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Appunti sullo stretching Un breve sommario di metodologie e tecniche A cura di Mentore Siesto per il Kosmos Club Pisa – anno 2010

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Appunti sullo stretching

Un breve sommario di metodologie e tecniche

A cura di Mentore Siesto per il Kosmos Club Pisa – anno 2010

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Indice generale

1. Scopi dello stretching

2. La cellula e la fibra muscolare

3. La teoria alla base dello stretching

4. Metodiche di stretching - accenni

5. Falsi miti dello stretching

6. Lo stretching statico

7. Lo stretching dinamico

8. Lo stretching PNF e isometrico

9. Allenamento funzionale

10. Quando e come

11. Conclusioni

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Scopi dello stretching.

“Stretching” (da to stretch, allungare) è il nome dato a una serie di tecniche e metodologie, il cui

obbiettivo principale è distendere e allungare le fibre muscolari del corpo.

La distensione dei muscoli è qualcosa di spontaneo e naturale per la maggior parte delle persone:

basta pensare allo stiracchiamento che ognuno di noi fa al mattino, appena svegliato, oppure dopo

un profondo respiro o uno sbadiglio; o ancora, allo stiracchiarsi e allungarsi di gatti e cani poco

prima di muoversi per le loro quotidiane escursioni.

Lo stretching può essere praticato a qualsiasi età e in qualsiasi condizione fisica non patologica:

negli anni ’80 è divenuto una disciplina particolarmente famosa ai tempi della diffusione della

danza aerobica e jazz, e le conoscenze di quei tempi si sono diffuse e cristallizzate nella maggior

parte delle discipline.

Negli anni sono stati effettuati molti studi di fisiologia, biomeccanica e altro ancora, che hanno

permesso di estendere e approfondire notevolmente le conoscenze relative allo stretching, arrivando

a porre molti dubbi su certe metodiche, inizialmente ritenute efficaci.

In questo articolo cercherò di condensare alcune nozioni su come “funzionano” le metodiche di

stretching, parlando più diffusamente di una metodica specifica, ideale per le attività fisiche più

disparate. Cercherò inoltre di sfatare alcuni falsi miti dello stretching, troppe volte considerati come

verità inattaccabili, e che invece hanno spesso causato danni più o meno seri.

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La cellula e la fibra muscolare.

Vediamo un brevissimo cenno alle caratteristiche dei muscoli. Sarà importante avere presenti queste

annotazioni quando analizzeremo le metodiche di stretching.

I muscoli nel corpo umano vengono classificati in tre categorie: volontari (controllati cioè dalla

volontà), involontari (non controllati direttamente dalla volontà, ma da sezioni specifiche del

sistema nervoso) e lisci.

Le caratteristiche di questi muscoli sono diverse tra loro, soprattutto per la struttura e la

composizione. In questo articolo ci interessiamo ai muscoli volontari, su cui è possibile agire con le

tecniche di stretching.

Un muscolo volontario è composto di un certo numero di fibre muscolari (programmato

geneticamente): queste si uniscono assieme in più fascicoli, i quali a loro volta si raggruppano in un

fascio muscolare.

Schematicamente, la struttura del muscolo volontario è tratteggiata nella figura seguente:

Figura 1 - Muscolo scheletrico

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I fascicoli e i fasci muscolari sono inguainati in fibre elastiche (collagene) e attraversati dai vasi

sanguigni e dai nervi.

Il muscolo si connette poi all’osso tramite una struttura molto rigida, composta soprattutto di tessuto

connettivo (il tendine).

La singola fibra muscolare, a sua volta, è costruita schematicamente in questo modo:

Figura 2 - il reticolo sarcoplasmatico e la fibra muscolare

Senza entrare troppo nel dettaglio, ci interessano in particolare le miofibrille e i mitocondri.

Le miofibrille sono le strutture che, in base a un impulso nervoso, si contraggono sfruttando le altre

componenti della fibra attraverso un processo chimico di liberazione e recupero del calcio presente

nelle cisterne terminali: i mitocondri, invece, sono componenti della cellula il cui scopo è la

combustione dell’ossigeno trasportato dal sangue per fornire alla cellula l’energia necessaria a

seconda del tipo di richiesta energetica (meccanismi aerobico o anaerobico lattacido / alattacido).

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Particolarmente interessante ai nostri fini è la presenza, all’interno del muscolo, di due gruppi

nervosi particolarmente importanti:

• I fusi neuromuscolari

• Gli organi muscolo-tendinei (organo di Golgi).

Figura 3 - fusi neuromuscolari e organo di Golgi

Il compito di questi due corpuscoli, che - come si vede dall’immagine - sono direttamente connessi

alle fibre muscolari e tra di loro, è il seguente:

1. I fusi neuromuscolari rilevano lo stato di tensione della fibra e lo segnalano al cervello.

Contemporaneamente, in caso di stiramento eccessivo in ampiezza o in velocità, possono

determinare una contrazione del muscolo controllato (riflesso da stiramento) allo scopo di

impedirne un’ulteriore distensione. La precisione nel rilevamento da parte di questi recettori

è dell’ordine del decimo di millimetro.

2. Gli organi muscolo-tendinei (o corpuscoli del Golgi) si trovano invece alle estremità della

fibra, e leggono lo stato di contrazione del muscolo. Qualora questo superi un certo livello,

essi innescano un riflesso di rilassamento (riflesso miotattico inverso) anche in questo caso

allo scopo di proteggere le fibre muscolari dallo strappo.

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Nel funzionamento normale, questi corpuscoli fanno il lavoro inverso rispetto ai fusi

neuromuscolari, e consentono al cervello e al sistema nervoso di comprendere lo stato di

contrazione o di rilassamento dei muscoli scheletrici (propriocettività neuro-muscolare).

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La teoria alla base dello stretching.

Dal brevissimo esame della cellula muscolare visto nel paragrafo precedente, si capisce che il limite

di distensione di un muscolo è regolato dai recettori citati sopra. Questi rispondono a determinate

soglie di tensione, allungamento, contrazione e velocità di variazione della contrazione/tensione del

muscolo. Tali soglie risentono, in senso positivo o negativo, delle sollecitazioni date ai muscoli.

La cosa che più ci interessa è che le soglie di attivazione del riflesso miotattico diretto e inverso

possono essere modificate.

Lo stato di mobilità articolare normale (a parte i limiti genetici, dovuti alle articolazioni) è

costantemente variabile e spesso è dovuto a una lunga storia di microtraumi (stiramenti,

microstrappi, …), che hanno condizionato le soglie di intervento di questi recettori, in un senso o

nel senso opposto.

Il meccanismo dello stretching quindi non coinvolge, come molti ancora credono, un allungamento

della struttura fisica del muscolo (nella sezione più sotto si possono leggere i motivi), quanto la

“riprogrammazione” delle soglie di attività dei recettori, allo scopo di consentire ai muscoli di

allungarsi maggiormente e a diverse velocità.

Dagli studi e dalle analisi condotte negli ultimi 40 anni si è inoltre capito anche che:

• L’allungamento dipende dalla velocità del movimento: un allungamento statico è

completamente diverso da un movimento che porti alla distensione completa di un arto, in

quanto i recettori gestiscono diversamente le due situazioni;

• L’allungamento dipende dalla posizione del corpo e degli arti: lo stretching a terra e quello

in piedi sono due esperienze diverse tra loro dal punto di vista neuromuscolare;

• L’allungamento dipende dall’allineamento dei segmenti corporei: un’articolazione disposta

correttamente consentirà il massimo allungamento del muscolo, senza limitazioni forzate

alla gamma di movimento (Range of motion – ROM).

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Ne segue quindi che lo stretching è un allenamento del sistema nervoso e non di altri sistemi

corporei: il muscolo, struttura molto elastica, può allungarsi naturalmente fino alla massima

estensione consentita dall’articolazione, purché questa cosa gli venga “insegnata”.

Fate il seguente esperimento. Prendete una sedia e portatela alla vostra destra. Sollevate la gamba

destra e portatela, con il piede e il ginocchio che puntano verso l’alto e distesa, con la caviglia

poggiata sullo schienale. Ripetete l’esperimento cambiando gamba.

Sostanzialmente, quel che avete fatto è una “mezza” divaricata sagittale con le due gambe. Se vi

state chiedendo “perché una cosa del genere?”, pensate che le due gambe sono indipendenti tra loro

dal punto di vista muscolare e articolare; capirete che non è “colpa” dei vostri legamenti, dei tendini

o di altro se non siete in grado di effettuare una divaricata completa.

C’è un altro motivo, e questo motivo è la soglia di intervento dei recettori dell’allungamento. In

questo esperimento avete invece dimostrato che le vostre gambe possono disporsi nella divaricata, e

niente di fisico glielo impedisce.

NOTA: in effetti c’è una piccola percentuale di persone, con una conformazione particolare del

bacino, che non possono arrivare alla divaricata completa. In questo caso la situazione è però

dovuta a questioni genetiche, non all’età o allo stato di allenamento.

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Metodiche di stretching.

Le metodiche di stretching più note e praticate attualmente sono le seguenti.

• Stretching balistico

consiste nel lanciare un arto alla massima velocità possibile, senza controllarne la traiettoria,

cercando di distenderlo il più possibile. Un’altra forma è quella in cui si cerca di raggiungere

la posizione di massimo allungamento tramite violente oscillazioni della zona in fase di

stiramento (esempio: divaricate eseguite elasticamente, sollevando e lasciando andare il

corpo senza controllo).

Questa metodica è stata abbandonata quasi subito, in quanto sicura fonte di seri danni e

infortuni, a causa della contrazione riflessa dei muscoli sottoposti a uno stiramento così

brutale e rapido.

• Stretching statico passivo (o di Anderson)

viene chiamato così dal nome del tecnico che per primo ha effettuato e pubblicato una

classificazione di tale metodica (Bob Anderson).

Lo stretching statico passivo consiste, generalmente, nell’arrivare a una posizione di

allungamento dell’arto, mantenuta per un tempo variabile da trenta secondi a oltre un

minuto, curando la postura e la respirazione. Questo metodo ha molti vantaggi e ha avuto un

notevole successo.

• Stretching dinamico

le tecniche di stretching dinamico (stretching attivo o ROM) sono basate sulle analisi

effettuate sul sistema neuromuscolare umano a partire dagli anni ’70. Lo stretching dinamico

permette di superare i limiti dello stretching statico, consentendo inoltre di effettuare una

pratica di stretching specifica della propria attività fisica. È inoltre un metodo di

potenziamento fisico tenuto in grande considerazione dagli esperti della cultura fisica e degli

sport di prestazione.

• Stretching PNF:

basato su tecniche di riabilitazione avanzate, è una metodica di stretching di notevole

efficacia, utile anche per il potenziamento muscolare. Difficile da applicare, richiede un

controllo notevole, ma permette di raggiungere risultati impressionanti.

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Nel prosieguo di questo articolo parleremo più diffusamente delle tre tecniche più efficaci: lo

stretching balistico è universalmente riconosciuto come inefficace e dannoso, e va evitato in

qualsiasi caso.

Falsi miti dello stretching.

Vediamo qualche “leggenda” sullo stretching. Negli ambienti del fitness e della pratica ginnica in

particolare vi sono molte conoscenze tramandate grazie all’”amico dell’amico” o a quell’anziano

“che sa” semplicemente per aver sentito dire cose dette da altri ancora.

NOTA: per questo paragrafo faccio riferimento in particolar modo allo stretching statico passivo (di

Anderson), il più noto e diffuso, e purtroppo anche quello su cui più spesso sono sorti errori e

interpretazioni pericolose. In certi casi, traccerò un confronto con le altre metodiche.

• Lo stretching è un ottimo metodo di riscaldamento

Lo stretching statico passivo non è affatto un metodo di riscaldamento. Per questo tipo di esercizi è

necessario un lavoro in rilassamento del corpo e degli arti coinvolti, per cui se del caso funziona

soprattutto come metodo di defatigamento e recupero.

La cosa si nota facilmente confrontando la metodica statica con quella dinamica: nella pratica

statica, di solito è difficile notare sudorazione corporea (solitamente fredda e più facilmente limitata

al viso), e il battito cardiaco rallenta.

L’esatto opposto accade nello stretching dinamico, in cui il battito cardiaco accelera e si ha un

effettivo aumento della temperatura corporea, con sudorazione diffusa.

• Lo stretching previene gli infortuni

È stato dimostrato che uno stretching statico prolungato intenso è in grado di ridurre la forza

esprimibile dal muscolo. In particolare, dopo un allungamento intenso, si è registrata una perdita di

forza di circa il 20% da parte del muscolo, effetto che prosegue per circa mezz’ora dopo lo stimolo.

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In queste condizioni di squilibrio è molto facile ottenere stiramenti o infortuni dovuti alla minor

forza esprimibile, oltre che al minor controllo della traiettoria di un movimento.

• Lo stretching serve ad allungare i tendini (oppure: lo stretching agisce sui tendini)

Se una cosa simile fosse vera, chiunque praticasse stretching si ritroverebbe costantemente a rischio

di lussazioni articolari! Lo stretching, quale che esso sia, agisce in realtà sulla componente neuro-

motoria (come visto prima).

Un allungamento dei tendini o dei legamenti porterebbe inevitabilmente a lassismo articolare

(rischio di lussazioni), oppure all’impossibilità di addurre o abdurre completamente un arto; la

contrazione del muscolo non basterebbe a far percorrere all’arto la sua traiettoria completa.

• Lo stretching non è dannoso

Lo stretching può essere dannoso .

Stretching balistici incontrollati attivano il riflesso da stiramento e possono provocare strappi nel

muscolo in fase di stiramento a causa della repentina contrazione riflessa.

Stretching effettuati senza il necessario riscaldamento possono comportare lo stesso rischio, ed

esercizi fisici dopo uno stretching intenso sono pericolosi per l’integrità del muscolo.

Uno stretching statico intenso effettuato prima di un’attività altamente dinamica mette i muscoli a

rischio di strappo, a causa della diminuzione di forza esprimibile dalle fibre stirate.

Lo stretching dinamico, praticato senza la necessaria gradualità e attenzione, può causare problemi

alla schiena e ridurre, di fatto, le soglie di intervento dei recettori.

Lo stretching PNF richiede una pratica specifica a sé stante, essendo tra le altre cose molto

impegnativo per la muscolatura.

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• Lo stretching fa dimagrire

Questa cosa può avere un senso (estremamente limitato) solo se inquadrata in un’attività dinamica

ad alta componente di lavoro aerobico (e di lunga durata). Che lo stretching “faccia dimagrire”

perché comporta un impiego di energie è una frase, di per sé, priva di senso.

Questo vale soprattutto per lo stretching statico rilassato, in cui l’impegno fisico è minimale.

• Gli effetti dello stretching diminuiscono con l’età

Ennesimo falso. Una pratica corretta, anche se viene intrapresa “tardi”, può dare risultati eccellenti

e duraturi, con la possibilità di incrementi fino a raggiungere i propri limiti genetici (in assenza di

particolari traumi o danni muscolari permanenti e cicatrizzati, limite difficilmente valicabile).

L’importante è creare un programma di stretching che contenga le diverse metodiche, organizzate

nel modo più opportuno e adattato alle peculiarità del praticante. Per questo sono necessarie

esperienza e attenzione, ma i risultati non mancano mai di mostrarsi.

• Una grande mobilità articolare implica poca forza

Anche questa è una affermazione da prendere con le molle, soprattutto se si considerano specialisti

dell’atletica come i ginnasti, o delle discipline di combattimento come il Kyokushinkai (e molti altri

stili a “contatto pieno”), capaci di tirare calci molto alti con effetti devastanti.

Da un lato è vero che, quando l’arto si avvicina alla massima distensione, i recettori intervengono

per rallentarne il movimento, in modo da prevenire infortuni (motivo per il quale, nelle discipline di

combattimento e nelle arti marziali, si insegna che il bersaglio dev’essere raggiunto con l’arto

ancora non completamente disteso), per cui arrivare alla massima estensione comporta

fisiologicamente una diminuzione della velocità di movimento dell’arto.

D’altro canto, gli esercizi di stretching (dinamico e PNF in particolar modo) permettono all’arto di

distendersi maggiormente a velocità elevate e di utilizzare al meglio la forza disponibile, il che

sostanzialmente contraddice il concetto sopra esposto.

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Anche in questo caso si può dire che l’affermazione “la mobilità articolare è inversamente

proporzionale alla forza” riflette un modo di pensare e conoscenze piuttosto obsolete.

• Perché lo stretching abbia efficacia è necessario sentire (un po’ di / molto) dolore

Chiunque riporti come vera una simile sciocchezza dovrebbe essere denunciato. Il dolore

muscolare, in particolare in esercizi complessi come lo stretching, deve essere evitato.

Non esiste una singola giustificazione sensata a questa affermazione. Il dolore durante lo stretching

significa che i muscoli stanno lavorando nella maniera sbagliata, danneggiandosi, e che chi pratica

stretching in questo modo sta preparandosi per una fulgida carriera di infortunato.

Il concetto “no pain no gain”, tanto caro a una certa scuola culturistica, non può e non deve

applicarsi allo stretching.

Comandamento numero 1: niente dolore. Punto.

Queste sono alcune delle principali “leggende metropolitane” che ancora circolano sullo stretching,

anche in ambito semi-professionale. Ci sarebbero ancora altre cose da dire, ma ho preferito

focalizzarmi sulle principali, in modo da sfatare i miti più frequentemente ascoltati e tramandati.

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Lo stretching statico.

Lo stretching statico passivo, come già detto prima, è una metodica praticata da molti anni con

ottimi risultati. Classificato per la prima volta da Bob Anderson nel 1945 nel suo libro “Stretching”,

si basa sul mantenimento di posizioni statiche in cui la muscolatura viene fatta allungare cercandone

il massimo rilassamento.

Dato che lo stretching statico passivo è abbondantemente documentato in moltissimi libri, ne diamo

qui una descrizione minimale.

Lo schema di allenamento comune agli esercizi dello stretching di Anderson è il seguente:

1. Raggiungere, lentamente e senza oscillazioni, una posizione di medio allungamento dell’arto

(degli arti) da allungare, mantenendola per pochi secondi (circa 10 o poco più);

2. Aiutandosi eventualmente con attrezzi o altri sistemi (un partner, per esempio) raggiungere

lentamente la posizione di massimo allungamento, cercando di mantenere una respirazione

corretta e profonda e mantenendo corretta la postura corporea;

3. Mantenere la posizione di massimo allungamento per almeno 20”, di più per i gruppi

muscolari più ampi come glutei e quadricipiti femorali;

4. Rientrare lentamente in una posizione di riposo, avendo cura di non effettuare movimenti

bruschi o scorretti.

È necessario seguire alcune regole guida molto importanti, per evitare effetti dannosi anche seri a

carico dei muscoli, ma anche della schiena, della cervicale e delle articolazioni.

1. Non distendere troppo rapidamente e in maniera incontrollata gli arti, per evitare di

innescare il riflesso miotattico e così abbassare la soglia di intervento dei recettori;

2. Respirare ampiamente e profondamente, utilizzando la parte bassa della cassa toracica e

senza sollevare le spalle. La corretta respirazione aiuta il rilassamento della muscolatura;

3. Negli esercizi che prevedono che il corpo si pieghi verso l’arto da allungare (es. molti

esercizi di stretching delle gambe), evitare di portare la testa verso l’arto (abbassandola per

cercare di toccare a tutti i costi l’arto). Bisogna cercare, piuttosto, di portare l’addome verso

l’arto da allungare (retroversione del bacino);

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4. Mantenere sempre il corretto allineamento della schiena, senza inarcarla per cercare il

massimo allungamento: non aiuta a distendere il muscolo da allungare ed è

controproducente per la schiena;

5. Cercare sempre la massima distensione, evitando a tutti i costi di sentire dolore. Un senso

di tensione è accettabile e anzi necessario, ma disagio e dolore sono segnali di allarme:

indicano che qualche parte del muscolo si sta danneggiando, e a lungo andare ciò porterà

invariabilmente a una riduzione della flessibilità, piuttosto che a un aumento, fino a causare

infortuni muscolari o tendinei (strappo/distacco) in casi estremi;

6. Far precedere ogni sessione di stretching da un congruo riscaldamento muscolare generico e

quindi specifico delle parti da allenare: lo stretching praticato “a freddo”, soprattutto se

intenso, è dannoso per le fibre muscolari e a lungo andare può causare infortuni anche seri;

7. Evitare sforzi fisici intensi dopo una sessione di stretching intensiva, almeno per alcune ore:

è provato sperimentalmente che lo stretching statico intenso riduce le prestazioni di forza dei

muscoli per almeno mezz’ora dopo la stimolazione.

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Lo stretching dinamico.

Come si diceva in precedenza, l’allungamento dei muscoli dipende da posizione (e allineamento)

dei segmenti corporei, velocità del movimento e intensità della contrazione.

Chiunque abbia fatto esercizio fisico si sarà reso conto, nella sua esperienza, di essere in grado di

eseguire certi movimenti liberamente lungo una certa direzione, e con molta più difficoltà in altre

direzioni; eppure l’arto è lo stesso, i muscoli coinvolti sono gli stessi e la distensione è identica.

Qual è allora il problema?

Il problema è nel sistema nervoso, che agisce contro la nostra volontà. E più si tenta di forzare,

maggiore è la contrazione involontaria del muscolo, il che lo predispone a infortuni e – peggio che

mai – riduce ancor di più le soglie di intervento dei recettori.

A causa di questa flessibilità del sistema nervoso (che in effetti è un enorme vantaggio, soprattutto

per evitare infortuni) lo stretching statico non è sufficiente – anzi può essere controproducente –

quando si esegue un’attività fisica dinamica, specialmente se composta di movimenti esplosivi e

rapidi, come la danza o le arti marziali.

Per queste attività è necessario un lavoro che comprenda in sé sia l’allungamento, sia una pratica

più vicina all’attività specifica; questo proprio allo scopo di “programmare” opportunamente i

livelli di intervento dei recettori.

Tramite lo stretching dinamico, correttamente eseguito, è possibile portare la propria flessibilità

dinamica allo stesso livello di quella statica. Questo significa, quindi, poter controllare a freddo e

senza riscaldamento iniziale la propria mobilità dinamica su un range molto maggiore del normale.

Lo stretching dinamico si compone di una serie di esercizi in cui gli arti vengono mossi in maniera

controllata, lungo l’intero ROM, a diverse velocità, fino a raggiungere la massima ampiezza di

movimento e velocità possibile, in forma prima generica e poi più vicina alla disciplina praticata.

Per esempio, esercizi ottimali per il tennis sono le circonduzioni delle braccia, seguite poi da

movimenti più simili alle tecniche specifiche del gioco (diritto, rovescio, smash, servizio ecc.); si

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possono allora eseguire movimenti che richiamano da vicino le movenze tipiche della disciplina,

senza raggiungere lo stesso grado di complessità.

Questi esercizi assolvono, da soli, a tutta una serie di compiti:

• Riscaldamento: sono movimenti eseguiti in più serie di più ripetizioni ciascuna (numero di

serie a piacere, con almeno dodici ripetizioni per serie, per condizionare i recettori

neuromuscolari), per cui contribuiscono al riscaldamento - generico prima e specifico poi;

• Allungamento: sono esercizi dedicati alla mobilità articolare dinamica e non statica, per cui

lavorano in maniera specifica sull’obiettivo, a differenza dello stretching statico;

• Studio del movimento: i movimenti dello stretching dinamico richiamano sempre più da

vicino quelli specifici della disciplina praticata, per cui sono un’ottima base di studio delle

movenze specifiche, dall’allineamento funzionale dei segmenti corporei alla respirazione;

• Potenziamento: lo stretching dinamico può essere eseguito anche per aumentare la forza dei

diversi distretti corporei, se eseguito con certe modalità.

Nella sostanza, quindi, gli esercizi di stretching dinamico si compongono di una serie di movimenti

(in pratica tutti quelli realizzabili), a differenti velocità e ampiezze.

I punti fondamentali dello stretching dinamico sono i seguenti:

1. Precisione del movimento: ogni movimento dev’essere calibrato correttamente. Per

esempio, negli slanci delle gambe (che vedremo dopo) è necessario controllare la traiettoria

dell’arto in tutto il percorso, in modo da evitare uno slancio eccessivo e dannoso. Allo stesso

modo l’allineamento dei segmenti corporei va tenuto sotto controllo;

2. Respirazione: la respirazione dev’essere corretta e profonda, di natura addominale e non

clavicolare. Una buona ossigenazione del sangue è indispensabile per la massima resa:

3. Gradualità: si inizia sempre con l’eseguire i movimenti con un ROM limitato, per poi

aumentarlo con il tempo (“il successo genera successo”: le soglie di intervento dei recettori

si innalzano). Procedendo in questo modo, in pochi mesi è possibile raggiungere la massima

mobilità dinamica e arrivare a movimenti molto veloci alla massima ampiezza;

4. Correttezza posturale: schiena e addome vengono coinvolti pesantemente nella maggior

parte degli esercizi. Lo stretching dinamico è, in questo senso, anche un notevole

allenamento per la regione centrale del corpo, vale a dire tutta la regione lombare e

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addominale: è necessario studiare la postura corretta e allineare il corpo opportunamente per

ogni esercizio praticato.

Da quello che abbiamo visto finora, lo stretching dinamico si compone di una varietà praticamente

infinita di movimenti, a seconda della disciplina praticata. Vediamone alcuni, specifici di discipline

di elevato valore atletico, come la ginnastica, la danza e le arti marziali.

La differenza più evidente fra questo tipo di esercizio e il vecchio stretching balistico è in un punto

fondamentale: gli arti non vengono slanciati in maniera incontrollata, ma diretti verso uno specifico

bersaglio; questo impone, dal punto di vista nervoso, un controllo immediato su traiettoria del

movimento e velocità dello stesso, nonché sul punto di arrivo dell’arto utilizzato.

Allo stesso modo, il controllo sulla velocità e la traiettoria del movimento permette di inibire i

riflessi neuromotori e aumentare gradatamente ampiezza e velocità consentite agli arti, fino alla

massima distensione statica.

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Esercizi per le braccia e il tronco

In questa categoria di esercizi potete far rientrare praticamente qualsiasi esercizio di distensione,

rotazione, circonduzione delle braccia o degli avambracci.

Potete quindi effettuare circonduzioni delle braccia attorno alle spalle o degli avambracci attorno ai

gomiti, così come aperture e chiusure delle braccia, per poi passare a esercizi maggiormente vicini

al tipo di attività praticata: per esempio, per il tennis potete effettuare movimenti simili a servizio,

smash, dritto, rovescio, mentre per discipline di combattimento andranno bene le distensioni delle

braccia e le rotazioni.

Come già detto in precedenza, tutti questi esercizi andranno eseguiti in modo controllato, non

balisticamente né slanciando violentemente le braccia, ma cercando di effettuare movimenti via via

più vicini a quelli contemplati dalla propria disciplina.

Esempio per le arti marziali: distensioni delle braccia in avanti, slanci delle braccia verso l'alto,

dall'alto in basso e all'indietro, aperture e chiusure delle braccia all'altezza del torace.

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Esercizi per le gambe e le tecniche di calcio

1 – Slanci in avanti alto delle gambe.

Disponetevi in posizione eretta, con la gamba sinistra in avanti e il piede sinistro ben piazzato a

terra. Sollevate il braccio destro all’altezza della spalla destra, o poco più in basso (regolerete

l’altezza del braccio con il tempo).

Mantenendo la gamba destra relativamente tesa, sollevatela mandando il piede destro a colpire la

mano destra aperta, con una forte espirazione. Nel caso sia necessario, abbassate la mano per

permettervi di muovere la gamba completamente, senza avvertire contrazione del bicipite femorale:

la gamba deve potersi muovere distesa.

Nell'immagine a pagina seguente, trovate una serie di fotografie frontali e laterali che dovrebbero

aiutare a mostrare il movimento corretto. Ricordate, all'inizio, di partire con la mano al livello della

spalla e non oltre!

Figura 4 - Slancio in avanti delle gambe. Vista anteriore e laterale

Eseguite quante serie volete, con 12 ripetizioni per serie, con la gamba destra e la sinistra.

Fermatevi quando siete stanchi; da quel momento in poi l'esercizio diventa inutile o rischioso.

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Fate in modo che il piede vada a contatto della mano, e non muovete la mano durante l’esercizio. Il

bersaglio è fondamentale per avere un punto a cui fermare la gamba con sicurezza, in modo da poter

calibrare ROM e velocità.

Con il tempo potrete alzare il braccio che usate come bersaglio e aumentare la velocità degli slanci.

Notate che è possibile sollevare il tallone durante la fase terminale dello slancio; nel farlo, date la

massima attenzione alla gamba d'appoggio, per mantenere l'equilibrio. Per mantenere la schiena

dritta e la colonna vertebrale allineata, tenete la testa ben dritta e guardate in avanti e verso l’alto

durante il movimento.

Nel sollevare la gamba, non lanciatela in maniera violenta, ma cercate di “portarla” verso la mano

in modo da controllare sempre la traiettoria e la postura della gamba. Concentratevi al massimo

sulla stabilità della gamba d’appoggio.

2 – Slanci laterali delle gambe.

In questo caso disponete il braccio-bersaglio al lato, di poco spostato in avanti. Questo per evitare di

assumere una traiettoria sbagliata della gamba.

Per effettuare gli slanci con la gamba destra, fate un mezzo passo con la sinistra a destra

scavalcando la gamba destra in avanti e quindi sollevate la gamba destra verso il braccio destro.

Figura 5 - Slanci della gamba verso il fianco – vista anteriore e laterale

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Nel movimento curate questi particolari:

• Il ginocchio della gamba che si solleva è sempre più in alto rispetto al piede: la gamba è

flessa, mai tesa;

• Il piede è orizzontale: se non riuscite a sollevare la gamba tenendo il piede in orizzontale,

riducete la traiettoria per il tempo necessario a condizionare il movimento corretto;

• La schiena è dritta e non inarcata: tenete i glutei e l’addome tesi durante il movimento, in

modo da stabilizzare la schiena. Il busto è leggermente inclinato in avanti per dare il

movimento corretto. La testa è sempre dritta e lo sguardo rivolto in avanti e verso l’alto;

• Evitate di raddrizzare la gamba d’appoggio, mantenendola invece sempre in flessione.

Anche in questo esercizio concentratevi molto sulla gamba d'appoggio;

• Il braccio da usare come bersaglio è sempre di poco avanzato rispetto al corpo, in modo che

la gamba che viene sollevata vada poco verso l’avanti e mai all’indietro.

3 – Slanci all’indietro.

In questo caso è impossibile utilizzare un arto come bersaglio, per cui è necessario prestare ancor

più attenzione nel movimento.

Appoggiate le mani a una spalliera o a un altro ostacolo abbastanza stabile e inclinate il busto in

avanti. Mantenendo bene l’appoggio sulle mani e sulla gamba destra, slanciate all’indietro la gamba

sinistra, tenendola relativamente tesa.

Figura 6 - Slanci verso l'indietro

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Ripetete il movimento per 12 volte, quindi rieseguite il tutto con la gamba sinistra. Notate,

nell'immagine, che l'escursione è diversa dagli slanci in avanti, nonostante siano coinvolti gli stessi

gruppi muscolari, a causa delle differenze di posizione e allineamento dei segmenti articolari.

Attenzione ai punti seguenti:

• Lo sguardo deve andare all’indietro, non verso la gamba che slanciate, per evitare di

inarcare la schiena. Allo stesso modo non è bene sollevare le spalle: mantenete il busto

fermo durante il movimento;

• Mantenete l’attenzione sulla gamba d’appoggio, per evitare di distenderla inutilmente. È,

piuttosto, utile pensare di abbassarla;

• Concentratevi sul dirigere la gamba in alto piuttosto che effettuare un movimento rapido:

l’idea è quella di portare il ROM al massimo, invece che tirare calci veloci.

Una variante di questi esercizi, volta al potenziamento muscolare oltre che alla flessibilità, consiste

nel partire a piedi uniti ed effettuare i sollevamenti senza slancio, partendo da fermo.

In questo modo è più importante fare attenzione alla schiena, per evitare movimenti sbagliati della

zona lombare, ma è possibile coniugare un aumento della mobilità articolare dinamica e un aumento

della forza dei muscoli (flessore dell’anca, adduttore, abduttore, eccetera).

Si possono poi realizzare moltissimi altri esercizi diversi con la stessa metodica: nelle immagini qui

sotto riportate, alcuni esempi.

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Figura 7 - Sollevamento in alto del ginocchio – vista anteriore e laterale

Figura 8 - Sollevamento del ginocchio al fianco – vista anteriore e laterale

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Figura 9 - Adduzione – circonduzione della gamba attorno all'articolazione coxofemorale

Figura 10 – Abduzione (movimento opposto)

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Figura 11 - Sollevamento al fianco, gamba richiamata alla coscia

In tutti questi movimenti (in quelli relativi alla disciplina che praticate), curate con la massima

attenzione la stabilità della gamba d'appoggio. Questo accorgimento è indispensabile per far partire

correttamente il movimento dell'arto da distendere e mantenere il giusto assetto corporeo.

Lo stretching PNF o isometrico.

Lo stretching PNF (Proprioceptive Neuromuscular Facilitation, facilitazione neuromuscolare

propriocettiva) è un metodo di allenamento utilizzato inizialmente come tecnica riabilitativa per

aiutare soggetti infortunati a recuperare rapidamente forza muscolare e mobilità dopo un intervento.

Successivamente si è affermato per i suoi eccellenti risultati in termini di mobilità articolare e

aumento di forza negli atleti.

Questi validissimi risultati sono controbilanciati da una notevole difficoltà applicativa. Inoltre, per i

migliori risultati in campo atletico, è necessario aver già ottenuto dei livelli di forza non indifferenti,

per evitare traumi e strappi muscolari.

La sequenza allenante per lo stretching PNF è la seguente:

1. Raggiungere, in rilassatezza, la posizione di massimo allungamento per l’arto da allenare;

2. Una volta raggiunto l’allungamento, effettuare una contrazione isometrica del muscolo

disteso per alcuni secondi (non più di 6), tendendolo con la massima forza;

3. Rilassare l’arto e distenderlo ulteriormente, contando sul riflesso miotattico inverso

innescato dalla contrazione.

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Questo schema di allenamento controlla direttamente il riflesso miotattico inverso e produce,

contemporaneamente, aumenti di forza e di mobilità.

Non entro nei dettagli di questo sistema di allenamento, cui sono stati dedicati interi testi scientifici:

consiglio di riferirsi a questi testi (citati in Bibliografia) per informazioni più corrette e approfondite

a riguardo.

Lo stretching PNF e in particolare lo stretching isometrico (una forma di stretching simile a quello

PNF), peraltro, richiedono una notevole forza nei muscoli coinvolti. Una contrazione isometrica di

un muscolo teso rappresenta una condizione molto stressante per il muscolo stesso, che facilmente

può danneggiarsi se l'allenamento non viene condotto con la necessaria attenzione e se il muscolo in

allenamento non è stato reso abbastanza forte.

Approfitto dell’occasione per dire che un libro (e, a maggior ragione, le informazioni scritte in

queste poche righe) NON è sufficiente a conoscere approfonditamente lo stretching PNF, così da

poterlo applicare: si tratta di un sistema di allenamento molto avanzato, che funziona ottimamente

come tecnica di riabilitazione ma che, per avere effetti allenanti e non dannosi, va applicato sotto

stretto e diretto controllo.

Allenamento funzionale.

Molti esperti di diverse discipline (come le arti marziali e le discipline di combattimento)

sostengono l’utilità di affiancare, agli esercizi di stretching statico e/o dinamico, un particolare

allenamento specifico della disciplina praticata.

Questa metodica consiste essenzialmente nel riprodurre i movimenti tipici della propria disciplina,

con grande lentezza e respirazione ampia e molto profonda, eventualmente aiutandosi con degli

opportuni sostegni (sbarre, spalliere ecc.).

Questa metodica viene confortata dall’esperienza relativa, per esempio, alla danza, in cui gli

esercizi “alla sbarra” svolgono un ruolo fondamentale per sviluppare quell’eccezionale controllo dei

movimenti tipico dei ballerini, ma anche dalle evidenze relative alla biomeccanica.

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Questo tipo di lavoro, infatti, svolge un allenamento specifico sulle fibre muscolari “rosse”

(ossidative, a contrazione lenta), il cui scopo fondamentale è la stabilizzazione dei segmenti ossei e

delle articolazioni. Non a caso, infatti, i muscoli cosiddetti “antigravitazionali” (nella parte bassa del

corpo, in special modo i muscoli gastrocnemi) sono particolarmente ricchi di fibre lente.

Figura 12 - esempio: circonduzione lenta e distensione con appoggio

L’allenamento basato su movimenti lenti permette di aumentare il controllo e la tenuta articolare su

tecniche particolarmente complesse (come le tecniche di calcio delle discipline di combattimento),

ma anche di allenare in maniera specifica la regione lombo-sacrale e quella addominale:

mantenendo l’attenzione su questa regione durante il movimento, infatti, si ottiene un consistente

rinforzo della zona del “core” (addome, schiena, glutei) con conseguenti buoni risultati sulla salute

fisica generale.

Ovviamente, anche la forza e la resistenza degli arti aumentano in maniera notevole, ma è

soprattutto la propriocettività a venire allenata in misura considerevole. Allo stesso modo la

mobilità statica viene allenata, permettendo l'aumento della mobilità dinamica a sua volta.

La critica rivolta a tale tipo di allenamento è generalmente quella di favorire lo sviluppo delle

cellule muscolari lente rispetto a quelle veloci, con la possibile specializzazione delle fibre

intermedie verso il tipo lento.

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Questa possibilità è peraltro piuttosto remota, considerando che questo allenamento non deve

comunque essere preponderante né tantomeno il lavoro principale di una qualsiasi disciplina:

inoltre, lo scopo fondamentale di un programma di allenamento è sempre il corretto dosaggio delle

varie componenti, in modo da avere le migliori prestazioni relativamente alla disciplina praticata.

Per una trattazione più ampia su questo argomento, è possibile consultare un mio precedente

articolo (allenamento delle tecniche di gamba) riportato in Bibliografia.

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Quando e come.

Allenarsi per la mobilità articolare richiede un lavoro differente a seconda del tipo di esercizi che si

fanno, dello scopo e soprattutto dell’impegno fisico necessario.

In tutti i casi, l’allenamento deve seguire delle precise linee guida:

1. Non forzare: nessun esercizio di stretching che arrivi al dolore può essere considerato

valido. Il dolore muscolare è segno di danni in corso, sia pur di piccola entità, che

richiedono tempo per venire recuperati – tempo durante il quale l’allenamento non è

possibile. Inoltre, il dolore viene automaticamente associato a un fallimento, per cui i

recettori di allungamento interverranno con maggiore urgenza ottenendo una riduzione della

mobilità, piuttosto che un suo aumento.

2. Attenzione alla postura: l’allineamento dei segmenti articolari consente di posizionare

correttamente tendini e legamenti, permettendo così il massimo allungamento del muscolo

senza arrivare al dolore (retroversione del bacino, tenuta della schiena e del capo…).

3. Respirazione: la respirazione dev’essere, in ogni caso, ampia e diaframmatica (i.e. eseguita

con la parte più bassa e ampia dei polmoni). Non è necessario riempire i polmoni

all’estremo, ma imparare a respirare correttamente e in maniera controllata, dosando

l’espirazione con la muscolatura addominale.

4. Dirigere l’arto e non la testa: moltissimi praticanti distendono gli arti e poi incurvano la

schiena nel tentativo di avvicinare il busto all’arto in estensione. È una pratica inutile ai fini

dello stretching e dannosa nei confronti della schiena, e pertanto va eliminata, senza

possibilità di contestazione.

5. Concentrazione: nessun esercizio di stretching praticato in maniera svagata, svogliata o

distratta può portare a risultati positivi. Il miglior risultato che si può ottenere è una discreta

perdita di tempo, il peggiore un serio infortunio.

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Stretching statico passivo.

Questi esercizi possono essere effettuati con buoni risultati e pochi rischi in sessioni separate, dopo

un congruo riscaldamento muscolare generico e quindi specifico, oppure al termine di una sessione

di allenamento.

A causa dell’affaticamento, in quest’ultimo caso, sarà bene non eseguire esercizi particolarmente

intensi, per evitare strappi o stiramenti, che potrebbero portare a danni muscolari immediati o

cumulativi – causando così infortuni muscolari difficili da curare in maniera completa.

Avendo sempre cura di non eccedere con la tensione muscolare, è possibile effettuare sessioni di

durate variabili a seconda di quanti e quali distretti muscolari allenare. Tipicamente, per i gruppi

maggiori (gambe e glutei), si può esercitare una tensione intensa per un tempo dell’ordine di 40” – 1

minuto al massimo, mentre per gruppi di dimensioni minori il tempo relativo si aggira attorno ai

30” massimo. Questi tempi sono suscettibili di variazioni a seconda della struttura muscolare, della

massa e della condizione fisica.

Solitamente una sessione specifica di stretching può durare intorno alla trentina di minuti (più o

meno), a seconda del grado di allenamento specifico.

Stretching dinamico.

Questo sistema di stretching può essere effettuato in sessioni separate, oppure come riscaldamento

specifico prima di un allenamento dinamico.

È possibile praticare tecniche di stretching dinamico durante la fase di riscaldamento, ma anche

nell’intervallo di tempo immediatamente precedente l’esecuzione di tecniche specifiche (per

esempio: slanci delle gambe poco prima di sessioni di calci nelle discipline di combattimento).

Per esempio, i praticanti di arti marziali potrebbero effettuare una o più serie di slanci (come quelli

descritti sopra) prima di lavorare su tecniche di gambe o braccia; in questo modo è possibile

preparare con maggiori risultati gli atleti al lavoro specifico.

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Solitamente si consiglia di effettuare almeno 12 ripetizioni di ogni movimento, allo scopo di

attivare correttamente i riflessi dei recettori e così modificare opportunamente le soglie di intervento

degli stessi.

Lo stretching dinamico può anche essere praticato come allenamento a sé stante, per la

“riprogrammazione” stabile delle soglie di intervento dei recettori neuro-muscolari in dinamica,

adottando diverse posizioni. In tal caso è possibile eseguire quante serie si voglia, arrivando al

limite della stanchezza prima di fermarsi (il vincolo più stringente è sempre la stanchezza del

gruppo muscolare più debole, e quindi più a rischio di infortuni).

Solitamente, per raggiungere i migliori risultati, si consiglia di eseguire due allenamenti al giorno;

in questo caso il tempo dopo il quale si ottiene il massimo grado di allungamento dinamico è di

pochi mesi. Più lungo sarà il periodo necessario se la frequenza è minore, ma la costanza

nell’allenamento garantirà comunque risultati eccellenti.

Dopo un periodo di allenamento abbastanza lungo (alcuni mesi) è molto facile arrivare alla massima

estensione con una singola serie di esercizi.

Stretching PNF.

Delle varie metodiche, il PNF è l’allenamento che prescrive obbligatoriamente l’esecuzione in

sessioni separate. Questo perché è necessario raggiungere tensioni muscolari elevate ed esercitare

una contrazione muscolare isometrica, cosa che comporta sempre uno sforzo molto elevato.

In nessun caso, pertanto, si potrà associare lo stretching PNF ad altre pratiche che coinvolgano i

gruppi muscolari interessati.

In base a queste premesse, si potrebbe pensare di strutturare un allenamento PNF di poche sessioni

settimanali, che non contrastino con gli allenamenti relativi alla propria disciplina. Come già

accennato, per intraprendere un allenamento PNF è consigliabile farsi seguire da uno specialista.

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Conclusioni.

Lo stretching, dalla pratica “casual” dei primi tempi, come le altre discipline di cultura fisica si è

notevolmente evoluto, anche grazie al contributo della medicina sportiva.

La maggiore conoscenza relativa allo stretching, peraltro, spesso non viene tenuta in considerazione

dagli addetti ai lavori, che alle volte nemmeno ne sono al corrente: se questo accade, rimane spesso

una conoscenza estremamente limitata e a volte non supportata da studi e approfondimenti al

riguardo. Vale come esempio il caso dello stretching dinamico, attività ancora spesso misconosciuta

in determinati ambienti sportivi.

Se ben praticato, lo stretching può dare risultati stabili per molti anni, indipendentemente dall’età e

dalle condizioni a cui si inizia. Inoltre, è possibile ottenere anche considerevoli effetti positivi sulla

forza muscolare e sulla stabilità e correttezza posturale, insieme al miglioramento nel controllo del

proprio corpo.

L’unione di tecniche di stretching dinamico e statico (eventualmente insieme al PNF) consente di

ottenere i migliori risultati in termini di mobilità articolare statica e dinamica, propriocettività e

forza, correttamente bilanciate. Un corretto programma di stretching dovrebbe essere, a mio parere,

inserito in qualsiasi schema di allenamento fisico, a prescindere dal tipo di risultato desiderato.

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Bibliografia.

• Tom Kurz: Stretch Yourself, estratti dalla rivista on-line TaeKwonDo Times, ed. Stadion

Publishing (http://www.stadion.com/)

• Giovanni Cianti: Stretching, ed. Euroclub

• J. G. Drevet, C. Gallin-Martel: Salva la tua schiena, ed. Euroclub

• Mentore Siesto: Allenamento delle tecniche di gamba, pubblicato per il Kosmos Club

(http://www.kosmosclub.it/biblio/articoli/allenamento delle tecniche di gamba.pdf)

• 24 fighting chickens: 30 days to greater flexibility

(http://www.24fightingchickens.com/2008/09/08/30-days-to-greater-flexibility/)

• NY Times, 31/10/2008: Stretching – the Truth (Gretchen Reynolds)

(http://www.nytimes.com/2008/11/02/sports/playmagazine/112pewarm.html)

• Elite Soccer Conditioning: Taylor Tollison – Dynamic Stretching Vs Static Stretching –

http://www.elitesoccerconditioning.com/Stretching-

Flexibility/DynamicStretchingvsStaticStretching.htm

Alcuni articoli medici:

• http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21178929 (Effect of active stretch on hip flexion range of motion in female professional futsal players)

• http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/21143443 (Are changes in leg power responsible for clinically meaningful improvements in mobility in older adults?)

• http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20962924 (Aerobic activity before and following short-duration static stretching improves range of motion and performance vs. a traditional warm-up)

• http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/20824861 (Stretch for the treatment and prevention of contractures)