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Appunti per il corso di Meccanica Razionale Daniele Andreucci Dipartimento di Scienze di Base e Applicate per l’Ingegneria Università di Roma La Sapienza via Antonio Scarpa 16 00161 Roma, Italy [email protected] a.a. 2016–2017 versione definitiva

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Appunti per il corso di

Meccanica Razionale

Daniele AndreucciDipartimento di Scienze di Base e Applicate

per l’IngegneriaUniversità di Roma La Sapienza

via Antonio Scarpa 16 00161 Roma, [email protected]

a.a. 2016–2017versione definitiva

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mra 20161215 22.25c©2009, 2013, 2014, 2015, 2016 Daniele AndreucciTutti i diritti riservati–All rights reserved

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Introduzione

0.1. Programma

Questa è la versione definitiva degli Appunti per il corso di MeccanicaRazionale, tenuto per il Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica dell’U-niversità La Sapienza di Roma, anno accademico 2016-2017. Eventualicorrezioni a questa versione definitiva verranno segnalate in una ErrataCorrige, che apparirà sul sito del corso.Programma d’esameIl programma consiste, con riferimento ai presenti Appunti, di:

• Capitolo 1, meno: Definizione 1.16, Proposizione 1.18, Teorema 1.22,Teorema 1.23, Definizione 1.25, Teorema 1.30, Osservazione 1.31, Teo-rema 1.39.

• Capitolo 2, meno: gli esempi delle Sezioni 2.6 e 2.7.• Capitolo 3.• Capitolo 4.• Capitolo 5.• Capitolo 6, meno: le dimostrazioni del Teorema 6.14 e del Teore-

ma 6.27.• Capitolo 7.• Capitolo 8, meno: la dimostrazione del Lemma 8.12 e il Teorema 8.13.• Capitolo 9, meno: la Sottosezione 9.4.1.• Capitolo 10, meno: la Sottosezione 10.1.1; le dimostrazioni del Teore-

ma 10.10 e del Teorema 10.21.• Capitolo 11, meno: le dimostrazioni del Lemma 11.14 e del Teore-

ma 11.15; il Corollario 11.19; la Sezione 11.3.

Salvo diverso avviso non sono comprese nel programma le parti com-poste in carattere più piccolo (come per esempio la dimostrazione delTeorema 2.49).Formano parte del programma anche le tecniche di risoluzione degli eser-cizi, che vengono resi disponibili sul sito del corso.

Le Appendici contengono risultati che possono venire usati nel corso, manon ne fanno parte in senso proprio (prerequisiti, complementi tecnici,alcuni risultati di calcoli complicati).

0.2. Avvertenze

Nel testo si usano ampiamente cambiamenti di base in R3, ove le basi sonosempre assunte essere ortonormali e orientate positivamente. Alcune diqueste basi sono chiamate ‘mobili’, senza che questo abbia altro significato

iii

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iv DANIELE ANDREUCCI

che quello della convenzionale scelta a priori di un sistema di riferimentocome ‘fisso’. Tale scelta viene presupposta in tutto ciò che segue.I vettori di R3 sono di solito espressi come combinazione lineare dei ver-sori della base; talvolta per brevità sono identificati con il vettore colon-na delle loro componenti, ma solo se la base è quella ‘fissa’ prestabi-lita. Analogamente le coordinate, nei casi in cui non vengano definiteesplicitamente, vanno intese come riferite al sistema fisso.Usiamo i simboli eh per indicare i vettori della base standard di R3, mentrele altre basi (mobili) sono indicate con uh, wh, . . .I vettori sono indicati con questo carattere: f , mentre le matrici sono in-dicate con il carattere: F . Il prodotto righe per colonne viene indicatosemplicemente per giustapposizione, cosicché per esempio se x1 e x2 sonovettori colonna di uguale lunghezza, allora x1

tx2 coincide con il prodottoscalare x1 · x2.La notazione usata per gli spazi funzionali non distingue tra caso scalaree vettoriale; per esempio per una f : I → R3 potremo scrivere f ∈ C2(I).

Salvo diverso avviso:• Cilindri e coni sono circolari retti.• Le densità sono costanti.• I sistemi di riferimento cartesiani sono ortogonali e positivamente

orientati.• La forza peso non è presente negli esercizi; costituisce però esplicito

avviso del contrario ogni riferimento a direzioni verticali od orizzon-tali: in tale caso si intende che la verticale discendente ha il versodella forza peso.

Le parti di testo stampate in carattere più piccolo sono complementi nonnecessari alla comprensione del seguito.Il simbolo ≀≀ stampato a margine come qui accanto indica passaggi ove≀≀ occorre una particolare attenzione per capire lo sviluppo della teoria.In questa edizione in pochi casi si fa riferimento a esercizi che non appa-iono nel testo e che verranno però presentati a lezione.

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Indice

Introduzione iii0.1. Programma iii0.2. Avvertenze iii

Parte 1. Cenni alla stabilità dell’equilibrio 1

Capitolo 1. Equazioni differenziali 31.1. Esistenza, unicità e dipendenza continua. 31.2. Punti di equilibrio 61.3. I teoremi di stabilità di Liapunov 81.4. Il caso dei sistemi di secondo ordine 101.5. Rappresentazioni nel piano delle fasi 13

Parte 2. Cinematica: descrizione del moto 19

Capitolo 2. Cambiamento di sistemi di riferimento 212.1. Moto, velocità, accelerazione. 212.2. Cambiamenti di base dipendenti dal tempo 232.3. Cinematica relativa 272.4. Passaggi da una base mobile all’altra 302.5. Ricostruzione di una terna mobile a partire dalla velocità

angolare 322.6. L’asse istantaneo di moto 342.7. Moti rigidi piani 362.8. Una definizione alternativa di velocità angolare. 39

Capitolo 3. Curve nello spazio 413.1. Il triedro principale 413.2. Le formule di Frenet–Serret 423.3. Scomposizione di velocità e accelerazione 433.4. Ricostruzione di una curva a partire da curvatura e torsione 44

Capitolo 4. Vincoli. Coordinate lagrangiane 474.1. Vincoli olonomi 474.2. Coordinate indipendenti. 484.3. Atti di moto. 494.4. Coordinate lagrangiane 494.5. Sistemi vincolati a un piano 504.6. Coordinate locali canoniche per un sistema rigido non

degenere 524.7. Coordinate locali canoniche per un sistema rigido degenere 56

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vi DANIELE ANDREUCCI

4.8. Sistemi olonomi composti da rigidi 594.9. Cenno ai vincoli anolonomi. 604.10. Due punti nel piano 61

Parte 3. Dinamica: previsione del moto 65

Capitolo 5. Equazioni di moto di un elemento materiale 675.1. Equazioni di moto in sistemi di riferimento mobili 675.2. Forze conservative 685.3. Forze di attrito 705.4. Moto di un punto vincolato a vincoli fissi 725.5. Moto di un punto vincolato a vincoli mobili. 77

Capitolo 6. Corpi rigidi 796.1. Corpi rigidi 796.2. Quantità meccaniche nei rigidi 836.3. Il tensore d’inerzia 856.4. Scomposizione del tensore d’inerzia. Assi principali. 876.5. Proprietà di estremo degli assi principali 916.6. Ricerca degli assi principali 936.7. Cambiamenti di base 96

Capitolo 7. Quantità meccaniche in coordinate lagrangiane 977.1. Cinematica 977.2. Distribuzioni di masse 997.3. Distribuzioni di forze 1027.4. Forze conservative 105

Capitolo 8. Ipotesi dei lavori virtuali 1118.1. L’ipotesi dei lavori virtuali 1118.2. Dinamica del punto materiale libero 1148.3. La prima equazione cardinale 1148.4. La seconda equazione cardinale 1158.5. Spostamenti virtuali 118

Capitolo 9. Equazioni di Lagrange 1219.1. Le equazioni di Lagrange 1219.2. Proprietà dell’energia cinetica 1239.3. Condizioni iniziali; atti di moto. 1269.4. Sistemi di riferimento mobili. Le forze fittizie. 126

Capitolo 10. Equazioni di Lagrange nel caso conservativo 13310.1. La funzione lagrangiana 13310.2. Piccole oscillazioni 13610.3. Funzioni lagrangiane diverse che conducono alle stesse

equazioni di Lagrange. 140

Capitolo 11. Moti di un rigido con un punto fisso 14311.1. Le equazioni di Eulero 14311.2. Moti per inerzia 14511.3. Moti polari con attrito 150

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INDICE vii

11.4. Le equazioni delle poloidi 152

Capitolo 12. Applicazioni delle equazioni di Lagrange 15512.1. Moti in campi centrali 155

Parte 4. Appendici 159

Appendice A. Algebra lineare 161A.1. Prodotti tra vettori 161A.2. Cambiamenti di base 162A.3. Angoli e perpendicolarità 166A.4. Forme quadratiche 167

Appendice B. Simboli e notazione usati nel testo 169B.1. Simboli usati nel testo 169

Appendice C. Soluzioni degli esercizi 171

Parte 5. Indici 173

Indice analitico 175

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Parte 1

Cenni alla stabilità dell’equilibrio

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CAPITOLO 1

Equazioni differenziali

Notazione 1.1. I vettori in questo capitolo vanno intesi sempre come vet-tori colonna, anche quando vengano per comodità tipografica denotaticome vettori riga.

1.1. Esistenza, unicità e dipendenza continua.

Consideriamo un sistema di equazioni differenziali ordinarie (e.d.o.)

y = F(y, t) , (1.1)

oveF ∈ C(Ω × I) , (1.2)

Ω è un aperto di RN , I è un intervallo aperto di R. Supporremo sempreche valga la condizione di Lipschitz

|F(y1, t)− F(y2, t)| ≤ CK|y1 − y2| , (1.3)

per ogni scelta di (yi, t) ∈ K × I, per una costante fissata CK > 0, per ogniK ⊂ Ω arbitrario insieme compatto.In particolare considereremo il problema di Cauchy per (1.1):

y = F(y, t) , (1.4)

y(t0) = y0 . (1.5)

Ricordiamo la definizione di soluzione di (1.4)–(1.5).

Definizione 1.2. Una funzione

ϕ : J → RN , t0 ∈ J ⊂ I , ϕ(J) ⊂ Ω , ϕ ∈ C1(J) , (1.6)

ove J è un intervallo, si dice soluzione di (1.4)–(1.5) se valgono

ϕ(t) = F(ϕ(t), t) , t ∈ J , (1.7)

ϕ(t0) = y0 . (1.8)

Definizione 1.3. Una soluzione di (1.4)–(1.5), definita su un intervalloJ, si dice massimale se ogni altra soluzione di (1.4)–(1.5) ha intervallo didefinizione contenuto in J.

Metodo 1.4. (Riduzione di un sistema del secondo ordine al primo)Considereremo anche sistemi del secondo ordine

z = f (z, z, t) , (1.9)

3

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4 DANIELE ANDREUCCI

e i relativi problemi ai valori iniziali

z = f (z, z, t) , (1.10)

z(t0) = z0 , (1.11)

z(t0) = z0 . (1.12)

In molti casi sarà possibile limitarsi a trattare in modo esplicito solo ilcaso del sistema del primo ordine, perché il sistema del secondo ordine siriduce a quello del primo con il cambiamento di variabili

y := (z, z) ∈ R2N , (1.13)

e introducendo la nuova funzione costitutiva

F(y, t) :=(

y2, f (y1, y2, t))

, (1.14)

ove si denotay = (y1, y2) , y1 , y2 ∈ RN . (1.15)

In questo modo il problema (1.10)–(1.12) si riduce a

y = F(y, t) , (1.16)

y(t0) = (z0, z0) . (1.17)

Nel seguito, le definizioni si intendono estese a sistemi del secondo ordinein quanto si applicano ai sistemi del primo ordine cui essi si riducono conla trasformazione (1.13), (1.14).

Definizione 1.5. Si dice che la soluzione di (1.4)–(1.5) dipende con continuitàdai dati iniziali se, fissati ad arbitrio un intervallo limitato (α, β) ove lasoluzione ϕ è definita, e un ε > 0, esiste un δ > 0 tale che se |y0 − y0| < δe |t0 − t0| < δ, allora la soluzione ϕ di

˙ϕ = F(ϕ, t) , ϕ(t0) = y0 , (1.18)

è definita almeno in (α + ε, β − ε) e soddisfa

|ϕ(t)− ϕ(t)| < ε , α + ε < t < β − ε . (1.19)

Riportiamo senza dimostrazione il seguente classico

Teorema 1.6. Sotto le ipotesi (1.2), (1.3), il problema (1.4)–(1.5) ha una unicasoluzione massimale ϕ.Tale soluzione dipende con continuità dai dati iniziali.Il suo intervallo di definizione J = (α, β) è aperto. Se β < sup I allora devevalere una delle due affermazioni:

(1) dist(ϕ(t), ∂Ω) → 0 per t → β−;(2) |ϕ(t)| → +∞ per t → β−.

Un risultato simmetrico vale in α.In particolare J = I se la F è lineare in y.

Definizione 1.7. Il sistema (1.1) si dice autonomo se F non dipende dat.

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1.1. ESISTENZA, UNICITÀ E DIPENDENZA CONTINUA. 5

Osservazione 1.8. Il valore di t0 nella formulazione del problema ai valoriiniziali (1.4)–(1.5) è in sostanza ininfluente, se il sistema è autonomo. Infatti,la soluzione ϕ di

˙ϕ = F(ϕ) , ϕ(t0) = y0 (1.20)

è data daϕ(t) = ϕ(t − t0 + t0) , t ∈ J − t0 + t0 ,

ove ϕ è la soluzione di (1.4)–(1.5).

Osservazione 1.9. In particolare, se la soluzione ϕ del problema ai valoriiniziali (1.4)–(1.5), che supponiamo autonomo, soddisfa per un T > 0

ϕ(T + t0) = ϕ(t0) ,

segue dall’Osservazione 1.8, e dall’unicità di soluzioni, che

ϕ(T + t) = ϕ(t) , t ∈ R ,

ossia che ϕ è periodica con periodo T.

Esempio 1.10. Consideriamo il sistema di e.d.o.x1 = x2 ,x2 = −x1 .

(1.21)

con la condizione iniziale

x1(0) = x10 , x2(0) = x20 . (1.22)

Esso può essere risolto per sostituzione, derivando la prima equazione epoi sostituendo la seconda:

x1 = x2 = −x1 .

Si ottiene quindi un problema di Cauchy per una e.d.o. lineare di secon-do ordine per x1, che si può risolvere facilmente tenendo presenti i valoriiniziali prescritti; si noti infatti che le (1.22) insieme al sistema stesso impli-cano che x1(0) = x20. Poi usando la prima equazione delle (1.21) si ottienex2:

x1(t) = x10 cos t + x20 sin t , (1.23)

x2(t) = −x10 sin t + x20 cos t . (1.24)

Da qui segue subito la periodicità della soluzione.Vale la pena di fare la seguente osservazione: moltiplicando la prima delle(1.21) per x1 e la seconda per x2 e poi sommandole membro a membro siottiene

x1 x1 + x2 x2 = 0 ,

da cuix2

1 + x22 = x2

10 + x220 ,

il che implica che l’immagine della funzione (x1, x2) giace su una cir-conferenza, ossia una curva chiusa. Tuttavia questo argomento da so-lo non implica che essa coincida con la circonferenza: potrebbe esserneun arco aperto. Dunque neppure implica la periodicità (si veda anche ilTeorema 1.33).

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6 DANIELE ANDREUCCI

1.2. Punti di equilibrio

Definizione 1.11. Un punto yeq ∈ Ω si dice di equilibrio per il sistemaautonomo

y = F(y) , (1.25)se e solo se

F(yeq) = 0 . (1.26)

Osservazione 1.12. La Definizione 1.11 è motivata dal fatto che, se yeq èdi equilibrio, il problema di Cauchy (1.25), (1.5) ha come soluzione quellacostante

ϕ(t) = yeq , t ∈ R . (1.27)

Questa soluzione è l’unica (massimale) sotto le ipotesi del Teorema 1.6.

Il comportamento di un sistema autonomo intorno a un punto di equili-brio è piuttosto diverso da quello intorno ad altri punti, come mostrano idue Lemmi seguenti, che verranno usati nella Sezione 1.5.

Lemma 1.13. Se ϕ è una soluzione del sistema autonomo (1.25), definita su(α, β), e

limt→β−

ϕ(t) = yeq , ϕ(t) 6= yeq per qualche t, (1.28)

allora β = ∞.

Dimostrazione. Se per assurdo fosse β < ∞, potremmo definire la fun-zione

ϕ(t) =

ϕ(t) , α < t < β ,

yeq , β ≤ t < ∞ .

È facile verificare che ϕ è una soluzione di classe C1((α, ∞)) del problema

y = F(y) , y(β) = yeq ,

mentre per il teorema di unicità di soluzioni, l’unica soluzione deve esserequella costante.

Lemma 1.14. Se ϕ è una soluzione del sistema autonomo (1.25), definita almenosu (α, β), e

limt→β−

ϕ(t) = y0 , F(y0) 6= 0 , (1.29)

allora β < ∞. Inoltre se ϕ è massimale risulta definita anche in β e y0 = ϕ(β).

Dimostrazione. Poiché Fi(y0) 6= 0 per almeno una componente di F(y0),segue che

limt→β−

ϕi(t) = αi := Fi(y0) 6= 0 .

Quindi, assumendo per esempio che αi > 0, si ha

ϕi(t)− ϕi(t) =

t∫

t

ϕi(τ)dτ ≥ αi

2(t − t) ,

per ogni t > t, se t è opportuno. Questo evidentemente conduce a unassurdo se β = ∞.

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1.2. PUNTI DI EQUILIBRIO 7

A questo punto ragionando come nella dimostrazione del Lemma 1.13 sipuò vedere che se ϕ non fosse definita in β, si contraddirebbe il Teoremadi esistenza e unicità di soluzioni al problema di Cauchy.

Definizione 1.15. Il punto di equilibrio yeq si dice stabile se:per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che, se

|y0 − yeq| < δ ,

allora l’unica soluzione massimale di (1.25), (1.5), risulta definita (almeno)su [t0, ∞), e soddisfa

∣∣∣ϕ(t)− yeq

∣∣∣ < ε , t0 < t < ∞ . (1.30)

Altrimenti, il punto di equilibrio si dice instabile. ≀≀Definizione 1.16. Un punto di equilibrio si dice asintoticamente stabile seè stabile, e se inoltre esiste un σ > 0 tale che se |y0 − yeq| < σ allora lasoluzione di (1.25), (1.5) soddisfa

limt→∞

ϕ(t) = yeq . (1.31)

Osservazione 1.17. La definizione di equilibrio asintotico richiede quin-di che la soluzione ϕ si avvicini per tempi grandi al punto di equilibrio;questo esclude che il moto possa essere periodico. L’equilibrio asintoticoè spesso collegato a fenomeni dissipativi come l’attrito.

Un collegamento interessante tra equilibrio stabile ed equilibrio asintoticoè dato dal seguente risultato.

Proposizione 1.18. Sia yeq un punto di equilibrio stabile, e sia ϕ una soluzione

di (1.25) che abbia yeq come punto di accumulazione, ossia tale che

ϕ(tn) → yeq , n → ∞ , (1.32)

per una successione tn → ∞. Allora tutta la soluzione converge a yeq, ossia

limt→∞

ϕ(t) = yeq . (1.33)

Dimostrazione. Dobbiamo dimostrare che per ogni ε > 0 esiste un t taleche ∣∣∣ϕ(t)− yeq

∣∣∣ ≤ ε , t ≥ t .

Basta scegliere, per la Definizione 1.15, t = tn, con n scelto in modo che∣∣∣ϕ(tn)− yeq

∣∣∣ < δ ,

ove δ > 0 è appunto scelto in corrispondenza di ε in modo che valga la(1.30).

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8 DANIELE ANDREUCCI

1.3. I teoremi di stabilità di Liapunov

Consideriamo in questa Sezione il sistema

y = F(y) , F(yeq) = 0 . (1.34)

Definizione 1.19. Una funzione W a valori reali si dice funzione di Liapunov

per (1.34) in yeq, se valgono, per una sfera aperta B ⊂ RN di centro yeq:

(1) W ∈ C(B) ∩ C1(B \ yeq);(2) W(y) > 0 per y ∈ B \ yeq; W(yeq) = 0;(3) ∇W(y) · F(y) ≤ 0 per y ∈ B \ yeq.

Osservazione 1.20. In sostanza quindi la funzione di Liapunov è una fun-zione con un minimo isolato in yeq, e che non cresce lungo le soluzioni ϕ

del sistema autonomo:ddt

W(ϕ(t)

)= ∇W

(ϕ(t)

)· F

(ϕ(t)

)≤ 0 . (1.35)

La (1.35) è la conseguenza della terza proprietà nella Definizione 1.19 cheviene davvero usata, e che potrebbe perciò sostituirla nella definizionestessa.

Teorema 1.21. (Liapunov) Se il sistema (1.34) ammette una funzione diLiapunov in yeq, allora yeq è un punto di equilibrio stabile.

Dimostrazione. Fissiamo ε > 0; possiamo supporre che

Bε(yeq) ⊂ B . (1.36)

Dobbiamo dimostrare che esiste un δ > 0 che soddisfi la Definizione 1.15.Definiamo

m = min∂Bε(yeq)

W > 0 .

Per la continuità di W in yeq, possiamo trovare un δ > 0 tale che

0 ≤ W(y) ≤ m

2,

∣∣∣y − yeq

∣∣∣ ≤ δ .

Questo è il δ che soddisfa la (1.15): se |y0 − yeq| < δ, deve valere∣∣∣ϕ(t)− yeq

∣∣∣ < ε , t > t0 .

Infatti se invece fosse per qualche t > t0∣∣∣ϕ(t)− yeq

∣∣∣ = ε ,

per definizione di m, e per l’Osservazione 1.20 si avrebbe

m ≤ W(ϕ(t)

) ≤ W(ϕ(t0)

)= W(y0) ≤

m

2,

assurdo.

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1.3. I TEOREMI DI STABILITÀ DI LIAPUNOV 9

Teorema 1.22. Se il sistema (1.34) ammette una funzione di Liapunov in yeq, e

se inoltre

∇W(y) · F(y) < 0 , y ∈ B \ yeq , (1.37)

allora yeq è un punto di equilibrio asintoticamente stabile.

Dimostrazione. La stabilità di yeq segue dal Teorema 1.21.Dimostriamo che vale anche la (1.31), per σ = δ, con δ scelto come nelladefinizione di stabilità, in corrispondenza di un ε > 0 qualunque tale chevalga la (1.36). Sia dunque ϕ una soluzione che soddisfa

∣∣∣ϕ(t0)− yeq

∣∣∣ < σ .

Dobbiamo dimostrare che

limt→∞

ϕ(t) = yeq . (1.38)

Se vale ϕ(tn) → yeq per una successione tn → ∞, allora per la Proposizio-ne 1.18, vale anche la (1.38).Nel caso contrario, la curva ϕ(t), per t ≥ t0, sarebbe separata da yeq dauna distanza positiva η, cioè

ϕ(t) ∈ K := Bε(yeq) \ Bη(yeq) , t ≥ t0 . (1.39)

Poiché K è un compatto, e la funzione ∇W · F è continua in K, ammette-rebbe un massimo

maxy∈K

∇W(y) · F(y) = −γ < 0 ,

per la (1.37). Dunque si avrebbe per ogni t > t0

W(ϕ(t)

)−W(ϕ(t0)

)=

t∫

t0

dW(ϕ(τ)

)

dτdτ

=

t∫

t0

∇W(ϕ(t0)

)· F(ϕ(t0)

)dτ ≤ −γ(t − t0) → −∞ ,

per t → ∞. Questo conduce all’assurdo ricercato e conclude la dimostra-zione.

Il risultato seguente, di dimostrazione meno immediata, garantisce peròl’asintotica stabilità sotto ipotesi più generali di quelle del Teorema 1.22.

Teorema 1.23. Assumiamo che il sistema (1.34) ammetta una funzione di Lia-punov W in yeq, che sia strettamente decrescente su tutte le soluzioni contenute

in B, diverse dalla costante yeq; ossia assumiamo che per ϕ 6= yeq

W(ϕ(t1)

)> W

(ϕ(t2)

), per ogni t1 < t2. (1.40)

Allora yeq è un punto di equilibrio asintoticamente stabile.

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10 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Intanto si possono svolgere le medesime considerazioni già viste all’ini-zio della Dimostrazione del Teorema 1.22, fino alla (1.39).Dimostreremo che la (1.39) conduce a un assurdo. Infatti, in questo caso la curva ϕ(t)ha un punto di accumulazione y, con

η ≤∣∣∣y − yeq

∣∣∣ ≤ ε .

Sia tn → ∞ una successione tale che ϕ(tn) → y. Per il Teorema 1.6 di dipendenza continuadai dati iniziali, la successione di funzioni ϕ(·+ tn) converge alla soluzione ϕ di

y = F(y) , y(0) = y ,

su un intervallo opportuno [0, s]. Si noti che, per l’ipotesi che W sia strettamente decre-scente sulle soluzioni,

W(ϕ(s)

)< W

(ϕ(0)

)= W(y) . (1.41)

In particolare quindi, per n opportuno e fissato, e per ogni t > s + tn, si avrà anche, percontinuità, e di nuovo per l’ipotesi di stretta monotonia,

W(ϕ(t)

)< W

(ϕ(s + tn)

)< W(y) , (1.42)

e quindiW(y) = lim

n→∞W

(ϕ(tn)

) ≤ W(ϕ(s + tn)

)< W(y) ,

assurdo.

1.4. Il caso dei sistemi di secondo ordine

Consideriamo in questa Sezione un sistema del secondo ordine, come nelMetodo 1.4, però autonomo:

z = f (z, z) , (1.43)

z(t0) = z0 , (1.44)

z(t0) = z0 . (1.45)

Come già mostrato, mediante la trasformazione di variabili

y = (y1, y2) := (z, z) ∈ R2N , (1.46)

questo problema può essere trasformato nel problema del primo ordine

y = F(y) :=(

y2, f (y1, y2))

, (1.47)

y(t0) = (z0, z0) . (1.48)

Quindi un punto di equilibrio zeq ∈ RN per (1.43) corrisponde al pun-to (zeq, 0) ∈ R2N di equilibrio per (1.47). Riportiamo per convenienzale definizioni di equilibrio stabile e asintoticamente stabile tradotte nellaterminologia dei sistemi del secondo ordine.

Definizione 1.24. Il punto di equilibrio zeq si dice stabile se:per ogni ε > 0 esiste un δ > 0 tale che, se

∣∣z0 − zeq∣∣+ |z0| < δ , (1.49)

allora l’unica soluzione massimale ψ di (1.43)–(1.45), risulta definita (al-meno) su [t0, ∞), e soddisfa

|ψ(t)− zeq|+ |ψ(t)| < ε , t0 < t < ∞ . (1.50)

Altrimenti, il punto di equilibrio si dice instabile.

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1.4. IL CASO DEI SISTEMI DI SECONDO ORDINE 11

Definizione 1.25. Un punto di equilibrio si dice asintoticamente stabile se èstabile, e se inoltre esiste un σ > 0 tale che se

∣∣z0 − zeq∣∣+ |z0| < σ , (1.51)

allora la soluzione ψ di (1.43)–(1.45) soddisfa

limt→∞

ψ(t) = zeq , limt→∞

ψ(t) = 0 . (1.52)

Teorema 1.26. (Dirichlet) Supponiamo che f non dipenda da z, e che per

y1 ∈ Ω1 ⊂ RN aperto,f (y1) = ∇U(y1) , (1.53)

ove U ∈ C1(Ω1). Supponiamo anche che U abbia un massimo isolato in zeq ∈Ω1. Allora zeq è un punto di equilibrio stabile per (1.43).

Dimostrazione. È chiaro che zeq è un punto di equilibrio, perché

f (zeq) = ∇U(zeq) = 0 .

Dimostriamo poi che

W(y1, y2) = −U(y1) + U(zeq) +12|y2|2 , (1.54)

è una funzione di Liapunov in zeq. Le richieste di regolarità e positivitàsono soddisfatte per y1 ∈ B ⊂ Ω1, B sfera opportuna, per le ipotesi su U:

W(y1, y2) ≥12|y2|2 > 0 , y2 6= 0 ,

W(y1, y2) ≥ −U(y1) + U(zeq) > 0 , y1 6= zeq .

Infine∇W(y) · F(y) = −∇U(y1) · y2 + y2 · f (y1) = 0 ,

per l’ipotesi (1.53).

Osservazione 1.27. Il precedente teorema verrà applicato allo studio dellastabilità di sistemi meccanici sottoposti a forze conservative, ossia espressedal gradiente di un potenziale scalare, come in (1.53).

Controesempio 1.28. Nel Teorema 1.26 l’ipotesi che il punto di massimoper U sia isolato è necessaria, nel senso che non può essere rimossa. È fa-cile costruire un controesempio: basta considerare il caso di un potenzialeidenticamente uguale al suo valore massimo in un intorno di zeq.

Esempio 1.29. Nel Teorema 1.26 l’ipotesi che il punto di massimo per Usia isolato è necessaria, ma non insostituibile, come ora mostreremo. Sidefinisca

U(x) = −x6 sin2 1x

, x 6= 0 , U(0) = 0 .

Ovviamente U è continua in R. Poiché poi

U′(x) = −6x5 sin2 1x+ x4 sin

2x

, x 6= 0 ,

si ha U′(x) → 0 per x → 0 e dunque, come è noto, U ∈ C1(R) conU′(0) = 0. Nello stesso modo si verifica che U ∈ C2(R).

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12 DANIELE ANDREUCCI

Per la e.d.o.x = U′(x) (1.55)

valgono dunque tutti gli usuali risultati richiamati nella Sezione 1.1.Dato che U(x) ≤ 0 per ogni x ∈ R, x = 0 è un punto di massimo assoluto.Tuttavia non è isolato perché si ha per esempio

U(±xn) = 0 , xn =1

nπ, n ≥ 1 , (1.56)

e xn → 0. Pertanto il Teorema 1.26 non si può applicare. Tuttavia x = 0 èdavvero un punto di equilibrio stabile per (1.55).Definiamo infatti

W(x1, x2) =12

x22 − U(x1) ≥ |U(x1)| .

Allora se ψ è una soluzione di (1.55)

ddt

W(ψ(t), ψ(t)) = ψ(t)ψ(t)− ψ(t)U′(ψ(t)) = 0 .

Fissiamo ε > 0. Si noti che può essere U(ε) = 0 (vedere la (1.56)), macertamente esiste ε/2 < x < ε con

0 < m := |U(x)| = |U(−x)| .

Scegliamo quindi δ > 0 tale che δ < min(ε/2,√

m) e

|U(x1)| ≤m

2, per ogni |x1| < δ.

Sia dunque|ψ(0)|+ |ψ(0)| < δ ,

e per assurdo valga |ψ(t)| = ε per qualche t > 0. Allora si avrebbe |ψ(t)| =x per qualche 0 < t < t e

m = |U(ψ(t))| ≤ W(ψ(t)) = W(ψ(0)) ≤ δ2

2+

m

2< m ,

assurdo.

Teorema 1.30. Supponiamo che per (y1, y2) ∈ Ω1 × Ω2 ⊂ R2N aperto,

f (y1, y2) = ∇U(y1) + a(y2) , (1.57)

ove U ∈ C1(Ω1), a ∈ C1(Ω2). Supponiamo anche che U abbia un unico puntocritico zeq ∈ Ω1, e che esso sia un massimo isolato. Inoltre sia 0 ∈ Ω2, e valga

a(y2) · y2 < 0 , y2 6= 0 . (1.58)

Allora zeq è un punto di equilibrio asintoticamente stabile per (1.43).

Dimostrazione. Il punto zeq è l’unico punto di equilibrio in Ω1; infattida (1.58) segue subito che

a(0) = 0 .

Per il Teorema 1.23, basterà dimostrare che la funzione W definita in(1.54) è una funzione di Liapunov, strettamente decrescente sulle soluzionidiverse dall’equilibrio.

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1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 13

La regolarità e positività della W si dimostrano come nel Teorema 1.26.Inoltre

ddt

W(ψ(t), ψ(t)

)= −∇U

(ψ(t)

)· ψ(t) + ψ(t) · ψ(t)

= ψ(t) · a(ψ(t)

)< 0 ,

(1.59)

ove nell’ultima disuguaglianza abbiamo assunto ψ(t) 6= 0.Dunque, per t1 < t2 possiamo scrivere

W(ψ(t2), ψ(t2)

)− W(ψ(t1), ψ(t1)

)=

t2∫

t1

ψ(t) · a(ψ(t)

)dt .

Pertanto, se nell’intervallo [t1, t2] esiste almeno un t tale che ψ(t) 6= 0, la(1.40) resta dimostrata. Se viceversa, su tale intervallo la ψ(t) si annullaidenticamente, questo implica che per t1 < t < t2

ψ(t) = z , ψ(t) = f (z, 0) = 0 .

Questo però implica che z = zeq, ossia che l’unica soluzione su cui W nonè strettamente decrescente è l’unico equilibrio.Abbiamo verificato quindi tutte le ipotesi del Teorema 1.23, e ne seguel’asintotica stabilità.

Osservazione 1.31. Nelle applicazioni meccaniche, ove N = 3, il terminea in (1.57) è dovuto all’attrito e prende la forma

a(y2) = −∇R(y2) , R(x1, x2, x3) =3

∑h=1

αhx2h , αh > 0 . (1.60)

La funzione R si dice funzione di Rayleigh.

1.5. Rappresentazioni nel piano delle fasi

Definizione 1.32. La curva

ϕ(t) | t ∈ J ⊂ RN ,

ove ϕ è una soluzione massimale di (1.4) definita nell’intervallo J, si diceorbita del sistema differenziale.

Noi saremo interessati soprattutto al caso dei sistemi differenziali autono-mi

y = F(y) . (1.61)

Teorema 1.33. Se un’orbita del sistema autonomo (1.61) si autointerseca, cioè se

ϕ(t1) = ϕ(t2)

per due diversi istanti t1, t2 ∈ J, allora corrisponde a una soluzione periodica.

Dimostrazione. Basta prendere nell’Osservazione 1.9

t0 = t1 , T = t2 − t1 ,

se per esempio t2 > t1.

Teorema 1.34. Se due orbite del sistema autonomo (1.61) si intersecano, alloracoincidono.

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14 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Siano ϕ1 e ϕ2 le due soluzioni corrispondenti alle dueorbite γ1 e γ2 che si intersecano nel punto

ϕ1(t1) = ϕ2(t2) .

Per l’Osservazione 1.8, le due funzioni

t 7→ ϕ1(t) , t 7→ ϕ2(t + t2 − t1) ,

sono soluzioni dello stesso problema di Cauchy, con istante iniziale t1 edato iniziale ϕ1(t1). Dunque, per il teorema di unicità di soluzioni si ha

ϕ1(t) = ϕ2(t + t2 − t1) ,

per ogni t nel comune intervallo di definizione. Quindi, visto che ϕ1 èmassimale, si ha γ2 ⊂ γ1.Ragionando in modo simmetrico si conclude γ1 ⊂ γ2 e si conclude ladimostrazione.

Nel caso di sistemi differenziali con due incognite scalari, ossia nel caso incui N = 2 nella notazione precedente, l’orbita è una curva piana.In questo caso si ricade partendo da un’equazione autonoma del secondoordine

mx = F(x) , (1.62)

e riconducendola a un sistema del primo ordine, come nel Metodo 1.4. Inquesto contesto, è tradizionale indicare le coordinate cartesiane nel pianoin cui si tracciano le orbite con (x, p), con p che corrisponde a x. Questopiano viene detto piano delle fasi, e il diagramma delle orbite in esso ritrattodi fase; spesso dalla sua osservazione si trae un’idea intuitivamente chiaradel comportamento delle soluzioni del sistema.In particolare, definiamo il potenziale

U(x) =

x∫

x0

F(s)ds ,

ove x0 è fissato ad arbitrio nel dominio della F.

Proposizione 1.35. Se ϕ è una soluzione di (1.62), la funzione

E(t) := −U(

ϕ(t))+

12

mϕ(t)2 (1.63)

si mantiene costante nell’intervallo di definizione di ϕ.

La E si dice energia.

Dimostrazione. Deriviamo in t

E (t) = −U′(ϕ(t))

ϕ(t) + mϕ(t)ϕ(t) = ϕ(t)[mϕ(t)− F

(ϕ(t)

)]= 0 .

Per la Proposizione 1.35, sulle orbite di (1.62) deve valere

− U(x) +12

mp2 = E , (1.64)

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1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 15

ove E indica il valore costante assunto da E sull’orbita in questione. Sinoti che tale valore varia al variare dell’orbita. Risolvendo la (1.64) in p siottiene

p = ±√

2m

[E + U(x)

]. (1.65)

−2π −π π 2π

x

p

Figura 1.1. Le orbite di 2x = − sin x. Sono disegnate leorbite corrispondenti a E = 0.5, E = 1, E = 2, e i punti diequilibrio stabili e instabili.

L’ambiguità di segno nella (1.65) merita una discussione. Sia dunque(x0, p0) un punto del piano per cui passa un’orbita γ. Questa è unicaper il Teorema 1.34. Si hanno i casi seguenti:

• p0 > 0: in questo caso γ è contenuta, almeno in un intorno di (x0, p0)nel semipiano p > 0, e quindi nella (1.65) va preso il segno positivo,almeno in questo intorno. Tale scelta va mantenuta nell’intervallo oveil termine all’interno della radice in (1.65) si mantiene positivo.

• p0 < 0: caso simmetrico del precedente: qui va scelto il segno negati-vo, in tutto l’intervallo ove il termine all’interno della radice in (1.65)si mantiene positivo.

• p0 = 0∗ F(x0) = 0: l’orbita corrisponde a un punto di equilibrio per il

sistema, e coincide quindi con il punto (x0, 0).∗ F(x0) 6= 0: l’orbita passa per il punto (x0, 0), ma ha un ramo

in p > 0, e uno in p < 0, che si ottengono prendendo i segniopportuni in (1.65).

La quantità −U si dice energia potenziale; il dominio di definizione diun’orbita corrispondente al livello di energia E coincide dunque con unintervallo massimale su cui l’energia potenziale è minore o uguale a E.

Osservazione 1.36. I punti di equilibrio corrispondono a orbite degeneri,cioè puntiformi, nel piano (x, p). Sia (x0, 0) una di queste. Se un’altra

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16 DANIELE ANDREUCCI

orbita (ϕ, ϕ) soddisfa

(ϕ(t), ϕ(t)) → (x, p) , t → β ,

allora β = ∞, o β = −∞, per il Lemma 1.13.È chiaro che se esiste un orbita che si allontana da (x0, 0) il punto non puòessere di equilibrio stabile.

Osservazione 1.37. I Lemmi 1.13 e 1.14 implicano che due curve date dagrafici delle funzioni in (1.65), se la loro unione è connessa, fanno partein realtà della stessa orbita, con l’unica eccezione delle curve (degeneri)costituite da punti di equilibrio.

Esempio 1.38. Tracciare il diagramma delle orbite relative al potenziale

U(x) = ax3e−bx , x ∈ R .

Qui a, b > 0 sono assegnati. Conviene tracciare intanto il grafico dell’e-nergia potenziale, vedi la Figura 1.2. I punti critici dell’energia potenzialecorrispondono a punti di equilibrio. In questo caso ne abbiamo due:

x′ = 0 , x′′ =3b

.

In corrispondenza di essi possiamo tracciare nel piano delle fasi due orbitedegeneri (cioè due punti).Le altre orbite si trovano fissando il corrispondente livello di energia E, inmodo che l’intervallo ove −U ≤ E non sia vuoto, e quindi ricavandoneil grafico mediante la (1.65). Nel nostro caso il livello minimo di energiaammissibile è E = min(−U), che corrisponde al punto critico x′′. Altrepossibili scelte sono indicate in Figura 1.2.L’orbita corrispondente al livello E1 è chiusa e quindi periodica per i ri-sultati discussi sopra. In tal senso simili ad essa sono tutte le orbite conE0 < E < E2; questa proprietà geometrica implica che x′′ è di equilibriostabile. Questo si può anche dedurre dal fatto che x′′ è un punto di mas-simo isolato per il potenziale.Le orbite corrispondenti a E = E2 = 0 sono tre: il punto di equilibriox′ = 0, e due orbite aperte, quella superiore che si allontana da esso per tcrescente, e quella inferiore che invece tende a esso per t → +∞ (si ricordil’Osservazione 1.37). Questo implica in particolare che x′ è di equilibrioinstabile.Infine tutte le orbite con E > E2 sono simili al caso E3, e corrispondono amoti non periodici.

Alcune proprietà cinematiche del moto sono esprimibili in termini delleproprietà geometriche delle orbite nel piano delle fasi. Per esempio vale ilseguente risultato.

Teorema 1.39. Sia ϕ una soluzione di (1.62), tale che ϕ > 0 nell’intervallo[t1, t2]. Allora, se ϕ(ti) = xi, vale

t2 − t1 =

x2∫

x1

1√2m

[E + U(x)

] dx . (1.66)

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1.5. RAPPRESENTAZIONI NEL PIANO DELLE FASI 17

−U

x

x′′x′

E0

E1

E3

p

x

E1

E2

E2

E3

E0

Figura 1.2. Il caso dell’Esempio 1.38. Il livello E2 = 0 nonè tracciato nella parte superiore della figura per motivi dileggibilità.Si noti che in corrispondenza di questo livello esistono treorbite: le due indicate nella parte inferiore, e il punto diequilibrio x′ = 0, instabile.L’altro punto di equilibrio in x′′ è stabile.

Dimostrazione. In un intervallo di tempi in cui ϕ > 0 la funzione ϕ(t) èinvertibile, ossia si può scrivere

t = τ(x) ,

condτ

dx(x) =

1ϕ(τ(x))

=1√

2m

[E + U(x)

] .

La (1.66) segue subito integrando su (x1, x2).

Nel caso ϕ < 0 vale un risultato simmetrico a (1.66). In particolare il perio-do relativo a un’orbita periodica (come quella con energia E1 in Figura 1.2)

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18 DANIELE ANDREUCCI

sarà dato da

2xmax∫

xmin

1√2m

[E + U(x)

] dx ,

ove [xmin, xmax] è l’intervallo massimale su cui è definita l’orbita (intesacome funzione p(x) data dalla (1.65)).

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Parte 2

Cinematica: descrizione del moto

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CAPITOLO 2

Cambiamento di sistemi di riferimento

2.1. Moto, velocità, accelerazione.

Definizione 2.1. Una funzione X : I → R3, X ∈ C2(I) si dice moto. Lavelocità v e l’accelerazione a sono definite da

v(t) =dX

dt(t) , a(t) =

d2X

dt2 (t) .

Osservazione 2.2. Per estensione si dice moto unidimensionale una funzio-ne scalare x ∈ C2(I). Un moto quindi ha come componenti (scalari) tremoti unidimensionali, e viceversa, è detto moto composto dei tre. Si noti chetalvolta l’espressione moto unidimensionale, o rettilineo, si riferisce invecea un moto X ∈ R3 che però assume valori su una retta fissata, così comemoto bidimensionale, o piano, si riferisce a un moto che assume valori suun piano fissato.

Esempio 2.3. 1) Moto stazionario, o quiete. In questo caso la funzione X ècostante:

X(t) = X0 ∈ R3 , t ∈ I .Dunque velocità e accelerazione si annullano.Si vede facilmente, per integrazione, che se la velocità è identicamentenulla il moto è stazionario.2) Moto rettilineo uniforme. È il caso in cui la velocità è costante; il motoavviene su una retta:

X(t) = X0 + v0t , t ∈ I ,

ove X0, v0 ∈ R3.Se l’accelerazione è identicamente nulla il moto è rettilineo uniforme.3) Moto circolare. Siano x0, x1 due versori ortogonali di R3, e r0 ∈ R3,R > 0, ϕ ∈ C2(I). Allora il moto

X(t) = r0 + R cos ϕ(t)x0 + R sin ϕ(t)x1 , t ∈ I ,

descrive una parte della circonferenza di centro r0 giacente sul piano pas-sante per r0 di normale x0 × x1. In particolare se ϕ è costante il moto sidice circolare uniforme. Si ottiene subito, per derivazione, che

v = Rϕ[− sin ϕx0 + cos ϕx1] ,

a = Rϕ[− sin ϕx0 + cos ϕx1]− Rϕ2[cos ϕx0 + sin ϕx1] .

Perciò l’accelerazione è diretta verso il centro solo negli istanti in cuiϕ(t) = 0, e in particolare sempre in un moto circolare uniforme, nel qualela norma di v rimane costante

21

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22 DANIELE ANDREUCCI

Metodo 2.4. È chiaro che se l’accelerazione a ∈ C(I) è nota come funzionedel tempo la velocità si può trovare mediante integrazione diretta

v(t) = v(t0) +

t∫

t0

a(τ)dτ , t ∈ I , (2.1)

ammesso che sia nota anche la velocità all’istante t0 ∈ I. Se poi è notoanche X(t0), si ricava il moto da

X(t) = X(t0) +

t∫

t0

v(τ)dτ , t ∈ I . (2.2)

Osservazione 2.5. Le definizioni sopra, e del resto tutti i calcoli relativiagli esempi, possono essere formulati in termini di componenti dei vettoriin una base ortonormale arbitraria. In questo spirito, scrivendo

X(t) =3

∑i=1

xi(t)ei ,

la (2.2) può essere scritta come

xi(t) = xi(t0) +

t∫

t0

xi(τ)dτ , t ∈ I ,

per i = 1, 2, 3.

Definizione 2.6. Un moto si dice armonico se soddisfa la e.d.o.

X + α2X = 0 , (2.3)

ove la costante α > 0 si dice frequenza del moto.

Esempio 2.7. Dimostriamo che un moto armonico è piano.Un piano ha equazione (x− x0) · n = 0, ove x0 è un punto fissato sul pianoe n è la normale. Nel nostro caso è immediata la scelta x0 = X(0). Poiosserviamo che la velocità del moto e anche la sua accelerazione devonoessere ortogonali a n (questo segue dalla loro definizione, lo si verifichi).Definiamo quindi

n =X(0)× X(0)

L= −α2 X(0)× X(0)

L,

ove assumiamo L =∣∣X(0)× X(0)

∣∣ > 0; il caso L = 0, in cui il moto èrettilineo, è lasciato al lettore. Deriviamo

ddt

[X(t)× X(t)] = X(t)× X(t) + X(t)× X(t) = −α2X(t)× X(t) = 0 .

Perciò X(t)× X(t) è costante nel tempo. Dunque, usando questa proprie-tà, per ogni tempo t si ha

[X(t)− X(0)] · [X(0)× X(0)] = X(t) · [X(t)× X(t)]

− X(0) · [X(0)× X(0)] = 0 .

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2.2. CAMBIAMENTI DI BASE DIPENDENTI DAL TEMPO 23

Osservazione 2.8. Anche una soluzione dell’equazione scalare

x + α2x = 0 (2.4)

si dice moto armonico unidimensionale. È chiaro che le componenti di unmoto armonico sono moti armonici unidimensionali; il viceversa è vero see solo se i tre moti armonici unidimensionali hanno la stessa frequenza(a parte il caso banale di un moto unidimensionale di quiete per cui lafrequenza non è ben definita).

Osservazione 2.9. Nel caso che di tre moti unidimensionali uno sia diquiete e gli altri due armonici, ma di frequenza diversa, il moto compo-sto risultante (che è naturalmente piano) non è armonico, ma è tuttaviaperiodico se e solo se le due frequenze α1, α2 soddisfano

α1

α2∈ Q .

In questo caso la traiettoria del moto composto si dice figura di Lissajous.

Notazione 2.10. Talvolta il moto X verrà indicato anche con XP o con−→ΩP,

se, intendendo R3 come spazio affine, si ha Ω + X = P, ove indichiamocon Ω l’origine di R3. Come ulteriore semplificazione, quando questo nondia luogo ad ambiguità, indicheremo tale moto anche con P.In questo spirito, una notazione come

−→OP va intesa indicare la funzione

vettoriale XP − XO.

2.2. Cambiamenti di base dipendenti dal tempo

Definizione 2.11. Si dice terna (di riferimento) mobile nell’intervallo I ⊂ Runa terna ordinata M = (u1, u2, u3) con

ui : I → R3 , ui ∈ C1(I) ,

e tale che(u1(t), u2(t), u3(t))

sia una base ortonormale in R3 per ogni fissato t ∈ I.

Osservazione 2.12. Ciascuna delle funzioni vettoriali ui potrebbe esserevista come un moto nel senso della Sezione 2.1 (assumendo per tale fun-zione una regolarità C2(I)). Tuttavia le tre funzioni non sono indipendenti,ma vincolate dal requisito di formare una terna ortonormale. Questo per-mette di semplificare molto la descrizione dei loro moti, come vedremosotto.

Osservazione 2.13. Sia

f : I → R3 , f ∈ C1(I) . (2.5)

Si ha

f (t) =3

∑i=1

fi(t)ui(t) , t ∈ I , (2.6)

confi(t) = f (t) · ui(t) , i = 1 , 2 , 3 , t ∈ I ,

cosicché le funzioni fi sono in C1(I).

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24 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 2.14. Sia f come in (2.5)–(2.6). Si definisce derivata di f relativaa M la funzione vettoriale

[d f

dt

]

M(t) =

3

∑i=1

d fi

dt(t)ui(t) , t ∈ I .

Osservazione 2.15. Sia g : I → R, g ∈ C1(I), e sia f : I → R3 come in(2.5)–(2.6). Allora si verifica che

[ddt

(g f )

]

M(t) =

dg

dt(t) f (t) + g(t)

[d f

dt

]

M(t) , (2.7)

per t ∈ I. Quindi, definendo per le funzioni scalari g ∈ C1(I)[

dg

dt

]

M(t) =

dg

dt(t) , t ∈ I , (2.8)

la (2.7) implica che per la derivata relativa vale l’usuale regola di Leibniz.Le proprietà di linearità rispetto alla somma e al prodotto per costanti realisono di immediata verifica.Seguono

[ddt

( f 1 · f 2)

]

M=

[d f 1dt

]

M· f 2 + f 1 ·

[d f 2dt

]

M,

[ddt

( f 1 × f 2)

]

M=

[d f 1dt

]

M× f 2 + f 1 ×

[d f 2dt

]

M.

Definizione 2.16. Una funzione vettoriale f : I → R3 si dice costante inM se esistono tre costanti λi ∈ R, i = 1, 2, 3, tali che

f (t) =3

∑i=1

λiui(t) , t ∈ I .

Dalle Definizioni 2.14 e 2.16 segue subito

Proposizione 2.17. Sia f ∈ C1(I). Allora f è costante in M se e solo se[

d f

dt

]

M(t) = 0 , t ∈ I . (2.9)

Teorema 2.18. Esiste una unica funzione vettoriale

ω : I → R3 , ω ∈ C(I) , (2.10)

tale che per ogni f ∈ C1(I), f : I → R3, valga

d f

dt(t) =

[d f

dt

]

M(t) + ω(t)× f (t) , t ∈ I . (2.11)

Per dimostrare questo teorema useremo il seguente lemma, che è in realtàun caso particolare del teorema stesso.

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2.2. CAMBIAMENTI DI BASE DIPENDENTI DAL TEMPO 25

Lemma 2.19. Esiste una unica funzione vettoriale

ω : I → R3 , ω ∈ C(I) ,

tale che per i = 1, 2, 3,

dui

dt(t) = ω(t)× ui(t) , t ∈ I . (2.12)

Dimostrazione. Supponiamo che ω con le proprietà richieste esista, edenotiamola come

ω(t) =3

∑i=1

ωi(t)ui(t) . (2.13)

Imponiamo ora che valga la (2.12) per i = 1:

du1

dt(t) = ω3(t)u2(t)− ω2(t)u3(t) ,

da cui

ω2(t) = −du1

dt(t) · u3(t) =

du3

dt(t) · u1(t) , (2.14)

ω3(t) =du1

dt(t) · u2(t) = −du2

dt(t) · u1(t) . (2.15)

Resta da determinare ω1. Imponiamo dunque la (2.12) per i = 2:

du2

dt(t) = −ω3(t)u1(t) + ω1(t)u3(t) ,

che permette di ottenere

ω1(t) =du2

dt(t) · u3(t) = −du3

dt(t) · u2(t) , (2.16)

oltre che di ritrovare la (2.15).Quindi, se ω con le proprietà richieste esiste, deve avere la forma (2.13) conle componenti ωi individuate dalle (2.14)–(2.16). Questo dimostra l’unicità.Per dimostrare l’esistenza, basta verificare che ω così definita soddisfala (2.12): un calcolo elementare che si riduce in sostanza ai passaggi giàsvolti.

Dimostrazione del Teorema 2.18. Sia f come nell’enunciato, e ω comenel Lemma 2.19. Allora

d f

dt(t) =

ddt

3

∑i=1

fi(t)ui(t) =3

∑i=1

d fi

dt(t)ui(t) + fi(t)

dui

dt(t)

=

[d f

dt

]

M(t) +

3

∑i=1

fi(t)ω(t)× ui(t)

=

[d f

dt

]

M(t) + ω(t)×

3

∑i=1

fi(t)ui(t) =

[d f

dt

]

M(t) + ω(t)× f (t) .

Perciò la (2.11) è soddisfatta.Infine la funzione ω è unica, perché se vale la (2.11), allora vale anche la(2.12), e si può quindi applicare il risultato di unicità del Lemma 2.19.

Definizione 2.20. La funzione ω tale che valga la (2.11) si dice velocitàangolare di M.

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26 DANIELE ANDREUCCI

Corollario 2.21. Sia f ∈ C1(I). Allora f è costante in M se e solo se

d f

dt(t) = ω(t)× f (t) , t ∈ I . (2.17)

Dimostrazione. Ovvia.

Teorema 2.22. Sia ui ∈ Ck(I), i = 1, 2, 3, ove k ∈ N, k ≥ 2. Alloraω ∈ Ck−1(I) e vale

dt(t) =

[dω

dt

]

M(t) . (2.18)

Inoltre:i) ω è costante nella terna fissa se e solo se è costante in M;ii) ω ha direzione costante nella terna fissa se e solo se ha direzione costante inM.

Dimostrazione. Segue subito dalle (2.14)–(2.16) che se ui ∈ Ck(I) alloraω ∈ Ck−1(I). In particolare, in questa ipotesi, vale per ogni t ∈ I,

dt(t) =

[dω

dt

]

M(t) + ω(t)× ω(t) =

[dω

dt

]

M(t) ,

ossia la (2.18), che implica subito la i).Scriviamo poi ω = ωa, con a versore. Allora

da

dt(t) =

[da

dt

]

M(t) + ω(t)× a(t) =

[da

dt

]

M(t) .

Quindi a è costante nella terna fissa se e solo se è costante in M.

Esempio 2.23. (Terna fissa) Se le tre funzioni che definiscono la ternaM sono costanti, si ottiene ω = 0, per esempio dall’espressione datanein Lemma 2.19. Quindi la derivata relativa a M coincide con la derivatausuale. In pratica questo è il caso di un cambiamento di base in cui anchela seconda base è fissa.

Esempio 2.24. (Rotazione)A) Nel caso in cui

u1(t) = cos θ(t)e1 + sin θ(t)e2 ,

u2(t) = − sin θ(t)e1 + cos θ(t)e2 ,

u3(t) = e3 ,

(2.19)

con θ ∈ C1(I), si ha applicando le (2.14)–(2.16) che

ω(t) = θ(t)u3(t) = θ(t)e3 .

B) Ci occupiamo ora del problema inverso a quello di A): supponiamoinfatti di sapere che la velocità angolare di M è

ω(t) = F(t)u3 , t ∈ I , (2.20)

per una data funzione F ∈ C(I), e vogliamo ricostruire il moto della ternamobile. Dunque

du3

dt(t) = ω(t)× u3(t) = F(t)u3(t)× u3(t) = 0 , t ∈ I .

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2.3. CINEMATICA RELATIVA 27

Pertanto il vettore u3 si mantiene costante; se per semplicità supponiamoche all’istante t = t0 ∈ I la terna M coincida con la terna fissa, segueu3(t) = e3 per ogni t ∈ I. Quindi la coppia (u1(t), u2(t)) si ottiene dalla(e1, e2) mediante una rotazione piana, ossia valgono le (2.19) per una fun-zione θ che si determina con il seguente argomento: si è visto in A) chenel caso di (2.19) si ha ω = θu3; dunque per confronto con la (2.20) deverisultare θ = F e, per le condizioni iniziali assunte,

θ(t) =

t∫

t0

F(τ)dτ , t ∈ I .

Si noti che stiamo usando qui il risultato di unicità del Teorema 2.45.C) Ancora nello spirito di B), supponiamo però di sapere che la velocitàangolare di M è

ω(t) = F(t)e3 , t ∈ I , (2.21)

per una data funzione F ∈ C(I). Ora non è più possibile ottenere di-rettamente che u3 è fisso. Tuttavia, ricordando il Teorema 2.22, si ha cheω mantiene direzione costante anche nel sistema mobile. Pertanto si ot-tiene ancora, nell’ipotesi che all’istante iniziale le due terne coincidano,u3(t) = e3 per ogni t ∈ I. Quindi si procede come nel caso B).

Osservazione 2.25. Si noti che le componenti di ω trovate nella dimostra- ≀≀zione del Lemma 2.19 sono le componenti nella terna mobile M. Natural-mente da queste è possibile passare a quelle nella terna fissa, qualora siconosca la relativa matrice di cambiamento di base (si veda la Sezione A.2).L’Esempio 2.24 rappresenta il caso più semplice in questo senso.

2.3. Cinematica relativa

Definizione 2.26. Un sistema di riferimento mobile è una coppia

S = (XO,M) , (2.22)

ove XO è un moto, ed M una terna mobile.

Noi interpretiamo la coppia (XO,M) come un sistema cartesiano di rife-rimento mobile: il moto XO è quello dell’origine O(t), e la terna mobileM è quella dei versori dei tre assi. Scriveremo anche S = (O,M).Nel seguito si denota

vO(t) =dXO

dt(t) , aO(t) =

d2XO

dt2 (t) . (2.23)

Definizione 2.27. Sia X : I → R3 un moto. Si definisce velocità relativa diX nel sistema di riferimento mobile S (2.22) la funzione vettoriale

vS (t) =[

ddt

(X − XO)

]

M(t) . (2.24)

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28 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 2.28. Sia X : I → R3 un moto. Si definisce accelerazio-ne relativa di X nel sistema di riferimento mobile S (2.22) la funzionevettoriale

aS (t) =[

ddt

vS

]

M(t) . (2.25)

Osservazione 2.29. Se denotiamo

X(t)− XO(t) =3

∑h=1

λh(t)uh(t) ,

risulta

vS(t) =3

∑h=1

λh(t)uh(t) , aS (t) =3

∑h=1

λh(t)uh(t) .

Teorema 2.30. Sia X : I → R3 un moto. Vale allora in I

v =dX

dt= vO + ω × [X − XO] + vS , (2.26)

ove si è usata la notazione delle Definizioni 2.26 e 2.27.

Dimostrazione. Si ha

v =ddt

[XO + X − XO] = vO +ddt

[X − XO]

= vO +

[ddt

(X − XO)

]

M+ ω × [X − XO] = vO + vS + ω × [X − XO] ,

ove si è applicato anche il Teorema 2.18.

Definizione 2.31. Il moto X : I → R3 si dice solidale con S se il vettoreX − XO è costante in M.

Osservazione 2.32. Dalla Definizione 2.31 si ha che i moti solidali sonotutti e soli quelli che si possono rappresentare nella forma

X (t; λ) = XO(t) +3

∑h=1

λhuh(t) , (2.27)

con λ = (λ1, λ2, λ3) ∈ R3.

Segue anche subito dalla Definizione 2.31

Corollario 2.33. Sia il moto X : I → R3 solidale con S . Allora in I valgonovS = 0 e

v = vO + ω × [X − XO] . (2.28)

Se XP1 , XP2 : I → R3 sono due moti solidali, allora

vP1 = vP2 + ω × [XP1 − XP2 ] . (2.29)

Dimostrazione. La (2.29) segue sottraendo la (2.28) scritta per XP2 dalla(2.28) scritta per XP1 .

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2.3. CINEMATICA RELATIVA 29

Definizione 2.34. La funzione vt : I → R3 definita da

vt(t) = vO(t) + ω(t)× [X(t)− XO] (2.30)

si dice velocità di trascinamento.

Con la notazione (2.30) la (2.26) si scrive come

v(t) = vt(t) + vS (t) , t ∈ I . (2.31)

Osservazione 2.35. La vt dipende solo da vO, ω e dalla posizione re-lativa X(t) − XO(t). Per questo si può introdurre il campo di velocità di

trascinamento come la funzione definita in R3 × I da

Vt(x, t) = vO(t) + ω(t)× [x − XO(t)] . (2.32)

Valevt(t) = Vt(X(t), t) .

Teorema 2.36. (Coriolis) Sia X : I → R3 un moto. Vale allora in I

a =d2X

dt2 = aO +dω

dt× [X − XO] + ω ×

[ω × [X − XO]

]

+ 2ω × vS+ aS .

(2.33)

ove si è usata la notazione delle Definizioni 2.26, 2.27 e 2.28.

Dimostrazione. Si ha per il Teorema 2.30

a =ddt

[vO + ω × [X − XO] + vS

]

= aO +dω

dt× [X − XO] + ω × d

dt[X − XO] +

dvSdt

(per (2.11):)

= aO +dω

dt× [X − XO] + ω × [v − vO] + aS + ω × vS

(per (2.28):)

= aO +dω

dt× [X − XO] + ω ×

[ω × [X − XO]

]+ 2ω × vS + aS .

Definizione 2.37. La funzione at : I → R3

at = aO +dω

dt× [X − XO] + ω × [

ω × [X − XO]]

(2.34)

si dice accelerazione di trascinamento, e la ac : I → R3

ac = 2ω × vS (2.35)

si dice accelerazione di Coriolis.

Con le notazioni (2.34) e (2.35), la (2.33) si scrive

a(t) = at(t) + ac(t) + aS (t) , t ∈ I . (2.36)

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30 DANIELE ANDREUCCI

Osservazione 2.38. Se un moto X è solidale, allora ac = 0, aS = 0 in I.Valgono per at considerazioni simili a quelle dell’Osservazione 2.35.

Osservazione 2.39. È facile verificare che se XO′ è un moto solidale con Se M′ è una terna costante in M, allora le velocità e accelerazione relativea S ′ = (O′,M′) coincidono con quelle relative a S .Quando ci si riferisce ai moti solidali con S , quindi, in realtà S può esseresostituito equivalentemente da altri sistemi di riferimento come S ′ e sareb-be forse più corretto parlare di moti solidali con una famiglia di sistemidi riferimento. Tuttavia per non appesantire troppo la notazione in genereometteremo questa precisazione.

Definizione 2.40. Sia S = (XO,M) un sistema di riferimento mobile.Se esiste un moto solidale con S che è costante nel sistema di riferimentofisso, cioè se S mantiene un punto fisso, che chiamiamo P, il moto di S sidice polare di polo P.Se ω ≡ 0, il moto di S si dice una traslazione.Se in un moto polare ω mantiene direzione costante, il moto di S si diceuna rotazione. Se inoltre anche il modulo di ω è costante, il moto si diceuna rotazione uniforme o costante.

2.4. Passaggi da una base mobile all’altra

In questa Sezione mostriamo come le formule trovate sopra per il passag-≀≀ gio da un sistema di riferimento fisso a un sistema di riferimento mobilein realtà valgano anche per il passaggio tra sistemi di riferimento mobili.Usando le proprietà della derivata relativa, possiamo ripetere tutti gli ar-gomenti della Sezione 2.2, sostituendo all’usuale derivata in t la derivatarelativa a una terna mobile N = (w1, w2, w3).

Definizione 2.41. La funzione ωNM tale che per ogni f ∈ C1(I) valga[

d f

dt

]

N(t) =

[d f

dt

]

M(t) + ωNM(t)× f (t) , t ∈ I (2.37)

si dice velocità angolare di M relativa alla terna N .

Come nella Sezione 2.2 si dimostra che esiste una unica funzione vettorialeωNM tale che valga la (2.37) e quindi la

[dui

dt

]

N(t) = ωNM(t)× ui(t) , t ∈ I . (2.38)

In particolare le componenti di ωNM in M sono date da:

ωNM1(t) =

[du2

dt

]

N(t) · u3(t) = −

[du3

dt

]

N(t) · u2(t) , (2.39)

ωNM2(t) = −[

du1

dt

]

N(t) · u3(t) =

[du3

dt

]

N(t) · u1(t) , (2.40)

ωNM3(t) =

[du1

dt

]

N(t) · u2(t) = −

[du2

dt

]

N(t) · u1(t) . (2.41)

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2.4. PASSAGGI DA UNA BASE MOBILE ALL’ALTRA 31

Il Corollario 2.21 continua a valere se la (2.17) viene sostituita dalla[

d f

dt

]

N(t) = ωNM(t)× f (t) , t ∈ I . (2.42)

Anche i risultati di cinematica relativa dimostrati nella Sezione 2.3 possonoessere estesi al caso in cui il sistema di riferimento ‘di partenza’ sia mobile.Introduciamo quindi il sistema di riferimento mobile Σ = (XΩ,N ), edefiniamo

[vO]Σ (t) =

[ddt

(XO − XΩ)

]

N(t) , [aO]Σ (t) =

[ddt

[vO]Σ

]

N(t) ;

(2.43)queste non sono altro che la velocità relativa e l’accelerazione relativa diXO in Σ, come definite nelle Definizioni 2.27 e 2.28. Si noti che le (2.23)sono ora casi particolari delle (2.43).Per un moto X : I → R3 valgono allora l’analoga di (2.26)

vΣ = [vO]Σ + ωNM × [X − XO] + vS , (2.44)

e l’analoga di (2.33)

aΣ = [aO]Σ +

[dωNM

dt

]

N× [X − XO] + ωNM ×

[ωNM × [X − XO]

]

+ 2ωNM × vS+ aS .

(2.45)

Invece è propria del punto di vista di questa Sezione la seguente Proposi-zione.

Proposizione 2.42. Vale

ωMN = −ωNM . (2.46)

Dimostrazione. Dalla (2.37) segue subito che

0 =

[dwi

dt

]

N=

[dwi

dt

]

M+ ωNM × wi ,

da cui [dwi

dt

]

M= −ωNM × wi , i = 1 , 2 , 3 .

Ne segue per l’unicità della funzione ωMN la (2.46).

In realtà la Proposizione 2.42 è un caso particolare del seguente importanterisultato.

Teorema 2.43. (Composizione di velocità angolari) Siano M, N , P treterne mobili, come in Definizione 2.11. Allora

ωPN = ωPM + ωMN . (2.47)

Dimostrazione. Scriviamo per M = (ui), N = (wi),

wi(t) =3

∑h=1

bih(t)uh(t) .

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32 DANIELE ANDREUCCI

Allora, per ogni i = 1, 2, 3:[

dwi

dt

]

P=

3

∑h=1

dbih

dtuh + bih

[duh

dt

]

P

(per le definizioni di derivata relativa e di velocità angolare)

=

[dwi

dt

]

M+

3

∑h=1

bihωPM × uh

= ωMN × wi + ωPM × wi = (ωPM + ωMN )× wi .

La tesi segue per l’unicità di ωPN nel senso del Lemma 2.19.

Esempio 2.44. Consideriamo una terna M = (ui) che abbia velocità ango-lare rispetto alla terna P = (zi)

ωPM = αz3 = αu3 , α ∈ R .

Siamo cioè nel caso della rotazione dell’Esempio 2.24, con θ = α. Poiconsideriamo una terna N = (wi) che abbia velocità angolare in M datada

ωMN = βu1 + γu2 , β , γ ∈ R .Il Teorema 2.43 dà

ωPN = βu1 + γu2 + αu3 , (2.48)e quindi per la (2.19)

ωPN = (β cos(αt)− γ sin(αt))z1 + (β sin(αt) + γ cos(αt))z2 + αz3 . (2.49)

Perciò il moto di N in P , pur composizione di due rotazioni uniformi,non è una rotazione. Tuttavia dalla (2.48) o dalla (2.49) segue che

|ωPN |2 = α2 + β2 + γ2 .

Si veda su questo caso anche l’Esempio 2.53.I moti polari in cui, come in questo caso, la velocità angolare [ossia ωPN ]risulta somma di una componente costante nel sistema ‘fisso’ P [ossia αu3]e di una costante in quello mobile N [ossia βu1 + γu2] si dicono precessioniregolari.

2.5. Ricostruzione di una terna mobile a partire dalla velocità angolare

Teorema 2.45. Sia M = (ui) una terna mobile, come in Definizione 2.11, e siat0 ∈ I un istante fissato. Allora, assegnata una funzione vettoriale f ∈ C(I), e

una base ortonormale positiva in R3

w01 , w0

2 , w03 ,

esiste un’unica terna mobile N = (wi) tale che

ωMN = f , in I,(w1(t0), w2(t0), w3(t0)

)=

(w0

1, w02, w0

3). (2.50)

Dimostrazione. Definiamo la terna di vettori (wi) come la soluzione delsistema di e.d.o. [

dwi

dt

]

M(t) = f (t)× wi(t) , (2.51)

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2.5. RICOSTRUZIONE DI UNA TERNA MOBILE 33

con i = 1, 2, 3. Questo è un sistema di 9 e.d.o. scalari nelle 9 incognitecostituite dalle componentidei tre vettori incogniti wi nella base (ui).Dato che (2.51) è un sistema lineare a coefficienti continui in I, la soluzione

(w1(t), w2(t), w3(t)

),

risulta definita per ogni t ∈ I, ed è unica e di classe C1(I) (si veda ilTeorema 1.6).Va dimostrato che è una base ortonormale positiva per ogni t ∈ I. Intanto,si ha per ogni coppia (i, j):

dwi · wj

dt=

[dwi · wj

dt

]

M

=

[dwi

dt

]

M· wj + wi ·

[dwj

dt

]

M= f × wi · wj + wi · f × wj = 0 ,

in tutto I, per il Lemma A.7. Dato che all’istante iniziale t0

wi(t0) · wj(t0) = δij ,

per la scelta dei dati iniziali, segue che

wi(t) · wj(t) = δij , per ogni t ∈ I.

Perciò la soluzione (wi(t)) è una base ortonormale per ogni t ∈ I.Sia A(t), t ∈ I la matrice di cambiamento di base tra (ui(t)) e (wi(t)). LaA risulta una funzione continua su I, e perciò anche il suo determinanteè continuo su I. Dato che all’istante t0 vale

detA(t0) = 1 ,

per l’ipotesi che il dato iniziale sia una base positiva, e dato che

|detA(t)| = 1 ,

per ogni t ∈ I, in quanto sappiamo già che le due basi (ui(t)) e (wi(t))sono entrambe ortonormali (vedi il Teorema A.17), ne segue per continuitàche

detA(t) = 1 ,per ogni t ∈ I, e quindi (wi(t)) è positiva per ogni t ∈ I.

Corollario 2.46. Siano M = (ui), t0 ∈ I, e

w01 , w0

2 , w03 ,

come nel Teorema 2.45. Sia invece, con maggiore generalità, f ∈ C(I × R9), elocalmente lipschitziana nelle ultime nove variabili.Allora esiste un’unica terna mobile N = (wi) tale che

ωMN (t) = f(t, w1(t), w2(t), w3(t)

), t ∈ I,

(w1(t0), w2(t0), w3(t0)

)=

(w0

1, w02, w0

3)

.(2.52)

Dimostrazione. Il sistema differenziale (2.51) in genere non è, quandof sia inteso dipendente anche dalle incognite wi (come facciamo nel casopresente), un sistema lineare a cui si possa applicare il risultato di esistenzaglobale per sistemi di e.d.o. ricordato in Teorema 1.6.

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34 DANIELE ANDREUCCI

Si può tuttavia applicare il Teorema 1.6 per ottenere esistenza di una solu-zione massimale (wi) definita in un intervallo J ⊂ I. Questa risulta essereuna terna ortonormale positiva.Per dimostrare che J = I ricordiamo, ancora dal Teorema 1.6, che si puòavere J & I solo se per t → inf J+, oppure per t → sup J−, la curvaintegrale si avvicina alla frontiera dell’insieme di definizione dell’equa-zione differenziale, insieme che nel nostro caso è I × R9, oppure divieneillimitata. La prima alternativa dunque è esclusa: la frontiera è proprio

∂I × R9 = inf I, sup I × R9 .

La seconda alternativa risulta anche esclusa, perché il modulo della curvaintegrale si mantiene limitato per tutti i tempi di esistenza: ciascuna wi

soddisfa|wi(t)| = 1 , per ogni t ∈ J,

come abbiamo appena stabilito.Quindi J = I e la dimostrazione è conclusa.

Metodo 2.47. I teoremi precedenti si usano nel seguente modo: le equa-zioni di moto di un corpo (per esempio si vedano le (11.2)–(11.4)) permet-tono di ricavare ω; a questo punto i teoremi di questa sezione implicanoche esiste la terna mobile corrispondente.In modo in sostanza simile si è già usato il Teorema 2.45 nell’Osservazio-ne 2.24.

2.6. L’asse istantaneo di moto

Notazione 2.48. Qui S = (O,M) è un sistema di riferimento mobile, eω : I → R3 è la corrispondente velocità angolare.Usiamo la scomposizione, per ogni f ∈ R3,

f = [ f ]⊥ + [ f ]‖ , (2.53)

ove [ f ]⊥ denota la componente di f perpendicolare a ω, e [ f ]‖ denotaquella parallela.

Il seguente Teorema in sostanza mostra che il campo di velocità di trasci-namento relativo a S ha modulo minimo su una retta.

Teorema 2.49. Sia ω(t) 6= 0 per un fissato t ∈ I. Il luogo dei punti x ∈ R3 ove|Vt(x, t)| è minimo è la retta di equazione

x = γ(t) + λω(t) , λ ∈ R , (2.54)

ove

γ(t) = XO(t) +1

|ω(t)|2 ω(t)× [vO(t)]⊥ .

Inoltre su tale retta Vt(x, t) risulta costante e parallela a ω(t).

Dimostrazione. Si ha per definizione (vedi la (2.32))

Vt(x, t) = [vO]‖ + [vO]⊥ + ω(t)× [x − XO] . (2.55)

La (2.55) mette in evidenza che la componente di Vt(x, t) parallela a ω(t) è indipendenteda x. Quindi |Vt(·, t)| sarà minimo nei punti ove si annulla la componente di Vt(x, t)perpendicolare a ω(t), e solo in quelli, ammesso che essi esistano.

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2.6. L’ASSE ISTANTANEO DI MOTO 35

Dobbiamo cioè risolvere l’equazione

[vO]⊥ + ω(t)× [x − XO] = 0 , (2.56)

da cui seguef := ω(t)× [vO(t)]⊥ = −ω(t)× [

ω(t)× [x − XO]]

. (2.57)Per il Lemma A.22,

f = |ω(t)|2 [x − XO(t)]⊥ ,e quindi, per un λ = λ(x) ∈ R opportuno,

x = XO(t) +f

|ω(t)|2 + λω(t) . (2.58)

che è la (2.54).Viceversa, sia soddisfatta in x la (2.54), ossia la (2.58), ove f è definita come in (2.57).Allora, usando la definizione di f e ancora il Lemma A.22 si vede che vale la (2.56), equindi che la componente di Vt(x, t) perpendicolare a ω(t) si annulla.

Definizione 2.50. La retta definita da (2.54) si dice asse istantaneo di moto.Nel caso in cui [vO(t)]‖ = 0, la retta si dice asse d’istantanea rotazione.

Osservazione 2.51. Nei casi in cui all’istante t esiste un punto solidale P0in quiete, evidentemente l’asse d’istantanea rotazione al tempo t è la rettaper P0 parallela a ω.

Si noti che l’asse istantaneo di moto è definito solo per gli istanti in cuiω(t) 6= 0. Se questo vale per ogni t ∈ I, introduciamo le due superficirigate (cioè formate dall’unione di rette)

Σ =

ξ ∈ R3 | x =3

∑i=1

ξiei soddisfi (2.54) per qualche t ∈ I e λ ∈ R

,

ΣS =

ξ ∈ R3 | x = XO(t) +3

∑i=1

ξiui(t)

soddisfi (2.54) per qualche t ∈ I e λ ∈ R

.

Definizione 2.52. La Σ [la ΣS ] si dice rigata fissa [solidale] del moto di S .Si chiama rigata mobile la superficie mobile

Σm(t) =

X(t) = XO(t) +3

∑i=1

ξiui(t) | ξ ∈ ΣS

.

In modo forse più intuitivo la rigata fissa [mobile] si può descrivere co-me l’unione delle posizioni dell’asse istantaneo di moto nel sistema fisso[mobile].

Esempio 2.53. Torniamo all’Esempio 2.44, e assumiamo ora che P sia laterna fissa, cosicché zi = ei. Scriviamo poi S = (O,N ), ove O denotal’origine del sistema fisso.L’asse d’istantanea rotazione all’istante t quindi è la retta per l’origineparallela a ωPN . Dunque la rigata fissa Σ è il cono circolare retto di verticel’origine, asse di simmetria coincidente con l’asse ξ3 e apertura

2 arctgδ

α, δ :=

√β2 + γ2 ;

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36 DANIELE ANDREUCCI

assumiamo qui per definitezza che α, β, γ > 0.Il moto di N in M è una rotazione intorno all’asse βu1 +γu2. Supponiamoper semplicità che la terna N sia stata scelta in modo che

w3 =β

δu1 +

γ

δu2 .

Quindi w1, w2 apparterranno in ogni istante al piano ortogonale a w3, cheè generato (per esempio) dai versori

u3 , a := w3 × u3 =γ

δu1 −

β

δu2 .

Si noti che (u3, a, w3) costituiscono una base ortonormale positiva. As-sumiamo di nuovo per semplificare i calcoli che la N fortunatamentesoddisfi

w1 = cos(δt)u3 + sin(δt)a ,

w2 = − sin(δt)u3 + cos(δt)a .(2.59)

(Questa è un’ipotesi sulla posizione iniziale di N .)Volendo scomporre ωPN nella base N si avrà dunque dalle (2.59) e dalladefinizione di w3

ωPN = αu3 + δw3 = α cos(δt)w1 − α sin(δt)w2 + δw3 =:3

∑i=1

ωi(t)wi(t) .

Perciò

ΣS =

ξ ∈ R3 | ξ = λ(ω1(t), ω2(t), ω3(t)) per qualche λ, t ∈ R

=

ξ ∈ R3 | ξ =(

ξ1, ξ2,± δ

α

√ξ2

1 + ξ22

); ξ1 , ξ2 ∈ R

.

Pertanto ΣS è il cono retto di vertice l’origine, asse di simmetria coinci-dente con l’asse ξ3 e apertura

2 arctgα

δ.

Invece la rigata mobile Σm(t) è quella copia di questo cono che è solidalecon il sistema S , ossia il cono mobile

Σm(t) =

x ∈ R3 | x = ξ1w1(t)+ ξ2w2(t)±δ

α

√ξ2

1 + ξ22 w3(t) ; ξ1 , ξ2 ∈ R

.

2.7. Moti rigidi piani

Usiamo qui la notazione della Sezione 2.6.

Definizione 2.54. Il moto di S si dice moto rigido piano se e solo se ω(t) 6= 0per ogni t ∈ I, ω mantiene direzione costante e [vO(t)]‖ = 0 per ognit ∈ I.

Nei moti rigidi piani l’asse d’istantanea rotazione mantiene direzione co-stante, e su di esso i punti hanno velocità di trascinamento nulla; l’assesi mantiene costante se e solo se il moto è una rotazione. Le rigate delmoto quindi sono superfici cilindriche (ossia rigate formate da rette tutteparallele tra di loro).

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2.7. MOTI RIGIDI PIANI 37

Per di più dalla (2.32) segue subito che, fissata una retta parallela a ω(t),tutti i suoi punti x hanno uguale velocità di trascinamento Vt(x, t). Neimoti rigidi piani la direzione di ω si mantiene costante, dunque per de-scrivere il campo delle velocità di trascinamento, ossia il moto di S , bastaconoscerlo su un fissato piano Π ortogonale a ω.Supponiamo nel seguito per chiarezza che ω sia parallelo a e3 = u3(t)per ogni t ∈ I, e indichiamo con (yi) [(zi)] le coordinate nel sistema fisso[mobile].Tutti i punti hanno velocità parallela nulla in ogni istante: dunque se i duepiani fisso y3 = c1 e mobile z3 = c2 sono sovrapposti all’istante t, sarannosovrapposti per ogni altro istante.

Definizione 2.55. Siano y3 = c1 e z3 = c2 due piani—fisso e mobile—sovrapposti come sopra. Essi si dicono piani rappresentativi del moto.La curva intersezione di Σ con il piano y3 = c1 si dice base, e quella inter-sezione di Σm(t) con il piano z3 = c2 si dice rulletta.Il punto intersezione dell’asse istantaneo di moto con un piano rappresen-tativo si dice centro istantaneo di moto (o centro di istantanea rotazione).

Esempio 2.56. Consideriamo il moto di un sistema S con

XO(t) = v0te1 , M come nell’Esempio 2.24 con θ(t) = ωt,

ove v0 e ω sono costanti positive. Si ha ω(t) = ωu3, e dunque il moto èrigido piano.Il campo di velocità di trascinamento quindi è dato da

Vt(x, t) = [vO(t)]⊥ + ω × (x − XO(t)) = (v0 − ωy2)e1 + ω(y1 − v0t)e2 .

Qui le yi denotano le coordinate nel sistema fisso. Perciò l’asse d’istanta-nea rotazione ha equazioni, nel sistema fisso,

y1 = v0t , y2 =v0

ω.

La rigata fissa è perciò il piano y2 = v0/ω, e la base è la curva

y2 =v0

ω, y3 = 0 ,

se scegliamo come rappresentativo il piano y3 = 0.Esprimendo le coordinate zi nel sistema mobile in funzione delle yi siottiene

z1 = (y1 − v0t) cos ωt + y2 sin ωt ,

z2 = −(y1 − v0t) sin ωt + y2 cos ωt ,z3 = y3 .

Le equazioni dell’asse di moto sono dunque nel sistema mobile

z1 =v0

ωsin ωt , z2 =

v0

ωcos ωt .

Perciò la rigata solidale ΣS è il cilindro circolare retto di centro l’origine eraggio v0/ω:

ΣS =(zi) | z2

1 + z22 =

v20

ω2

,

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38 DANIELE ANDREUCCI

e quella mobile è il cilindro

Σm(t) =(yi) | (y1 − v0t)2 + y2

2 =v2

0

ω2

.

La rulletta è la circonferenza

(y1 − v0t)2 + y22 =

v20

ω2 , y3 = 0 .

Esempio 2.57. (Compasso ellittico) Il sistema mobile S = (O, (uh)) simuova in modo che, definito il moto solidale

XB(t) = Lu1(t) , L > 0 ,

valgano

XO(t) = α(t)e2 , XB(t) =√

L2 − α(t)2e1 , u3(t) = e3 .

Si lascia al lettore di giustificare il nome di compasso ellittico (o ellissogra-fo) attribuito al segmento solidale OB.Calcoliamo invece la velocità angolare ω; dalle informazioni date si hasubito

u1(t) =

−→OB

L=

1L

(√L2 − α(t)2 e1 − α(t)e2

),

u2(t) =1L

(α(t)e1 +

√L2 − α(t)2 e2

).

Quindi dalla relazione (2.15) si ha

ω(t) = ω3(t)u3 =du1

dt(t) · u2(t) u3 = − α(t)√

L2 − α(t)2e3 ,

dato che ω1 = ω2 = 0 seguono dalle (2.14) e (2.16).Il centro istantaneo di moto K potrebbe essere trovato scrivendo il campodi velocità di trascinamento come nell’Esempio 2.56. Usiamo invece ilseguente argomento, che va sotto il nome di teorema di Chasles: dalla (2.29),e dal fatto che vK = 0, segue che per ogni moto solidale XP vale

vP = ω × [XP − XK] . (2.60)

Pertanto XP − XK è ortogonale alla velocità vP, ossia K appartiene allaretta per P ortogonale a vP. Applicando il ragionamento per P = O e perP = B si vede quindi che K deve essere il punto intersezione delle duerette corrispondenti costruite come sopra, ossia deve essere il punto

XK(t) =√

L2 − α(t)2 e1 + α(t)e2 , (2.61)

che è un vertice del rettangolo con i lati sugli assi che ha OB come diago-nale.

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2.8. UNA DEFINIZIONE ALTERNATIVA DI VELOCITÀ ANGOLARE. 39

2.8. Una definizione alternativa di velocità angolare.

Sia M = (uh) una terna mobile. Scriviamo

ui(t) =3

∑h=1

aih(t)eh ,

ove quindi A = (aih) è la matrice di cambiamento di base di Teorema A.12; dunqueA−1 = At e pertanto

0 =dIdt

=ddt

(AtA) = AtA+AtA = A

tA+ (A

tA)

t.

Dunque AtA è una matrice antisimmetrica, e per il Teorema A.21 esiste un vettore c tale

cheA

tAx = c × x , per ogni x ∈ R3.

Sia ora

g(t) =3

∑i=1

gi(t)ei =3

∑j=1

λjuj(t)

una qualunque funzione solidale con M. Si ha ovviamente

dg

dt(t) =

3

∑i=1

gi(t)ei =3

∑j=1

λj

duj

dt(t) =

3

∑j=1

λj

3

∑h=1

ajh(t)eh .

Per l’unicità della scomposizione di un vettore in una base si deve avere

gi =3

∑j=1

λj aji .

Usando ora l’Osservazione A.14, si ha

λj =3

∑k=1

ajk(t)gk(t) ,

per cui alla fine si ottiene

gi(t) =3

∑j,k=1

ajk(t)aji(t)gk(t) ,

ossiadg

dt(t) = A

t(t)A(t)g(t) = c(t)× g(t) .

Questo dimostra che la funzione vettoriale ω := c soddisfa la richiesta del Lemma 2.19.La proprietà di unicità dello stesso Lemma implica che questa definizione di ω equivalealla precedente.

Ben poche cose di Omega sono piacevoli.

ROBERT SHECKLEY, Gli orrori di Omega

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CAPITOLO 3

Curve nello spazio

3.1. Il triedro principale

Definizione 3.1. Una curva regolare è un’applicazione

Ψ : I → R3 , Ψ ∈ C2(I) , Ψ(t) 6= 0 , per ogni t ∈ I,

ove I è un intervallo di R. L’immagine γ = Ψ(I) si dice supporto dellacurva, o per brevità curva essa stessa.Un’ascissa curvilinea su γ è data da

s(t) =

t∫

t0

|Ψ(τ)|dτ , t ∈ I ,

ove t0 ∈ I è fissato.

Poichés(t) = |Ψ(t)| > 0 , in I,

la funzione t 7→ s(t) ha inversa t = t(s), e possiamo parametrizzare γmediante s:

ψ(s) = Ψ(t(s)) .

In particolare il vettore tangente

T(s) :=dψ

ds(s) = ψ′(s)

ha modulo unitario:

|T(s)| = |ψ′(s)| =∣∣∣∣Ψ(t(s))

dt

ds(s)

∣∣∣∣ =|Ψ(t(s))|s(t(s))

= 1 .

Definizione 3.2. Definiamo curvatura di γ la funzione

k(s) = |T ′(s)| .

Nei punti s ove k(s) > 0, si definisce il raggio di curvatura di γ come

ρk(s) =1

k(s). (3.1)

SeT ′(s) 6= 0 ,

il che per il momento assumiamo, allora

T ′(s) = k(s)N(s) ,

41

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42 DANIELE ANDREUCCI

ove si è definito anche

N(s) =T ′(s)|T ′(s)| . (3.2)

Il versore N prende il nome di normale principale. Si noti infatti che

T(s) · T ′(s) =12

dds

|T(s)|2 = 0 .

Si introduce quindi un terzo vettore, la binormale B, come

B(s) = T(s)× N(s) .

Definizione 3.3. Il triedro principale o terna intrinseca di γ in s è la baseortonormale positiva in R3

T (s) = (T(s), N(s), B(s)) =: (h1(s), h2(s), h3(s)) .

Nei punti ove T ′(s) = 0 i vettori N(s) e B(s) non sono definiti.

3.2. Le formule di Frenet–Serret

Ipotesi 3.4. In questa Sezione assumiamo che T , N, B ∈ C1(I) (il che ègarantito da Ψ ∈ C3(I)). Assumiamo inoltre che T ′(s) 6= 0, salvo esplicitaindicazione contraria.

Proposizione 3.5. (Formule di Frenet-Serret) Valgono

T ′(s) = k(s)N(s) , (3.3)

N ′(s) =− k(s)T(s) − τ(s)B(s) , (3.4)

B′(s) = τ(s)N(s) . (3.5)

Si noti che la (3.5) è la definizione della torsione τ(s).

Dimostrazione. Dato che T è una base ortonormale, deve essere

h′i(s) · hj(s) = −hi(s) · h′

j(s) , i , j = 1 , 2 , 3 , (3.6)

e in particolareh′

i(s) · hi(s) = 0 . (3.7)La (3.5) segue allora dalla (3.3), che è nota dalla definizione di N. Infine la(3.4) segue dalle altre due formule.

I prossimi risultati illustrano il significato geometrico degli scalari curva-tura e torsione.

Proposizione 3.6. Se k(s) = 0 per ogni α < s < β, la curva

ψ(s) | α < s < βè un segmento di retta, e viceversa.

Dimostrazione. A) Se k(s) = 0 per ogni α < s < β si ha T ′(s) = 0 inα < s < β. Dunque, fissato s0 ∈ (α, β) si ha

ψ(s) = ψ(s0) +

s∫

s0

T(σ)dσ = ψ(s0) + (s − s0)T(s0) , α < s < β ,

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3.3. SCOMPOSIZIONE DI VELOCITÀ E ACCELERAZIONE 43

che prova la tesi.B) Viceversa, se la curva è un segmento di retta in α < s < β in talesegmento T è costante, e dunque la sua derivata e quindi k si annullano.

Proposizione 3.7. Sia k(s) > 0 per ogni α < s < β. Allora la curva

ψ(s) | α < s < βgiace su un piano se e solo se τ(s) = 0 per ogni α < s < β.

Dimostrazione. A) La curva sia contenuta nel piano per ψ(s0) di normalef , ove s0 ∈ (α, β) è fissato. Allora per ogni s, s + h ∈ (α, β) vale

ψ(s + h)− ψ(s)

h· f = 0 ,

e prendendo il limite h → 0, si ha

T(s) · f = 0 .

Nello stesso modoT(s + h)− T(s)

h· f = 0 ,

così che, prendendo il limite h → 0, si ha

N(s) · f = 0 .

Quindi T(s) e N(s) risultano ortogonali a f per ogni α < s < β, e perciò

B(s) = f , α < s < β , oppure B(s) = − f , α < s < β .

Dunque B′(s) = 0, α < s < β.B) Viceversa, sia τ(s) = 0, α < s < β. Allora

B(s) = B(s0) , α < s < β ,

per un s0 ∈ (α, β) fissato. Consideriamo il piano per ψ(s0) normale aB(s0), e mostriamo che contiene la curva. Infatti

[ψ(s)− ψ(s0)

] · B(s0) =

s∫

s0

T(σ)dσ · B(s0)

=

s∫

s0

T(σ) · B(s0)dσ =

s∫

s0

T(σ) · B(σ)dσ = 0 .

3.3. Scomposizione di velocità e accelerazione

In questa Sezione vedremo quale è l’interesse delle curve in cinematica.

Definizione 3.8. Sia X : I → R3 un moto con X(t) 6= 0 per ogni t ∈ I.Allora il supporto della curva γ = X(I) si dice traiettoria del moto.

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44 DANIELE ANDREUCCI

Consideriamo dunque un moto X, con traiettoria regolare ψ. Si abbia cioè

X(t) = ψ(s(t)) , t ∈ I . (3.8)

Si noti che la conoscenza della traiettoria

s 7→ ψ(s) , s ∈ J ,

non è sufficiente a determinare il moto. È necessario infatti assegnare atale scopo anche la legge oraria

t 7→ s(t) , t ∈ J .

Metodo 3.9. La velocità e l’accelerazione del moto si ottengono come:

v(t) =dX

dt(t) = ψ′ s = sT , (3.9)

a(t) =dv

dt(t) = sT + s

(T ′ s

)= sT + ks2N . (3.10)

Si noti che:• v è diretta come T;• a ha componente nulla lungo B;• a ha componente non negativa lungo N.

L’accelerazione dunque si scompone nella terna intrinseca della traiettoriain accelerazione tangente e in accelerazione normale.

Metodo 3.10. Un caso particolare in cui si conosce sistematicamente latraiettoria prima di conoscere il moto è quello di un moto vincolato auna curva. In questo caso il moto può essere determinato ‘forzando’ taleconoscenza nella formula (3.10). Si vedano gli Esempi 5.21 e 5.22 e nelseguito l’Esempio 8.1.

A volte conviene considerare T come terna di riferimento mobile, nel sen-so della Definizione 2.11, parametrizzata dal tempo t secondo la funzione

t 7→ (T(s(t)), N(s(t)), B(s(t))) . (3.11)

Allora vale la seguente

Proposizione 3.11. La velocità angolare della terna T data dalle (3.11) è datada

ω(t) = s(t)[− τ(s(t))T(s(t)) + k(s(t))B(s(t))

]. (3.12)

Dimostrazione. La tesi segue subito dalle (2.14)–(2.16) e dalle formule diFrenet–Serret (3.3)–(3.5).

3.4. Ricostruzione di una curva a partire da curvatura e torsione

Teorema 3.12. Date due funzioni k, τ ∈ C(I), con k(s) > 0 per ogni s ∈ I, esiste una curva taleche k e τ ne sono rispettivamente curvatura e torsione.

Tale curva risulta essere di classe C2(I), con T, N, B ∈ C1(I).

Dimostrazione. A) Scegliamo in (3.12)

s(t) = t , t ∈ I ,

cosicché possiamo applicare il Corollario 2.46, M coincidente con la base standard di R3,e ω assegnata come in (3.12) con s = t. Ne segue l’esistenza di una unica terna mobile diclasse C1(I)

T (s) = (u1(s), u2(s), u3(s)),

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3.4. RICOSTRUZIONE DI UNA CURVA A PARTIRE DA CURVATURA E TORSIONE 45

tale cheω(s) = −τ(s)u1(s) + k(s)u3(s) . (3.13)

B) Definiamo per integrazione la curva γ che ammetta tale terna come terna intrinseca:fissato s0 ∈ I poniamo

ψ(s) =

s∫

s0

u1(z) dz , s ∈ I . (3.14)

Resta da mostrare che T è in effetti terna intrinseca per γ. È chiaro che s è davveroun’ascissa curvilinea su γ, poiché

|ψ′| = |u1| = 1 .

PertantoT(s) = ψ′(s) = u1(s) , s ∈ I . (3.15)

Per definizione di N poi si ha

N(s) =T ′(s)∣∣T ′(s)

∣∣ =ω(s)× u1(s)

|ω(s)× u1(s)|=

k(s)u2(s)

|k(s)u2(s)|= u2(s) . (3.16)

Per definizione di B:

B(s) = T(s)× N(s) = u1(s)× u2(s) = u3(s) . (3.17)

C) Infine, mostriamo che k e τ sono in effetti curvatura e torsione di γ.La (3.13), la (3.16) e la prima delle formule di Frenet-Serret (3.3) mostrano che k è lacurvatura della γ. Per trovarne la torsione, osserviamo che, per la (3.13),

B′(s) = ω(s)× B(s) = −τ(s)T(s)× B(s) = τ(s)N(s) ,

il che prova che τ è la torsione di γ quando si ricordi l’ultima delle formule di Frenet-Serret(3.5).

Teorema 3.13. Siano ψ1, ψ2 ∈ C2(I) due curve (parametrizzate dall’ascissa curvilinea), con

uguali curvatura e torsione e con i vettori della terna intrinseca di classe C1(I).Allora le due curve coincidono a meno di una rotazione e una traslazione.

Dimostrazione. Denotiamo con

Ti = (T i, N i , Bi) ,

la terna intrinseca relativa a ψi, i = 1, 2.Fissiamo s0 ∈ I. Dato che le due terne intrinseche T1(s0) e T2(s0) sono due basi ortonor-mali positive, esiste una matrice di rotazione A tale che

AT1(s0) = T2(s0) , AN1(s0) = N2(s0) , AB1(s0) = B2(s0) . (3.18)

Per di più per le formule di Frenet-Serret,

dds

[AT1(s)

]= AT ′

1(s) =k(s)[AN1(s)

],

dds

[AN1(s)

]= AN ′

1(s)=− k(s)[AT1(s)

]− τ(s)[AB1(s)

],

dds

[AB1(s)

]= AB′

1(s) =τ(s)[AN1(s)

].

(3.19)

Dunque le due funzioni vettoriali

(T2, N2, B2) (AT1,AN1,AB1) ,

risolvono il medesimo problema di Cauchy (3.18)–(3.19), e devono quindi coincidere.In particolare

ψ2(s)− ψ2(s0) =

s∫

s0

ψ′2(z) dz =

s∫

s0

Aψ′1(z) dz

= A

s∫

s0

ψ′1(z)dz = A

(ψ1(s)− ψ1(s0)

),

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46 DANIELE ANDREUCCI

e infine, per ogni s ∈ I,

ψ2(s) = Aψ1(s) +(ψ2(s0)−Aψ1(s0)

).

Osservazione 3.14. Un’applicazione delle definizioni della Sezione 3.2 mostra che assu-mere la curva in C2(I) non è in genere sufficiente a garantire che i versori del triedroprincipale siano di classe C1(I).Invece, il Teorema 3.12 garantisce l’esistenza di una curva di classe C2(I), con curvature etorsione assegnate, che però ha i versori del triedro principale di classe C1(I).Costruiamo qui un esempio esplicito di una curva come questa. Consideriamo

Ψ(t) =(

t,t2

2+

|t|36

, 0)

, t ∈ R .

Si hadΨ

dt=

(1, t +

t|t|2

, 0)

, −∞ < t < ∞ ,

da cui si ricava per l’ascissa curvilinea s

s = σ(t) =

t∫

0

√1 +

(z +

z|z|2

)2dz =

t∫

0

√1 + z2 + |z|3 + z4

4dz .

Quindi σ ∈ C3(R).Invertendo la funzione σ si ottiene

t = ϑ(s) , ϑ′(s) =1

σ(ϑ(s))=

1√1 + ϑ(s)2 + |ϑ(s)|3 + ϑ(s)4

4

,

con ϑ ∈ C3(R). Perciò la curva, parametrizzata dall’ascissa curvilinea, è data da

ψ(s) =(

ϑ(s),ϑ(s)2

2+

|ϑ(s)|36

, 0)

, s ∈ R , (3.20)

e

T(s) = ϑ′(s)(

1, ϑ(s) +ϑ(s)|ϑ(s)|

2, 0)

. (3.21)

Quindi calcoli immediati danno

N(s) = ϑ′(s)(− ϑ(s)− ϑ(s)|ϑ(s)|

2, 1, 0

), (3.22)

B(s) = (0, 0, 1) , (3.23)

ek(s) = ϑ′(s)3(1 + |ϑ(s)|) , τ(s) = 0 , −∞ < s < ∞ . (3.24)

Da (3.20) (e da ϑ′(0) = 1 6= 0) segue che ψ ∈ C2(R) \ C3(R).Inoltre per (3.24) la curvatura è solo continua (e neppure derivabile su tutto R).D’altronde da (3.21)–(3.23) risulta che i versori T, N, B sono di classe C1(R).Per il Teorema 3.13 quindi la (3.20) dà l’unica curva (a meno di rotazioni e traslazioni) cheha curvatura e torsione prescritte dalla (3.24).

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CAPITOLO 4

Vincoli. Coordinate lagrangiane

4.1. Vincoli olonomi

Vogliamo introdurre il concetto di evoluzione vincolata nel tempo di un si-stema meccanico (anche se questa sezione potrebbe riguardare un sistemapiù generale). Consideriamo quindi una funzione, o sistema, in evoluzione

F : I → Rnc , F(t) = (F1(t), . . . , Fnc(t)) ∈ Ξ ⊂ Rnc , t ∈ I . (4.1)

Qui I è l’intervallo aperto di R in cui varia il tempo t, e Ξ un insieme aper-to. Denotiamo le coordinate in Rnc con ξ = (ξ j). Nel seguito le ξ j, espressedurante il moto come funzioni del tempo da ξ j = Fj, definiranno la po-sizione di un sistema di corpi rigidi; tuttavia queste posizioni dovrannosoddisfare certi vincoli.

Esempio 4.1. A) Se il sistema è costituito da un unico punto, allora nc = 3,Ξ = R3, e un tipico vincolo può essere

ξ3 = 0 ,

se il punto deve appartenere a un piano assegnato.B) Come esempio di sistema vincolato preso al di fuori della meccanicadei corpi rigidi, supponiamo che nc = 3, e le ξ j indichino le concentrazionivolumetriche di altrettante sostanze presenti in una miscela. Dovrà quindiessere Ξ = ξ1, ξ2, ξ3 > 0 e

ξ1 + ξ2 + ξ3 = 1 .

Definizione 4.2. Un insieme di vincoli olonomi per il sistema (4.1) è unsistema di equazioni

f j(ξ, t) = 0 , j = 1 , . . . , m , (4.2)

con m < nc, ove, per ogni j, f j ∈ CK(Ξ × I), K ≥ 2. Inoltre assumiamo chel’insieme delle configurazioni ammissibili

Ξ f (t) = ξ ∈ Ξ | vale (4.2) (4.3)

sia non vuoto per ogni t ∈ I, e che la matrice iacobiana

( ∂ f j

∂ξk

)(ξ, t) =

∂ f1∂ξ1

. . . . . . ∂ f1∂ξnc

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .∂ fm

∂ξ1. . . . . . ∂ fm

∂ξnc

(4.4)

abbia caratteristica massima, cioè uguale a m, in ogni punto di Ξ f (t), perogni t ∈ I.Un sistema soggetto a vincoli olonomi si dice anche sistema olonomo.

47

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48 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 4.3. Il vincolo f j si dice fisso se non dipende dal tempo, ossiase

∂ f j

∂t(ξ, t) = 0 ,

per ogni (ξ, t) ∈ Ξ × I.In caso contrario si dice mobile.

4.2. Coordinate indipendenti.

Possiamo assumere senza perdita di generalità che il minore della matriceiacobiana con determinante diverso da 0 sia quello relativo alle ultime mcoordinate:

det

∂ f1∂ξnc−m+1

. . . ∂ f1∂ξnc

. . . . . . . . . . . . . . . . . . .∂ fm

∂ξnc−m+1. . . ∂ fm

∂ξnc

6= 0 . (4.5)

Il teorema del Dini garantisce allora, sotto le ipotesi della Definizione 4.2,che le prime

ℓ := nc − m

coordinate ξk, ossia le

ξ1 , . . . , ξℓ ,

siano coordinate indipendenti, cioè siano tali che le soluzioni di (4.2) possanoessere descritte in termini solo di queste, almeno localmente.Vale a dire, per ogni ξ0 ∈ Ξ f (t0) esistono un δ > 0 e funzioni gj tali che

ξ′ ∈ Ξ f (t′) ∩ |ξ − ξ0| < δ , |t′ − t0| < δ ,

se e solo se

ξ′ℓ+1 = gℓ+1(ξ′1, . . . , ξ′ℓ, t′) ,

. . .

ξ′nc= gnc(ξ

′1, . . . , ξ′

ℓ, t′) ,

(4.6)

con

gj ∈ CK(Ξδ × (t0 − δ, t0 + δ)

),

con Ξδ ⊂ Rℓ aperto opportuno.Ripetiamo che la scelta di (ξ′1, . . . , ξ′

ℓ) ∈ Ξδ è arbitraria. Cioè, in sostan-

za, le gj mappano un qualunque (ξ′1, . . . , ξ′ℓ) ∈ Ξδ in una configurazione

ammissibile del sistema.

Definizione 4.4. Il numero ℓ ≥ 1 si dice numero dei gradi di libertà delsistema a vincoli olonomi.

Osservazione 4.5. Se tutti i vincoli sono fissi le gj non dipendono da t.

Osservazione 4.6. L’evoluzione del sistema risulta quindi descritta in mo-do completo quando siano note le ℓ coordinate indipendenti come funzio-ni del tempo.

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4.4. COORDINATE LAGRANGIANE 49

4.3. Atti di moto.

Se torniamo alla descrizione del sistema vincolato della Sezione 4.1, ederiviamo in t le (4.2), otteniamo per ogni j ∈ 1, . . . , m

∇ξ f j(ξ(t), t) · ξ(t) +∂ f j

∂t(ξ(t), t) =

nc

∑k=1

∂ f j

∂ξk

(ξ(t), t)ξk(t) +∂ f j

∂t(ξ(t), t) = 0 . (4.7)

Queste equazioni costituiscono, anche per t = 0, un sistema lineare (ingenere non omogeneo) di m equazioni nelle nc incognite scalari ξk, la cuimatrice dei coefficienti coincide con la matrice iacobiana del sistema divincoli f j (vedi la Definizione 4.2). Quindi la sua caratteristica è massimae uguale a m. Lo spazio delle soluzioni del sistema ha pertanto dimensionenc − m = ℓ.

Definizione 4.7. Il vettore ξ(t) in (4.7) è detto atto di moto del sistemaolonomo.

Osservazione 4.8. Il fatto che l’atto di moto non sia un vettore arbitrariodi Rnc implica in particolare che le condizioni, in particolare le velocità,iniziali non possano essere scelte arbitrariamente. Per esempio, un puntovincolato a una superficie dovrà avere velocità tangente alla superficie.

Osservazione 4.9. Si può vedere che il vettore (ξh(t))h=1,...,ℓ delle de-rivate delle coordinate indipendenti (nell’ipotesi (4.5)) può essere sceltoarbitrariamente; le altre ξh seguono come prescritto derivando le (4.6).

4.4. Coordinate lagrangiane

Conviene spesso usare nella descrizione del moto del sistema olonomo uninsieme di coordinate diverso da quello delle coordinate locali indipen-denti introdotto nella Sezione 4.1.Sia

q = (q1, . . . , qℓ) ∈ Q ,

con Q aperto di Rℓ.Consideriamo una parametrizzazione

ξ j = ξlj (q, t) , j = 1 , . . . , nc . (4.8)

Si assume che le

(ξlj (·, t)) : Q → Ξ f (t)

soddisfino

(1) la (4.8) è iniettiva (e quindi una corrispondenza biunivoca tra Q e lasua immagine);

(2) ξlj ∈ CK(Q × I);

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50 DANIELE ANDREUCCI

(3) la matrice iacobiana completa, ossia la

(∂ξlj

∂qh

)=

∂ξl1

∂q1. . . ∂ξl

1∂q

. . . . . . . . . . . . . . .

. . . . . . . . . . . . . . .∂ξl

nc∂q1

. . . ∂ξlnc

∂qℓ

(4.9)

ha caratteristica massima, pari a ℓ, per ogni q ∈ Q, t ∈ I.

Definizione 4.10. Con la notazione introdotta sopra, le funzioni

ξ j = ξlj (q, t) , j = 1 , . . . , nc , (4.10)

si dicono la rappresentazione lagrangiana del moto.Le qh si dicono anche coordinate lagrangiane.

Osservazione 4.11. Nello stesso spirito dell’Osservazione 4.5, suppor-remo sempre che se tutti i vincoli sono fissi le ξl

j non dipendano dat.

4.5. Sistemi vincolati a un piano

Consideriamo il caso di un sistema di n punti Pi vincolati a stare sullostesso piano costante, per esempio

x3 = 0 .

Se i vincoli sono in tutto m si avrà allora

n ≤ m < nc = 3n .

Infatti tra i vincoli appariranno almeno:

ξ3i = 0 , i = 1, . . . , n , (4.11)

oveX i(t) = ξ3i−2e1 + ξ3i−1e2 + ξ3ie3 .

Supponiamo per definitezza che i vincoli in (4.11) siano i primi n.Si può supporre inoltre che gli altri eventuali vincoli f j non contengano leξ3i, che sono costanti, ossia si assume che

∂ f j

∂ξ3i

= 0 , n < j ≤ m . (4.12)

Allora le righe 1 ≤ i ≤ n della matrice iacobiana (4.4) sono ciascuna nullacon l’eccezione dell’elemento di posto 3i, che vale 1. Le colonne di posto3i avranno solo questo elemento diverso da 0.Risulta quindi chiaro che la caratteristica della matrice iacobiana è mas-sima se e solo se lo è quella della matrice ridotta ottenuta cancellandole righe corrispondenti ai vincoli (4.11) e le colonne corrispondenti al-le coordinate ξ3i. In sostanza, dal punto di vista della parametrizzazio-ne lagrangiana, i vincoli (4.11) si possono considerare in modo implicito,rappresentando il moto in uno spazio a due dimensioni

X i(t) = ξ3i−2e1 + ξ3i−1e2 . (4.13)

Nel caso particolare in cui m = n, cioè non ci sono altri vincoli oltre aquelli in (4.11), i moti X i in (4.13) sono liberi.

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4.5. SISTEMI VINCOLATI A UN PIANO 51

Esempio 4.12. Consideriamo un punto P sottoposto al solo vincolo diappartenere al piano x3 = 0. Come coordinate lagrangiane possiamoscegliere le coordinate cartesiane, o anche quelle polari. Sviluppiamoquest’ultima scelta:

x1 = r cos ϕ , x2 = r sin ϕ ,

con(r, ϕ) ∈ Q = (0, ∞)× (−π, π) .

Vale∂(x1, x2)

∂(r, ϕ)=

(cos ϕ −r sin ϕsin ϕ r cos ϕ

),

che ha determinante pari a r > 0.Definiamo

u(ϕ) = (cos ϕ, sin ϕ) , τ(ϕ) = (− sin ϕ, cos ϕ) .

Il versore u si dice versore radiale, e τ si dice versore trasversale. Si noti chedu

dϕ= τ ,

dϕ= −u .

DunqueX (t) = r(t)u

(ϕ(t)

), (4.14)

e la velocità è data da

v(t) = r(t)u(

ϕ(t))+ r(t)ϕ(t)τ

(ϕ(t)

). (4.15)

Il primo termine a destra nella (4.15) si dice velocità radiale, e il secondovelocità trasversale. L’accelerazione si ottiene derivando v come

a(t) = [r(t)− r(t)ϕ(t)2]u(

ϕ(t))+ [2r(t)ϕ(t) + r(t)ϕ(t)]τ

(ϕ(t)

). (4.16)

Come già fatto per la velocità si definiscono le accelerazioni radiale e tra-sversale.Da notare l’espressione

|v|2 = r(t)2 + r(t)2 ϕ(t)2 .

Esempio 4.13. Consideriamo un sistema formato da due punti vincolati alpiano x3 = 0, con coordinate cartesiane

P1 = (ξ1, ξ2) , P2 = (ξ4, ξ5) ,

sottoposti ai vincoli

ξ21 + ξ2

2 = R2 , (4.17)

(ξ4 − ξ1)2 + ξ2

2 = L2 , (4.18)

ξ5 = 0 . (4.19)

Dunque P1 è vincolato alla circonferenza di raggio R > 0, e centro nel-l’origine, P2 è vincolato all’asse x, e i due punti sono a distanza fissaL > 0.È chiaro che l’insieme delle configurazioni ammissibili Ξ f è non vuoto perogni scelta di R e L. Tuttavia, se e solo se R = L, in certe configurazioni

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52 DANIELE ANDREUCCI

i vincoli non sono olonomi: si veda la Figura 4.1. I dettagli sono nellaSezione 4.10.

A)

ξ1 ξ2

ξ4

B)

ξ1 ξ2

ξ4

C)

ξ1 ξ2

ξ4

Figura 4.1. Il cilindro retto ha equazione (4.17); quello obli-quo ha equazione (4.18). Ξ f è dato dall’intersezione dei duecilindri.A) R > L, R/L = 1, 1: Ξ f è formato da due curve regolari.B) R = L: Ξ f è formato da quattro curve regolari, e da duepunti in vicinanza dei quali Ξ f non è una curva regolare.C) R < L, R/L = 0, 9: Ξ f è formato da due curve regolari.

4.6. Coordinate locali canoniche per un sistema rigido non degenere

Per motivi tradizionali e di compatibilità con la notazione successiva, usia-mo qui il termine sistema rigido non degenere come sinonimo di sistema diriferimento mobile S = (XO,M) nel senso della Definizione 2.26, conM = (uh).È chiaro che per definire la posizione di S in R3 sono necessarie seicoordinate, che noi scegliamo come

• le tre coordinate cartesiane xhO dell’origine O di S ;• le tre coordinate necessarie a specificare la posizione della terna mo-

bile M = (uh).

(Il termine degenere sarà riservato a casi come quello dell’asta rigida o delpunto, che non soddisfano quest’osservazione e richiedono un numero dicoordinate inferiore.)Sono possibili varie scelte di coordinate per stabilire la posizione di M.Per convenzione ci riferiremo alla seguente come canonica.Consideriamo (con la notazione di (2.27)) due moti solidali con S

X (t; λ′) , X (t; λ′′) , (4.20)

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4.6. COORDINATE LOCALI CANONICHE PER UN SISTEMA RIGIDO NON DEGENERE 53

con λ′, λ′′ scelti in modo tale che questi due punti, insieme con XO(t),formino una terna di punti non allineati. Nei capitoli successivi aggiunge-remo un’altra ipotesi sulla scelta di λ′, λ′′, si veda l’Osservazione 6.5.Si può verificare (vedi sotto per i dettagli) che le componenti di u1, u2, u3,nella base (eh) si possono esprimere in termini delle tre coordinate reali

ζ1 , ζ2 , ζ3 ,

individuate da

X (t; λ′) = XO(t) + ζ1e1 + ζ2e2 + ζ′e3 ,

X (t; λ′′) = XO(t) + ζ3e1 + ζ′′e2 + ζ′ ′ ′e3 .(4.21)

Questa scelta di coordinate, come del resto ogni altra possibile, non èvalida per alcune posizioni di M.Anche per indagare questo punto, osserviamo che le coordinate scelteindividuano la posizione di M mediante quella dei due vettori solidali

X (t; λ′)− XO(t) , X (t; λ′′)− XO(t) . (4.22)

Le 6 coordinate introdotte sopra sono quindi soggette ai 3 vincoli (talvoltadetti appunto di rigidità) (4.23) e (4.30). Il minore corrispondente allecoordinate ζ′, ζ′′, ζ′ ′ ′ della matrice iacobiana relativa è non singolare se esolo se

ζ′ 6= 0 , ζ′ζ′′ − ζ2ζ′ ′′ 6= 0 ,

ossia se il primo dei due vettori in (4.22) non giace sul piano 〈e1, e2〉, e sele proiezioni di entrambi su tale piano non sono parallele. Queste sono lecondizioni per la validità della scelta di coordinate fatta sopra.Si vedano sotto i dettagli, in particolare per l’aperto di definizione delle 3coordinate.

Dettagli tecnici: Costruiamo qui una terna solidale e insieme ne troviamo le coordinatecanoniche; comunque è chiaro che, trovate le coordinate di una terna solidale, quelle di unaqualunque altra terna solidale si ottengono dalle prime mediante una rotazione costantenel tempo.Scegliamo ζ1, ζ2 come in (4.21). Si noti che ζ ′ risulta allora funzione delle 2 coordinate ζ1,ζ2, in virtù del fatto che le distanze

L′ :=∣∣XO(t)− X (t; λ′)

∣∣ , L′′ :=∣∣XO(t)− X (t; λ′′)

∣∣ , (4.23)

si mantengono costanti. Cioè vale

ζ ′ =√(L′)2 − ζ2

1 − ζ22 ,

ove la scelta della radice positive esprime una limitazione sulle posizioni ammesse per M.Anche la lunghezza α del vettore

u2 =[X (t; λ′)− XO(t)

]× [X (t; λ′′)− XO(t)

]

si mantiene costante; si noti che α > 0 per l’ipotesi che i tre punti siano non allineati.Poniamo allora

u3 =1L′

[X (t; λ′)− XO(t)

], (4.24)

u2 =1α

u2 . (4.25)

È ovvio che u2 e u3 sono ortonormali. Mostriamo che si possono esprimere in funzionedelle ζh.

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54 DANIELE ANDREUCCI

Introduciamo per brevità la notazione

ηj =ζ j

L′ . j = 1 , 2 . (4.26)

Allora, la posizione di u3 viene individuata dai due parametri

(η1 , η2) ∈ B1 := (z1, z2) ∈ R2 | z21 + z2

2 < 1 , (4.27)

cosicché

u3 = η1e1 + η2e2 +√

1 − η21 − η2

2 e3 . (4.28)

La posizione di u2 viene perciò individuata dalle 2 coordinate ζ1, ζ2 e, in principio, dalle3 coordinate ζ3, ζ ′′, ζ ′ ′ ′. Tuttavia devono valere

(ζ3)2 + (ζ ′′)2 + (ζ ′ ′ ′)2 = (L′′)2 , (4.29)

(ζ1 − ζ3)2 + (ζ2 − ζ ′′)2 + (ζ ′ − ζ ′ ′ ′)2 = d2 , (4.30)

oved :=

∣∣X (t; λ′)− X (t; λ′′)∣∣ > 0 .

Questo sistema permette di ricavare ζ ′′ e ζ ′ ′ ′ in funzione delle ζh. Resta quindi dimostratoche anche la posizione di u2 viene individuata dalle medesime 3 coordinate.Infine

u1 = u2 × u3 . (4.31)

Si noti che alcune posizioni restano escluse da questa scelta, per esempio quelle oveu3 · e3 ≤ 0. Le posizioni ove u3 · e3 < 0 si ottengono cambiando il segno della terzacomponente di u3 nella (4.28), mentre quelle limite ove u3 · e3 = 0 richiedono una diversascelta della parametrizzazione. Considerazioni analoghe valgono anche per u1 e u2, per-ché, in modo analogo a quanto fatto per la ζ ′, anche nella determinazione di ζ ′′ e di ζ ′ ′ ′

va scelto il segno di certe radici quadrate.Per completezza perseguiamo i calcoli fino a determinare l’aperto di variabilità di ζ3. Sinoti che la (4.29) e la (4.30) si possono scrivere come

(ζ ′′)2 + (ζ ′ ′ ′)2 = (L′′)2 − ζ21 =: C1 > 0 , (4.32)

ζ2ζ ′′ + ζ ′ζ ′ ′ ′ =12[(L′)2 + (L′′)2 − d2]− ζ1ζ3 . (4.33)

Ci interessa determinare per (ζ1, ζ2) ∈ B1 fissato l’insieme di valori di ζ3 che rendonorisolubile (4.32)–(4.33) in (ζ ′′, ζ ′ ′ ′). In queste ultime due coordinate, la (4.32) è una cir-conferenza di centro l’origine e raggio C1, mentre la (4.33) è una retta la cui distanzadall’origine è data da

C3 :=|C2 − 2ζ1ζ3|

2√

ζ22 + (ζ ′)2

, ove C2 := (L′)2 + (L′′)2 − d2.

Dunque la risolubilità cercata equivale a C23 < C2

1 , ossia a

4(L′)2ζ23 − 4C2ζ1ζ3 + C2

2 − 4(L′′)2[ζ22 + (ζ ′)2] < 0 . (4.34)

Imponendo ora l’usuale condizione che il discriminante D del trinomio in ζ3 nella (4.34)sia positivo otteniamo, ricordando anche che ζ2 + (ζ ′)2 = (L′)2 − ζ2

1, la

D = 4[(L′)2(L′′)2 − C22 ][(L′)2 − (ζ1)

2] > 0 ,

che certo è verificata in quanto vale

d2 = (L′)2 + (L′′)2 − 2L′L′′ cos ϕ > (L′)2 + (L′′)2 − 2L′L′′ ,

ove ϕ è l’angolo compreso tra i due vettori

X (t; λ′)− XO(t) , X (t; λ′′)− XO(t) ,

e quindi cos ϕ < 1. Dunque la condizione su ζ3 è

ζ−3 (ζ1) < ζ3 < ζ+3 (ζ1) , ζ±3 (ζ1) =C2ζ1 ± C4

√(L′)2 − ζ2

1

2(L′)2 , (4.35)

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4.6. COORDINATE LOCALI CANONICHE PER UN SISTEMA RIGIDO NON DEGENERE 55

oveC4 =

√4(L′)2(L′′)2 − C2

2 > 0 .

Infine per dimostrare che ζ ′′ e ζ ′ ′ ′ sono funzioni regolari di ζ3 basta applicare il teoremadel Dini e l’osservazione che la matrice iacobiana di (4.29) e (4.30), cioè

(2ζ3 2ζ ′′ 2ζ ′ ′ ′

ζ1 ζ2 ζ ′

),

ha ultimo minore non singolare al di fuori delle posizioni ove ζ ′ζ ′′ = ζ2ζ ′ ′ ′. In questeultime posizioni in effetti la coordinata ζ3 non è una scelta valida. Tuttavia esse corrispon-dono a punti di tangenza della circonferenza (4.29) e della retta (4.30), mentre la D > 0 ela (4.35) garantiscono che esse sono secanti.In conclusione, l’aperto di definizione delle coordinate locali risulta:

ζ21 + ζ2

2 < (L′)2 , ζ−3 (ζ1) < ζ3 < ζ+3 (ζ1) , (4.36)

ove le ζ±3 sono definite in (4.35).

Definizione 4.14. I parametri

(x1O, x2O, x3O , ζ1, ζ2, ζ3)

si dicono coordinate locali canoniche del sistema rigido non degenere S .

Metodo 4.15. (Rappresentazione del moto di S in coordinate locali)Denotiamo con uloc

h la funzione che esprime uh in termini delle coordinatelocali.Un qualunque moto solidale con S può essere rappresentato, fissando inmodo opportuno le coordinate solidali λ = (λh) ∈ R3, da

X (t; λ) = XO(t) +3

∑h=1

λhuh(t)

=3

∑j=1

xjO(t) +

3

∑h=1

λhuloch (ζ1(t), ζ2(t), ζ3(t)) · ej

ej . (4.37)

Il membro di destra della (4.37) dipende da t solo mediante le xhO, ζh.Infatti i prodotti uh · ej sono calcolati usando le (4.25), (4.28), e (4.31).Se si usano invece altre scelte di coordinate, per esempio, le (4.39), (4.44),(4.45), queste possono essere sostituite nella (4.37), ottenendo X (t; λ) infunzione di xhO, ϑh.

Osservazione 4.16. La velocità v e l’accelerazione a di ciascuno dei motisolidali con il sistema rigido si ottengono come derivate del moto, come èovvio:

v(t; λ) =∂X

∂t(t; λ) , a(t; λ) =

∂2X

∂t2 (t; λ) ,

per ciascun λ fissato.

Osservazione 4.17. Si notino le espressioni esplicite delle seguenti coor-dinate dei moti XO, X (·; λ′), X (·; λ′′):

XO · e1 = x1O , XO · e2 = x2O , XO · e3 = x3O ,

X (·; λ′) · e1 = x1O + ζ1 , X (·; λ′) · e2 = x2O + ζ2 ,

X (·; λ′′) · e1 = x1O + ζ3 .

Queste verranno usate nella dimostrazione del Teorema 9.7.

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56 DANIELE ANDREUCCI

Esempio 4.18. Introduciamo un’altra possibile scelta di coordinate di M, molto nota.Iniziamo con il determinare la posizione di u3, ossia la posizione di un punto sulla sferadi raggio 1 di R3. Come è noto, questa viene individuata da due angoli

0 < ϑ1 < 2π , 0 < ϑ2 < π , (4.38)

mediante la

u3 = sin ϑ1 sin ϑ2e1 − cos ϑ1 sin ϑ2e2 + cos ϑ2e3 . (4.39)

Nel quadro delle coordinate sferiche in R3 ϑ2 è la colatitudine, e ϑ1 la longitudine (in effettitraslata di π/2 rispetto alla convenzione più abituale). Come coordinate locali di sistemirigidi però questi angoli prendono altri nomi, vedi la Definizione 4.19.Il vettore u1 appartiene alla circonferenza massima γ ortogonale a u3, che è parametrizzatadall’angolo ϑ3, con

0 < ϑ3 < 2π , (4.40)

secondo la

Ψ(ϑ3) = cos ϑ3w1 + sin ϑ3w2 , (4.41)

ove w1, w2 sono scelti in modo da costituire una base nel piano ortogonale a u3, cosicché(w1, w2 , u3) sia una base ortonormale positiva. In particolare prendiamo w1 ortogonalesia a u3 che a e3, ossia

w1 = cos ϑ1e1 + sin ϑ1e2 , (4.42)

w2 = u3 × w1 = − sin ϑ1 cos ϑ2e1 + cos ϑ1 cos ϑ2e2 + sin ϑ2e3 . (4.43)

Dunque, per un valore opportuno di ϑ3,

u1 = (cos ϑ1 cos ϑ3 − sin ϑ1 cos ϑ2 sin ϑ3)e1

+ (sin ϑ1 cos ϑ3 + cos ϑ1 cos ϑ2 sin ϑ3)e2

+ sin ϑ2 sin ϑ3e3 ,

(4.44)

e

u2 = u3 × u1 = − cos ϑ1 sin ϑ3e1

+ (− sin ϑ1 sin ϑ3 + cos ϑ1 cos ϑ2 cos ϑ3)e2

+ sin ϑ2 cos ϑ3e3 .(4.45)

La scelta degli angoli ϑh indicata sopra è valida con l’eccezione di alcune posizioni dellaterna M, ossia di quelle che corrisponderebbero ai valori limite

ϑ1 = 0 , ϑ1 = 2π , ϑ2 = 0 , ϑ2 = π , ϑ3 = 0 , ϑ3 = 2π .

Volendo descrivere il moto di M in un intorno di tali posizioni occorre una diversa sceltadi coordinate.

Definizione 4.19. Gli angoli ϑ1, ϑ2, ϑ3 nell’Esempio 4.18 sono detti angoli di Eulero, evengono denotati di solito come

ϑ1 = ϕ , angolo di precessione,

ϑ2 = θ , angolo di nutazione,

ϑ3 = ψ , angolo di rotazione propria.

Inoltre w1 è noto come versore della linea dei nodi.

4.7. Coordinate locali canoniche per un sistema rigido degenere

Per definire la posizione di un punto O in R3 sono necessarie tre coordi-nate, che noi scegliamo come

• le tre coordinate cartesiane xhO del punto O.

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4.7. COORDINATE LOCALI CANONICHE PER UN SISTEMA RIGIDO DEGENERE 57

Il moto del punto può essere quindi rappresentato da

X (t; 0) = XO(t) =3

∑j=1

xjO(t)ej . (4.46)

Il membro di destra della (4.46) dipende da t solo mediante le xhO.Definiamo poi sistema rigido degenere rettilineo (o asta rigida) come unacoppia S0 = (XO, u) formata da un moto XO e da un versore mobileu.È chiaro che per definire la posizione di un’asta rigida in R3 sono neces-sarie cinque coordinate, che noi scegliamo come

• le tre coordinate cartesiane xhO del punto O;• le due coordinate necessarie a specificare la posizione del versore

mobile u.

Per convenzione ci riferiremo alle seguenti coordinate di u come canoniche.Consideriamo un moto

X (t; λ′) , (4.47)

con λ′ ∈ R scelto in modo tale che

X (t; λ′)− XO(t) = Lu(t) , (4.48)

per una costante L > 0. Intuitivamente, se O viene pensato come il primoestremo dell’asta, il moto in (4.47) si può pensare come quello del secondoestremo.Definiamo poi le coordinate locali ζ1, ζ2 come in (4.21). Allora la posizionedi u, e quindi tutti i moti solidali con l’asta, si possono esprimere in terminidelle cinque coordinate locali xhO e ζh.Denotiamo con uloc la funzione che esprime u in termini delle coordinatelocali.Un moto solidale con l’asta per definizione è un moto dato per un λ ∈ Rfissato in modo opportuno da

X (t; λ) = XO(t) + λu(t)

=3

∑j=1

xjO(t) + λuloc(ζ1(t), ζ2(t)) · ej

ej . (4.49)

Il membro di destra della (4.49) dipende da t solo mediante le xhO, ζh.Si noti che, assegnata un’asta rigida, si possono trovare infiniti sistemi diriferimento mobili tali che u sia per ciascuno un vettore solidale, e checiascuno di tali sistemi abbia una differente velocità angolare (rispetto auna terna scelta come fissa). Questi sistemi di riferimento mobile si diconotalvolta solidali con l’asta; si noti che, in questo senso, la velocità angolaredi un sistema solidale con il rigido non è definita in modo univoco, adifferenza del caso del rigido non degenere.In virtù del Lemma 4.21 sotto, possiamo definire velocità angolare dell’astail vettore ω perpendicolare a u tale che

du

dt= ω × u .

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58 DANIELE ANDREUCCI

Osservazione 4.20. Lo scopo dell’introduzione di ω è quello di soppri-mere la componente di rotazione lungo l’asta, che non ha senso nel casodi un corpo rigido rettilineo. Questa ‘velocità angolare minimale’ è invecedefinita in modo univoco (vedi il Lemma 4.21).Comunque nel seguito la velocità angolare dell’asta verrà di nuovo indi-cata con ω.

Lemma 4.21. Assegnato un versore u ∈ C1(I), esiste un’unica funzione ω ∈C(I) tale che

ω(t) · u(t) = 0 , t ∈ I , (4.50)e

du

dt(t) = ω(t)× u(t) , t ∈ I . (4.51)

Dimostrazione. Se ω come nell’enunciato esiste, deve essere, per il Lem-ma A.22,

ω = u × (ω × u) = u × du

dt, (4.52)

che dimostra l’unicità di ω.Ancora dal Lemma A.22, e dal fatto che

u · du

dt= 0

segue che la ω definita nella (4.52) soddisfa i requisiti dell’enunciato.

Esempio 4.22. Un’asta rigida AB di lunghezza L è vincolata ad averel’estremo A nell’origine O del sistema di riferimento fisso; l’estremo Bdescrive con legge oraria s(t) la curva

ψ(s) =3

∑i=1

ψi(s)ei , s ∈ (α, β) ,

ove s è l’ascissa curvilinea. Troviamo la velocità angolare ω dell’asta.In questo caso XO(t) = 0 per ogni t e il versore u è dato da

u(t) =1L

ψ(s(t)) ,

cosicché

u(t) =s(t)

Lψ′(s(t)) .

Dunque, secondo la (4.52),

ω(t) =s(t)

L2 ψ(s(t))× ψ′(s(t)) .

Nel caso particolare in cui

ψ(s) = R coss

Re1 + R sin

s

Re2 + he3 ,

ove h ∈ [0, L) è fissato, e R =√

L2 − h2, si ha per esempio

ω(t) =s(t)

L2

[− h cos

s(t)

Re1 − h sin

s(t)

Re2 + Re3

].

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4.8. SISTEMI OLONOMI COMPOSTI DA RIGIDI 59

4.8. Sistemi olonomi composti da rigidi

Consideriamo un sistema di n ≥ 1 sistemi rigidi non degeneri o degeneri.La posizione di questi corpi, cioè la configurazione del sistema, viene indivi-duata dalle nc coordinate locali (vedi le Sezioni 4.6 e 4.7)

ξ := (ξ1, . . . , ξnc) ∈ Ξ ,

ove l’aperto Ξ è ottenuto come prodotto cartesiano degli aperti di defini-zione delle coordinate locali di ciascun sistema rigido e, come è evidente,

nc = 6 × numero dei rigidi non degeneri

+5 × numero delle aste rigide

+3 × numero dei punti.

Il moto del sistema di rigidi può dunque essere sottoposto a vincoli olo-nomi nel senso della Sezione 4.1, per tutto l’intervallo aperto I ⊂ R in cuivaria il tempo t.

Esempio 4.23. Un cilindro retto di raggio R e altezza L è vincolato ad avereil centro C sulla circonferenza

γ :

x2

1 + x22 = a2 ,

x3 = 0 ;

qui R, L, a sono costanti positive, e le xi denotano le coordinate nel sistemafisso (O, ei).Inoltre è vincolato ad avere l’asse parallelo a e3.A) Coordinate locali per il corpo rigido. Seguendo la Sezione 4.6 introduciamole seguenti coordinate:

ξ1 = x1C , ξ2 = x2C , ξ3 = x3C ,

ξ4 = x1A − x1C , ξ5 = x2A − x2C , ξ6 = x1B − x1C ,

ove A è il centro della base superiore del cilindro, e B un punto soli-dale scelto sulla circonferenza equatoriale del cilindro. Questa scelta dicoordinate locali è valida per ogni posizione di C, e per

−→CA · e3 > 0,−→

CB · e2 > 0.Si noti che la scelta delle coordinate locali è indipendente dai vincoli.B) In queste coordinate, i vincoli si esprimono come:

f1(ξ) = ξ21 + ξ2

2 − a2 ,

f2(ξ) = ξ3 ,

f3(ξ) = ξ4 ,

f4(ξ) = ξ5 .

Le f1 = 0, f2 = 0 impongono che C appartenga alla γ, mentre le f3 = 0,f4 = 0 impongono che

−→CA sia parallelo a e3.

Calcoliamo la matrice iacobiana

2ξ1 2ξ2 0 0 0 00 0 1 0 0 00 0 0 1 0 00 0 0 0 1 0

.

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60 DANIELE ANDREUCCI

È chiaro che il minore formato dalle colonne di posto 1, 3, 4, 5 è nonsingolare, se ξ1 6= 0. Se poi ξ1 = 0, deve essere ξ2 6= 0 per f1 = 0, e quindirisulta non singolare il minore formato dalle colonne di posto 2, 3, 4, 5.La caratteristica della matrice iacobiana pertanto è sempre massima, e ilvincolo è olonomo.C) Coordinate indipendenti. Restringiamoci a un aperto di Rnc = R6 oveξ2 > 0. Dunque le (ξ1, ξ6) sono le coordinate indipendenti, e il sistema divincoli f j = 0, j = 1, 2, 3, 4, si può risolvere (almeno localmente) nelle ξ2,ξ3, ξ4, ξ5, come

ξ2 = g2(ξ1, ξ6) =√

a2 − ξ21 ,

ξ3 = g3(ξ1, ξ6) = 0 ,

ξ4 = g4(ξ1, ξ6) = 0 ,

ξ5 = g5(ξ1, ξ6) = 0 .

Si noti che la scelta delle coordinate indipendenti è conseguente all’impo-sizione dei vincoli.D) Coordinate lagrangiane. Consideriamo le due coordinate:

ϕ = angolo e1−→OC; θ = angolo e1

−→CB.

La rappresentazione lagrangiana sarà

ξl1(ϕ, θ) = a cos ϕ , ξl

2(ϕ, θ) = a sin ϕ , ξl3(ϕ, θ) = 0 ,

ξl4(ϕ, θ) = 0 , ξl

5(ϕ, θ) = 0 , ξl6(ϕ, θ) = R cos θ .

(4.53)

Prendiamo anche

(ϕ, θ) ∈ Q := (−π, π)× (0, π) .

La matrice iacobiana (qui rappresentata in forma trasposta)(−a sin ϕ a cos ϕ 0 0 0 0

0 0 0 0 0 −R sin θ

)

ha caratteristica massima, pari a ℓ = 2, in ogni (ϕ, θ) ∈ Q. La (4.53) è iniet-tiva, e soprattutto porta Q nell’insieme delle configurazioni ammissibiliΞ f (t).

4.9. Cenno ai vincoli anolonomi.

Un vincolo si dice anolonomo se non dipende solo dalle posizioni dei rigidiche compongono il sistema, come quelli invece trattati nella Sezione 4.8.Per esempio sono vincoli anolonomi quelli che impongono direttamentecondizioni sulle velocità dei rigidi.Alcuni vincoli anolonomi possono però essere sostituiti da equivalentivincoli olonomi; vengono in questo caso detti integrabili.Noi saremo interessati al caso seguente di vincolo anolonomo.

Definizione 4.24. Consideriamo due sistemi rigidi (non degeneri o dege-neri) S1, S2, e due moti X1 solidale con S1 e X2 solidale con S2. Supponia-mo che all’istante t i due moti occupino la stessa posizione X1(t) = X2(t).

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4.10. DUE PUNTI NEL PIANO 61

Si dice che all’istante t in tale posizione il contatto tra i due sistemi è senzastrisciamento se e solo se

X1(t) = X2(t) .

In alcuni casi un contatto senza strisciamento viene anche detto di rotola-mento puro.

Esempio 4.25. Manteniamo qui la notazione dell’Esercizio ??. Vogliamomostrare che il vincolo anolonomo di rotolamento puro può essere sosti-tuito da un vincolo olonomo.Si noti intanto che il vincolo (??), secondo le convenzioni adottate nella Se-zione 4.6, significa che X (t; λ′)− XO(t) si mantiene parallelo a e3. Inoltreper la caratterizzazione delle componenti di ω ottenuta nella dimostra-zione del Lemma 2.19 si ha ω = F(t)u3 e quindi secondo la discussionenell’Esempio 2.24 si ha

ω(t) = θ(t)e3 ,

per un opportuno angolo di rotazione θ.Poi denotiamo con X t(t) il moto solidale con S1 che all’istante t occupa laposizione x2O(t)e2. Allora per la Definizione 4.24 si deve avere

Xt(t) = 0 . (4.54)

Per la fondamentale formula (2.28) si ha

0 = Xt(t) = vO(t) + ω(t)× [X t(t)− XO(t)] = vO(t) + θ(t)e3 × de1 ,

(4.55)che implica, insieme ai vincoli su XO,

vO(t) = x2O(t)e2 = −dθ(t)e2 . (4.56)

Dunque integrando in t, che è arbitrario, si ha

x2O(t) + dθ(t) = x2O(0) + dθ(0) . (4.57)

Questo è il vincolo olonomo equivalente al vincolo anolonomo dato; in-fatti, la (4.57) per derivazione implica la (4.56) che a sua volta implicamediante la (4.55) la (4.54), ossia il vincolo anolonomo.

4.10. Due punti nel piano

Con lo scopo di illustrare in un caso non banale la metodologia della scelta delle coordi-nate indipendenti in un sistema olonomo e il significato delle ipotesi che lo definiscono,consideriamo un sistema formato da due punti vincolati al piano x3 = 0 con coordinatecartesiane

P1 = (ξ1, ξ2) , P2 = (ξ4, ξ5) ,

sottoposti ai vincoli

ξ21 + ξ2

2 = R2 , (4.58)

(ξ4 − ξ1)2 + ξ2

2 = L2 , (4.59)

ξ5 = 0 . (4.60)

Dunque P1 è vincolato alla circonferenza di raggio R > 0, e centro nell’origine, P2 èvincolato all’asse x, e i due punti sono a distanza fissa L > 0.

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62 DANIELE ANDREUCCI

La matrice iacobiana dei vincoli è

2ξ1 2ξ2 0 02(ξ1 − ξ4) 2ξ2 2(ξ4 − ξ1) 0

0 0 0 1

.

È chiaro che l’ultima colonna (corrispondente a ξ5) è linearmente indipendente dalle altrein ogni posizione ξ ∈ Ξ f .Caso I): Se

ξ4 6= 0 , ξ2 6= 0 , (4.61)

le prime due colonne sono linearmente indipendenti. Quindi il vincolo è olonomo, e sipossono scegliere ξ1 e ξ2 come coordinate dipendenti dalla coordinata indipendente ξ4.Caso II): Se

ξ4 6= 0 , ξ2 = 0 , (4.62)

la prima e terza colonna sono linearmente indipendenti. Quindi il vincolo è olonomo, esi possono scegliere ξ1 e ξ4 come coordinate dipendenti dalla coordinata indipendente ξ2.Ci sono 4 configurazioni distinte corrispondenti a questo caso.Caso III): Se infine ξ4 = 0, la matrice iacobiana diviene

2ξ1 2ξ2 0 02ξ1 2ξ2 −2ξ1 00 0 0 1

,

e quindi ha rango massimo se e solo se

ξ1 6= 0 . (4.63)

In questo caso quindi il vincolo è olonomo, e si possono scegliere ξ1 e ξ4 come coordinatedipendenti dalla coordinata indipendente ξ2.Si noti che dalle equazioni (4.58) e (4.59) segue che si può avere ξ4 = 0 in Ξ f solo se R = L.

4.10.1. Parametrizzazione nel caso I. Scegliamo ξ4 come coordinata indipendente. Lealtre si esprimono come

ξ1 = g1(ξ4) =R2 − L2 + ξ2

42ξ4

, (4.64)

ξ2 = g2(ξ4) =

R2 −[

R2 − L2 + ξ24

2ξ4

]2

, (4.65)

ξ5 = g5(ξ4) = 0 . (4.66)

Si noti che nella (4.65) si è scelto di parametrizzare il sistema in configurazioni in cuiξ2 > 0; le posizioni in cui ξ2 < 0 si ottengono cambiando il segno della g2.La quantità sotto radice nella (4.65) deve essere positiva, il che equivale a

|R − L| < |ξ4| < R + L . (4.67)

In particolare il dominio di definizione delle gj sarà uno dei seguenti intervalli:

• se R ≤ L:

0 ≤ L − R < ξ4 < L + R ,

oppure

−L − R < ξ4 < −L + R ≤ 0 ;

• se R > L:

0 < R − L < ξ4 < L + R ,

oppure

−L − R < ξ4 < L − R < 0 .

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4.10. DUE PUNTI NEL PIANO 63

4.10.2. Parametrizzazione nel caso II. Si prende ξ2 come coordinata indipendente, e siottiene

ξ1 = g1(ξ2) =√

L2 − ξ22 , (4.68)

ξ4 = g4(ξ2) =√

R2 − ξ22 +

√L2 − ξ2

2 , (4.69)

ξ5 = g5(ξ2) = 0 . (4.70)

Si noti che nella (4.65) si è scelto di parametrizzare il sistema in configurazioni in cuiξ4 > ξ1 > 0; cambiando i segni delle radici quadrate nelle (4.68), (4.69) si ottengono lealtre 3 posizioni.Le quantità sotto radice nelle (4.68) e (4.69) devono essere positive, il che equivale a

|ξ2| < min(R, L) . (4.71)

In particolare il dominio di definizione delle gj sarà uno dei seguenti intervalli:• se R ≤ L:

−R < ξ2 < R ;• se R > L:

−L < ξ2 < L .

4.10.3. Parametrizzazione nel caso III. Consideriamo configurazioni vicine a una in cui

ξ4 = 0 , ξ1 6= 0 ,

come spiegato sopra; ricordiamo che allora di necessità vale R = L. Visto che le colonnedi posti 1, 3 e 4 nella matrice iacobiana sono linearmente indipendenti, possiamo scegliereξ2 come coordinata indipendente.Per ξ1 e ξ5 valgono anche in questo caso le (4.68), (4.70) sopra, supponendo di rappresen-tare posizioni in cui ξ1 > 0.Invece, per ξ4 si ottiene dalle (4.58), (4.59)

ξ4

(ξ4 − 2

√R2 − ξ2

2

)= 0 , (4.72)

ove si è già sostituita la (4.68) per ξ1.III.a) Se, nell’intervallo ove sarà definita la parametrizzazione, ξ4 assume anche valori nonnulli, per quei valori deve essere perciò

ξ4 = 2ξ1 = 2√

R2 − ξ22 =: g4(ξ2) . (4.73)

Ne segue, per continuità, che la (4.73) deve valere nell’intervallo più ampio ove ξ1 nonsi annulla, che coincide però con tutto l’intervallo di definizione della rappresentazio-ne. In altre parole, la (4.73) completa la parametrizzazione del sistema, che è definitanell’intervallo

−R < ξ2 < R .III.b) L’unica alternativa che resta per la validità della (4.72) è dunque

ξ4 = 0 =: g4(ξ2) , (4.74)

per ogni valore di ξ2. Dunque la parametrizzazione è data dalle (4.68), (4.70) e (4.74), erisulta definita per ξ2 ∈ (−R, R).

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Parte 3

Dinamica: previsione del moto

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CAPITOLO 5

Equazioni di moto di un elemento materiale

5.1. Equazioni di moto in sistemi di riferimento mobili

Sia P un elemento o punto materiale, cui associamo un numero m ∈(0,+∞) detto massa.La legge di moto di Newton prescrive che se X denota il moto di P valga

mX = F(X , X , t) , (5.1)

ove F indica la funzione vettoriale che esprime la risultante di tutte le forzeche agiscono sul punto. Si noti che F può dipendere dal moto stesso e dallasua derivata prima, ma non dalla derivata seconda. Questo garantisceche il sistema differenziale in (5.1) sia in forma normale. Quindi, sottole ipotesi di lipschitzianità in X , X e di continuità in t già ricordate nelCapitolo 1, vale per il problema di Cauchy dato da (5.1) e dalle condizioniiniziali

X(t0) = x0 , X(t0) = v0 , (5.2)

il Teorema 1.6 di esistenza e unicità di soluzioni.Pertanto il moto di P, assegnate le forze come sopra, assegnate le condi-zioni iniziali, è univocamente determinato.In questo Capitolo ci poniamo il problema dello studio delle proprietà delmoto e se possibile della sua forma esplicita.Il moto del punto quindi è una funzione che risolve l’equazione (8.18).Supponiamo di volerlo descrivere in un sistema di riferimento S mobilerispetto a quello sin qui considerato. I risultati della Sezione 2.3, e inparticolare il Teorema 2.36, implicano allora

m(aS + at + ac) = F , (5.3)

con i simboli introdotti nella Definizione 2.37.

Definizione 5.1. Sia S un sistema di riferimento mobile. Si definisce laforza di trascinamento

Ft = −mat , (5.4)

e la forza di Coriolis

Fc = −mac . (5.5)

Talvolta le forze di trascinamento e di Coriolis si dicono anche forze fittizieo apparenti, una terminologia che per noi ha il solo significato mnemonicodi ricordare che esse appaiono inevitabilmente con il solo passaggio a unsistema di riferimento diverso.

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68 DANIELE ANDREUCCI

Con le definizioni di forze fittizie appena date, la (5.3) può essere scrittacome

maS = F + Ft + Fc , (5.6)che prende il nome di equazione di moto nel sistema S . Infatti se la (5.6), mu-nita degli opportuni dati iniziali, ha una unica soluzione, per l’argomentosopra tale funzione conduce alla soluzione dell’equazione di moto (8.18).Sull’argomento della dinamica relativa si veda anche la Sezione 9.4.

Ipotesi 5.2. Nel seguito assumeremo dunque che F ∈ C(A × R3 × I), oveA è un aperto di R3 in cui si muove il punto, e I è un intervallo di R cuiappartengono i tempi considerati. Si assume anche che F sia lipschitzianain A × R3 per ogni t nel senso della (1.3). Naturalmente dobbiamo ancheassumere t0 ∈ I, x0 ∈ A.

5.2. Forze conservative

Definizione 5.3. La forza F si dice posizionale se dipende solo dalla posi-zione di P, ossia se in (5.1) vale F = F(X).

Definizione 5.4. La forza F si dice conservativa se è posizionale e se esisteuna funzione U : A → R, U ∈ C1(A), tale che

F(x) = ∇U(x) , x ∈ A . (5.7)

La funzione U si dice potenziale di F.

Osservazione 5.5. Risulta chiaro dalla Definizione 5.4 che il potenziale èdefinito a meno di un’arbitraria costante additiva.

Osservazione 5.6. Non tutte le forze posizionali sono conservative. Unprimo controesempio è dato da

F(x1, x2, x3) = x1e2 .

Se infatti fosse F = ∇U in una sfera B ⊂ A si avrebbe subito per integra-zione di Ux2 = x1 che in B

U(x1, x2, x3) = x1x2 + h(x1, x3) ,

per una opportuna funzione h, il che però contraddice per esempio Ux1 =0.

Il motivo per cui le forze conservative meritano tale nome è dato dallateoria di cui introduciamo sotto gli elementi di base.

Definizione 5.7. Il lavoro fatto nell’intervallo di tempo (t1, t2) dalla forzaF sul punto P che obbedisce alla (5.1) è l’integrale

t2∫

t1

F(X(t), X(t), t) · X(t)dt . (5.8)

Proposizione 5.8. Se F è conservativa di potenziale U, il suo lavoro nell’inter-vallo di tempo (t1, t2) è uguale a U(X(t2))− U(X(t1)).

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5.2. FORZE CONSERVATIVE 69

Dimostrazione. Infatti si hat2∫

t1

F(X(t)) · X(t)dt =

t2∫

t1

∇U(X(t)) · X(t)dt

=

t2∫

t1

dU(X(t))

dtdt = U(X(t2))− U(X(t1)) .

Teorema 5.9. (Conservazione dell’energia) Se F è conservativa di poten-ziale U, il moto che obbedisce alla (5.1) soddisfa per ogni t, t0 ∈ I

12

m∣∣X(t)

∣∣2 − U(X(t)) =12

m∣∣X(t0)

∣∣2 − U(X(t0)) . (5.9)

Dimostrazione. Ricordando la (5.1) si ottiene derivando:

ddt

[12

m∣∣X(t)

∣∣2 − U(X(t))]= mX(t) · X(t)−∇U(X(t)) · X(t)

= X(t) · [F(X(t))−∇U(X(t))] = 0 .

Definizione 5.10. L’energia cinetica dell’elemento materiale è definita da

T(t) =12

m∣∣X(t)

∣∣2 . (5.10)

L’energia potenziale dell’elemento materiale è definita da

V(X(t)) = −U(X(t)) . (5.11)

L’energia meccanica dell’elemento materiale è definita da

E(t) = T(t) + V(X(t)) . (5.12)

Il Teorema 5.9 con queste definizioni si può formulare dicendo che l’ener-gia meccanica si conserva durante il moto.

Corollario 5.11. Supponiamo che la forza in (5.1) sia data da

F(X , X , t) = F1(X) + F2(X , X , t) , (5.13)

ove F1 è conservativa di potenziale U, e ove il lavoro di F2 durante un qualunqueintervallo di tempo si annulla.Allora l’energia meccanica E = T − U si conserva durante il moto.

Dimostrazione. Ragionando come nella Dimostrazione del Teorema 5.9si ottiene che

ddt

E(t) = F2(X , X , t) · X(t) .

Per ipotesi questa funzione ha integrale nullo su tutti gli intervalli, quindivale la tesi.

Esempio 5.12. Diamo alcuni esempi di comuni forze conservative:

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70 DANIELE ANDREUCCI

• Forza elastica di centro x0 ∈ R3 e costante k > 0:

F(x) = −k(x − x0) , U(x) = − k

2|x − x0|2 . (5.14)

• Forza di attrazione gravitazionale (k > 0) o elettrostatica (k ∈ R), dicentro x0 ∈ R3:

F(x) = −kx − x0

|x − x0|3, U(x) = − k

|x − x0|, x 6= x0 . (5.15)

• Forza peso di costante g > 0 e direzione e:

F(x) = mge , U(x) = mgx · e . (5.16)

5.3. Forze di attrito

Le forze di attrito, o di resistenza, hanno la caratteristica di opporsi almoto; non sono conservative, poiché non soddisfano la Definizione 5.4.

Osservazione 5.13. Da un punto di vista fisico le forze di attrito dissipanoenergia meccanica tipicamente trasformandola in calore.

Definizione 5.14. La legge di resistenza viscosa è data da

F(X) = −µX , (5.17)

e quella di resistenza idraulica da

F(X) = −ν∣∣X

∣∣ X . (5.18)

Qui µ, ν sono costanti positive.

Osservazione 5.15. La resistenza viscosa e quella idraulica sono tipichedel moto di corpi immersi in fluidi; le costanti µ e ν dipendono dal-le caratteristiche del corpo (forma, dimensioni) e da quelle del fluido(densità).

Esempio 5.16. Un punto materiale di massa m viene abbandonato da fer-mo in un fluido; su di esso agiscono la forza peso e una resistenza datadalla (5.17) nell’intervallo di velocità (0, v1), e dalla (5.18) per |v| > v1. Siassume che µv1 = νv2

1.Determiniamo il moto del punto.Dobbiamo risolvere il problema di Cauchy

mX = mge + F(X) , X(0) = x0 , X(0) = 0 .

Scegliendo opportunamente il sistema di riferimento possiamo supporrex0 = 0, e = e3. Indicando per semplicità con s la coordinata nella direzionee3 dunque il problema diviene in sostanza:

ms = mg − µs , s(0) = 0 , s(0) = 0 ,

almeno nell’intervallo di tempi (0, t1) per cui 0 < s < v1. La soluzione diquesto problema è data da

s(t) =gm2

µ2 (e−µm t − 1) +

gm

µt , s(t) =

gm

µ(1 − e−

µm t) . (5.19)

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5.3. FORZE DI ATTRITO 71

Dunque dovremo distinguere tra i casi

t1 = +∞ ,gm

µ≤ v1 , (5.20)

t1 < +∞ ,gm

µ> v1 , (5.21)

in dipendenza di sup s = gm/µ.Nel caso (5.20) ovviamente non c’è altro da fare, e il moto si svolge semprein condizioni di resistenza viscosa, con velocità limite gm/µ.Nel caso (5.21) invece dobbiamo risolvere per t > t1 il problema

ms = mg − νs2 , s(t1) = s(t1−) , s(t1) = v1 ,

la cui soluzione è data da

s(t) = α[2β−1 ln(γeβ(t−t1) + 1)− (t − t1)] + C , s(t) = αγeβ(t−t1) − 1γeβ(t−t1) + 1

,

(5.22)con C scelto in modo che valga s(t1) = s(t1−), e

α =

√gm

ν, β = 2ανm−1 , γ =

α + v1

α − v1.

Si noti che nelle nostre ipotesi v1 = µ/ν < α e infatti α risulta la velocitàlimite per t → +∞.

Gli attriti tra solidi vengono spesso modellizzati nel modo seguente. Sisuppone che il contatto tra i due corpi sia tale da permettere di identificareuna direzione tangente comune, o un piano tangente comune, ai due. Laforza propriamente d’attrito, sempre tale da opporsi al moto, ha direzionetangente.

Definizione 5.17. La legge di Coulomb-Morin prescrive che due corpi incontatto agiscano l’uno sull’altro con una forza

Fa = [Fa]‖ + [Fa]⊥ , (5.23)

ove la componente tangente a entrambi i corpi è data dalla [Fa]‖ e la [Fa]⊥denota invece quella ortogonale alla prima.Nel caso dell’attrito dinamico deve valere∣∣∣[Fa]‖

∣∣∣ = µ |[Fa]⊥| . (5.24)

Nel caso dell’attrito statico deve valere∣∣∣[Fa]‖∣∣∣ ≤ ν |[Fa]⊥| . (5.25)

Il coefficiente µ > 0 nella (5.24) si dice di attrito dinamico e il coefficienteν > 0 nella (5.25) di attrito statico.

Metodo 5.18. Nel caso di un punto vincolato a una curva [superficie] re-golare, la componente [Fa]‖ è tangente alla curva [superficie].Naturalmente quindi nel caso della curva risulta determinata univocamen-te la direzione di [Fa]‖, mentre in quello della superficie è la direzione di[Fa]⊥ a essere individuata.

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72 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 5.19. Nel caso che un punto materiale sia vincolato a unacurva o superficie regolare, e la reazione del vincolo sul punto sia sempreortogonale al vincolo, esso si dice liscio.

5.4. Moto di un punto vincolato a vincoli fissi

Metodo 5.20. Per determinare il moto di un punto vincolato a una curva[a una superficie] si cerca in genere di sostituire le equazioni relative alle≀≀ due componenti ortogonali [all’unica componente ortogonale] nell’equa-zione relativa alla direzione tangente [nelle due equazioni relative al pianotangente], e poi di risolvere il problema di Cauchy così ottenuto.È chiaro che questo approccio implica che le equazioni di moto sianoscomposte sulla terna intrinseca nel caso di curve, e su un sistema di rife-rimento che abbia il piano tangente come piano coordinato nel caso dellesuperficie.

Torneremo più sistematicamente su quest’idea nella Sezione 8.1; qui cilimitiamo a illustrarla con alcuni esempi.

Esempio 5.21. Un punto materiale P di massa m è vincolato a un binariodi forma

x1 = R cos λs ,

x2 = R sin λs ,

x3 = hλs ,− ∞ < s < ∞ ,

ove R, h > 0 sono costanti, e λ = 1/√

R2 + h2 è stato scelto in modo che ssia la lunghezza d’arco.Il punto è soggetto alla forza peso

F = −mge3 ,

e ovviamente alla forza f vin esercitata dal vincolo, di cui si sa solo che hacomponente tangente nulla.Il punto parte da fermo a quota x3 = 0.Vogliamo trovare la reazione vincolare che agisce su P quando esso rag-giunge quota x3 = −2πh, in funzione di R, h, m, g e dei vettori ei.A) L’equazione di moto scomposta nella terna intrinseca (T , N , B) dà

ms = T · F ,

mks2 = N · F + N · f vin ,

0 = B · F + B · f vin .

B) Procediamo imponendo che la traiettoria sia quella data dal vincolo;≀≀ la reazione vincolare, a priori incognita, risulterà determinata da questarichiesta poiché essa permette di determinare il moto.Dalla parametrizzazione della curva si ha subito

T(s) = λ(−R sin λs, R cos λs, h) , N(s) = −(cos λs, sin λs, 0) ,

B(s) = T(s)× N(s) = λ(h sin λs,−h cos λs, R) , k(s) = λ2R .

Dunque con un calcolo diretto

T · F = −mghλ , N · F = 0 , B · F = −mgRλ .

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5.4. MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO A VINCOLI FISSI 73

Perciò il moto è determinato dall’equazione relativa alla componente tan-gente così ottenuta, ossia dal problema di Cauchy

ms = −mghλ , s(0) = 0 , s(0) = 0 ,

che ha per soluzione

s(t) = − ghλ

2t2 , t ∈ R .

C) Quindi nell’istante t in cui

−2πh = x3(t) = hλs(t) = − gh2λ2

2t2 ,

deve essere

t =2λ

√π

gh.

Dunque di nuovo con un calcolo diretto

f vin(t) = 4πmgλ2RhN(s(t)) + mgRλB(s(t)) = mgRλ2(−4πh,−h, R) .

Esempio 5.22. Consideriamo il caso dell’esercizio precedente, con la va-riante che la reazione vincolare ha componente tangente data in valoreassoluto da

| f vin · T | = µ |( f vin · N)N + ( f vin · B)B| , µ > 0 , (5.26)

e di segno opposto a quello di s, ossia tale da opporsi al moto. Dunquevale la legge di attrito dinamico della Definizione 5.17.L’idea è sempre quella di imporre nelle equazioni di moto la traiettoria as-segnata come vincolo. In questo caso però l’equazione di moto scompostanella terna intrinseca dà

ms = T · F + T · f vin ,

mks2 = N · F + N · f vin ,

0 = B · F + B · f vin .

Le ultime due equazioni possono essere usate per ricavare il termine T ·f vin in funzione dei parameteri e di s, e sostituirlo nella prima equazione.Essa diventa quindi

s = −ghλ − µ√

k2 s4 + g2R2λ2 .

Insieme ai dati iniziali essa ha soluzione unica, che quindi può essere usa-ta come sopra per determinare per esempio la reazione vincolare. Tut-tavia questa soluzione non può essere espressa in termini di funzionielementari.

Esempio 5.23. Un elemento materiale P di massa m è vincolato alla super-ficie

x3 = f(√

x21 + x2

2

), f ∈ C3((0,+∞)) .

Su di esso agisce il peso −mge3. Il vincolo è liscio.Dimostrare che il moto, non di quiete, può essere circolare su x2

1 + x22 = R2,

R > 0, se e solo se f ′(R) > 0.

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74 DANIELE ANDREUCCI

L’equazione di moto è

ma = −mge3 + f vin .

Scomponiamola nelle tre componenti scalari opportune. Conviene usa-re le coordinate polari nel piano 〈e1, e2〉 come parametri della superficie.Dunque consideriamo la rappresentazione lagrangiana

(r cos ϕ, r sin ϕ, f (r)) | r > 0 , ϕ ∈ (0, 2π) .

Troviamo derivando i versori tangenti

Tr =1√

1 + f ′(r)2(cos ϕ, sin ϕ, f ′(r)) , T ϕ = (− sin ϕ, cos ϕ, 0) ,

e il versore normale

N = Tr × T ϕ = − 1√1 + f ′(r)2

(− f ′(r) cos ϕ,− f ′(r) sin ϕ, 1) .

Derivando la rappresentazione lagrangiana del moto si ottiene

a =(

r cos ϕ − 2r ϕ sin ϕ + r(−ϕ sin ϕ − ϕ2 cos ϕ) ,

r sin ϕ + 2r ϕ cos ϕ + r(ϕ cos ϕ − ϕ2 sin ϕ) ,

r f ′(r) + r2 f ′′(r))

.

Dato che per ipotesi f vin è parallela a N si ottiene per le componentiparallele alla superficie

ma · Tr = −mge3 · Tr ,ma · T ϕ = −mge3 · T ϕ ,

da cui calcolando i prodotti scalari

r − rϕ2 + r f ′(r)2 + r2 f ′(r) f ′′(r) = −g f ′(r) , (5.27)

2r ϕ + rϕ = 0 . (5.28)

(Si invita il lettore a notare e spiegare la somiglianza di parti delle equa-zioni sopra con le accelerazioni radiale e trasversale introdotte nell’Esem-pio 4.12.)Imponendo che r(t) = R per ogni t, e quindi r = r = 0, si ottiene

Rϕ2 = g f ′(R) ,Rϕ = 0 .

Ne segue la tesi, e inoltre che il moto circolare in questione risulta unifor-me.Più in generale notiamo che le (5.27)–(5.28) permettono di ricavare il motodel punto, per qualunque scelta delle condizioni iniziali (compatibili conil vincolo). Successivamente le funzioni (r(t), ϕ(t)) così determinate pos-sono essere sostituite nella componente normale dell’equazione di motoper ottenere la reazione vincolare f vin.

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5.4. MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO A VINCOLI FISSI 75

Esempio 5.24. Un punto materiale P di massa m è vincolato a muoversisulla superficie

x3 = x1 + αx22 ,

sotto l’azione della forza peso −mge3. La superficie esercita una reazionecon una componente di attrito dinamico di coefficiente µ < 1.Si scrivano le equazioni del moto del punto, e successivamente si determi-ni il moto nel caso delle condizioni iniziali

X(0) = (1, 0, 1) , X(0) = v0e1 + e3√

2, v0 ∈ R , v0 6= 0 .

A) Usiamo come coordinate indipendenti

(x, y) = (x1, x2) ∈ R2 .

Dunque la superficie risulta parametrizzata da

(x, y, x + αy2) | (x, y) ∈ R2 ,

cosicché i versori tangenti sono

Tx =1√2(1, 0, 1) , Ty =

1√1 + 4α2y2

(0, 1, 2αy) ,

e quello normale è

N = Tx × Ty =1√

2 + 8α2y2(−1,−2αy, 1) .

Le equazioni di moto sono date quindi in forma scalare da

ma · Tx = −mge3 · Tx + f vin · Tx ,

ma · Ty = −mge3 · Ty + f vin · Ty ,

ma · N = −mge3 · N + f vin · N .

B) L’accelerazione si ottiene subito derivando la rappresentazione lagran-giana del moto come

a = (x, y, x + 2αy2 + 2αyy) .

Resta da determinare la componente tangente della f vin, per cui invochia-mo la legge di attrito dinamico e la terza equazione scalare sopra:

∣∣∣[ f vin]‖

∣∣∣ = µ | f vin · N| = µ |ma · N + mge3 · N | = µm2αy2 + g√2 + 8α2y2

.

Direzione e verso della [ f vin]‖ seguono dal fatto che opponendosi al motodeve essere diretta come −v:

[ f vin]‖ = −∣∣∣[ f vin]‖

∣∣∣ v

|v| = −h(x, y, y)v = −h(x, y, y)(x, y, x + 2αyy) ,

ove si è posto

h(x, y, y) = µm2αy2 + g√

2 + 8α2y2√

x2 + y2 + (x + 2αyy)2.

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76 DANIELE ANDREUCCI

C) Calcolando i prodotti scalari nelle equazioni di moto si ottiene dalleprime due

x + αy2 + αyy = − g

2− 1

mh(x, y, y)(x + αyy) ,

2αyx + y + 4α2y2y + 4α2yy2 = −2gαy − 1m

h(x, y, y)(y + 2αyx + 4α2y2y) .

D) Calcoliamo infine la soluzione delle equazioni di moto nelle condizioniiniziali specificate sopra. Notiamo prima che esse sono ammissibili, ossiacompatibili con i vincoli, e corrispondono alle condizioni di Cauchy per ilsistema di e.d.o. date da

(x(0), y(0)) = (1, 0) , (x(0), y(0)) =( v0√

2, 0)

.

L’intuizione fisica e geometrica ci suggerisce che il moto avverrà sul pianox2 = 0; dunque tentiamo di trovare una soluzione con y(t) = 0 per ogni t.Operando questa sostituzione la seconda equazione risulta identicamentesoddisfatta, mentre la prima dà

x = − g

2− µ

g

2x

|x| .

Occorre dunque distinguere due casi.Caso v0 > 0: l’equazione di moto diviene

x = − g

2− µ

g

2,

almeno nell’intervallo massimale di tempo (0, t) ove x > 0. La soluzionedel problema ai valori iniziali è

x(t) = 1 + v0t − 1 + µ

4gt2 , x(t) = v0 −

1 + µ

2gt .

A partire dall’istante t in cui x = 0 il moto non è più determinato dalleinformazioni che abbiamo. Per esempio dobbiamo assegnare la legge diattrito statico per capire se il punto resta in quiete per t > t o no.Caso v0 < 0: l’equazione di moto diviene

x = − g

2+ µ

g

2,

almeno nell’intervallo massimale di tempo (0, t) ove x < 0. La soluzionedel problema ai valori iniziali è

x(t) = 1 + v0t − 1 − µ

4gt2 , x(t) = v0 −

1 − µ

2gt .

Dunque risulta x < 0 per ogni t > 0, e di fatto t = +∞. Quindi il mototrovato è valido per ogni tempo.Vale la pena osservare che, trovata sia pure per tentativi una soluzionedel sistema di e.d.o., il teorema di esistenza e unicità di soluzioni localigarantisce che essa è l’unica soluzione.

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5.5. MOTO DI UN PUNTO VINCOLATO A VINCOLI MOBILI. 77

5.5. Moto di un punto vincolato a vincoli mobili.

Esempio 5.25. Una retta r(t) si muove mantenendosi sovrapposta all’assefisso x1, con velocità di traslazione −αte1, con α > 0 costante.Un punto materiale P di massa m è vincolato a r(t), e al tempo t = 0 havelocità relativa a r(0) data da vS (0) = v0e1, con v0 > 0.Su P agisce la forza

F = −µvS , µ > 0 costante,

ove vS è la velocità di P relativa a r(t).Determiniamo i valori dei parametri α, µ, v0 per cui il moto di P relativo ar(t) è uniforme (cioè |vS | è costante).Consideriamo un sistema di riferimento mobile S = (O, (uh)), che traslarispetto al sistema di riferimento fisso, con l’origine O solidale con r, el’asse coordinato u1 = e1 coincidente con r. Indichiamo con s l’ascissa suquest’asse.L’equazione di moto in S è

maS = −µvS + Ft + Fc + f vin ,

ove aS e vS denotano rispettivamente accelerazione e velocità relative a S .Proiettando su u1 si ottiene

ms = −µs + mα ,

s(0) = v0 ,

dato che Fc e f vin sono ortogonali a u1, e Ft = mαu1 nel caso presente.La velocità vS = su1 risulta perciò costante se e solo se

−µv0 + mα = 0 .

Esempio 5.26. Consideriamo il sistema di riferimento mobile S = (O, (uh))ove O è l’origine del sistema di riferimento fisso, e

u1 = cos(ωt) e1 + sin(ωt) e2 ,

u2 = − sin(ωt) e1 + cos(ωt) e2 ,u3 = e3 .

Indichiamo con (yi) le coordinate in S . Un punto P di massa m è vincolatoalla circonferenza scabra solidale con S di equazioni

y21 + y2

2 = R2 , y3 = 0 .

Il punto P è soggetto alla reazione vincolare f vin, che soddisfa la legge diattrito dinamico (5.24).Scriviamo l’equazione di moto di P fino al primo istante in cui ha velocitànulla in S , sapendo che all’istante iniziale

−→OP(0) = Ru1(0) , vS (0) = v0u2(0) ,

con v0 > 0.

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78 DANIELE ANDREUCCI

Scegliendo l’ascissa curvilinea s sulla circonferenza γ in modo opportuno,questa risulta parametrizzata da

s 7→ R coss

Ru1 + R sin

s

Ru2 , s ∈ [−πR, πR] ,

cosicché

T(s) = − sins

Ru1 + cos

s

Ru2 , N(s) = − cos

s

Ru1 − sin

s

Ru2 , B(s) = u3 ,

k(s) =1R

.

Prendiamo s come coordinata per P; allora

vS (t) = s(t)T(s(t)) .

In S su P agiscono anche le forze fittizie: la forza di trascinamento

Ft = −mω × (ω ×−→OP) = mω2−→OP = −mω2RN ,

e quella di Coriolis

Fc = −2mω × vS = −2mωsu3 × T = −2mωsN .

Dunque l’equazione di moto vettoriale proiettata sulla terna intrinseca dà

ms = f vin · T ,

ms2

R= f vin · N − mω2R − 2mωs ,

0 = f vin · B .

Perciò l’equazione di moto scalare, almeno finché s > 0 (si noti che s(0) =v0 > 0), è data da

ms = f vin · T = − | f vin · T | = −µ | f vin · N | = −µ(

ms2

R+ mω2R + 2mωs

).

Notiamo che senz’altro s si annulla per qualche tempo positivo. Infatti siha dall’equazione di moto, finché s > 0,

s < −µωR ,

e dunques(t) < s(0)− µωRt = v0 − µωRt ,

che implica che s(t) = 0 per qualche istante t < v0/(µω2R).

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CAPITOLO 6

Corpi rigidi

6.1. Corpi rigidi

Le definizioni di sistemi rigidi date nelle Sezioni 4.6 e 4.7 sono appropriateper descrivere il moto di un corpo rigido. Quello che ancora manca perintrodurre la dinamica dei rigidi è la geometria delle masse, ossia un modellodella massa del rigido e della sua distribuzione spaziale. Si noti infatti che,per esempio, tutti i rigidi non degeneri vengono rappresentati nello stessomodo nella Sezione 4.6.Il termine corpo rigido viene usato qui in riferimento a questa proprietàmateriale.

Notazione 6.1. In questo capitolo O denoterà sempre l’origine del sistemasolidale con il rigido S = (O,M), M = (uh).

6.1.1. Corpo rigido non degenere.

Definizione 6.2. Una terna (C, ρ, S) si dice corpo rigido (non degenere) se:1) S = (XO,M) è un sistema di riferimento mobile nel senso della Defi-nizione 2.26, con M = (uh).C ⊂ R3 è un sottoinsieme chiuso e limitato, detto immagine o supporto delcorpo rigido, o, per brevità, corpo rigido. I moti

X (t; λ) = XO(t) +3

∑h=1

λhuh(t) , (6.1)

per λ ∈ C si dicono moti dei punti del corpo rigido.2) La densità ρ è una funzione integrabile e positiva

ρ : C → (0, ∞) ,

con integrale strettamente positivo.3) C contiene tre punti non allineati.Il sistema di riferimento mobile S si dice sistema di riferimento solidale conil corpo rigido, e la sua velocità angolare si dice anche velocità angolare delcorpo rigido.

L’integrabilità di ρ va intesa in senso opportuno, vedi l’Osservazione 6.6.Inoltre il sistema S va inteso come rappresentante della famiglia di sistemidi riferimento solidali con esso (si veda l’Osservazione 2.39).

6.1.2. Asta rigida, o corpo rigido degenere rettilineo. La parte 3) dellaDefinizione 6.2 non è soddisfatta nei casi, peraltro di notevole interesse,dell’asta rigida e del singolo punto materiale.

79

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80 DANIELE ANDREUCCI

Definizione 6.3. Una terna (C, ρ, S0) si dice corpo rigido degenere rettilineo,o asta rigida, se:1) S0 = (XO, u) è una coppia formata da un moto XO e da un versoremobile u.C ⊂ R è un sottoinsieme chiuso e limitato, detto immagine o supportodell’asta rigida, o, per brevità, asta rigida. I moti

X (t; λ) = XO(t) + λu(t) , (6.2)

per λ ∈ C si dicono moti dei punti dell’asta rigida.2) La densità ρ è una funzione integrabile e positiva

ρ : C → (0, ∞) ,

con integrale strettamente positivo.3) C contiene almeno due punti distinti.

Nel seguito riferendoci a un insieme di corpi rigidi useremo la notazioneuniformata (Ci, ρi, Si) perfino se alcuni dei Ci sono elementi materiali;in questo caso ovviamente ρi è in sostanza la massa; Si non viene usato,ma può essere pensato come il punto stesso.

Definizione 6.4. Nei due casi del corpo rigido non degenere, e rispettiva-mente dell’asta rigida, si definiscono moti solidali con il corpo rigido i motidella forma (6.1) con λ ∈ R3, e rispettivamente (6.2) con λ ∈ R.

Osservazione 6.5. Se il corpo rigido non è un punto materiale, nella sceltadelle coordinate locali i moti X (t; λ′) e X (t; λ′′) considerati nelle Sezioni4.6 e 4.7 possono in principio essere arbitrari moti solidali con il rigidostesso (alle condizioni ivi enunciate).Nel seguito tuttavia supporremo sempre che questi moti siano scelti inmodo che λ′, λ′′ ∈ C.Questo garantisce che le coordinate locali canoniche siano coordinate car-tesiane di moti di punti ove la densità è positiva: ρ(λ′), ρ(λ′′) > 0, il cheverrà usato nella dimostrazione dell’importante Teorema 9.7.

6.1.3. Parametrizzazione dei corpi rigidi. Useremo spesso una parame-trizzazione del corpo rigido, nella forma

C = Λ(D) = λ(s) | s ∈ D ,

ove D è un insieme di parametri che conserva traccia della dimensione delsistema rigido; nel seguito considereremo solo i casi seguenti:D.1 D un insieme finito;D.2 D un intervallo chiuso di R;D.3 D un dominio compatto regolare di R2;D.4 D un dominio compatto regolare di R3.La funzione s 7→ λ si assume soddisfare le usuali condizioni di regolarità,e in particolare la biunivocità.Si noti che il caso dell’asta rigida corrisponde a 6.D.1 o a 6.D.2 (ma nonviceversa: in questi due casi ricadono anche corpi rigidi non degeneri).

Osservazione 6.6. L’integrabilità di ρ va intesa nel senso opportuno, as-sociato alla dimensione di D.

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6.1. CORPI RIGIDI 81

Per esempio, nel caso 6.D.2 la ρ deve essere integrabile nel senso degliintegrali di curva, nel caso 6.D.3 nel senso degli integrali di superficie, enel caso 6.D.4 nel senso degli integrali di volume. Infine, nel caso 6.D.1l’integrale si riduce a una somma finita.Uniformeremo comunque sempre la simbologia come in

Λ(D)

ρ(λ)dµ(λ) , (6.3)

per indicare tutti questi casi. Qui dµ(λ) indica la misura adatta alla geo-metria del rigido, che può essere di linea, di superficie, di volume. Nelcaso di rigidi formati da un numero finito di punti è la cosiddetta ‘misurache conta’, e l’integrale come già osservato si riduce a una sommatoria.

6.1.4. Esempi. In tutti gli esempi seguenti prendiamo come intervallo tem-porale I = (0, ∞), e denotiamo con α, β, R e L costanti positive.6.D.1) Caso D = insieme finito: tre punti a distanze fisse.Sia D = 1, 2, 3. Il sistema di riferimento solidale S = (O,M) sia datoda

XO(t) = R(cos(αt), sin(αt), 0) , M = (uh) ,con

u1(t) = cos(βt)e1 + sin(βt)e2 ,

u2(t) = − sin(βt)e1 + cos(βt)e2 ,

u3(t) = e3 .

Sia poiC = λ(1), λ(2), λ(3) ,

ove

λ(1) = (0, 0, 0) , λ(2) = (L, 0, L) , λ(3) = (L, 0, 0) ,

cosicché

X (t; λ(1)) = XO(t) = R(cos(αt), sin(αt), 0) ,

X (t; λ(2)) = XO(t) + L(cos(βt), sin(βt), 1) ,

X (t; λ(3)) = XO(t) + L(cos(βt), sin(βt), 0) .

6.D.2) Caso D ⊂ R: asta rigida.Sia D = [−L, L].Introduciamo il sistema di riferimento mobile dato da

XO(t) = (αt2, βt, 0) , M = (uh) ,

con

u1(t) = αν(t)t2e1 + βν(t)te2 ,

u2(t) = −βν(t)te1 + αν(t)t2e2 ,

u3(t) = e3 ,

oveν(t) = (α2t4 + β2t2)−

12 .

Sia poiC = λ(s) | −L ≤ s ≤ L ,

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82 DANIELE ANDREUCCI

oveλ(s) = (s, 0, 0) ,

cosicché per ogni fissato s

X (t; λ(s))− XO(t) = su1(t) .

Ossia

X (t; λ(s)) = (αt2, βt, 0) + ν(t)(αt2 , βt, 0)s .

Nella notazione della Definizione 6.3 il versore u coincide quindi con u1, eil sistema rigido solidale con l’insieme dei moti

X (t; (λ1, 0, 0)) = XO(t) + λ1u1(t) , λ1 ∈ R .

6.D.3) Caso D ⊂ R2: disco, giacente su un piano coordinato solidale.Sia

D = s = (s1, s2) | s21 + s2

2 ≤ R2 .Il sistema di riferimento solidale S = (O,M) sia dato da

XO(t) = (0, 0, L cos(αt)) , M = (uh) ,

con

u1(t) = cos(βt2)e1 + sin(βt2)e3 ,

u2(t) = e2 ,

u3(t) = − sin(βt2)e1 + cos(βt2)e3 .

Sia poiC = λ(s) | s ∈ D ,

oveλ(s) = (s1, s2, 0) ,

cosicché per ogni fissato s

X (t; λ(s))− XO(t) = s1u1(t) + s2u2(t) ,

ossiaX (t; λ(s)) = (s1 cos(βt2), s2, L cos(αt) + s1 sin(βt2)) .

6.D.4) Caso D ⊂ R3: cilindro circolare, con asse giacente su un assecoordinato solidale.Sia

D = s = (s1, s2, s3) | s21 + s2

2 ≤ R2 , 0 ≤ s3 ≤ L .Il sistema di riferimento solidale S = (O,M) sia dato da

XO(t) = (0, 0,−αt) , M = (uh) ,

con

u1(t) = cos(βt)e1 − sin(βt)e2 ,

u2(t) = sin(βt)e1 + cos(βt)e2 ,

u3(t) = e3 .

Sia poiC = λ(s) | s ∈ D ,

oveλ(s) = (s1, s2, s3) ,

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6.2. QUANTITÀ MECCANICHE NEI RIGIDI 83

cosicché per ogni fissato s

X (t; λ(s))− XO(t) = s1u1(t) + s2u2(t) + s3u3(t) ,

ossia

X (t; λ(s)) = (s1 cos βt + s2 sin βt,−s1 sin βt + s2 cos βt, s3 − αt) .

Il prossimo esempio riguarda il problema inverso a quello posto nell’Eser-cizio ??; ossia, descritto un moto rigido in termini elementari, vogliamocostruirne il modello matematico esplicito.

Esempio 6.7. Vogliamo descrivere come sistema rigido il moto di una ca-lotta emisferica C di raggio R, che ruota intorno all’asse fisso x3, a essatangente nel suo polo, o vertice, O, assunto fisso anch’esso.Scegliamo O come origine del sistema di riferimento solidale, cosicché nelsistema solidale la parametrizzazione di C potrà essere

λ1(s) = R cos s1 sin s2 ,

λ2(s) = R sin s1 sin s2 − R ,

λ3(s) = R cos s2 ,

(s1, s2) ∈ D = [0, π]× [0, π] .

Quindi O coincide con λ(π/2, π/2).Dobbiamo ora descrivere il moto della terna solidale. Dato che e3 deveappartenere al piano tangente a Λ(D) in O, la nostra scelta della para-metrizzazione solidale implica che dovrà essere ortogonale a u2, che èappunto la direzione radiale della calotta in O. Scegliamo per semplicitàu3 = e3.Se l’angolo descritto nella rotazione è pari ad α(t), t ≥ 0, con α(0) = 0, siavrà

u1(t) = cos α(t)e1 + sin α(t)e2 ,

u2(t) = − sin α(t)e1 + cos α(t)e2 ,

u3(t) = e3 .

I moti del corpo rigido saranno allora

X (t; λ(s)) = XO +(λ1(s) cos α(t)− λ2(s) sin α(t)

)e1

+(λ1(s) sin α(t) + λ2(s) cos α(t)

)e2 + λ3(s)e3 ,

ove XO dà la posizione costante di O nel sistema di riferimento fisso.

6.2. Quantità meccaniche nei rigidi

La massa del rigido si calcola come

m =∫

Λ(D)

ρ(λ)dµ(λ) . (6.4)

La quantità di moto è definita da

P(t) =∫

Λ(D)

∂X

∂t(t; λ)ρ(λ)dµ(λ) , (6.5)

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84 DANIELE ANDREUCCI

e il momento delle quantità di moto (di polo Z) da

LZ(t) =∫

Λ(D)

(X (t; λ)− XZ(t)

)× ∂X

∂t(t; λ)ρ(λ)dµ(λ) . (6.6)

L’energia cinetica è data da

T(t) =12

Λ(D)

∣∣∣∣∂X

∂t(t; λ)

∣∣∣∣2

ρ(λ)dµ(λ) . (6.7)

Infine il centro di massa G ha coordinate nel sistema solidale date da

λG =1m

Λ(D)

λρ(λ)dµ(λ) . (6.8)

Esempio 6.8. Troviamo l’energia cinetica di una circonferenza materialeche ruota intorno all’asse fisso a essa ortogonale, passante per il suo centro,che a sua volta si muove lungo tale asse.In questo caso D = [0, 2π], e i moti del sistema sono dati da

X (t; λ(s)) =(

R cos(s + α(t)), R sin(s + α(t)), β(t))

. (6.9)

La densità si assume uniforme, ρ(λ(s)) = ρ0, 0 ≤ s ≤ 2π. Qui R, ρ0 sonocostanti positive, e α, β ∈ C2(R).Secondo la (6.7) (e la definizione di integrale curvilineo) si ha

T(t) =12

2π∫

0

∣∣∣∣∂X

∂t(t; λ(s))

∣∣∣∣2

ρ0

∣∣∣∣∂

∂sX (t; λ(s))

∣∣∣∣ ds

=12

2π∫

0

(R2α(t)2 + β(t)2)ρ0R ds = π

(R2α(t)2 + β(t)2)ρ0R . (6.10)

Esempio 6.9. Troviamo, rispetto all’origine del sistema di riferimento fisso,il momento delle quantità di moto della superficie materiale che all’istanteiniziale occupa la posizione

x3 = βx1x2 , 0 ≤ x21 + x2

2 ≤ R2 , (6.11)

e che ruota intorno all’asse fisso x3 con moto uniforme. Qui le xh sono lecoordinate nel sistema di riferimento fisso.In questo caso D = s2

1 + s22 ≤ R2, e i moti del sistema sono dati da

X (t; λ(s)) =(s1 cos αt + s2 sin αt,− s1 sin αt + s2 cos αt,

βs1s2)

.

(6.12)

La densità si assume uniforme, ρ(λ(s)) = ρ0, s ∈ D. Qui R, α, β, ρ0 sonocostanti positive. Dalla definizione (6.6) si ha, prendendo Z = O, ove Oè l’origine comune al sistema di riferimento fisso e a quello solidale, edenotando

Xh =∂Xh

∂t, h = 1 , 2 , 3 ,

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6.3. IL TENSORE D’INERZIA 85

che

LO(t) =∫

Λ(D)

X (t; λ)× ∂X

∂t(t; λ)ρ(λ)dµ(λ)

=∫

D

− X2X3e1 + X1X3e2 + (X1X2 − X1X2)e3

× ρ0

√1 + |∇(s1,s2) X3|2 ds1 ds2

(usando qui argomenti di simmetria, e disparità dell’integrando)

= e3ρ0

D

(X1X2 − X1X2)√

1 + β2(s21 + s2

2)ds1 ds2

= −e3ρ0α∫

D

(s21 + s2

2)√

1 + β2(s21 + s2

2)ds1 ds2

= −ρ0α2π

3β2

(1 + β2R2)

32 R2 − 2

5β2 (1 + β2R2)52 +

25β2

e3 .

6.3. Il tensore d’inerzia

Notazione 6.10. In questa Sezione ω è la velocità angolare del corporigido (C, ρ, S).

Definizione 6.11. L’operatore lineare σ : R3 → R3 definito da

σv = −∫

Λ(D)

(X (t; λ)− XZ(t)

)×[(

X (t; λ)− XZ(t))× v

]ρ(λ)dµ(λ) ,

(6.13)per ogni v ∈ R3, si dice omografia d’inerzia o tensore d’inerzia di polo XZ.

Per brevità la notazione σ non contiene di solito riferimenti né a t né a XZ,nonostante l’omografia d’inerzia dipenda da entrambi. In questa Sezioneσ avrà sempre un generico polo XZ, con l’eccezione del Teorema 6.14 edel suo Corollario 6.15, ove si assume che il polo sia l’origine del sistemasolidale O. Quando sarà necessario denoteremo con un apice il puntoin cui si calcola σ (o un’altra quantità): per esempio σG è l’omografiad’inerzia di polo il centro di massa G.

Teorema 6.12. Se LZ denota il momento delle quantità di moto definito nella(6.6), si ha

LZ(t) = σω(t)

+ m(XG(t)− XZ(t)

)×[

dXO

dt(t) + ω(t)× (

XZ(t)− XO(t))]

. (6.14)

Qui O denota l’origine del sistema di riferimento solidale S .

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86 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Dalla definizione (6.6) e dalla formula per le velocità dimoti solidali (2.28) si ha:

LZ(t) =∫

Λ(D)

(X (t; λ)− XZ(t)

[dXO

dt(t) + ω(t)×

(X (t; λ)− XO(t)

)]

× ρ(λ)dµ(λ)

=∫

Λ(D)

(X (t; λ)− XZ(t)

[ω(t)×

(X (t; λ)− XZ(t)

)]ρ(λ)dµ(λ)

+∫

Λ(D)

(X (t; λ)− XZ(t)

[dXO

dt(t) + ω(t)×

(XZ(t)− XO(t)

)]

× ρ(λ)dµ(λ)

= σω(t) + m(XG(t)− XZ

[dXO

dt(t) + ω(t)×

(XZ(t)− XO(t)

)].

Corollario 6.13. Se il moto XZ è solidale con il rigido, allora

LZ(t) = σω(t) + m(XG(t)− XZ(t)

)× dXZ

dt(t) . (6.15)

Se inoltre, in particolare,

dXZ

dt(t) = 0 , (6.16)

oppure

XZ(t) = XG(t) , (6.17)

allora

LZ(t) = σω(t) . (6.18)

Teorema 6.14. Se T denota l’energia cinetica definita nella (6.7), e se σ denotail tensore d’inerzia di polo XO, si ha

T(t) =12

σω(t) · ω(t)

+12

m

∣∣∣∣dXO

dt(t)

∣∣∣∣2

+ mdXO

dt(t) · ω(t)× (

XG(t)− XO(t))

. (6.19)

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6.4. SCOMPOSIZIONE DEL TENSORE D’INERZIA. ASSI PRINCIPALI. 87

Dimostrazione. Dalla definizione (6.7) e dalla formula per le velocità dimoti solidali (2.28) si ha:

T(t) =12

Λ(D)

∣∣∣∣∂X

∂t(t; λ)

∣∣∣∣2

ρ(λ)dµ(λ)

=12

Λ(D)

∣∣∣∣dXO

dt(t)

∣∣∣∣2

ρ(λ)dµ(λ)

+∫

Λ(D)

dXO

dt(t) · ω(t)×

(X (t; λ)− XO(t)

)ρ(λ)dµ(λ)

+12

Λ(D)

∣∣ω(t)×(X (t; λ)− XO(t)

)∣∣2 ρ(λ)dµ(λ) ,

da cui la tesi, ricordando che per la (A.5) vale

ω(t)×(X (t; λ)− XO(t)

)· ω(t)×

(X (t; λ)− XO(t)

)

= −ω(t) ·(X (t; λ)− XO(t)

[(X (t; λ)− XO(t)

)× ω(t)

].

Corollario 6.15. Nelle ipotesi del Teorema 6.14 se

XG(t) = XO(t) , (6.20)

allora

T(t) =12

σω(t) · ω(t) +12

m

∣∣∣∣dXO

dt(t)

∣∣∣∣2

. (6.21)

Se invecedXO

dt(t) = 0 , (6.22)

allora

T(t) =12

σω(t) · ω(t) . (6.23)

Osservazione 6.16. La (6.21) è una versione, nel caso dei corpi rigidi,del teorema di König, il quale asserisce che l’energia cinetica di un corpoè data dal secondo termine del membro di destra della (6.21) (‘energiacinetica del centro di massa’), sommata all’energia cinetica relativa delcorpo nel sistema di riferimento con origine in G e assi paralleli a quellifissi. Quest’ultima nel caso dei rigidi si scrive appunto come il primotermine del membro di destra della (6.21).

6.4. Scomposizione del tensore d’inerzia. Assi principali.

Notazione 6.17. Qui indicheremo con Z il polo per σ.

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88 DANIELE ANDREUCCI

Come tutte le applicazioni lineari di R3 in sé stesso, la σ è esprimibile, unavolta scelta una base ortonormale M = (uh) di R3, come una matrice

σM =

σ11 σ12 σ13σ21 σ22 σ23σ31 σ32 σ33

, (6.24)

oveσhk = σuk · uh , h , k = 1 , 2 , 3 .

Iniziamo con l’identificare gli elementi σhk, mostrando che coincidono coni cosiddetti momenti d’inerzia e deviatori del corpo rigido, di cui diamola definizione.

Definizione 6.18. Sia u un vettore unitario. Allora si chiama momentod’inerzia del corpo rigido (C, ρ, S) rispetto alla retta r per Z di direzione ula quantità

Iuu =∫

Λ(D)

dist(X (t; λ), r)2ρ(λ)dµ(λ) . (6.25)

Definizione 6.19. Siano u e v due vettori unitari, tra di loro ortogonali.Allora si chiama momento deviatore del corpo rigido (C, ρ, S) rispetto ai duepiani per Z di normali u e v la quantità

Iuv = −∫

Λ(D)

[[X (t; λ)− XZ(t)] · u

] [[X (t; λ)− XZ(t)] · v

]ρ(λ)dµ(λ) .

(6.26)

Osservazione 6.20. Il momento deviatore in sostanza è dato dall’integraledel prodotto delle distanze (con segno) dai piani (passanti per Z) normaliai due versori assegnati. Quindi può assumere in genere valori positivi,negativi o nulli. Invece il momento d’inerzia assume sempre valore nonnegativo, e in realtà si annulla se e solo se tutti i punti del corpo rigidogiacciono su r (caso dell’asta rigida o del punto).Si noti anche che dalla Definizione 6.19 segue subito che per ogni scelta diu, v conforme alle ipotesi là introdotte

Iuv = Ivu .

Osservazione 6.21. La (6.25) si può anche riscrivere come

Iuu =∫

Λ(D)

|[X (t; λ)− XZ(t)]× u|2 ρ(λ)dµ(λ) . (6.27)

Si noti che Iuu e Iuv dipendono in genere dal tempo t, sia perché i motiX (t; λ) e XZ(t) sono funzioni di t, sia perché non abbiamo affatto esclusoche i versori u e v siano anch’essi mobili.Infatti saremo interessati soprattutto a quest’ultimo caso, in cui assumegrande rilevanza il seguente risultato.

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6.4. SCOMPOSIZIONE DEL TENSORE D’INERZIA. ASSI PRINCIPALI. 89

Proposizione 6.22. Se XZ e u, v sono solidali con il rigido, i momenti Iuu e Iuv

sono costanti nel tempo.

Dimostrazione. L’enunciato segue subito dalle (6.26) e (6.27), quando sicompia l’osservazione elementare che, se a1 e a2 sono vettori solidali conuna medesima terna mobile M, le quantità

a1 · a2 , |a1 × a2|sono costanti nel tempo, come segue subito dalla Definizione 2.16 e dalLemma A.18.

Nel prossimo Teorema si prescinde comunque da ogni assunzione sullasolidalità di Z e u, v.

Teorema 6.23. Se u è un vettore unitario, allora

σu · u = Iuu . (6.28)

Se u e v sono due vettori unitari ortogonali tra di loro, allora

σu · v = Iuv . (6.29)

Dimostrazione. Per la definizione (6.13) di σ si ha, invocando anche ilLemma A.7

σu · u = −∫

Λ(D)

[X (t; λ)− XZ(t)]×[[X (t; λ)− XZ(t)]× u

]· uρ(λ)dµ(λ)

=∫

Λ(D)

∣∣[X (t; λ)− XZ(t)]× u

∣∣2 ρ(λ)dµ(λ) = Iuu .

Ancora dalla definizione (6.13) e dal Lemma A.22 segue che

σu · v = −∫

Λ(D)

[X (t; λ)− XZ(t)]×[[X (t; λ)− XZ(t)]× u

]· vρ(λ)dµ(λ)

= −∫

Λ(D)

[[X (t; λ)− XZ(t)] · u

][X (t; λ)− XZ(t)]

− |X (t; λ)− XZ(t)|2 u

· vρ(λ)dµ(λ) = Iuv ,

ricordando che u e v sono ortogonali.

Nel seguito, fissata una terna M = (uh), denoteremo

Ihk = Iuhuk.

Come immediata conseguenza del Teorema 6.23 si ha

Corollario 6.24. La matrice σM che rappresenta σ in M è simmetrica esoddisfa

σM =

I11 I12 I13I12 I22 I23I13 I23 I33

. (6.30)

Il seguente risultato è centrale nella meccanica dei rigidi.

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90 DANIELE ANDREUCCI

Teorema 6.25. La forma quadratica definita da σ è semidefinita positiva, ed èanzi definita positiva se il corpo rigido non è composto di soli punti allineati suuna retta.

Dimostrazione. Sia v un qualunque vettore di R3, non nullo, e denotia-mo

u =v

|v| .

Alloraσv · v = Iuu|v|2 ≥ 0 .

La disuguaglianza è stretta se i punti di (C, ρ, S) non sono tutti allineatisulla retta per Z parallela a u, come già osservato.

La forma quadratica definita da σ, nella base M, si scrive come

σv · v = σMx · x =3

∑h,k=1

Ihkxhxk , se v =3

∑h=1

xhuh . (6.31)

Ricordiamo il seguente risultato, noto dall’algebra lineare:

Lemma 6.26. Sia A una matrice N × N simmetrica reale. Esiste allora unamatrice invertibile reale N × N B tale che B−1 = Bt e che

BtAB

è una matrice diagonale.

Teorema 6.27. Sia XZ un moto solidale con il rigido. Esiste (almeno) una ternasolidale M = (uh) tale che la matrice σM è diagonale, ossia

σM =

I11 0 00 I22 00 0 I33

. (6.32)

Dimostrazione. Iniziamo con lo scomporre σ in una qualunque ternasolidale ortonormale N = (wh); la relativa matrice σN è simmetrica, comevisto nel Corollario 6.24. Quindi esiste una matrice B = (bij) come nelLemma 6.26 tale che

BtσNB = diag(α1, α2, α3) ,

per tre numeri reali opportuni αh. Si noti che B e gli αh sono costanti neltempo perché σN è costante nel tempo (vedi la Proposizione 6.22).Definiamo poi

uh =3

∑i=1

bihwi , h = 1 , 2 , 3 .

In altri termini, le componenti di ciascun uh nella base N formano unacolonna di B: è noto, ma comunque verifichiamolo, che anche M = (uh)è ortonormale. Infatti (se (eh) denota la base standard in R3)

uh · uk = Beh ·Bek = (Bek)tBeh = ek

tBtBeh = ekteh = δhk .

È poi ovvio per definizione che M è solidale.

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6.5. PROPRIETÀ DI ESTREMO DEGLI ASSI PRINCIPALI 91

Resta da dimostrare che la matrice σM è diagonale. Calcoliamone l’ele-mento di posizione kh:

σuh · uk = σNBeh ·Bek = (Bek)tσNBeh = ek

tBtσNBeh

= ekt diag(α1, α2, α3)eh = αhδhk .

È quindi dimostrata la (6.32) con Ihh = αh.

Definizione 6.28. Una terna M tale che valga la (6.32) si dice principaled’inerzia in Z.Più in generale, un versore v tale che

Ivu = 0

per ogni u normale a v si dice principale.

Ricordiamo che un vettore v 6= 0 si dice autovettore per σ con autovalorec ∈ R se

σv = cv .Si verifica che c ∈ R è un autovalore se e solo se

det(σM − cI) = 0 . (6.33)

Segue subito dalla Definizione 6.28 e da (6.29):

Corollario 6.29. Un versore è principale se e solo se è un autovettore di σ.

Quindi, dal Teorema 6.27 si ha

Corollario 6.30. Assumiamo che il moto del polo XZ sia solidale. La σ hatre autovalori reali coincidenti con i momenti Ihh relativi a una terna principaled’inerzia in Z. Gli autovettori corrispondenti sono i versori della terna medesima.

La (6.31) diviene, se M è principale,

σMx · x = I11x21 + I22x2

2 + I33x23 . (6.34)

6.5. Proprietà di estremo degli assi principali

Se

u =3

∑h=1

βhuh ,

ove (uh) è una terna principale, e βh ∈ R, allora da (6.34) segue, introdu-cendo il vettore colonna (βh) = (β1, β2, β3)

t

Iuu = σu · u = σM(βh) · (βh) =3

∑h=1

Ihhβ2h . (6.35)

Proposizione 6.31. Vale per ogni versore u, se (uh) è una terna principale,

min1≤h≤3

Ihh ≤ Iuu ≤ max1≤h≤3

Ihh . (6.36)

Se I11 = I22, allora

Iuu = I11 = I22 , per ogni u = α1u1 + α2u2. (6.37)

Se poi I11 = I22 = I33, allora Iuu = I11 per ogni u.

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92 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Ovvia per la (6.35), e per

β21 + β2

2 + β23 = 1 .

Il Lemma 6.26 e il Teorema 6.27 possono essere sostituiti, in vista del Corollario 6.29, dalseguente risultato, che ha il vantaggio di porre in luce più diretta le proprietà di massimoe minimo della terna principale.

Teorema 6.32. Se A = (aij) è una matrice reale simmetrica 3 × 3, allora esiste una base

ortonormale in R3 formata di autovettori di A.Tra i corrispondenti autovalori si trovano il massimo e il minimo della forma quadratica

xtAx , |x| = 1 .

Dimostrazione. Consideriamo la funzione

f (x) =xtAx

|x|2 ∈ C∞(R3 \ 0) .

Poiché per ogni scalare γ 6= 0 si ha f (γx) = f (x), in particolare vale

f (x) = f( x

|x|)

, x 6= 0 ,

e quindi f assume tutti i suoi valori sulla sfera

S = x ∈ R3 | |x| = 1 .

Dunque f ha minimo [rispettivamente massimo] assoluto in R3 \ 0, assunto in x1 ∈ S[rispettivamente in x2 ∈ S]. In questi punti deve quindi annullarsi il gradiente ∇ f , che sitrova calcolando

∂ f

∂xi

=2

|x|4[|x|2

3

∑h=1

aihxh − xi

3

∑h,k=1

ahkxhxk

], i = 1, 2, 3 ,

come segue dal Teorema A.27. Dunque si ha

∇ f (x) =2

|x|4[|x|2Ax − (xtAx)x

].

In particolare quindi, visto che |xi| = 1, si ha per i = 1, 2,

Axi = Cixi , Ci := xitAxi . (6.38)

Dunque x1 e x2 sono autovettori di A.Distinguiamo poi due casi:A) Se vale la disuguaglianza stretta

C1 = min f < max f = C2 , (6.39)

per il Teorema A.28 x1 e x2 sono ortonormali. Consideriamo poi il terzo versore ortonor-male

x3 = x1 × x2 ,

cosicché (xh) risulta una terna ortonormale positiva. Resta solo da dimostrare che anchex3 è un autovettore di A.Valgono, per la simmetria di A,

xitAx3 = x3

tAxi = Cix3txi = 0 , i = 1, 2 .

Dunque Ax3 risulta ortogonale sia a x1 che a x2, e perciò deve essere diretto lungo x3:

Ax3 = C3x3 ,

per C3 ∈ R opportuno.B) Se invece vale l’uguaglianza

C1 = min f = max f = C2 , (6.40)

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6.6. RICERCA DEGLI ASSI PRINCIPALI 93

allora la f è costante. Quindi tutti i punti di S sono di massimo e di minimo, tutti sonoautovettori, ed è senz’altro possibile scegliere una terna ortonormale positiva di autovettoridi A.

Osservazione 6.33. Con riferimento alla notazione della dimostrazione del Teorema 6.32,nel caso min f < max f anche x3 ha un significato per la ricerca dei minimi e dei massimidi f . Infatti x3 è il punto ove la f , ristretta alla circonferenza

Σ = S ∩ x · x2 = 0 ,

raggiunge il massimo. Dimostriamo questo fatto.Σ può essere descritta come

x = x1 cos ϕ + x3 sin ϕ , ϕ ∈ R .

Dunque per x ∈ Σ

f (x) = (x1 cos ϕ + x3 sin ϕ)tA(x1 cos ϕ + x3 sin ϕ)

= C1 cos2 ϕ + C3 sin2 ϕ =: g(ϕ) .

Derivando in ϕdg

dϕ= 2(C3 − C1) sin ϕ cos ϕ .

I punti di estremo si ottengono perciò come

ϕ = nπ , f (x) = f (x1) ,

ϕ =π

2+ nπ , f (x) = f (x3) ,

al variare di n ∈ Z. Dunque, visto che f (x1) = min f , deve essere

f (x3) = maxΣ

f .

6.6. Ricerca degli assi principali

Definizione 6.34. Un corpo rigido (C, ρ, S) si dice avere un piano solidaledi simmetria materiale ortogonale Π se la funzione densità ρ è simmetricarispetto a Π, ossia se, data l’equazione del piano

λ · n = λ0 · n ,

con n versore normale solidale e λ0 ∈ R3 fissato, vale per ogni λ ∈ R3

ρ(λ) = ρ(λ′) , per λ′ = λ − 2(λ − λ0) · n n . (6.41)

Qui ovviamente le λ denotano le coordinate nel sistema solidale.

Teorema 6.35. Se il corpo rigido ha un piano solidale di simmetria materialeortogonale Π, in ogni punto di Π l’asse ortogonale a Π è principale d’inerzia.

Dimostrazione. Si tratta di dimostrare che nel punto λ0 ∈ Π

Inu = 0

per ogni versore u normale a n. Introduciamo la notazione

Σ+ = λ | λ · n > λ0 · n , Σ− = λ | λ · n < λ0 · n ,

Σ0 = λ | λ · n = λ0 · n = Π .

Allora si ha per definizione

Inu = −∫

Λ(D)

[(λ − λ0) · n] [(λ − λ0) · u] ρ(λ) dµ(λ)

= −∫

Σ+

. . . −∫

Σ−

. . . −∫

Σ0

. . . .

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94 DANIELE ANDREUCCI

Vale anzitutto ∫

Σ0

[(λ − λ0) · n] [(λ − λ0) · u] ρ(λ) dµ(λ) = 0 .

Osserviamo che, con la notazione λ′ introdotta in (6.41) si ha

λ′ ∈ Σ+ ⇐⇒ λ ∈ Σ− .

Per la simmetria di λ e λ′ valgono le

(λ − λ0) · n = −(λ′ − λ0) · n , (λ − λ0) · u = (λ′ − λ0) · u .

Dunque∫

Σ−

[(λ − λ0) · n] [(λ − λ0) · u] ρ(λ) dµ(λ)

=∫

Σ−

[−(λ′ − λ0) · n] [(λ′ − λ0) · u] ρ(λ) dµ(λ)

= −∫

Σ+

[(λ′ − λ0) · n] [(λ′ − λ0) · u] ρ(λ) dµ(λ′)

= −∫

Σ+

[(λ′ − λ0) · n] [(λ′ − λ0) · u] ρ(λ′) dµ(λ′) .

Quindi Inu = 0.

Proposizione 6.36. Se (C, ρ, S) è un corpo rigido piano, ossia se C è contenutoin un piano solidale, allora in un punto P qualsiasi di questo piano l’asse normaleal piano è principale.Inoltre, fissata una terna principale che contiene questo asse, il momento d’inerziarelativo a tale asse è la somma dei momenti relativi agli altri due assi.

Dimostrazione. La prima parte dell’enunciato segue subito dal Teorema 6.35: infatti ilpiano che contiene C è di simmetria materiale ortogonale.Possiamo poi supporre che la normale al piano sia u3, e di denotare con u1, u2 gli altri duevettori della terna principale. Supponiamo anche che il punto P coincida con l’origine delsistema di riferimento solidale. Allora

I33 =∫

Λ(D)

(λ21 + λ2

2)ρ(λ) dµ(λ) =∫

Λ(D)

λ21ρ(λ) dµ(λ) +

Λ(D)

λ22ρ(λ) dµ(λ) = I11 + I22 ,

visto che ∫

Λ(D)

λ23ρ(λ) dµ(λ) = 0 .

Teorema 6.37. Se P appartiene a uno degli assi di una terna principale di inerzianel centro di massa, una terna principale in P si trova per traslazione di quellanel centro di massa.In altri termini: Se (ui) è una terna principale d’inerzia nel centro di massa G,che prendiamo coincidente con l’origine del sistema solidale O, e se λP è tale che

λP = τuj ,

per opportuni τ ∈ R e j ∈ 1, 2, 3, allora la (ui) è principale anche in λP.

Dimostrazione. Supponiamo per definitezza j = 1. Dobbiamo allora dimostrare che

IP12 = IP

13 = 0 .

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6.6. RICERCA DEGLI ASSI PRINCIPALI 95

Si ha

IP12 =

Λ(D)

(λ1 − τ)λ2ρ(λ) dµ(λ)

=∫

Λ(D)

λ1λ2ρ(λ) dµ(λ)−∫

Λ(D)

τλ2ρ(λ) dµ(λ)

= IG12 − τλG

2 = 0 .

Teorema 6.38. (Huygens) Se IPuu denota il momento d’inerzia relativo al polo

P, solidale con il rigido, allora

IPuu = IG

uu + md2 ,

ove G è il centro di massa del rigido, m la sua massa e

d =∣∣∣−→GP × u

∣∣∣

la distanza tra gli assi paralleli a u passanti per P e G rispettivamente.

Dimostrazione. Possiamo supporre che il sistema di riferimento solidale S abbia originein G, e che in tale sistema P abbia coordinate λP. Dunque

IPuu =

Λ(D)

∣∣∣(λ − λP)× u∣∣∣2

ρ(λ) dµ(λ)

=∫

Λ(D)

∣∣∣(λ × u)− (λP × u)∣∣∣2

ρ(λ) dµ(λ)

=∫

Λ(D)

|λ × u|2 ρ(λ)dµ(λ)− 2∫

Λ(D)

(λ × u) · (λP × u)ρ(λ) dµ(λ)

+∫

Λ(D)

∣∣∣λP × u∣∣∣2

ρ(λ) dµ(λ)

= IGuu + md2 .

Infatti∫

Λ(D)

(λ × u) · (λP × u)ρ(λ) dµ(λ) =∫

Λ(D)

λρ(λ) dµ(λ)× u · (λP × u) = 0 ,

perché per ipotesi λG = 0.

Osservazione 6.39. (Asta rigida) Nel caso in cui il rigido sia degenererettilineo, per esempio disposto lungo l’asse solidale u3, la matrice deltensore di inerzia in O origine di S , relativa a M = (uh), è

σM =

I 0 00 I 00 0 0

.

Qui I > 0 è perciò il momento di inerzia dell’asta rispetto a una qualun-que retta a essa ortogonale in O.Solo per curiosità osserviamo che stando alle definizioni il tensore d’i-nerzia di un punto materiale (che non avremo mai occasione di usare) ènullo—nel punto stesso.

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96 DANIELE ANDREUCCI

6.7. Cambiamenti di base

Teorema 6.40. Sia σM [rispettivamente σN ] la matrice che rappresenta σ, nel polo O, nella baseM = (uh) [rispettivamente N = (wh)]. Allora vale

σN = BσMBt , (6.42)

ove B è la matrice di cambiamento di base da M a N definita da

B = (bij) , wi =3

∑h=1

bihuh , i = 1 , 2 , 3 .

Dimostrazione. Dato che B è ortogonale, ossia BtB = I , la (6.42) equivale a

σNB = BσM . (6.43)

A sua volta questa sarà implicata dalla

σNBej = BσMej , j = 1 , 2 , 3 , (6.44)

visto che ciascuno dei prodotti righe per colonne per ej nella (6.44) seleziona la j-esimacolonna della matrice.Il membro di destra della (6.44) può essere letto come Bλ, se λ denota il vettore delle com-ponenti di σuj in M; infatti questa è proprio la definizione della matrice σM. Ricordandol’Osservazione A.14 quindi si deduce che il membro di destra della (6.44) è il vettore dellecomponenti di σuj in N .D’altronde il membro di sinistra della (6.44) può essere letto come σN µ, se µ denota ilvettore delle componenti di uj in N : questo segue di nuovo dall’Osservazione A.14. Dinuovo per la definizione della matrice σN si ha che il membro di sinistra della (6.44) è ilvettore delle componenti di σuj in N , e quindi in effetti coincide con il membro di destra.La (6.44) e di conseguenza la (6.43) risultano provate e con esse la tesi.

Osservazione 6.41. Nella Dimostrazione del Teorema 6.40 è essenziale sapere che la σ :R3 → R3 è stata definita come applicazione lineare indipendente da M e N , in particolarenella Definizione 6.11.

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CAPITOLO 7

Quantità meccaniche in coordinate lagrangiane

Notazione 7.1. Consideriamo un sistema (Ci, ρi, Si) di corpi rigidi,come nella Sezione 4.8.L’indice i ∈ 1 , . . . , n è riservato nel seguito a denotare quantità associateall’i-esimo corpo rigido.In particolare Λ∗

i denoterà lo spazio delle coordinate solidali con l’i-esimo cor-po rigido, che coincide con R3 nel caso di un corpo rigido non degenere(vedi la (4.37)), con R nel caso dell’asta (vedi la (4.49)), e che poniamo con-venzionalmente uguale allo spazio vettoriale banale 0 nel caso del punto(allo scopo di uniformare la notazione nel seguito).

7.1. Cinematica

Abbiamo visto nel Capitolo 4 che le posizioni di un sistema vincolato dirigidi sono in corrispondenza biunivoca con le ℓ-ple di coordinate localiindipendenti, o in modo equivalente con le coordinate lagrangiane q.In altre parole, la configurazione del sistema all’istante t ∈ I è rappre-sentata in modo univoco da un punto ξ(t) ∈ Ξ f (t), ossia da un puntoq(t) ∈ Q.

Definizione 7.2. La funzione q : I → Q si dice moto lagrangiano, o, perbrevità, moto.Le funzioni

Xli : Q × I ×Λ∗

i → R3

che si ottengono sostituendo alle ξ j le funzioni ξlj nella (4.37) (o nella (4.49),

o nella (4.46)) si dicono ancora la rappresentazione lagrangiana del moto, comegià le ξl

j stesse.

Secondo la Definizione 7.2 una volta assegnato un moto q le

Xli (q(t), t; λ) , (7.1)

definiscono al variare di λ ∈ Λ∗i tutti i moti solidali con uno dei rigidi che

compongono il sistema olonomo.

Osservazione 7.3. Se tutti i vincoli sono fissi, le Xli non dipendono in

modo esplicito da t (cioè dipendono da t solo attraverso le qh). Quindi inquesto caso,

∂Xli

∂t(q, t; λ) = 0 , per ogni q ∈ Q, t ∈ I, λ ∈ Λ∗

i . (7.2)

Infatti la dipendenza esplicita da t in (7.1) si ha solo attraverso le gj in(4.10) (e vedi anche le Osservazioni 4.5 e 4.11).

97

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98 DANIELE ANDREUCCI

Lemma 7.4. Vale

ddt

Xli (q(t), t; λ) = vl

i (q(t), q(t), t; λ) , (7.3)

ove la funzione

vli : Q × Rℓ × I × Λ∗

i → R3 ,

risulta definita da

vli (q, p, t; λ) =

∑h=1

∂Xli

∂qh

(q, t; λ)ph +∂Xl

i

∂t(q, t; λ) . (7.4)

Dimostrazione. La (7.3) segue in modo diretto dal teorema di derivazio-ne di funzione composta.

La funzione vli si dice anche velocità in coordinate lagrangiane.

Osservazione 7.5. Se tutti i vincoli sono fissi la (7.3) si riduce a

ddt

Xli (q(t); λ) =

∑h=1

∂Xli

∂qh

(q(t); λ)qh(t) (7.5)

(vedi (7.2)).Si noti che nella (7.5), con abuso di notazione, abbiamo omesso la dipen-denza esplicita da t delle Xl

i (che appunto sarebbe solo formale) .

Notazione 7.6. Nella (7.4), le variabili ph sono indipendenti dalle qh.Tuttavia, nel seguito, si sceglierà molto spesso, assegnata una funzionet 7→ q(t),

q = q(t) , p = q(t) .

Per questo motivo si introduce nella notazione la convenzione

∂qh:=

∂ph

. (7.6)

Lemma 7.7. Vale

ddt

vli (q(t), q(t), t; λ) = al

i (q(t), q(t), q(t), t; λ) , (7.7)

ove la funzione

ali : Q × Rℓ × Rℓ × I ×Λ∗

i → R3 ,

risulta definita da

ali (q, p, r, t; λ) =

∑h,k=1

∂2Xli

∂qh∂qk

(q, t; λ)ph pk +ℓ

∑h=1

∂Xli

∂qh

(q, t; λ)rh

+ 2ℓ

∑h=1

∂2Xli

∂qh∂t(q, t; λ)ph +

∂2Xli

∂t2 (q, t; λ) .

(7.8)

Dimostrazione. Come sopra, la (7.7) segue dal teorema di derivazione difunzioni composte.

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7.2. DISTRIBUZIONI DI MASSE 99

7.2. Distribuzioni di masse

La distribuzione di massa di ciascun rigido verrà indicata con

ρi(λ)dµi(λ) . (7.9)

Definizione 7.8. La funzione

Tl(q, p, t) =12

n

∑i=1

Λ(Di)

|vli (q, p, t; λ)|2 ρi(λ)dµi(λ) (7.10)

è detta l’energia cinetica in coordinate lagrangiane del sistema.

Esempio 7.9. Sia Π(t) il piano mobile di equazione

− sin(αt)x1 + cos(αt)x2 = 0 ,

nel riferimento fisso (O, (xh)).Un disco rigido omogeneo di massa m e raggio R è vincolato a giacere suΠ(t), e ad avere il centro C coincidente con un punto P solidale con Π(t),a distanza d > 0 dall’asse x3.Cerchiamo l’energia cinetica in coordinate lagrangiane del disco nel siste-ma di riferimento fisso.A) Sia M = (uh) una base solidale con il disco, con u1 ortogonale a Π(t).Sia anche ϕ la coordinata lagrangiana, scelta per esempio come l’angolotra e3 e u3 in modo che si abbia

e3 = cos ϕu3 + sin ϕu2 .

Dunque si ha dal teorema di König ossia dal Corollario 6.15

T =12

m|vC|2 +12

σω · ω ,

se σ è il tensore d’inerzia del disco di polo C e ω la velocità angolaredel disco nel sistema di riferimento che trasla con il suo centro di massa,mantenendo gli assi paralleli a quelli fissi, ossia nel sistema fisso.La velocità vC del centro di massa C soddisfa

|vC|2 = α2d2 ,

poiché C si muove di moto rotatorio uniforme.La velocità angolare del disco la si può trovare mediante la composizionedata dal Teorema 2.43. Introduciamo il sistema di riferimento solidale conil piano Π(t), dato da (O,N ), ove N = (wh) e

w1 = cos(αt) e1 + sin(αt) e2 ,

w2 = − sin(αt) e1 + cos(αt) e2 ,w3 = e3 .

Dunque, se P indica la terna fissa si ha

ω = ωPN + ωNM = αe3 + ϕu1 = α sin ϕu2 + α cos ϕu3 + ϕu1 .

Dunque (Proposizione 6.36)

σω =

2I 0 00 I 00 0 I

ϕα sin ϕα cos ϕ

=

2I ϕIα sin ϕIα cos ϕ

.

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100 DANIELE ANDREUCCI

Ne segue che

Tl(ϕ, ϕ) =12

mα2d2 +12

I[2ϕ2 + α2] .

B) Un modo alternativo di calcolare T è attraverso l’integrale

T =12

∫∫

disco

m

area(disco)|v(s1, s2)|2 ds1 ds2 ,

ove v(s1, s2) è la velocità nel sistema di riferimento fisso del generico puntoP(s1, s2) del disco. Per svolgere il calcolo conviene parametrizzare il discoin coordinate polari (r, θ) piuttosto che cartesiane (s1, s2):

−→OP(r, θ) =

−→OC +

−→CP =

(d cos(αt), d sin(αt), x3C

)

+ r(

cos(θ + ϕ) cos(αt), cos(θ + ϕ) sin(αt), sin(θ + ϕ))

,

ove x3C è una costante irrilevante per il calcolo di T, e 0 ≤ r ≤ R, 0 ≤θ ≤ 2π. L’angolo θ ha il significato geometrico di anomalia polare (di poloC) misurata su Π(t) a partire dalla semiretta solidale di riferimento di ϕ,ossia da u3. Invece r è la distanza su Π(t) dal centro del disco. Dunque

v(r cos θ, r sin θ) = αd(− sin(αt), cos(αt), 0

)

− rϕ(

sin(θ + ϕ) cos(αt), sin(θ + ϕ) sin(αt),− cos(θ + ϕ))

+ rα cos(θ + ϕ)(− sin(αt), cos(αt), 0

).

Si riconosce subito che v(P) è combinazione lineare di due versori orto-normali, e che

|v(r cos θ, r sin θ)|2 =(αd + rα cos(θ + ϕ)

)2+

(rϕ

)2

= α2d2 + 2rα2d cos(θ + ϕ) + r2α2 cos2(θ + ϕ) + r2 ϕ2 .

Quindi

2πR2

mTl =

2π∫

0

R∫

0

dr rα2d2 +

2π∫

0

R∫

0

dr r2rα2d cos(θ + ϕ)

+

2π∫

0

R∫

0

dr rr2(α2 cos2(θ + ϕ) + ϕ2)

= πR2α2d2 +π

2R4 ϕ2 + α2 π

4R4 ,

che coincide con l’espressione già trovata.

Osservazione 7.10. Si distingua bene tra le coordinate lagrangiane (ϕ nel-≀≀ l’Esempio 7.9) e i parametri usati per descrivere il sostegno del rigido((r, θ) nell’Esempio 7.9). Questi ultimi non sono funzioni del tempo.

Osservazione 7.11. Il metodo A) nell’Esempio 7.9 ha il vantaggio di forni-re risposte in termini dei momenti di inerzia, che quindi sono per esempioimmediatamente riusabili per lamine di altra forma. D’altra parte richie-de il calcolo di ω, mentre il metodo B) si basa su una parametrizzazionedell’immagine del rigido che è banale dal punto di vista concettuale.

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7.2. DISTRIBUZIONI DI MASSE 101

Esempio 7.12. Un disco di raggio L e massa m è così vincolato:• il suo centro C appartiene alla curva

ψ(s) =(

R cos λs , R sin λs , hλs)

, s ∈ R .

Qui s è la lunghezza d’arco, λ = 1/√

R2 + h2, e R, h > 0 sono costanti.• la normale al disco coincide con la binormale B alla curva.

Calcoliamo il momento delle quantità di moto del disco, rispetto al centrodel disco, in funzione di opportune coordinate lagrangiane.Delle 6 coordinate locali necessarie a definire la posizione del disco, due(coordinate del centro) sono fissate per il primo vincolo, e altre due per ilsecondo. Lasciamo al lettore il controllo formale.Si scelgano come coordinate lagrangiane

z ∈ R , ϕ ∈ (−π, π) ,

tali che, indicando con (T , N , B) la terna intrinseca della curva ψ, si abbiaXC = ψ(z) e

u1 = cos ϕ T(z) + sin ϕ N(z) ,

u2 = − sin ϕ T(z) + cos ϕ N(z) ,

u3 = B(z) ,

(7.11)

ove M = (ui) è una terna solidale con il disco. Il momento delle quantitàdi moto del disco è secondo il Teorema 6.12

L = σω ,

ove σ è calcolata in C e ω è la velocità angolare del disco rispetto alla ternafissa. Per calcolare ω usiamo la formula

ω = ωPN + ωNM ,

ove P è la terna fissa e N = (T , N , B). Si ha che

ωPN = −τzT(z) + kzB(z) = λ2z[hT(z) + RB(z)] .

Infatti la prima uguaglianza deriva dalla Proposizione 3.11, e la secondasegue dai calcoli:

T(s) = λ(− R sin λs, R cos λs, h

),

N(s) = −(

cos λs, sin λs, 0)

,

B(s) = λ(h sin λs,−h cos λs, R

),

(7.12)

da cui

k(s) = λ2R , τ(s) =dB

ds· N = −λ2h .

Poi si ha ωNM = ϕB, per il secondo vincolo assegnato. Dunque

ω = λ2zhT(z) + (λ2zR + ϕ)B(z)

= λ2zh cos ϕu1 − λ2zh sin ϕu2 + (λ2zR + ϕ)u3 .

La matrice di σ in M è (Proposizione 6.36)

σ = diag(I11, I11, 2I11) ,

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102 DANIELE ANDREUCCI

e dunque

L = I11λ2zh cos ϕu1 − I11λ2zh sin ϕu2 + 2I11(λ2zR + ϕ)u3 .

Si noti che qui L è espresso come funzione della base solidale al rigido,ma la (7.11) permette di passare alla terna intrinseca alla curva, e di qui la(7.12) alla base fissa.

7.3. Distribuzioni di forze

Vogliamo ora introdurre l’altro ingrediente fondamentale delle equazionidi moto, oltre alle quantità cinematiche e alle masse, cioè le forze. Unaimitazione dello schema matematico adottato per definire i corpi rigidicondurrebbe forse a scrivere la forza totale che agisce sull’i-esimo rigidocome ∫

Λ(Di)

F i dµi(λ) ,

con F i funzione da specificare (e discutere). Questo primo tentativo puòessere esteso e migliorato almeno in due sensi:A) Non è detto che la distribuzione di forze debba obbedire alla stessoschema della distribuzione di masse; per esempio un cubo (corpo rigidotridimensionale) può essere soggetto a un campo di forze distribuito inR3, ma anche a una forza concentrata in un punto o in una superficie, peresempio una faccia.B) Non è neanche detto che tutte le forze debbano essere applicate a puntidel sostegno del rigido Λ(Di); si pensi per esempio a un disco di materialerigido di massa trascurabile orlato da un bordo sottile che abbia massa nontrascurabile; un modello matematico ovvio per questo corpo rigido sareb-be quello della circonferenza materiale. Una forza potrebbe però essereapplicata nel centro del disco, quindi fuori della circonferenza Λ(Di).L’obiezione A) viene tenuta di conto sostituendo la funzione F i da inte-grare in dµi(λ) direttamente con un differenziale, o meglio in terminimatematici precisi, con una misura (vettoriale) dF i che potrà conteneresia parti distribuite che concentrate, come osservato sopra. Nella praticala dF i sarà tale da consentirne l’integrazione elementare.L’obiezione B) ha una risposta più semplice, ma forse più sottile: sosti-tuiamo al dominio di integrazione Λ(Di) tutto lo spazio delle coordinatesolidali Λ∗

i . Vale la pena di osservare che nel caso dei rigidi degeneri que-sto implica che l’elemento materiale sia soggetto solo a forze direttamenteapplicate a esso, e che l’asta rigida sia soggetta solo a forze applicate apunti del suo asse.Resta da discutere il dominio di dF i, ossia le variabili da cui può dipen-dere. Anzitutto da λi che ne descrive il ‘punto di applicazione’. Poi daltempo, come spesso accade nel caso di sistemi non isolati, e certo dallaposizione del rigido i-esimo, ma anche da quella degli altri rigidi: si pensia due sfere collegate da una molla. Ammettiamo infine che le forze pos-sano dipendere dalle velocità, come per esempio è usuale in problemi conattrito.

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7.3. DISTRIBUZIONI DI FORZE 103

Definizione 7.13. Introduciamo una distribuzione di forze dF i per ciascunrigido (Ci, ρi , Si),

dF i(ξ1 . . . , ξnc , ξ1, . . . , ξnc , t; λi) , (7.13)

ovedF i : Rnc × Rnc × I × Λ∗

i → R3 .

Chiamiamo distribuzione di forze in coordinate lagrangiane agenti sull’i-esimorigido la

dFli(q, p, t; λi) = dF i

(ξl

1(q, t), . . . , ξlnc(q, t),

∑h=1

∂ξl1

∂qh

(q, t)ph +∂ξl

1

∂t(q, t), . . . ,

∑h=1

∂ξlnc

∂qh

(q, t)ph +∂ξl

nc

∂t(q, t), t; λi

),

(7.14)

condFl

i : Q × Rℓ × I × Λ∗i → R3 .

Saremo interessati soprattutto alle dFli. Si noti che esse dipendono dalle

coordinate λi di ciascun punto solidale con il moto di Si (pensato comepunto di applicazione della forza), dalla configurazione e dall’atto di motodell’intero sistema, mediante le q, q = p, oltre che dal tempo t in modoanche esplicito.

Nel seguito considereremo solo i casi seguenti:F.1 forze concentrate in punti isolati;F.2 forze concentrate su curve;F.3 forze concentrate su superfici;F.4 forze distribuite in domini di R3.

Esempio 7.14. (7.F.1, 7.F.2.) Asta omogenea soggetta al peso e a una forzaapplicata a una estremità.Consideriamo un’asta di lunghezza L vincolata a muoversi nel piano fissox3 = 0 con un estremo nell’origine O.In questo caso la rappresentazione lagrangiana del moto è

Xl(ϕ; λ(s)) = (s cos ϕ, s sin ϕ, 0) ,

con s ∈ D = [0, L] e ϕ ∈ (−π, π) coordinata lagrangiana. La parametriz-zazione nel senso della Sottosezione 6.1.3 è

λ(s) = s , s ∈ D .

La densità sia data dalla costante ρ0 = m/L, con m massa dell’asta. Conla notazione della Definizione 6.3, possiamo scegliere

XO(t) = 0 , u(t) = cos ϕe1 + sin ϕe2 . (7.15)

L’asta quindi ha la direzione di u. Il peso, che assumiamo diretto come e2,agisce come

dFlpeso(ϕ, ϕ, t; λ) = ρ0ge2 dµ(λ) .

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104 DANIELE ANDREUCCI

La forza applicata all’estremo s = L sarà data dalla

dFlL = ke3 × uδ(L,0,0)(λ)dλ , (7.16)

ove con δ(L,0,0) indichiamo la massa di Dirac nel punto solidale (L, 0, 0). Sitratta quindi di una forza sempre ortogonale all’asta.Calcoliamo la risultante delle forze date:

F =∫

Λ∗

dFl

peso + dFlL

=∫

R

ρ0ge2 dµ(λ) +∫

R

ke3 × uδ(L,0,0)(λ)

= mge2 + ke3 × u .

Esempio 7.15. (7.F.3.) Disco soggetto a forze tangenziali.Consideriamo un disco di raggio R > 0 vincolato a muoversi nel pianofisso x3 = 0, con il centro nell’origine O.In questo caso la rappresentazione lagrangiana è

Xl(ϕ; λ(s)) = (s1 cos ϕ − s2 sin ϕ, s1 sin ϕ + s2 cos ϕ, 0) ,

cons = (s1, s2) ∈ D = s | s2

1 + s22 ≤ R2 ,

e ϕ ∈ (−π, π) coordinata lagrangiana. La parametrizzazione nel sensodella Sottosezione 6.1.3 è

λ(s) = (s1, s2, 0) , s ∈ D .

Il sistema di riferimento solidale S è (O, uh), conu1 = cos ϕe1 + sin ϕe2 ,u2 = − sin ϕe1 + cos ϕe2 ,u3 = e3 .

(7.17)

La forza, se è applicata in un punto, sarà per esempio data proprio dalla(7.16). Si noti che può risultare 0 < L ≤ R, o anche L > R.In alternativa, volendo rappresentare una distribuzione continua di forzesul disco, per esempio proporzionale in modulo alla distanza dal centro,si avrà

dFl = kχD(λ1, λ2)δλ3=0u3 × Xl dλ1 dλ2 dλ3 ,ove χD è la funzione caratteristica dell’insieme D.Calcoliamo il momento di quest’ultima distribuzione di forze, con polo O:

M =∫

Λ∗

Xl × dFl

=∫

D

ks1u1 + s2u2 × u3 × [s1u1 + s2u2]ds1 ds2

=∫

D

k(s21 + s2

2)u3 ds1 ds2

2kR4u3 .

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7.4. FORZE CONSERVATIVE 105

Esempio 7.16. (7.F.3, 7.F.4.) Cubo soggetto al peso e a forze applicate suuna faccia.Consideriamo un cubo di spigolo L vincolato ad avere uno spigolo sul-l’asse fisso x3, libero di scorrere su di esso e di ruotare intorno all’assemedesimo.In questo caso la rappresentazione lagrangiana dei moti solidali con ilcorpo rigido è

Xl(ϕ, z; λ(s)) = (s1 cos ϕ − s2 sin ϕ, s1 sin ϕ + s2 cos ϕ, s3 + z) ,

cons = (s1, s2, s3) ∈ D = [0, L]3 ,

e ϕ ∈ (−π, π), z ∈ R coordinate lagrangiane. La parametrizzazione nelsenso della Sottosezione 6.1.3 è

λ(s) = (s1, s2, s3) , s ∈ D .

Il sistema di riferimento solidale S è (A, uh), con

X A = ze3 ,

e (uh) come in (7.17). La densità sia data dalla funzione

ρ(λ) = αλ21 ,

con α > 0 costante. Il peso, che assumiamo diretto come −u3, agisce come

dFlpeso(ϕ, ϕ, z, z, t; λ) = −αλ2

1ge3 dµ(λ) .

La distribuzione superficiale di forze sulla faccia λ3 = 0 sia, per β > 0costante,

dFlsup(ϕ, ϕ, z, z, t; λ) = β|z|u1δλ3=0χD(λ)dλ ,

che quindi risulta in pratica una misura di superficie sulla faccia stessa.

7.4. Forze conservative

Questa Sezione è collocata qui per coerenza di presentazione del materiale,ma troverà la sua motivazione con l’introduzione dell’ipotesi dei lavorivirtuali nel Capitolo 8.Nel contesto dei sistemi di corpi rigidi il concetto di forze conservative sipuò tradurre come segue.

Definizione 7.17. Un sistema di forze dF ini=1 si dice conservativo se

esiste una distribuzione di potenziale

dU(x1, . . . , xn; λ1, . . . , λn) , xi ∈ R3 , λi ∈ Λ∗i , (7.18)

tale che per ogni i = 1, . . . , n,

dF i(ξ1, . . . , ξnc ; λi) =∫

Λ∗1

. . .i∫

Λ∗n

∇xidU

(X1, . . . , Xn; λ1, . . . , λn

), (7.19)

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106 DANIELE ANDREUCCI

ove l’integrale è ripetuto sui Λ∗j , j 6= i; questo è indicato dalla notazione∫

Λ∗1

. . .i∫

Λ∗n

.

Inoltre nell’integrale per brevità si è indicato con

X j = X j(ξ1, . . . , ξnc ; λj)

la funzione che esprime i moti solidali con il j-esimo rigido in dipendenzadelle coordinate locali necessarie tra le ξi e delle coordinate solidali λj.

Esempio 7.18. Il sistema è costituito da due aste rigide C1 di lunghezzaR1 e C2 di lunghezza R2, vincolate entrambe al piano fisso x3 = 0, conun estremo nell’origine. Dunque il sistema ha nc = 10 coordinate locali eℓ = 2 gradi di libertà.Descriviamo intuitivamente la sollecitazione che vogliamo modellare: cia-scun elemento x1 dλ1 di C1 è attratto da ciascun elemento x2 dλ2 di C2 conuna forza

− k(x1 − x2)dλ1 dλ2 . (7.20)Qui k > 0 è una costante.Introducendo la distribuzione di potenziale

dU(x1, x2; λ1, λ2) = − k

2|x1 − x2|2χC1(λ

1)χC2(λ2)dλ1 dλ2 ,

si vede subito che

∇x1 dU(x1, x2; λ1, λ2) = −k(x1 − x2)χC1(λ1)χC2(λ

2)dλ1 dλ2 ,

ossia la forza data in (7.20). Calcoliamo dunque rigorosamente, usando la(7.19), la distribuzione di forze dF1:

dF1(ξ1, . . . , ξ10; λ1) =∫

Λ∗2

[− k(x1 − x2)χC1(λ

1)χC2(λ2)dλ1 dλ2

]

= −kχC1(λ1)dλ1

R2∫

0

(X1(t; λ1)− X2(t; λ2))dλ2

= −kR2(X1(t; λ1)− X2(t; λ2M))χC1(λ

1)dλ1 .

Qui si sono usati nell’ultima uguaglianza i seguenti semplici fatti: X1(t; λ1)è costante in λ2; l’integrale della posizione X2(t; λ2) lungo C2 è uguale aR2X2(t; λ2

M), ove X2(t; λ2M) è la posizione del centro geometrico dell’asta

C2.Simmetricamente si trova dF2.Si noti che la forza totale esercitata da C2 su C1 è espressa da

Λ∗1

[− kR2(X1(t; λ1)− X2(t; λ2

M))χC1(λ1)dλ1

]=

− kR1R2(X1(t; λ1M)− X2(t; λ2

M)) ,

ove ovviamente X1(t; λ1M) è la posizione del centro geometrico dell’asta

C1.

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7.4. FORZE CONSERVATIVE 107

In effetti nell’ambito della meccanica lagrangiana più che le dF i han-no importanza le seguenti funzioni, per motivi che diverranno chiari nelCapitolo 8.

Definizione 7.19. Se dFli è una distribuzione di forze per (Ci, ρi, Si),

allora si definiscono le componenti lagrangiane delle forze come

Qh(q, p, t) =n

∑i=1

Λ∗i

∂Xli

∂qh

(q, t; λ) · dFli(q, p, t; λ) , (7.21)

per ogni h = 1, . . . ℓ. Le Qh risultano funzioni di q ∈ Q, p ∈ Rℓ, t ∈ I.

Anche per le Qh si introduce un concetto di conservatività; premettiamoche tale proprietà è collegata alla conservatività delle dF i, ma non è a essadel tutto equivalente.

Definizione 7.20. Il sistema di componenti lagrangiane delle forze Qhℓh=1si dice conservativo se esiste una funzione Ul ∈ C1(Q × I) tale che

Qh(q, p, t) =∂Ul

∂qh

(q, t) , h = 1 , . . . , ℓ . (7.22)

La funzione Ul si dice potenziale lagrangiano.

In particolare quindi in un sistema conservativo, le Qh non dipendonodalle q.

Esempio 7.21. Torniamo all’Esempio 7.18. Mostreremo con argomenti deltutto indipendenti da quelli lì svolti che la sollecitazione è conservativa nelsenso della Definizione 7.20.Le due aste rigide C1 e C2 sono parametrizzate in coordinate lagrangianeϕ, θ ∈ (−π, π) da

Xl1(ϕ; λ1(s)) = s cos ϕe1 + s sin ϕe2 , 0 ≤ s ≤ R1 ,

Xl2(θ; λ2(σ)) = σ cos θe1 + σ sin θe2 , 0 ≤ σ ≤ R2 .

In particolare ciascun elemento di C1 è attratto da ciascun elemento di C2con una forza

− k(

Xl1 − Xl

2)

dλ1 dλ2 . (7.23)

Calcoliamo la distribuzione di forze dFl1. Si ha per λ1 ∈ [0, R1]

dFl1(ϕ, θ; λ1) = −k dλ1

Λ∗2

(Xl

1 − Xl2)χC2 dλ2

= k dλ1R2∫

0

[(σ cos θ − s cos ϕ)e1 + (σ sin θ − s sin ϕ)e2

]dσ

= R2k

[(R2

2cos θ − s cos ϕ

)e1 +

(R2

2sin θ − s sin ϕ

)e2

]dλ1 .

Nello stesso modo si ottiene

dFl2(ϕ, θ; λ2) = R1k

[(R1

2cos ϕ− σ cos θ

)e1 +

(R1

2sin ϕ− σ sin θ

)e2

]dλ2 .

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108 DANIELE ANDREUCCI

Per esempio il momento (rispetto all’origine) delle forze su C1 è dato da

Λ∗1

Xl1 × dFl

1 =k

4R2

1R22 sin(θ − ϕ)e3 .

Torniamo però alla verifica della conservatività. Secondo la Definizio-ne 7.19 si ottiene

Qϕ =∫

Λ∗1

∂Xl1

∂ϕ· dFl

1 +∫

Λ∗2

∂Xl2

∂ϕ· dFl

2 =∫

Λ∗1

∂Xl1

∂ϕ· dFl

1 =14

R21R2

2k sin(θ − ϕ) ,

come si vede con una semplice integrazione. Simmetricamente si ottieneanche

Qθ =14

R21R2

2k sin(ϕ − θ) ,

Si osservi la notazione di uso frequente Qϕ, Qθ al posto di Q1, Q2. Si vedesubito che ponendo

Ul(ϕ, θ) =14

R21R2

2k cos(ϕ − θ) , (7.24)

si ha

∂Ul

∂ϕ= Qϕ ,

∂Ul

∂θ= Qθ ,

confermando che le forze assegnate sono conservative in senso lagrangia-no.

Come accennato, i due concetti di forze conservative sopra introdotti sonocollegati. In sostanza, le componenti lagrangiane delle forze si calcolanocome derivate dell’integrale di dU nella corrispondente coordinata lagran-giana, un po’ come la distribuzione dF i è stata ottenuta nella (7.19) comegradiente dell’integrale di dU nelle coordinate cartesiane corrispondenti.Tuttavia, nel caso delle componenti lagrangiane, si dovrà integrare su tuttele coordinate λi, come risulta dalla Definizione 7.19.Questo è spiegato rigorosamente dal seguente risultato.

Teorema 7.22. Se il sistema di forze dF ini=1 è conservativo nel senso della

Definizione 7.17, il sistema di componenti lagrangiane delle forze Qhℓh=1 è con-servativo nel senso della Definizione 7.20, e i rispettivi potenziali sono collegatida

Ul(q, t) =∫

Λ∗1

· · ·∫

Λ∗n

dU(Xl

1(q, t; λ1), . . . , Xln(q, t; λn); λ1, . . . , λn

), (7.25)

ove l’integrale è calcolato in tutte le variabili λj, j = 1, . . . , n.

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7.4. FORZE CONSERVATIVE 109

Dimostrazione. Calcoliamo∂Ul

∂qh

=∫

Λ∗1

· · ·∫

Λ∗n

∂qh

dU(Xl

1(q, t; λ1), . . . , Xln(q, t; λn); λ1, . . . , λn

)

=∫

Λ∗1

· · ·∫

Λ∗n

n

∑i=1

∇xidU · ∂Xl

i

∂qh

(q, t; λi)

=n

∑i=1

Λ∗i

Λ∗1

. . .i∫

Λ∗n

∇xidU

· ∂Xl

i

∂qh

(q, t; λi)

=n

∑i=1

Λ∗i

dF i(ξl1(q, t), . . . ξl

nc(q, t); λi) · ∂Xl

i

∂qh

(q, t; λi)

=n

∑i=1

Λ∗i

dFli(q, t; λ) · ∂Xl

i

∂qh

(q, t; λ)

= Qh(q, t) .

Esempio 7.23. Riprendiamo il sistema degli Esempi 7.18 e 7.21; in essiabbiamo svolto considerazioni indipendenti, ma qui vogliamo mostrareche i potenziali trovati sono collegati dalla (7.25).Infatti calcoliamo, usando la (7.25), e il potenziale dU dell’Esempio 7.18 ilpotenziale lagrangiano:

Ul(ϕ, θ) = − k

2

Λ∗1

Λ∗2

∣∣∣Xl1(ϕ; λ1)− Xl

2(ϕ; λ2)∣∣∣2

χC1(λ1)χC2(λ

2)dλ1 dλ2

= − k

2

R1∫

0

R2∫

0

[(s cos ϕ − σ cos θ)2 + (s sin ϕ − σ sin θ)2

]ds dσ

= −16

k(R31R2 + R1R3

2) +14

R21R2

2k cos(ϕ − θ) .

Questa è la stessa funzione data in (7.24), a parte una inessenziale costanteadditiva.

Osservazione 7.24. Nelle ipotesi del Teorema 7.22, e se i vincoli sono fissi,il potenziale Ul non dipende in modo esplicito dal tempo t, perché nonne dipendono i moti Xl

i .

Osservazione 7.25. Il Teorema 7.22 dà solo una condizione sufficiente af-finché il sistema delle componenti lagrangiane delle forze sia conservativo.In alcuni casi, questo può accadere anche in presenza di sistemi di forzenon conservativi nel senso classico (che poi è quello della Definizione 7.17).Un caso notevole è quello di sistemi con un solo grado di libertà; in questocaso si ha una unica coordinata lagrangiana q1, e la componente lagran-giana delle forze dipende solo da essa, oltre che eventualmente dal tempo,cosicché

Q1(q1, t) =∂

∂q1

q1∫

q01

Q1(z, t)dz ,

ove q01 è un valore fissato di q1.

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110 DANIELE ANDREUCCI

Esempio 7.26. Un punto materiale è vincolato a muoversi sul cilindro diasse coincidente con l’asse x3 del sistema fisso e di raggio R. Su di essoagisce la forza

F1(x1) = αx1e1 + βx1e2 ,con α, β > 0. Qui indichiamo con x1 = (x1, x2, x3) il vettore di coor-dinate nel sistema fisso. Si verifica facilmente che F1 non è conservati-va nel senso della Definizione 7.17. Tuttavia scegliendo ad esempio laparametrizzazione lagrangiana

Xl1(ϕ, z) = R cos ϕe1 + R sin ϕe2 + ze3 , (ϕ, z) ∈ (−π, π)× R ,

si calcola

Qϕ(ϕ, z) =∂Xl

1

∂ϕ(ϕ, z) · F1(X

l1(ϕ, z)) =

12

R2(−α sin(2ϕ) + β + β cos(2ϕ)) ,

Qz(ϕ, z) =∂Xl

1

∂z(ϕ, z) · F1(X

l1(ϕ, z)) = 0 .

Dunque il potenziale lagrangiano sarà ad esempio

Ul(ϕ, z) =12

R2(α

2cos(2ϕ) + βϕ +

β

2sin(2ϕ)

).

Si consiglia di rivedere questo Esempio dopo aver svolto l’Esercizio ??.

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CAPITOLO 8

Ipotesi dei lavori virtuali

8.1. L’ipotesi dei lavori virtuali

Nel caso di sistemi olonomi ‘semplici’, come per esempio un punto vinco-lato a una curva, o a una superficie, è facile tradurre nel modello matema-tico l’idea di vincolo liscio (nel senso di privo di attrito). Si richiede cioè chela reazione vincolare f vin sia perpendicolare al vincolo stesso, come fattonella Definizione 5.19.Se P è vincolato alla curva γ con terna intrinseca (T , N , B) si richiederà

f vin = ( f vin · N)N + ( f vin · B)B , (8.1)

mentre se P è vincolato alla superficie S di normale n si richiederà

f vin = ( f vin · n)n . (8.2)

Nel caso di vincoli più complessi un approccio diretto ed esplicito diquesto tipo diviene impraticabile. Si noti anche che le reazioni vincolarinon sono in genere note come funzioni di (x, v, t), ma vanno determinateinsieme al moto.Cerchiamo di astrarre dai prossimi esempi una caratteristica dei vincolilisci utilizzabile per assiomatizzarli.

Esempio 8.1. Un punto P di massa m è vincolato alla curva

γ = ψ(s) | s ∈ J ,

ed è sottoposto alla forza

F(x, v, t) = α1(x, v, t)T + α2(x, v, t)N + α3(x, v, t)B ,

oltre che alla reazione vincolare f vin, che soddisfa la (8.1). Proiettandol’equazione di moto sulla terna intrinseca, si ha (si ricordi che a = sT +s2kN)

ms = α1(x, v, t) , (8.3)

ms2k(s) = α2(x, v, t) + f vin · N , (8.4)

0 = α3(x, v, t) + f vin · B . (8.5)

Le funzioni αj possono essere subito espresse come funzioni di s, s, t.Quindi la (8.3) è una e.d.o. del secondo ordine nell’incognita s, che, ingenerale, ha un’unica soluzione che soddisfa le opportune condizioni ini-ziali.Poi si sostituiranno s = s(t), s = s(t) nelle (8.4)–(8.5), determinando cosìanche f vin.

111

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112 DANIELE ANDREUCCI

Esempio 8.2. Un punto P di massa m è vincolato alla superficie sferica

S = Ψ(ϕ, θ) = R(cos ϕ sin θ, sin ϕ sin θ, cos θ) | ϕ ∈ (−π, π) , θ ∈ (0, π) ,

ed è sottoposto alla forza

F(x, v, t) = α1(x, v, t)T ϕ + α2(x, v, t)Tθ + α3(x, v, t)n ,

oltre che alla reazione vincolare f vin, che soddisfa la (8.2). Qui i due vettori

T ϕ = (− sin ϕ, cos ϕ, 0) =∂Ψ∂ϕ∥∥∥ ∂Ψ∂ϕ

∥∥∥,

Tθ = (cos ϕ cos θ, sin ϕ cos θ,− sin θ) =∂Ψ∂θ∥∥∥ ∂Ψ∂θ

∥∥∥,

costituiscono una base ortonormale del piano tangente a S. Scegliamoanche la normale

n =1R

Ψ .

Si verifica mediante derivazione elementare che velocità e accelerazione diP sono date da

v = R sin θϕT ϕ + RθTθ , (8.6)

a = R(2ϕθ cos θ + ϕ sin θ)T ϕ + R(θ − ϕ2 sin θ cos θ)T θ (8.7)

+ R(−ϕ2 sin2 θ − θ2)n .

Proiettando l’equazione di moto sulla terna (T ϕ, Tθ , n), si ha

mR(2ϕθ cos θ + ϕ sin θ) = α1(x, v, t) , (8.8)

mR(θ − ϕ2 sin θ cos θ) = α2(x, v, t) , (8.9)

mR(−ϕ2 sin2 θ − θ2) = α3(x, v, t) + f vin · n . (8.10)

Di nuovo, gli αj sono esprimibili in funzione di ϕ, θ, ϕ, θ e t, mediante le(8.6) e (8.7). Quindi (8.8)–(8.9) costituiscono un sistema di due equazioniin due incognite ϕ, θ che può in principio essere risolto. Sostituendo poinella (8.10) si ottiene la f vin.

Osservazione 8.3. Il punto essenziale in entrambi gli esempi 8.1 e 8.2 èche nella (8.3), e rispettivamente nelle (8.8)–(8.9), non sono presenti com-ponenti di f vin. Questo permette di risolvere il problema come indicatosopra.A sua volta questo fatto chiave è conseguenza dell’ipotesi che il vincolosia liscio.

Esprimiamo questa proprietà fondamentale ancora in un altro modo.Nell’Esempio 8.1 si può scegliere s come coordinata lagrangiana, ponendo

Xl(s, t; λ) = ψ(s) ,

per cui

(8.1) ⇔ f vin ·∂Xl

∂s= f vin · T = 0 .

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8.1. L’IPOTESI DEI LAVORI VIRTUALI 113

Nell’Esempio 8.2 si possono scegliere ϕ, θ come coordinate lagrangiane,ponendo

Xl(ϕ, θ, t; λ) = Ψ(ϕ, θ) ,per cui

(8.2) ⇔ f vin ·∂Xl

∂ϕ= 0 , f vin ·

∂Xl

∂θ= 0 .

Le espressioni come

f vin ·∂Xl

∂s= (ma − F) · ∂Xl

∂s,

nell’Esempio 8.1, e

f vin ·∂Xl

∂ϕ= (ma − F) · ∂Xl

∂ϕ,

f vin ·∂Xl

∂θ= (ma − F) · ∂Xl

∂θ,

nell’Esempio 8.2, sono collegate ai lavori virtuali della reazione vincolare,per cui rimandiamo alla Sezione 8.5.Nel caso generale poniamo dunque la seguente Definizione.

Definizione 8.4. Un moto q ∈ C2(I) del sistema vincolato (Ci, ρi, Si) sidice soddisfare l’ipotesi dei lavori virtuali se, per ogni h ∈ 1 , . . . , ℓ, vale

n

∑i=1

Λ(Di)

∂Xli

∂qh

(q, t; λ) · ali (q, q, q, t; λ)ρi(λ)dµi(λ)

=n

∑i=1

Λ∗i

∂Xli

∂qh

(q, t; λ) · dFli(q, q, t; λ) , (8.11)

per ogni t ∈ I. Nella (8.11) si denota per brevità q = q(t), q = q(t),q = q(t).

Esempio 8.5. Consideriamo due punti P1 (di massa m1) e P2 (di massa m2)sottoposti al vincolo

x3P1 = x3P2 , (8.12)e alle forze

dFl1 = αe1 + βe3dµ(λ) , dFl

2 = 0 , (8.13)con α, β ∈ R. Scegliamo come coordinate lagrangiane

x1P1 , x2P1 , x1P2 , x2P2 , x3P1 .

Imporre l’ipotesi dei lavori virtuali (8.11) per le prime quattro coordinateconduce, come è facile verificare, alle

m1 x1P1 = α , m1 x2P1 = 0 , (8.14)

m2x1P2 = 0 , m2x2P2 = 0 . (8.15)

Invece, imponendo la (8.11) per la quinta coordinata x3P1 si ha

m1 x3P1 + m2x3P1 = β , ossia (m1 + m2)x3P1 = β . (8.16)

Si noti anche che l’ipotesi dei lavori virtuali—da sola—ha condotto alle(8.14)–(8.16), che sono sufficienti a determinare il moto dei due punti.

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114 DANIELE ANDREUCCI

Scriviamo poi le equazioni di moto (in modo non lagrangiano)

m1a1 = αe1 + βe3 + f vin1 , m2a2 = f vin2 . (8.17)

Confrontando le (8.14)–(8.16) con le (8.17), si ottengono le reazioni vinco-lari come

f vin1 = (m1 x3P1 − β)e3 = −m2x3P1 e3 , f vin2 = − f vin1 .

Tuttavia, l’approccio lagrangiano evita del tutto di considerare in modoesplicito le reazioni vincolari, se si stipula l’ipotesi dei lavori virtuali (cioèche i vincoli siano lisci).

Osservazione 8.6. La Definizione 8.4 ci conduce a considerare le quantitàintrodotte nella Definizione 7.19, ossia le componenti lagrangiane delle forze

Qh(q, p, t) =n

∑i=1

Λ∗i

∂Xli

∂qh

(q, t; λ) · dFli(q, p, t; λ) ,

per ogni h = 1, . . . ℓ. Le Qh risultano funzioni di q ∈ Q, p ∈ Rℓ, t ∈ I.

8.2. Dinamica del punto materiale libero

Come abbiamo spiegato nella Sezione 8.1, l’ipotesi dei lavori virtuali seapplicata a sistemi olonomi ha il significato intuitivo di imporre vincolilisci, ossia una restrizione sulle reazioni vincolari.Nel caso di un elemento materiale libero ci dobbiamo aspettare che essaimplichi la legge di moto di Newton, e quindi è di grande interesse veri-ficarlo. In questo caso infatti le tre coordinate lagrangiane possono esserescelte come le coordinate cartesiane del punto:

Xl(t) =3

∑h=1

xh(t)eh ,∂Xl

∂xh

(t) = eh .

Dunque per h = 1, 2, 3, si ha dalla (8.11)

mal · eh = Fl · eh ,

ossia la classica

ma = F . (8.18)

8.3. La prima equazione cardinale

Definizione 8.7. La risultante delle forze applicate al rigido è

Fext(q(t), q(t), t) =∫

Λ∗

dFl(q(t), q(t), t; λ) , (8.19)

ove dFl è stato definito in (7.14).

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8.4. LA SECONDA EQUAZIONE CARDINALE 115

Ricordiamo che tra le 6 coordinate locali q di un corpo rigido non degenerepossono essere scelte le tre coordinate cartesiane di un suo punto solidale(xjO):

Xl(q, t; λ) =3

∑j=1

xjO(t) +

3

∑h=1

λhuloch (ζ1(t), ζ2(t), ζ3(t)) · ej

ej , (8.20)

q = (x1O , x2O , x3O , ζ1 , ζ2 , ζ3) (8.21)

(si veda la Sezione 4.6). Questo insieme all’ipotesi dei lavori virtualipermette di ottenere il seguente risultato.

Teorema 8.8. (Prima equazione cardinale) Sia (C, ρ, S) un rigido nondegenere libero, cioè non sottoposto a vincoli. I moti che soddisfano l’ipotesi deilavori virtuali soddisfano anche

dP

dt(q(t), q(t), q(t), t) = Fext(q(t), q(t), t) . (8.22)

Dimostrazione. Applichiamo l’ipotesi dei lavori virtuali (8.11), usandoche

∂Xl

∂xhO= eh , h = 1 , 2 , 3 .

Si ha per h = 1, 2, 3:

ddt

P · eh =∫

Λ∗

∂Xl

∂xhO· al(q, q, q, t; λ)ρ(λ)dµ(λ)

=∫

Λ∗

∂Xl

∂xhO· dFl(q, q, t; λ) =

Λ∗

dFl(q, q, t; λ) · eh = Fext · eh .

Osservazione 8.9. La prima e la seconda equazione cardinale (dette ancheequazioni globali) sono valide in condizioni più generali di quelle discussequi, per esempio anche per sistemi non rigidi.

8.4. La seconda equazione cardinale

Definizione 8.10. Il momento delle forze applicate al rigido, rispetto al poloZ, è

MextZ (q(t), q(t), t) =

Λ∗

[Xl(q(t); λ)− XZ(t)]× dFl(q(t), q(t), t; λ) ,

(8.23)ove dFl è stato definito in (7.14).

Teorema 8.11. In un rigido non degenere con un punto fisso O, se è verificatal’ipotesi dei lavori virtuali (8.11), vale per ogni t ∈ I

dLO

dt(q(t), q(t), q(t), t) = Mext

O (q(t), q(t), t) . (8.24)

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116 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Assumiamo per semplicità di notazione che O sia l’ori-gine del sistema di riferimento fisso. Fissiamo t ∈ I; anche Xl, al e dFl

risultano quindi fissati (come funzioni di λ).La tesi consiste nell’ultima uguaglianza in

dLO

dt(t) =

ddt

Λ(D)

Xl × vlρ(λ)dλ =∫

Λ(D)

Xl × alρ(λ)dλ =∫

R3

Xl × dFl .

Qui e nel resto della dimostrazione omettiamo per semplicità gli argomen-ti q, q, . . . .L’informazione che abbiamo a disposizione consiste nelle tre condizioniscalari dell’ipotesi dei lavori virtuali (8.11), che possono essere riscritte inmodo equivalente nella forma addizionata

3

∑h=1

Λ(D)

al · ∂Xl

∂qh

µhρ(λ)dλ =3

∑h=1

R3

dFl · ∂Xl

∂qh

µh , (8.25)

ove però (µh) ∈ R3 può essere scelto ad arbitrio. Per il Lemma 8.12, ove siprende q0 = q(t), fissato un qualunque g, si può trovare un (µh) ∈ R3 taleche

g × Xl(q(t); λ) =3

∑h=1

∂Xl

∂qh

(q(t); λ)µh .

È essenziale che (µh) sia indipendente da λ, perché così appare nella (8.25);anche g lo è, per definizione. Quindi applicando appunto la (8.25) siottiene ∫

Λ(D)

al · g × Xlρ(λ)dλ =∫

R3

dFl · g × Xl .

Per il Lemma A.7 sul prodotto triplo di vettori questo implica∫

Λ(D)

Xl × alρ(λ)dλ · g =∫

R3

Xl × dFl · g ,

e infine per l’arbitrarietà di g,∫

Λ(D)

Xl × alρ(λ)dλ =∫

R3

Xl × dFl .

Lemma 8.12. Sia q0 ∈ Q fissato. Per ogni g ∈ R3 esiste (µ1, µ2, µ3) ∈ R3 taleche

3

∑h=1

∂Xl

∂qh

(q0; λ)µh = g × Xl(q0; λ) , per ogni λ ∈ R3. (8.26)

Il Lemma 8.12 è stabilito qui per comodità di riferimento, ma è in real-tà ovvio per i risultati del Capitolo 2; infatti, l’idea della dimostrazione èsemplicemente di considerare g come ‘velocità angolare’ (fittizia); allora ilmembro di destra della (8.26) dà il campo di ‘velocità di trascinamento’nel corrispondente ‘moto rigido’ (fittizio) con punto fisso O, che nel for-malismo lagrangiano d’altronde si rappresenta come il membro di sinistra

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8.4. LA SECONDA EQUAZIONE CARDINALE 117

della (8.26), con (µh) scelto appunto come opportuno ‘atto di moto’. Sequesto non risulta convincente, si veda la dimostrazione sotto.

Dimostrazione. Per il Teorema 2.45 il sistema

duh

dτ(τ) = g × uh(τ) , τ ∈ R ,

uh(0) = ulh(q0) ,

ha un’unica soluzione uh. Indichiamo con q(τ) le coordinate lagrangiane corrispondentialla posizione di (uh(τ)), cosicché

ulh(q(τ)) = uh(τ) , q(0) = q0 .

Ne segue che

ddτ

Xl(q(τ); λ) =d

3

∑h=1

λhulh(q(τ))

=3

∑h=1

λhg × ulh(q(τ)) = g × Xl(q(τ); λ) . (8.27)

D’altronded

dτXl(q(τ); λ) =

3

∑h=1

∂Xl

∂qh

(q(τ); λ)d qh

dτ(τ) . (8.28)

La tesi segue subito da (8.27) e (8.28), ponendovi τ = 0 e quindi

µh =dqh

dτ(0) .

Usando la versione già dimostrata della seconda equazione cardinale, os-sia il Teorema 8.11, si dimostra la versione generale.

Teorema 8.13. (Seconda equazione cardinale) Sia (C, ρ, S) un rigido nondegenere libero, cioè non sottoposto a vincoli. I moti che soddisfano l’ipotesi deilavori virtuali soddisfano anche

dLZ

dt(q(t), q(t), q(t), t) = m

dXG

dt× dXZ

dt+ Mext

Z (q(t), q(t), t) . (8.29)

Qui i momenti L e Mext sono calcolati rispetto al polo Z, che si muove di motoarbitrario. Si ricorda che XG denota il moto del centro di massa.

Dimostrazione. Ci riconduciamo al caso del Teorema 8.11 passando al sistema mobileΣ = (Z,N ), ove N = (eh) denota la terna fissa. Quindi Σ è un sistema di riferimento diorigine Z e assi paralleli a quelli fissi. In questo sistema il momento delle quantità di motosi calcola come

LΣZ =

Λ(D)

(X − XZ)× vΣ(λ)ρ(λ) dµ(λ)

=∫

Λ(D)

(X − XZ)×(dX

dt− dXZ

dt

)ρ(λ) dµ(λ)

= LZ −∫

Λ(D)

(X − XZ)×dXZ

dtρ(λ) dµ(λ)

= LZ − mXG × dXZ

dt+ mXZ × dXZ

dt.

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118 DANIELE ANDREUCCI

Qui per semplicità di notazione si omette di indicare ogni dipendenza dalle coordinatelagrangiane e dal tempo. Quindi

dLΣZ

dt=

dLZ

dt− m

dXG

dt× dXZ

dt− mXG × d2XZ

dt2 + mXZ × d2XZ

dt2 . (8.30)

A causa delle proprietà di Σ, e del Teorema 8.11, si ha (si veda la Definizione 2.14)

dLΣZ

dt=

[dLΣ

Z

dt

]

N= Mext

Z,Σ . (8.31)

Infine si osservi che in Σ per le formule della cinematica relativa (si veda anche la Sezio-ne 9.4 per maggiori dettagli)

MextZ,Σ =

Λ∗

[X − XZ]× [dF + dFt + dFc]

=∫

Λ∗

[X − XZ]× dF −∫

Λ(D)

[X − XZ]×d2XZ

dt2 ρ(λ) dµ(λ)

= MextZ − mXG × d2XZ

dt2 + mXZ × d2XZ

dt2 .

(8.32)

La tesi ora segue raccogliendo (8.30)–(8.32).

8.5. Spostamenti virtuali

Usiamo qui la notazione introdotta nel Capitolo 4. Saremo interessati adue sottospazi vettoriali di Rnc , inteso come spazio delle coordinate localiξ.Indichiamo con

∇ξ f j =( ∂ f j

∂ξ1, . . . ,

∂ f j

∂ξnc

), j = 1, . . . , m ,

il gradiente del vincolo f j rispetto alle ξk. Otteniamo così m vettori di Rnc ,che sono linearmente indipendenti tra di loro per l’ipotesi (4.4) sulla matri-ce iacobiana delle f j. Dunque essi generano un sottospazio di dimensionem, che denoteremo con W.Consideriamo poi i vettori di Rnc , in numero di ℓ, dati da

∂ξl

∂qh

, h = 1, . . . , ℓ .

Per l’ipotesi che la matrice iacobiana in (4.9) abbia rango massimo, an-ch’essi sono linearmente indipendenti tra di loro, e pertanto generano unsottospazio di dimensione ℓ, che denotiamo con V.

Osservazione 8.14. Dato che i vettori considerati sopra dipendono da(ξ, t) (o equivalentemente da (q, t)) anche gli spazi W e V ne dipendo-no; omettiamo la dipendenza nella notazione perché che negli argomentiche seguono il punto (ξ, t) si pensa fissato.

Definizione 8.15. Lo spazio V si dice spazio degli spostamenti virtuali delsistema olonomo nel punto (ξ, t).

Proposizione 8.16. I due spazi W e V sono uno l’ortogonale dell’altro: W =V⊥, V = W⊥.

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8.5. SPOSTAMENTI VIRTUALI 119

Dimostrazione. Dimostriamo che

w · v = 0 , per ogni w ∈ W, v ∈ V; (8.33)

basta mostrare che questa proprietà vale per i vettori nelle basi dei duespazi date sopra, in vista della linearità del prodotto scalare rispetto aentrambi i fattori.Fissiamo dunque 1 ≤ j ≤ m e 1 ≤ h ≤ ℓ, e calcoliamo invocando che le qsono coordinate lagrangiane (ossia che ξl(q, t) ∈ Ξ f (t))

0 =∂

∂qh

f j

(ξl(q, t), t

)= ∇ξ f j

(ξl(q, t), t

)· ∂ξl

∂qh

(q, t) .

Secondo la Definizione A.24 la (8.33) dunque implica che W ⊂ V⊥. Tutta-via, usando la definizione di ℓ e il Teorema A.25, si ha

dim W = m = nc − ℓ = nc − dim V = dim V⊥ .

Pertanto W = V⊥.

Presentiamo alcuni esempi che spieghino il significato geometrico e mec-canico degli spostamenti virtuali.

Esempio 8.17. Consideriamo un punto vincolato a una superficie; il vinco-lo sarà

f1(ξ1, ξ2, ξ3) = 0 ,ove le ξ denotano ora le coordinate cartesiane del punto. In questo casonc = 3, m = 1, ℓ = 2. Le due coordinate lagrangiane sono perciò insostanza le due variabili che parametrizzano la superficie.Il sottospazio V è generato dai due vettori

∂Xl

∂q1,

∂Xl

∂q2,

ossia dai due vettori tangenti alla superficie, e quindi coincide con il pianotangente alla superficie stessa (inteso come spazio vettoriale).Il sottospazio W per definizione è lo spazio dei vettori paralleli a

∇ξ f1 ,

che come è noto dà la direzione ortogonale alla superficie (che è una super-ficie di livello per f1). Si ritrova quindi in questo caso la Proposizione 8.16.Ricordando la discussione nella Sezione 8.1 possiamo quindi dire che Wcontiene la reazione vincolare, mentre V contiene la velocità del punto.

Esempio 8.18. Consideriamo poi il caso di un punto vincolato a due su-perfici da

f1(ξ1, ξ2, ξ3) = 0 , f2(ξ1, ξ2, ξ3) = 0 .

È il caso di un punto vincolato alla curva intersezione delle due superfici.Di nuovo le ξ denotano le coordinate cartesiane del punto. In questo casonc = 3, m = 2, ℓ = 1. La coordinata lagrangiana è perciò in sostanza lavariabile che parametrizza la curva.Il sottospazio V è lo spazio dei vettori paralleli a

∂Xl

∂q1,

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120 DANIELE ANDREUCCI

ossia al vettore tangente alla curva, e quindi coincide con la retta tangentealla curva stessa (intesa come spazio vettoriale).Il sottospazio W per definizione è generato dai due vettori

∇ξ f1 , ∇ξ f2 .

Ciascuno di questi due vettori è ortogonale alla superficie corrispondente,e quindi alla curva, poiché essa giace su entrambe le superfici (in altri ter-mini, ciascuno dei due gradienti appartiene al piano generato da normaleprincipale e binormale alla curva). Si ritrova quindi anche in questo casola Proposizione 8.16.Di nuovo, ricordando la discussione nella Sezione 8.1 possiamo quindidire che W contiene la reazione vincolare, mentre V contiene la velocitàdel punto. Si noti che stavolta la reazione vincolare ha direzione a priorinon determinata, se non all’interno del piano W.

Osservazione 8.19. I due esempi 8.17 e 8.18 concernono vincoli fissi. Seanche i vincoli fossero mobili, ossia si avesse

fi(ξ1, ξ2, ξ3, t) = 0 , (8.34)

gli argomenti precedenti non cambierebbero molto, se non nel senso cheV e W dipenderebbero anche dal tempo. Tuttavia occorre precisare che le≀≀ velocità possibili del punto non apparterrebbero più a V: si controlli la(7.4) che dà la velocità in coordinate lagrangiane. Se i vincoli sono fissi,l’ultimo termine della (7.4), cioè

∂Xl

∂t,

scompare e la situazione è quella descritta sopra. Se i vincoli non sonofissi, quel termine non si annulla e la velocità contiene un termine che nonappartiene a V. In questo caso talvolta il membro di destra della (7.4) incui si sia annullato artificialmente questo termine, ossia, ad esempio nelcaso dell’Esempio 8.17 con vincolo mobile come in (8.34),

2

∑h=1

∂Xl

∂qh

(q, t)ph ,

viene detto velocità virtuale. Questa coincide con la velocità corrispondentea vincoli ‘congelati’ nella loro posizione al tempo fissato t.

Osservazione 8.20. Il fatto che la velocità virtuale e ciascuna reazione vin-colare siano sempre ortogonali, nell’ipotesi che i vincoli siano lisci, implicache il lavoro virtuale che per definizione si ottiene integrando il prodottoscalare delle due si annulla; questo è un modo di riformulare l’ipotesi deilavori virtuali.

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CAPITOLO 9

Equazioni di Lagrange

9.1. Le equazioni di Lagrange

Notazione 9.1. In questa Sezione consideriamo un sistema di corpi rigidisoggetto a vincoli olonomi

(Ci, ρi, Si) | i = 1 , . . . , n ,

ciascuno dei quali è sottoposto alla distribuzione di forze dF i.

Teorema 9.2. Se il moto soddisfa l’ipotesi dei lavori virtuali, vale per ogni h ∈1 , . . . , ℓ

ddt

[∂Tl

∂qh(q(t), q(t), t)

]− ∂Tl

∂qh

(q(t), q(t), t) = Qh(q(t), q(t), t) , (9.1)

ove Tl è l’energia cinetica data dalla (7.10), mentre Qh è definita dalla (7.21).

Dimostrazione. A) Per l’ipotesi dei lavori virtuali, e per il Lemma 7.7, siha, per ogni h ∈ 1 , . . . , ℓ fissato,

n

∑i=1

Λ(Di)

[ ddt

vli (q(t), q(t), t; λ)

]· ∂Xl

i

∂qh

(q(t), t; λ)ρi(λ)dµi(λ)

=n

∑i=1

Λ∗i

dFli(q(t), q(t), t; λ) · ∂Xl

i

∂qh

(q(t), t; λ) = Qh(q(t), q(t), t) . (9.2)

B) Il membro di sinistra della (9.2) si può riscrivere, usando la regola diLeibniz, come

ddt

[ n

∑i=1

Λ(Di)

vli (q(t), q(t), t; λ) · ∂Xl

i

∂qh

(q(t), t; λ)ρi(λ)dµi(λ)]

−n

∑i=1

Λ(Di)

vli (q(t), q(t), t; λ) · d

dt

[∂Xli

∂qh

(q(t), t; λ)]

ρi(λ)dµi(λ)

=: J1 − J2 .

(9.3)

121

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122 DANIELE ANDREUCCI

C) Ricordando la (7.4), si ha

J1 =ddt

[ n

∑i=1

Λ(Di)

vli (q(t), q(t), t; λ) · ∂vl

i

∂qh(q(t), q(t), t; λ)ρi(λ)dµi(λ)

]

=ddt

[ ∂

∂qh

n

∑i=1

12

Λ(Di)

|vli (q(t), q(t), t; λ)|2 ρi(λ)dµi(λ)

]

=ddt

[∂Tl

∂qh(q(t), q(t), t)

].

(9.4)

Infine

J2 =n

∑i=1

Λ(Di)

vli (q(t), q(t), t; λ) ·

[ ℓ

∑k=1

∂2Xli

∂qh∂qk

qk(t) +∂2Xl

i

∂qh∂t

]ρi(λ)dµi(λ)

=n

∑i=1

Λ(Di)

vli (q(t), q(t), t; λ) · ∂

∂qh

[ ℓ

∑k=1

∂Xli

∂qk

qk(t) +∂Xl

i

∂t

]ρi(λ)dµi(λ) ,

ove le derivate parziali di Xli in parentesi [. . . ] si intendono calcolate in

(q(t), t; λ).A causa della (7.4) si ha dunque

J2 =n

∑i=1

Λ(Di)

vli (q(t), q(t), t; λ) · ∂vl

i

∂qh

(q(t), q(t), t; λ)ρi(λ)dµi(λ)

=∂

∂qh

12

n

∑i=1

Λ(Di)

|vli (q(t), q(t), t; λ)|2 ρi(λ)dµi(λ)

=∂Tl

∂qh

(q(t), q(t), t) .

(9.5)

Raccogliendo le (9.2)–(9.5) si ottiene la tesi (9.1).

Definizione 9.3. Le (9.1) si dicono equazioni di Lagrange.

Osservazione 9.4. Le equazioni di Lagrange sono state introdotte comeconseguenza dell’ipotesi dei lavori virtuali; vedremo nel Corollario 9.9che in realtà sono sufficienti a determinare il moto del sistema. Dunquel’ipotesi dei lavori virtuali determina il moto del sistema.

Esempio 9.5. Riprendiamo il problema dell’Esempio 5.23:Un elemento materiale P di massa m è vincolato alla superficie

x3 = f(√

x21 + x2

2

), f ∈ C3((0,+∞)) .

Su di esso agisce il peso −mge3. Il vincolo è liscio.Per confronto, stavolta ritroviamo le equazioni di moto come equazioni diLagrange.Scegliamo come coordinate lagrangiane r, ϕ, con r > 0 e ϕ ∈ (0, 2π), percui

XlP(r, ϕ) = (r cos ϕ, r sin ϕ, f (r)) .

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9.2. PROPRIETÀ DELL’ENERGIA CINETICA 123

La velocità di P è quindi

v = (r cos ϕ − rϕ sin ϕ, r sin ϕ + rϕ cos ϕ, r f ′(r)) ,

per cui l’energia cinetica risulta

T =12

m[r2(1 + f ′(r)2) + r2 ϕ2] . (9.6)

Le forze lagrangiane sono date da

Qr = −mge3 ·∂Xl

P

∂r= −mg f ′(r) , Qϕ = −mge3 ·

∂XlP

∂ϕ= 0 .

Le equazioni di moto sono quindi

ddt

[mr(1 + f ′(r)2)

]−

[mr2 f ′(r) f ′′(r) + mrϕ2] = −mg f ′(r) , (9.7)

ddt

[mr2 ϕ

]= 0 , (9.8)

che coincidono con quelle trovate nell’Esempio 5.23.

9.2. Proprietà dell’energia cinetica

Teorema 9.6. Vale

Tl(q, p, t) = Tl1 (q, p, t) + Tl

2 (q, p, t) ; (9.9)

qui Tl2 è la forma quadratica

12

∑h,k=1

ahk(q, t)ph pk , (9.10)

ove

ahk(q, t) :=n

∑i=1

Λ(Di)

∂Xli

∂qh

(q, t; λ)∂Xl

i

∂qk

(q, t; λ)ρi(λ)dµi(λ) . (9.11)

Invece Tl1 è un polinomio di primo grado nelle ph (a coefficienti dipendenti da q e

t).In particolare, se tutti i vincoli sono fissi, Tl

1 si annulla identicamente, e le ahk

non dipendono da t in modo esplicito (ossia, ne dipendono solo attraverso q).

Dimostrazione. Dalle definizioni (7.10) e (7.4) si ha

Tl(q, p, t) =12

n

∑i=1

Λ(Di)

∣∣∣∣∣ℓ

∑h=1

∂Xli

∂qh

(q, t; λ)ph +∂Xl

i

∂t(q, t; λ)

∣∣∣∣∣

2

ρi(λ)dµi(λ)

=12

n

∑i=1

Λ(Di)

∑h,k=1

∂Xli

∂qh

(q, t; λ)∂Xl

i

∂qk

(q, t; λ)ph pk

+ 2ℓ

∑h=1

∂Xli

∂qh

(q, t; λ)∂Xl

i

∂t(q, t; λ)ph

+[∂Xl

i

∂t(q, t; λ)

]2ρi(λ)dµi(λ) ,

(9.12)

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124 DANIELE ANDREUCCI

da cui segue subito la tesi.

Teorema 9.7. (Teorema fondamentale della meccanica lagrangia-na) La matrice (ahk) è simmetrica e definita positiva.

Dimostrazione. La simmetria ahk = akh è una conseguenza immediatadella definizione (9.11).Poi, dato che

Tl2 (q, p, t) =

12

n

∑i=1

Λ(Di)

∣∣∣∣∣ℓ

∑h=1

∂Xli

∂qh

(q, t; λ)ph

∣∣∣∣∣

2

ρi(λ)dµi(λ) , (9.13)

come segue da (9.12), è ovvio che la matrice (ahk) è almeno semidefinitapositiva.Supponiamo che

Tl2 (q, p, t) = 0 , (9.14)

per qualche valore (q, p, t). Dalla (9.13) segue allora che gli integrandi lìpresenti devono essere nulli sul dominio Λ(Di).In particolare, poiché ρi > 0 su Λ(Di),

∑h=1

∂Xli

∂qh

(q, t; λ)ph = 0 , (9.15)

per ogni i = 1, . . . , n, e per ogni λ ∈ Λ(Di).Ricordiamo dalle Sezioni 4.6 e 4.7 che, sia nel caso del corpo rigido nondegenere, che in quelli dell’asta rigida e del punto materiale, le coordinatelocali sono scelte come coordinate cartesiane di punti in Λ(Di), o comedifferenze di tali coordinate cartesiane: si vedano le Osservazioni 4.17 e6.5.Quindi tutte le nc coordinate locali del sistema vincolato (ξ j) appaiononelle (9.15), nelle componenti scalari cartesiane di opportuni moti Xl

i .Raccogliendo tutte le nc equazioni scalari così individuate, si ha un sistemalineare nelle ℓ incognite ph. Questo sistema, che denotiamo per chiarezzaS, si ottiene dal sistema

∑h=1

∂ξ j

∂qh

(q, t)ph = 0 , j = 1, . . . , nc (9.16)

sommandone alcune equazioni membro a membro, come segue dall’Os-servazione 4.17. Dunque la caratteristica dei due sistemi lineari è, come ènoto, la medesima.D’altronde la matrice dei coefficienti del sistema (9.16) è la matrice iaco-biana ( ∂ξ j

∂qh

)j=1,...,nc ; h=1,...,ℓ

(q, t) , (9.17)

che ha caratteristica massima (pari a ℓ). Quindi l’unica soluzione delsistema lineare omogeneo S è quella nulla

p = 0 .

Resta così dimostrato che Tl2 = 0 implica p = 0, e quindi la positività della

forma quadratica.

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9.2. PROPRIETÀ DELL’ENERGIA CINETICA 125

Corollario 9.8. Il sistema di equazioni differenziali (9.1), h = 1, . . . , ℓ, si puòscrivere nella forma normale

q = f (q, q, t) . (9.18)

Se i vincoli sono tutti fissi, si ha più in particolare

q = A(q(t))−1F(q, q, t) + g(q(t), q(t)) , (9.19)

ove F = (Qh), A = (ahk), e ciascun elemento del vettore g è una formaquadratica nelle q.

Dimostrazione. Osserviamo che ciascuna delle (9.1) si può scrivere come

ddt

[ ℓ

∑k=1

ahk(q(t), t)qk(t) +∂Tl

1∂qh

(q(t), t)]= fh(q(t), q(t), t) , (9.20)

ove si definisce

fh(q(t), q(t), t) :=∂Tl

∂qh

(q(t), q(t), t) + Qh(q(t), q(t), t) .

È essenziale che il termine∂Tl

1∂qh

(q(t), t)

non dipenda dalle q; questo è vero perché Tl1 è lineare nelle q. Infatti allora

le (9.20) si riscrivono come

∑k=1

ahk(q(t), t)qk

= −ℓ

∑k=1

ddt

[ahk(q(t), t)

]qk −

ddt

[∂Tl1

∂qh(q(t), t)

]+ fh(q(t), q(t), t) . (9.21)

Il termine di destra nella (9.21) dipende solo da q, q, t. D’altra parte, datoche la matrice (ahk) è definita positiva, ha determinante diverso da zero,e quindi le (9.21) costituiscono un sistema lineare nelle incognite q, la cuimatrice dei coefficienti è non singolare. Per la regola di Cramer, seguesubito la (9.18).Se infine i vincoli sono tutti fissi, Tl

1 = 0, e dalla definizione delle fh segueche

∑k=1

ahk(q(t))qk

=ℓ

∑k,j=1

[∂akj

∂qh

(q(t))− ∂ahk

∂qj

(q(t))]

qj qk + Qh(q(t), q(t), t) . (9.22)

Risolvendo le (9.22) rispetto a q segue la (9.19).

Dai teoremi elementari sulle e.d.o. si ha allora

Corollario 9.9. Se la f di (9.18) è continua in tutte le variabili e di classe C1

in (q, q), il problema di Cauchy per (9.18) ha un’unica soluzione locale.

Le ipotesi di regolarità del Corollario 9.9 sono verificate se per esempio leXl

j e le Qh sono di classe C3.

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126 DANIELE ANDREUCCI

Osservazione 9.10. Il fatto che il sistema delle equazioni di Lagrange pos-sa essere normalizzato implica che si possono definire per il sistema, ap-punto in tale forma normalizzata, i concetti di punti di equilibrio e distabilità visti nel Capitolo 1.

9.3. Condizioni iniziali; atti di moto.

Nel formalismo lagrangiano le condizioni iniziali per le equazioni di moto,ossia per il sistema (9.18), si riducono con estrema immediatezza a

q(0) = q0 ∈ Q , q(0) = q0 ∈ Rℓ . (9.23)

Questo (che è uno dei vantaggi dell’uso delle coordinate lagrangiane) av-viene perché la parametrizzazione lagrangiana tiene conto per costruzionedi tutti i vincoli. Questa stessa proprietà è condivisa dalle coordinate localiindipendenti, che in sostanza sono per definizione una possibile scelta dicoordinate lagrangiane.I valori iniziali espressi in coordinate locali ξ(0) e ξ(0) invece non possonoessere scelti in modo indipendente come osservato nella Sezione 4.3.Usando la parametrizzazione lagrangiana denotiamo

F =( ∂ f j

∂ξk

), G =

(∂ξlj

∂qh

).

Allora vale

ξ(t) = G(t)q(t) +∂ξl

∂t, (9.24)

che permette di trovare l’atto di moto espresso nelle ξ noto che sia nelle q,in ogni istante e quindi anche all’istante iniziale.

Definizione 9.11. Il vettore q(t) in (9.24) è detto atto di moto lagrangianodel sistema olonomo.

Il sistema (4.7) si può riscrivere come

F ξ = FG q +F∂ξl

∂t= −

(∂ f j

∂t

), (9.25)

che del resto si ottiene anche derivando direttamente per ogni j ∈ 1, . . . , mf j

(ξl(q(t), t), t

)= 0 , t ∈ I .

9.4. Sistemi di riferimento mobili. Le forze fittizie.

Consideriamo un sistema di corpi rigidi come nella Sezione 9.1.Nelle ipotesi del Teorema 9.2, ossia in sostanza se vale l’ipotesi dei lavorivirtuali, si ricavano le equazioni di Lagrange (9.1).Qui esaminiamo le conseguenze su queste equazioni di un cambiamentodi sistema di riferimento.

Notazione 9.12. Introduciamo dunque un sistema di riferimento mobileS = (XO, uh). Si noti in particolare che questo nuovo sistema di riferi-mento è lo stesso per tutti i corpi rigidi del sistema olonomo, ossia nondipende da i. Supponiamo inoltre che sia XO che la velocità angolare ωdella terna (uh) siano assegnate come funzioni del tempo.

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9.4. SISTEMI DI RIFERIMENTO MOBILI. LE FORZE FITTIZIE. 127

È chiaro che per le velocità e accelerazioni relative a S si possono ottene-re rappresentazioni analoghe a quelle della Sezione 7.1. Tuttavia è faci-le intuire che le equazioni di moto devono essere diverse nel sistema diriferimento fisso e in quello mobile.

Teorema 9.13. Vale per ogni h ∈ 1 , . . . , ℓddt

[∂TlS

∂qh(q(t), q(t), t)

]− ∂Tl

S∂qh

(q(t), q(t), t) = QhS (q(t), q(t), t) , (9.26)

ove TlS è l’energia cinetica in S , mentre QhS è definita dalla

QhS =n

∑i=1

Λ∗i

∂Xli

∂qh

·[

dFli − al

t iρi(λ)dµi(λ)− alciρi(λ)dµi(λ)

]. (9.27)

Qui alti e al

ci indicano le accelerazioni di trascinamento e di Coriolis in S .

Dimostrazione. Secondo la (2.36) si ha, per ogni i = 1, . . . , n,

ali = al

ti + alci + al

S i . (9.28)

Usando l’ipotesi dei lavori virtuali (8.11) si ottiene dunque, sostituendo la(9.28),

n

∑i=1

Λ∗i

dFli ·

∂Xli

∂qh

=n

∑i=1

Λ∗i

ali ρi(λ) ·

∂Xli

∂qh

dµi(λ)

=n

∑i=1

Λ∗i

[al

ti + alci + al

S i

]ρi(λ) ·

∂Xli

∂qh

dµi(λ) ,

da cui le (9.26) seguono secondo la stessa dimostrazione del Teorema 9.2.

Osservazione 9.14. Nella (9.27) gli argomenti delle varie funzioni sonostati omessi per semplicità, ma è bene notare in modo esplicito che nelleipotesi stabilite all’inizio della Sezione anche le al

ti e alci, oltre che le dFl

i,risultano funzioni di (q, q, t) (e non di q), il che giustifica la notazione in(9.26). Si veda infatti la Definizione 2.37.

Consideriamo di seguito alcuni casi in cui l’accelerazione di Coriolis dàcontributo nullo alle equazioni di Lagrange.

Metodo 9.15. (Moto relativo funzione di una sola coordinata la-grangiana) È il caso in cui

Xli (q, t; λi) = XO(t) +

3

∑j=1

yij(q; λi)uj(t) , q ∈ Q ⊂ R . (9.29)

Nella (9.26) si ha

alci ·

∂Xli

∂q= 2[ω × vl

S i] ·∂Xl

i

∂q. (9.30)

D’altronde,

vlS i =

3

∑j=1

ddt

[yi

j(q; λi)]uj(t) = q

3

∑j=1

∂yij

∂q(q; λi)uj(t) = q

∂Xli

∂q(q, t; λi) ,

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128 DANIELE ANDREUCCI

e quindi vlS i e ∂Xl

i∂q sono paralleli. Ne segue dalla (9.30) che

alci ·

∂Xli

∂q= 0 .

Esempio 9.16. Punto vincolato a una curva solidale con S .Sia γ una curva solidale con S , parametrizzata dall’ascissa curvilinea

ψ(s, t) = XO(t) +3

∑j=1

ψSj (s)uj(t) , s ∈ J .

Se il punto P è vincolato a γ si può usare s come coordinata lagrangiana,cosicché

Xl(s, t) = ψ(s, t) .Come già visto,

vlS = s(t)

∂Xl

∂s,

e

alc ·

∂Xl

∂s= 2[ω × vl

S ] ·∂Xl

∂s= 2s(t)

[ω × ∂Xl

∂s

]· ∂Xl

∂s= 0 .

Metodo 9.17. (Piano ruotante intorno a un asse che giace sul piano

medesimo) Supponiamo qui che

ω(t) = ω(t)u3(t) , u3(t) = e3 , t ∈ I ,

e che O sia fisso, coincidente con l’origine del sistema di riferimento fisso.Dunque il moto di S è una rotazione (non uniforme, in genere) intornoall’asse fisso per O parallelo a e3. Sia Π(t) il piano passante per O e nor-male a u1(t); quindi Π(t) ruota intorno all’asse (solidale con S) passanteper O e parallelo a u3, che giace su Π(t).Supponiamo che i rigidi giacciano su Π(t), cosicché per ogni i = 1, . . . , n,

Xli (q, t; λi) = yi

2(q; λi)u2(t) + yi3(q; λi)u3(t) . (9.31)

Quindi per h = 1, . . . , ℓ,

∂Xli

∂qh

=∂yi

2∂qh

u2 +∂yi

3

∂qh

u3 ,

e

vlS i =

3

∑j=2

[ ℓ

∑h=1

∂yij

∂qh

qh

]uj .

Si noti che, come prevedibile, ∂Xli

∂qhe vl

S i giacciono su Π(t) e quindi sonoortogonali a u1(t).Perciò, per h = 1, . . . , ℓ e per ogni i = 1, . . . , n,

alci ·

∂Xli

∂qh

= 2[ω × vlS i] ·

∂Xli

∂qh

= −2ω(t)[ ℓ

∑k=1

∂yi2

∂qk

qk

]u1 ·

∂Xli

∂qh

= 0 .

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9.4. SISTEMI DI RIFERIMENTO MOBILI. LE FORZE FITTIZIE. 129

Esempio 9.18. Un piano mobile Π(t) ha equazione nel sistema di riferi-mento fisso (O, ei)

x1 cos ωt + x2 sin ωt + x3 = 0 .

Si tratta dunque di un piano passante per l’origine e con normale

ν =1√2(cos ωt, sin ωt, 1) .

Un punto materiale P di massa m è vincolato a Π(t) e sottoposto alla forzapeso, diretta nel verso negativo dell’asse x3.Scriviamo le equazioni di Lagrange del punto nel sistema di riferimentomobile S = (O, ui), ove

u1(t) =1√2(− cos ωt,− sin ωt, 1) ,

u2(t) = (sin ωt,− cos ωt, 0) ,

u3(t) = ν(t) .

Quindi (u1(t), u2(t)) è una base di Π(t), per ogni fissato t.Applicando l’espressione delle componenti della velocità angolare ω diS in funzione delle derivate dei versori ui (si veda la dimostrazione delLemma 2.19) si ottiene subito

ω(t) =ω√

2(u1 + u3) = ωe3 .

Quindi il moto di S è una rotazione costante.Scegliamo come coordinate lagrangiane x, y ∈ R tali che

−→OP = xu1 + yu2 .

Nel sistema di riferimento mobile agiscono su P oltre alla forza peso leforze fittizie di trascinamento Ft e di Coriolis Fc. Si ha

Ft = −mω × [ω ×−→OP] = mω2

x

2u1 + yu2 −

x

2u3

,

cosicché le corrispondenti componenti lagrangiane delle forze sono

Ft ·∂Xl

∂x= Ft · u1 = mω2 x

2,

Ft ·∂Xl

∂y= Ft · u2 = mω2y .

Inoltre

Fc = −2mω × vS = −mω√

2(u1 + u3)× (xu1 + yu2)

= mω√

2(yu1 − xu2 − yu3) ,

cosicché le corrispondenti componenti lagrangiane delle forze sono

Fc ·∂Xl

∂x= Fc · u1 = mω

√2y ,

Fc ·∂Xl

∂y= Fc · u2 = −mω

√2x .

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130 DANIELE ANDREUCCI

Infine, per quanto riguarda la forza peso,

Fpeso ·∂Xl

∂x= −mge3 · u1 = −mg√

2,

Fpeso ·∂Xl

∂y= −mge3 · u2 = 0 .

L’energia cinetica è

TS =m

2(x2 + y2) .

Dunque le equazioni di Lagrange sono

mx = mω2 x

2+ mω

√2y − mg√

2,

my = mω2y − mω√

2x .

9.4.1. Moto su una sfera in un sistema di riferimento ruotante. Consi-deriamo un punto P di massa m vincolato alla superficie sferica di raggioR > 0 e centro l’origine del sistema di riferimento fisso. Sul punto nonsono applicate forze.Questo è un caso particolare dell’Esempio 8.2, in cui prendiamo F = 0.

Osservazione 9.19. Con la notazione dell’Esempio 8.2, si può sempre as-sumere, scegliendo opportunamente le coordinate lagrangiane ϕ, θ, che lecondizioni iniziali siano

ϕ(0) = ϕ0 ∈ (−π, π) , θ(0) =π

2, ϕ(0) = ϕ0 ∈ R , θ(0) = 0 . (9.32)

Le (8.8)–(8.9) allora implicano subito che il moto si riduce a un moto cir-colare uniforme sulla circonferenza (massima) θ = π/2, o alla quiete.

Qui vogliamo scrivere le equazioni di moto in un sistema di riferimentoruotante S = (O, uh), ove

u1(t) = cos(ωt)e1 + sin(ωt)e2 ,

u2(t) = − sin(ωt)e1 + cos(ωt)e2 ,

u3(t) = e3 ,

con ω > 0 costante, e O coincidente con l’origine del sistema di riferimentofisso (e quindi con il centro della sfera). La velocità angolare di S è

ω(t) = ωe3 = ωu3(t) .

Il moto sarà

Xl(ϕ, θ, t) = R cos ϕ sin θu1(t) + R sin ϕ sin θu2(t) + R cos θu3(t) , (9.33)

secondo l’usuale parametrizzazione di una superficie sferica con

ϕ ∈ (−π, π) , θ ∈ (0, π) .

Tuttavia le coordinate lagrangiane ϕ, θ hanno qui un significato diverso daquello che avevano sopra (nella notazione dell’Esempio 8.2): infatti per ϕ,θ costanti, il punto risulta fermo non nel sistema di riferimento fisso, mainvece in quello mobile S .

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9.4. SISTEMI DI RIFERIMENTO MOBILI. LE FORZE FITTIZIE. 131

Inoltre, ora le curve di livello θ = costante (i ‘paralleli’) non sono più scelteortogonali a una direzione arbitraria (il che aveva condotto alla possibilitàdi scrivere la (9.32)), ma piuttosto ortogonali alla direzione (fissata) di ω,cioè dell’asse di rotazione.Scriviamo le equazioni di Lagrange in S ; la velocità è data da

vS = ϕ∂Xl

∂ϕ+ θ

∂Xl

∂θ, (9.34)

ove∂Xl

∂ϕ= −R sin ϕ sin θu1(t) + R cos ϕ sin θu2(t) ,

∂Xl

∂θ= R cos ϕ cos θu1(t) + R sin ϕ cos θu2(t)− R sin θu3(t) .

Si noti che∂Xl

∂ϕ· ∂Xl

∂θ= 0 .

Dunque un conto diretto dà

TS =12

m|vS |2 =12

mR2[ϕ2 sin2 θ + θ2] . (9.35)

Restano da valutare le componenti lagrangiane delle forze, che si riducononel caso presente a quelle delle forze fittizie, secondo la (9.27).Di nuovo, calcoli diretti danno

Fc = −2m[ωu3 ×

∂Xl

∂ϕ+ θ

∂Xl

∂θ

)]

= 2mωR[(ϕ cos ϕ sin θ + θ sin ϕ cos θ)u1

+ (ϕ sin ϕ sin θ − θ cos ϕ cos θ)u2]

,

(9.36)

da cui

Fc ·∂Xl

∂ϕ= −mωR2θ sin(2θ) , (9.37)

Fc ·∂Xl

∂θ= mωR2 ϕ sin(2θ) . (9.38)

Inoltre, visto che

Ft = −mω × [ω × Xl] = mω2R sin θ[cos ϕu1 + sin ϕu2] , (9.39)

si ha

Ft ·∂Xl

∂ϕ= 0 , (9.40)

Ft ·∂Xl

∂θ=

12

mω2R2 sin(2θ) . (9.41)

Si verifica quindi che le equazioni di Lagrange sono

ϕ sin2 θ = −θ(ϕ + ω) sin(2θ) , (9.42)

θ =12(ϕ + ω)2 sin(2θ) . (9.43)

I seguenti esercizi si riferiscono alle equazioni di moto nel sistema diriferimento ruotante.

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CAPITOLO 10

Equazioni di Lagrange nel caso conservativo

10.1. La funzione lagrangiana

Notazione 10.1. In questa Sezione assumeremo sempre che il sistema dicomponenti lagrangiane delle forze Qhℓh=1 sia conservativo.

Definizione 10.2. Se il sistema di componenti lagrangiane delle forzeQhℓh=1 è conservativo, nel senso della Definizione 7.20, si definisce fun-zione lagrangiana del sistema (Ci, ρi, Si)n

i=1 la funzione L definita da

L(q, p, t) := Tl(q, p, t) + Ul(q, t) . (10.1)

Qui q ∈ Q, q ∈ Rℓ, t ∈ I.

Teorema 10.3. Se il sistema di componenti lagrangiane delle forze Qhℓh=1 èconservativo, le equazioni di Lagrange (9.1) si possono riscrivere come

ddt

[ ∂L∂qh

(q, q, t)]− ∂L

∂qh

(q, q, t) = 0 , (10.2)

per h = 1, . . . , ℓ.

Dimostrazione. Basta partire dalle (9.1), usare la definizione di L, e os-servare che

∂L∂qh

(q, q, t) =∂Tl

∂qh(q, q, t) . (10.3)

Osservazione 10.4. Se i vincoli sono fissi, e le distribuzioni di forze dF i

sono conservative nel senso della Definizione 7.17, la L non dipende espli- ≀≀citamente dal tempo, ossia

∂L∂t

(q, q, t) = 0 ,

per ogni q ∈ Q, q ∈ Rℓ, t ∈ I. Questo segue dall’Osservazione 7.24 e dalTeorema 9.6.

Esempio 10.5. Riprendiamo il problema degli Esempi 5.23 e 9.5, ricavandole equazioni di Lagrange mediante la funzione lagrangiana; il potenzialein forma lagrangiana è

Ul(r, ϕ) = −mg f (r) ,

per cui ricordando la forma dell’energia cinetica ottenuta in (9.6) si ottiene

L(r, ϕ, r, ϕ) =12

m[r2(1 + f ′(r)2) + r2 ϕ2]− mg f (r) ,

da cui si ritrovano mediante le (10.2) le equazioni di moto (9.7)–(9.8).

133

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134 DANIELE ANDREUCCI

10.1.1. Conservazione dell’energia.

Definizione 10.6. Definiamo la funzione hamiltoniana

H(q, p, t) =ℓ

∑h=1

∂L∂qh

(q, p, t)ph −L(q, p, t) , (10.4)

per q ∈ Q, p ∈ Rℓ, t ∈ I.

Lemma 10.7. Se q ∈ C2(I) è una soluzione delle equazioni di Lagrange, allora

ddt

H(q, q, t) = −∂L∂t

(q, q, t) , t ∈ I . (10.5)

Nella (10.5) è sottintesa la dipendenza di q e q da t.Si osservi in particolare che i due membri di (10.5) non dipendono da q.

Dimostrazione. Si calcola, usando le (10.2),

ddt

H =ℓ

∑h=1

ddt

[ ∂L∂qh

]qh +

∂L∂qh

qh −∂L∂qh

qh −∂L∂qh

qh

− ∂L

∂t

=ℓ

∑h=1

∂L∂qh

qh −∂L∂qh

qh

− ∂L

∂t= −∂L

∂t.

Proposizione 10.8. Assumiamo che i vincoli siano fissi. Allora

H(q, p, t) = Tl(q, p)− Ul(q, t) . (10.6)

Dimostrazione. Intanto osserviamo che per le ipotesi e per il Teorema 9.6Tl non dipende esplicitamente dal tempo. Dunque dalla definizione (10.4)segue

H =ℓ

∑h=1

∂L∂qh

ph −L =ℓ

∑h=1

∂Tl

∂qhph − Tl − Ul

=ℓ

∑h,k=1

ahk(q)ph pk −12

∑h,k=1

ahk(q)ph pk − Ul

=12

∑h,k=1

ahk(q)ph pk − Ul = Tl − Ul .

La Proposizione 10.8 insieme con un’opportuna ipotesi di conservativitàdelle forze implica la conservazione dell’energia, come segue dal prossimorisultato.

Teorema 10.9. (Conservazione dell’energia) Assumiamo che le distribu-zioni di forze dF i siano conservative nel senso della Definizione 7.17 e che i vincolisiano fissi. Sia q ∈ C2(I) una soluzione delle equazioni di Lagrange. Allora Hnon dipende esplicitamente dal tempo, ed esiste una costante E tale che

H(q(t), q(t)) = Tl(q(t), q(t))− Ul(q(t)) = E , t ∈ I . (10.7)

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10.1. LA FUNZIONE LAGRANGIANA 135

Dimostrazione. Per la Proposizione 10.8, per il Lemma 10.7 e per l’Os-servazione 10.4 si ha

ddt

[Tl − Ul

]=

ddt

H = −∂L∂t

= 0 , t ∈ I .

10.1.2. Stabilità dell’equilibrio.

Teorema 10.10. Assumiamo che le distribuzioni di forze dF i siano conservativenel senso della Definizione 7.17, che i vincoli siano fissi, che qeq ∈ Q sia un punto

di massimo isolato per Ul.Allora qeq è un punto di equilibrio stabile.

Dimostrazione. Richiamata l’Osservazione 9.10, notiamo che dalla (9.19)segue che, in vista della

(Qh(qeq)) = ∇Ul(qeq) = 0 ,

il punto qeq è in effetti di equilibrio.La funzione

W = H+ Ul(qeq)

è una funzione di Liapunov per il sistema delle equazioni di Lagrange,nel senso della Definizione 1.19, ove si ricordi anche l’Osservazione 1.20.Infatti la regolarità segue dalle ipotesi generali stipulate. La positivitàsegue dal fatto che Ul(q) < Ul(qeq) per ogni q 6= qeq in un intornoopportuno di qeq, oltre che dal Teorema 9.7, come mostrato in sostanzanella dimostrazione del Teorema 1.26. Infine la proprietà di monotonialungo le soluzioni del sistema differenziale è implicata dal Teorema 10.9.Dunque si applica il Teorema 1.21 e se ne deduce la stabilità cercata.

10.1.3. Le coordinate cicliche e i relativi integrali primi.

Definizione 10.11. Una coordinata lagrangiana qh si dice ciclica o ignora-bile se

∂L∂qh

(q, p, t) = 0 , (10.8)

per ogni valore di q ∈ Q, p ∈ Rℓ, t ∈ I.

Proposizione 10.12. Se qh è una coordinata ciclica, allora vale l’integrale primodel moto:

∂L∂qh

(q(t), q(t), t) =∂L∂qh

(q(0), q(0), 0) , t ∈ I . (10.9)

Dimostrazione. Ovvia per le equazioni di Lagrange (10.2).

Esempio 10.13. Tornando all’Esempio 9.5, si ha che la ϕ è una coordinataciclica; in corrispondenza secondo la Proposizione 10.12 si ha l’integraleprimo

∂L∂ϕ

(r(t), ϕ(t), r(t), ϕ(t)) = mr2 ϕ = costante ,

come del resto seguiva subito dalla (9.8).

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136 DANIELE ANDREUCCI

10.2. Piccole oscillazioni

Notazione 10.14. Supponiamo qui che i vincoli siano tutti fissi e che ilsistema di componenti lagrangiane delle forze sia conservativo nel sensodella Definizione 7.20.

Sia qeq ∈ Q un punto di equilibrio stabile, ove

∇Ul(qeq) = 0 , (10.10)

D2Ul(qeq) sia definita negativa. (10.11)

Allora il potenziale Ul in un intorno di qeq si può approssimare con il suopolinomio di Taylor di secondo grado

U∗(q) = Ul(qeq) +12(q − qeq)

tD2Ul(qeq)(q − qeq)

= Ul(qeq) +12

∑h,k=1

∂2Ul

∂qh∂qk

(qeq)(qh − qeqh)(qk − qeqk

) .(10.12)

A sua volta l’energia cinetica si può approssimare con

T∗(q) = Tl(qeq, q) =12

∑h,k=1

ahk(qeq)qh qk . (10.13)

Nel seguito assumeremo che

qeq = 0 ,

eUl(qeq) = 0 ,

il che si può sempre ottenere con ovvie traslazioni. Posto

Uhk =∂2Ul

∂qh∂qk

(0) , U = (Uhk) , A = (ahk(0)) ,

avremo quindi

U∗(q) =12

qtUq =12

∑h,k=1

Uhkqhqk , (10.14)

T∗(q) =12

qtAq =12

∑h,k=1

ahk(0)qh qk . (10.15)

Definizione 10.15. Si definisce lagrangiana ridotta la funzione

L∗(q, q) = T∗(q) + U∗(q) , q , q ∈ Rℓ . (10.16)

Si definiscono piccole oscillazioni i moti relativi alla lagrangiana ridotta,ossia le soluzioni delle

ddt

∂L∗

∂qh− ∂L∗

∂qh

= 0 , h = 1, . . . , ℓ , (10.17)

che si dicono equazioni delle piccole oscillazioni.

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10.2. PICCOLE OSCILLAZIONI 137

Osservazione 10.16. Il sistema differenziale (10.17), ricordando le (10.14),(10.15), si può riscrivere come

∑k=1

[ahk qk − Uhkqk

]= 0 , h = 1, . . . , ℓ , (10.18)

ove si sottintende ahk = ahk(0). Si tratta dunque di un sistema lineare delsecondo ordine a coefficienti costanti. In forma vettoriale

Aq − Uq = 0 . (10.19)

Teorema 10.17. Esistono coordinate lagrangiane λ ∈ Rℓ tali che in questecoordinate le (10.17) assumono la forma

λh + ω2hλh = 0 , h = 1, . . . , ℓ , (10.20)

per opportuni reali ωh > 0, e la L∗ assume la forma

L∗(λ, λ) =12

∑h=1

[λ2

h − ω2hλ2

h

]. (10.21)

Dimostrazione. È chiaro che la (10.20) segue dalla (10.21), quindi baste-rà dimostrare quest’ultima, il che si riduce a diagonalizzare due formequadratiche con il medesimo cambiamento di variabili.A) Diagonalizziamo A. Essendo questa una matrice simmetrica, per ilLemma 6.26 esiste una matrice B con

BBt = BtB = I ,

tale cheBtAB = diag(α1, . . . , αℓ) .

Gli scalari αh devono essere positivi, perché A è definita positiva: perh ∈ 1, . . . , ℓ

αh = eht(BtAB)eh = (Beh)

tA(Beh) > 0 .

B) Normalizziamo T∗. Definiamo nuove (provvisorie) coordinate µ ∈ Rℓ,mediante la

q = BN µ ,

con

N = diag( 1√

α1, . . . ,

1√αℓ

).

Allora

12

qtAq =12

µtN tBtABN µ =

12

µtN diag(α1, . . . , αℓ)N µ =12

µtI µ =12|µ|2 . (10.22)

C) Diagonalizziamo U . Nelle coordinate µ la U∗ diviene

12

µtN tBtUBN µ =:12

µtDµ . (10.23)

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138 DANIELE ANDREUCCI

Si verifica subito che D è simmetrica, perché U lo è:

Dt = (N tBtUBN )t= N tBtU tBN = D .

Si può quindi ancora invocare il Lemma 6.26 per trovare una matrice Ctale che

CCt = CtC = I ,e che

CtDC = diag(β1, . . . , βℓ) .Gli scalari βh devono essere negativi, perché U è definita negativa: perh ∈ 1, . . . , ℓ

βh = eht(CtDC)eh = eh

tCtN tBtUBNCeh =

(BNCeh)tU (BNCeh) < 0 .

Possiamo quindi scrivereβh = −ω2

h ,con ωh > 0.D) Cambiamento finale di coordinate. Le nuove coordinate lagrangianesaranno date da

µ = Cλ ,ossia

λ = Ctµ = CtN −1Btq .In queste coordinate la U∗ è data da (vedi la (10.23))

12

λtCtDCλ =12

λt diag(−ω21, . . . ,−ω2

ℓ)λ = −12

∑h=1

ω2hλ2

h .

Inoltre, per la (10.22), la T∗ diviene

12|µ|2 =

12

µtµ =12

λtCtCλ =

12

λtI λ =

12|λ|2 .

Definizione 10.18. Le coordinate λh si dicono coordinate normali. Le ωh/2πsi dicono frequenze normali.

Osservazione 10.19. Le frequenze normali si possono determinare anchesenza operare di fatto le trasformazioni di coordinate viste nella dimostra-zione del Teorema 10.17.Cerchiamo soluzioni del sistema (10.17) che abbiano frequenza ω/2π,ossia che abbiano la forma

q(t) = x cos(ωt) (10.24)

per un’opportuna scelta del vettore costante x ∈ Rℓ, x 6= 0. Una sostitu-zione diretta di quest’espressione nella (10.19) conduce a

−(ω2A+ U )x cos(ωt) = 0 ,

che, a causa della x 6= 0, può valere solo se

det(ω2A+ U ) = 0 . (10.25)

La (10.25) ha per soluzioni i quadrati delle ωh, h = 1, . . . , ℓ.

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10.2. PICCOLE OSCILLAZIONI 139

Esempio 10.20. Scriviamo la lagrangiana ridotta (intorno all’unica posizio-ne di equilibrio stabile) per un punto P di massa m vincolato all’ellissoide

x2

a2 +y2

b2 +z2

c2 = 1 ,

e sottoposto alla forza peso, che agisce nel verso negativo dell’asse z.Scegliamo come coordinate lagrangiane

(x, y) ∈x2

a2 +y2

b2 < 1

.

Allora il moto del punto è dato da

Xl(x, y) = xe1 + ye2 − c

√1 − x2

a2 − y2

b2 e3 .

Il potenziale della forza peso è quindi

Ul(x, y) = −mg(z(x, y) + c) = mgc

√1 − x2

a2 − y2

b2 − mgc .

Vale∇Ul(0, 0) = 0 ,

quindi il punto (0, 0,−c) corrisponde a una posizione di equilibrio.I calcoli mostrano che

D2Ul(0, 0) =(−mgc

a2 00 −mgc

b2

),

è definita negativa, e quindi (0, 0,−c) è una posizione di equilibrio stabilein cui si può definire la lagrangiana ridotta.In particolare

U∗(x, y) = −12

mgc( x2

a2 +y2

b2

).

Troviamo poi l’energia cinetica. La velocità del punto è data da

v = xe1 + ye2 + c(

1 − x2

a2 − y2

b2

)− 12( xx

a2 +yy

b2

)e3 .

Quindi

Tl(x, y, x, y) =12

m[

x2 + y2 + c2(

1 − x2

a2 − y2

b2

)−1( xx

a2 +yy

b2

)2],

e l’energia cinetica ridotta è

T∗(x, y) =12

m(x2 + y2) .

Pertanto la lagrangiana ridotta è

L∗(x, y, x, y) =12

m(x2 + y2)− 12

mgc( x2

a2 +y2

b2

).

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140 DANIELE ANDREUCCI

10.3. Funzioni lagrangiane diverse che conducono alle stesse equazionidi Lagrange.

È possibile che due funzioni lagrangiane diverse conducano alle stesseequazioni di moto.

Teorema 10.21. Se le due funzioni lagrangiane L1 e L2 soddisfano

L2(q, q, t) = L1(q, q, t) +ddt

F(q, t) , (10.26)

con F ∈ C2(Rℓ+1), allora conducono alle stesse equazioni di Lagrange.

Dimostrazione. Anzitutto si noti che la (10.26) si può riscrivere come

L2 = L1 +ℓ

∑k=1

∂F

∂qk

qk +∂F

∂t.

Si ha quindi per h = 1, . . . , ℓ:

ddt

[ ∂

∂qh(L2 −L1)

]− ∂

∂qh

(L2 −L1) =

ddt

[ ∂F

∂qh

]−

∑k=1

∂2F

∂qk∂qh

qk −∂2F

∂t∂qh

= 0 ,

ove si è applicato il teorema di derivazione di funzioni composte.

Esempio 10.22. Sia (O, (ei)) il sistema di riferimento fisso, e sia−→OP = x1e1 + x3e3 ,

ove P è un punto di massa m. P è vincolato a una circonferenza di raggioR e centro A, giacente sul piano x2 = 0.A sua volta, A è vincolato ad appartenere all’asse x3, ma è mobile su taleasse, con moto −→

OA = −ct2e3 ,con c costante positiva.Su P agisce la forza peso

−mge3 .Scriviamo le equazioni di Lagrange di P.A) Prima usiamo il sistema di riferimento fisso. Scegliamo come coordi-nata lagrangiana l’angolo ϕ tra

−→AP e e1. Indichiamo anche

z(t) = −ct2 .

Dunque −→OP = (R cos ϕ, 0, z(t) + R sin ϕ) .

Dato che le forze sono conservative con potenziale

U = −mgx3 ,

si può scrivere

L1 =12

m|v|2 − mgx3 .

Mav = (−Rϕ sin ϕ, 0, z(t) + Rϕ cos ϕ) ,

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10.3. LAGRANGIANE EQUIVALENTI 141

e pertanto|v|2 = z(t)2 + R2 ϕ2 + 2Rz(t)ϕ cos ϕ .

Perciò

L1 =12

m[z(t)2 + R2 ϕ2 + 2Rz(t)ϕ cos ϕ

]− mgz(t) − mgR sin ϕ .

Il sistema ha un grado di libertà, quindi le equazioni di Lagrange si ridu-cono alla

ddt

m[R2 ϕ + Rz(t) cos ϕ

]+ mRz(t)ϕ sin ϕ + mgR cos ϕ = 0 .

B) Ricalcoliamo la lagrangiana nel sistema di riferimento mobile S =(A, ei).La coordinata lagrangiana è ancora la ϕ come sopra. Si ha

−→AP = (R cos ϕ, 0, R sin ϕ) ,

e quindi

TS =12

mR2 ϕ2 .

Sul punto agiscono il peso e la forza di trascinamento

Ft = −maA = 2ce3 .

Quindi il potenziale delle forze applicate a P è

US = m(2c − g)x3 .

Pertanto la lagrangiana risulta ora

L2 =12

mR2 ϕ2 + m(2c − g)R sin ϕ .

Si noti che

L2 −L1 = −12

m(z(t)2 + 2Rz(t)ϕ cos ϕ) + mgz(t) + 2mcR sin ϕ

= −12

mz(t)2 + mgz(t)− mR(z(t)ϕ cos ϕ + z(t) sin ϕ)

=ddt

t∫

0

− 1

2mz(τ)2 + mgz(τ)

dτ +

ddt

mR[z(t) sin ϕ

],

e quindi le due lagrangiane differiscono per una derivata totale nel tempo,come nel Teorema 10.21.

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CAPITOLO 11

Moti di un rigido con un punto fisso

Notazione 11.1. In questo capitolo consideriamo un corpo rigido nondegenere (C, ρ, S), con un punto fisso O. Ricordiamo che questo tipo dimoto viene definito polare.Il punto fisso O verrà assunto sia come origine del sistema di riferimentofisso che di quello solidale; ossia assumeremo

XO(t) = 0 , per ogni t.

Salvo indicazione contraria, si assumerà O come polo per il tensore d’iner-zia σ, e per i momenti delle quantità di moto e delle forze.Le coordinate lagrangiane q = (q1, q2, q3) saranno quindi (localmente) incorrispondenza biunivoca con le posizioni della terna ortonormale solidale(uh); denotiamo le corrispondenti funzioni Q → R3 come

q 7→ ulh(q) .

11.1. Le equazioni di Eulero

Corollario 11.2. Vale per ogni moto polare

σω + ω × σω = Mext . (11.1)

In forma scalare, assumendo che la terna (uh) sia principale d’inerzia, e ponendo

ωh = ω · uh , Mexth = Mext · uh ,

la (11.1) diviene

I11ω1 = (I22 − I33)ω2ω3 + Mext1 , (11.2)

I22ω2 = (I33 − I11)ω1ω3 + Mext2 , (11.3)

I33ω3 = (I11 − I22)ω1ω2 + Mext3 . (11.4)

La (11.1), e le (11.2)—(11.4), si dicono equazioni di Eulero.

Dimostrazione. Derivando nel tempo la (6.18) con Z = O si ha

dLO

dt=

d(σω)

dt=

[d(σω)

dt

]

M+ ω × σω . (11.5)

Inoltre (si veda la Definizione 2.14)[

d(σω)

dt

]

M=

[ddt

3

∑h,h=1

Ihkωk(t)uh(t)

]

M=

3

∑h,h=1

Ihkωk(t)uh(t) = σω .

(11.6)Combinando la (11.5) e la (11.6), e ricordando il Teorema 8.11, segue la tesi(11.1).

143

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144 DANIELE ANDREUCCI

Osservazione 11.3. Dalla definizione di ω segue subito che ω si può espri-mere in funzione delle q e q. La stessa cosa vale per le Mext

h . Quindi, in ge-nere, il sistema (11.2)—(11.4) è un sistema del secondo ordine nelle q (peril quale si può dimostrare un teorema di esistenza e unicità di soluzioni,una volta prescritti i dati iniziali q(0) e q(0)).Tuttavia, in alcuni casi risulta possibile e conveniente considerarlo unsistema del primo ordine nelle ωh.

Osservazione 11.4. In un moto polare vale la (6.23), che in virtù delTeorema 6.23 implica

T(t) =12

σω(t) · ω(t) =12

3

∑h=1

Ihhωh(t)2 =

12

Iuu(t)ω(t)2 , (11.7)

ove Iuu(t) denota il momento d’inerzia del rigido rispetto all’asse per O≀≀ parallelo a ω(t); dato che tale asse in genere non è solidale questo mo-mento dipende in genere dal tempo. Invece i momenti principali Ihh sonocostanti nel tempo.

Esempio 11.5. Denotiamo con (O, ei) il sistema di riferimento fisso. Unparallelepipedo omogeneo di spigoli a, b, c > 0 e di massa m > 0 èsoggetto a due forze

F1 = ke1 , F2 = −ke1 ,

con k > 0 costante, applicate rispettivamente nei centri di due facce oppo-ste A1 e A2.All’istante iniziale il parallelepipedo è fermo, con le facce A1 e A2 paralleleal piano x3 = 0, e le altre facce perpendicolari agli assi fissi.Determiniamo il massimo raggiunto dall’energia cinetica durante il moto.Per la prima equazione cardinale

maG = Fext = F1 + F2 = 0 ,

per cui

vG(t) = 0 , per ogni t > 0.

Quindi il centro di massa del corpo resta fermo durante il moto.Scegliamo una terna solidale (ui) con u3 ortogonale ad A1, A2, e tale che

ui(0) = ei , i = 1, 2, 3 .

Denotiamo

e1 =3

∑i=1

γi(t)ui(t) ,

cosicché il momento centrale delle forze esterne è (chiamando a proprio lalunghezza dello spigolo normale ad Ai)

Mext = 2a

2u3(t)× ke1 = ak[γ1(t)u2(t)− γ2(t)u1(t)] .

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11.2. MOTI PER INERZIA 145

Proiettando la seconda equazione cardinale lungo gli assi solidali corri-spondenti si trovano dunque le equazioni di Eulero

I11ω1 = (I22 − I33)ω2ω3 − akγ2(t) ,

I22ω2 = (I33 − I11)ω1ω3 + akγ1(t) ,

I33ω3 = (I11 − I22)ω1ω2 ,

che vanno unite alle condizioni iniziali

ωi(0) = 0 , i = 1, 2, 3 .

Per trovare la soluzione di questo sistema di e.d.o., anche sulla base dell’in-tuizione fisica, tentiamo con la soluzione corrispondente a una rotazionenon uniforme intorno all’asse u2; di conseguenza

γ1(t) = u1(t) · e1 = cos θ(t) , γ2(t) = u2(t) · e1 = 0 ,

ove θ rappresenta l’angolo di rotazione di u1 nel piano fisso ortogonale au2. Inoltre

ω(t) = (0, θ(t), 0) ,

e θ(t) risolveI22θ = ak cos θ . (11.8)

Si vede per sostituzione diretta che questa è in effetti una soluzione delleequazioni di Eulero, e quindi l’unica soluzione per il teorema di unicità.Moltiplicando la (11.8) per θ e integrando si ha

12

I22θ(t)2 = ak sin θ(t) ,

ove naturalmente si sono usate anche le condizioni iniziali.Dunque

max T = max12

I22θ(t)2 = ak ,

ammesso che θ possa assumere il valore π/2. Si veda il successivo Eserci-zio ??.

11.2. Moti per inerzia

Definizione 11.6. Un moto polare si dice per inerzia se

Mext(q(t), q(t), t) = 0 , per ogni t. (11.9)

Osservazione 11.7. Nel caso dei moti polari per inerzia le equazioni diEulero (11.2)—(11.4) prendono la forma

I11ω1 = (I22 − I33)ω2ω3 , (11.10)

I22ω2 = (I33 − I11)ω1ω3 , (11.11)

I33ω3 = (I11 − I22)ω1ω2 . (11.12)

Questo è un sistema del primo ordine nelle ωh, che si può risolvere inmodo unico una volta prescritte le condizioni iniziali ωh(0).

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146 DANIELE ANDREUCCI

Teorema 11.8. In un moto polare per inerzia valgono i due integrali primi delmoto:

LO(t) = σω(t) = LO(0) , (11.13)

T(t) =12

σω(t) · ω(t) = T(0) , (11.14)

per ogni t.

Dimostrazione. A) La (11.13) segue subito dalla (8.24) e dalla (11.9).B) Si ha per ogni t

dT

dt=

ddt

12

σω · ω =ddt

12

3

∑h=1

Ihhω2h =

3

∑h=1

Ihhωhωh .

Moltiplichiamo poi ciascuna delle (11.10), (11.11), (11.12) per la corrispon-dente ωh e sommiamo le tre equazioni così ottenute. Si ha

3

∑h=1

Ihhωhωh =(I22 − I33) + (I33 − I11) + (I11 − I22)

ω1ω2ω3 = 0 .

Segue la (11.14).

Osservazione 11.9. Il sistema (11.10)–(11.12) non è lineare nelle incogni-te ωh. Tuttavia la sua soluzione ω(t) risulta definita per ogni t ∈ R invirtù di un ragionamento simile a quello svolto nella dimostrazione delCorollario 2.46.

Definizione 11.10. L’insieme ESc dei punti λ = (λh) ∈ R3 che soddisfano

12

3

∑h=1

Ihhλ2h = c2 , (11.15)

ove c > 0 è una costante positiva fissata ad arbitrio, si dice ellissoided’inerzia solidale.

Definizione 11.11. La superficie (mobile)

Ec(t) =

X (t; λ) =3

∑h=1

λhuh(t) | λ ∈ ESc

, (11.16)

si dice ellissoide d’inerzia del corpo rigido (C, ρ, S), di centro O.

Osservazione 11.12. ESc si può considerare come l’immagine di Ec nel

sistema di riferimento solidale.

Osservazione 11.13. Dalla Definizione 11.11 l’ellissoide d’inerzia Ec(t) ri-sulta subito essere una superficie composta di punti solidali con (C, ρ, S).La sua equazione nelle coordinate del sistema di riferimento fisso contienepertanto dei coefficienti dipendenti dal tempo. Infatti, sia

x =3

∑h=1

xheh =3

∑h=1

λhuh ,

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11.2. MOTI PER INERZIA 147

con le λh come in (11.16). Allora, all’istante t, si ha

12

σx · x =12

3

∑h,k=1

Ihk(t)xhxk

=12

3

∑h,k=1

σuh · ukλhλk =12

3

∑h=1

Ihhλ2h = c2 , (11.17)

ove ( Ihk(t)) è la matrice che rappresenta σ nella base fissa (eh) all’istante t.La (11.17) è l’equazione dell’ellissoide nel sistema di riferimento fisso.

Lemma 11.14. In ciascun punto x ∈ Ec(t) la direzione normale all’ellissoide èdata da σx.

Dimostrazione. Basta osservare che Ec(t) è una superficie di livello dellafunzione

F(x) =12

3

∑h,k=1

Ihk(t)xhxk ,

il cui gradiente è (vedi il Teorema A.27)

∇ F(x) =3

∑k=1

∂F

∂xk

ek =3

∑k=1

[ 3

∑h=1

Ihk(t)xh

]ek = σx .

Teorema 11.15. (Moto alla Poinsot) In un moto polare per inerzia l’ellis-soide d’inerzia Ec(t) si muove mantenendosi tangente a un piano fisso Π.Il moto è di rotolamento puro, ossia il punto di contatto ha velocità nulla.

L’ultima affermazione del Teorema 11.15 in termini più dettagliati si può riformulare come:per ogni t, il moto X (·; λ) tale che X (t; λ) è il punto di contatto, soddisfa

∂X

∂t(t; λ) = 0 .

Si noti che λ dipende da t.

Dimostrazione. Possiamo supporre com’è ovvio che il moto non si ridu-ca alla quiete, ossia che T(t) > 0.Ricordiamo che LO è un vettore costante, per l’integrale primo del moto(11.13). Cerchiamo il piano fisso Π tra quelli di equazione

x · LO = µ ,

con µ costante da determinare (in dipendenza, tra l’altro, di c).Se Ec(t) deve essere tangente a Π, per il Lemma 11.14 nel punto di contattox0(t) deve valere

σx0(t) = τ(t)LO ,

con τ(t) ∈ R da determinare. La relazione (si veda la (6.18))

σω(t) = LO ,

insieme con la non singolarità della σ, implica che

x0(t) = τ(t)ω(t) . (11.18)

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148 DANIELE ANDREUCCI

Resta da imporre che x0(t) appartenga sia a Ec(t) che a Π. Intanto x0(t) ∈Ec(t) se e solo se

c2 =12

σx0(t) · x0(t) =12

σ[τ(t)ω(t)] · [τ(t)ω(t)]

= τ(t)2 12

σω(t) · ω(t) = τ(t)2T(t) = τ(t)2T(0) ,

per l’integrale primo (11.14). Perciò τ(t) è in realtà costante e vale, sce-gliendo il segno positivo della radice quadrata (si veda l’Osservazione 11.16),

τ(t) =c√

T(0). (11.19)

Avendo così determinato x0(t) in modo univoco, resta da vedere se x0(t) ∈Π, il che equivale a

x0(t) · LO = µ ,e può essere ottenuto scegliendo

µ = τ(t)ω(t) · σω(t) = 2c√

T(0)T(0) = 2c

√T(0) .

Si noti che µ e quindi Π sono in effetti costanti in t.Infine dobbiamo dimostrare che il punto solidale che occupa la posizionedi contatto x0(t) nell’istante t, ha velocità nulla in tale istante. Questavelocità è data dalla velocità di trascinamento

ω(t)× x0(t) = ω(t)× τ(t)ω(t) = 0 .

Osservazione 11.16. La scelta del segno negativo in (11.19) conduce alladeterminazione di un secondo piano fisso, parallelo a quello trovato nelTeorema 11.15, su cui l’ellissoide parimenti rotola senza strisciare. Questodel resto è ovvio per motivi di simmetria.

Osservazione 11.17. In genere il punto di contatto tra Ec(t) e il piano fissonon è costante né nel sistema di riferimento solidale, né in quello fisso. Inaltri termini, posto

x0(t) =3

∑h=1

xh0(t)eh =3

∑h=1

λh0(t)uh(t) , (11.20)

né le xh0, né le λh0 risultano costanti. Questo fatto del resto è ovvio per(11.18).Si noti che 3

∑h=1

xh0(t)eh | t ∈ I

(11.21)

è una curva che giace su Π, mentre(λ10(t), λ20(t), λ30(t)) | t ∈ I

(11.22)

è una curva che giace su ESc . Si veda anche la Figura 11.1.

Definizione 11.18. La curva in (11.21) si dice erpoloide (o erpolodìa), mentrequella in (11.22) si dice poloide (o polodìa).

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11.2. MOTI PER INERZIA 149

λ1

λ2

λ3

b

b

u

ub

b

Figura 11.1. Alcune poloidi disegnate nel caso dell’ellissoi-de non di rotazione avente semiassi nei rapporti a1 = 2a2 =4a3.Si notino le 4 poloidi limite che dividono le poloidi che cir-condano l’asse minimo da quelle che circondano l’asse mas-simo.Sono segnati anche i vertici dell’ellissoide, corrisponden-ti a rotazioni uniformi, stabili (vertici sull’asse minimo emassimo) e instabili (vertici sull’asse medio).

Corollario 11.19. Le coordinate solidali (λh0) delle poloidi soddisfano

I211λ2

10 + I222λ2

20 + I233λ2

30 = c2 |LO|2T(0)

, (11.23)

I11λ210 + I22λ2

20 + I33λ230 = 2c2 . (11.24)

Dimostrazione. Segue dai due integrali primi nel Teorema 11.8 e dalladimostrazione del Teorema 11.15.

La (11.24) in particolare esprime l’appartenenza di (λh0) a ESc . Sulle equa-

zioni delle poloidi, vedi anche la Sezione 11.4.Concludiamo la Sezione con un risultato sui moti polari per inerzia chesono anche rotazioni.

Teorema 11.20. Tra i moti polari per inerzia ci sono le rotazioni uniformi intornoagli assi principali d’inerzia.Queste sono le uniche rotazioni per inerzia.

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150 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. La prima parte dell’enunciato segue subito dalle (11.10)–(11.12).Per dimostrare la seconda parte, osserviamo che se

ω(t) = ω(t)u ,

con u versore costante, dall’integrale primo (11.14) segue

ω(t)2 12

σu · u = T(0) .

Inoltre σu · u è costante, come segue dalla Proposizione 6.22, visto che u è anche solidale:

0 =du

dt=

[du

dt

]

M+ ω × u =

[du

dt

]

M.

Perciò ω(t) è costante, ossia la rotazione è uniforme.Ne segue che se esistono due componenti di ω in M diverse da zero, i corrispondentimomenti d’inerzia devono essere uguali. Siano per esempio ω1 e ω2; si ha ora dalla(11.12)

I11 = I22 .Questo significa che tutte le direzioni nel piano (u1, u2) sono principali (perché sono tutteautovettori di σ).Distinguiamo tre casi:A) Due componenti di ω in M si annullano: non resta niente da dimostrare.B) Una sola componente di ω in M si annulla: per esempio ω3 = 0. Allora ω appartieneal piano (u1, u2) e, per l’osservazione precedente, è una direzione principale.C) Nessuna componente di ω in M si annulla: ragionando come sopra segue che

I11 = I22 = I33 .

Dunque tutte le direzioni sono principali, e la tesi è ancora dimostrata.

11.3. Moti polari con attrito

La presenza di un momento dovuto all’attrito altera il quadro della stabi-lità delle rotazioni intorno agli assi principali.Consideriamo per semplicità il caso di un rigido con ellissoide ES

c dirotazione intorno all’asse u3, ossia tale che

I11 = I22 .

Nel caso di un moto polare per inerzia dunque, le poloidi, a parte quelledegeneri corrispondenti alle rotazioni, sono le circonferenze

ESc ∩ λ3 = costante 6= 0 .

Le rotazioni intorno a u3 risultano perciò stabili, a prescindere dal valoredel parametro

β =I33

I11,

che invece risulterà discriminante nel caso con attrito.Per definizione un momento di attrito ha la forma

−kω ,

ove k > 0 è costante. Le equazioni di Eulero divengono

ω1 = (1 − β)ω2ω3 −ω1

τ, (11.25)

ω2 = (β − 1)ω1ω3 −ω2

τ, (11.26)

ω3 = −ω3

τβ, (11.27)

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11.3. MOTI POLARI CON ATTRITO 151

ove si è definito

τ =I11

k.

Il sistema può essere risolto in modo esplicito, ma limitiamoci a ottenerequi le informazioni necessarie. Scrivendo la condizione iniziale per ωcome

ω(0) =3

∑h=1

ωh0uh ,

la (11.27) dà

ω3(t) = ω30e− t

τβ , t > 0 . (11.28)Moltiplicando poi la (11.25) per ω1, la (11.26) per ω2, e sommando leuguaglianze ottenute, si ha

ddt

(ω21 + ω2

2) = − 2τ(ω2

1 + ω22) ,

che dàω1(t)

2 + ω2(t)2 = (ω2

10 + ω220)e

−2 tτ . (11.29)

Consideriamo ora il coseno direttore di ω lungo u3, ossia

α3(t) =ω3(t)

|ω(t)| .

Si ricordi che α3 ≃ 0 implica che ω è quasi ortogonale a u3, mentre |α3| ≃ 1implica che ω è quasi parallelo a u3.Dalle (11.28), (11.29) segue attraverso un calcolo esplicito che

α3(t)2 =

ω230

ω230 + (ω2

10 + ω220)e

2tτβ (1−β)

, t > 0 . (11.30)

Assumiamo per definitezza che

ω30 6= 0 , ω210 + ω2

20 > 0 .

Allora la (11.30) implica che per t → ∞

α3(t) → 0 se β < 1, ossia I33 < I11;

|α3(t)| → 1 se β > 1, ossia I33 > I11.

In altri termini: se all’istante iniziale il rigido non è posto in rotazioneintorno a un asse principale, per t → ∞ la direzione della velocità angolaretende a diventare ortogonale a u3 se questo versore corrisponde all’assemassimo dell’ellissoide, e invece tende a diventare parallela a u3 se questoversore corrisponde all’asse minimo dell’ellissoide. Si noti la differenzacon il caso dei moti per inerzia già richiamato sopra, dove α3 si mantienecostante nel tempo.Questa differenza ha ovvie conseguenze anche dal punto di vista della sta-bilità. Più in dettaglio, è chiaro che l’unico punto di equilibrio del sistemadel primo ordine (11.25)–(11.27) è ω = 0. Tuttavia l’argomento sopra puòessere interpretato nel senso che la rotazione intorno a u3 è stabile se e so-lo se questo versore corrisponde all’asse minimo dell’ellissoide d’inerzia.Poiché in ogni caso ω(t) → 0 per t → ∞, questo concetto di stabilità vainteso nel senso che il versore di ω(t) tende a u3, o a −u3.

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152 DANIELE ANDREUCCI

11.4. Le equazioni delle poloidi

Rendiamo più esplicite le equazioni delle poloidi già date in (11.23)–(11.24); supporremoqui che

I11 < I22 < I33 , (11.31)

cosicché

I11 ≤ β2 :=|L0|22T(0)

≤ I33 ,

e riscriveremo le equazioni delle poloidi come

I211λ2

1 + I222λ2

2 + I233λ2

3 = 2c2β2 , (11.32)

I11λ21 + I22λ2

2 + I33λ23 = 2c2 . (11.33)

11.4.1. Poloidi che circondano il semiasse più corto. Supponiamo qui che

I22 < β2< I33 . (11.34)

Moltiplicando la (11.33) per I33 e sottraendo poi la (11.32) dall’equazione ottenuta, si ha

I11(I33 − I11)λ21 + I22(I33 − I22)λ

22 = 2c2(I33 − β2) . (11.35)

La curva nel piano λ3 = 0 definita dalla (11.35) è un’ellisse, che scriveremo come

λ21

a21+

λ22

a22= 1 , (11.36)

con

a21 =

2c2

I11

I33 − β2

I33 − I11, a2

2 =2c2

I22

I33 − β2

I33 − I22.

La terza coordinata sarà quindi ottenuta dalla (11.33) come

λ3 = ±√

2c2 − I11λ21 − I22λ2

2I33

. (11.37)

Dalle (11.36), (11.37) è facile ricavare la forma parametrica della poloide.

11.4.2. Poloidi che circondano il semiasse più lungo. Supponiamo qui che

I11 < β2< I22 . (11.38)

Moltiplicando la (11.33) per I11 e sottraendo poi l’equazione ottenuta dalla (11.32), si ha

I22(I22 − I11)λ22 + I33(I33 − I11)λ

23 = 2c2(β2 − I11) . (11.39)

La curva nel piano λ1 = 0 definita dalla (11.39) è un’ellisse, che scriveremo come

λ22

b22+

λ23

b23= 1 , (11.40)

con

b22 =

2c2

I22

β2 − I11

I22 − I11, b2

3 =2c2

I33

β2 − I11

I33 − I11.

La terza coordinata sarà quindi ottenuta dalla (11.33) come

λ1 = ±√

2c2 − I22λ22 − I33λ2

3I11

. (11.41)

Dalle (11.40), (11.41) è facile ricavare la forma parametrica della poloide.

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11.4. LE EQUAZIONI DELLE POLOIDI 153

11.4.3. Poloidi limite. Entrambe le (11.37) e (11.41) continuano a valere se

β2 = I22 . (11.42)

Per esempio, dalla (11.37) si ottiene, usando la (11.36), sotto l’ipotesi (11.42),

λ3 =

√2c2

I33− I11

I33λ2

1 −I22

I33

(a2

2 −a2

2

a21

λ21

)

=

√2c2

I33− I11

I33λ2

1 −I22

I33

(2c2

I22− I11

I22

I33 − I11

I33 − I22λ2

1

)

= ±|λ1|√

I11

I33

I22 − I11

I33 − I22.

(11.43)

Quindi le poloidi corrispondenti ai moti in cui vale la (11.42) sono date, oltre che dallerotazioni intorno all’asse medio, dalle quattro poloidi limite ottenute intersecando l’ellis-soide d’inerzia con i piani in (11.43). Queste separano le poloidi che circondano l’asse piùlungo da quelle che circondano l’asse più corto.

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CAPITOLO 12

Applicazioni delle equazioni di Lagrange

12.1. Moti in campi centrali

Notazione 12.1. Sia (O, ei) un sistema di riferimento fisso. Consideriamoqui il moto di un punto materiale P di massa m, soggetto a un campo diforze posizionali

F(x) = F(|x|) x

|x| , x 6= 0 , (12.1)

con F ∈ C1((0, ∞)). Assumeremo sempre−→OP 6= 0.

È noto che il campo di forze F risulta essere conservativo in R3 \ 0, conpotenziale

U(x) =

|x|∫

r

F(ρ)dρ , (12.2)

ove r > 0 è un valore fissato ad arbitrio.

Definizione 12.2. Il campo di forze in (12.1) si dice centrale, con centrol’origine 0 ∈ R3.

Visto il ruolo privilegiato che le (12.1), (12.2) assegnano alla distanza dal-l’origine O, conviene introdurre come coordinate lagrangiane per il motodi P le coordinate sferiche

(r, ϕ, θ) ∈ (0, ∞)× (−π, π)× (0, π) ,

in modo che −→OP = (r cos ϕ sin θ, r sin ϕ sin θ, r cos θ) . (12.3)

La velocità v del punto si ottiene subito per derivazione, scomposta nellacomponente radiale e nelle due tangenti (alla sfera di raggio r):

v =rx

|x|+ rϕ sin θ(− sin ϕ, cos ϕ, 0)

+ rθ(cos ϕ cos θ, sin ϕ cos θ,− sin θ) .

(12.4)

In questo modo si ha

Tl =12

m|vl|2 =12

m(r2 + r2 ϕ2 sin2 θ + r2θ2) , (12.5)

e quindi

L =12

m(r2 + r2 ϕ2 sin2 θ + r2θ2)+

r∫

r

F(ρ)dρ . (12.6)

155

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156 DANIELE ANDREUCCI

Le equazioni di Lagrange quindi sono

ddt

[mr

]− m

(rϕ2 sin2 θ + rθ2)− F(r) = 0 , (12.7)

ddt

[mr2 ϕ sin2 θ

]= 0 , (12.8)

ddt

[r2θ

]− m

(r2 ϕ2 sin θ cos θ

)= 0 . (12.9)

La (12.8) mostra come la coordinata ϕ sia ciclica, e valga quindi l’integraleprimo del moto

r(t)2 ϕ(t) sin2 θ(t) = r(0)2 ϕ(0) sin2 θ(0) =: c , t > 0 . (12.10)

Teorema 12.3. Il moto di P nel campo centrale di forze (12.1) si svolge sul pianofisso passante per O e normale al vettore

−→OP(0)× v(0) ,

se i due vettori−→OP e v all’istante iniziale t = 0 non sono paralleli.

Se invece sono paralleli, il moto di P si svolge sulla retta per O parallela a−→OP(0).

Dimostrazione. La scelta delle coordinate lagrangiane può essere fatta inmodo che all’istante iniziale si abbia

θ(0) =π

2, θ(0) = 0 . (12.11)

Infatti, in particolare, la seconda condizione vale se il piano θ = π/2contiene v(0).La (12.9), con le due condizioni iniziali in (12.11), ammette sempre lasoluzione costante

θ(t) =π

2, t > 0 . (12.12)

È importante osservare che questo vale per ogni possibile scelta delle fun-zioni r e ϕ nella (12.9). Le funzioni r, ϕ si determinano poi sostituendo(12.12) nelle (12.7)–(12.8) e usando le relative condizioni iniziali. Quindi,per il teorema di unicità, relativo al problema di Cauchy per (12.7)–(12.9),la soluzione (r, ϕ, θ) del sistema lagrangiano (12.7)–(12.9) ha come terzacomponente la funzione costante in (12.12). Questo significa che il moto sisvolge sul piano θ = π/2.Se i due vettori

−→OP(0) e v(0) non sono paralleli, non c’è altro da dimo-

strare. Se invece sono paralleli, l’espressione (12.4) della velocità implicache ϕ(0) = 0, perché il secondo termine a destra nella (12.4) è ortogonalea−→OP(0). Dalla (12.10) segue quindi che

ϕ(t) = 0 , t > 0 ,

ossia che, oltre a θ, anche ϕ si mantiene costante. Il moto si svolge dunquesulla retta per O e la posizione iniziale di P.

Proposizione 12.4. Nel caso in cui−→OP(0) e v(0) non siano paralleli, la traiet-

toria del punto P nel piano θ = π/2 può essere espressa come una curva nellaforma

r = R(ϕ) , (12.13)almeno in un intervallo 0 ≤ t < t.

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12.1. MOTI IN CAMPI CENTRALI 157

Dimostrazione. Basta osservare che la (12.10) implica che ϕ non si an-nulla mai nelle ipotesi stipulate; quindi è possibile ottenere la funzioneinversa t = τ(ϕ), e quindi ricavare r come funzione di ϕ mediante la τ:

R(ϕ) = r(τ(ϕ)) .

La τ è definita, al più, nell’intervallo (−π, π) di variazione della ϕ, equindi la rappresentazione (12.13) è solo locale, come indicato nell’enun-ciato.

Definizione 12.5. Sia (r(t), ϕ(t)) la rappresentazione nelle usuali coordi-nate polari di un moto piano. La quantità

12

r(t)2 ϕ(t)

prende il nome di velocità areolare.

La motivazione geometrica della Definizione 12.5 è data dal seguenteLemma.

Lemma 12.6. Assumiamo che la traiettoria di un moto nel piano (x1, x2) siarappresentabile come in (12.13), per 0 < t < t, e che in particolare ϕ(t) > 0 per0 < t < t. Definiamo anche il settore polare

S(t) =(x1, x2) | 0 < r < R(ϕ) , ϕ ∈ (ϕ(0), ϕ(t))

. (12.14)

Vale alloraddt

area(S(t)) =12

r(t)2 ϕ(t) , 0 < t < t . (12.15)

Dimostrazione. Basta osservare che nelle ipotesi poste nell’enunciato

area(S(t)) =

ϕ(t)∫

ϕ(0)

R(ϕ)∫

0

ρ dρ =

ϕ(t)∫

ϕ(0)

12

R(ϕ)2 dϕ , (12.16)

e derivare in t.

Se vale ϕ < 0, si dimostra in sostanza lo stesso risultato, con ϕ sostituitoda |ϕ| in (12.15).È chiaro che S(t) è la parte di piano spazzata dal raggio vettore del motonell’intervallo di tempo (0, t).

Teorema 12.7. (II legge di Keplero) Il moto di P, soggetto al campo di forzecentrali in (12.1), ha velocità areolare costante.

Dimostrazione. L’integrale primo (12.10), sostituito nella definizione divelocità areolare, implica subito la tesi.

Teorema 12.8. (Formula di Binet) La funzione R introdotta nella Proposi-zione 12.4 soddisfa

− mc2( 1

R

)2[ d2

dϕ2

( 1R

)+

1R

]= F(R) . (12.17)

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158 DANIELE ANDREUCCI

Dimostrazione. Dalla (12.10) si ha

r(t) =dR

dϕ(ϕ(t))ϕ(t) =

dR

dϕ(ϕ(t))

c

R(ϕ(t))2 . (12.18)

Quindi

r(t) =ddt

(dR

dϕ(ϕ(t))

c

R(ϕ(t))2

)=

ddϕ

[dR

c

R2

](ϕ(t)

)ϕ(t)

=d

[dR

c

R2

](ϕ(t)

) c

R(ϕ(t))2 =c2

R(ϕ(t))2d

[− d

1R

](ϕ(t)

). (12.19)

La tesi segue sostituendo la (12.19), e ancora la (12.10), nella (12.7).

La seguente Proposizione mostra come un campo di forze radiale siaconservativo solo se vale la (12.1).

Proposizione 12.9. Un campo di forze

F(x) = g(x)x

|x| , x ∈ R3 \ 0 , (12.20)

con g ∈ C1(R3 \ 0) è conservativo se e solo se vale g(x) = F(|x|), per unaopportuna F ∈ C1((0, ∞)).

Dimostrazione. A) Se vale g(x) = F(|x|), il potenziale di F è stato indi-cato nella (12.2).B) Viceversa, assumiamo che esista un potenziale U ∈ C1(R3 \ 0) per Fcome in (12.20). Dati due punti qualunque x1 e x2 con

|x1| = |x2| > 0 ,

si haU(x2)− U(x1) =

γ

∇U · T ds =∫

γ

F · T ds = 0 ,

ove γ è una qualunque curva regolare che giaccia sulla sfera di centrol’origine di raggio |x1| = |x2|, e che congiunga i due punti. Infatti ilversore tangente a γ, indicato con T, risulta allora tangente a questa sfera,e perciò ortogonale a F che per ipotesi ha sempre direzione radiale.Dunque U è costante su ciascuna sfera di centro l’origine; perciò dipendesolo da |x| e il suo gradiente F ha direzione radiale, e modulo dipendentesolo da |x|.

Osservazione 12.10. In sostanza tutti i risultati di questa sezione, a partela Proposizione 12.9, si mantengono validi nel caso in cui alla F della (12.1)si sostituisca una più generale

F(x, t) = F(|x|, t)x

|x| , x 6= 0 ,

con F ∈ C1((0, ∞) × R). Si noti che questa forza dà luogo a componentilagrangiane conservative, in quanto ammettono il potenziale

Ul(r, t) =

r∫

r

F(ρ, t)dρ , r > 0 .

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Parte 4

Appendici

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APPENDICE A

Algebra lineare

A.1. Prodotti tra vettori

Notazione A.1. Per ogni vettore f ∈ R3 indichiamo con fi le sue compo-nenti scalari, ossia scriviamo

f = ( f1, f2, f3) .

Definizione A.2. Il prodotto scalare tra due vettori f e g è

f · g =3

∑i=1

figi . (A.1)

Definizione A.3. Il prodotto vettoriale tra due vettori f e g è ≀≀f × g = ( f2g3 − f3g2, f3g1 − f1g3, f1g2 − f2g1) . (A.2)

Osservazione A.4. Si verifica subito che i prodotti scalare e vettorialegodono delle proprietà di linearità

f · (γ1 f 1 + γ2 f 2) = γ1 f · f 1 + γ2 f · f 2 ,

f × (γ1 f 1 + γ2 f 2) = γ1 f × f 1 + γ2 f × f 2 ,

per ogni f , f 1, f 2 ∈ R3, e per ogni γ1, γ2 ∈ R.Inoltre il prodotto scalare è simmetrico

f 1 · f 2 = f 2 · f 1 ,

mentre il prodotto vettoriale è antisimmetrico

f 1 × f 2 = − f 2 × f 1 .

In particolare se f 1 e f 2 sono paralleli, allora

f 1 × f 2 = 0 .

Definizione A.5. Il numero reale

f · g × h (A.3)

si chiama prodotto triplo di f , g, h.

161

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162 DANIELE ANDREUCCI

Osservazione A.6. Segue subito dalle definizioni che

f · g × h = det

f1 f2 f3g1 g2 g3h1 h2 h3

. (A.4)

Lemma A.7. Vale

f · g × h = −g · f × h . (A.5)

Dimostrazione. Per (A.4)

f · g × h = det

f1 f2 f3g1 g2 g3h1 h2 h3

= −det

g1 g2 g3f1 f2 f3h1 h2 h3

= −g · f × h .

Definizione A.8. Due vettori f e g si dicono ortogonali (o perpendicolari)se

f · g = 0 .

Lemma A.9. Siano f 1, f 2 ∈ R3. Allora f 1 × f 2 risulta ortogonale a f 1 e a f 2.

Dimostrazione. Da (A.5) segue subito che

f 1 · f 1 × f 2 = 0 ,

da cui la tesi per la Definizione A.8.

Definizione A.10. Una base (ui) si dice ortonormale se valgono le

ui · uj = δij , i , j = 1 , 2 , 3 .

A.2. Cambiamenti di base

Notazione A.11. Siano (u1, u2, u3) e (w1, w2, w3) due basi ortonormaliin R3. Introduciamo le due matrici reali 3 × 3 A = (aij) e B = (bij) dicambiamento di base, definite da

ui =3

∑h=1

aihwh , wi =3

∑h=1

bihuh , i = 1 , 2 , 3 .

Teorema A.12. Valgono le

A−1 = At = B . (A.6)

Dimostrazione. Si ha per ogni i

wi =3

∑h=1

bihuh =3

∑h=1

3

∑k=1

bihahkwk ,

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A.2. CAMBIAMENTI DI BASE 163

da cui, per le proprietà delle basi vettoriali, si ha per ogni coppia (i, k),

δik =3

∑h=1

bihahk = (BA)ik ,

il che significa BA = id. Nello stesso modo da

ui =3

∑h=1

aihwh =3

∑h=1

3

∑k=1

aihbhkuk ,

segue che

δik =3

∑h=1

aihbhk = (AB)ik ,

il che significa AB = id. Quindi A−1 = B.Infine per ogni coppia (i, j)

δij = ui · uj =3

∑h=1

3

∑k=1

aihajkwh · wk =3

∑h=1

aihajh = (AAt)ij ,

e dunque AAt = id, ossia B = At.

Osservazione A.13. Per l’ortonormalità delle due basi (ui) e (wj), vale

aij = ui · wj .

Quindi ciascuna colonna della matrice A è formata dalle componenti delcorrispondente vettore wj nella base (ui). Ciascuna riga, invece, è formatadalle componenti del corrispondente vettore ui nella base (wj).

Osservazione A.14. Sia f ∈ R3, con

f =3

∑i=1

λiui =3

∑i=1

µiwi . (A.7)

Allora

λ1λ2λ3

= A

µ1µ2µ3

. (A.8)

Teorema A.15. Sia (zi) una base ortonormale, e definiamo la matrice C come

C = (cij) , wi =3

∑h=1

cihzh . (A.9)

Allora la matrice di cambiamento di base tra (ui) e (zi) è il prodotto AC, ossiaper i = 1, 2, 3,

ui =3

∑h=1

(AC)ihzh . (A.10)

Dimostrazione. Segue subito dalle definizioni.

Definizione A.16. Una base ortonormale M = (ui) si dice positiva sela matrice di cambiamento di base M tra (ui) e la base standard (ei) hadeterminante positivo.

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164 DANIELE ANDREUCCI

In particolare

M = (ui · ej) =

u11 u12 u13u21 u22 u23u31 u32 u33

(A.11)

se per i = 1, 2, 3,

ui = (ui1, ui2, ui3) =3

∑j=1

uijej . (A.12)

Teorema A.17. La matrice A soddisfa

|detA| = 1 . (A.13)

Se poi M = (ui) e N = (wi) sono entrambe positive, allora

detA = 1 . (A.14)

Dimostrazione. Vale per la regola di Binet, e per la (A.6)

1 = det id = detAAt = detA detAt = (detA)2 .

Se poi entrambe le basi sono positive, per il Teorema A.15 si ha (qui M eN sono definite come nella Definizione A.16)

A = MN t ,

da cuidetA = detM detN t = detM detN > 0 .

Il prossimo Lemma mostra come i prodotti scalare e vettoriale si possanocalcolare anche usando le componenti in una base ortonormale positiva.

Lemma A.18. Sia (ui) una base ortonormale positiva, e sia

f =3

∑i=1

λiui , g =3

∑i=1

µiui . (A.15)

Allora valgono

f · g =3

∑i=1

λiµi , (A.16)

e

f × g = (λ2µ3 − λ3µ2)u1 + (λ3µ1 − λ1µ3)u2 + (λ1µ2 − λ2µ1)u3 . (A.17)

Dimostrazione. La (A.16) segue subito dalle definizioni di prodotto sca-lare e di base ortonormale, oltre che dall’Osservazione A.4.Anche la (A.17) segue in modo analogo, una volta che si siano stabilite le

u1 × u2 = u3 , u2 × u3 = u1 , u3 × u1 = u2 . (A.18)

Si sa, per il Lemma A.9, che u1 × u2 = γu3, per qualche γ ∈ R. Ma

γ = u1 × u2 · u3 = detM = 1 ,

per (A.14) applicata al caso in cui (wi) è la base standard. Le altre duerelazioni in (A.18) si dimostrano in modo simile.

Corollario A.19. Se f 1 e f 2 sono due vettori ortogonali, allora

| f 1 × f 2| = | f 1| | f 2| . (A.19)

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A.2. CAMBIAMENTI DI BASE 165

Dimostrazione. Se uno dei due vettori f i è nullo, non c’è niente dadimostrare.Altrimenti, si può scegliere una base ortonormale positiva (ui) in modoche f i sia parallelo a ui, i = 1, 2. Quindi, per (A.18), e per la linearità delprodotto vettoriale,

f 1 × f 2 = | f 1| | f 2| u1 × u2 = | f 1| | f 2| u3 ,

da cui la tesi.

Teorema A.20. Se i due vettori f 1 e f 2 soddisfano una delle due proprietà

A) f 1 · x = f 2 · x per ogni x ∈ R3;

B) f 1 × x = f 2 × x per ogni x ∈ R3;allora f 1 = f 2.

Dimostrazione. A) Se si sceglie x = f 1 − f 2, da A) segue

| f 1 − f 2|2 = 0 .

B) Sia x un qualunque vettore unitario ortogonale a f 1 − f 2. Allora da B)e dal Corollario A.19 segue

0 = |( f 1 − f 2)× x| = | f 1 − f 2| .

Teorema A.21. Se C è una matrice 3× 3 antisimmetrica, ossia se vale C+ Ct =0, allora esiste un unico vettore c tale che per ogni f ∈ R3 valga

C f = c × f . (A.20)

Dimostrazione. L’unicità di c come nell’enunciato segue subito dal Teo-rema A.20.Dimostriamone l’esistenza. Dalla proprietà di antisimmetria segue subitoche

C =

0 α β−α 0 γ−β −γ 0

,

per tre opportuni reali α, β, γ. Dalla definizione di prodotto righe percolonne segue, se f = ( f1, f2, f3)

t,

C f =

α f2 + β f3−α f1 + γ f3−β f1 − γ f2

.

Ponendo poi c = (−γ, β,−α)t, dalla definizione di prodotto vettorialesegue

c × f =

α f2 + β f3−α f1 + γ f3−β f1 − γ f2

,

da cui la tesi.

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166 DANIELE ANDREUCCI

A.3. Angoli e perpendicolarità

Lemma A.22. Siano f , g ∈ R3, con | f | = 1. Denotiamo

[g]‖ = ( f · g) f , [g]⊥ = g − [g]‖ ,

le componenti vettoriali di g rispettivamente parallela e perpendicolare a f . Allora

f × ( f × g) = − [g]⊥ . (A.21)

Dimostrazione. Se [g]⊥ = 0 non c’è niente da dimostrare. Altrimenti,osserviamo che

h = f × g = f × [g]⊥è un vettore diverso da quello nullo, e che f , [g]⊥ e h sono a due a dueortogonali.Visto che

f × ( f × g) = f × h

è ortogonale sia a f che a h, deve essere

f × ( f × g) = γ [g]⊥ ,

per qualche γ ∈ R. Quindi

γ|[g]⊥|2 = [g]⊥ · f × ( f × [g]⊥) = − [g]⊥ · ( f × [g]⊥)× f

= ( f × [g]⊥) · [g]⊥ × f = −( f × [g]⊥) · f × [g]⊥ = − | f × [g]⊥|2 .

Per il Corollario A.19, segue che γ = −1, e la dimostrazione è completata.

Osservazione A.23. Siano f e g due vettori di modulo unitario. Suppo-niamo per il momento che, con la notazione del Lemma A.22, si abbia[g]⊥ 6= 0. Allora si può costruire una (unica) base ortonormale positiva

(f ,

[g]⊥|[g]⊥|

, u)

,

ove è chiaro che u è parallelo a f × g = f × [g]⊥:

f × g = ε | f × g| u , (A.22)

con ε ∈ −1, 1.Allora per il Corollario A.19,

| f × g|2 = | f × [g]⊥|2 = | f × ( f × [g]⊥)|2 = |[g]⊥|2

= |g|2 −∣∣∣[g]‖

∣∣∣2= 1 − ( f · g)2 . (A.23)

Dunque i due numeri reali

x = f · g , y = ε | f × g| ,

soddisfano x2 + y2 = 1. È noto allora che esiste un unico angolo θ ∈ [0, 2π)tale che

x = cos θ , y = sin θ . (A.24)

Se poi [g]⊥ = 0, allora, definendo x e y come sopra,

x ∈ −1, 1 , y = 0 ,

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A.4. FORME QUADRATICHE 167

per cui le (A.24) continuano a valere per una scelta (unica) di θ ∈ [0, 2π)tra θ = 0 e θ = π.L’angolo θ si chiama l’angolo formato dai due vettori f e g.

Definizione A.24. Sia V ⊂ RN un sottospazio vettoriale; si chiama ortogo-

nale di V, e si denota con V⊥, l’insieme

V⊥ = f ∈ RN | f · v = 0 per ogni v ∈ V .

Teorema A.25. V⊥ è un sottospazio vettoriale di RN , e V ∩ V⊥ = 0. Inoltre

dim V + dim V⊥ = N . (A.25)

Dimostrazione. Che V⊥ sia un sottospazio vettoriale di RN segue su-bito dalla definizione e dalla linearità del prodotto scalare. La proprietàV ∩ V⊥ = 0 poi segue dal fatto che un vettore nell’intersezione dei duespazi deve essere ortogonale a sé stesso e quindi nullo. Si vede subitoche questo implica che ogni vettore di V è linearmente indipendente daciascun vettore in V⊥.Siano dunque vh, h = 1, . . . , ℓ, e rispettivamente wj, j = 1, . . . , m, duebasi ortonormali rispettivamente di V e di V⊥. Possiamo assumere ℓ < Nperché il caso estremo è ovvio. Vogliamo dimostrare che ℓ+ m = N. Perun qualunque f ∈ RN definiamo

f ′ =ℓ

∑h=1

f · vh vh +m

∑j=1

f · wj wj .

Si osserva che dalle definizioni segue

( f − f ′) · vh = 0 , h = 1 , . . . , ℓ .

Dunque per definizione di V⊥ si ha f − f ′ ∈ V⊥. D’altronde vale anche

( f − f ′) · wj = 0 , j = 1 , . . . , m ,

e perciò f − f ′ = 0. Pertanto l’unione delle due basi di V e V⊥ generaRN ; dato che i vettori nell’unione delle due basi sono linearmente indi-pendenti come osservato sopra, questa unione è una base di RN e la tesi èdimostrata.

Corollario A.26. Ogni vettore f ∈ RN si può esprimere in modo unico comesomma

f = f 1 + f 2 , (A.26)

con f 1 ∈ V, f 2 ∈ V⊥.

A.4. Forme quadratiche

L’espressione

J(x) =N

∑h,k=1

ahkxhxk , (A.27)

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168 DANIELE ANDREUCCI

si dice forma quadratica in x = (x1, . . . , xN), con matrice A = (ahk). Suppo-niamo sempre la simmetria di A, cioè

A = At , (A.28)

ovveroahk = akh , h , k = 1 , . . . , N .

Si noti che si può scrivere

J(x) = Ax · x = xtAx . (A.29)

Teorema A.27. (Eulero) Se vale la (A.28), allora per ogni i ∈ 1, . . . , N siha

∂ J

∂xi

(x) = 2N

∑h=1

aihxh . (A.30)

Dimostrazione. Si può scrivere

J(x) = aiix2i + 2 ∑

h 6=i

aihxixh + ∑h,k 6=i

ahkxhxk ,

da cui∂ J

∂xi

(x) = 2aiixi + 2 ∑h 6=i

aihxh = 2N

∑h=1

aihxh .

Teorema A.28. Se u e v sono due autovettori della matrice simmetrica A,corrispondenti a due autovalori diversi λ e µ, allora sono ortogonali.

Dimostrazione. Si ha

λu · v = Au · v = Av · u = µv · u ,

il che implica, visto che λ 6= µ, l’asserto u · v = 0.

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APPENDICE B

Simboli e notazione usati nel testo

B.1. Simboli usati nel testo

a · b prodotto scalare dei vettori a e b.a × b prodotto vettoriale dei vettori a e b ∈ R3.At trasposta della matrice (o del vettore) A.Br(x) sfera aperta con centro x e raggio r.A + x con A ⊂ RN , x ∈ RN : l’insieme formato dai traslati

a + x, a ∈ A.x → s0+ x tende a s0 da destra.x → s0− x tende a s0 da sinistra.f (s0+) denota il limite di f (x) per x → s0+.f (s0−) denota il limite di f (x) per x → s0−.s+ parte positiva di s ∈ R, s+ = max(s, 0).s− parte negativa di s ∈ R, s− = max(−s, 0).sign(x) funzione segno di x ∈ R, definita da sign(x) = x/|x|,

per x 6= 0.C(A) classe delle funzioni continue in A. Lo stesso che C0(A).Cn(A) classe delle funzioni continue in A insieme con

le loro derivate fino all’ordine n.χI funzione caratteristica dell’insieme I:

χI(x) = 1 se x ∈ I, χI(x) = 0 se x 6∈ I.∇ f gradiente della funzione f (x): ∇ f = ( ∂ f

∂x1, . . . , ∂ f

∂xN).

D2 f matrice hessiana della funzione f .δx massa di Dirac centrata in x.ek k-esimo versore della base standard in RN .f|B restrizione a B ⊂ A di una funzione f : A → RN .f derivata prima di f rispetto al tempo t.f derivata seconda di f rispetto al tempo t.e.d.o. equazione/equazioni a derivate ordinarie.

169

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APPENDICE C

Soluzioni degli esercizi

Soluzioni

171

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Parte 5

Indici

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Indice analitico

Le voci con il numero della pagina in neretto [corsivo] siriferiscono a definizioni [esempi] dell’argomento.

ℓ, vedi gradi di libertàΛ∗

i , 97ω, vedi velocità angolare−→ΩP, 23m, 47nc, 47, 59

accelerazione, 21di Coriolis, 29di trascinamento, 29normale, 44radiale, 51relativa, 28tangente, 44trasversale, 51

angoli di Eulero, 56ascissa curvilinea, 41asse

d’istantanea rotazione, 35, 35, 36istantaneo di moto, 35

attrito, 150–151dinamico, 71statico, 71

autovalore, 91autovettore, 91

base, 37, 37

Cauchyproblema di, 3

soluzione del, 3centro

istantaneo di moto, 37, 38compasso ellittico, 38coordinate

cicliche, 135indipendenti, 48lagrangiane, 50locali

canoniche, 52, 55, 57normali, 138polari, 51

corpo rigido, 79

centro di massa del, 84degenere, 80

densità del, 80immagine del, 80supporto del, 80

densità del, 79energia cinetica del, 84immagine del, 79massa del, 83moti solidali con, 80quantità di moto del, 83

momento della, 84sistema di riferimento solidale con, 79supporto del, 79

curvaregolare, 41supporto di una, 41

curvatura, 41, 42raggio di, 41

derivatarelativa a una terna mobile, 24, 24

dipendenza continua dai dati, 4

ellissoide d’inerzia, 146solidale, 146

energia, 14cinetica, 69, 123–124

in coordinate lagrangiane, 99in un rigido, 86, 87

conservazione della, 69, 134meccanica, 69potenziale, 15, 16, 69

equazionecardinale, prima, 115cardinale, seconda, 115–118

equazione differenziale ordinaria, 3autonoma, 4del secondo ordine, 3orbita di, 13soluzione massimale di, 3

equazionidi Eulero, 143, 145

175

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176 DANIELE ANDREUCCI

di Lagrange, 122, 133equilibrio

asintoticamente stabilepunto di, 7, 9, 11, 12

instabilepunto di, 7, 10

punto di, 6stabile, 135

punto di, 7, 8, 10, 11, 11erpolodia, 148erpoloide, vedi erpolodia

figura di Lissajous, 23forma quadratica, 90formula

di Binet, 157forza

di Coriolis, 67di trascinamento, 67

forzecentrali, 155conservative, 11, 68, 68–70distribuzione di, 103

in coordinate lagrangiane, 103momento risultante delle, 115posizionali, 68risultante delle, 114

Frenet-Serretformule di, 42, 44

frequenzenormali, 138

funzionedi Rayleigh, 13

gradi di libertà, 48

hamiltoniana, 134

inerziamomento di, 88omografia di, 85tensore di, 85, 96

asta rigida, 95terna principale di, 91versore principale di, 91

lagrangiana, 133ridotta, 136

lagrangiane equivalenti, 140–141lavori virtuali, 113, 120

ipotesi dei, 113, 120lavoro, 68legge

di Coulomb-Morin, 71di Keplero, 157di Newton, 67oraria, 44

Liapunovfunzione di, 8, 8–13

matriceantisimmetrica, 39di cambiamento di base, 39

momento deviatore, 88momento di inerzia, vedi inerziamoto, 21

alla Poinsot, 147armonico, 22

frequenza del, 22atto di, 49circolare, 21

uniforme, 21di rotolamento puro, 61lagrangiano, 97

atto di, 126polare, 30

per inerzia, 145rappresentazione lagrangiana del, 97rettilineo uniforme, 21rigido piano, 36senza strisciamento, 61solidale, 28

in coordinate locali, 55stazionario, 21

orbita, 16degenere, 15

pianodelle fasi, 14

piccole oscillazioni, 136polo, 30polodia, 148, 149, 152–153poloide, vedi polodiapotenziale, 11, 14, 68precessioni

regolari, 32

rappresentazione lagrangiana, 50resistenza

idraulica, 70viscosa, 70

rigatafissa, 35, 35–36, 37mobile, 35, 35–36, 38solidale, 35, 35–36

rotazione, 26–27, 30composizione di, 32per inerzia, 149uniforme, 30

rulletta, 37, 38

simmetriamateriale ortogonale, 93

sistemaolonomo, 47rigido

degenere, 57

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INDICE ANALITICO 177

non degenere, 52spostamenti virtuali, 118

teoremadi Chasles, 38di Coriolis, 29di Dirichlet, 11di Huygens, 95di König, 87di Liapunov, 8

ternaintrinseca, 42mobile, 23

terna mobilefunzione costante in, 24

torsione, 42, 43traiettoria, 43traslazione, 30triedro principale, 42

velocità, 21angolare, 25, 24–39, 44

composizione di, 31del corpo rigido, 79dell’asta, 57relativa, 30, 30–32

areolare, 157di trascinamento, 29

campo di, 29, 34in coordinate lagrangiane, 98radiale, 51relativa, 27trasversale, 51virtuale, 120

versoreradiale, 51trasversale, 51

vettorebinormale, 42normale principale, 42tangente, 41

vincolianolonomi, 60

integrabili, 60con attrito, 73fissi, 48, 48, 50lisci, 72, 72, 111–114mobili, 48olonomi, 47