · ·

essa assume la forma:

E = E◦ +RT

nFln

[A]a[B]b[C]c · · ·

[X ]x[Y ]y[Z]z · · ·(1.1)

E e’ il potenziale elettrodico, cioe’, ripetiamolo, la dif-ferenza di potenziale elettrico che si e’ instaurata fra ilmetallo e la soluzione che costituiscono il sistema elettro-dico quando tutte le reazioni elettrodiche e/o le reazioniredox in soluzione hanno raggiunto l’equilibrio, R e’ la co-stante universale dei gas, F e’ la costante di Faraday (lacarica in Coulomb posseduta da una mole di elettroni),T e’ la temperatura assoluta e il termine logaritmico con-tiene le concentrazioni (rigorosamente: le attivita’) dellespecie partecipanti, ciascuna elevata al proprio coefficien-te stechiometrico: al numeratore compaiono le specie chestanno dalla parte della forma ossidata, al denominato-re quelle che stanno dalla parte della forma ridotta nellasemireazione.

23. La legge di Nernst e’ l’equivalente della legge dell’a-zione di massa per le reazioni in soluzione: oltre alle con-centrazioni di equilibrio, vi compare anche il potenzialeelettrodico, che per i sistemi elettrodici e’ una grandezza

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fisica addizionale che deve essere considerata come fattoredeterminante dello stato di equilibrio.

24. Analogamente a quanto avviene per la legge dell’azio-ne di massa, anche nell’equazione di Nernst ciascun termi-ne di concentrazione e’ in realta’ un rapporto adimensiona-le fra la concentrazione di una data specie e la sua concen-trazione in uno stato di riferimento, secondo la seguentetabella:

stato di aggregazione stato di riferimentosoluti in fase liquida soluzione ideale a concentrazione

1 mol/Lgas gas ideale alla pressione di 1 barsolidi/liquidi puri solidi/liquidi puri alla pressione di

1 bar

Siccome per i soluti e i gas la concentrazione/pressionedi riferimento e’ unitaria, il valore del rapporto che compa-re nella legge di Nernst e’ numericamente uguale alla con-centrazione/pressione misurabile per il dato componente.Nel caso di solidi o liquidi puri il rapporto adimensionalee’ rigorosamente unitario se la pressione e’ di 1 bar ed e’vicinissimo all’unita’ in un vasto range di pressioni (poiche’le variazioni di pressione non hanno una grande influenzasulle fasi condensate).

25. E◦ si chiama potenziale standard e dall’espressio-ne 1.1 si vede che rappresenta la differenza di potenziale

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fra metallo e soluzione quando la concentrazione di tut-te le specie che partecipano alla semireazione e’ unitaria.E◦ non dipende quindi dalla concentrazione, ma solo dal-la particolare coppia redox considerata. Ogni coppia re-dox ha un valore di E◦ che la caratterizza: molto spes-so, per indicare il potenziale standard di una particola-re coppia redox, si usa il simbolo E◦ con il simbolo del-la coppia redox come indice. Ad esempio, per indicare ilpotenziale standard della coppia redox Fe3+/Fe2+ si scri-vera’: E◦

Fe3+/Fe2+ ; oppure, per una generica coppia redoxOx/Rid: E◦

Ox/Rid.

Vale la pena di sottolineare che la legge di Nernst e’una relazione termodinamica che vale esclusivamente incondizioni di equilibrio e quindi le concentrazioni che inessa compaiono devono essere quelle corrispondenti a unacondizione di equilibrio.

L’equazione di Nernst rappresenta il fondamento del-le applicazioni analitiche della potenziometria: in ultimaanalisi, essa consente di risalire dal potenziale elettrodico

alla concentrazione in soluzione.

26. A titolo di esempio, scriviamo la legge di Nernst peralcuni sistemi elettrodici.

• In un sistema elettrodico all’equilibrio costituito daun filo di Pt immerso in una soluzione di ioni Fe2+

e Fe3+ la semireazione:

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Fe3+ + e = Fe2+

e’ all’equilibrio. In tali condizioni, il potenziale elet-trodico e’ legato alla concentrazione dei due ioni insoluzione da:

E = E◦

Fe3+/Fe2+ +RT

Fln

[Fe3+]

[Fe2+]

• Come per la legge dell’azione di massa, ed esatta-mente per gli stessi motivi, anche nell’equazione diNernst non compaiono le concentrazioni di solidi, li-quidi puri o la concentrazione del solvente in solu-zioni diluite. Un esempio di questo tipo e’ costituitodall’elettrodo Ag+/Ag, in cui la reazione elettrodicae’:

Ag+ + e = Ag

In condizioni di equilibrio, il potenziale elettrodico e’dato da:

E = E◦

Ag+/Ag +RT

Fln [Ag+]

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• Per un elettrodo costituito da un filo di Pt immersoin una soluzione contenente la coppia redox Cr2O

2−7 /Cr3+

in condizioni di equilibrio:

Cr2O2−7 + 14H+ + 6e = 2Cr3+ + 7H2O

la legge di Nernst si scrive nel modo seguente:

E = E◦

Cr2O2−7 /Cr3+

+RT

6Fln

[

Cr2O2−7

]

[H+]14

[Cr3+]2

Se la soluzione non e’ molto concentrata, si puo’ assu-mere che l’acqua (il solvente) sia praticamente in unostato coincidente con quello di riferimento (acqua pu-ra alla pressione di 1 bar, punto 22) e quindi il termi-ne ad essa relativo e’ (con buona approssimazione)unitario.

• Per un elettrodo ad AgCl/Ag, caratterizzato, comeabbiamo gia’ visto, dalla semireazione:

AgCl + e = Ag + Cl−

la legge di Nernst si scrive cosi’:

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E = E◦

AgCl/Ag +RT

Fln

1

[Cl−]

= E◦

AgCl/Ag −RT

Fln[

Cl−]

Osserviamo che, siccome AgCl e Ag sono solidi, ilpotenziale elettrodico viene a dipendere unicamentedalla concentrazione di ioni Cl− in soluzione.

• Analogamente alla legge dell’azione di massa, anchenella legge di Nernst se una specie in soluzione si tro-va in equilibrio con una fase gassosa, la sua concen-trazione e’ sostituita dalla pressione parziale nella fa-se gassosa. E’ questo il caso dell’elettrodo a idrogeno,in cui si ha:

2H+ + 2e = H2

e quindi:

E = E◦

H+/H2+

RT

2Fln

[H+]2

pH2

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1.4 Potenziali standard e costante

di equilibrio

27. Nella sezione 1.2.1 abbiamo visto che, se una semi-cella contiene piu’ coppie redox, il potenziale elettrodicodi equilibrio sara’ necessariamente tale da soddisfare con-temporaneamente le condizioni di equilibrio per tutte lesemireazioni relative a tutte le coppie redox presenti.

Ora possiamo enunciare questa affermazione in termi-ni piu’ quantitativi: in una semicella all’equilibrio, il po-tenziale elettrodico E sara’ tale da soddisfare contempo-raneamente la legge di Nernst per tutte le coppie redoxpresenti.

28. Facciamo subito un esempio per chiarire. Conside-riamo una semicella in condizioni di equilibrio contenenteioni Fe2+, Fe3+, Sn2+ e Sn4+ in concentrazione (di equi-librio) pari a [Fe2+], [Fe3+], [Sn2+] e [Sn4+], rispettiva-mente. Siamo quindi in presenza delle due coppie redoxFe3+/Fe2+ e Sn4+/Sn2+, le cui semireazioni elettrodichesono:

Fe3+ + e = Fe2+

Sn4+ + 2e = Sn2+

Ciascuna coppia e’ caratterizzata dal proprio poten-

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ziale standard: E◦

Fe3+/Fe2+e E◦

Sn4+/Sn2+ . Ebbene, siccomela semicella ha raggiunto le condizioni di equilibrio, il po-tenziale elettrodico E soddisfera’ contemporaneamente en-trambe le espressioni della legge di Nernst per le due coppieredox:

E = E◦

Fe3+/Fe2+ +RT

Fln

[Fe3+]

[Fe2+]

E = E◦

Sn4+/Sn2+ +RT

2Fln

[Sn4+]

[Sn2+]

1.4.1 Costanti di equilibrio per reazioni

redox

29. Quanto appena detto ci consente di ricavare immedia-tamente una importantissima relazione che lega la costantedi equilibrio di una reazione redox ai potenziali standarddelle due coppie redox che la costituiscono.

Come accennato al punto 16, una reazione redox e’ sem-pre scomponibile in due semireazioni che avvengono in ver-si opposti: una procede nel verso della riduzione e l’altrain quello dell’ossidazione. Ciascuna semireazione coinvolgeuna coppia redox: nella reazione redox completa, la formaossidata di una coppia redox acquista elettroni dalla for-ma ridotta dell’altra coppia; si produce cosi’ la forma ri-

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dotta della prima coppia e la forma ossidata della secondacoppia:

+=+Ox1 Rid1 Ox2Rid2

coppia Ox1/Rid1

coppia Ox2/Rid2

Restiamo nell’esempio delle due coppie Fe3+/Fe2+ eSn4+/Sn2+. In questo caso, la reazione redox completa (ebilanciata) e’:

2Fe3+ + Sn2+ = 2Fe2+ + Sn4+

Ci proponiamo di ricavare la costante di equilibrio del-la reazione redox dai potenziali standard delle due coppieredox coinvolte.

All’equilibrio il potenziale elettrodico soddisfa contem-poraneamente entrambe le espressioni della legge di Nern-st. Quindi possiamo uguagliare i due secondi membri dellerelazioni scritte prima ottenendo:

E◦

Fe3+/Fe2+ +RT

Fln

[Fe3+]

[Fe2+]= E◦

Sn4+/Sn2+ +RT

2Fln

[Sn4+]

[Sn2+]

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Ora facciamo qualche passaggio algebrico per raggrup-pare i termini di concentrazione.

Moltiplichiamo ambo i membri per 2:

2E◦

Fe3+/Fe2++2RT

Fln

[Fe3+]

[Fe2+]= 2E◦

Sn4+/Sn2++RT

Fln

[Sn4+]

[Sn2+]

Per il termine contenente le concentrazioni degli ioniFe, sfruttiamo la proprieta’ dei logaritmi per cui: a ln b =ln ba:

2E◦

Fe3+/Fe2++RT

Fln

[Fe3+]2

[Fe2+]2= 2E◦

Sn4+/Sn2++RT

Fln

[Sn4+]

[Sn2+]

Sottraiamo 2E◦

Sn4+/Sn2+ e RTF

ln[Fe3+]

2

[Fe2+]2da entrambi i

membri:

2E◦

Fe3+/Fe2+−2E◦

Sn4+/Sn2+ =RT

Fln

[Sn4+]

[Sn2+]−RT

Fln

[Fe3+]2

[Fe2+]2

Sfruttiamo la proprieta’ dei logaritmi per cui: ln a −ln b = ln a

b:

RT

Fln

[Sn4+] [Fe2+]2

[Sn2+] [Fe3+]2= 2E◦

Fe3+/Fe2+ − 2E◦

Sn4+/Sn2+

Infine, raccogliamo il 2 a fattor comune al secondomembro e moltiplichiamo ambo i membri per F

RT:

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ln[Sn4+] [Fe2+]

2

[Sn2+] [Fe3+]2=

2F

RT

(

E◦

Fe3+/Fe2+ −E◦

Sn4+/Sn2+

)

Ora, siccome le concentrazioni sono quelle di equili-brio, l’argomento del logaritmo e’ proprio la costante diequilibrio K per la reazione redox:

2Fe3+ + Sn2+ K= 2Fe2+ + Sn4+

Quindi, introducendo il simbolo K e prendendo l’espo-nenziale di ambo i membri arriviamo a:

K = exp{2F

RT

(

E◦

Fe3+/Fe2+ − E◦

Sn4+/Sn2+

)}

che lega la costante di equilibrio di una reazione redox aipotenziali elettrodici standard delle due coppie coinvolte.

Se eleviamo ambo i membri a −1, otteniamo:

1

K=

(

exp{2F

RT

(

E◦

Fe3+/Fe2+ − E◦

Sn4+/Sn2+

)})−1

K ′ = exp{2F

RT

(

E◦

Sn4+/Sn2+ −E◦

Fe3+/Fe2+

)}

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dove, ovviamente, K ′ e’ la costante di equilibrio della rea-zione inversa:

2Fe2+ + Sn4+ K ′

= 2Fe3+ + Sn2+

30. Il risultato ottenuto e’ di validita’ completamente ge-nerale. Date due coppie redox qualsiasi Ox1/Rid1 e Ox2/Rid2

con potenziali standard E◦

Ox1/Rid1e E◦

Ox2/Rid2, e’ sempre

possibile scrivere una reazione redox basata su di esse: laforma ossidata di una coppia acquista elettroni dalla for-ma ridotta dell’altra coppia; i prodotti saranno la formaridotta della prima coppia e la forma ossidata della secondacoppia (chiaramente si dovra’ bilanciare l’equazione in mo-do tale che il numero di elettroni acquistati dall’ossidantee ceduti dal riducente sia lo stesso). Quindi:

Ox1 + Rid2 = Rid1 +Ox2 (1.2)

Ebbene, generalizzando le espressioni viste prima perle due coppie Fe3+/Fe2+ e Sn4+/Sn2+, la costante diequilibrio per la reazione redox e’ data da:

K = exp{nF

RT

(

E◦

Ox1/Rid1 − E◦

Ox2/Rid2

)}

(1.3)

dove n e’ il numero di elettroni scambiati fra ossidante eriducente (era n = 2 nel caso specifico visto prima) e ladifferenza fra i potenziali standard va presa come:

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potenziale standard della coppia che si riduce

meno

potenziale standard della coppia che si ossida

nel verso diretto dell’equazione cosi’ come e’ stata scritta.

Puo’ sembrare complicato, ma non lo e’ davvero. Ri-guardate l’equazione 1.2: il verso diretto e’ ovviamentequello che va da sinistra verso destra. In tale verso, lacoppia redox che si riduce e’ la coppia Ox1/Rid1, perche’Ox1 acquista elettroni e si riduce a Rid1 e, ovviamente,la coppia che si ossida e’ Ox2/Rid2. Quindi, la differenzadei potenziali redox da mettere al secondo membro dellaequazione 1.3 va presa come mostrato.

Se scriviamo la stessa reazione redox nel verso opposto:

Rid1 +Ox2 = Ox1 + Rid2

la coppia che si riduce (nel verso diretto dell’equazione cosi’come e’ scritta ora) e’ la coppia Ox2/Rid2 e quella che siossida e’ la coppia Ox1/Rid1. Quindi la relazione fra lacostante di equilibrio K ′ e i potenziali standard va scrittanel modo seguente:

K ′ = exp{nF

RT

(

E◦

Ox2/Rid2 − E◦

Ox1/Rid1

)}

(1.4)

Ovviamente, e’ immediato verificare che:

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K ′ =1

K

come deve essere.

1.4.2 Costanti di equilibrio per reazioni

non redox

31. In molti casi la condizione di equilibrio per un siste-ma elettrodico consente di ricavare relazioni fra potenzialistandard e costanti di equilibrio di reazioni non redox. Ingenerale cio’ avviene quando una specie chimica e’ contem-poraneamente coinvolta nella semireazione elettrodica e inuna o piu’ reazioni in soluzione.

32. Chiariamo subito con un esempio. Consideriamo unsistema elettrodico costituito da un filo di argento rico-perto di AgCl e immerso in una soluzione contenente unacerta concentrazione di ioni cloruro: si tratta dell’elettrododescritto al punto 3.

La semireazione elettrodica e’:

AgCl(s) + e = Ag(s) + Cl−

e il potenziale elettrodico e’ dato da:

E = E◦

AgCl/Ag +RT

Fln

1

[Cl−]

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Tuttavia, in un sistema come quello descritto, deve es-serci anche una certa concentrazione di equilibrio di ioniAg+, dovuta alla ionizzazione del cloruro d’argento:

AgCl(s)KSP= Ag+ + Cl−

Questo significa che nella semicella e’ presente anche lacoppia redox Ag+/Ag e quindi, all’equilibrio, deve valereanche:

Ag+ + e = Ag(s)

E = E◦

Ag/Ag +RT

Fln[

Ag+]

Uguagliando i due secondi membri si ha:

E◦

AgCl/Ag +RT

Fln

1

[Cl−]= E◦

Ag/Ag +RT

Fln[

Ag+]

RT

Fln[

Ag+]

−RT

Fln

1

[Cl−]= E◦

AgCl/Ag − E◦

Ag/Ag

RT

Fln[

Ag+]

+RT

Fln[

Cl−]

= E◦

AgCl/Ag − E◦

Ag/Ag

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RT

F

(

ln[

Ag+]

+ ln[

Cl−])

= E◦

AgCl/Ag −E◦

Ag/Ag

ln[

Ag+] [

Cl−]

=F

RT

(

E◦

AgCl/Ag − E◦

Ag/Ag

)

[

Ag+] [

Cl−]

= exp(

F

RT

(

E◦

AgCl/Ag −E◦

Ag/Ag

))

KSP = exp(

F

RT

(

E◦

AgCl/Ag − E◦

Ag/Ag

))

che fornisce una relazione fra i potenziali redox delle cop-pie AgCl/Ag e Ag+/Ag e il prodotto di solubilita’ per ladissoluzione del cloruro d’argento, una reazione non redox.

33. Osservate, tuttavia, che alla base di questa sezionee’ lo stesso concetto visto alla sezione precedente. Infat-ti, la dissoluzione del cloruro d’argento puo’ essere semprevista come la reazione redox fra le due coppie AgCl/Age Ag+/Ag, in cui la specie Ag(s) compare ad entrambi imembri dell’equazione chimica e viene percio’ “semplifica-ta”:

+=+ +AgCl(s) Ag(s) Ag+Ag(s) Cl−

coppia AgCl/Ag

coppia Ag+/Ag

AgCl(s) = Ag+ + Cl−

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34. Un’ultima osservazione. La relazione che lega i po-tenziali standard alle costanti di equilibrio puo’ essere an-che usata per ricavare il potenziale standard di una coppiaredox.

Consideriamo il seguente esempio.

Una semicella all’equilibrio e’ costituita da un filo d’ar-gento ricoperto di Ag2CrO4 immerso in una soluzione con-tenente ioni CrO2−

4 . Sapendo che il prodotto di solubilita’del cromato d’argento e’ KSP = 2.0× 10−12 e che il poten-ziale standard della coppia Ag+/Ag e’ E◦

Ag+/Ag = 0.799 V ,calcolare il potenziale standard della coppia Ag2CrO4/Ag.

Nella semicella in questione possiamo individuare al-meno due coppie redox: Ag2CrO4/Ag e Ag+/Ag. Quindiil potenziale elettrodico puo’ essere scritto in almeno duemodi equivalenti:

Ag2CrO4(s) + 2e = 2Ag(s) + CrO2−4

E = E◦

Ag2CrO4/Ag +RT

2Fln

1[

CrO2−4

]

Ag+ + e = Ag(s)

E = E◦

Ag+/Ag +RT

Fln[

Ag+]

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Le concentrazioni degli ioni CrO2−4 e Ag+ sono legate

dalla legge dell’azione di massa relativa alla dissoluzionedel sale poco solubile:

Ag2CrO4(s) = 2Ag+ + CrO2−4

KSP =[

Ag+]2 [

CrO2−4

]

Allora, utilizzando l’espressione del potenziale elettro-dico basata sulla coppia Ag+/Ag:

E = E◦

Ag+/Ag +RT

Fln[

Ag+]

= E◦

Ag+/Ag +RT

Fln

√√√√

KSP[

CrO2−4

]

= E◦

Ag+/Ag +RT

2Fln

KSP[

CrO2−4

]

= E◦

Ag+/Ag +RT

2FlnKSP −

RT

2Fln[

CrO2−4

]

= E◦

Ag+/Ag +RT

2FlnKSP +

RT

2Fln

1[

CrO2−4

]

da cui, per confronto con l’espressione del potenziale elet-trodico basata sulla coppia Ag2CrO4/Ag, si ricava:

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E◦

Ag2CrO4/Ag = E◦

Ag+/Ag +RT

2FlnKSP

= 0.799 +8.314× 298

2× 96485ln(

2.0× 10−12)

= 0.453 V

1.4.3 Il potenziale standard misura la ten-

denza alla riduzione

35. La relazione che lega la costante di equilibrio di unareazione redox ai potenziali elettrodici standard delle duecoppie redox coinvolte ci consente di ricavare un signifi-cato del potenziale elettrodico standard molto utile ai finipratici.

36. Come visto, per la generica reazione redox:

Ox1 + Rid2K= Rid1 +Ox2

vale:

K = exp{nF

RT

(

E◦

Ox1/Rid1 − E◦

Ox2/Rid2

)}

37. Da questa relazione si vede che la costante di equilibrioK per la reazione e’ tanto maggiore quanto maggiore e’E◦

Ox1/Rid1rispetto a E◦

Ox2/Rid2.

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Detto in altri termini, la tendenza termodinamica allariduzione di Ox1 (a spese di Rid2) sara’ tanto maggiorequanto maggiore e’ il potenziale elettrodico standard dellacoppia Ox1/Rid1 (rispetto a quello della coppia Ox2/Rid2).

Quindi: il valore numerico del potenziale standard diuna coppia redox e’ una misura della sua tendenza

a reagire nel verso della riduzione; tanto maggioree’ il potenziale standard della coppia e tanto maggioresara’ la tendenza termodinamica della forma ossidata adacquistare elettroni trasformandosi nella forma ridotta.

38. Esistono tabelle molto estese che riportano i potenzialistandard (che, per il motivo appena visto, vengono spessochiamati potenziali standard di riduzione) per moltis-sime coppie redox. Dai valori riportati e’ immediatamentepossibile avere un’idea circa il grado di spontaneita’ dellareazione redox fra due coppie qualsiasi.

Ad esempio, dalle tabelle si puo’ vedere che i potenzialistandard delle coppie MnO−

4 /Mn2+ e I2/I− sono:

E◦

MnO−

4 /Mn2+ 1.507 V

E◦

I2/I−0.620 V

da cui si deduce immediatamente che, dei due versi in cuisi puo’ scrivere la reazione redox fra le due coppie, quelloche vede la riduzione dello ione MnO−

4 (forma ossidatadella coppia MnO−

4 /Mn2+) a spese dello ione I− (formaridotta della coppia I2/I

−) e’ il verso termodinamicamentefavorito:

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2MnO−

4 + 16H+ + 10I− = 2Mn2+ + 5I2 + 8H2O

La costante di equilibrio per la reazione a 25 C e’:

K =[Mn2+]

2[I2]

5

[

MnO−

4

]2[H+]16 [I−]10

= exp{nF

RT

(

E◦

MnO−

4 /Mn2+ −E◦

I2/I−

)}

= exp(

10× 96485

8.314× 298.15(1.507− 0.620)

)

= 8.75× 10149

Notate come, a causa della funzione esponenziale, ap-parentemente piccole differenze nei potenziali standard (inquesto caso 1.507 − 0.620 = 0.887 V ) determinino valorienormi (o piccolissimi, se le differenze sono negative) dellecorrispondenti costanti di equilibrio.

1.5 Misura dei potenziali elettro-

dici ed elettrodi di riferimento

39. Consideriamo un elettrodo ad Ag+/Ag, il cui poten-ziale elettrodico di equilibrio e’ dato da:

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Ag+ + e = Ag

E = E◦

Ag+/Ag +RT

Fln[

Ag+]

Questa espressione puo’ essere facilmente posta nella for-ma:

[

Ag+]

= exp(

F

RT

(

E −E◦

Ag+/Ag

))

il che suggerirebbe un impiego immediato di questo elet-trodo per la determinazione della concentrazione di ioniAg+ in una soluzione: immergiamo nella soluzione da ana-lizzare un filo di Ag, misuriamo E e T , i valori di E◦

Ag+/Ag,R e F sono tabulati e quindi ricaviamo la concentrazioneincognita di ioni argento.

Purtroppo, la semplice procedura descritta non e’ pos-sibile perche’ la misura diretta del potenziale elettrodico diun singolo elettrodo non e’ sperimentalmente accessibile.

Esistono argomenti rigorosi che dimostrano quanto det-to, ma questi vanno oltre il livello a cui vogliamo mante-nerci. Tuttavia, possiamo convincerci ugualmente benedell’impossibilita’ di misurare un singolo potenziale elet-trodico immaginando un semplice esperimento.

40. Una differenza di potenziale elettrico si misura con unostrumento detto voltmetro (o potenziometro). Esso

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e’ costituito da una “scatola nera” (il cui funzionamentonon ci interessa) da cui escono due cavi che terminanocon dei puntali metallici contrassegnati generalmente coni simboli ⊕ e ⊖ (generalmente, il cavo del puntale ⊕ e’ dicolore rosso, mentre quello del puntale ⊖ e’ di colore nero).Ponendo in contatto i puntali con due punti di un circuitoelettrico, lo strumento fornisce la differenza di potenzialefra i due punti. Tale differenza e’ letta dallo strumentocome:

ddp =potenziale del punto incontatto col puntale ⊕

−potenziale del punto incontatto col puntale ⊖

(quindi, scambiando i due puntali, si ottiene lo stesso va-lore della differenza di potenziale, ma cambiato di segno)

Immaginiamo allora di voler misurare il potenziale elet-trodico di una semicella ad Ag+/Ag con un voltmetro (fi-gura 1.5). Ricordiamo che, per definizione, il potenzialeelettrodico di questa semicella e’ la differenza di potenzia-le fra il filo di argento e la soluzione. Quindi, per misurarequesta differenza di potenziale con il voltmetro, dovremmotoccare il filo metallico con il puntale ⊕ e la soluzione conquello ⊖.

Ma, quando immergiamo il puntale ⊖ del voltmetronella soluzione, si realizza inevitabilmente una seconda se-micella, in cui la parte metallica (il conduttore elettronico)e’ il puntale del voltmetro e la soluzione e’ la stessa dellasemicella Ag+/Ag. Ne segue che il voltmetro non misu-

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Ag

Ag+

M

M

Figura 1.5: Il tentativo di misurare un singolo potenzialeelettrodico con un voltmetro: i diversi toni di grigio o coloriindicano le parti del circuito in cui il potenziale elettricoe’ costante.

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rera’ il potenziale elettrodico della semicella Ag+/Ag, maquello della cella elettrochimica costituita dall’accop-piamento della semicella Ag+/Ag con la semicella ottenutaall’atto dell’immersione del puntale ⊖ del voltmetro nellasoluzione.

E’ importante comprendere bene che cosa misura ilvoltmetro in questo esperimento. A tale scopo dobbiamoconoscere alcune semplici proprieta’ del potenziale elettri-co. La prima e’ che il potenziale elettrico in tutti i puntidi un conduttore metallico o di una soluzione si puo’ con-siderare con buona approssimazione costante; la secondae’ che la differenza di potenziale fra due punti di un qual-siasi circuito elettrico e’ sempre esprimibile come sommaalgebrica delle differenze di potenziale “parziali” incontra-te lungo il percorso fra i due punti in questione (una diffe-renza di potenziale e’ come il dislivello totale di una mon-tagna, che puo’ essere espresso come somma algebrica ditutti i dislivelli parziali che si incontrano lungo il percorsoper raggiungere la vetta).

Il puntale ⊕ del voltmetro in contatto con il filo diargento rappresenta un unico conduttore metallico il cuipotenziale elettrico avra’ lo stesso valore in tutti i punti(diciamo che il volume di questo conduttore e’ equipoten-ziale): chiamiamo E(Ag) tale potenziale elettrico; il pun-tale ⊖ del voltmetro costituisce un secondo conduttore me-tallico equipotenziale: indichiamo con E(M) il valore delsuo potenziale (M sta ad indicare il metallo di cui e’ fat-

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to il puntale); chiaramente, E(Ag) ed E(M) sono diversie il display del voltmetro fornisce proprio la loro differen-za: E(Ag) − E(M). Il significato di questa differenza sipuo’ comprendere se la decomponiamo nei contributi par-ziali che si incontrano andando dal puntale ⊕ al puntale⊖. Con riferimento alla figura 1.5, se partiamo dal puntale⊕ e ci muoviamo all’interno di esso o del filo di argento, ilpotenziale e’ sempre lo stesso; quando passiamo dal filo diargento alla soluzione, incontriamo una prima differenzadi potenziale: indicando con E(S) il potenziale (comunea tutti i punti) della soluzione, questa prima differenza dipotenziale e’ ∆E1 = E(Ag) − E(S). Una volta nella so-luzione, il potenziale rimane costante finche’ passiamo nelpuntale ⊖: in questo passaggio registreremo una differenzadi potenziale data da ∆E2 = E(S)− E(M). Il puntale ⊖e’ equipotenziale e quindi non ci sono altri contributi alladifferenza di potenziale totale che il voltmetro misura.

In sostanza, indicando con ddp la differenza di poten-ziale totale misurata dal voltmetro, si ha (in base alla se-conda proprieta’ del potenziale elettrico prima accennata):

ddp = ∆E1 +∆E2

= E(Ag)−E(S) + E(S)− E(M)

= E(Ag)−E(S)− [E(M)−E(S)]

Vediamo quindi che il voltmetro misura la differenza fra

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i due termini (E(Ag)− E(S)) e (E(M) − E(S)). In basealla definizione che abbiamo dato di potenziale elettrodi-co (punto 4), riconosciamo nel termine (E(Ag)− E(S)) ilpotenziale elettrodico del sistema Ag+/Ag; analogamente,il termine (E(M) − E(S)) rappresenta il potenziale elet-trodico dell’elettrodo costituito dal metallo M immerso inuna soluzione contenente ioni Ag+ (non e’ banale, ne’ im-portante ai fini della discussione, sapere qual’e’ la reazioneelettrodica (o le reazioni elettrodiche) che caratterizza(no)questo secondo elettrodo). Se indichiamo questi due poten-ziali elettrodici con la notazione usuale EAg+/Ag e EM/Ag+ ,otteniamo:

ddp = EAg+/Ag − EM/Ag+

Questo risultato e’ molto importante perche’ ci mostrache, mentre un singolo potenziale elettrodico non si puo’misurare, e’ possibile misurare la differenza fra due poten-

ziali elettrodici di due semicelle accoppiate a formare una

cella elettrochimica.

41. In generale, una cella elettrochimica e’ costituita dadue semicelle, ciascuna caratterizzata da una coppia re-dox ben definita (figura 1.6). Ad esempio, potremmo ac-coppiare una semicella ad Ag+/Ag con una semicella aFe3+/Fe2+, oppure un elettrodo a Cu2+/Cu con uno aZn2+/Zn. In ogni caso, la differenza di potenziale che simisura con un voltmetro toccando con i puntali i due me-

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⊕ ⊖

Oss1/Rid1 Oss2/Rid2

voltmetro

ponte salino

Figura 1.6: Una generica cella elettrochimica.

talli delle semicelle e’ uguale (a meno di una piccola com-plicazione che tratteremo fra breve) alla differenza fra i duepotenziali elettrodici (potenziale elettrodico della semicel-la in contatto col puntale ⊕ meno potenziale elettrodicodella semicella in contatto col puntale ⊖).

Se indichiamo con EOss1/Rid1 il potenziale elettrodicodella semicella collegata al puntale ⊕ del voltmetro (e ca-ratterizzata dalla coppia redox Oss1/Rid1) e con EOss2/Rid2

quello della seconda semicella (in cui reagisce la coppiaredox Oss2/Rid2) (figura 1.6), allora si ha:

ddp = EOss1/Rid1 − EOss2/Rid2

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42. Siccome un singolo potenziale elettrodico non e’ mi-surabile, si e’ convenuto di scegliere una semicella come ri-ferimento e di esprimere poi il potenziale di qualsiasi altroelettrodo relativamente al riferimento.

La semicella di riferimento e’ l’elettrodo standard aidrogeno (SHE: Standard Hydrogen Electrode). Abbiamogia’ visto come e’ costituito un elettrodo a idrogeno (pun-to 26): nell’elettrodo standard a idrogeno la concentrazionedi ioni idrogeno nella soluzione e la pressione parziale diidrogeno su di essa sono unitarie. In tal modo, dall’equa-zione di Nernst, il potenziale elettrodico di questa semi-cella coincide con il suo potenziale standard (punto 22).Il fatto essenziale e’ che il potenziale dell’SHE e’ costante(perche’ la concentrazione degli ioni idrogeno e la pressioneparziale dell’idrogeno gassoso sopra la soluzione sono fis-sate). Allora, per assegnare il potenziale a qualsiasi altroelettrodo relativamente all’SHE, si costruisce una cella incui l’elettrodo in questione viene accoppiato con un SHE(figura 1.7): con un voltmetro si misura la differenza dipotenziale fra l’elettrodo di cui si vuole conoscere il poten-ziale relativo e il filo di Pt dell’SHE; come abbiamo appenavisto, la differenza di potenziale misurata e’:

ddp = EOss1/Rid1 − ESHE

Ebbene, la differenza di potenziale misurata dal volt-metro definisce il potenziale elettrodico relativo della se-micella considerata rispetto all’SHE.

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Quindi, il potenziale elettrodico relativo si chiama cosi’perche’ e’ definito come differenza fra il potenziale elettro-dico “assoluto” di una data semicella e il potenziale elet-trodico “assoluto” di una semicella presa come riferimento(l’elettrodo standard a idrogeno).

43. Osservate che avere scelto l’SHE come semicella di ri-ferimento equivale ad assegnare il valore di 0.00 V al suopotenziale elettrodico relativo. Infatti, il potenziale elet-trodico relativo dell’SHE e’, per definizione, la differenzadi potenziale misurata con un voltmetro in una cella costi-tuita da una semicella SHE accoppiata con la semicella diriferimento, che e’ una semicella SHE identica alla prima.Quindi:

ddp = ESHE − ESHE

= 0.00 V

44. Chiaramente, se in una semicella accoppiata con l’SHEla concentrazione di tutte le specie partecipanti alla semi-reazione redox e’ unitaria, la differenza di potenziale mi-surata con il voltmetro coincide con il potenziale standard

relativo della semicella (punto 25).

45. Il fatto di poter definire solo potenziali elettrodici rela-tivi non rappresenta un problema. Infatti, in primo luogo,la differenza fra due potenziali elettrodici relativi e’ ugualealla differenza fra i loro valori “assoluti”. Cio’ segue imme-diatamente dalla definizione di potenziale relativo che ab-

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replacements⊕ ⊖

Oss1/Rid1

pH2 = 1.0 atm

[H+] = 1.0 mol/l

P t

voltmetro

Figura 1.7:

biamo dato: se indichiamo con EOss1/Rid1e EOss2/Rid2

i po-tenziali elettrodici “assoluti” di due coppie redox qualsiasi,allora si ha:

potenziali “assoluti”︷ ︸︸ ︷

EOss1/Rid1 − EOss2/Rid2 =EOss1/Rid1 − EOss2/Rid2 + ESHE −ESHE =(

EOss1/Rid1 −ESHE

)

−(

EOss2/Rid2 − ESHE

)

︸ ︷︷ ︸

potenziali relativi

Inoltre l’equazione di Nernst mantiene inalterata la suaforma se invece del potenziale “assoluto” si usa quello re-lativo. Se indichiamo con l’indice ass i valori “assoluti” econ l’indice rel quelli relativi, allora, prendendo l’esempio

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della coppia Fe3+/Fe2+, si ha:

Eass = E◦

Fe3+/Fe2+,ass +RT

Fln

[Fe3+]

[Fe2+]

Eass −ESHE = E◦

Fe3+/Fe2+,ass − ESHE +RT

Fln

[Fe3+]

[Fe2+]

Erel = E◦

Fe3+/Fe2+,rel +RT

Fln

[Fe3+]

[Fe2+]

Apparentemente, quindi, il potenziale elettrodico checompare nella legge di Nernst puo’ essere pensato indif-ferentemente come relativo (definito rispetto all’SHE) o“assoluto” (non misurabile).

46. La scelta dell’SHE come elettrodo di riferimento, puressendo quella internazionalmente riconosciuta, non e’ si-curamente l’unica possibile ne’ la piu’ conveniente: qual-siasi semicella il cui potenziale elettrodico sia costante eriproducibile puo’ servire da riferimento. Naturalmente, ilvalore numerico di un potenziale relativo cambia al variaredell’elettrodo di riferimento: tuttavia, e’ sempre possibileconvertire un potenziale elettrodico misurato rispetto adun riferimento diverso dall’SHE nel corrispondente valorerispetto all’SHE. Infatti, se indichiamo con E il potenziale“assoluto” di una data semicella, con ERIF il potenzia-le “assoluto” di una semicella di riferimento (diversa dal-

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l’SHE) e con ESHE il potenziale “assoluto” dell’SHE, allorasi puo’ scrivere:

E − ESHE = E − ESHE + ERIF −ERIF

= (E − ERIF ) + (ERIF −ESHE )

il che mostra che il potenziale di una semicella riferitoall’SHE (E −ESHE ) si ottiene sommando il suo poten-ziale riferito a un qualsiasi altro riferimento (E −ERIF )al potenziale relativo all’SHE della semicella usata comeriferimento (ERIF −ESHE ).

Questo risultato e’ espresso graficamente nella figu-ra 1.8, dove, sull’asse dei potenziali “assoluti”, sono in-dicati E, ERIF ed ESHE e viene mostrata la relazione fraessi.

47. Nel concetto di potenziale relativo che abbiamo intro-dotto non c’e’ nulla di “esoterico”. Potremmo definire inmodo assolutamente identico una statura relativa in unaclasse di studenti. Prendiamo uno studente di riferimentoe definiamo la statura relativa di uno studente qualsiasi co-me la differenza fra la sua statura “assoluta” e quella dellostudente di riferimento. In tal modo, se uno studente hauna statura relativa di 10 cm cio’ significa semplicementeche egli e’ piu’ alto dello studente di riferimento di 10 cm;analogamente, uno studente che abbia una statura relativadi −8 cm sara’ piu’ basso dello studente di riferimento di8 cm. Appare evidente che definire la statura relativa in

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OO

ESHE

ERIF

E

(ERIF −ESHE )

(E − ERIF )

(E − ESHE )

Figura 1.8: Un potenziale relativo a un riferimento qualsia-si puo’ essere espresso relativamente all’SHE conoscendo ilpotenziale del riferimento qualsiasi rispetto all’SHE

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questo modo e’ equivalente ad assegnare allo studente diriferimento una statura relativa nulla (esattamente comeabbiamo fatto per il potenziale dell’SHE). E’ chiaro inoltreche la statura relativa di uno studente sara’ diversa per di-verse scelte dello studente di riferimento. Infine, e’ semprepossibile convertire una statura relativa riferita ad un cer-to studente nella statura relativa riferita ad uno studentediverso: se la statura relativa di Marco rispetto a Ottaviae’ 23 cm e la statura relativa di Ottavia rispetto ad An-drea e’ 4 cm, allora la statura relativa di Marco rispettoal “riferimento” Andrea sara’ (23 + 4) = 27 cm (vi apparechiaro il parallelo con la figura 1.8?)

48. L’elettrodo standard a idrogeno non e’ molto como-do da usare in pratica. Per questo motivo, vengono usaticome riferimenti altri elettrodi piu’ semplici da costruiree utilizzare. Due elettrodi di riferimento molto usati sonol’elettrodo adAgCl/Ag e quello a calomelano, che abbiamogia’ visto al punto 3. Essi sono schematicamente illustratinella figura 1.9.

Come abbiamo visto a pagina 32, il potenziale dell’e-lettrodo ad AgCl/Ag e’ dato da:

E = E◦

AgCl/Ag −RT

Fln[

Cl−]

da cui si vede che, una volta fissata la concentrazione diioni Cl− in soluzione, il potenziale elettrodico e’ costante(questa e’ la condizione per poter usare l’elettrodo come

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PtAg

AgCl

Cl−Cl−

Hg2Cl2/Hg

KCl

Figura 1.9: Due elettrodi di riferimento molto usati:l’elettrodo ad AgCl/Ag e l’elettrodo a calomelano

riferimento). Il modo piu’ banale di fissare la concentrazio-ne di ioni Cl− e’ quello di saturare la soluzione con un salecome KCl: in presenza di un corpo di fondo di KCl indi-sciolto siamo certi che la soluzione e’ satura e che, pertanto,la concentrazione di ioni Cl− al suo interno e’ costante (atemperatura costante).

L’elettrodo a calomelano e’ basato sulla semireazio-ne (punto 3):

Hg2Cl2(s) + 2e = 2Hg(l) + 2Cl−

e quindi il suo potenziale e’ dato da:

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E = E◦

Hg2Cl2/Hg −RT

2Fln[

Cl−]2

(Hg2Cl2 e’ solido e Hg e’ un liquido puro, quindi le loroconcentrazioni non compaiono)

Anche in questo caso il potenziale dipende dalla so-la concentrazione di ioni Cl−, che puo’ essere facilmentemantenuta costante operando con una soluzione satura diKCl.

Da quanto detto dovrebbe essere evidente la pratici-ta’ di costruzione e uso di questi due elettrodi rispettoall’elettrodo standard ad idrogeno.

49. Facciamo il punto della situazione.

• Un elettrodo (per cio’ che ci riguarda) e’ costituitoda un metallo immerso in una soluzione ed e’ ca-ratterizzato dalla presenza di (almeno) una coppiaredox.

• La semireazione che interconverte i due membri del-la coppia redox produce una differenza di potenzialeelettrico fra il metallo e la soluzione che si chiamapotenziale elettrodico.

• Il segno e l’entita’ del potenziale elettrodico dipen-dono dalla posizione raggiunta dall’equilibrio della

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semireazione elettrodica e sono legati alle concen-trazioni (di equilibrio) delle specie implicate nellasemireazione dalla legge di Nernst.

• Se in un sistema elettrodico sono presenti piu’ cop-pie redox, le corrispondenti semireazioni e tutte lepossibili reazioni redox fra le varie coppie avvengonosimultaneamente: il potenziale elettrodico di equili-brio sara’ tale da soddisfare contemporaneamente

tutte le espressioni della legge di Nernst per tutte lecoppie redox presenti.

• Un singolo potenziale elettrodico non e’ sperimen-talmente misurabile: cio’ che si puo’ misurare e’ ladifferenza fra i potenziali elettrodici di due semicelleaccoppiate.

• Per questo motivo, i potenziali elettrodici sono nu-mericamente definiti rispetto ad un elettrodo scel-to come riferimento; cio’ vuol dire che il potenzialeelettrodico relativo di una semicella e’ definito comela differenza fra il potenziale elettrodico “assoluto”della semicella e il potenziale elettrodico “assoluto”della semicella di riferimento.

• L’elettrodo di riferimento deve avere un potenzia-le costante; l’elettrodo di riferimento “ufficiale” e’l’SHE; in pratica, pero’, si usano elettrodi di riferi-mento piu’ funzionali.

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1.6 Il potenziale di giunto

50. Abbiamo visto finora che la misura di un potenzia-le elettrodico implica necessariamente la presenza di unelettrodo di riferimento. E’ essenziale che il potenziale diquest’ultimo sia sempre costante e riproducibile e quindila soluzione dell’elettrodo di riferimento deve essere tenutaseparata da quella dell’elettrodo di cui si vuole misurare ilpotenziale relativo (da qui in poi non useremo piu’ l’agget-tivo “relativo”). Provate ad immaginare di voler misurareil potenziale di un elettrodo ad Ag+/Ag rispetto ad unriferimento a calomelano senza che le soluzioni delle duesemicelle siano separate: gli ioni Ag+ del sistema elettro-dico Ag+/Ag reagirebbero con gli ioni Cl− del riferimentoprecipitando come AgCl e cio’, come minimo, farebbe va-riare la concentrazione di ioni Cl− e quindi il potenzialedel riferimento. Se da un lato le soluzioni dei due elet-trodi di una cella devono in generale essere separate per imotivi appena detti, dall’altro, tuttavia, esse devono esse-re in contatto elettrico, perche’ altrimenti non e’ possibilemisurare la differenza di potenziale fra i due metalli. Infat-ti, affinche’ un voltmetro possa misurare una differenza dipotenziale fra due punti, bisogna che essi siano elettrica-mente connessi. “Contatto elettrico” significa per noi chedeve esserci la possibilita’ che una corrente elettrica fluiscada una cella all’altra.

51. L’obiettivo di separare le due semicelle mantenendolepero’ in contatto elettrico puo’ essere realizzato in vari mo-

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di. Quello classico e’ l’uso di un cosiddetto ponte salino

(figura 1.6): si tratta di un tubo ad “U” contenente una so-luzione elettrolitica (ad esempio KNO3) molto concentra-ta (la soluzione si trova generalmente in forma di gelatina,per evitare che fuoriesca dal tubo). Il ponte salino vienesistemato capovolto con le due estremita’ ciascuna immer-sa in una delle due soluzioni delle semicelle da accoppiare.In questo modo, le due soluzioni elettrodiche non si mesco-lano, pur tuttavia esse sono elettricamente connesse grazieal movimento degli ioni presenti nel gel.

Un altro mezzo di separazione molto usato e’ un setto

poroso, cioe’, in pratica, una parete divisoria dotata dipori aventi dimensioni molecolari: in questo caso gli ioni ele molecole di solvente delle due semicelle attraversano ef-fettivamente la separazione (che quindi consente il contattoelettrico), ma lo fanno talmente lentamente che il mescola-mento delle due soluzioni per la durata della misura e’ deltutto trascurabile. A questo proposito e’ opportuno accen-nare alla realizzazione commerciale di moltissimi elettrodidi riferimento. Per evidenti questioni di praticita’ di impie-go, gli elettrodi di riferimento sono costruiti come illustratonella figura 1.10: l’elettrodo e’ contenuto in una provettasul fondo della quale si trova un setto poroso avente undiametro di circa 1 mm. In pratica, immergendo la pro-vetta nella soluzione test che contiene il secondo elettrodosi realizza una cella elettrochimica completa (figura 1.10)in cui il contatto elettrico fra le due semicelle e’ costituito

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dal setto poroso sul fondo della provetta contenente l’elet-trodo di riferimento. La provetta e’ chiusa alla sommita’con un coperchio da cui esce un cavo connesso al metallodi cui e’ fatto l’elettrodo: a questo cavo viene connesso ilpuntale ⊖ del voltmetro quando si effettua la misura delladifferenza di potenziale nella cella. Generalmente, la pro-vetta contiene anche un foro laterale (chiuso con un tappo)che si puo’ utilizzare per rinnovare saltuariamente la solu-zione in cui e’ immerso l’elettrodo di riferimento. Durantele misure, il tappo deve essere aperto per meglio consentireil passaggio degli ioni attraverso il setto poroso.

Simili ai setti porosi sono lemembrane semipermea-

bili: si tratta di materiali che macroscopicamente assomi-gliano a fogli di carta o naylon, ma la cui struttura mi-croscopica e’ tale per cui solo certi ioni o certe molecolepossono passarvi attraverso.

52. La necessaria separazione fra le due soluzioni compor-ta una complicazione nella misura della differenza di po-tenziale di una cella: il cosiddetto potenziale di giunto.Esso consiste in una differenza di potenziale che si viene acreare in corrispondenza ad ogni “confine” che separi duesoluzioni diverse. Per comprendere qualitativamente l’ori-gine del potenziale di giunto e i suoi effetti sulla misuradella differenza di potenziale in una cella elettrochimicaconsideriamo la cella mostrata nella figura 1.11.

Le due semicelle sono separate da un setto poroso econtengono due soluzioni di HCl a diversa concentrazione.

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voltmetro

⊕ ⊖

coperchio

tappo di gomma

elettrododiriferimento

filo diargentosoluzione saturadi KCl

deposito diAgClsettoporososoluzione test

Figura 1.10: Un tipico elettrodo di riferimento commercia-le ad AgCl/Ag.

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voltmetro

⊕ ⊖

M1 M2

Cl−

H+

HCl HCl

C1 C2>

S1 S2

Figura 1.11: La creazione di un potenziale di giunto.

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Ignoriamo per il momento tutto il resto (le sbarrette me-talliche e il voltmetro). Se C1 > C2, come mostrato, alloraioni H+ e Cl− tenderanno a diffondere attraverso il settodalla soluzione S1 alla soluzione S2. Tuttavia, e questo e’ ilmotivo ultimo per cui si stabilisce il potenziale di giunto, levelocita’ di diffusione dei due tipi di ioni sono diverse. Nelcaso specifico, gli ioni idrogeno migrano da S1 a S2 mol-to piu’ velocemente degli ioni Cl−. Se riguardate quantoabbiamo detto a proposito del meccanismo di formazio-ne del potenziale elettrodico, potete facilmente prevederela conseguenza di cio’. Inizialmente le due soluzioni sonoelettricamente neutre, cioe’ in ciascuna il numero di ioniH+ e’ esattamente uguale al numero di ioni Cl−. Dopo chee’ trascorso un piccolo intervallo di tempo, tuttavia, il nu-mero di ioni H+ che e’ passato da S1 ad S2 e’ maggiore delnumero di ioni Cl− che hanno compiuto lo stesso percorso(proprio a causa delle diverse velocita’ di migrazione). Maquesto significa che in S1 si e’ creato un eccesso di caricanegativa (ci sono piu’ ioni Cl− che H+) mentre in S2 sie’ creato un eccesso di carica positiva di uguale entita’ (inS2 ci sono ora piu’ ioni H+ che Cl−): in definitiva, traS1 ed S2 si e’ venuta a creare una differenza di potenzia-le elettrico che viene chiamato potenziale di giunto. Cosaaccade man mano che il tempo passa? L’eccesso di caricanegativa in S1 e l’eccesso di carica positiva in S2 concor-demente rallentano l’ulteriore migrazione di ioni H+ (S1

li “trattiene” ed S2 li “respinge”); la migrazione degli ioniCl− e’ invece accelerata per gli stessi motivi (gli ioni Cl−,

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negativi, sono “sospinti” da S1 e “attirati” da S2). Quin-di, il processo inizialmente piu’ veloce viene rallentato equello inizialmente piu’ lento viene accelerato (dove avetegia’ sentito questa storia?): inevitabilmente si arrivera’ aduna situazione in cui le velocita’ di migrazione degli ioniH+ e Cl− diventano uguali. Da questo momento in poi, ladifferenza di potenziale fra S1 ed S2, cioe’ il potenziale digiunto, smette di aumentare.

53. Se ci riflettete un istante, vi renderete conto che ilmeccanismo con cui si instaura il potenziale elettrodico equello con cui si stabilisce il potenziale di giunto sono pres-socche’ identici: in entrambi i casi ci sono due processi cheavvengono inizialmente a velocita’ diversa; a causa di cio’si crea una separazione di carica fra due fasi; ma proprioquesta separazione di carica opera nel senso di rallentare ilprocesso inizialmente piu’ veloce ed accelerare quello cheall’inizio era piu’ lento; l’epilogo ineluttabile e’ che le ve-locita’ dei due processi finiscono per diventare identiche.Da questo punto in poi la separazione di carica smette diaumentare (anche se i due processi responsabili della suacreazione continuano ad avvenire).

C’e’ tuttavia una differenza sostanziale fra lo stato fina-le di un sistema elettrodico e quello di due soluzioni separa-te da un setto poroso: mentre in un elettrodo si raggiungeuno stato di vero e proprio equilibrio (inteso in senso chi-mico), nel caso del potenziale di giunto lo stato in cui siviene a trovare il sistema e’ approssimabile ad uno stato

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stazionario. Per apprezzare la differenza pensate a que-sto: un elettrodo che abbia raggiunto l’equilibrio rimarra’in quello stato indefinitamente (se non intervengono per-turbazioni esterne); nel caso delle due soluzioni di HCl adiversa concentrazione poste in contatto con un setto po-roso, invece, il potenziale di giunto si instaura dopo untempo brevissimo, ma se avessimo la pazienza di aspettareper un tempo molto lungo (tanto piu’ lungo quanto piu’stretti sono i pori del setto), vedremmo che lo stato delledue soluzioni in realta’ cambia lentamente: la concentra-zione in S1 diminuisce e quella in S2 aumenta. Uno statodi equilibrio vero e proprio si raggiunge anche in questo ca-so, ma dopo un tempo lunghissimo: lo stato di equilibriofinale consiste, chiaramente, nel fatto che le due soluzioniraggiungono il medesimo valore di concentrazione (nota-te che in questo stato di equilibrio finale il potenziale digiunto e’ nullo: quindi il potenziale di giunto e’ un feno-meno legato a condizioni di non-equilibrio). Siccome ingenere la durata di una misura potenziometrica e’ moltominore del tempo che impiegherebbero le due soluzioni amescolarsi completamente, tutto funziona come se la mi-grazione ionica attraverso il setto si trovasse in condizionieffettivamente stazionarie.

54. Ora che abbiamo visto come si stabilisce il potenzia-le di giunto, torniamo alla figura 1.11 e consideriamo lacella elettrochimica completa: non ci interessa la naturadei due metalli M1 ed M2 (potrebbero essere due fili di

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argento ricoperti di AgCl, cosicche’ avremmo a che farecon due semicelle ad AgCl/Ag). Cio’ che vogliamo capiree’ che cosa misura il voltmetro in questa cella. Ripetendoil ragionamento fatto al punto 40, possiamo decomporre ladifferenza di potenziale totale letta dallo strumento nei va-ri contributi parziali che si incontrano andando dal puntale⊕ al puntale ⊖.

Con ovvio significato dei simboli si ha:

ddp = E(M1)− E(S1) + E(S1)− E(S2)

+E(S2)−E(M2)

= [E(M1)− E(S1)]− [E(M2)− E(S2)]

+ [E(S1)−E(S2)]

Vediamo dunque che, come era logico aspettarsi, la dif-ferenza di potenziale misurata dal voltmetro contiene ladifferenza fra i potenziali elettrodici (E(M1)−E(S1)) −(E(M2)− E(S2)). Tuttavia, a causa del fatto che le duesoluzioni non hanno lo stesso potenziale, la differenza dipotenziale misurata contiene anche il termine (E(S1)− E(S2)),cioe’ il potenziale di giunto.

Le conclusioni raggiunte con questo esempio specificosono di carattere completamente generale: quando una cel-la elettrochimica contiene membrane o setti porosi che se-parano soluzioni diverse, si generano dei corrispondenti po-tenziali di giunto che rappresentano in generale una fonte

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di errore se lo scopo e’ quello di misurare solo la differenzadei potenziali elettrodici.

1.7 Elettrodo a vetro

Un’applicazione importantissima della potenziometria e’ lamisura “diretta” del pH di una soluzione, che si fa con ilcosiddetto “elettrodo a vetro”. Come vedremo, il funzio-namento di un elettrodo a vetro e’ basato sulla presenzadi una membrana di vetro con particolari proprieta’. Inol-tre, dipendentemente dal tipo di vetro, e’ possibile trovarein commercio elettrodi sensibili alla concentrazione di io-ni diversi dal protone, come ad esempio Li+, Na+, K+,NH+

4 .

Il funzionamento dell’elettrodo a vetro puo’ essere illu-strato con la cella mostrata in figura 1.12.

Cio’ che viene chiamato elettrodo a vetro e’ rappresen-tato dalla meta’ di destra della cella, membrana di vetrocompresa. Abbiamo dunque un elettrodo di riferimento(generalmente AgCl/Ag) immerso in una soluzione ad at-tivita’ protonica costante (generalmente HCl 0.1 M) eseparata dalla soluzione oggetto di misura (soluzione test)mediante una membrana di vetro. Attraverso tale mem-brana si genera una differenza di potenziale che dipendedall’attivita’ degli ioni H+ nella soluzione test (vedere ol-tre). Se in quest’ultima e’ immerso un secondo elettrodo

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V

RIF1 RIF2

HCl0.1 mol/L

membrana di vetro

soluzionetest

Figura 1.12: Schematica illustrazione del funzionamentodi un elettrodo a vetro

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di riferimento, allora la differenza di potenziale della cellae’ data da:

ddp = E1 + Ej1 + EG − E2 (1.5)

dove E1 ed E2 sono i potenziali elettrodici dei due elet-trodi di riferimento, Ej1 e’ il potenziale di giunto eventual-mente presente all’interfaccia fra la soluzione test e l’elet-trodo di riferimento RIF1, EG e’ la differenza di potenzialeattraverso la membrana di vetro.

Nell’espressione sopra scritta, E1 ed E2 sono costanti,in quanto potenziali elettrodici di elettrodi di riferimen-to. Quando il pH della soluzione test cambia, in generalecambieranno sia Ej1 che EG. Tuttavia, le variazioni diEj1 sono di solito molto piccole, per cui le variazioni didifferenza di potenziale al variare del pH nella soluzionetest sono dovute essenzialmente alle variazioni di EG. Sicomprende dunque come la misura della differenza di po-tenziale della cella su mostrata fornisce una misura del pHdella soluzione test.

E’ opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che l’e-lettrodo a vetro, contrariamente a cio’ che induce a pensareil suo nome, non e’ un unico sistema elettrodico: esso pre-suppone la presenza di due elettrodi di riferimento (a po-tenziale elettrodico costante) e la differenza di potenzialelegata all’attivita’ protonica e’ piu’ simile ad un potenzialedi giunto che ad un potenziale elettrodico.

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strato

idratato

strato

idratato

porzione“secca”

HCl0.1 mol/L

membrana di vetro

soluzionetest

50 µm

Na+, Li+

100 nm

EG

Figura 1.13: Ingrandimento della membrana di unelettrodo a vetro

Viene di seguito illustrata in modo qualitativo l’originedella differenza di potenziale EG su cui si basa l’elettrodo avetro. Un ingrandimento della membrana di vetro apparecome in figura 1.13.

Quando la membrana di vetro e’ a contatto con duesoluzioni acquose da entrambi i lati, le due facce vengo-no idratate per una profondita’ di circa 5 − 100 nm. Nei

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due strati idratati si stabilisce un equilibrio di adsorbimen-to/desorbimento degli ioni H+, presenti nella soluzione ac-quosa, e degli ioni Na+ o Li+ che occupano le posizionireticolari dello scheletro di silicato costituente la membra-na. E’ questo equilibrio che determina lo stabilirsi di unadifferenza di potenziale fra ciascuna faccia della membranae la soluzione con cui essa e’ a contatto.

Va osservato che la membrana deve assicurare il passag-gio di corrente elettrica: nella parte non idratata (“secca”),la conducibilita’ e’ assicurata dalla migrazione interstizialedei cationi presenti nel vetro (Na+, Li+ etc).

La differenza di potenziale fra la faccia della membranaa contatto con la soluzione di HCl 0.1 M e quest’ultima e’sempre costante (perche’ la soluzione e’ sempre la stessa).Per contro, la differenza di potenziale fra l’altra faccia dellamembrana e la soluzione test dipendera’ dal pH della so-luzione test, perche’ l’equilibrio di adsorbimento degli ioniH+ dipende dalla loro attivita’ in soluzione aH+ . Si trovache tale differenza di potenziale dipende linearmente dalpH della soluzione test tramite un’espressione formalmen-te identica a quella della legge di Nernst. Ne segue che ladifferenza di potenziale attraverso l’intera membrana, cioe’EG, e’ data da:

EG = K +RT

Fln aH+

= K +BT pH

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dove K e BT sono costanti (ma BT dipende dalla tem-peratura).

Sostituendo nella equazione 1.5, si conclude che l’interadifferenza di potenziale della cella e’ una funzione linearedel pH della soluzione test:

ddp = K ′ +BT pH

(K ′ contiene K e tutti gli altri termini costanti).

Verranno di seguito riportate alcune considerazioni pra-tiche riguardanti l’uso degli elettrodi a vetro.

Gli elettrodi commerciali sono in genere molto compat-ti. I piu’ pratici sono i cosiddetti elettrodi combinati, checontengono la soluzione di HCl, la membrana di vetro e idue elettrodi di riferimento in un unico stilo (figura 1.14).

Non dovrebbe essere difflcile riconoscere l’esatta cor-rispondenza dell’assemblaggio mostrato con lo schema diprincipio illustrato prima. La misura della differenza dipotenziale della cella viene eseguita con un voltmetro adelevata impedenza di ingresso (cio’ per fare in modo chela corrente circolante nella cella durante la misure sia diintensita’ trascurabile). Nel caso specifico della misura delpH , esistono strumenti, detti pH-metri, in grado di fornirela lettura direttamente in unita’ di pH.

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VV

RIF1 (AgCl/Ag)

RIF2 (AgCl/Ag)

KCl(sol.sat.)

HCl 0.1 mol/L

setto poroso

membrana di vetro

soluzionetest

Figura 1.14: Corrispondenza fra lo schema di principio ele varie parti di un elettrodo a vetro combinato

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Ciascun elettrodo a vetro e’ caratterizzato da una pro-pria risposta:

ddp = K ′ +BT pH

Di conseguenza, prima di effettuare una misura, il si-stema costituito dal pH-metro e dall’elettrodo va taratocon delle soluzioni a pH noto. In genere gli strumenticonsentono di effettuare una taratura con due soluzionitampone. La taratura si esegue dapprima calibrando ilpH-metro sulla prima soluzione per mezzo di una mano-pola potenziometrica di regolazione. A questo punto siestrae l’elettrodo dalla soluzione, lo si lava accuratamentecon acqua distillata, lo si immerge nella seconda soluzionee si calibra lo strumento sul secondo valore di pH median-te un’altra manopola potenziometrica, che in genere vienedetta “slope control”. Si ricontrolla infine la lettura sullaprima soluzione e, se risulta corretta, si puo’ assumere chelo strumento fornisca letture attendibili di pH nell’interval-lo determinato dalle due soluzioni tampone. Va aggiuntoche la maggior parte dei pH-metri prevede anche la pos-sibilita’ di tenere conto della temperatura della soluzionetest, che in questo caso va misurata preventivamente (siricordi che il parametro BT dipende dalla temperatura).

Diciamo ancora qualcosa sulle possibili fonti di erroreconnesse all’impiego dell’elettrodo a vetro.

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Errore alcalino: se una soluzione contiene alte concentra-zioni di un piccolo catione e basse concentrazioni diioni H+ (ad esempio una soluzione di NaOH ), al-lora il piccolo catione puo’ competere favorevolmen-te con i protoni nell’equilibrio di adsorbimento allamembrana di vetro, causando un errore nella sua ri-sposta. Tale errore puo’ essere minimizzato agendoopportunamente sulla composizione della membranadi vetro. Generalmente, il campo di pH entro cui unelettrodo a vetro fornisce risposte attendibili vienespecificato dal costruttore.

Errore acido: si verifica in soluzioni molto acide ([H+] >1 M ) ed e’ meno importante di quello alcalino so-pra visto. E’ dovuto al fatto che a pH molto bassil’attivita’ dell’acqua e’ sensibilmente ridotta e questoinfluenza l’equilibrio di adsorbimento degli ioni H+

. Anche in questo caso, tuttavia, sono disponibili incommercio membrane la cui composizione minimizzatale inconveniente.

Potenziale di asimmetria: se le due facce della membranadi un elettrodo a vetro sono in contatto con la stessasoluzione, la differenza di potenziale fra di esse none’ nulla (come sarebbe logico aspettarsi), ma ha unvalore detto potenziale di asimmetria. Tale potenzia-le varia lentamente nel tempo e viene generalmenteattribuito a differenti condizioni di stress delle duefacce della membrana (originate, ad esempio, in fase

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di lavorazione). E’ anche a causa del potenziale diasimmetria che gli elettrodi a vetro vanno tarati difrequente e prima di ogni singola misura.

1.8 La potenziometria come tec-

nica analitica

55. I concetti fondamentali che abbiamo introdotto fino aquesto punto sono quello che serve per discutere le applica-zioni analitiche della potenziometria. Come abbiamo gia’accennato (punto 22) la chiave di volta e’ l’equazione diNernst, che fornisce il legame fra il potenziale elettrodicoe la concentrazione in soluzione di un dato analita.

Abbiamo pero’ imparato che cio’ che si puo’ misura-re e’ in realta’ solo una differenza fra potenziali elettro-dici e quindi una determinazione analitica per via poten-ziometrica richiede invariabilmente l’allestimento di unacella elettrochimica completa: uno dei due elettrodi sara’un elettrodo di riferimento, mentre l’altro, il cui poten-ziale e’ utilizzato ai fini analitici, viene detto elettrodo

indicatore.

1.8.1 Potenziometria diretta

56. La potenziometria diretta consiste nella determinazio-ne della concentrazione di un analita da una singolamisura

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di differenza di potenziale in una cella.

57. Un esempio di questo tipo di applicazione e’ la deter-minazione dello ione Ag+. Abbiamo una soluzione test checontiene una concentrazione incognita di ioni Ag+; se im-mergiamo un filo di argento in questa soluzione otteniamoun elettrodo ad Ag+/Ag, il cui potenziale e’ legato pro-prio alla concentrazione che dobbiamo determinare dallarelazione (punto 39):

EAg+/Ag = E◦

Ag+/Ag +RT

Fln[

Ag+]

Il potenziale di questo elettrodo, che rappresenta quin-di il nostro elettrodo indicatore, puo’ essere misurato so-lo relativamente ad un elettrodo di riferimento e quin-di dovremo allestire una cella come quella mostrata nellafigura 1.15.

La differenza di potenziale che si puo’ misurare con ilvoltmetro e’ data da:

ddp = EAg+/Ag − Erif + Egiunto

dove EAg+/Ag e’ il potenziale elettrodico dell’elettrodo in-dicatore, Erif quello dell’elettrodo di riferimento (non haimportanza specificare di che tipo; potrebbe essere un ca-lomelano o un AgCl/Ag) e Egiunto e’ la somma di tut-

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voltmetro

⊕ ⊖

Ag

Ag+

soluzionetest

elettrododiriferimento

Figura 1.15: Cella per la determinazione potenziometricadello ione Ag+.

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ti i contributi dovuti ai potenziali di giunto (dalla figu-ra si vede che ci sono due potenziali di giunto in corri-spondenza al contatto delle due estremita’ del ponte salinocon le due soluzioni elettrodiche). Se scriviamo la formaesplicita di EAg+/Ag con la legge di Nernst ed isoliamo laconcentrazione di ioni argento otteniamo:

ddp = E◦

Ag+/Ag +RT

Fln[

Ag+]

−Erif + Egiunto

RT

Fln[

Ag+]

= ddp −E◦

Ag+/Ag + Erif − Egiunto

ln[

Ag+]

=F

RT

(

ddp −E◦

Ag+/Ag + Erif − Egiunto

)

[

Ag+]

= exp(

F

RT

(

ddp − E◦

Ag+/Ag + Erif − Egiunto

)

da cui si vede che, misurando ddp con il voltmetro e Tcon un termometro e conoscendo il resto, possiamo ot-tenere la concentrazione cercata. Va notato che, mentrei potenziali standard e i potenziali elettrodici degli elet-trodi di riferimento piu’ comuni sono tabulati con buonaprecisione, la misura o il calcolo dei potenziali di giuntopresentano notevoli difficolta’. Quindi, in questo caso, iltermine Egiunto rappresenta sicuramente una possibile fon-te di errore, tanto piu’ in quanto compare in un termineesponenziale. D’altro canto, per la cella mostrata, c’e’ daaspettarsi che i potenziali di giunto che si originano alle

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due estremita’ del ponte salino siano di segno contrario etendano quindi a cancellarsi.

58. La cella di figura 1.15 puo’ essere adoperata per la de-terminazione analitica di moltissimi ioni metallici: bastasemplicemente cambiare il metallo dell’elettrodo indicato-re. Ad esempio, se invece di un filo di argento utilizziamoun filo di rame, possiamo dosare gli ioni Cu2+. In que-sto caso il potenziale elettrodico dell’elettrodo indicatoree’ dato da:

ECu2+/Cu = E◦

Cu2+/Cu +RT

2Fln[

Cu2+]

e la differenza di potenziale che si puo’ misurare con ilvoltmetro e’ data da:

ddp = ECu2+/Cu −Erif + Egiunto

da cui, identicamente a quanto visto prima, si puo’ ricavarela concentrazione incognita di ioni Cu2+.

59. Le possibilita’ dei metodi potenziometrici non sonocerto limitate ai cationi metallici: esistono elettrodi in-dicatori per la determinazione di moltissime specie. Unesempio di elettrodo indicatore utilizzabile per gli ioni Cl−

e’ l’elettrodo ad AgCl/Ag. Ne abbiamo parlato a piu’ ri-prese (punto 3, pagina 32, punto 48) e lo abbiamo citatocome esempio di elettrodo di riferimento molto usato.

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Riscriviamo la legge di Nernst per questo elettrodo:

E = E◦

AgCl/Ag −RT

Fln[

Cl−]

Questa relazione dice che, se la concentrazione di ioniCl− e’ mantenuta costante, allora il potenziale elettrodicorimarra’ costante e su questo si basa l’impiego dell’elettro-do ad AgCl/Ag come riferimento. Tuttavia, la relazionesu scritta puo’ essere intesa anche in senso “analitico” con-siderando la concentrazione di ioni Cl− come un’incognitada trovare misurando il potenziale elettrodico.

Al solito, si dovra’ allestire una cella come quella mo-strata in figura 1.16 e misurare la differenza di potenzia-le fra l’elettrodo indicatore e quello di riferimento (chepotrebbe essere anch’esso un elettrodo ad AgCl/Ag!):

ddp = EAgCl/Ag − Erif + Egiunto

Da questa relazione si ricava, analogamente a quantoabbiamo gia’ visto, la concentrazione incognita di ioni Cl−.

1.8.2 Elettrodi combinati

60. L’allestimento di una cella elettrochimica completaper effettuare una misura potenziometrica puo’ essere di

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voltmetro

⊕ ⊖

Ag

AgCl

Cl−

soluzionetest

elettrododiriferimento

Figura 1.16: Cella per la determinazione potenziometricadello ione Cl−.

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gran lunga semplificato utilizzando un cosiddetto elettro-

do combinato. Si tratta di un sistema compatto checontiene l’elettrodo indicatore insieme all’elettrodo di rife-rimento in un unico assemblaggio: immergendo l’elettrodocombinato nella soluzione test si realizza una cella elet-trochimica completa. E’ importante rendersi conto che unelettrodo combinato immerso nella soluzione test e’ perfet-tamente equivalente ad una cella elettrochimica “conven-zionale”, cioe’ del tipo che abbiamo illustrato finora. Lafigura 1.17 mostra la “metamorfosi” che porta da una cellausuale ad un elettrodo combinato.

Nello stadio 1 si vede la cella elettrochimica “conven-zionale”: “I” sta ad indicare la semicella dell’elettrodoindicatore (ad esempio il solito filo di Ag) contenente lasoluzione test; “R” indica la semicella dell’elettrodo di ri-ferimento (ad esempio un elettrodo ad AgCl/Ag con unasoluzione satura di KCl). Le due semicelle sono separateda un setto poroso indicato dalla linea tratteggiata. Infi-ne, e’ mostrato un voltmetro che misura la differenza dipotenziale della cella.

Il primo passo per arrivare all’assemblaggio combinatoconsiste nel prendere (idealmente) la semicella di riferimen-to e immergerla nella semicella dell’elettrodo indicatore: siarriva cosi’ allo stadio 2. Naturalmente, per mantenere ilcontatto elettrico fra le due semicelle, nella semicella diriferimento e’ presente una “finestra” costituita dal set-to poroso (indicata con la linea tratteggiata nella figura).

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I

I

I

I

R

R

R

R

1(/).*-+,

2(/).*-+,3(/).*-+,

4(/).*-+,

Figura 1.17: “Metamorfosi” di una cella usuale in elettrodocombinato.

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Notate che, nella sostanza, non e’ cambiato nulla; solo laforma della cella e’ cambiata.

Nello stadio successivo, il numero 3, abbiamo presoil metallo dell’elettrodo indicatore e lo abbiamo messo incontatto con la soluzione test, ma facendolo passare attra-

verso la semicella di riferimento. Ovviamente, siccome ilmetallo dell’elettrodo indicatore deve stare in contatto solocon la soluzione test (e non con la soluzione dell’elettrododi riferimento) la parte di metallo che passa attraverso lasoluzione dell’elettrodo di riferimento e’ stata opportuna-mente isolata inserendola all’interno di uno stretto tuboin vetro (indicato in grigio nella figura). Un altro cambia-mento che si e’ verificato nel passaggio da 2 a 3 riguarda ilsetto poroso, che si e’ ridotto ad una finestrella avente ledimensioni di 1− 2 mm. Di nuovo: solo la forma sta cam-biando, ma le varie parti e la loro connessione rimangonoinalterate.

Nello stadio 4 la metamorfosi si e’ conclusa: l’elet-trodo combinato e’ completato da un coperchio superioreda cui escono i cavi collegati al riferimento e all’elettrodoindicatore. Inoltre, e’ stato aggiunto un piccolo raccor-do in vetro con tappo che serve per aggiungere soluzione(all’occorrenza) nella semicella di riferimento.

A questo punto, dovrebbe esservi chiaro che l’elettrodocombinato immerso nella soluzione test dello stadio nume-ro 4 e’ perfettamente equivalente alla cella “convenzionale”dello stadio numero 1 da cui siamo partiti (questo e’ sot-

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tolineato dal grande segno di uguaglianza che connette lostadio 1 allo stadio 4 in figura 1.17).

1.8.3 Titolazioni potenziometriche

61. Immaginiamo di compiere una titolazione di ioni Cl−

con una soluzione standard di AgNO3. Nel corso della ti-tolazione la concentrazione di ioni Ag+ in soluzione varia:prima del punto di equivalenza essa sara’ molto piccolapoiche’ gli ioni Cl− sono in eccesso; al punto di equiva-lenza la concentrazione degli ioni Ag+ subisce un bruscoincremento poiche’ gli ioni Cl− “finiscono”; dopo il pun-to di equivalenza, la concentrazione di ioni Ag+ aumentaall’aumentare del volume di soluzione titolante aggiunto.

Sulla base di quello che abbiamo appreso finora, possia-mo comprendere facilmente che, se immergiamo un filo diargento nel beaker in cui stiamo conducendo la titolazio-ne, realizziamo un elettrodo ad Ag+/Ag il cui potenzialeseguira’ le variazioni di concentrazione degli ioni argento

nel corso della titolazione.

Una titolazione potenziometrica, dunque, consistein una titolazione ordinaria in cui la misura potenziometri-ca viene utilizzata per monitorare il corso della titolazione.

Se vogliamo seguire la titolazione di Cl− con AgNO3

per via potenziometrica non e’ sufficiente immergere unfilo d’argento nel beaker contenente la soluzione da tito-lare: sappiamo che oltre all’elettrodo indicatore abbiamo

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bisogno di un elettrodo di riferimento rispetto al quale mi-surare il potenziale del primo. Dovremo percio’ allestireuna cella o, piu’ comodamente, usare un elettrodo combi-nato (la relazione fra i due setup sperimentali e’ illustratanella figura1.18).

Come abbiamo gia’ visto piu’ volte, la differenza dipotenziale misurata dal voltmetro e’ data da:

ddp = EAg+/Ag −Erif + Egiunto

= E◦

Ag+/Ag +RT

Fln[

Ag+]

− Erif + Egiunto

Come abbiamo detto prima, la concentrazione di ioniAg+ cambia in funzione del volume di soluzione titolanteaggiunto: la relazione su scritta mostra che la differenza dipotenziale della cella riflettera’ questo cambiamento. Pos-siamo allora costruire una tabella in cui, per ogni valore delvolume di titolante aggiunto, riportiamo il corrisponden-te valore di differenza di potenziale letto dal voltmetro.Diagrammando i dati cosi’ raccolti otterremo una tipicacurva di titolazione di forma sigmoide: il flesso di talecurva, facilmente determinabile, come vedremo, individuacio’ che rappresenta lo scopo della titolazione, e cioe’ ilvolume di equivalenza (figura 1.19).

62. Le titolazioni potenziometriche presentano dei vantag-gi rispetto alle misure potenziometriche dirette. Siccome il

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voltmetro

voltmetro

buretta

agitatore

agitatore

Figura 1.18: Titolazione di ioni Cl− con AgNO3 seguitaper via potenziometrica con una cella elettrochimica “con-venzionale” (parte superiore) o con un elettrodo combina-to (parte inferiore). E’ stata evidenziata la corrispondenzafra elettrodo indicatore ed elettrodo di riferimento nei duesetup sperimentali.

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volume di soluzione titolante

ddp

Figura 1.19: Una tipica curva di titolazione potenziome-trica.

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punto finale viene determinato dal flesso della curva di tito-lazione, non e’ necessario conoscere con esattezza il poten-ziale dell’elettrodo di riferimento (diversamente da quantoavviene invece in una misura potenziometrica diretta). In-fatti, dall’espressione della differenza di potenziale primascritta, si vede che il termine Erif interviene come un sem-plice addendo: cio’ vuol dire che il suo effetto e’ semplice-mente quello di traslare verticalmente la curva di titolazio-ne. Ma questo non ha alcuna influenza sulla posizione delflesso lungo l’asse delle ascisse. Un altro vantaggio delletitolazioni potenziometriche rispetto alle misure dirette ri-guarda il potenziale di giunto (Egiunto nell’espressione piu’sopra). Questo, come sappiamo, e’ difficile da misurareo calcolare e quindi rappresenta una fonte di errore ineli-minabile. Tuttavia, la variazione del potenziale di giuntodurante una titolazione e’ sicuramente molto piccola: inaltre parole, i valori di differenza di potenziale che leggia-mo nel corso di una titolazione sono affetti da un erroreuguale per tutti. Come per il termine Erif , cio’ determi-na solo una traslazione verticale della curva di titolazione,senza alcuna conseguenza nella determinazione del puntofinale.

63. Qualsiasi titolazione puo’ essere seguita per via poten-ziometrica: e’ sufficiente disporre di un elettrodo indica-tore il cui potenziale dipenda dalla concentrazione di unadelle specie chimiche che partecipano alla reazione su cui latitolazione e’ basata. Citiamo qualche ulteriore esempio.

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• E’ ovvio che, come la titolazione degli ioni Cl− conAgNO3, anche quella degli altri alogenuri puo’ es-sere seguita per via potenziometrica utilizzando lostesso elettrodo indicatore. E’ inoltre possibile dosa-re miscele di alogenuri: ad esempio, per una misceladi ioni Cl− e I− titolata con AgNO3 si ottiene unacurva di titolazione potenziometrica con due puntidi flesso corrispondenti al punto di equivalenza perciascun alogenuro.

• Tutte le titolazioni acido base possono essere segui-te per via potenziometrica. In linea di principio,un elettrodo indicatore appropriato potrebbe esse-re l’elettrodo a H+/H2 (andate a riverderlo nellafigura 1.1): come mostrato a pagina 32, il suo po-tenziale dipende dalla concentrazione di ioni idroge-no in soluzione. In pratica, tuttavia, le titolazionidi neutralizzazione vengono seguite con l’elettrodoa vetro, di gran lunga piu’ comodo da utilizzare euniversalmente adoperato per misurare il pH dellesoluzioni.

• Molte titolazioni complessometriche possono essereconvenientemente seguite per via potenziometrica.In queste titolazioni un catione metallico viene fattoreagire con un opportuno agente complessante (l’ED-TA e’ un complessante molto usato). Il modo piu’banale di seguire la titolazione per via potenziometri-

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ca e’ quindi quello di introdurre nella soluzione unasbarretta del metallo il cui catione viene titolato.

• Un’altra classe di titolazioni che puo’ essere segui-ta per via potenziometrica e’ quella delle titolazioniredox. Prendiamo ad esempio la titolazione di ioniFe2+ con soluzione standard di Cr2O

2−7 . La reazione

analitica e’ l’ ossidazione del Fe2+ a Fe3+ ad operadello ione Cr2O

2−7 in ambiente acido:

6Fe2+ + Cr2O2−7 + 14H+ = 6Fe3+ + 2Cr3+ + 7H2O

Nel corso della titolazione il rapporto fra la concen-trazione dello ione Fe3+ e quella dello ione Fe2+ pas-sa da un valore iniziale molto piccolo ad un valoremolto grande dopo il punto di equivalenza (quandopraticamente tutti gli ioni Fe2+ sono stati ossida-ti). Se immergiamo un filo di platino nella soluzione,otteniamo un sistema elettrodico il cui potenziale di-pende proprio dal rapporto delle concentrazioni deidue ioni ferro (pagina 30) e che quindi puo’ esseresfruttato per seguire la titolazione:

E = E◦

Fe3+/Fe2+ +RT

Fln

[Fe3+]

[Fe2+]

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1.8.4 Analisi delle curve di titolazione

64. Come abbiamo detto, al termine di una titolazione po-tenziometrica ci ritroviamo con una tabella in cui, per ognivalore del volume di soluzione titolante, abbiamo riportatola corrispondente differenza di potenziale letta sul voltme-tro. La prima cosa da fare e’ costruire un grafico in cui siriporta la differenza di potenziale in funzione del volumedi titolante.

Una volta costruita la curva di titolazione, si pone ilproblema della determinazione del punto finale, corrispon-dente al flesso della curva.

La cosa piu’ semplice e’ quella di stimare ad occhio laposizione del flesso. Quando il salto della curva in cor-rispondenza al punto finale e’ sufficientemente netto, laprecisione del risultato ottenibile con questo sistema e’ si-curamente comparabile con quella fornita da metodi piu’sofisticati.

Fra i tanti metodi grafici sviluppati a questo scopo,citiamo i seguenti due.

• Metodo grafico mostrato nella figura 1.20:

1. tracciare la retta 1 estrapolando il tratto finaledella curva

2. tracciare la retta 2 estrapolando il tratto inizialedella curva

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3. tracciare le due rette 3 e 4 parallele all’asse ver-ticale in modo che la loro intersezione con lacurva di titolazione sia piu’ vicina possibile alflesso, pur restando nella zona in cui la curvanon si e’ ancora discostata dal tratto lineareestrapolato

4. determinare il punto medio dei segmenti indi-viduati dall’intersezione di ciascuna delle duerette 3 e 4 con le rette 1 e 2

5. l’intersezione della congiungente i due punti me-di cosi’ trovati con la curva di titolazione indi-vidua il punto finale

• Metodo grafico mostrato nella figura 1.21:

1. tracciare la tangente 1 al flesso della curva

2. tracciare la retta 2 estrapolando il tratto finaledella curva

3. tracciare la retta 3 estrapolando il tratto inizialedella curva

4. per il punto di intersezione fra 1 e 2 tracciarela parallela 4 all’asse orizzontale e la parallela 5all’asse verticale

5. per il punto di intersezione fra 1 e 3 tracciarela parallela 6 all’asse orizzontale e la parallela 7all’asse verticale

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volume di titolante

differenza

dipotenziale

1

2

3

4

Figura 1.20: Metodo grafico per la determinazione delpunto finale in una titolazione potenziometrica

6. tracciare la diagonale 8 del rettangolo delimi-tato dalle rette 4 5 6 7: l’intersezione di talediagonale con la retta 1 individua il punto finale

65. Allo scopo di aumentare la precisione (ad esempioquando il salto in corrispondenza al punto finale non e’molto netto) si possono elaborare numericamente i datiottenuti ricavando la derivata prima e seconda della curvadi titolazione. Al termine dell’esperienza si e’ in possessodi una sequenza di N coppie di valori (Vi, ddpi). Allora e’possibile costruire una sequenza di (N−1) coppie di valori(V ′

i , (∆ddp/∆V )i), con:

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volume di titolante

differenza

dipotenziale

1

2

3

4

5

6

7

8

Figura 1.21: Metodo grafico per la determinazione delpunto finale in una titolazione potenziometrica

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V ′

i =Vi + Vi+1

2(

∆ddp

∆V

)

i

=ddpi+1 − ddpi

Vi+1 − Vi

i = 1 · · · (N − 1)

Notate che (∆ddp/∆V )i e’ la pendenza della retta chepassa per i punti di coordinate (Vi, ddpi) e (Vi+1, ddpi+1), equindi rappresenta un’approssimazione alla derivata primadella curva di titolazione nel punto medio fra Vi e Vi+1, cioe’(Vi + Vi+1)/2. La cosa e’ illustrata nella figura 1.22.

Siccome la curva di titolazione ha un andamento sig-moide, la sua derivata prima mostrera’ un picco pronuncia-to in corrispondenza al punto finale, che ne consente unapiu’ facile determinazione. (Per rendervi conto di come laderivata prima di una sigmoide sia una funzione a picco,considerate come varia la pendenza di una retta tangentealla curva y(x) in figura 1.23 al variare di x)

Il procedimento puo’ essere ripetuto per ottenere la de-rivata seconda. A partire dalle (N − 1) coppie di valori(V ′

i , (∆ddp/∆V )i) e’ possibile ricavare (N − 2) coppie didati (V ′′

i , (∆2ddp/∆V 2)i), con:

V ′′

i =V ′

i + V ′

i+1

2

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ddpi+1

ddpi

Vi Vi+1Vi+Vi+1

2

(Vi+1 − Vi)

(ddpi+1 − ddpi)

Figura 1.22: L’approssimazione della derivata della curvadi titolazione

(

∆2ddp

∆V 2

)

i

=

(∆ddp

∆V

)

i+1−(∆ddp

∆V

)

i

V ′

i+1 − V ′

i

i = 1 · · · (N − 2)

Siccome la derivata prima della curva di titolazione e’una funzione a picco, la sua derivata (cioe’ la derivata se-

conda della curva di titolazione) sara’ una funzione che pre-senta una brusca oscillazione che taglia l’asse delle ascissein corrispondenza al punto finale (figura 1.23).

Nonostante questi metodi possano risultare accattivan-ti, va comunque tenuto presente che essi sono limitati dallivello di “rumore” associato ai dati sperimentali raccolti:

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x

d2y

dx2

dy

dx

y(x)

Figura 1.23: Le derivate prima e seconda di una funzionesigmoide

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l’operazione di derivazione comporta infatti un’inevitabi-le amplificazione degli errori sempre presenti nelle misuresperimentali, portandoli in molti casi a livelli inaccettabili.

Un esempio di applicazione di questo metodo a un casoreale e’ mostrato nella figura 1.24.

66. Un approccio numerico completamente diverso all’a-nalisi della curva di titolazione consiste nell’approssimazio-ne della curva stessa con una opportuna funzione analitica.

L’idea si basa sulla seguente considerazione: siccomeil nostro interesse e’ quello di trovare il flesso della curvadi titolazione, e’ sufficiente scovare una funzione qualsiasi

che segua bene l’andamento dei punti sperimentali in unintervallo non molto ampio e centrato intorno al punto diflesso. Una volta trovata una funzione simile, e’ sufficientefarne la derivata seconda e porla uguale a zero.

Uno fra i possibili modelli analitici in grado di ripro-durre il tipico andamento di una curva di titolazione e’quello che segue:

ddp(V ) =p1

1 + exp (p2 (V − p3))

+ p4V3 + p5V

2 + p6V + p7

Questa relazione esprime la differenza di potenziale mi-surata ddp come funzione del volume di titolante V . I ter-mini p1 . . . p7 sono dei parametri: mentre le caratteristiche

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V

d2

dV

2ddp

2000

0

−2000

d dVddp

1000

500

0

ddp

250

0

−250

−500

Figura 1.24: Le derivate prima e seconda di una curva dititolazione reale

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generali della funzione sono determinate dalla sua formaanalitica, il suo aspetto particolare e’ determinato dal valo-re numerico dei parametri. Per comprendere cosa significhicio’, facciamo un semplicissimo parallelo. Sappiamo tuttiche la funzione:

y(x) = mx+ q

rappresenta una retta nel piano cartesiano. Questa (cioe’quella di essere una retta) e’ una caratteristica insita nelmodello analitico, indipendente dal particolare valore deiparametri, che in questo caso sono m, la pendenza, e q,l’intercetta. La forma che abbiamo scritto sopra rappre-senta una (doppia) infinita’ di rette: possiamo individua-re una particolare retta di questo insieme assegnando dueparticolari valori a m e q.

Cerchiamo di comprendere in modo qualitativo come e’fatto il modello proposto per approssimare le curve di ti-tolazione. A questo scopo, e’ utile riscriverlo come sommadi due parti:

y1(V ) =p1

1 + exp (p2 (V − p3))

y2(V ) = p4V3 + p5V

2 + p6V + p7

ddp(V ) = y1(V ) + y2(V )

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Il termine y1(V ) e’ la parte piu’ significativa del model-lo: esso rappresenta una funzione sigmoide le cui caratteri-stiche dipendono dai tre parametri p1, p2, p3. L’andamentodi y1(V ) e’ mostrato nella figura 1.25: in pratica la funzio-ne e’ contenuta in una “striscia” delimitata dall’asse V edalla retta orizzontale y = p1; presenta un punto di flessola cui posizione lungo l’asse V coincide con il parametrop3; restringendoci ai soli valori positivi del parametro p1,la funzione e’ crescente se p2 < 0 e decrescente se p2 > 0;infine, la “ripidezza” del salto compiuto dalla funzione incorrispondenza al punto di flesso e’ proporzionale al valoreassoluto di p2 (dovreste essere in grado di verificare tuttocio’ con tecniche di analisi di base).

Il termine y2(V ), che non e’ altro che un polinomio diterzo grado, e’ stato introdotto per due motivi. Il primoe’ che le curve di titolazione sperimentali possono esse-re traslate arbitrariamente lungo l’asse verticale mentre lafunzione y1(V ) tende inevitabilmente a 0, per V → +∞ oV → −∞ (a seconda del segno di p1 e p2): y2(V ) ha quindiil compito di traslare opportunamente la sigmoide affinche’possa seguire la curva sperimentale. Il secondo scopo deltermine polinomiale e’ quello di aumentare le “possibilita’di adattamento” della sigmoide all’andamento dei puntisperimentali.

Come si procede in pratica? Alla fine dell’esperimen-to di titolazione potenziometrica abbiamo un grafico delladifferenza di potenziale misurata in funzione del volume di

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V

ddp(V)

3020100

6

4

2

0

y 2(V

)

8

6

4

2

y 1(V

)

2

1

0

Figura 1.25: L’approssimazione di una curva di titolazio-ne potenziometrica con la funzione descritta nel testo: idue tratti verticali indicano la regione dell’asse V selezio-nata per la procedura di ottimizzazione. I valori ottimiz-zati dei parametri sono: p1 = 1.436, p2 = −1.977, p3 =14.898, p4 = −8.45×10

−4, p5 = 0.040, p6 = −0.429, p7 =3.877

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titolante aggiunto. A questo punto il problema e’ quellodi determinare i valori dei parametri p1 · · · p7 per i quali ilmodello analitico segue l’andamento dei dati sperimentalinel modo migliore possibile. Problemi di questo tipo sonodetti di “modellizzazione” o “best fit” ed esistono nume-rosissimi metodi per la loro soluzione (saro’ lieto di daremaggiori dettagli a chi sia interessato). In definitiva, i datisperimentali vengono immessi in un programma che rea-lizza un algoritmo tramite il quale i valori dei parametrivengono iterativamente affinati finche’ l’accordo fra model-lo e dati sperimentali risulta il migliore possibile; a questopunto, il programma risolve l’equazione:

d2

dV 2ddp(V ) = 0

fornendo cosi’ il valore del volume finale.

Nella figura 1.25 e’ illustrato il procedimento di otti-mizzazione di cui stiamo parlando applicato ad un casoreale. Per maggior chiarezza, i termini ottimizzati y1(V )e y2(V ) sono mostrati separatamente nei primi due gra-fici; nel terzo grafico i circoletti sono i punti sperimen-tali mentre la linea continua e’ il grafico della funzioneddp(V ) = y1(V ) + y2(V ) con i valori ottimizzati dei para-metri. Osservate come i dati sperimentali descrivano unasigmoide compresa all’incirca fra 2 e 6, mentre la funzioney1(V ), come detto prima, e’ compresa fra 0 e ≈ 1.5: iltermine y2(V ) trasla la sigmoide portandola sui punti spe-

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rimentali. Osservate ancora che l’accordo del modello coni dati sperimentali e’ piuttosto buono solo in un intervallolimitato e centrato intorno al punto finale: al di fuori diquesto intervallo (si vede particolarmente bene per V → 0)la funzione analitica non segue affatto i dati sperimentali.Questo non e’ un problema, visto che siamo interessati so-lo al punto di flesso della curva di titolazione e quindi cibasta che la funzione coincida il piu’ possibile con la curvadi titolazione solo in un intorno del flesso.

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Appendice A

Il raggiungimento

dell’equilibrio in un

sistema elettrodico

67. In questa sezione useremo un semplicissimo model-lo matematico della reazione elettrodica per comprenderepiu’ a fondo il modo in cui un sistema elettrodico raggiun-ge l’equilibrio e come in tale stato di equilibrio esista unadifferenza di potenziale fra metallo e soluzione.

Sappiamo che la semireazione redox che interconverte i duemembri della coppia redox presente nel sistema elettrodicoe’ la “risultante” di due processi che sono uno l’inversodell’altro: l’ossidazione e la riduzione.

Indichiamo con voss e vrid le velocita’ di questi due processi.

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Se consideriamo il semplice sistema Ag+/Ag, allora vosse’ il numero di moli di atomi di Ag che abbandonano ilmetallo per andare in soluzione come ioni Ag+ nell’unita’di tempo. Analogamente, vrid rappresenta il numero dimoli di ioni Ag+ che si depositano dalla soluzione sul filometallico nell’unita’ di tempo.

Se in automobile stiamo viaggiando ad una velocita’ v, inun intervallo di tempo ∆t percorreremo uno spazio pariv∆t. In modo identico, il numero di moli di atomi di Agche abbandonano il metallo e il numero di moli di ioni Ag+

che vi si depositano in un intervallo di tempo ∆t sono dati,rispettivamente, da voss∆t e vrid∆t.

Il punto essenziale per cui il sistema elettrodico raggiungel’equilibrio e’ che voss e vrid cambiano nel tempo a causadella separazione di carica che si instaura fra metallo esoluzione.

68. La dipendenza delle velocita’ dei due processi (ossida-zione e riduzione) dalla separazione di carica fra metalloe soluzione puo’ essere espressa in modo molto semplicecome segue:

voss = v0oss + kossq (A.1)

vrid = v0rid − kridq (A.2)

Nelle due espressioni su scritte, koss e krid sono delle co-stanti positive e q e’ la carica elettrica in eccesso presentesul metallo (chiaramente, ad ogni istante di tempo, la cari-

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ca q sul metallo e’ bilanciata da una carica di uguale entita’ma di segno opposto presente in soluzione). Inizialmente,a t = 0, non c’e’ separazione di carica fra metallo e solu-zione; in tale condizione si ha q = 0 e quindi voss = v0osse vrid = v0rid: v0oss e v0rid sono cioe’ i valori iniziali di vosse vrid, rispettivamente. Col trascorrere del tempo, sul me-tallo si accumula un eccesso di carica elettrica: se q > 0,allora voss viene aumentata di (kossq) rispetto al suo valoreiniziale e vrid viene diminuita di (kridq) rispetto al suo va-lore iniziale; si ha il viceversa, se q < 0. Le due espressionidicono quindi matematicamente cio’ che abbiamo gia’ il-lustrato a parole (punto 9): un eccesso di carica elettricapositiva sul metallo accelera l’ossidazione e rallenta la ridu-zione; il viceversa vale se sul metallo e’ presente un eccessodi carica negativa. Le costanti moltiplicative koss e kridesprimono la sensibilita’ di ciascuna velocita’ ad un deter-minato eccesso di carica sul metallo: maggiore e’ il lorovalore, e maggiore sara’ l’effetto di accelerazione o rallen-tamento sulla corrispondente velocita’ per un dato valoredi q.

69. Chiaramente, le equazioni A.1 e A.2 sono ben lungi dalrappresentare anche solo lontanamente la complessita’ diun sistema elettrodico (ad esempio, abbiamo volutamentetralasciato di rappresentare la dipendenza dalla concentra-zione); cio’ non di meno, esse possiedono le caratteristicheminime che servono ad illustrare l’evoluzione del sistema.

70. Assegniamo ora dei valori numerici ai vari parametri

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e proviamo a seguire l’evoluzione del sistema nel tempo.

Poniamo, ad esempio:

v0oss = 10

v0rid = 5

koss = 2

krid = 2

Questa scelta corrisponde alla situazione che abbiamo pri-ma descritto (punto 9), in cui a t = 0 l’ossidazione e’ piu’veloce della riduzione.

71. Per seguire l’evoluzione temporale del sistema elettro-dico, consideriamo un intervallo di tempo ∆t = 0.1 e cal-coliamo i valori che assumono voss, vrid e q dopo un tempopari a ∆t, 2∆t, 3∆t . . .

A t = 0, come abbiamo gia’ visto, si ha: voss = v0oss,vrid = v0rid e q = 0.

Quando e’ trascorso un tempo pari a ∆t = 0.1, un numerodi moli di atomi di Ag pari a voss∆t = v0oss∆t = 10×0.1 = 1hanno abbandonato il metallo sotto forma di ioni Ag+:per effetto dell’ossidazione, quindi, sul metallo si e’ crea-ta una carica negativa pari a 1 mole di elettroni; chia-miamo qoss tale carica, per sottolineare che e’ l’eccessodi carica dovuto al solo processo di ossidazione. Nello

stesso tempo, un numero di moli di ioni Ag+ dato da

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vrid∆t = v0rid∆t = 5× 0.1 = 0.5 si e’ depositato sul metal-lo dalla soluzione: questo processo crea quindi sul metallouna carica positiva qrid = +0.5. L’eccesso di carica ri-sultante sul metallo e’ dato dalla somma algebrica di qosse qrid, cioe’: q = qoss + qrid = −1 + 0.5 = −0.5. Vedia-mo quindi che, siccome abbiamo supposto che l’ossidazione

sia inizialmente piu’ veloce della riduzione, sul metallo siaccumula carica negativa (e nella soluzione si crea una cor-rispondente carica positiva). La carica q accumulatasi sulmetallo determina a sua volta un cambiamento di voss evrid secondo le equazioni A.1 e (A.2): voss = v0oss + kossq =10+2×(−0.5) = 9 e vrid = v0rid−kridq = 5−2×(−0.5) = 6.Troviamo cosi’ che, dopo un tempo pari a ∆t = 0.1, il pro-cesso inizialmente piu’ veloce (l’ossidazione) e’ rallentato,mentre quello piu’ lento (la riduzione) e’ accelerato, comeavevamo gia’ detto in precedenza.

72. A questo punto siamo pronti per calcolare i valori divoss, vrid e q dopo un tempo pari a 2∆t, a partire dai va-

lori che abbiamo appena calcolato al tempo ∆t. Durantequesto secondo intervallo di tempo, l’ossidazione producesul metallo una carica negativa data da: qoss = −voss∆t =−9 × 0.1 = −0.9 e la riduzione crea nel filo metallico unacarica positiva pari a qrid = vrid∆t = 6 × 0.1 = 0.6. Lacarica risultante sul metallo sara’ data ora dalla sommaalgebrica di tre termini: la carica che si era gia’ accu-mulata durante il primo intervallo di tempo (chiamiamolaq(t=∆t)), il contributo negativo dell’ossidazione relativo al

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secondo intervallo di tempo e il contributo positivo del-la riduzione nello stesso intervallo di tempo. In simboli:q = q(t=∆t) + qoss + qrid = −0.5− 0.9 + 0.6 = −0.8.

I valori di voss e vrid al tempo t = 2∆t si ricavano sempredalle espressioni (A.1) e (A.2):

voss = v0oss + kossq = 10 + 2× (−0.8) = 8.4

vrid = v0rid − kridq = 5− 2× (−0.8) = 6.6

Come si vede, dopo un tempo pari a 2∆t, sul filo di Agcontinua ad accumularsi carica negativa; contemporanea-mente, voss continua a diminuire e vrid continua ad aumen-tare.

73. Sulla base di quanto appena visto, possiamo ora ge-neralizzare le formule per il calcolo di q, voss e vrid. A undato tempo, si calcolano qoss e qrid utilizzando i valori divoss e vrid, rispettivamente, calcolati nello step precedente.Poi si calcola q sommando i valori correnti di qoss e qrid eil valore di q allo step precedente. Infine, si aggiornano ivalori di voss e vrid con il valore di q appena ottenuto.

Indicando con l’indice n lo step “corrente”, corrisponden-te percio’ al tempo t = n∆t, il calcolo puo’ venire cosi’schematizzato:

v(n=0)oss = v0oss

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v(n=0)rid = v0ridq(n=0)oss = 0

q(n=0)rid = 0

q(n=0) = 0

qnoss = −vn−1oss ∆t

= −(v0oss + kossqn−1)∆t

qnrid = vn−1rid ∆t

= (v0rid − kridqn−1)∆t

qn = qn−1 + qnoss + qnridvnoss = v0oss + kossq

n

vnrid = v0rid − kridqn

n = 1, 2, 3 . . .

Con una calcolatrice da tavolo (piu’ comodamente con uncomputer, se si conosce un linguaggio di programmazionequalsiasi) e’ possibile costruire la tabella che segue:

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n t qoss qrid q voss vrid0 0.000 0.000 0.000 0.000 10.000 5.0001 0.100 −1.000 0.500 −0.500 9.000 6.0002 0.200 −0.900 0.600 −0.800 8.400 6.6003 0.300 −0.840 0.660 −0.980 8.040 6.9604 0.400 −0.804 0.696 −1.088 7.824 7.1765 0.500 −0.782 0.718 −1.153 7.694 7.3066 0.600 −0.769 0.731 −1.192 7.617 7.3837 0.700 −0.762 0.738 −1.215 7.570 7.4308 0.800 −0.757 0.743 −1.229 7.542 7.4589 0.900 −0.754 0.746 −1.237 7.525 7.475

10 1.000 −0.753 0.747 −1.242 7.515 7.48511 1.100 −0.752 0.748 −1.245 7.509 7.49112 1.200 −0.751 0.749 −1.247 7.505 7.49513 1.300 −0.751 0.749 −1.248 7.503 7.49714 1.400 −0.750 0.750 −1.249 7.502 7.49815 1.500 −0.750 0.750 −1.249 7.501 7.49916 1.600 −0.750 0.750 −1.250 7.501 7.49917 1.700 −0.750 0.750 −1.250 7.500 7.50018 1.800 −0.750 0.750 −1.250 7.500 7.50019 1.900 −0.750 0.750 −1.250 7.500 7.50020 2.000 −0.750 0.750 −1.250 7.500 7.500

Commentiamo i dati riportati nella tabella (per comodita’,l’andamento di q, voss e vrid in funzione del tempo e’ statodiagrammato nelle figure (A.1) e (A.2)).

Siccome siamo nell’ipotesi che l’ossidazione sia inizialmen-te piu’ veloce della riduzione, nel periodo iniziale la caricanegativa creata dalla ossidazione sul metallo e’ maggiore(in modulo) della carica positiva prodotta dalla riduzione;cio’ fa si’ che il metallo acquisti una carica netta negati-va che cresce nel tempo (la colonna q nella tabella e lafigura (A.1)). Tuttavia, la presenza di questa carica net-ta negativa sul filo di Ag provoca una diminuzione di vosse un aumento di vrid; la conseguenza e’ che il caricamen-to negativo del metallo rispetto alla soluzione avviene avelocita’ via via minore. Si arriva cosi’, inevitabilmente,al momento in cui, nell’intervallo ∆t, si ha |qoss| = qrid(step numero 16 nella tabella): da questo punto in poi, q,

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t

q

21.510.50

0.0

-0.2

-0.5

-0.8

-1.0

-1.2

Figura A.1: Accumulo di carica elettrica negativa nellafase metallica

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t

v

vrid

voss

21.510.50

10.0

9.0

8.0

7.0

6.0

5.0

Figura A.2: Variazione nel tempo della velocita’ diossidazione e della velocita’ di riduzione

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voss e vrid smettono di cambiare e il sistema elettrodico haraggiunto l’equilibrio.

E’ importante realizzare che, all’equilibrio, l’ossidazionee la riduzione non si sono fermate: i due processi stannocontinuando ad avvenire, ma alla stessa velocita’ (7.5 (molidi Ag o Ag+)/(unita’ di tempo), nella tabella).

Osserviamo ancora che, quando si e’ raggiunto l’equilibrio,sul filo di Ag e’ presente un eccesso di carica negativa paria −1.25 moli di elettroni. Chiaramente la soluzione con-terra’ un eccesso di carica positiva di uguale valore. A cau-sa di questa separazione di carica, fra metallo e soluzioneesiste una differenza di potenziale elettrico che abbiamochiamato potenziale elettrodico.

Provate a ripetere i calcoli cambiando i parametri: adesempio, costruite una tabella analoga per il caso in cuila riduzione sia inizialmente piu’ veloce dell’ossidazione.Una scelta opportuna dei parametri potrebbe essere:

v0oss = 4

v0rid = 9

koss = 3

krid = 2

∆t = 0.1