APPUNTI SUI CONCETTI DI BASE (MATEMATICA E FISICA) · APPUNTI SUI CONCETTI DI BASE (MATEMATICA E...

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1 APPUNTI SUI CONCETTI DI BASE (MATEMATICA E FISICA) PER STUDENTI DI SCIENZE FORESTALI Dispense elaborate utilizzando in parte materiale presente in rete: le definizioni sono state riprese in parte da Wikipedia ed alcuni esercizi da ―Esercizi di fisica 1‖ del Prof. Ing. Boschet Giovanni. Capitolo 1 Propedeuticità Superfici Volumi Angoli Carta topografica e scala Curve di livello Pendenza e inclinazione Propedeuticità 1) Eseguire a mano la seguente moltiplicazione 160x22. 2) Eseguire a mano le seguenti moltiplicazioni: 153x37; 173x175; 13x450; 16x100; 133x132 3) Eseguire a mano la seguente moltiplicazione 163,1x12,5 Si esegue la moltiplicazione supponendo che i fattori non abbiano parte decimale: 1631x125 = 8155 3262- 1631-- 203875 Poi si mette il segno di separazione dei decimali (la virgola) partendo da destra e spostandosi verso sinistra di tanti posti pari alla somma dei posti (sempre contando da destra) che vi erano nei fattori iniziali:2038,75 (ricordarsi che nei Paesi di lingua Inglese, e quindi anche in alcuni programmi di calcolo per computer, viene utilizzato il puntino al posto della virgola per separare le unità dai decimali e la virgola per separare le migliaia). 4) Eseguire a mano le seguenti moltiplicazioni: 0,32x16; 18,6x32; 168,13x0,18; 0,008x0,05; 36x1/2; 15x1/5; 12x1/10 5) Eseguire a mano la seguente divisione: 163:4 Il primo numero che si deve dividere si chiama dividendo, il secondo si chiama divisore. Il risultato della divisione si chiama quoziente. 163:4= 40.75 6) Eseguire a mano le seguenti divisioni: 1025:5; 714:13; 625:3; 6312:413; 843:19; 63:115; 10022:45; 83:118; 74000:32; 11320:500 7) Eseguire la seguente divisione fino ad avere una cifra nella parte decimale: 163,11:14 Soluzione: siccome il dividendo è un numero con parte decimale, conviene applicare la proprietà invariantiva, moltiplicando dividendo e divisore per 100. 163,11x100=16311 14x100=14000 Si esegue la divisione 16311:14000 che è equivalente a quella assegnata. 8) Eseguire la seguente divisione a mano: 0,018:13 Si applica la proprietà invariantiva, moltiplicando dividendo e divisore per 1000. 0,018x1000=18 13x1000=13000 18:13000=0,00103 9) Eseguire le seguenti divisioni: 0,15:7; 0,12:0,03; 6,18:0,89; 12,12:14,1 10) Eseguire la seguente operazione: 15/63 11) Eseguire le seguenti divisioni a mano: 5:3/2; 6:0; 0:2; 0:0; 10:1/2; 20:1/4; 32:1/10. 12)Esprimere le seguenti misure in metri: 6 km; 7200 μm; 63 hm; 45 mm; 1300 cm; 62 dam; 8 dm

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APPUNTI SUI CONCETTI DI BASE (MATEMATICA E FISICA)

PER STUDENTI DI SCIENZE FORESTALI

Dispense elaborate utilizzando in parte materiale presente in rete: le definizioni sono state riprese in

parte da Wikipedia ed alcuni esercizi da ―Esercizi di fisica 1‖ del Prof. Ing. Boschet Giovanni.

Capitolo 1 Propedeuticità

Superfici

Volumi

Angoli

Carta topografica e scala

Curve di livello

Pendenza e inclinazione

Propedeuticità

1) Eseguire a mano la seguente moltiplicazione 160x22.

2) Eseguire a mano le seguenti moltiplicazioni: 153x37; 173x175; 13x450; 16x100; 133x132

3) Eseguire a mano la seguente moltiplicazione 163,1x12,5

Si esegue la moltiplicazione supponendo che i fattori non abbiano parte decimale:

1631x125=

8155

3262-

1631--

203875

Poi si mette il segno di separazione dei decimali (la virgola) partendo da destra e spostandosi verso

sinistra di tanti posti pari alla somma dei posti (sempre contando da destra) che vi erano nei fattori

iniziali:2038,75 (ricordarsi che nei Paesi di lingua Inglese, e quindi anche in alcuni programmi di

calcolo per computer, viene utilizzato il puntino al posto della virgola per separare le unità dai

decimali e la virgola per separare le migliaia).

4) Eseguire a mano le seguenti moltiplicazioni: 0,32x16; 18,6x32; 168,13x0,18; 0,008x0,05;

36x1/2; 15x1/5; 12x1/10

5) Eseguire a mano la seguente divisione: 163:4

Il primo numero che si deve dividere si chiama dividendo, il secondo si chiama divisore. Il risultato

della divisione si chiama quoziente. 163:4= 40.75

6) Eseguire a mano le seguenti divisioni: 1025:5; 714:13; 625:3; 6312:413; 843:19;

63:115; 10022:45; 83:118; 74000:32; 11320:500

7) Eseguire la seguente divisione fino ad avere una cifra nella parte decimale: 163,11:14

Soluzione: siccome il dividendo è un numero con parte decimale, conviene applicare la proprietà

invariantiva, moltiplicando dividendo e divisore per 100.

163,11x100=16311 14x100=14000

Si esegue la divisione 16311:14000 che è equivalente a quella assegnata.

8) Eseguire la seguente divisione a mano: 0,018:13

Si applica la proprietà invariantiva, moltiplicando dividendo e divisore per 1000.

0,018x1000=18 13x1000=13000 18:13000=0,00103

9) Eseguire le seguenti divisioni: 0,15:7; 0,12:0,03; 6,18:0,89; 12,12:14,1

10) Eseguire la seguente operazione: 15/63

11) Eseguire le seguenti divisioni a mano: 5:3/2; 6:0; 0:2; 0:0; 10:1/2; 20:1/4; 32:1/10.

12)Esprimere le seguenti misure in metri: 6 km; 7200 µm; 63 hm; 45 mm; 1300 cm; 62 dam; 8 dm

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13) Scrivere le seguenti misure in metri: 300 km; 60 dm; 0,6 cm; 3200 mm.

14) Eseguire le seguenti operazioni:

86 10.10 ; 5

4

6

10.10

10;

286 )10.(10

15) Eseguire le seguenti operazioni:

46 ; 3 227

16) Scrivere in notazione scientifica le seguenti misure: 7324 kg; 0,0001 m; 485000 N ; 18250 m.

Superfici

Sono state e sono tuttora utilizzate unità di misura per l'area. Nel passato si sceglievano unità sulla

base di esigenze locali e, in particolare nel mondo rurale, si avevano misure diverse anche in regioni

limitrofe. Successivamente, a partire dalle spinte illuministiche, si sono date definizioni razionali e

unificanti. Qui presentiamo le unità più importanti.

metro quadrato (m²) — è l'unità del Sistema internazionale di unità di misura

centimetro quadrato (cm²): 1 cm² = 0,0001 m² — è l'unità del sistema CGS

ara: 1 ara = 100 m² (usata per misurare l'estensione di terreni)

ettaro: 1 ha = 10.000 m² (usata per misurare l'estensione di terreni)

chilometro quadrato: 1 km² = 100 ha = 1.000.000 m² (usato per la misura di territori di

estensione media e grande (superfici comunali, provinciali, regionali, nazionali, continentali

e planetarie)

piede quadrato: 1 piede quadrato = 0,09290304 m² — (unità di misura anglosassone)

iarda quadrata: 1 iarda quadrata = 9 piedi quadrati = 0,83612736 m²

miglio quadrato: 1 miglio quadrato = 2.589.988,1103 m²

acro internazionale: 1 acro = 4.046,8564224 m²

Aree di figure piane

Quadrato: (dove l è la misura del lato)

Rettangolo: (dove b è la misura della lunghezza della base e h la misura

dell'altezza)

Cerchio: (dove r è la misura del raggio del cerchio)

Ellisse: (dove a e b sono le misure delle lunghezze dei semiassi)

Poligono regolare: (dove P è la misura della lunghezza del perimetro ed a è la

misura dell'apotema del poligono ovvero la distanza tra il centro ed un lato)

Parallelogramma: (dove b è la misura della lunghezza della base e h la misura

dell'altezza corrispondente)

Trapezio: (dove B e b sono le misure delle lunghezze delle basi ed h

l'altezza)

Triangolo:

3

o (dove b è la misura della lunghezza della base e h la misura dell'altezza

corrispondente)

o secondo la formula di Erone (dove a, b, c sono

le misure delle lunghezze dei lati ed s è il semiperimetro)

l'area sottesa da una funzione f(x) è pari all'integrale definito della funzione stessa

Aree delle superfici di figure tridimensionali

cubo: , dove l è la misura della lunghezza del lato

sfera: , dove r è la misura del raggio della sfera

cilindro: , dove r è la misura del raggio della base e h è la misura

dell'altezza

cono: , dove r è la misura del raggio della base e h è la

misura dell'altezza.

Volumi

Il volume o capacità è la misura dello spazio occupato da un corpo. Viene valutato ricorrendo a

molte diverse unità di misura. L'unità adottata dal Sistema Internazionale è il metro cubo, simbolo

m3.

Il volume di un oggetto solido è un valore numerico utilizzato per descrivere a 3 dimensioni quanto

spazio occupa il corpo. Ad oggetti ad una dimensione (come una linea) o a 2 dimensioni (come un

quadrato) si assegna per convenzione volume 0 in uno spazio tridimensionale.

L'unità di misura del Sistema Internazionale per il volume è il metro cubo (m3); è tuttavia accettato

nell'uso anche il litro, equivalente a un decimetro cubo: per fare un metro cubo sono perciò

necessari 1000 litri.

Volume del cubo:

dove s è la lunghezza dei lati.

Prisma rettangolare (o parallelepipedo rettangolo):

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l è la lunghezza, w la larghezza, h l'altezza.

Cilindro:

r il raggio del cerchio, h la distanza tra le basi.

Sfera:

r il raggio della sfera.

Ellissoide:

a, b, c sono i tre semiassi dell'ellissoide.

Piramide:

A è l'area di base, h l'altezza dalla base all'apice.

Cono:

r è il raggio del cerchio alla base, h la distanza dalla base alla punta.

Qualsiasi prisma avente la sezione d'area costante lungo l'altezza:

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A è l'area di base, h l'altezza.

Domanda: supponiamo di muovere il vertice di un triangolo lungo una retta parallela al lato opposto

come in figura 1. Come si modifica l‘area? Il perimetro varia?

Fig. 1

Domanda: indichiamo con x ed y i lati incogniti di un rettangolo di cui si conosce l‘area pari a 25m2

, che legame c‘è tra i due lati? Sono proporzionali? Che tipo di proporzionalità diretta o inversa?

Se si disegnasse in un piano cartesiano la curva ottenuta che tipo di curva sarebbe?

Domanda: supponiamo di conoscere l‘area di un cerchio pari a 16m2, possiamo determinarne il

raggio? Se il raggio aumenta del 10% di quanto aumenta in percentuale l‘area del cerchio? E il

perimetro?

Domanda: supponiamo di conoscere l‘area di un cerchio pari a 24 π m2, quanto è l‘area di un

settore circolare con angolo al centro di 60°?

Domanda: se si raddoppia il raggio di un cerchio, l‘area che fa?

Domanda: in che rapporto stanno il volume e la superficie di una sfera? Dipende dal raggio? Se il

raggio si duplica, il volume che fa?

Domanda: la Terra ha un raggio equatoriale pari a 6400 km. Immaginiamo una corda avvolta

attorno all‘equatore di una Terra perfettamente levigata.

Supponiamo ora di aggiungere 5 metri alla lunghezza della corda e di dare poi alla corda allungata

la forma di una circonferenza, con il centro coincidente con il centro della Terra. Quale sarà ora

la distanza tra la corda e il centro della Terra?

Domanda: si calcoli il volume di un tronco (assimilato ad un cilindro circolare retto) avente

diametro di base di 40cm e lunghezza 8m. Si esprima il volume nel sistema CGS e nel sistema

internazionale.

Se l‘altezza si dimezza cosa succede al volume? Si dimezza? E se si dimezza il diametro?

Se si toglie allo stesso tronco uno spicchio di ampiezza 90° come in figura 2 di quanto diminuisce

in percentuale il volume?

Domanda: se il tronco avesse avuto una base ellittica di semiassi 20cm e 30cm e la stessa

lunghezza, quanto sarebbe stato il volume?

Domanda: qual è il volume di un rimorchio di larghezza 2m, altezza 1,5m e lunghezza 4m?

A B

C C C

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Fig. 2

Angoli

Sistemi di misurazione dell'angolo

Nel sistema sessagesimale l'angolo completo o angolo giro è suddiviso in 360 spicchi, equivalenti

all'unità di misura convenzionale denominata grado sessagesimale, indicata col simbolo °. Tale

nome deriva dal fatto che le sottounità del grado, il minuto e il secondo, sono divise in sessantesimi;

perciò, come nell'orologio, ogni grado è diviso in 60 minuti ('), e ogni minuto è diviso in 60 secondi

("), ulteriori suddivisioni di questo seguono invece il comune sistema decimale. Tale stranezza

deriva, appunto, dal fatto che nell'antica babilonia era in auge il complesso sistema numerico su

base sessagesimale, giunto sino a noi, quale retaggio storico, nell'orologio e sui goniometri.

Un angolo potrebbe quindi essere espresso in una forma tipo:

/// 8,441757.

La ragione della divisione in 360 parti dell'angolo giro è riconducibile all'uso astronomico che i

babilonesi facevano di questa misura: dato che il sole compie un giro completo sulla volta celeste

nell'arco di un anno (a quel tempo stimato di circa 360 giorni), un grado corrisponde all‘incirca allo

spostamento del sole sull'eclittica in un giorno.

Nel tempo sono poi stati adottati altri sistemi di misurazione nel tentativo di rendere più agevole la

misura dell'angolo; alla fine del ‗700, non sfuggì ai tentativi di razionalizzazione neppure il sistema

sessagesimale; venne proposto un sistema centesimale, basato appunto sul grado centesimale,

anche noto come gon o grad , quale centesima parte nell'angolo retto ed indicato col simbolo c. Con

questo sistema l'angolo giro viene diviso in 400 spicchi uguali con sottomultipli a frazioni decimali.

Si chiama centesimale perché è la centesima parte dell‘angolo retto.

90°

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Lo sviluppo dell'analisi infinitesimale aveva però contemporaneamente partorito un'altra unità di

misura che per certi aspetti può risultare più "motivata" o naturale, il radiante, basata

sull'osservazione che il rapporto tra un arco di circonferenza e il raggio non dipende dal raggio

bensì solo dall'angolo compreso; la misura dell'angolo viene quindi identificata con questo rapporto;

in tal modo un angolo giro misura 2*π, cioè il rapporto tra una circonferenza e il suo raggio.

Riepilogando, per misurare l'angolo i sistemi di misura più attestati sono:

il sistema centesimale, con unità di misura il grado centesimale

il sistema sessagesimale, con unità di misura il grado sessagesimale

il sistema radiante, con unità di misura il radiante.

Il primo viene più che altro usato in ambito strettamente topografico, mentre gli ultimi sono quelli

maggiormente usati, il secondo per consuetudine il terzo per una maggiore semplicità dei calcoli

nelle formule matematiche. La relazione che lega il sistema radiante e il sistema sessagesimale e

permette il passaggio da uno all'altro è

dove α è la misura dell'angolo espresso in gradi, ed x è la misura espressa in radianti.

La relazione che lega il sistema centesimale e il sistema sessagesimale e permette il passaggio da

uno all'altro è

dove α è la misura dell'angolo espresso in gradi sessagesimali, ed x è la misura espressa in gradi

centesimali

Domanda: tra il grado sessagesimale e il grado centesimale qual è il maggiore? E tra il grado

sessagesimale e il radiante? Trovare il corrispettivo espresso in gradi centesimali ed in radianti dei

seguenti angoli espressi in gradi sessagesimali: 60°; 45°; 25°; 10°; 135°; 200°.

Carta topografica e scala

La carta topografica è un disegno che rappresenta, con segni effettivi o convenzionali, una data

estensione di terreno in tutti i suoi particolari, quale si vedrebbe schematicamente guardandola

verticalmente dall'alto. La proporzione fra le reali dimensioni del terreno e la sua rappresentazione

grafica si chiama scala; definiremo pertanto la scala come il rapporto costante tra una distanza sulla

carta (distanza grafica) e la sua corrispondente misurata sul terreno. Ad esempio, se la scala di una

carta è di 1:100.000, ciò significa che le dimensioni riportate sulla carta sono 100.000 volte più

piccole di quelle corrispondenti sul terreno. Si chiamano topografiche in senso stretto le carte con

scala compresa tra 1:100.000 e 1:20.000, a differenza di quelle geografiche (con scala superiore),

c

c

x

400360

x

180

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delle mappe (con scala inferiore fino a 1:1.000) e delle piante (con scala ancora inferiore). Se una

carta topografica ha la scala 1:25.000 significa che un centimetro sulla carta equivale a 25.000

centimetri nella realtà ovvero 250 metri, la stessa distanza misurata su una carta con scala 1:100.000

equivale ad 1 chilometro. Quando si legge una carta la distanza tra due punti è facilmente rilevabile

ad es. si consideri il segmento AB tracciato sulla carta sotto riportata in figura 3.

Fig. 3

La carta in questione è in scala 1:5000 ed il segmento risulta di 5cm; la lunghezza reale

corrispondente si otterrà moltiplicando la lunghezza del segmento AB per il denominatore della

scala, quindi si avrà cm 5 x 5.000 = cm 25.000 = m 250. La misura così ottenuta è chiamata

“distanza planimetrica” ed è la distanza orizzontale tra i due punti a prescindere dalla loro quota.

In una scala topografica quanto più piccolo è il denominatore, tanto più grande è la scala e quindi la

zona rappresentata è meno estesa e la carta più dettagliata.

Scala

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Fig.4

La scala di una carta geografica permette di definire la relazione esistente tra le distanze sulla carta

e le distanze corrispondenti sulla Terra. Nella illustrazione di figura 4 sono messe a confronto tre

carte geografiche con scala diversa. La prima è di 1 a 100.000.000: nella carta, quindi, la distanza di

1cm corrisponde a 1000km. La seconda è più dettagliata, perché a ogni centimetro sulla carta

corrispondono 100km. Infine, nella terza carta la precisione è altissima perché a ogni centimetro

corrispondono solo 10km.

Domanda: in una carta ad 1:25.000 due punti che individuano due sorgenti d‘acqua distano 4cm,

quale è la distanza planimetrica delle corrispondenti sorgenti? Le stesse sorgenti rappresentate in

una carta ad 1:100.000 quanto distano sulla carta?

Domanda: due città distano sulla carta in vostro possesso 2cm. Determinare la distanza planimetrica

che le separa, in chilometri, sapendo che la scala è 1:100.000.

Domanda: determinare la scala che è stata utilizzata per rappresentare una città se 100m della realtà

corrispondono sulla pianta ad 1cm.

Domanda: una cellula umana ha un diametro di quattro milionesimi di metro e viene stampata da

una vista al microscopio elettronico con un diametro di 2cm. Si calcoli il numero di ingrandimenti

di questo microscopio ovvero a che scala è stata stampata la cellula.

Domanda: la pianta di una casa è distribuita in scala 1:250. La cucina è di forma rettangolare e le

sue dimensioni misurate sulla pianta sono 1,3 x 2,5cm. Calcola la superficie reale?

Le curve di livello

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Per la rappresentazione di territori non piani (colline, monti, depressioni, ecc.) si fa uso delle curve

di livello o isoipse (dal greco isos=uguale e hypsos=alto). Sono linee immaginarie che uniscono

tutti i punti situati ad una stessa quota ovvero aventi uguale distanza verticale dal piano di

riferimento al quale è stato attribuito quota zero (generalmente il livello medio del mare). Queste

linee vengono tracciate a intervalli regolari, risultando equidistanti fra loro. La prima di queste linee

coincide allora con la costa del mare, poi avremo, per esempio, una curva di livello che unisce tutti i

punti a quota 100 metri, un'altra per i punti a quota 200 metri, ecc. L'uso delle isoipse è uno dei

metodi usati in cartografia per rappresentare le tre dimensioni su un foglio bidimensionale,

consentendo di farsi un'idea della morfologia del territorio. La differenza di quota tra due isoipse

adiacenti è detta equidistanza.

Alcuni esempi per chiarire meglio tali concetti.

Nell‘esempio di figura 5 viene rappresentata la costruzione di curve di livello per due coni regolari

di altezza 60cm e 30cm rispettivamente. I due coni vengono tagliati idealmente con piani paralleli al

piano di base distanti ciascuno 10cm. Si ottengono delle circonferenze concentriche che vengono

proiettate sul piano di base.

Fig. 5

In figura 6 invece vediamo, a sinistra, la costruzione di curve di livello per una collina e a destra, il

risultato della costruzione di curve di livello utilizzando carte con scale diverse. Nella carta a

1:2.000 l‘equidistanza è di 2m e nella carta a 1: 25.000 l‘equidistanza è di 25m.

11

.

Fig. 6

In figura 7 invece vediamo il principio di costruzione delle curve di livello per una zona montuosa.

Nell'esempio l'equidistanza è di 100 metri. L'equidistanza è, infatti, la differenza di quota tra due

curve di livello contigue (e non la loro distanza).

L'equidistanza varia a seconda delle carte e generalmente è indicata nella leggenda, nelle mappe in

scala 1:25.000 è in genere di 10 o 25 metri.

Fig. 7

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Sarà importante saper interpretare correttamente le curve di livello al fine di poter calcolare le

difficoltà che si incontreranno nel passare da un punto ad un altro.

Fig. 8

In figura 8 abbiamo la rappresentazione di due colline come è nella realtà e l'equivalente

rappresentazione su di una carta topografica.

Distanza reale

Per conoscere la distanza reale tra due punti (vale a dire la distanza reale approssimata tra due punti

scelti sulla carta) è necessario conoscere:

Distanza planimetrica

Dislivello

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Fig. 9

Distanza planimetrica e dislivello sono due dati sono ricavabili dalla carta topografica attraverso la

scala grafica e le curve di livello.

Applicando quindi il TEOREMA di PITAGORA è possibile ricavare la distanza reale. Nello

specifico il teorema di Pitagora va applicato al triangolo rettangolo ABC (figura 9): AB2=AC

2+BC

2.

A tale scopo possiamo osservare lo schema sotto riportato in cui sono riportate le misure fatte su

una carta topografica 1:25.000. La misura di 64mm corrisponde ad una distanza planimetrica di

64x25.000mm= 1600m=1,6km. La misura di 15mm corrisponde ad una distanza planimetrica di

circa 376m. Applicando il teorema di Pitagora al triangolo rettangolo di cateti 64mm e 15mm si

trova che l‘ipotenusa è lunga 66mm circa corrispondenti a 1650m.

∆h = dislivello

A

B

C

Distanza Planimetrica

Distanza Planimetrica

Distanza Reale

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Fig. 10

Riassumendo: la distanza planimetrica: è la distanza rilevata dalla carta; la distanza reale: è la

distanza in pendenza ed è quindi più lunga di quella indicata dalla carta, la si ottiene applicando il

Teorema di Pitagora al triangolo formato dalla distanza planimetrica e dal dislivello.

Domanda: un tratto di strada lungo 12km deve essere rappresentato su una carta in scala 1:50.000.

Calcolarne la lunghezza sulla carta. Domanda: un segmento è lungo 4cm in una carta 1:25.000. Quale sarebbe la sua lunghezza in una

carta 1:50.000? E in una 1:10.000?

La scala numerica è valida solo per misure lineari. Se si vuole calcolare una superficie la procedura

è diversa. Si immagini un quadrato di lato 2cm in scala 1:5.000. Qual è la superficie nella realtà?

Calcoliamo prima il valore atteso della superficie con un metodo rudimentale ma sicuro. La

lunghezza reale dei lati del quadrato è: 2cm x 5000 = 10.000cm = 100m. La superficie del quadrato

è quindi 100m x 100m = 10.000m2.

La superficie del quadrato sulla carta è di 2cm x 2cm = 4 cm2. Moltiplicando questa misura per

5000 (il fattore di scala) si ottiene 4 cm2 x 5000 = 20.000 cm

2, un valore evidentemente sbagliato.

Invece, moltiplicando 4 cm2 per il quadrato del fattore di scala si ottiene: 4 cm

2 x 5000

2 =

100.000.000 cm2 = 10.000m

2.

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Quindi, per ricavare il valore di una superficie reale a partire da una superficie in scala ridotta,

occorre moltiplicare quest‘ultima per il quadrato del fattore di scala.

Pendenza e Inclinazione

Per pendenza si intende il dislivello Δh (differenza di quota) tra due punti A e B corrispondente alla

loro distanza planimetrica unitaria L. In altre parole, è il rapporto tra il dislivello tra due punti A e B

e la loro distanza in pianta (figura 9).

Normalmente, la pendenza viene espressa in percentuale: P = (Δh/L) x 100%. Se il dislivello è di

100m e la distanza planimetrica di 500m, la pendenza è (100m / 500m) x 100% = 20%. Se

dislivello e distanza planimetrica sono uguali, la pendenza è del 100%, domanda: a che angolo

corrisponde questa situazione?

Un‘altra operazione che può essere effettuata con le isoipse è la stima della pendenza: quando le

curve di livello sono vicine tra di loro, la pendenza è elevata, quando sono lontane la pendenza è

bassa.

Esempio. Supponiamo di voler calcolare la pendenza lungo una traccia che intercetta isoipse

spaziate non in modo omogeneo la cui lunghezza, in carta, supponiamo sia di 5cm. Il valore di

pendenza che otterremo sarà una media

Fig. 11

In questo caso, la pendenza media sarà data da: Δh = (700 – 450)m = 250m

L = (5 x 250)m= 1250m

P =(250/1250) ) x 100% = 0,20 x 100% = 20%

e l‘inclinazione (ovvero la misura dell‘angolo BAB' in figura 10) del pendio media sarà:

α = arctan 0,20 = 11°

Domanda: con riferimento alla figura 10 si calcoli inclinazioni delle due rette: caso (a) e caso (b).

Domanda: a che inclinazione corrisponde una pendenza del 30%? E del 60%? E del 150%?

16

Capitolo 2 Vettori, operazioni con i vettori, esempi di vettori

Momento di una forza

Peso e peso specifico: unità di misura

Baricentro

Metro stero, coefficiente sterico

Seno, coseno e tangente di un angolo

Piano inclinato e attrito

Transect

Vettori

I vettori sono delle grandezze individuate da una direzione, da un verso e da una ampiezza detta

anche modulo.

Per comodità è possibile definire con origine l'estremo del vettore non munito di freccia e con

estremo superiore quello che reca la freccia. Occorre notare che l'origine non è il punto di

applicazione perché si parla al momento di vettori liberi. Se facciamo coincidere l’origine del

vettore con l’origine di un sistema cartesiano ad ogni vettore del piano resta associata una coppia

(nel piano) ordinata di numeri reali e viceversa.

Fig. 12

In tal caso è facile calcolare il modulo del vettore ovvero la lunghezza del segmento OA: usando il

teorema di Pitagora, OA = (22+3

2)1/2

=131/2

.

17

Se il vettore è in uno spazio tridimensionale ad esso resta associata una terna ordinata di numeri

reali.

I vettori si distinguono in:

liberi, o vettori propriamente detti, individuati da tre elementi nello spazio e da due sul

piano;

applicati, cioè quei vettori di cui si deve considerare anche il punto di applicazione; essi

vengono individuati da sei elementi nello spazio (tre per il vettore e tre coordinate del punto

di applicazione) e da quattro sul piano (due per il vettore e due coordinate del punto di

applicazione).

Un vettore di lunghezza unitaria è detto versore. Il vettore nullo è quello con il modulo uguale a

zero.

Si definisce campo vettoriale una regione dello spazio, ad ogni punto della quale può essere

associato un vettore; campo vettoriale è anche l’insieme di tali vettori.

Esempi di campi vettoriali sono il campo gravitazionale, il campo elettrico ed il campo magnetico.

L’insieme delle operazioni che possono essere eseguite con i vettori costituisce il calcolo vettoriale.

Somma di due vettori

I vettori si sommano con la regola del parallelogramma.

Per sommare due vettori è sufficiente far coincidere l’origine di uno con l’estremo superiore

dell’altro: la somma è data dal vettore che ha origine coincidente con l’origine rimasta libera ed

estremo superiore coincidente con quello rimasto libero.

Fig. 13

Se la somma riguarda più di due vettori, la regola non cambia ricordando la validità delle proprietà

commutativa e associativa della somma.

18

Fig. 14

Differenza di due vettori

Come tutte le differenze è definita come somma del minuendo con l’opposto del sottraendo (in

pratica: a-b=a+(-b)). Il vettore differenza è ottenibile facendo coincidere i due estremi superiori dei

vettori di cui si vuole la differenza ed è rappresentato da quel vettore che ha origine coincidente con

l’origine del minuendo.

Fig. 15

Prodotto di uno scalare per un vettore

Il prodotto di un numero reale m per un vettore v individua un nuovo vettore che ha per modulo il

prodotto del modulo di v per il valore assoluto di m e per direzione la stessa di v. Il verso è

conforme a quello di v se m è positivo, è opposto a quello di v se m è negativo.

Quoziente di un vettore per uno scalare

Il quoziente di un vettore v per uno scalare m è il prodotto, definito come sopra, tra il vettore v ed il

reciproco dello scalare m.

Particolare è il caso del rapporto fra un vettore non nullo ed il suo modulo: esso individua sempre il

versore caratteristico della direzione e del verso del vettore dato.

La somma (differenza) di due vettori si riduce ad una somma algebrica se decomponiamo i vettori

con la regola del parallelogramma nelle due componenti individuate sugli assi cartesiani.

19

Ad esempio: per sommare i due vettori in figura 16 conviene prima decomporli nelle componenti

verticali ed orizzontali (esprimibili come multipli dei versori j ed i rispettivamente ) e poi sommare

le rispettive componenti.

Fig. 16

j 3 i 2 OA j i 4 OB j 4 i 6 ) j i (4 ) j 3 i (2 OBOA .

Prodotto scalare o interno

Il prodotto scalare di due vettori, indicato con v1 × v2 è il prodotto dei moduli dei due vettori

moltiplicato per il coseno dell'angolo da essi formato.

Geometricamente il prodotto scalare di due vettori è il prodotto dal modulo del primo moltiplicato

per il modulo della proiezione del secondo sul primo.

Fig.17

Poiché un vettore può essere individuato anche dalle sue componenti secondo tre assi x, y e z, il

prodotto scalare dei due vettori a e b è dato dalla somma dei prodotti delle rispettive componenti

(a×b=axbx+ayby+azbz).

Prodotto vettoriale

OB = (4,1)

j

i

20

Si definisce prodotto vettoriale di due vettori a e b, non nulli né paralleli, indicato con , il

vettore che ha per direzione la perpendicolare al piano individuato da a e b, per modulo il prodotto

dei moduli a e b moltiplicato per il seno dell'angolo formato da a e b e verso definito dalla regola

del cavatappi.

Fig. 18

Domanda: qual è il significato geometrico di absenα ?

Andando al sito:

http://ww2.unime.it/weblab/ita/VectorAddition/vectortest1_ita.htm

si trova un applet che permette di visualizzare graficamente la somma di due vettori in un piano,

fornendo inoltre anche le componenti lungo gli assi il modulo e la direzione in gradi di ogni vettore;

1) Calcolare il peso di una mela di massa pari a 0,02 kg.

2) Calcolare la massa di un uomo sapendo che il suo peso è di 900 N

3) Quali delle seguenti grandezze fisiche è una grandezza scalare?

a) forza

b) volume

c) area

4) Quali delle seguenti grandezze è una grandezza vettoriale?

a) velocità

b) temperatura

c) tempo

d) spazio

5) Dire se il dinamometro misura la massa o il peso.

6) Determinare i lati AB e BC del triangolo di figura 19 sapendo che AC =12 m e α=30°.

21

Fig.19

Momento di una forza

Il momento (polare) di una forza o momento meccanico polare rispetto ad una determinata

origine (polo Ω) è definito come il prodotto vettoriale tra il vettore posizione (rispetto alla stessa

origine) e la forza:

F r M

Il modulo di M è quindi definito da

||M||= r F senα = Fb

La direzione di M è perpendicolare al piano definito da F e da r; il verso è quello di un osservatore

che vede ruotare r su F in senso antiorario. La grandezza r senα, distanza dell'asse di rotazione

dalla retta su cui giace F, è detta braccio b della forza F.

Se F ed r sono tra loro perpendicolari, il braccio (vedi leva) si identifica con r, ed il momento è

massimo. Il momento può essere nullo se la forza o il braccio sono nulli, oppure se F è parallela a r.

Fig. 20

A B

C

α

22

Momento M della forza F.

M è perpendicolare al piano (in azzurro) determinato dal vettore r (punto di applicazione O) ed F. Il

braccio della forza è b

(Attenzione in qualche testo si può trovare il simbolo X per indicare il prodotto vettoriale e

contestualmente il simbolo · per il prodotto scalare.)

Il momento di una forza misura dunque la capacità di mettere in rotazione un oggetto rispetto ad un

punto. Il concetto di momento di un forza è facilmente esprimibile se facciamo riferimento ad un

qualsiasi leva che ruota attorno ad un punto C, definito punto di rotazione.

Fig. 21

Posto che A e B siano i punti ai quali vengono applicate le forze F1 ed F2, il momento della forza (o

momento torcente) può esser definito come il prodotto tra una forza ed il corrispondente vettore

posizione.

In breve F1 b M

Infine, se consideriamo un corpo soggetto alla applicazione di due forze aventi differenti rette

d'azione, il corpo, per raggiungere una posizione di equilibrio tenderà a ruotare fino a che le due

forze non avranno la stessa retta d'azione.

23

Fig. 22

Se il corpo è in equilibrio, la somma vettoriale dei momenti delle forze ad esso applicate è uguale a

zero. Questa affermazione è suffragata dal fatto che, man mano che il corpo ruota, diminuisce la

lunghezza dei bracci fino a diventare uguale a zero. Ciò è verificabile con la legge di annullamento

del prodotto, che afferma che se un prodotto è uguale a zero, allora almeno uno dei fattori deve

essere uguale a zero.

b1 = 0 0. F1 b M

Il momento torcente è un caso particolare di momento di una forza. In particolare, il momento di

una forza è definito torcente quando la forza stessa è applicata perpendicolarmente all'asse di

rotazione e però non lo interseca, come per esempio nel caso dell'azione esercitata da un autista sul

volante dell'automobile quando sterza.

È anche detto coppia di forze o semplicemente coppia, in quanto può essere rappresentato in modo

equivalente come la conseguenza dell'applicazione di due forze distinte uguali e contrarie, ciascuna

con modulo pari alla metà di quello del momento torcente e agenti su due punti della leva

esattamente opposti rispetto al fulcro C.

L'unità di misura del momento torcente nel Sistema internazionale di unità di misura è il Newton

per metro (Nm), detto anche Newton-metro.

Si può esemplificare il concetto di momento torcente considerando il caso di una chiave inglese che

agisce stringendo un bullone. Se la chiave è lunga 1metro e si applica una forza di 1 Newton, il

momento torcente risultante sul bullone sarà di 1 Nm (1m × 1 N = 1 Nm). Lo stesso risultato può

però essere ottenuto anche con una chiave lunga mezzo metro, purché si applichi una forza di 2

Newton (0,5m × 2 N = 1 N·m), oppure con una chiave lunga 2 metri ed una forza di mezzo Newton

(2m × 0,5 N = 1 Nm). Si capisce così come, per il nostro ipotetico meccanico, converrebbe

utilizzare una chiave inglese molto lunga, così da dover applicare una forza minore per ottenere lo

stesso risultato.

24

Momento torcente di una forza Momento torcente di una coppia di forze

Fig. 23

Una coppia di forze NON è un lavoro e quindi NON va espressa in Joule, sebbene, invece, come

unità di misura del lavoro: 1 Joule = 1 Newton * 1 metro le unità di misura sono simili ma c'è una

enorme differenza concettuale: la coppia non è un lavoro perché la forza (Newton) e la distanza

(metri) sono ortogonali tra loro in ogni istante, mentre il lavoro (Joule) è il prodotto di una forza

(Newton) e uno spostamento (metri) paralleli tra loro, cioè il corpo si sposta in direzione della forza.

Domanda: trovare il momento risultante rispetto al punto O delle forze rappresentate in figura 24:

Fig. 24

NF 53

NF 31

NF 52

O

0,7m

0,7m

1,2m

25

Esempi di vettori

Il peso di un corpo è la forza gravitazionale esercitata su di esso dalla terra e come tale è un vettore.

La direzione di tale vettore è la direzione della forza gravitazionale, il verso è diretto verso il centro

della terra ed il modulo è dato dal prodotto della massa del corpo per l’accelerazione di gravità:

P = mg.

Sperimentalmente g ha lo stesso valore per tutti gli oggetti nel medesimo luogo, assumiamo per g il

valore di 9,81 m/s2.

Centro di massa e baricentro

Il centro di massa è comunemente detto baricentro. Questo nome (che etimologicamente significa

centro del peso) deriva dal fatto che quando un corpo è immerso in un campo di gravità uniforme

(come avviene, con buona approssimazione, sulla superficie terrestre, dove l'accelerazione di

gravità si può ritenere costante), allora il moto del baricentro è equivalente al moto di caduta, sotto

l'azione della forza peso, di un punto materiale in cui fosse concentrata la massa totale del corpo.

Se, in particolare, si considera un corpo rigido vincolato in un punto diverso dal baricentro, esso si

comporta come un pendolo. Se invece il corpo rigido è vincolato nel suo baricentro, il momento

totale della forza peso risulta nullo.

Consideriamo un corpo rigido appoggiato su di un piano.

Fig. 25

Nella figura 25 sono mostrate le forze agenti sul corpo, la forza peso (P) e la reazione vincolare del

piano (R). Osserviamo che la reazione vincolare del piano, in condizioni di equilibrio, equilibra la

forza peso. Tuttavia tale reazione vincolare è soggetta a dei limiti, in quanto non può fuoriuscire

dalla zona in cui il corpo è poggiato. Definiamo “perimetro di appoggio” la poligonale che definisce

P

R

26

il contorno della base di appoggio di un corpo su un piano. Ebbene la reazione vincolare è confinata

in tale perimetro. Questo vuol dire che, finché la forza peso, applicata al centro di massa del corpo,

ha la sua direzione all'interno del perimetro di appoggio, allora può essere equilibrata dalla reazione

vincolare. Quando invece il peso del corpo fuoriesce da tale perimetro, poiché la reazione vincolare

non può farlo, si crea un momento che fa ruotare il corpo attorno ad uno spigolo. In tali condizioni

il corpo non può più essere in equilibrio.

Unità di misura

Vediamo un po’ di unità di misura.

Unità in F = ma

Sistema di unità Forza Massa Accelerazione

Mks Newton (N) chilogrammo (kg) m/s2

Ggs dine grammo (g) cm/s2

Ingegneri chilogrammo peso (kgp) m/s2

1 Newton è la forza che accelera la massa di 1 kg di 1 m/s2

1 dine è la forza che accelera la massa di 1 g di 1cm/s2

1kgp è la forza che accelera la massa di 1 kg di 9,8 m/s2

Domanda: Che relazione c’è tra Newton e dine? E tra Newton e kgp? A cosa corrispondono 6.105

dine nel sistema Mks? E nel sistema degli ingegneri?

Domanda: supponiamo di avere due forze rappresentate da due vettori come nella figura 26 cosa si

può dire della forza somma?

Dove è diretto il vettore somma? Qual è il suo modulo? Se le componenti dei due vettori sono

espresse in Newton a cosa corrisponde il modulo del vettore somma in dine?

27

Domanda: supponiamo di avere due forze aventi la stessa direzione e verso, l’una di 5 N e l’altra di

10 dine, quanto fa la loro somma? E la loro differenza (ovvero la prima meno la seconda)?

Domanda: sono date due forze perpendicolari entrambe di 3 N, qual è il modulo, la direzione e il

verso della forza somma?

Domanda: Determinare graficamente le forze che agiscono sul tirante B e sul puntone A di figura

27.

Risposta: basta scomporre il peso P secondo due direzioni, quella individuata dal puntone e quella

individuata dal tirante.

F1 è la forza che agisce sul tirante, mentre F2 è la forza che agisce sul puntone.

20N

A

30°

B

(2,2) (-2,2)

Fig. 26

Fig. 27

28

Il parallelogrammo di lati F1 e F2 è costituto da due triangoli rettangoli, metà di triangoli equilateri

aventi come lato il doppio del modulo di P ovvero 40 N. Dunque F2 (puntone) vale in modulo 40 N

e F1 (tirante) vale circa 34,64 N.

Abbiamo parlato del peso inteso come forza peso e di volumi. Un’altra unità di misura di volume è

il litro. Non è un'unità del SI, ma è "accettata per l'uso nel Sistema Internazionale". Il simbolo del

litro è la lettera maiuscola L oppure minuscola l. Può essere trovata anche una l corsiva minuscola

(ℓ), ma non è accettata dall'Ufficio internazionale dei pesi e delle misure.

1 litro = 1 dm3

1 litro di acqua pesa 1 kgp, ovvero 1 dm3 di acqua pesa 1 kgp

Nella seguente tabella riportiamo i pesi di 1 m3 di alcuni materiali:

1 m3 Peso espresso in kgp

acqua 1000

olio di oliva 926

abete 420-550

acero 620-775

cipresso 750

mogano 1060

pino marittimo 680

noce 680

carta in pile 800

pietra pomice 600

lava del Vesuvio 2600

marmo di Carrara 2716

acciaio 7500-8100

oro 19250-19360

Attenzione: il peso dei legni è riferito ad un grado di umidità di circa il 15%

20N

30°

30°

F1

F2

Fig. 28

29

Metro stero

Il "METRO STERO"(mst), cioè il volume complessivo di 1m³ di pezzi di legno, compresi anche gli

interstizi tra i pezzi.

La quantità di legno contenuta in 1 metro stero dipende da diversi fattori:

o forma e dimensione dei pezzi;

o modalità di accatastamento;

o specie legnosa;

o umidità relativa.

Nonostante ciò, per una stessa specie il metro stero fornisce una stima con un margine di errore

accettabile per la quantità di legno che è in gioco; ad esempio un metro stero di legna da ardere

(latifoglie allo stato fresco) pesa circa 600 kg e corrisponde a 0,5-0,7 metri cubi di legno (sempre

allo stato fresco, con un peso di circa 1 t/m3). Al valore numerico 0,5-0,7 si dà il nome di

coefficiente sterico e rappresenta il rapporto fra il volume reale del legno di una catasta ed il suo

volume sterico (volume apparente)

Peso specifico

Riportiamo la definizione di peso specifico è definito come il peso di un campione di materiale

diviso per il suo volume.

Nel Sistema internazionale l'unità di misura è il Newton/m3.

Comunemente il termine peso specifico è usato come sinonimo di densità e per questo si trova

molto spesso indicato come g/cm3 o kg/litro o kg/dm

3. In questo caso i grammi sarebbero da

intendersi secondo un'obsoleta definizione di grammi peso, non grammi massa, dove 1 grammo

peso è il peso di 1 grammo massa in condizioni di accelerazione di gravità standard.

La differenza è sottile e per la verità all'atto pratico la si può spesso ignorare, ma è opportuno tener

presente che mentre la densità è un rapporto tra una massa e un volume, il peso specifico è un

rapporto tra un peso (quindi una forza) e un volume. Visto che il peso è pari alla massa moltiplicata

per l'accelerazione di gravità, peso specifico e densità hanno di conseguenza il medesimo valore

solo se ci si trova in un punto dove l'accelerazione di gravità è esattamente uguale a g (che per

convenzione è pari a 9,80665 m/s2)).

Domanda: supponiamo di trovare sui banchi del supermercato dell’olio di oliva in vendita.

Un tipo di olio è venduto a 8 € al litro ed un altro a 8 € al chilo. Qual è più conveniente? E perché?

Domanda: sapreste costruire la tabella dei pesi specifici (espressi in kgp/dm3) delle sostanze

riportate nella tabella precedente?

30

Domanda: sapendo che la densità del legno di abete secco è di 600 kg/m3, determinare la massa ed

il peso di un tronco lungo 3m e avente una sezione trasversale di 2,5 dm2.

Altri esempi di vettori

Forza di trazione di un cavallo (animale)

La forza di trazione esercitata con continuità da un cavallo è di circa 75 kgp (arrivando a 300-

400kgp per brevi tratti).

Forza di trazione di un trattore

Un trattore è in grado di esercitare uno sforzo di trazione che al massimo può essere pari al peso che

grava sugli organi che trasmettono la potenza al suolo, cioè le ruote o i cingoli. Poiché in un trattore

a semplice trazione il peso che grava sull’assale posteriore è pari al 60% circa di quello totale della

macchina, se ne deduce che un trattore a semplice trazione di 4000 kg, potrà esercitare in condizioni

di non slittamento uno sforzo di trazione pari a 2400 kg.

Fig. 29

Domanda: uno sforzo di trazione di 2400kg a quanti quintali corrisponde? E tonnellate?

31

Richiami di trigonometria

Seno e coseno Iniziamo con una domanda: dato un bastone di lunghezza 1 inclinato di un angolo α rispetto al

piano orizzontale, quanto è lunga la sua ombra quando il sole lo illumina verticalmente? Si

consideri la figura 30: il segmento rosso rappresenta il bastone, la freccia rappresenta la luce che

cade dall'alto. L'angolo α può essere scelto arbitrariamente (nell'esempio abbiamo α = 51). Si cerca

la lunghezza del segmento verde.

Fig. 30

Per rispondere a questo quesito occorre dare prima alcune definizioni.

Si consideri un piano cartesiano ed una circonferenza di centro l’origine degli assi e raggio r come

in figura 31.

Fig. 31

Si consideri un angolo x (vedi figura 31) con un lato coincidente con il semiasse delle ascisse

positivo.

32

Il secondo lato interseca la circonferenza in un punto D.

Si definisce seno dell’angolo x il rapporto tra l’ordinata di D e il raggio della circonferenza, si

definisce coseno di x il rapporto dell’ascissa di D e il raggio della circonferenza:

OD

OC xcos ,

OD

DCsen x .

Dalla definizione discende che il seno ed il coseno di un angolo sono numeri puri.

Se la circonferenza ha raggio unitario il sen x è l’ordinata di D diviso 1(unità di misura

corrispondente) ecco perché si assimila il seno di x all’ordinata di D (in realtà è l’ordinata di D

divisa l’unità di misura). Discorso analogo per cos x.

Infine, se si traccia la retta tangente alla circonferenza nel suo punto A, il secondo lato dell’angolo

incontra detta tangente in B. Si definisce tangente di x il quoziente tra l’ordinata di B ed il raggio.

OD

ABtan x .

I triangoli ODC e OBA sono simili e quindi hanno i lati in proporzione:

DC:AB = OC:OA

Dividendo numeratori e denominatori per il raggio r si ha: sen x : tan x = cos x : 1,

ovvero

tan x = sen x/cos x

Un altra formula importante è la formula fondamentale della trigonometria che discende

immediatamente dal teorema di Pitagora applicato al triangolo ODC:

sen2 x + cos

2 x = 1

Infatti nel triangolo OCD nella figura 31 il coseno di x è definito come

D'altra parte il teorema di Pitagora applicato al triangolo OCD fornisce la relazione

e quindi

(Nei testi avanzati di matematica il seno di x è solitamente indicato con la notazione sin(x), ove sin

è un'abbreviazione del latino “sinus” usata anche nei paesi di lingua inglese.)

33

Il dominio della funzione seno è l'insieme dei numeri reali, il seno di un angolo è sempre un numero

reale compreso tra −1 e +1, estremi inclusi.

La seguente tabella elenca i principali valori notevoli della funzione seno, coseno e tangente:

x in radianti 0

x in gradi 0 30° 45° 60° 90° 180° 270° 360°

sen x 0

1 0 − 1 0

cos x 1

0 -1 0 1

tan x 0 3

1 1 3 0 0

Attenzione: la tangente non è definita dove si annulla il denominatore, ovvero dove il coseno è

uguale a zero, ciononostante in tabella abbiamo messo il simbolo per indicare che in quel

punto il grafico della tangente presenta un asintoto verticale.

In figura 32 a abbiamo una rappresentazione grafica della funzione seno.

Fig. 32 a

34

In figura 32 b abbiamo una rappresentazione grafica della funzione tangente.

Fig. 32 b

Domanda: come sarà il grafico del coseno?

Tangente e coefficiente angolare.

Fig. 33

La tangente ha un ruolo molto particolare poiché esprime la relazione fra il coefficiente angolare e

l'angolo di pendenza di una retta. Per determinare il coefficiente angolare di una retta, si raffigura ,

come in figura 33, il suo "triangolo di pendenza". Il quoziente k = ∆y/∆x si chiama coefficiente

angolare ed ha il medesimo valore in ciascun triangolo di pendenza, indipendentemente dalla sua

35

grandezza. La definizione di tangente data ci dice che il coefficiente angolare è uguale alla tangente

dell'angolo di pendenza che l'asse delle ascisse forma con la retta stessa: k = tan α.

Seno e coseno di un angolo acuto in un triangolo rettangolo.

Dato un triangolo rettangolo è sempre possibile disegnare una circonferenza di centro il vertice

dell’angolo di cui si vuole determinare il seno ed il coseno e applicare poi le definizioni date. Si

ottiene allora

Se

Domanda (problema geodetico): Come raffigurato in figura 34, la distanza diretta (misurata con un

distanziometro) fra un punto di osservazione e la vetta di un monte misura 3,7 km. La vetta appare

dal punto di osservazione sotto un angolo di 19,5°. Quanto è alta la montagna?

Fig. 34

(Risposta: 1,24 km, arrotondando il risultato.)

Attrito

cos =

cateto adiacente

ipotenusa

sin =

cateto opposto

ipotenusa

α

36

L'attrito (o forza d'attrito) è una forza dissipativa che si esercita tra due superfici a contatto tra loro e

si oppone al loro moto relativo. La forza d'attrito che si manifesta tra superfici in quiete tra loro è

detta di attrito statico, tra superfici in moto relativo si parla invece di attrito dinamico.

Secondo l'interpretazione classica, esistono tre diversi tipi di attrito:

attrito radente: dovuto allo strisciamento (ad esempio, l'interazione tra due superfici piane

che rimangono a contatto mentre scorrono l'una rispetto all'altra);

attrito volvente: dovuto al rotolamento (ad esempio, di un oggetto cilindrico su una

superficie piana);

attrito viscoso: relativo a un corpo immerso in un fluido o a strati di uno stesso fluido in

movimento con velocità diversa (attrito interno).

Ci sono diverse interpretazioni sulle cause di questa forza: la meccanica galileiana proponeva come

causa dell'attrito radente le asperità tra le superfici a contatto; studi più recenti hanno dimostrato che

l'attrito radente è dovuto soprattutto a fenomeni di adesione (legami chimici) tra le molecole che

compongono le superfici a contatto.

Gli effetti dissipativi prodotti dall'attrito volvente sono in generale molto minori rispetto a quelli

dovuti all'attrito radente. Da ciò derivano le applicazioni di ruote o rulli per il trasporto di oggetti

pesanti che, se trascinati, richiederebbero molta più energia per essere spostati, e l'interposizione di

cuscinetti a sfere tra perni e supporti.

Attrito radente

Consideriamo un blocco appoggiato su di un piano orizzontale a cui viene applicata una forza F

parallela al piano di appoggio come in figura.

Si nota che, se la forza applicata non è elevata, il blocco rimane fermo. In base al primo principio

della dinamica se ne deduce che insorge una forza di interazione (forza di attrito) tra il piano di

appoggio e il corpo che si oppone alla forza F che tenderebbe a far traslare il corpo.

mg

Fattrito F

37

Se immaginiamo di aumentare progressivamente F anche la forza di attrito statico aumenterà e

quando il blocco è sul punto di scorrere la forza di attrito statico avrà raggiunto il suo massimo

valore possibile. Riassumendo la forza di attrito statico tra due superfici è sempre opposta alla

componente parallela alla superficie d’appoggio della risultante delle forze applicata al corpo ed

essa può assumere valori compresi tra zero ed il valore µrs F ove F rappresenta la reazione

vincolare tra le due superfici e µrs è un coefficiente che dipende dalla natura delle superfici a

contatto. Nel caso dell’esempio F è uguale ed opposta alla forza peso Fp = mg. Se la forza di

attrito diventa maggiore di µrs F le due superfici a contatto iniziano a scorrere e quindi si parla di

attrito dinamico.

Supponiamo adesso che il blocco e il piano di appoggio siano di legno e che inoltre il blocco pesi

100 N, il valore massimo della forza di attrito statico è dato da µrs F ove µrs vale 0,50 ed il modulo

di F è 100 N pertanto il massimo valore della forza di attrito è in modulo pari a 0,50.100 N =

50 N. Quindi il blocco si metterà in moto quando la forza motrice F raggiungerà il valore di 50 N

pari al valore massimo della forza di attrito. Si noti che se la forza motrice è nulla anche la forza di

attrito statico è nulla. Non appena il corpo comincia a muoversi si parla di attrito dinamico e la

forza di attrito dinamico è costante ed è uguale a Frd , ove µrd è il coefficiente di attrito

dinamico. Nel caso dell’esempio µrd è 0,30 (vedi tabella), per cui si ha che la forza di attrito

dinamico è costantemente uguale a 0,30. 100 N = 30 N.

Grafico del valore della forza di attrito radente in funzione della forza applicata detta forza motrice.

Si noti il passaggio da attrito statico ad attrito dinamico, coincidente con l'inizio del moto del corpo.

La massima forza di attrito statico esercitata tra le superfici di corpi solidi a contatto ed è espresso

dalla formula:

FF rsr

38

dove Fr è la forza di attrito radente, μrs il coefficiente di attrito radente e la componente

perpendicolare al piano di appoggio della risultante delle forze agenti sul corpo. Per un corpo

appoggiato su un piano orizzontale è semplicemente uguale a Fp, forza peso del corpo; per un

corpo appoggiato su un piano inclinato di un angolo α rispetto all'orizzontale risulta invece

Il coefficiente d'attrito è una grandezza adimensionale e dipende dai materiali delle due superfici a

contatto e dal modo in cui sono state lavorate. Il coefficiente di attrito statico µrs è sempre maggiore

o uguale al coefficiente d'attrito dinamico µrd per le medesime superfici. Dal punto di vista

microscopico, esso è dovuto alle forze di interazione tra gli atomi dei materiali a contatto.

La forza di attrito, definita dalla formula scritta più sopra, rappresenta la forza di attrito massima

che si manifesta nel contatto tra due superfici. Se la forza motrice Fm è minore di µrs Fp, allora

l'attrito è pari a Fm e il corpo non si muove; se Fm supera µrsFp, il corpo inizia a muoversi; per valori

di Fm ancora maggiori, l'attrito (dinamico) è sempre costante e pari a µrd Fp.

Alcuni valori del coefficiente di attrito radente

Superfici μrs (statico) μrd (dinamico)

Legno - legno 0,50 0,30

Acciaio - acciaio 0,78 0,42

Acciaio - acciaio lubrificato 0,11 0,05

Acciaio - alluminio 0,61 0,47

Acciaio - ottone 0,51 0,44

Acciaio - teflon 0,04 0,04

Acciaio - ghiaccio 0,027 0,014

Acciaio - aria 0,001 0,001

39

Acciaio - piombo 0,90 n.d.

Acciaio - ghisa 0,40 n.d.

Acciaio - grafite 0,10 n.d.

Acciaio - plexiglas 0,80 n.d.

Acciaio - polistirene 0,50 n.d.

Rame - acciaio 1,05 0,29

Rame - vetro 0,68 0,53

Gomma - asfalto (asciutto) 1,0 0,8

Gomma - asfalto (bagnato) 0,7 0,6

Vetro - vetro 0,9 - 1,0 0,4

Legno sciolinato - neve 0,10 0,05

Domanda: determinare il coefficiente di attrito radente dinamico tra una massa M=20kg e un piano

orizzontale, sapendo che l’attrito radente dinamico vale Frd=150N.

Domanda: determinare la massa di un blocco appoggiato al suolo sapendo che l’attrito statico

radente vale 900N e μ r s = 0,35.

Domanda: calcolare l’attrito statico radente alla base della massa M2 sapendo che M1=100kg,

M2=300kg e il coefficiente di attrito statico tra il piano di appoggio e la massa M2 è pari a 0,6.

40

Attrito volvente

L'attrito volvente si manifesta quando un corpo solido rotola senza strisciare su una superficie, ad

esempio quando una biglia rotola sul piano di un tavolo. In generale, la forza di attrito volvente è

espressa dalla formula:

Fa = -(µ/r) N

dove µ rappresenta il coefficiente di attrito volvente, caratteristico per ogni materiale, N la forza

perpendicolare alla superficie che tiene il corpo aderente a essa, ed r il raggio del corpo che rotola;

poichè r compare al denominatore, più il corpo è grande (r è grande), più piccola è la forza di attrito

sperimentata. Con poche eccezioni, la quantità di energia dissipata per effetto dell'attrito volvente è

minore rispetto a quella dissipata, in condizioni analoghe, per attrito radente; questa caratteristica

spiega la funzione di dispositivi come i cuscinetti a sfera, o di guide a rulli per il trasporto di carichi

pesanti: entrambi trasformano l’attrito radente in attrito volvente, in modo da rendere il moto più

efficiente.

Domanda: Una ruota del peso di 100N e raggio pari a 30cm sviluppa un attrito volvente pari a 30 N.

Calcolare il coefficiente di attrito volvente.

Domanda: determinare l’attrito volvente tra una ruota di raggio r = 10cm e massa M=10kg, sapendo

che rotola su un piano orizzontale e che µ v = 0,1m.

Piano Inclinato

Quando il vincolo è una superficie piana (come un tavolo o il pavimento), l'azione del vincolo si

manifesta come una forza perpendicolare alla superficie: si dice allora che il piano esercita una

forza normale (= perpendicolare).

M1

M2

41

Ma essere normale ad una superficie significa necessariamente essere verticale?

Una automobilina giocattolo di 50g scivola su un piano inclinato di 30 gradi (figura 35).

Supponiamo che il piano sia liscio (con attrito trascurabile). Determinare l'accelerazione

dell'automobilina

Fig. 35

Dati del problema Richieste

m = 50 g = 0,05 kg massa dell'automobilina a = ? accelerazione (vettore)

dell'automobilina

α = 30° inclinazione del piano

Fig. 36

42

Si tratta di un corpo che scivola su un piano inclinato liscio. Il giocattolo non è in caduta libera

perché vincolato del piano inclinato. In questo caso, però, il vincolo non equilibra il peso perché

esercita un'azione normale al piano e quindi in direzione diversa dalla forza peso.

Per disegnare il diagramma delle forze conviene scegliere un sistema di riferimento bidimensionale

Oxy con asse x diretta nel verso del piano inclinato, asse y perpendicolare al piano e diretta verso

l'alto e origine nel punto occupato inizialmente dal corpo.

Le forze agenti sono la forza di gravità FP = m g, diretta verticalmente verso il basso e il vincolo FV

del piano che ha direzione e verso dell'asse y.

Sia dall'esperienza, sia dal diagramma delle forze è evidente che il corpo non è equilibrato. In

assenza di attrito, l'automobilina accelera lungo il piano inclinato con accelerazione minore di

quella di gravità.

Per determinare l'accelerazione del corpo, dobbiamo sommare vettorialmente le due forze per

trovarne la risultante Ftot. Come regolarsi con l'intensità del vincolo?

Possiamo osservare preliminarmente che non esiste sicuramente accelerazione lungo l'asse y e che

quindi la forza risultante lungo l'asse y deve essere nulla.

Fig. 37

Esaminiamo separatamente l'azione delle forze lungo l'asse x e l'asse y, dopo aver scomposto la

forza peso in una componente Fpx ed una Fpy.

FP = (Fpx) i + (Fpy) j

Con considerazioni sui triangoli simili, si può vedere che:

Fpx = m g sen α

Fpy = m g cos α

L'unica forza lungo l'asse x è la componente del peso (Fpx) i, mentre la forza risultante lungo l'asse y

deve essere nulla.

Osserva:

43

Forza risultante: Ftot Accelerazione: a

Asse x m g sen α g sen α

Asse y 0 0

Il moto di un corpo su un piano inclinato liscio è uniformemente accelerato lungo il piano inclinato,

e, come il moto di caduta libera, non dipende dalla massa, ma solo dal valore dell'angolo α.

Calcolo: nel problema in esame l'accelerazione (in modulo) vale:

a = g sen α = 4,9 m/s2

Il piano inclinato e l’attrito

Nel caso generale, la forza di attrito dipende dalla forza premente P che il corpo applica al piano su

cui appoggia. Tale forza risulta perpendicolare alle superfici di contatto tra piano e corpo ma non

sempre coincide con il peso del corpo Fp . In particolare, se il piano d’appoggio non è orizzontale

ma inclinato, la forza premente P è più piccola di Fp , in quanto rappresenta la sua componente Fy

rispetto a un’asse y perpendicolare al piano.

Indicando con α l’angolo tra Fp e P (che coincide con l’angolo d’inclinazione del piano), sarà P = Fy

= Fp cosα. Pertanto, l’intensità della forza di attrito statico che il piano esercita sul blocco si calcola

con l’espressione:

Fa = μrs P = μrs Fp cosα

L’attrito dinamico

Per mettere in moto un corpo su una superficie piana bisogna applicare una forza che contrasti la

forza di attrito statico con cui la superficie si oppone al moto del corpo. L’espressione di tale forza

è:

Fa =μrs P

dove P rappresenta la forza premente, coincidente con la reazione vincolare Rv, del piano.

Affinché il corpo possa cominciare a muoversi è necessario che la forza trainante F raggiunga il

valore della forza di attrito statico Fa. Per mantenere il corpo in moto con velocità costante è invece

sufficiente applicare una forza Fd , con un’intensità inferiore a quella di Fa .

In questo caso la forza frenante che il piano esercita sul corpo ha un’intensità pari a Fd ed è

chiamata forza di attrito dinamico.

Se il moto si verifica su un piano orizzontale, anche la forza di attrito dinamico, come quella di

attrito statico, risulta proporzionale al peso del corpo. L’analisi dei dati sperimentali mostra, infatti,

che:

Fd = μrd Fp

dove μrd rappresenta il coefficiente di attrito dinamico il cui valore è leggermente inferiore a quello

di μrs.

44

Moto di un corpo su un piano inclinato

Consideriamo ora la situazione più complessa rappresentata in figura, in cui lo stesso corpo si

muove lungo un piano inclinato.

Fig. 38

Supponendo che il corpo sia già in movimento, le forze agenti sul corpo sono la forza peso Fp, la

reazione vincolare del piano Rv , e la forza di attrito dinamico Fd . Poiché l’accelerazione a del corpo

è diretta lungo il piano, deduciamo che anche la risultante R delle due forze Fp e Rv ha la stessa

direzione.

Per determinare l’accelerazione del corpo è conveniente scomporre la forza peso lungo le due

direzioni x e y indicate nella seconda parte della figura, di cui una parallela alla direzione di moto

del corpo, l’altra perpendicolare a essa, e applicare la II legge della dinamica, separatamente, per il

moto lungo x e per quello lungo y. Nella direzione x agiscono la componente Fpx della forza peso e

la forza di attrito dinamico Fd . Lungo tale direzione il corpo si muove con accelerazione a. La II

legge della dinamica fornisce allora la relazione:

Fpx- Fd = ma

da cui ricaviamo

a = (Fpx- Fd )/m

Lungo la direzione y agiscono invece la componente Fpy della forza peso e la reazione vincolare Rv .

Lungo tale direzione il corpo è fermo, pertanto, applicando la II legge della dinamica, otteniamo:

Rv - Fpy = 0 da cui Rv = Fpy

Dalle due relazioni trovate per Fpx e Fpy deduciamo che la componente Fpx della forza peso è quella

che trascina il corpo verso il basso opponendosi alla forza di attrito e determinando la sua

accelerazione. La componente Fpy , invece, non produce alcun effetto perché viene equilibrata dalla

reazione vincolare Rv .

Per ricavare l’espressione di Fd occorre considerare che nel caso di moto di un corpo su un piano

inclinato, è la componente Fpy della forza peso a rappresentare la forza premente che definisce il

valore Fd della forza di attrito dinamico.

Quindi

Fd = μrd Fpy

da cui, essendo Fpy = Rv , si ottiene

Fd =μrd Rv

45

Nel seguente sito:

http://www.walter-fendt.de/ph14i/inclplane_i.htm

si trova un applet che analizza il moto di un carrello lungo un piano inclinato con velocità costante

indipendentemente dall’angolo di inclinazione, dal peso del carrello e dal coefficiente di attrito μd.

L’ applet è impostato in modo che la forza motrice permetta un moto rettilineo uniforme.

Il peso del carrello è espresso in Newton ed è possibile modificarlo insieme al coefficiente di attrito.

La forza motrice si legge in tabella e nel caso di assenza di attrito è uguale alla forza resistente

dovuta alla componente parallela al piano della forza peso.

Ad esempio impostando un angolo di 30° ed un peso di 10 N senza attrito, si trova una componente

perpendicolare di 8,7 N ed una forza motrice di 5 N.

Si consiglia di calcolare detta forza motrice per vari valori dei parametri e di ritrovare i risultati

nella tabella dell’applet.

Transect (area di saggio)

Per determinare un’area di saggio può essere necessario disporre di un angolo retto. In campo

questo si può fare nel modo seguente:

Fig. 40

Determinazione di un angolo retto tra due allineamenti mediante il teorema di Pitagora

In un triangolo rettangolo ABC, in cui b e c sono i cateti ed a l’ipotenusa, si ha la seguente relazione:

a² = b² + c² . Di conseguenza, un triangolo in cui l’angolo sia di 90° ed i cateti c = 3m e b = 4m, avrà

l’ipotenusa a = 5m (5² = 3² + 4²).

Sul terreno, non avendo a disposizione strumenti topografici, la sola difficoltà consiste nella

determinazione dell’angolo tra un allineamento dato, nell’esempio coincidente con la direzione del

46

cateto c, e l’allineamento ortogonale, coincidente con il cateto b. Applicando il teorema di Pitagora, noto

un allineamento (c, vedi figura), si può procedere nel modo seguente utilizzando solo la cordella

metrica: il primo operatore si piazza sul vertice A tenendo in mano il punto 0 del nastro mentre un

secondo operatore si colloca sul punto B, posto lungo l’allineamento c noto, tenendo il nastro della

cordella (teso) al punto 3m. L'operatore in A verifica che B sia esattamente sull'allineamento (solo da

quella posizione è possibile farlo!). Il terzo operatore prende il nastro al segno 8m (c + a) spostandosi

nella direzione verso cui si dovrà determinare il punto C. Il primo operatore in A, terrà in mano, in

coincidenza con il punto 0, anche il punto 12m (a + b + c). Il primo (A) e secondo operatore (B)

staranno fermi nei punti assegnati mentre il terzo si sposterà fino a che la cordella metrica non risulti

tesa sia verso A che verso B. Il punto così determinato corrisponde a C e l’angolo formato tra gli

allineamenti b e c sarà esattamente un angolo retto. Poiché il problema non è determinare due

allineamenti ortogonali, ma uno ortogonale ad uno già noto (c) in un punto ben preciso (A), è importante

che SOLO l’operatore che si colloca in C si muova fino a tendere le cordelle, mai quelli che si trovano

sui punti A e B, posti sull’allineamento noto.

Il prolungamento di b (ed eventualmente di c) sino alla lunghezza desiderata verrà effettuato per

allineamento di 3 punti successivi (tre punti allineati soggiacciono sempre sulla stessa retta).

48

Capitolo 3 Leve, condizione di equilibrio

Carrucole

Cuneo

Verricello

Lavoro e energia

Potenza

Unità di misura

Leva

Tipi di leve: in alto una leva del primo tipo, in basso una del terzo

«Datemi un punto d'appoggio e solleverò il mondo» (Archimede)

Una leva è una macchina semplice che trasforma il movimento.

Essa è composta da due bracci solidali fra loro (che ruotano cioè nello stesso angolo e con la stessa

velocità angolare) incernierati per un'estremità a un fulcro, attorno al quale sono liberi di ruotare.

49

I bracci di una leva sono anche indicati con i termini di braccio-potenza (P) e braccio-resistenza

(R); il primo è il braccio al quale bisogna applicare una forza per equilibrare la forza resistente

applicata all'altro braccio.

Condizione di equilibrio

La condizione di equilibrio nella leva è la consueta condizione di equilibrio alla rotazione: la

somma dei momenti delle forze ad essa applicate deve essere uguale a zero.

Poiché nella leva l'asse di rotazione è fisso e sono applicate solo due forze, è sufficiente uguagliare i

due momenti:

,

dove:

, è la forza applicata all'estremità del braccio b1 (che farebbe ruotare la leva in un dato

verso);

, è la forza applicata all'estremità del braccio b2 (che farebbe invece ruotare la leva nel

verso opposto).

Segue , ovvero il braccio e la forza su di esso applicata sono inversamente proporzionali.

Vantaggio meccanico

Dalla condizione di equilibrio segue che imprimendo all'estremità del braccio lungo della leva un

movimento con una determinata forza, l'estremità del suo braccio corto si muoverà con una forza

moltiplicata di un fattore b1/b2, anche se percorrerà un cammino ridotto dello stesso fattore, e

viceversa se l'azione viene invece compiuta sul braccio corto. Il rapporto tra le dimensioni dei

bracci determina quindi il rapporto tra forza resistente e forza da applicare.

Classificazione delle leve

In base al rapporto tra forza resistente e forza applicata (o potenza) le leve si distinguono in:

svantaggiose: se la forza applicata richiesta è maggiore della forza resistente, ovvero se il

braccio-resistenza è più lungo del braccio-potenza (bp / br < 1);

indifferenti: se la forza applicata richiesta è uguale alla forza resistente, ovvero se il braccio-

resistenza è uguale al braccio-potenza (bp / br = 1);

vantaggiose: se la forza applicata richiesta è minore della forza resistente, ovvero se il

braccio-resistenza è più corto del braccio-potenza (bp / br > 1).

50

In base alla posizione reciproca del fulcro e delle forze le leve si distinguono in:

leve di primo genere: il fulcro si trova tra le due forze; possono essere vantaggiose,

svantaggiose o indifferenti;

leve di secondo genere: la forza resistente si trova tra fulcro e forza applicata (o potenza);

sono sempre vantaggiose;

leve di terzo genere: la forza applicata (potenza) si trova tra fulcro e forza resistente; sono

sempre svantaggiose.

Esempi di leve

La tabella seguente riporta alcuni semplici esempi di leve, indicando il fulcro, i punti di

applicazione delle forze, il tipo di leva.

Leva Fulcro Forza resistente Forza applicata Tipo

Forbici Cerniera Oggetto da tagliare Impugnatura I

Carrucola

fissa Asse centrale Oggetto da sollevare Forza fisica I

Zappino* Punto di inserzione

ferro ricurvo Oggetto da sollevare Forza fisica I

Remo** Punto in cui il remo è

immerso in acqua

Natante a cui si vuol imprimere il

moto ed è localizzata nello scalmo

Impugnatura del

remo II

Carriola Asse della ruota Peso da trasportare Manici II

Schiaccianoci Perno Noce Mano II

51

Braccio

umano Gomito Oggetto sorretto dalla mano

Muscoli del

braccio III

Prendi

ghiaccio Perno Cubetto di ghiaccio Mano III

*Zappino - Attrezzo manuale usato per lo spostamento di tronchi, costituito da un lungo e robusto

manico in legno con in cima un ferro ricurvo.

** Il remo è la leva con cui l'atleta si appoggia all'acqua (fulcro) allo scopo di imprimere un moto

allo scafo (resistenza) per mezzo della sua forza applicata all'impugnatura del remo (potenza).

Trattasi pertanto di una leva di II genere del tipo identico a quello che un uomo può adoperare per

spostare un peso facendo passare una sbarra al di sotto del peso stesso ed appoggiando al terreno

l'estremità di tale sbarra.

52

Domanda: uno zappino con manico di legno lungo1,2 m e ferro ricurvo di 20 cm si utilizza per

sollevare (dalla parte corta) un tronco di 240 kg, che sforzo (espresso in kg ed in t) si deve compiere

sul manico?

Carrucole

Le carrucole possono essere di vari tipi:

Carrucola fissa

La carrucola fissa si può considerare come una leva a cui sono applicate la forza traente F e il carico

M.

Nella carrucola fissa, l'asse della puleggia è fisso, e la ruota ha la sola funzione di deviare la forza

applicata ad una estremità della fune (ovviamente, nella pratica, tenendo conto degli attriti tra fune e

gola della puleggia e tra puleggia e perno).

È una leva di primo genere.

Fig. 41

Carrucola mobile (o taglia)

In questa categoria rientrano le carrucole in cui l'asse della puleggia è mobile solidalmente con il

carico sollevato. È una leva di 2° genere.

53

Fig. 42

Nella carrucola mobile ad essere fissato rigidamente è un estremo della fune, mentre la forza da

equilibrare agisce sulla staffa. In questo caso le forze sono la nella

fune. Ancora le equazioni della Statica ci dicono quanto devono valere le forze perché la carrucola

stia in equilibrio.

Ovvero la risultante delle forze applicate ed il momento risultante devono essere nulli. Si è scelto

come polo il centro del disco. Essendo , dalla prima equazione avremo

ovvero

cioè

quindi con una forza pari alla metà della forza da equilibrare, si riesce a mantenere in

equilibrio la carrucola mobile (ovviamente a meno dei soliti attriti). In ciò consiste l'utilità dell'uso

della carrucola mobile.

54

In condizioni di equilibrio dunque la forza applicata alla fune è pari alla metà della forza peso

agente sulla carrucola.

Per la legge di conservazione dell'energia, per avere sul carico lo stesso lavoro compiuto tirando la

fune con forza dimezzata, è necessario che la velocità di sollevamento del carico sia la metà rispetto

alla velocità di trazione della fune.

In pratica, per sollevare il carico di un metro è necessario tirare la fune per due metri. Infatti il

lavoro di deve essere uguale a quello di per cui se si sposta di h lo scorrimento della

fune è due volte h e quindi lo spostamento di deve essere doppio di quello di .

Carrucola composta

Una carrucola composta è un insieme di due o più carrucole, in parte fisse ed in parte mobili.

55

I sistemi di carrucole multiple sono anche detti paranchi.

Fig. 43

Questa macchina semplice è usata fin dai tempi antichi per amplificare enormemente la forza

umana, per sollevare elementi architettonici, colonne, obelischi, trascinare blocchi di marmo, tirare

navi in secca ecc. Il vantaggio meccanico di questo sistema è pari al numero di carrucole presenti.

Per esempio, se sono presenti in totale quattro ruote, il rapporto tra la forza sollevata e la forza

applicata è di 4 a 1.

Lo stesso rapporto si ha tra la velocità di trazione e la velocità di sollevamento.

I sistemi di carrucole multiple sono anche detti paranchi.

Esempio

56

Fig. 44

Abbiamo un pezzo di granito M che intendiamo sollevare con una fune che passa attraverso 8

carrucole come mostrato in figura 44. Il peso del masso di granito è 2000 N. Quanto deve essere

per poter sollevare il masso?

Il tiratore esercita sulla fune una forza che è costante per tutta la fune (assumendola con

elasticità nulla ed a meno degli attriti). La fune attraverso la prima carrucola esercita la stessa forza

e la stessa cosa fa in tutte le altre. Si ottiene che ogni carrucola tira verso l’alto due volte.

Essendo 4 le carrucole saldate al grave, la seconda legge di Newton dà

Vogliamo che il masso venga sollevato a velocità costante, quindi . Otteniamo dunque

Per sollevare questo masso è necessaria perciò soltanto un ottavo della forza necessaria a sollevare

il masso senza le 8 carrucole.

Un metodo pratico per calcolare la forza necessaria esercitata da carrucole multiple per sollevare un

masso, consiste nel tracciare idealmente una retta orizzontale come in figura e contare quanti rami

delle carrucole eccetto l’ultimo tagliano la retta, si divide per questo numero la forza peso del masso

e abbiamo il valore della forza necessaria per sollevare il masso. Ad esempio nel caso di figura 45 il

fattore numerico è 5, per cui la potenza è un quinto della resistenza.

57

Fig. 45

Domanda: nel caso della figura 46 quanto è la forza esercitata per vincere la resistenza di 16 N?

Esprimere la forza esercitata in N e in kgp.

.

Si visualizza senso dello

scorrimento delle corde

Resistenza= 16 N

Fig. 46

Domanda: un corpo di massa m1 =3 kg è appeso, attraverso una fune inestensibile e priva di massa

che passa attraverso due carrucole anch'esse prive di massa. Una carrucola è fissata al soffitto, la

seconda carrucola è mobile e reca appeso un secondo corpo di massa m2 = 4 kg come in figura 47.

58

I corpi vengano lasciati liberi di muoversi. Calcolare: a) l'accelerazioni dei corpi, b) la tensione

della fune, c) per quale valore di massa del corpo 1 si ottiene l'equilibrio.

Fig. 47

Risposta: questo problema si risolve utilizzando la II legge di Newton. Le forze in gioco sono: il

peso dei corpi e le reazioni vincolari. Di queste reazioni vincolari ci interessa solo la tensione della

fune. Essendo le carrucole ideali esse non hanno alcuna influenza sul moto dei corpi. Applichiamo

la II legge di Newton ai tre corpi. Assumiamo che sia il corpo 1 a cadere verso il basso per cui il

corpo 2 salirà verso l'alto. Questa ipotesi è irrilevante. Se l'accelerazione alla fine risulterà negativa

vuol dire semplicemente che abbiamo sbagliato la previsione iniziale e occorrerà semplicemente

cambiarla di segno.

Per il corpo 1:

(1)

Per il corpo 2:

.

Osserviamo che la tensione è la stessa lungo tutto il filo e che il corpo 2 viene spinto verso l'alto da

due volte la tensione del filo. Notiamo anche che le accelerazioni dei due corpi sono diverse. Se il

corpo 1 si muove di un tratto ∆l verso il basso, poiché la fune è inestensibile, tale tratto di fune ∆l

59

dovrà essere sottratto al tratto di fune che avvolge la carrucola 2. Questo tratto sarà quindi ottenuto

prelevando un tratto di fune lungo (∆l)/2 a sinistra e a destra della carrucola 2. Quindi, dividendo

per il tempo∆t otterremo che la velocità del corpo 1 è doppia rispetto alla velocità del corpo 2 e

analogamente per l'accelerazione. Quindi avremo:

per cui:

(2)

Moltiplicando per 2 la (1) e sommando alla (2) otterremo:

Da questa possiamo ottenere

(3)

L'equilibrio si otterrà quando a1 = 0 e cioè il numeratore della (3) è nullo e questo si ottiene per:

ovvero

Notiamo che, con questo semplice sistema, si può tenere in equilibrio un corpo di massa 4 kg

applicando all'estremo della fune un corpo di massa 2 kg.

Lavoro ed Energia

Nel corso della storia gli uomini hanno inventato diversi tipi di macchine per sollevare, spostare e

mettere in movimento gli oggetti. In tutte le macchine vi sono forze che producono spostamenti.

Una nuova grandezza, il lavoro di una forza, misura l'effetto utile della combinazione di una forza

con uno spostamento.

Forza e spostamento paralleli

Il caso più semplice è quello in cui il vettore forza è parallelo al vettore spostamento: i due vettori

hanno stessa direzione e stesso verso. Se la forza e lo spostamento sono paralleli, si definisce il

lavoro come: L = F.s

Per esempio, un motore di ascensore che esercita una forza di 8000 N mentre solleva la cabina di 6

m compie un lavoro.

60

L = (8000 N) * (6 m) = 48.000 N*m

Nel Sistema Internazionale l'unità di misura del lavoro è il Newton per metro (N*m). Questa unità

di misura è detta anche joule (J):

J = (N) * (m)

Un joule è il lavoro compiuto da una forza di un Newton quando il suo punto di applicazione si

sposta di un metro (nella direzione e nel verso della forza).

Si può eseguire un lavoro pari a 1 J sollevando di un metro un corpo che pesa 1 N. Così, se si

afferra un panetto di burro da 1 hg e lo si solleva di 1m si compie il lavoro di circa 1 J.

Quando i vettori forza e spostamento sono paralleli, la forza mette o mantiene in movimento il

corpo su cui è applicata. In questo caso il lavoro della forza è positivo ed è detto lavoro motore.

Forza e spostamento antiparalleli

Un altro caso molto comune è quello in cui i vettori forza e spostamento hanno la stessa direzione

ma versi opposti. Se la forza e lo spostamento sono antiparalleli, il lavoro è dato dalla formula:

L = − Fs.

Il segno meno è introdotto per descrivere il fatto che, quando forza e spostamento hanno versi

opposti, la forza agisce in modo da opporsi al moto del corpo. Si dice che la forza compie un lavoro

resistente.

Così, la mano che indossa un guantone da baseball compie un lavoro negativo per fermare la palla.

Per esempio, una palla che si muove verso sinistra con una velocità di 24 m/s (86,4 km/h) può

essere fermata da una forza (rivolta verso destra) di 400 N mentre la mano accompagna la palla per

10 cm. Il lavoro compiuto dalla mano è:

L = - (400 N) * (0,10 m) = - 40 J

Forza e spostamento perpendicolari

Considera un carrello che si muove senza attrito su un binario orizzontale. Sul carrello agisce la

forza-peso, che è rivolta verso il basso e, quindi, risulta perpendicolare allo spostamento

(orizzontale) del carrello. In questa situazione la forza non influenza in alcun modo lo spostamento

(non lo asseconda ma non lo ostacola neppure). Nel caso di forza e spostamento perpendicolari il

lavoro è nullo:

L = 0

61

Il vettore u

rappresenta lo spostamento

In generale il lavoro di una forza costante lungo un percorso rettilineo è definito come il

prodotto scalare del vettore forza per il vettore spostamento :

dove L è il lavoro e α l'angolo tra la direzione della forza e la direzione dello spostamento.

Lavoro con forza e traiettoria costante

Come abbiamo visto il lavoro può essere sia positivo che negativo, il segno dipende dall'angolo α

compreso tra il vettore forza ed il vettore spostamento .

Il lavoro svolto dalla forza è positivo se 0 < α < 90° (0 < α < π/2 radianti) ovvero se cosα > 0. Un

lavoro positivo è causato da una forza detta motrice, uno negativo (90° < α < 180°), invece, da una

forza resistente.

Il termine utilizzato in fisica differisce dalla definizione usuale di lavoro, che è decisamente legata

all'esperienza quotidiana e si può ricondurre, ad esempio, alla fatica muscolare. Infatti si compie un

lavoro se si ha uno spostamento: se per esempio si spinge contro un muro naturalmente esso rimarrà

fermo e non si avrà lavoro.

Unità di misura

Nel Sistema Internazionale l'unità di misura per il lavoro è il joule che corrisponde allo spostamento

di 1 m di una forza di 1 N:

62

Tra le altre unità di misura del lavoro ricordiamo:

il chilogrammetro: lavoro necessario per alzare di 1 m un peso di 1kgp

(circa)

l'erg:

l'elettronvolt (lavoro eseguito da un elettrone per attraversare una differenza di potenziale

pari ad 1 Volt): 1 eV = 1,60217646 × 10-19

joule.

Cuneo

Il cuneo è una macchina meccanica semplice, applicazione pratica del principio del piano inclinato,

usata per separare due oggetti o parti di un oggetto, amplificando la forza applicata trasversalmente

al senso del moto di separazione. I cunei sono impiegati nella tecnica per muovere o sollevare

oggetti, bloccare parti in posizione, aprire una via in un materiale solido. Esempi di questo ultimo

caso sono la punta del chiodo e l'ascia per spaccare la legna.

È un prisma retto a sezione triangolare, con una faccia minore (testa) e due facce maggiori (fianchi)

unite nel vertice (punta o tagliente). Sul principio del cuneo funzionano tutti gli utensili da taglio:

l’accetta, lo scalpello, il coltello, il punteruolo, ecc. Le tenaglie e le forbici sono una doppia leva

con due cunei nel punto in cui si applicala forza di resistenza.

Consideriamo una sezione del cuneo ottenuta tagliandolo con un piano ortogonale ai suoi spigoli

laterali. La base del triangolo che si ottiene viene detta testa del cuneo e gli altri due lati fianchi. Il

cuneo serve a esercitare forze su due parti di un corpo per separarle. Esso viene perciò introdotto in

un taglio praticato nel corpo e sulla sua testa viene applicata una forza (la potenza P). Possiamo

scomporre tale forza lungo due componenti P1 e P2, rispettivamente perpendicolari ai due fianchi

(figura 48); esse tendono ad allontanare tra loro le due parti del corpo.

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Fig. 48

Notiamo che se la sezione del cuneo è un triangolo isoscele, le due componenti P1 e P2 hanno la

stessa intensità:

Condizione di equilibrio per il cuneo è allora che le due parti del corpo diano luogo a reazioni

uguali e contrarie alle due componenti della potenza: R = P′. Consideriamo i due triangoli ABC e

DEF della figura. Si può constatare facilmente che essi sono simili. Quindi:

ossia:

cioè: all'equilibrio, l'intensità della potenza sta a quella della resistenza come la lunghezza della

testa sta a quella del fianco.

Domanda: un cuneo in legno ha la testa larga 2 cm e i fianchi lunghi 8 cm. Se la testa viene colpita

con un martello capace di imprimere una forza di 10 N quanto vale la forza R che si genera sui

fianchi?

Risposta: la legge del cuneo (trascurando gli attriti lungo i fianchi AC e CB ) è la seguente:

AC

AB

R

P. L’incognita è R, per cui: R = 40 N.

Domanda: per separare un blocco di granito in due porzioni, bisogna inserire un cuneo di acciaio

avente la testa larga 4 cm e i fianchi lunghi 5 cm, capace di esercitare perpendicolarmente ai fianchi

2 forze pari a 1500 N. Determinare la forza minima che va applicata alla testa.

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Domanda: Un cuneo con testa AB pari a 2 cm, se colpito con una forza di 123 N, è capace di

esercitare sui fianchi una forza di 350 N. Determinare la lunghezza dei fianchi.

Domanda: Un cuneo colpito con una forza di 17 N, esercita sui fianchi una forza di 80 N. Sapendo

che la testa è larga 3 cm, quanto sono lunghi i fianchi?

Il cuneo serve anche per spostare il baricentro di una pianta, dopo il taglio di abbattimento, per

consentirne l’atterramento.

In figura 49a sono raffigurati cunei in legno plastica o alluminio, con due facce a debole

convergenza, utilizzati per coadiuvare l’atterramento di un albero nelle operazioni di abbattimento

e, in alcuni casi, per tenere aperto il taglio nella fase di sezionatura.

Fig. 49 a

In figura 49b l’operatore boschivo, finito il taglio di abbattimento, batte sul cuneo al fine di

provocare la caduta della pianta. In figura 49c è visibile, sulla base della pianta abbattuta, la

cerniera che ha permesso la rotazione della pianta verso la direzione scelta.

Fig. 49 b Fig. 49 c

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Il Verricello

Il verricello è costituito da un cilindro (tamburo) che può ruotare intorno al proprio asse e sul quale

è avvolta una fune. La forza resistente è applicata all'estremità della fune, mentre la forza motrice è

applicata ad una manovella collegata all'asse di rotazione del tamburo.

La macchina è vantaggiosa quando il raggio della manovella è maggiore del raggio del tamburo,

vedi figura 50.

Fig. 50

Il verricello può essere costituito, vedi figura 51 da due cilindri coassiali di raggio diverso, a

ciascuno dei quali è avvolta una fune, in modo tale che la rotazione del sistema in un certo senso

tende ad avvolgere una delle funi e a svolgere l'altra. All'estremità della fune avvolta sul cilindro di

raggio minore r1 è applicata la resistenza R, mentre all'estremità della fune avvolta sul cilindro di

raggio maggiore r2 è applicata la potenza P (figura 51). I bracci delle due forze R e P sono

rispettivamente dati dai raggi r1 e r2.

Condizione di equilibrio del verricello è che i momenti della potenza e della resistenza abbiano lo

stesso modulo, ma direzioni opposte. Ossia:

da cui:

66

ed essendo r1 < r2, r1/r2 risulta minore di 1 e quindi:

cioè, si possono equilibrare resistenze R con potenze P di intensità minore.

Fig. 51 Sopra a sinistra: Carrucola fissa. Sopra a destra: Carrucola mobile. In basso: Verricello.

Per concludere questa sezione, vogliamo ricordare come un esempio di verricello presente nella

nostra vita di tutti i giorni è costituito dai pedali e dalla ruota dentata della nostra bicicletta: i pedali

giocano il ruolo della manovella del verricello, mentre la ruota dentata gioca il ruolo del cilindro del

verricello. Per ridurre la fatica e rendere più leggera la pedalata è necessario ridurre il raggio r della

ruota dentata.

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Argano

Il principio di funzionamento dell'argano è simile a quello del verricello (vedi figura 52).

Fig. 52

L'argano è una macchina che può esercitare sforzi verticali, per sollevare carichi, od orizzontali,

per trascinarli, questi sforzi sono effettuati per mezzo di un organo di trazione. L'argano deriva da

una macchina semplice: il verricello che consiste, come abbiamo visto, in un cilindro ed una ruota

fissati l'uno all'altro e ruotanti attorno ad un asse comune. Le due forze potenza (P = Fm) e

resistenza (Q = Fr) agiscono mediante funi rispettivamente sulla ruota e sul cilindro.

La condizione di equilibrio si ottiene quando il prodotto delle forze per la lunghezza dei rispettivi

bracci (in questo caso il raggio della ruota bm ed il raggio della base del cilindro br), ovvero i due

momenti, sono uguali ed opposti:

Fm · bm = Fr · br .

Da questa formula si deduce che il rapporto tra potenza e resistenza è uguale al reciproco tra i due

bracci:

Fm/Fr = br/bm.

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Il vantaggio che offre l'argano è quello di poter tirare o sollevare Q mediante una forza P molto

piccola, anche se tale vantaggio è pratico ma non energetico: in base al principio di conservazione

dell'energia meccanica, il lavoro svolto dalla forza P è uguale a quello svolto dalla resistenza Q,

perché per sollevare o trascinare per x metri la resistenza Q, occorre tirare con una forza P per y

metri in modo che si verifichi la formula:

P*y = Q*x

Da sottolineare che il rapporto tra x ed y è uguale a quello tra i raggi del cilindro e della ruota,

nonché quello tra P e Q.

Domanda: un tamburo di un verricello con diametro a vuoto di 30 cm avvolge una fune esercitando

una forza di trazione di 3000 kg; qual è il momento espresso in kgm ed in Nm? E quando è pieno e

ha raggiunto un diametro di 60 cm?

Potenza

La potenza è definita come il lavoro (L) compiuto nell'unità di tempo (t):

In base al principio di eguaglianza tra lavoro ed energia, la potenza misura anche la quantità di

energia scambiata nell'unità di tempo, in un qualunque processo di trasformazione, meccanico,

elettrico, termico o chimico che sia.

Nel caso di energia meccanica (lavoro), la potenza corrisponde anche al prodotto scalare della forza

per la velocità del punto di applicazione

e, nel caso di moti rotatori, al prodotto della coppia (momento di una forza) per la velocità angolare

Nel sistema internazionale di unità di misura la potenza si misura coerentemente in Watt (W), come

rapporto tra unità di energia in Joule (J) e unità di tempo in secondi (s):

Per motivi storici, si possono incontrare ancora unità di misura diverse, nate dall'uso di misurare

l'energia e il tempo con unità diverse, a seconda del campo di applicazione. Ad esempio:

Cavallo vapore (CV, in italiano, simile ad HP, in inglese):

1 CV = 735 W = 0,735 kW; 1 CV = 0,9863 HP

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Il cavallo vapore è il nome di varie unità di misura (non SI) della potenza. Nelle pubblicazioni

scientifiche si usa pressoché esclusivamente l'unità del Sistema Internazionale, il Watt. Tuttavia

l'idea del cavallo vapore sussiste come concetto in varie lingue e nazioni, principalmente per

determinare la potenza di un motore di un veicolo in modo piuttosto immediato.

La sua definizione è però unica:

1 CV = 75 kgp m/s = 735,49875 W =0,735kW (circa)

Resta tuttavia ironico sapere che un solo cavallo non ha potenza di 1 cavallo vapore, bensì esistono

particolari criteri per definire la potenza di un cavallo, che generalmente per quelli da corsa o da

gara, si aggira sui 10-11 cavalli vapore. Il cavallo vapore britannico non va confuso con il cavallo

vapore del RAC (Royal Automobile Club) chiamato RAC horsepower e usato all'inizio del XX

secolo. Il valore veniva collocato di solito prima della potenza effettivamente misurata, cosicché era

possibile imbattersi in auto chiamate "40/50 hp".

Il cavallo vapore britannico o horse power (simbolo hp o bhp), è un'unità di misura della potenza

meccanica, equivalente a 1,014 cavalli vapore ovvero a 745,7 Watt.

Questa unità di misura non fa parte del Sistema internazionale di unità di misura.

L'utilizzo del termine permane in molte lingue, in particolar modo nella terminologia legata

all'industria automobilistica, per designare la potenza massima dei motori a combustione interna.

Domanda: un motore della potenza di 20 CV tira una fune alla velocità di 2 m/s. Qual è la forza di

tiro massima che può esercitare?

Risposta: applicando la formula P = F x v.

Si ha 20 CV=F x 2m/s ovvero 20 x 75kgpm/s = F x 2m/s cioè 750 kgp = F.

Domanda: un cilindro ha un’altezza di 3 m e il raggio di base di 0,5 m. La sua densità è di

3000 kg/m3. Determinare il lavoro che bisogna compiere per sollevarlo di 10 m. Calcolare la

potenza che ha un argano che lo solleva per 50 m in 10 s.

Domanda: un argano solleva in verticale una massa di 510 kg all’altezza di 12 m in 30 s. Quali

sono, nelle unità di misura del S.I., la forza esercitata dall’argano, il lavoro svolto dall’argano, la

potenza sviluppata dal suo motore?

Domanda: un verricello solleva una massa di 300 kg di 8 m in 5 s; qual è la forza esercitata, il

lavoro svolto, la potenza sviluppata?

Domanda: un argano è mosso da un motore che nel corso di un minuto compie un lavoro di 19 kJ.

Nel frattempo l'argano solleva una massa di 80 kg a un'altezza di 15 m. Determinare quanto lavoro

viene fatto contro la forza-peso per sollevare la massa.

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Alcune Unità SI (Sistema Internazionale) fondamentali

Lunghezza Metro m

Massa Chilogrammo kg

Tempo Secondo s

Corrente elettrica Ampere A

Temperatura termodinamica Kelvin K

Intensità luminosa Candela Cd

Angolo piano Radiante Rad

Alcune unità di misura derivate del SI

Frequenza Hertz Hz

Forza Newton N

Pressione - Tensione Pascal Pa

Lavoro - Energia - quantità di calore Joule J

Potenza Watt W

Potenziale elettrico - Differenza di potenziale - Tensione elettrica

- Forza elettromagnetica Volt V

Capacità elettrica Farad F

Resistenza elettrica Ohm Ω

Conduttanza elettrica Siemens S

Flusso di induzione magnetica: Flusso magnetico Weber Wb

Flusso luminoso lumen lm

Illuminamento lux lx

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Alcuni multipli e sottomultipli decimali (definizione esatta: prefissi SI)

tera T 1012

1 000 000 000 000

giga G 109 1 000 000 000

mega M 106 1 000 000

kilo k 103 1 000

etto h 102 100

deca da 101 10

deci d 10-1

0.1

centi c 10-2

0.01

milli m 10-3

0.001

micro µ 10-6

0.000 001

nano n 10-9

0.000 000 001

pico p 10-12

0.000 000 000 001

Delle unità di misura derivate alcune hanno un nome proprio (es.: pressione Pa = N/m

2,

lavoro J = Nm) altre non hanno un nome proprio (es.: velocità in m/s, viscosità in kg/ms).