Appunti Diritto Amministrativo

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Il diritto amministrativo e i suoi principi 1. Il diritto amministrativo Il diritto amministrativo disciplina la Pubblica amministrazione e su suoi rapporti con i privati. È diritto statale (la PA è legata al governo e regolata dalle leggi del Parlamento) ma ultimamente anche sovranazionale (soggetta a norme comunitarie e di organizzazioni internazionali globali) e regionale (alcune competenze sono regolate esclusivamente dalle regioni art. 117 Cost.); È diritto speciale (rispetto al diritto civile perché la PA ha dei poteri che eccedono quelli previsti tra i privati e ha istituti, regole e rapporti non previsti dal diritto civile), difatti in Italia, come in Francia, esiste il dualismo giurisdizionale, con un giudice ordinario e uno amministrativo (il giudice amministrativo ha riconosciuto alla PA dei poteri derogatori - supremazia, imperatività esecutorietà - che i privati non hanno. Comunque alcuni rapporti della PA con i privati sono regolati dal diritto privato (ad esempio quando stipula contratti con un privato). 2. Le pubbliche amministrazioni La PA può essere statale, sovrastatale (Comunità europea o organizzazione internazionale) o sub statale (regioni, province, comuni). Non esiste una definizione univoca di PA, ma questa può essere definita e elencata a seconda dello scopo che le norme si prefiggono (le norme contengono delle nozioni funzionali). Le principali nozioni che si ottengono da norme europee e nazionali sono cinque e indicate in ordine di ampiezza. dir. 2004/18/CE art. 1 e d. lg. n. 157/1995 sugli appalti pubblici, il cui articolo 2 cita (elencazione), “Amministrazioni aggiudicatrici 1. Sono amministrazioni aggiudicatrici: 1. le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti pubblici territoriali e le loro unioni, consorzi o associazioni, gli altri enti pubblici non economici; 2. gli organismi di diritto pubblico; sono tali gli organismi, dotati di personalità giuridica, istituiti per soddisfare specifiche finalità d'interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dagli enti locali, da altri enti pubblici o organismi di diritto pubblico, o la cui gestione è sottoposta al vigilanza sono costituiti, almeno per la metà, da componenti designati dai medesimi soggetti pubblici. 2. Nell'allegato 7 sono elencati, in modo non esaustivo, gli organismi di diritto pubblico di cui al comma 1, lettera b).” l.n. 241/1990 diritto di accesso ai documenti amministrativi (definizione), il cui art. 22, c. 1, lett. e cita “per "pubblica amministrazione", tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”; normativa europea per il debito e disavanzo pubblico (elencazione); norme sul personale della PA d. lg. n. 165/2001 (elencazione) il cui art. 1 dice “Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del

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Diritto Amministrativo

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Il diritto amministrativo e i suoi principi

1. Il diritto amministrativoIl diritto amministrativo disciplina la Pubblica amministrazione e su suoi rapporti con i privati.– È diritto statale (la PA è legata al governo e regolata dalle leggi del Parlamento) ma ultimamente

anche sovranazionale (soggetta a norme comunitarie e di organizzazioni internazionali globali) e regionale (alcune competenze sono regolate esclusivamente dalle regioni art. 117 Cost.);

– È diritto speciale (rispetto al diritto civile perché la PA ha dei poteri che eccedono quelli previsti tra i privati e ha istituti, regole e rapporti non previsti dal diritto civile), difatti in Italia, come in Francia, esiste il dualismo giurisdizionale, con un giudice ordinario e uno amministrativo (il giudice amministrativo ha riconosciuto alla PA dei poteri derogatori - supremazia, imperatività esecutorietà - che i privati non hanno.

Comunque alcuni rapporti della PA con i privati sono regolati dal diritto privato (ad esempio quando stipula contratti con un privato).

2. Le pubbliche amministrazioniLa PA può essere statale, sovrastatale (Comunità europea o organizzazione internazionale) o sub statale (regioni, province, comuni). Non esiste una definizione univoca di PA, ma questa può essere definita e elencata a seconda dello scopo che le norme si prefiggono (le norme contengono delle nozioni funzionali).

Le principali nozioni che si ottengono da norme europee e nazionali sono cinque e indicate in ordine di ampiezza.– dir. 2004/18/CE art. 1 e d. lg. n. 157/1995 sugli appalti pubblici, il cui articolo 2 cita

(elencazione), “Amministrazioni aggiudicatrici1. Sono amministrazioni aggiudicatrici:1. le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province autonome di Trento e di Bolzano, gli enti pubblici territoriali e le loro unioni, consorzi o associazioni, gli altri enti pubblici non economici;2. gli organismi di diritto pubblico; sono tali gli organismi, dotati di personalità giuridica, istituiti per soddisfare specifiche finalità d'interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale, la cui attività è finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dalle regioni, dagli enti locali, da altri enti pubblici o organismi di diritto pubblico, o la cui gestione è sottoposta al vigilanza sono costituiti, almeno per la metà, da componenti designati dai medesimi soggetti pubblici. 2. Nell'allegato 7 sono elencati, in modo non esaustivo, gli organismi di diritto pubblico di cui al comma 1, lettera b).”

– l.n. 241/1990 diritto di accesso ai documenti amministrativi (definizione), il cui art. 22, c. 1, lett. e cita “per "pubblica amministrazione", tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario”;

– normativa europea per il debito e disavanzo pubblico (elencazione);– norme sul personale della PA d. lg. n. 165/2001 (elencazione) il cui art. 1 dice “Per

amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane. e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del

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Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le Agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300”;

– deroga alla libertà di circolazione dei lavoratori, art. 39 c. 4 del tr. CE; la giurisprudenza ha stabilito che la PA è caratterizzata dall'esercizio di poteri pubblici e dalla tutela di interessi generali dello Stato o di altre collettività pubbliche.

3. La disciplina costituzionale dell'amministrazione pubblicaLa costituzione regola la PA in modo diretto:– art. 5 cost. “La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua

nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo”;– art 95 cost. c. 2 “I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri,

e individualmente degli atti dei loro dicasteri.”– art. 97 cost. c. 1 “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che

siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.”– art. 118 cost. c. 1 “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per

assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.” La sussidiarietà è richiamata che dall'art. 5 del tr. CE;

e in modo indiretto:– nella prima parte la costituzione garantisce ai cittadini i servizi che lo stato deve fornire (salute,

istruzione ecc.) o pone dei limiti all'azione della PA (obbligo di un atto motivato dell'autorità giudiziaria quando si vuole porre delle limitazioni ad alcune libertà o riserva di legge per regolare alcune funzioni).

Il governo è responsabile verso il parlamento e guida la PA ma non regolamenta l'organizzazione amministrativa (riserva di legge) e non c'è rapporto di fiducia tra il funzionario pubblico e il governo (come succede tra parlamento e governo). Questi sono al servizio della nazione (art. 98 cost. c. 1 principio di imparzialità).

4. I principi del diritto amministrativoI principi del diritto amministrativo sono importanti perché in questo campo non esistono raccolte organiche come nel diritto civile (codice civile o costituzionale), ecc.Essi hanno origine nella costituzione, nelle leggi nazionali o comunitarie oppure sono il risultato della giurisprudenza.

4.1 Dal principio di legalità al rispetto del dirittoÈ implicito nell'art. 113 della cost. c. 1 “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa.”, art. 23 cost. “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge.”, e in forma attenuata nell'art. 1, c. 1 della l. 241/1990 e nell'art. 220 del tr. CE.Stabilisce che la PA può svolgere solo l'attività stabilità dalla legge in accordo ai soli poteri prescritti e nei modi stabiliti. Serve a tutelare il cittadino e ad assicurare il circuito democratico (parlamento, leggi, esecuzione amministrativa delle leggi). Riguarda l'attività autoritativa (unilaterale) della PA, e non quella svolta in accordo al diritto civile. Rispetto della tipicità e nominatività degli atti (ciascuna tipologia di atto è prevista nominativamente dalla legge), divieto di uso dei poteri impliciti, dell'autotutela e dell'autarchia.In particolare:– le regioni, in materia di potestà legislativa concorrente non possono limitare interessi protetti

dalla legislazione statale;

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oltre che alla legge la PA è tenuta ai principi di fonte giurisprudenziale;– può sollevare in giudizio la questione di incostituzionalità (ma non giudicarla);– deve disapplicare le norme nazionali in contrasto con norme comunitarie o trattati

internazionali.

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4.2 Il principio di azionabilità delle pretese (giustiziabilità)Legato al principio di legittimità, garantisce a tutti e per tutti gli atti (anche quelli comunitari o adottati in funzione comunitaria) la possibilità di agire in giudizio: – art. 24 cost. c. 1 “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi

legittimi.”;– art. 113 cost. c. 1 e 2 “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela

giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti.

– art. 230 CE “La Corte di giustizia esercita un controllo di legittimità sugli atti adottati congiuntamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio, sugli atti del Consiglio, della Commissione e della BCE che non siano raccomandazioni o pareri, nonché sugli atti del Parlamento europeo destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi.”

4.3 Il principio di imparzialitàStabilito dall'art. 97 cost. (I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione), per evitare che il vertice (politico) influenzi l'attività della PA. La giurisprudenza e la legislazione hanno dedotto quatto conseguenze:– determinare criteri e modalità di intervento;– esaminare accuratamente tutti gli elementi della fattispecie;– esame oggettivo e comparativo degli interessi, di valutare e di tener conto dei risultati;– obbligo della terzietà del titolare dell'ufficio.

4.4 Il principio del buon andamentoStabilito dall'art. 97 cost. citato, stabilisce:– economicità ed efficacia dell'azione amministrativa (l. 241/1990);– buona amministrazione art. 41 della carta dei diritti fondamentali UE;– migliore realizzazione del bene pubblico e coerenza e congruità tra l'azione amministrativa e il

fine (corte costituzionale);– tempestività dell'azione amministrativa;– divieto di aggravamento del procedimento e obbligo a determinare il tempo necessario.

4.5 Il principio di ragionevolezzaDi origine giurisprudenziale comprende:– congruità tra norme e decisione amministrativa;– coerenza tra valutazioni e decisione finale;– coerenza tra decisioni comparabili.

4.5 Il principio di proporzionalitàHa origine giurisprudenziale anche questo ma è stato sancito da art. 5 tr. CE c. 3 e dice che gli atti amministrativi non possono andare oltre quanto strettamente necessario allo scopo (non possono restringere ulteriormente la libertà del cittadino).

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4.6 Il principio del legittimo affidamentoÈ di natura giurisprudenziale ma in campo nazionale è parzialmente sancito dalla l. 241/90 art. 21 quinques. Tutela il soggetto il cui comportamento è frutto dell'affidamento fatto ad un precedente atto della PA, poi revocato. Nel diritto comunitario è stato spesso usato a favore di chi ha ottenuto in buona fede aveva ottenuto il rimborso di imposta.

4.7 Il principio del contraddittorio, dell'obbligo di motivazione e della trasparenzaPrevisto dalla l. 141/90 art. 8 da la facoltà agli interessati di intervenire nel procedimento sanzionatorio o di limitazione dell'autonomia privata. Riconosciuto anche dalla corte di giustizia europea dalla CEDU art. 6 che nel “diritti e doveri di carattere civile” include i rapporti con la PA e nel “accusa penale” anche atti sanzionatori e restrittivi relativi a materia fiscale e pubblico impiego.L'obbligo di motivazione è strettamente collegato al primo e impone di indicare il regionamento di fatto e di diritto che ha portato al provvedimento amministrativo (art. 3, c. 1, l. 21/90) per dare la possibilità agli interessati di conoscere la motivazione e al giudice di valutarne la legittimità.Il diritto di accesso (art. 22 241/90) deriva dal principio di trasparenza amministrativa e serve a favorire la partecipazione e assicurare imparzialità e trasparenza all'attività amministrativa. Riguarda oltre alla PA anche soggetti privati che svolgono pubblici servizi e esclude solo atti coperti da segreto di stato, i procedimenti tributari, attività dirette all'emanazione di atti normativi, generali e di pianificazione e documenti contenenti informazioni psico attitudinali relativi a terzi.

4.8 Il principio di sussidiarietà e di leale cooperazioneIl principio di sussidiarietà, stabilito dall'art. 118 cost. affida ai comuni le funzioni amministrative e solo per assicurare un criterio unitario a livelli superiori di governo, È riconosciuto anche nella CE per le funzioni che nei casi di insufficienza dell'effetto statale, efficacia sugli effetti e dimensione del campo di azione prevedono l0intervento a livelli superiori.Il principio di leale cooperazione, che come il precedente, riguarda la PA più che i cittadini, garantisce (art. 10 tr. CE) la cooperazione tra gli stati e le diverse istituzioni al fine di assolvere agli obblighi del trattato, La corte cost. (sent. 437/2000) ha esteso il principio ai rapporti tra stato e regioni. Attiene all'obbligo di informazione, consultazione, di coordinazione nell'esercizio delle proprie competenze.

Le funzioni

1. Pubbliche amministrazioni e funzioni amministrativeLe funzioni della PA costituiscono la ragion d'essere (scopo) e la posizione nei confronti della società. Sono il principio ordinatore dell'organizzazione e dell'attività amministrativa e determinano la fonte competente a regolarle.

2.1 Nozione di funzione: funzione amministrativa e separazione dei poteriLa funzione amministrativa (nel senso di compiti della PA) faceva capo al potere esecutivo, secondo la tripartizione classica dei poteri (il potere esecutivo non era sindacabile da quello giudiziario). Oggi non è più così: esistono autorità indipendenti e la stessa amministrazione non fa capo solamente al governo che ha solo compiti di indirizzo e controllo. In Europa le stesse istituzioni hanno compiti misti (la Commissione che è principalmente organo esecutivo, partecipa al procedimento legislativo e ha funzioni di contenzioso) e il diritto europeo impone il superamento di

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qualsiasi immunità (il giudice può sanzionare il potere legislativo per erronea attuazione delle direttive comunitarie).

2.2 Funzione e servizioLa distinzione tra funzione e servizio varia a seconda dei casi. Nel diritto comunitario la funzione attiene all'esercizio dei pubblici poteri e alla tutela degli interessi generali dello stato (difesa, ordine pubblico, imposizione fiscale). I servizi sono attività svolte da soggetti pubblici ma non relativi ad attività specifiche dello stato. Il primo rientra nella deroga alla libera circolazione dei lavoratori (varie sentenze della C. giustizia CE).Nell'ordinamento nazionale, la contrapposizione più netta fra funzione e servizio si ha nel codice penale per graduare i reati e le sanzioni. La funzione è caratterizzata dai poteri autoritativi e certificativi e considerata attività necessaria per la collettività. Questa caratteristica manca al servizio. Il pubblico impiego relativo alla funzione così definita è normalmente regolato dal diritto pubblico e quindi escluso dal regime privatistico.Oggigiorno tale distinzione tende ad attenuarsi. Ad esempio la regolazione dello sciopero di alcuni “servizi pubblici” li pone allo stesso livello di necessita delle funzioni. Mentre alcuni compiti autoritativi vengono delegati a soggetti privati (il potere sanzionatori degli ausiliari del traffico).In generale il servizio pubblico è inteso quello erogato a condizioni diverse da quelle di mercato sulla base di un incarico dell'amministrazione.

2.3 L'amministrazione come funzioneL'ordinamento assicura la funzionalizzazione per fini pubblici dell'amministrazione, nel senso che essa deve essere preposta alla cura di interessi generali. Ciò implica l'esistenza di norme che garantiscano il fine pubblico dell'attività amministrativa; che non garantisce l'applicazione in tutti gli istituti del diritto amministrativo, intesi come contrapposti a quelli del diritto privato.Quindi avremo nell'organizzazione amministrativa i vari ministeri dove lo stato esercita controlli diretti e può annullare o approvare singoli atti, e società per azioni dove il fine pubblico è assicurato in maniera indiretta, tramite indirizzo e verifiche saltuarie, in funzione di quale modello risulta più idoneo per il soddisfacimento dell'interesse pubblico. Lo stesso discorso vale per i mezzi.Per il personale esistono due regimi. Quello pubblico riservato a poche categorie per assicurare che tale personale operi al servizio della Nazione. Mentre quello privato, regolato dal codice civile, oggi è diventato prevalente ed ha poche deroghe, ad esempio quella legata all'assunzione per concorso pubblico. Anche i beni pubblico sono soggetti a due regimi: quello pubblicistico relativo ai beni demaniali del patrimonio indisponibile e quello privato per il patrimonio disponibile. Ma con il conferimento dei beni indisponibili a enti economici, fermo restando il fine pubblico di tali beni, sono possibili operazioni di valorizzazione e di alienazione.L'attività amministrativa è sottoposta ai principi costituzionali di imparzialità e buon andamento, è procedimentalizzata e sottoposta a controlli. Tale attività si conclude con un provvedimento (che può essere sostituito o determinato da accordi di tipo privatistico) che può essere annullato dal giudice e dalla stessa amministrazione. Altre volte l'attività si svolge tramite contratti, cioè atti non autoritativi, secondo le norme del diritto privato (e la legge tende a preferire tale via). Il perseguimento dei fini è assicurato da insiemi di vicende, da risultati intermedi o finali o non da singoli atti.

2.4 La funzionalizzazione dei compiti di interesse generale dei privatiMolti enti pubblici sono stati privatizzati, pur continuando a svolgere compiti di interesse generale, mentre alcune funzioni sono state affidate a terzi (esternalizzazioni) prevalentemente soggetti di

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diritto privato. Questo sistema misto ha trovato sempre più sostegno nella legislazione, in particolare con l'art. 118 c. 4 cost. che favorisce l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale. Inoltre il diritto comunitario, per favorire la libera circolazione e la concorrenza, ha limitato allo stato la possibilità di riservarsi compiti di interessi generali. In generale i privati sono esonerati dall'integrale osservanza delle singole regole del procedimento amministrativo; devono piuttosto comportarsi coerentemente con il nucleo essenziale di tali regole.A volte è il legislatore a prevedere l'estensione di procedure amministrative ai privati che svolgono attività di pubblica utilità, come il diritto di accesso alla documentazione amministrativa (art. 23, l. n. 241/90). In altri casi è la giurisprudenza che afferma la natura pubblica di talune società per azioni partecipate dalle stato, imponendo di attenersi al diritto pubblico. Oppure, sempre la giurisprudenza, cataloga come atto amministrativo l'attività svolta da privati per interesse pubblico, e lo assoggetta alla disciplina generale dell'attività amministrativa permettendo al privato di agire per annullamento per illegittimità per vizio della funzione. In generale tale controllo può essere fatto a priori prima di conferire l'incarico o ad agevolarlo finanziariamente. Può essere fatto durante l'attività, imponendo degli obblighi, delle condizioni o dei limiti, o dando la possibilità ai beneficiari di agire in via amministrativa.

4. La distribuzione tra i livelli di amministrazioneSia l'integrazione europea che la riforma dello stato in senso federale causano una distribuzione della funzione amministrativa su vari livelli. Le politiche dell'Unione europea si sono estese su materie non solo economiche, fino ad abbracciare la maggior parte della disciplina relativa alle funzioni amministrative. Il principio di sussidiarietà impone l'intervento della Comunità solo “nella misura in cui gli obiettivi dell'azione prevista non possano essere sufficientemente realizzati dagli stati membri”. Gli stati sono invece tenuti ad osservare il principio di leale cooperazione.A livello statale, la riforma costituzionale del 2001 ha invertito le competenze legislative tra stato e regioni, affidando a queste ultime competenze concorrenti e, in via residuale, esclusive. Inoltre le competenze amministrative sono state affidate ai comuni, salvo che, per assicurare l'unitarietà, siano conferite da leggi agli enti sovraordinati, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. In pratica, diverse sentenze della Corte cost., hanno stabilito che l'attribuzione della funzione amministrativa impone di verificarne la natura, le dimensioni e la capacità dei soggetti competenti a svolgerla, e comunque, partendo da quanto stabilito dalla Costituzione, di concertare tra i vari soggetti eventuali interventi dello Stato.

5. Elementi e classificazioniLa classificazione delle funzione amministrative avviene secondo quattro elementi.La materia indica il campo di intervento, viene definito dalla legge ed è aspetto giuridicamente rilevante per quanto riguarda la distribuzione della competenza legislativa tra Comunità, stati, regioni e enti locali.Il fine è lo scopo complessivo dell'azione amministrativa. Tradizionalmente riconducibili a tre tipi fondamentali: di organizzazione, di ordine e conservazione e di benessere. Escluso il primo, richiamato la distinzione tra amministrazione di ingerenza e di prestazione, tra funzione e servizio. Ma abbiamo già visto che in questo campo è difficile tracciare divisioni nette.Le attribuzioni costituiscono il complesso dei compiti conferiti all'amministrazione dalle norme, su una data materia e per il conseguimento di un fine. Possono essere di ordine (ordine pubblico e giustizia). Oppure di erogazione di servizi dove si instaurano rapporti individuali con l'utenza (sanità, previdenza). Una terza ipotesi è la vendita di beni e servizi, svolgendo lo stato attività commerciali di interesse pubblico. Un altro caso è la direzione di attività private per la cura di interessi collettivi, come le funzioni di governo del territorio e disciplina economica (pianificazione e programmazione). Infine le attribuzioni possono essere di tipo regolativo di rapporti tra privati,

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assumendo l'amministrazione una posizione di terzietà. È il caso di equo bilanciamento di interessi contrapposti (autorità indipendenti per le comunicazioni, per la privacy).I destinatari sono secondo una visione classica i cittadini che difendono i loro diritti dalle limitazioni imposte dall'amministrazione (interesse oppositivo). Con lo sviluppo dello Stato sociale i destinatari richiedono all'amministrazione una prestazione e diventano titolari di una pretesa. Con lo Stato regolatore i cittadini entrano in rapporto a tre con l'amministrazione regolatrice e i soggetti regolati. È importante stabilire chi sono i destinatari per stabilire i soggetti legittimati a partecipare ai procedimenti e ad impugnare i provvedimenti finali.

6. Le funzioni di ordineLe funzioni di ordine fanno parte delle cosiddette funzioni sovrane che si esplicano soprattutto mediante poteri, che limitano la libertà dei cittadini, ma servono anche a garantire i diritti dei cittadini quando l'intervento dell'ordine pubblico.

6.1. L'ordine pubblicoL'integrazione a livello europeo, per quanto riguarda l'ordine pubblico, si limita alla semplice cooperazione tra forze di polizia per il tramite dell'Ufficio europeo di polizia (Europol art. 29 e 30 tr. UE). L'ordine pubblico e la sicurezza fanno parte delle materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato (alle regioni competono quelle di polizia amministrativa) e la sicurezza pubblica è tra le ragioni che giustificano l'esercizio del potere sostitutivo del governo nei confronti degli enti locali.La funzione è di tipo conservativo ed è diretta al mantenimento dell'ordine pubblico, inteso come il complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge l'ordinata e civile convivenza nella comunità nazionale, nonché alla sicurezza delle istituzioni, dei cittadini e dei loro beni. Essa è caratterizzata dal conflitto tra autorità e libertà. Difatti la Costituzione garantisce alcuni diritti fondamentali (art. 13 – 21) o riserva ai casi previsti dalla legge o alla previa autorizzazione dell'autorità giudiziaria l'esecuzione di alcuni poteri. Esecuzione che è affidata all'amministrazione della pubblica sicurezza operante sotto la responsabilità del Ministero degli affari interni. Da esso dipendo tutte le forze di polizia: la Polizia di Stato, che è parte del Ministero, e le altre forze di polizia anche se dipendono da altre amministrazioni.

Attività giuridica conservativa è l'attività diretta a conservare un diritto attuale e assicurare l'esercizio futuro.

6.2. L'amministrazione della giustiziaAnche la giustizia è considerata funzione sovrana e a livello europeo esiste una forma di cooperazione con l'Unità europea di cooperazione giudiziaria (Eurojust art. 28 e 31 tr. UE), mentre a livello nazionale la Costituzione (art. 117) pone la materia di giurisdizione e norme processuali fra le competenze legislative esclusive statali.La funzione giudiziaria si svolge attraverso atti autoritativi non provvedimentali (le sentenze) per finalità conservative (dichiara al spettanza di diritti e obblighi), mentre l'amministrazione della giustizia mira a garantire una fruizione diffusa delle forme di tutela giurisdizionale ed un esercizio efficiente della stessa. Invece le attribuzioni necessarie all'esercizio della funzione sono divise tra gli organi di autogoverno dei giudici (Consiglio superiore della magistratura in testa), che si occupano del loro status, della carriera e delle sanzioni al fine di assicurare l'indipendenza della magistratura, e l'amministrazione dei servizi che fa capo al Ministero della giustizia (organizzazione e servizi delle giustizia, servizi dell'amministrazione penitenziaria e servizi relativi alla giustizia minorile).

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7. Il governo del territori e dell'ecosistemaI pubblici poteri si sono sempre più interessati all'assetto del territorio: mediante al costruzione di infrastrutture fondamentali (strade, ponti), regolando il razionale sviluppo dell'assetto urbanistico dei centri abitati, e infine, occupandosi della tutela dell'ambiente.

7.1 Le infrastruttureAnche a livello europeo esiste l'interesse per lo sviluppo di grandi reti transeuropee (art. 154 tr. UE). A livello nazionale le competenze ricadono a volte esclusivamente sullo Stato, altre volte sono oggetto di legislazione concorrente, a seconda dell'oggetto al quale afferiscono (art. 117 cost. e C. cost. n. 303/2003).Il codice degli appalti si preoccupa di garantire la qualità delle prestazioni, il rispetto dei principi di economicità, efficacia, tempestività e correttezza; mentre l'affidamento deve rispettare i principi di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità. La legislazione relativa alle infrastrutture di preminente interesse nazionale pone come obiettivo la modernizzazione e lo sviluppo del paese secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nonché a fini di garanzia della sicurezza strategica di contenimento dei costi di approvvigionamento energetico e l'adeguamento della strategia nazionale a quella comunitaria. Questa funzione è svolta attraverso attribuzioni di tipo direttivo. L'amministrazione (stato e ente locale, a seconda della rilevanza dell'opera) programma e commissiona le opere che i privati si impegnano a costruire dietro il pagamento di un corrispettivo a carico della finanza pubblica o dei fruitori finali. Il diritto comunitario garantisce la parità di trattamento tra imprese nazionali e non, a tutela della libera circolazione dei servizi. L'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici presiede a garanzia della correttezza e della trasparenza amministrativa.In alcuni casi soggetti privati, quando assumono il ruolo di promotore e contraente generale sono considerati organismi di diritto pubblico, ai fini della soggezione alle procedure per la selezione dell'impresa contraente. Oggi l'attestazione dei requisiti per la partecipazione alle gare di appalto è svolta da soggetti privati:le società organismi di attestazione (Soa).I beneficiari ultimi sono i cittadini ma la loro posizione non assume specifica rilevanza giuridica. Invece le imprese che concorrono all'aggiudicazione degli appalti sono destinatarie delle attività strumentali di committenza e in quanto tali, soprattutto per effetto del diritto comunitario, ricevono una particolare protezione da parte dell'ordinamento allo scopo di garantire la non discriminatorietà delle procedure di gara.

7.2 L'urbanisticaPer urbanistica si intende tutto ciò che concerne l'uso del territorio (e non solo degli aggregati urbani) ai fini della localizzazione e tipizzazioni degli insediamenti con le relative infrastrutture (C, cost. n. 239/1982). Nella costituzione è una materia di legislazione concorrente come governo del territorio ed è stata per la prima volta regolata con la l. n. 1140/1942. Anche la Comunità europea adotta misure concernenti l'assetto territoriale e la destinazione dei suoli (art. 175 par. 2 tr. Ce). Allo Stato spetta l'identificazione delle linee fondamentali dell'assetto del territorio nazionale (art. 52 c. 2 d.lg. 112/1998) mentre la maggior parte delle funzioni amministrative compete a regioni ed enti locali. Quindi gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell'ambiente; funzioni svolte mediante attribuzioni di direzione e di regolazione che trovano fonte negli atti di pianificazione urbanistica. Le regioni e le province adottano piani territoriali di coordinamento ai quali devono conformarsi le panificazioni comunali, che adottano il piano regolatore generale e il piano particolareggiato d'esecuzione. A questa disciplina generale si affiancano le leggi speciali e settoriali tra i quali il Codice dei beni culturali e del paesaggio.Destinatari delle funzioni amministrative in materia urbanistica sono le comunità sul territorio: i

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residenti e i proprietari. I primi possono avanzare proposte e osservazioni ai piani; i secondi vere e proprie opposizioni e in alcuni casi partecipano alla pianificazione mediante forme negoziali.

7.3 La tutela dell'ambienteLa tutela dell'ambiente ha una storia recente ed è contemplata dalla Costituzione in maniera indiretta: con la tutela del paesaggio (art. 9), e con la tutela della salute (art. 32). L'art. 117 l'elenca tra le competenze esclusive dello Stato ma è anche oggetto della politica comunitaria, la quale assicura un elevato livello di tutela (art. 174 tr. Ce) e di vincoli globali frutto di accordi internazionali. Esistono varie definizioni normative, funzionali all'applicazione di specifiche disposizioni. L'ordinamento garantisce comunque l'unitarietà e l'autonomia della nozione. Tra le nozioni più significative vi è quella comunitaria del citato art. 174: la tutela dell'ambiente persegue fini di salvaguardia, protezione e miglioramento della qualità dell'ambiente, protezione della salute umana e utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali.Le attribuzioni dei pubblici poteri relativamente a questa funzione sono molto diverse: vanno dalla direzione di attività private, alla loro regolazione, o ad interventi e erogazione di servizi a beneficio della comunità. Tra le procedure di carattere generale vi è la programmazione ambientale, oggi finalizzata a interventi promozionali e la valutazione d'impatto ambientale, per la tutela preventiva.Lo Stato ha competenza dove prevale l'interesse nazionale, dove il bene è infrazionabile (ad esempio il mare) oppure è connesso ad altri interessi nazionali. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio svolge le relative funzioni, coadiuvato dall'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici. I singoli cittadini, come destinatari della funzione, hanno il dritto all'informazione, alla partecipazione ai procedimenti di rilevanza ambientale e alla tutela giurisdizionale. Gli enti collettivi, come le associazioni di protezione ambientale, hanno ulteriori facoltà rispetto a quelle previste dal diritto amministrativo.8. Le funzioni del benessereIl benessere è diventata una funzioni principali già a partire dalla fine del diciannovesimo secolo. La Costituzione garantisce a tutti alcuni diritti sociali fondamentali e salvaguarda la libera iniziativa dei privati nel campo assistenziale e dell'istruzione. La riforma del 2001 invita i pubblici poteri a favorire l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale. Oltre alla sanità, l'istruzione e la protezione sociale, vi sono la valorizzazione dei beni culturali e la diffusione della pratica sportiva.

8.1 Il Servizio sanitario nazionaleLa Costituzione garantisce la salute e cure gratuite agli indigenti (art. 32). Lo Stato definisce i livelli essenziali delle prestazioni mentre è materia di legislazione concorrente la tutela della salute, che comprende anche igiene e sanità pubblica. La Comunità detta norme con lo scopo di migliorare la salute pubblica, prevenire le malattie, eliminare le fonti di pericolo per la salute umana.La materia è regolata dalla legge n. 833/1978 e successive integrazioni e modifiche. L'amministrazione centrale esercita compiti di direzione mentre a livello regionale vengono definiti gli interventi necessari e viene regolato il funzionamento dei servizi. Le prestazioni sono erogate dalle aziende sanitarie locali. Si tratta di enti regionali, dotati di personalità giuridica pubblica e organizzati in forma imprenditoriale. Anche i soggetti privati accreditati concorrono alle prestazioni, sotto il potere direttivo e regolativo delle ASL. I destinatari sono tutti gli individui (cittadini e non), e ultimamente è stato introdotto una forma di compartecipazione ai costi, differenziate a seconda delle capacità economiche e sociali dei beneficiari (in base all'Ise).

8.2 Il Sistema nazionale di istruzioneIn materia di istruzione, la Costituzione affida ai pubblici poteri i seguenti compiti: erogazione

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dell'istruzione mediante le scuole statali per tutti gli ordini e gradi; garanzia di istruzione gratuità e obbligatoria per almeno otto anni; ausilio economico con l'erogazione di borse di studio per i meritevoli senza mezzi; regolazione e controllo delle scuole private; certificazione degli esami di Stato. I privati possono istituire scuole private senza oneri per lo Stato (art. 33 e 34 cost.).L'Unione europea contribuisce allo sviluppo di un'istruzione di qualità incentivando la cooperazione tra gli Stati e integrandone l'azione. Gli Stati membri son invece responsabili di definire il contenuto dell'insegnamento e dell'organizzazione del sistema di istruzione e formazione professionale (art. 149 e 150 tr. Ce).Lo Stato ha potestà legislativa esclusiva in materia di norme generali e di livelli essenziali delle prestazioni, mentre è materia di competenza concorrente l'istruzione, eccetto l'autonomia delle istituzioni scolastiche e la formazione professionale (art. 117, c. 2 e 3 cost.).La materia è regolata dalla l. n. 53/2003 e dal d. lg. 59/2004. Questi mirano a favorire la crescita e valorizzazione della persona umana, nel rispetto delle differenze, delle identità di ciascuno e delle scelte educative della famiglia, in coerenza con il principio di autonomia delle istituzioni scolastiche. Il fine è di promuovere l'apprendimento in tutto l'arco della vita, assicurare pari opportunità di raggiungere elevati livelli culturali, di favorire il conseguimento di una formazione spirituale e morale, di garantire il dirtto all'istruzione e alla formazione per almento dodici anni.Il Sistema si articola in scuola dell'infanzia, primo ciclo (scuola primaria e secondaria di primo grado), e secondo ciclo (licei e formazione professionale).Le istituzioni scolastiche sono dotate di autonomia e di personalità giuridica di diritto pubblico. Accanto ad esse, operano gli istituti privati, che dal 2000 sono diventati elementi costitutivi del Sistema. I beneficiari sono i bambini e giovani italiani e non. La compartecipazione è molto ridotta a scapito di un sistema organico di borse di studio. Sussidi regionali in buoni scuola sono erogati come finanziamento indiretto degli istituti privati.

8.3 La protezione socialeLa protezione sociale si articola in previdenza e assistenza (art. 38 cost.). La prima stabilisce che ai lavoratori siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. La seconda invece afferma che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto di mezzi ha diritto al mantenimento ed all'assistenza sociale. Gli stessi hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Anche se l'assistenza privata è libera, a questi diritti devono provvedere organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.L'Unione europea può adottare prescrizioni minime che tengano conto delle condizioni e normative in ciascun paese, senza ostacolare lo sviluppo delle imprese (art. 136 e 137 tr. Ce). La previdenza sociale rientra tra le materia di competenza legislativa esclusiva dello Stato. La previdenza integrativa è competenza concorrente. L'assistenza sociale, non essendo menzionata, rientra nella competenza legislativa esclusiva delle regioni.Il sistema è stato riformato dalla l. 336(1995) che adesso calcola il trattamento pensionistico in base alla contribuzione effettiva dell'intera vita lavorativa, le condizioni di accesso secondo il principio di flessibilità, l'armonizzazione dei sistemi pensionistici e l'agevolazione delle forme pensionistiche complementari al fine di stabilizzare la spesa pensionistica. Le prestazioni sono erogate da enti pubblici (INPS), e enti privati (le casse di previdenza dei liberi professionisti trasformate in associazioni e fondazioni di diritto privato. La previdenza integrativa affidata ai fondi pensione è ordinata in forme privatistiche e sottoposta a vigilanza pubblica (d. lg. 252/2005). I beneficiari sono tutti i lavoratori: subordinati e autonomi. Essi tramite le associazioni sindacali partecipano, insieme ai rappresentanti degli enti finanziatori, agli organi di indirizzo e vigilanza degli enti erogatori. Inoltre lo Stato finanzia gli Istituti di patronato e assistenza sociale, per assistere gratuitamente i privati nel conseguimento delle prestazioni previdenziali e assistenziali.Il sistema di assistenza trova ora un quadro unitario con la l. n. 328/2000. Essa regola interventi e servizi sociali, ovvero le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi gratuiti ed a

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pagamento di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e difficoltà che la persona incontra durante la sua vita. I pubblici poteri, ai diversi livelli, hanno compiti di programmazione e organizzazione del sistema integrato. In particolare, spetta allo Stato determinare i principi e gli obiettivi della politica sociale attraverso il Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali, e individuare i livelli essenziali e uniformi stabiliti poi nei limiti delle risorse ripartibili del Fondo nazionale per le politiche sociali (art. 46, l. 289/2002). La gestione e l'offerta è fornita da soggetti pubblici e privati, tra i quali le istituzioni di assistenza e beneficenza, le ONLUS e le cooperative, le organizzazioni di volontariato e le fondazioni. Hanno diritto ad usufruire delle prestazioni i cittadini italiani, nel rispetto di accordi internazionali e delle leggi regionali i cittadini dell'Unione europea, e gli stranieri individuati ai sensi della legge sull'immigrazione. Per quelli che perdono il lavoro esiste la Cassa integrazione guadagni che fornisce prestazioni straordinarie e integrative non automatiche, e per i lavoratori a tempo determinato esiste una forma di tutela (d. lg. n. 276/2003). Mentre per chi non ha accesso al mondo del lavoro non esiste una tutela efficace.

9. I servizi pubbliciI servizi pubblici essenziali per la collettività, quali trasporti di linea, telecomunicazioni, radiodiffusione, recapito della posta, energia elettrica e gas in passato erano erogati in regime di monopolio da imprese pubbliche o da concessionari incaricati dall'amministrazione. Adesso, grazie al diritto comunitario che non tollera limitazioni alla concorrenza e alla libera circolazione, questi servizi vengono erogati nella maggior parte dei casi da soggetti economici privati.

9.1 L'energia elettrica e il gasL'energia elettrica e il gas, per effetto della disciplina comunitaria (art. 94 tr. Ce), sono quasi completamente liberalizzati, quindi l'art. 43 della Costituzione viene disapplicato. L'attuazione della disciplina europea, la tutela della concorrenza e dei livelli essenziali delle prestazioni spettano allo Stato in maniera esclusiva. Mentre la produzione, il trasporto e la distribuzione sono materie di legislazione concorrente (art. 117, c. 2 e 3 Cost). Le finalità generali della materia sono indicate dalla l. n. 481/1995 che elenca fra gli altri: promozione della concorrenza e dell'efficienza, diffusione in modo omogeneo su tutto il territorio, economicità e redditività per gli operatori, tutela degli interessi degli utenti e consumatori. Le funzioni regolative vengono svolte dall'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG) che ha poteri precettivi, di controllo e di soluzione delle controversie e opera con una certa autonomia e indipendenza.Il d. lg. 79/1999 regola l'assetto dei due mercati. L'energia elettrica è libera per quanto riguarda la produzione, importazione, esportazione, acquisto e vendita, mentre il mercato è vincolato da una concessione per le attività di trasmissione, dispacciamento e distribuzione. Comunque soggetti pubblici continuano a svolgere una importante funzione di gestione (l'ENEL è ancora partecipata dalla Stato).Il settore del gas è disciplinato dal d. lg. 625/1996 e dal d. lg. 164/2000 sulla base di condizioni trasparenti e non discriminatorie. La distribuzione è affidata mediante gara per un massimo di dodici anni a livello locale. L'Autorità regola il settore mentre il Ministero dello sviluppo economico garantisce gli approvvigionamenti. Anche in questo caso il principale operatore è una s.p.a sotto il controllo pubblico (ENI). Il mercato è formato da relazioni multilaterali tra organi di governo, autorità tecniche, operatori pubblici e privati, spesso regolati asimmetricamente per favorire l'introduzione della concorrenza, e beneficiari, a volte in condizioni vincolata perché obbligati a scegliere un operatore, oppure in condizione di disagio economico.

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9.2 I trasporti pubblici di lineaLa politica comune europea dei trasporti prevista dal art. 70 del tr. Ce ha imposto la liberalizzazione del mercato. Allo Stato spettano le norme a tutela della concorrenza e dei livelli essenziali delle prestazioni mentre sono materia di legislazione concorrente le grandi reti di trasporto e di navigazione. L'Unione europea per favorire l'adeguamento delle ferrovie al mercato unico ed evitare le distorsioni dovute agli aiuti di stato ha imposto la distinzione tra rete e servizio di trasporto in modo da non mescolare oneri impropri con costi dovuti ad inefficienze del servizio (d.P.R. 277/1998). Lo Stato continua ad essere titolare della principale impresa ma i diritti speciali di quest'ultima sono stati abrogati; le sue attività sono state separate in due società distinte. Il Ministero dei trasporti è preposto a regolare e vigilare sulla concorrenza e a risolvere le controversie tra imprese ferroviarie e gestore dell'infrastruttura.I pubblici poteri possono operare come committenti del servizio acquistando sul mercato le prestazioni destinate agli utenti finali qualora vogliano garantire servizi di trasporto non economicamente vantaggiose a favore di determinate categorie di utenti o a beneficio di determinati territori, stipulando contratti che disciplinano i vari aspetti del servizio (regolarità, capacità e qualità del servizio, tariffe, percorsi e categorie di passeggeri da tutelare).Analoghe trasformazioni si registrano nei trasporti aerei, marittimi e in quelli locali. Anche qui l'imposizione di obblighi di servizio è consentita in via eccezionale e a seguito di procedure trasparenti. Ma non vi è ancora una completa liberalizzazione, anche perché i proprietari delle aziende sono ancora gli enti locali.

9.3 Le comunicazioni elettronicheAdeguandosi al diritto comunitario (art. 86 e 94 tr. Ce) e grazie allo sviluppo tecnologico che permette un'ampia fruizione delle comunicazioni elettroniche, lo Stato ha dismesso i compiti erogativi e direttivi e attualmente esercita quasi esclusivamente attribuzioni di tipo regolativo. Con il “Codice delle comunicazioni elettroniche” lo Stato ha recepito la disciplina comunitaria a tutela della concorrenza e, limitandosi a garantire i livelli essenziali delle prestazioni, afferma che tale attività è libera e di preminente interesse generale. Esso mira a garantire la libertà di comunicazione, il diritto alla riservatezza, la libertà di iniziativa economica e il suo esercizio in regime di concorrenza. Oltre ad una serie di garanzie, la disciplina prescrive che la fornitura di reti e servizi di comunicazione elettroniche è subordinata ad un'autorizzazione generale, costituita da una semplice denuncia di inizio attività. Particolari obblighi di trasparenza, non discriminazione, separazione contabile, accesso e uso di determinate risorse, controllo dei prezzi e dei costi, possono venire imposti alle imprese detentrici di un significativo potere di mercato.Il Codice garantisce inoltre il servizio universale e i diritti degli utenti, mediante l'accesso alla rete telefonica pubblica a tutto il territorio, la fornitura di servizi di informazione sugli abbonati, l'installazione di apparecchi telefonici a pagamento e misure speciali per gli utenti disabili.I rapporti tra consumatori e imprese sono ratti da contratti e le eventuali controversie sono risolte mediante procedure extragiudiziali.All'esercizio dei compiti diregolazione del settore è preposta l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioi (Agcom), istituita dalla l. n. 249/1997, ma i suoi poteri sono stati parzialmente erosi dal Ministero delle comunicazioni.I destinatari della funzione sono le imprese, che come abbiamo visto possono essere sottoposti ad una regolazione asimmetrica, e gli utenti a cui viene garantito l'universalità del servizio e misure speciali per gli utenti più deboli.

10. La disciplina dell'economiaLe crisi della prima metà del ventesimo secolo, hanno portato lo Stato ad intervenire direttamente in diversi settori produttivi, mediate imprese pubbliche, forme di direzione e programmazione

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dell'economia e ausili economici. Questi tipo di interventi è stato fortemente ridotto dal diritto comunitario e sono stati sostituiti da attribuzioni di tipo regolativo dei pubblici poteri su soggetti privati per assicurare il corretto funzionamento dei mercati.

10.1 L'agricolturaOggi la materia è in larga misura retta dal diritto comunitario con gli art.32-38 tr. Ce, che disciplinano sia il mercato dei prodotti agricoli sia le politiche agricole. Sottraendolo in parte alle norme della concorrenza, viene stabilita una politica agricola comune, in modo da assicurare un tenore di vita equo alla popolazione agricola, stabilizzare i mercati, garantire gli approvvigionamenti , assicurare prezzi ragionevoli ai consumatori.Per ogni prodotto è istituita una “organizzazione comune dei mercati agricoli”, che si sostituisce alle organizzazioni nazionali quando offra garanzie per i produttori e di mercato equivalenti a quelle organizzazioni nazionali. L'organizzazione europea è organizzata su più livelli e la gestione è affidata a organismi nazionali (in Italia l'Agenzia per le erogazioni in agricoltura - Agea) che son responsabili nei confronti dello Stato, ma sono funzionalmente legati all'Unione.La Costituzione non menziona al titolo V l'agricoltura, quindi sembrerebbe materia oggetto di legislazione esclusiva delle regioni. Ma lo Stato svolge ancora compiti importanti:– disciplina generale in materia di scorte e approvvigionamenti alimentari;– tutela della qualità dei prodotti agroalimentari;– educazione, ricerca e sperimentazione;– importazione ed esportazione dei prodotti agricoli e alimentari;– interventi sui mercati;– salvaguardia delle biodiversità vegetali e animali.Il Ministero per le politiche agricole, alimentari e forestali, opera nelle due grandi aree funzionali dell'agricoltura e della pesca e della qualità dei prodotti agricoli e dei servizi. Inoltre è preposto agli adempimenti relativi al fondo europeo di orientamento e garanzia in agricoltura – Feoga, relativamente alla regolarità delle operazioni (insieme all'Agea). La nuova normativa nazionale (d.lg. 226, 227, 228/2001) mira a favorire la diffusione dell'agricoltura biologica e di qualità e a tutelare lo svolgimento di attività agricole anche dal punto di vista sanitario, con misure di incentivazione alle imprese agricole e sovvenzioni.I destinatari della funzione sono le imprese agricole e alimentari e dell'agriturismo, ma beneficiano di misure di incentivazione e di protezione i residenti nelle aree rurali e i consumatori dei prodotti agricoli.

10. L'industriaLe funzioni amministrative in materia di industria e attività produttive, tradizionalmente orientate allo sviluppo e alla protezione delle imprese nazionali pubbliche e private, trovano una nuova cornice nell'art. 3 tr. Ce. che prevede il rafforzamento della competitività dell'industria comunitaria.Nell'ordinamento italiano la Costituzione individua come materia di legislazione concorrente il sostegno all'innovazione per i settori produttivi (art. 117, c. 3, cost). Allo Stato spettano, attraverso il Ministero dello sviluppo economico, compiti prescrittivi, certificativi, regolativi, direttivi, attraverso una pluralità di strumenti di sovvenzione e di ausilio finanziario alle attività di rilievo strategico e nazionale. Alle regioni spettano le erogazioni per la parte restante dei contributi pubblici. Ai comuni, attraverso l'istituzione di appositi sportelli unici, spettano le funzioni amministrative di controllo concernenti la realizzazione, l'ampliamento, la cessazione, la localizzazione di impianti produttivi. In questo modo si prevede la limitazione degli interventi autorizzatori e di condizionamento della libertà d'impresa, la riduzione dei costi privati per il rispetto dei parametri di pubblico interesse, la semplificazione dei relativi procedimenti. A tale scopo è stato istituito il Registro informatico degli adempimenti amministrativi per le imprese (l.n. 228/2003). Gli strumenti di ausilio finanziario non si concentrano più nel sostegno ad alcune

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industri, ma assumono carattere orizzontale, per obiettivi. Oppure mirano allo sviluppo di determinate zone, con strumenti negoziali (patti territoriali e contratti d'area).

10.3 La vigilanza su mercati finanziariI mercati finanziari sono tuttora suddivisi nei tre settori tradizionali:– bancario con le imprese bancarie e il controllo della Banca d'Italia;– mobiliare con gli intermediari finanziari e gli investitori istituzionali e il controllo della Consob;– assicurazioni con le imprese assicurative con il controllo dell'Isvap.Ma i confini tra i tre mercati vanno attenuandosi. Diventa quindi possibile stabilire un diverso riparto della vigilanza, basato questa volta sulle finalità. Si sta affermando quindi la prospettiva di concentrare le funzioni di tutela della trasparenza in capo alla Consob, la tutela della concorrenza presso l'Autorità antitrust, mantenendo comunque la competenza dei regolatori di settori, a cominciare dalla Banca d'Italia, sulla stabilità dei diversi operatori. Inoltre, data la sempre maggiore integrazione a livello internazionale dei mercati, l'Unione europea ha emanato direttive allo scopo di garantire al libera circolazione dei servizi e dei capitali. Quindi, oltre alle autorità nazionali che sono chiamate a esercitare i loro poteri in armonia con le disposizioni comunitarie e a collaborare sia a livello nazionale che comunitario, la Banca centrale europea può essere chiamata a vigilare sugli enti creditizi e sulle altre istituzioni finanziarie.Gli interessi tutelati sono essenzialmente due:– la trasparenza;– la correttezza nella sollecitazione e della gestione del pubblico risparmio;così come disposto nell'art. 47 cost., compito che spetta, in regime di legislazione esclusiva, allo Stato (art. 117, cost.).Il controllo non può essere più effettuato definendo la struttura del mercato, dato che l'accesso nel mercato libero non può più essere limitato. La vigilanza è invece esercitata vendo riguardo alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, alla stabilità complessiva, all'efficienza e alla competitività del sistema finanziario, nonché all'osservanza delle disposizioni in materia creditizia. Tale attività ha come destinatari le banche e gli altri intermediari finanziari e si esplica in quattro modi:– controllo degli statuti;– vigilanza informativa; – vigilanza regolamentare;– vigilanza ispettiva.I destinatari delle funzioni di vigilanza sono i risparmiatori, che nel passato erano tutelati con misure dirette alla stabilità delle imprese. Oggi invece, la tutela è garantita principalmente con misure dirette alla solvibilità, alla trasparenza e alla competizione. Tuttavia i risparmiatori sono ancora privi di poteri di denuncia e di partecipazione ai procedimenti di controllo innanzi alle autorità pubbliche. La nuova legge di riforma del risparmio, difatti, mira a rafforzare i poteri di vigilanza delle autorità pubbliche, e in particolare della Consob (l.n. 262/2005).

10.4 La tutela della concorrenzaLa tutela della concorrenza è citata dall'art. 4 tr. Ce., dalla nostra Costituzione (art. 41 cost.), a garanzia della libertà di iniziativa economica, e fa parte della potestà legislativa esclusiva dello Stato (art. 117 cost.).Questa funzione è stata istituita di recente con la l. n. 287/1990, che ne attribuisce la cura ad un'apposita autorità indipendente, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato – Agcm. La disciplina nazionale si innesta in quella comunitaria (art. 81 ss. tr. Ce.) e si applica in tutti i casi che non ricadono nell'ambito di applicazione della normativa comunitaria. e in base ai principi della Comunità.In seguito la legislazione comunitaria e nazionale ha abolito il sistema accentrato di notifica preventiva e di esenzione delle intese e ha riconosciuto l'applicabilità diretta da parte delle autorità e dei giudici nazionali.L'autorità antitrust ha attribuzioni di carattere para giudiziale. Essa valuta le condotte

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imprenditoriali consistenti in intese restrittive della libertà di concorrenza, abusi di posizione dominante e operazioni di concentrazione.I beneficiari della funzione sono le imprese e i consumatori, che possono denunciare le condotte anticoncorrenziali e sono legittimati ad agire in sede civile per il risarcimento del danno.

L'organizzazione

1. Pubblica amministrazione e organizzazione amministrativaPer organizzazione amministrativa si indica di solito:– il complesso dei soggetti e delle strutture che svolgono attività di pubblica amministrazione

(profilo strutturale e statico);– esercizio della funzione amministrativa dei pubblici uffici, esercitata attraverso strumenti

giuridici, quali regolamenti, statuti, atti amministrativi, prassi (caratteri funzionali e dinamici).Da considerare che alcune fattispecie possono essere considerate in un'ottica sia di organizzazione che di attività.L'organizzazione, intesa come complesso degli uffici, predisposta per la cura di interessi generali di una collettività, non è estranea alla collettività stessa ma è una sua propaggine. Inoltre l'organizzazione non può considerarsi attività preparatoria alla reale funzione amministrativa, ma ne è parte essenziale: l'istituzione di un ufficio, la sua sfera di competenza, la scelta del tipo di organo, sono tutte essenziali ai fini dello svolgimento dell'attività amministrativa.2. Elementi dell'organizzazione.Le norme attribuiscono a ciascuna autorità amministrativa le funzioni da esercitare. Ciò significa che il legislatore definisce e ordina una attività giuridica finalizzata ad uno scopo, la assegna ad una articolazione organizzativa e infine le conferisce i poteri necessari per il suo svolgimento.Le funzioni sono normalmente organizzate, nel senso che sono distribuite tra i vari uffici. Ma nelle costituzioni lunghe come la nostra del '48, le funzioni proclamate sono tante e non tutte sono organizzate.L'articolazione delle funzioni viene effettuata tenendo conto che l'organizzazione amministrativa viene ad essere definita in connessione alle funzioni da espletare (e non in relazione al legame tra organo e ente). I criteri fondamentali ai quali si ispira la suddivisione delle funzioni sono:– la materia, in base alla quale le funzioni vengono attribuite a un determinato soggetto;– le attribuzioni, in base alla quale la stessa materia può essere attribuita a soggetti diversi ma

espletando compiti diversi (compiti di indirizzo, di controllo, di gestione), in modo da garantire, in un certo senso l'imparzialità.

La distribuzione dei poteri permette agli uffici di operare: essa definisce la competenza degli uffici, ovvero la parte di funzione che deve essere esercitata. Gli elementi che definiscono la competenza degli uffici sono tre:– la materia che può essere generale, relativamente ad una funzione, o limitata;– il grado, che fissa una gerarchia tra i vari uffici;– il territorio, che delimita geograficamente la competenza di un ufficio.La competenza è fissata per legge e non può essere derogata, tranne quando espressamente previsto. I casi di conflitto di competenza possono essere reali o virtuali (un ufficio esercita o pretende di esercitare un potere ritenuto da un altro ufficio lesivo della propria competenza), positivi o negativi (due uffici si dichiarano contemporaneamente competenti o incompetenti).

3. Le nozioni di base. Le figure soggettiveLe organizzazioni pubbliche, statali e non, sono configurate come persone giuridiche di diritto pubblico. Spesso tale qualifica non è indicata espressamente dalla norma, ma si deduce dall'esame del suo regime giuridico e dal complesso di norme che disciplinano la sua esistenza, attività e dal

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suo inquadramento nel sistema amministrativo.L'organo è una partizione organizzata della persona giuridica (ufficio) che una norma qualifica idonea ad esprimerne la volontà, consentendone l'imputazione dell'atto e degli effetti (nell'ente comune tale è il sindaco o il consiglio comunale). Attraverso il rapporto organico, diversamente da quanto avviene nel caso della rappresentanza, sia l'atto che l'effetto vengono imputati all'ente. Ciò è necessario sia per mantenere la responsabilità al vertice, sia per tutelare le posizioni giuridiche dei privati.L'organo si compone dei seguenti elementi:– la titolarità, ovvero la persona fisica attraverso il quale l'ente si avvale per esprimere la propria

volontà;– l'ufficio, ovvero la parte di potestà assegnata dalla legge e delimitata dalla competenza.Fra i veri uffici di un ente, sono organi solo quelli in grado di manifestare esternamente la volontà dell'ente, gli altri svolgono funzioni ausiliari e strumentali rispetto agli organi.

4. Tipi e modelli organizzativiL'amministrazione pubblica si articola in una pluralità di modelli e di tipi che sono ordinati sempre più secondo il criterio della dispersione. Ciò perché, accanto a quelli centrali dello stato vi son altri corpi che operano a livelli nazionale, periferico e comunitario; e poi perché tra le pubbliche amministrazioni si diffonde sempre più la tendenza a consentire l'utilizzazione di strumenti propri del diritto privato.

4.1 Classificazione degli uffici pubbliciPrendendo in esame soltanto uno dei diversi profili che caratterizzano gli uffici si possono formulare le seguenti categorie:– uffici necessari sono quelli espressamente costituiti da una norma mentre uffici non necessari

sono quelli istituiti autonomamente dall'amministrazione;– uffici monocratici sono costituiti solamente da una persona fisica mentre uffici collegiali sono

costituiti da una pluralità di persone;– gli uffici collegiali possono essere perfetti quando ai fini di una decisione, sia indispensabile una

discussione tra i componenti, oppure imperfetti quando sia possibile soltanto esprimere la volontà; possono essere di ponderazione o reali quando debbono raggiungere una decisione, oppure essere di composizione o virtuali se devono comporre interessi eterogenei; possono essere rappresentativi se i titolari sono eletti o designati da gruppi sociali oppure no;

– uffici semplici sono quelli costituiti da una unità elementare non scomponibile, mentre uffici complessi quelli formati da una pluralità di uffici che agiscono in modo coordinato in relazione ad un determinato fine;

– uffici entificati se assumano la personalità giuridica altrimenti sono meri uffici;– uffici ordinari se istituiti in modo permanente, oppure uffici straordinari se istituiti

temporaneamente per assolvere a compiti circoscritti e determinati;– gli uffici possono essere attivi, consultivi o di controllo in relazione alla natura dei compiti

attribuiti;– gli uffici possono essere centrali quando hanno una competenza estesa a tutto il territori

nazionale, periferici quando dipendono da uffici centrali ma operano i periferia (come la prefettura – ufficio territoriale del governo), locali quando dipendono da amministrazioni autonome con una dimensione territorialmente circoscritta, misti se rappresentano interessi centrali e locali allo stesso tempo;

– uffici esterni se son legittimati ad adottare provvedimenti che determinano conseguenze nei confronti di soggetti estranei, oppure interni quando svolgono attività che ha rilievo solo all'interno dell'organizzazione.

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4.2 I modelli prevalentiI modelli prevalenti oggigiorno sono quattro:– ministero;– ente pubblico;– autorità indipendente;– soggetto privato controllato.

5. Le relazioni organizzativeEssendo l'organizzazione amministrativa italiana molto complessa e varia, assumono importanza le relazioni tra i vari centri.

5.1 Rapporti di subordinazioneIn tale ipotesi un ufficio posto in posizione subordinata viene assoggettato, in diversa misura, ai poteri di un ufficio posto in posizione sovraordinata. In questo ambito le figure sono le seguenti:– la gerarchia si realizza quando un ufficio viene sottoposto ai poteri di comando, di indirizzo e di

controllo di un altro ufficio. Avviene attraverso ordii, istruzioni, atti di coordinamento, di vigilanza, di annullamento, di riforma, di decisione, di avocazione e di sostituzione. Questo rapporto oggi è poco comune.

– La direzione consiste nella determinazione da parte di un ufficio nei confronti di un altro di un obiettivo da perseguire. Si concretizza mediante direttive, cioè atti che definiscono i fini, lasciando al destinatario ampia discrezionalità in ordine alla scelta delle modalità e dei mezzi.

– Il controllo è la verifica operata da un ufficio della corrispondenza dell'attività svolta da una altro ad un indirizzo definito in via preventiva a livello normativo o amministrativo e, n caso negativo, nell'adozione di una misura sanzionatoria. Il controllo può riguardare l'attività complessiva o i suoi risultati, può essere, in relazione al soggetto interno o esterno, relativamente all'ambito può essere di legittimità o di merito, può essere preventivo o successivo e può essere di natura amministrativa, contabile, ecc.

– La delegazione permette ad un ufficio legittimato a provveder in ordine a specifici interessi attribuiti alla sua cura, di incaricare un altro ufficio di compiere una determinata attività preordinata al medesimo fine. In questo caso il secondo acquisisce poteri e facoltà normalmente attribuiti in via esclusiva al primo.

5.2 Rapporti di equiordinazioneQuando due uffici sono collocati sullo stesso piano si hanno rapporti di parità o di primazia:– il primo caso si ha quando due o più uffici hanno i medesimi poteri pur se in relazione a materi

diverse;– il secondo caso si ha quando tra più organi posti in una posizione paritaria ne ne è uno che, per

taluni fini particolari, assume una posizione prevalente (ad es. il presidente di un collegio che ha poteri di convocazione di un'assemblea).

5.3 Rapporti di autonomiaE' la capacità di alcuni enti pubblici di autodeterminarsi in ordine alla soddisfazione degli interessi di propria pertinenza. Tale capacità non è definita in termini assoluti, ma si differenzia in relazione al contenuto, qualificandosi di volta in volta in modo diverso. E' possibile individuare vari tipi di autonomia:– politico-amministrativa, quando ad una ente viene riconosciuto il potere di darsi un indirizzo

politico-amministrativo diverso da quello del governo centrale (organi che rappresentano collettività come le regioni, le provincie);

– normativa, quando viene riconosciuto il potere di darsi norme rilevanti per il sistema generale delle fonti del diritto(regolamenti comunali di polizia, di igiene ecc.);

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– organizzativa o statutaria, quando viene riconosciuto il potere di definire, con uno statuto, il proprio assetto strutturale interno per la parte non definita da una norma primaria, nonché regole per il proprio funzionamento;

– regolamentare, quando ad un ente viene riconosciuto il potere di adottare regolamenti organici, del personale, di contabilità o di servizio;

– finanziaria, quando un ente può finanziarsi autonomamente, attraverso la percezione di proventi derivanti dallo svolgimento di una propria attività, amministrandoli direttamente;

– contabile, quando ad un ente viene riconosciuto il potere di tenere una propria contabilità in base a norme che derogano la disciplina di contabilità generale;

– tributaria, quando ad un ente viene riconosciuto l potere di assicurarsi proprie entrate attraverso l'imposizione di tributi (come gli enti locali).

Inoltre si ha:– l'autogoverno quando un ente, nel proprio territorio, viene dotato, oltre che di autonomia, anche

di tutte le funzioni pubbliche, ad eccezione di quelle concernenti la difesa e i rapporti con l'estero (si è avuto fino agli anni trenta in Gran Bretagna);

– il decentramento consiste nella devoluzione di funzioni da uffici centrali a uffici locali, che le esercitano sotto l controllo delle rispettiva collettività e non più dal centro;

– con la deconcentrazione si realizza un trasferimento di funzioni da uffici centrali ad uffici periferici, che dipendono sempre dall'amministrazione statale (caso delle prefetture uffici territoriali del governo).

Infine si ha l'autarchia quando ad un ente viene riconosciuto il potere di adottare atti amministrativi che, in relazione agli effetti, sono equiparati a quelli statali. Tale capacità attualmente viene riconosciuta in via generale a tutti gli uffici pubblici.

5.4 Rapporti di indipendenzaIl rapporto di indipendenza si pone ad un livello di astrazione superiore respetto a quello di autonomia: quest'ultimo presuppone comunque un rapporto tra soggetti differenti, che in qualche modo si vuole limitare. Invece con l'indipendenza si vuole evitare qualsiasi relazione che in qualche misura può condizionare l'esercizio della funzione.Nel nostro ordinamento è presente per evitare condizionamenti governativi verso la magistratura in modo da garantire l'estraneità del giudice rispetto alle controversie che deve esaminare.Il principio di indipendenza è correlato a quello di imparzialità: ambedue tendono a garantire l'azione amministrativa, assoggettandola solamente alla legge, da ingerenze interne e esterne.

5.5 Altri rapporti tra ufficiOltre ai rapporti sin qui indicati, organi e uffici sono soggetti ai seguenti rapporti:– rapporti informali e di collaborazione riscontrabili nella prassi;– amministrazione indiretta che avviene nel caso di comuni e province che svolgono alcuni

compiti per conto dello Stato;– rapporto di codipendenza che si verifica quando una organizzazione dipende

contemporaneamente da più enti;– amministrazione impropria, prevista da una norma abrogata della Costituzione, permetteva ad

un ente (le regioni in quel caso) di utilizzare per alcune funzioni, gli organi di altri enti, che così vedevano la propria attività scissa in due parti, imputabile ai due enti dai quali dipende;

– altri rapporti sono le conferenze di servizi e gli accordi tra pubbliche amministrazioni.

6. L'organizzazione pubblica italianaQuella italiana è un organizzazione reticolare, priva di un centro di riferimento e di comando, perché articolata su più poli e centri di imputazione, collocati in aree diverse, regionali, statali e sopranazionali. Per questo motivo è definibile come “multiorganizzativa”.

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6.1 I principi fondamentaliL'organizzazione amministrativa viene riconosciuta a livello costituzionale in maniera diretta e indiretta:– l'art. 97 stabilisce la riserva di legge in materia di organizzazione pubblica, individuando nella

legge la fonte primaria di disciplina, pur consentendo che aspetti non essenziali possano essere dettati da atti di normazione secondaria (riserva relativa). Ciò perché i principi di imparzialità e buon andamento impongono strumenti meno rigidi delle leggi per la loro attuazione.

– Gli art. 5 e 114 affermano e tutelano il decentramento e l'autonomia degli enti locali territoriali;– Gli art. 99 e 100 garantiscono l'indipendenza della Corte dei conti e del Consiglio di Stato,

confermando la dissoluzione dalla funzione centralizzatrice dello Stato e l'affermazione del sistema “multiorganizzativo”, che è espressione del pluralismo sancito dall'art. 2.

Oltre alla Costituzione, l'organizzazione amministrativa si ispira anche all'art. 5 del tr. Ce, che stabilisce il principio di sussidiarietà, in seguito richiamato anche dalla nuova Costituzione all'art. 118, quando affida ai comuni le funzioni amministrative salvo che, per assicurare un esercizio adeguato e efficiente, non vengano conferite ad enti superiori. Inoltre i principi affermati dagli art. 2 e 4 del d. lg. 29/1993 e art. 2 e 5 165/2001 dispongono che le amministrazione pubbliche devono definire la propria organizzazione in modo che:– sia assicurata la rispondenza al pubblico interesse dell'azione amministrativa;– sia garantita la funzionalità rispetto ai compiti e ai programmi il perseguimento di obiettivi di

efficienza, efficacia ed economicità;– la flessibilità delle strutture;– il collegamento delle attività;– il soddisfacimento delle esigenze degli utenti;– la distinzione tra i compiti di indirizzo e di controllo, riservati all'organo politico e quelli di

gestione riservata agli uffici dirigenziali.

6.2 Le fonti nazionali e comunitarieLa disciplina positiva dell'organizzazione amministrativa è contenuta, anche se non esclusivamente, in atti normativi, primari e secondari, e atti amministrativi. Le leggi e gli atti aventi forza di legge devono prevedere i lineamenti fondamentali dell'organizzazione dello Stato. In particolare devono prevedere l'istituzione, la struttura di base, le attribuzioni e le competenze degli organi. Tra gli atti normativi secondari vi son in primo luogo i regolamenti statali, disciplinati dagli art. 17 della l. 400/1988.Vi sono poi i regolamenti e gli statuti degli enti pubblici e, a seguire, gli strumenti di natura convenzionale (accordi tra uffici diretti a garantire il coordinamento, consorzi tra enti locali per la gestione associata di uno o più servizi).Alcune norme sono contenute in atti comunitari che disciplinano l'attività di soggetti nazionali per lo svolgimento di funzioni comunitarie (ad esempio l'organizzazione comune dei mercati agricoli).Infine interviene la prassi, che per effetto dell'incremento dei poteri dei funzionari pubblici e a causa della struttura reticolare nell'organizzazione dello Stato, assume una funzione di integrazione del contenuto delle norme.

7. L'apparato ministerialeI ministeri son uffici complessi, che in settori di intervento omogenei, e si differenziano in ordine ai tipi di funzioni, alle soluzioni strutturali, interne e periferiche, alle dimensione e alla disciplina.In tutti i ministeri ricorrono tre caratteri: il vertice è costituito dal ministro che, a norma dell'art. 95 cost., è a capo dell'apparato amministrativo; i poteri del ministro e del ministero sono identici; l'organizzazione interna è di tipo divisionale, in quanto le unità elementari vengono aggregate, sulla base di esigenze funzionali in uffici intermedi (divisioni).La prima caratteristica è temperata dal d. lg. n. 165/2001, che attribuisce poteri di definizione degli obiettivi, dei programmi da attuare e di verifica della rispondenza dei risultati raggiunti al ministro,

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mentre i compiti di gestione finanziaria, tecnica e amministrativa sono attribuiti ai dirigenti.La seconda caratteristica non si verifica quando i poteri del ministro, a volte, superano quelli dell'apparato a cui è preposto.La terza caratteristica è, in alcune ipotesi, non verificata, dato che per dotare i ministeri di uffici con funzioni strumentali alle esigenze amministrative si istituiscono uffici separati o ci si avvale di altri enti pubblici.

7.1 L'ordinamento dei ministeriCon il d. lg. 300/1999 si è operata una riduzione dell'apparato ministeriale. I ministeri si sono ridotti a dodici (da diciotto che erano), sono state limitate le unità di comando (segretariati generali, dipartimenti, direzioni generali), e si provveduto ad un'ampia delegificazione in materia.Sono state istituite dodici agenzie (sei con personalità giuridica), con funzioni tecnico-operative che richiedono particolari professionalità e conoscenze specialistiche. Infine si è provveduto alla concentrazione degli uffici periferici. Quindi in periferia, accanto a amministrazioni specializzate sulla sicurezza, difesa, finanza, giustizia, scuola e beni culturali, le prefetture sono state trasformate in uffici territoriali del governo.La Presidenza del Consiglio dei ministri è stata riorganizzata in modo adattarla meglio alle funzioni di direzione, indirizzo e coordinamento necessarie in seguito all'integrazione europea e al decentramento verso le autonomie locali, e ricollocando le funzioni eterogenee e spurie presso altre amministrazioni.Ma in seguito al d. l. 217/2001 e al d. l. 191/2006, i ministeri sono stati portati a quattordici e a diciotto, quindi il passaggio da una situazione di frammentazione ad una situazione di fusione è stato in parte disatteso e contraddetto.

7.2 I singoli ministeri e la Presidenza del Consiglio dei ministriAi diciotto ministeri vanno aggiunti il Dipartimento della funzione pubblica e quello per il coordinamento delle politiche comunitarie, istituiti in via permanente e con a capo, di solito, un ministro.Quattro ministeri svolgono compiti di ordine e indirizzo: il Ministero degli affari esteri, il Ministero dell'interno (che ha attribuzioni molto differenziati, ma principalmente la pubblica sicurezza), il Ministero della giustizia (che principalmente amministra gli organi giudiziari e svolge anche le funzioni dell'ufficio del Guardasigilli) e il Ministero della difesa.Quatto ministeri hanno funzioni economico-finanziaria: il Ministero dell'economia e delle finanze (provvede alla politica di gestione della spesa, di bilancio fiscale, nonché delle entrate finanziarie dello Stato), il Ministero dello sviluppo economico (che esercita le attribuzioni in materia di industria, commercio e artigianato),il Ministero del commercio internazionale (che cura le politiche per la competitività internazionale), il Ministero delle comunicazioni (che si occupa di poste e comunicazioni), il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (che svolge funzioni di cura delle relazioni internazionali, di partecipazione alla elaborazione delle politiche comunitarie e definizione delle politiche nazionali) e il Ministero del lavoro e della previdenza sociale.Cinque ministeri nel campo sociale e culturale; il Ministero dell'istruzione e quello dell'università e della ricerca, il Ministero dei beni e delle attività culturali, il Ministero della salute e il Ministero delle solidarietà sociale.Tre ministeri agiscono nel settore delle infrastrutture e dei servizi; il Ministero delle infrastrutture, il Ministero dei trasporti, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio.I ministeri adesso sono organizzati da una disciplina comune, anche se non uniforme. A capo dei singoli ministeri sono collocati i ministri e, eventualmente, vice ministri, che si avvalgono di uffici di diretta collaborazione e raccordo con l'amministrazione (gabinetto, ufficio legislativo, ecc.).La Presidenza del Consiglio dei ministri, che non può essere assimilata ad un ministero è disciplinata della l. 400/1988. e dal d.lg.303/1999 (successivamente modificato). Essa e organizzata in dipartimenti ed uffici posti alle dipendenza del Segretariato generale, con l'eccezione di quelli affidati ai ministri senza portafoglio. L'assetto interno è modificabile dal Presidente del Consiglio

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dei ministri con proprio decreto. Essa, in applicazione dell'art. 95 cost. è ridefinito il centro di direzione del sistema amministrativo, in modo da assicurare l'unità di indirizzo politico e amministrativo del governo e il potenziamento del ruolo di impulso, indirizzo e coordinamento del Presidente del Consiglio.Alla Presidenza del Consiglio dei ministri fanno capo sotto il profilo organizzativo organi consultivi e di controllo quali l'Avvocatura dello Stato, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e enti pubblici quali l'ISTAT e il CNR.

7.3 L'articolazione perifericaL'articolazione periferica è stata recentemente riordinata secondo criteri di omogeneità, complementarietà e organicità(l. n. 59/1997, d.lg. 112/1998 e d.lg 300/1999). In seguito al decentramento delle funzioni statali, per effetto del principio di sussidiarietà, è stato attribuito agli enti regionali e locali una competenza amministrativa generale. Alcuni strutture ministeriali periferiche sono state riorganizzate, mentre altre sono state soppresse e le funzioni trasferite in sede regionale e locale. Inoltre con l'istituzione delle prefetture-uffici territoriali del governo, si volevano attribuire competenze generali non espressamente attribuite ad altri uffici e inglobare le articolazioni periferiche di sei ministeri su quattordici. In realtà le prefetture sono diventate organi di coordinamento tra gli enti periferici (d.lg. 29/2004 e DPR 180/2006) più che di amministrazione attiva, grazie ad una conferenza permanente presieduta dal titolare dell'ufficio. Gli enti locali sono esclusi da tale conferenza e il raccordo viene realizzato attraverso convenzioni, per quanto riguarda l'utilizzo degli uffici statali e regionali, e attraverso conferenze di servizi negli altri casi.

7.4 Le agenzieLe agenzie sono strutture che svolgono attività di carattere tecnico-operativo di interesse nazionale al servizio delle amministrazioni pubbliche, comprese quelle regionali e locali.Le prime agenzie istituite negli anni ottanta del secolo scorso sono caratterizzate dalla atipicità della loro regolamentazione, e comprendo fra le altre l'Agenzia spaziale italiana - Asi e l'Agenzia per la rappresentanza negoziale nelle pubbliche amministrazioni – Aran.Con il d.lg. n. 300/1999 è stata introdotta una normativa generale di riferimento che definisce un modello generale, seppure aperto a varianti applicati, che prevede due distinte specie di agenzie:– le agenzie soggette alle disposizioni generali del decreto, che regola l'ordinamento, il personale,

la dotazione finanziaria, modalità di gestione e azione. Esse sono sottoposte ai poteri di indirizzo e vigilanza del ministro e i rapporti con il ministero di riferimento sono disciplinati da apposite convenzioni (ad es. l'Agenzia per la protezione dell'ambiente e per i servizi tecnici).

– le agenzie sottoposte ad un regime speciale che deroga le disposizioni generali, soprattutto per quanto attiene ai profili concernenti lo statuto, i rapporti con il ministro, il personale, la finanza ed i controlli (ad es. le quattro agenzie fiscali: delle entrate, del demanio, delle dogane e del territorio).

Le previsioni sono:– accentuare la distinzione tra politica e amministrazione;– realizzare la flessibilità dell'organizzazione ministeriale;– affermare la complementarità tra l'amministrazione centrale e quella regionale e locale.

8. Le autorità indipendenti.Le autorità indipendenti si sono affermate negli ultimi anni per lo svolgimento di funzioni pubblicistiche sostanzialmente atipiche di regolazione del mercato di tutela di diritti fondamentali. Ad esse viene riconosciuto un particolare grado idi indipendenza dal potere politico, economico e burocratico. Per assicurare tale posizione di neutralità e terzietà le leggi prevedono tre tipo di misure:

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– autonomia di gestione , organizzatoria, di organico, finanziaria e contabile;– garanzie in ordine ai requisiti soggettivi dei titolari, alle condizioni di esercizio del loro mandato

e alle modalità di designazione;– sotto il profilo funzionale di regolazione e protezione di interessi socialmente rilevanti, viene

garantita la piene indipendenza. Esse sono sottomesse solamente alla legge e manca il potere di controllo ed indirizzo del governo.

Queste autorità dispongono di poteri di controllo, di indagine, di raccomandazione, di proposta, di sanzione, di regolamentazione e di decisione individuale, anche sulla base di criteri extragiuridici. Tale modello ha costituito un fattore di crisi per la pubblica amministrazione, introducendo: – un dispersione del potere normativo;– una limitazione del ruolo del governo.Ma proprio questa circostanza ha comportato un rafforzamento della loro indipendenza.

9. Gli enti pubbliciIl concetto di ente pubblico è molto complesso e non facilmente definibile, tante sono le specie diverse esistenti prive di tratti comuni. Oggi, per effetto delle privatizzazioni che hanno trasformato tanti enti pubblici in società per azioni, è in forte ridimensionamento.

9.1 CaratteriCon ente pubblico si viene ad indicare una persona giuridica che ha particolari attributi di natura pubblicistica e, allo stesso tempo, è disciplinata da norme specifiche, derogatorie rispetto a quelle di ordine generale che regolano le associazioni, le fondazioni, le società.Enucleare i criteri distintivi non è agevole:– se diciamo che persegue istituzionalmente un fine pubblico sorge il problema della nozione di

fine pubblico dato che molti soggetti privati perseguono a volte finalità collettive;– evidenziando il rapporto di servizio sorgono (in posizione strumentale al servizio dello Stato)

ugualmente delle contraddizioni.La giurisprudenza ha cercato di elaborare degli indici di riconoscibilità, ovvero degli elementi distintivi della natura giuridica di un ente:– la titolarità dei poteri di imperio (di autorganizzazioine, di certificazione, di autotutela, ecc..):– l'istituzione da parte dello Stato o di altro ente pubblico;– il riconoscimento della c.d. “operatività necessaria”, ovvero l'impossibilità che i compiti

attribuiti vengano esercitati da altro soggetto, l'impossibilità al fallimento e all'estinzione volontaria;

– il controllo o l'ingerenza da parte dello Stato;– la fruizione di agevolazioni o privilegi tipici di amministrazioni statali, ecc.Comunque, dato che le differenze sono maggiori dei tratti comuni, se ne deduce che qualsiasi tentativo di definizione unitaria risulta inutile.

9.2 Categorie principaliLe categorie principali di enti pubblici sono tre:– gli enti territoriali sono quelli (ad esempio, le regioni e le province) che trovano nel territorio

una limitazione alla validità dei propri atti amministrativi;– gli enti economici sono quelli che esercitano in via principale e prevalente un'impresa, non

assumendo importanza il settore di intervento che può essere anche non economico. La loro attività è prevalentemente di tipo privatistico con poche eccezion rilevanti per il diritto pubblico (ASL e Agenzia del demanio – fino a poco tempo fa numerosissimi, adesso buona parte sono stati trasformati in società per azioni).

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– Gli enti non economici sono quelli che non rientrano nelle categorie precedenti, e quindi, essendo definiti in termini negativi, sono fortemente disomogenei sul piano delle funzioni e delle strutture, avendo in comune soltanto la disciplina collettiva del rapporto di lavoro.

In quest'ultima categoria si possono far rientrare i seguenti enti:– gli istituti di Stato (Istat) sono soggetti dotati di propri organi, i cui membri sono scelti dal

governo, hanno bilancio autonomo ma sono finanziati dal Ministero dell'economia e svolgono funzioni essenziali dei pubblici poteri;

– gli enti di disciplina di settore svolgono funzioni di controllo di attività private;– gli enti di servizio erogano servizi a favore di privati avvalendosi di finanziamenti di natura

fiscale e parafiscale (Inps e Inpdap);– gli enti associativi sono una espressione pubblicistica del fenomeno dell'associazionismo perché

hanno la rappresentanza degli interessi del proprio gruppo sociale di riferimento (Aci e istituti scolastici).

L'organizzazione interna degli enti pubblici adottano come modello base quello della società per azioni ordinaria, con un vertice formato da un presidente, da una consiglio di amministrazione, un organo di controllo e un'assemblea di partecipanti o di soci.Invece gli organismi di diritto pubblico, definiti nella normativa comunitaria in materia di appalti pubblici sono persone giuridiche private, svolgenti attività non economica e sottoposte a controllo o influenza pubblica.

9.3 I consorzi di enti pubbliciI consorzi di enti pubblici si formano per l'assolvimento di compiti che sono propri di tutti i soggetti partecipanti. Infatti deve esistere una affinità di interessi che preesiste alla costituzione del rapporto giuridico. I tratti comuni dei consorzi sono tre:– una pluralità di soggetti pubblici portatori di interessi affini;– un vincolo associativo, che può essere volontario (contratto) o autoritativo (un provvedimento

nel caso dei consorzi coattivi); in ambedue i casi nascono degli obblighi ad astenersi dall'esercizio di determinati poteri ed a fornire determinate prestazioni;

– un apparato organizzativo stabile dotato di personalità giuridica, strumentale al perseguimento dei fini consortili.

Recentemente, tra le varie figure di consorzi previsti dalla legislazione, ha assunto rilevanza quello tra enti locali (d.lg. n. 267/2000). Esso può essere costituito per la gestione associata di servizi pubblici e per l'esercizio associato di funzioni secondo le norme previste per le aziende speciali.

10. L'amministrazione regionale e localeGli enti autonomi territoriali sono le regioni, le province e i comuni. Essi sono indipendenti dallo Stato, ma la loro indipendenza deriva dal fatto di essere rappresentativi delle collettività di riferimento, e quindi sono titolari di poteri di indirizzo politico-amministrativo.Questi enti trovano la loro disciplina nella Costituzione, che all'art. 5 stabilisce: “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”, al titolo V qualifica questi enti come elementi costitutivi della Repubblica, oltre che dare poteri legislativi alle regioni, amministrativi a regioni e enti locali e sancire il principio che i compiti amministrativi spettano ai comuni.Tra questi enti si sono, inoltre, costituiti vari organismi:– i consorzi (già visti);– le unioni di comuni contermini, per esercitare varie funzioni di loro competenza;– le comunità montane, per la valorizzazione delle zone montare o parzialmente montane;– le città metropolitane, che quando verranno costituite, acquisiranno le competenze di tute le

funzioni della provincia nella medesima area;– i municipi, fusione di due o più comuni contigui, istituzione prevista dagli statuti degli stessi

comuni.

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10.1 L'organizzazione di governo e i rapporti tra organi politici e organi amministrativiLe regioni, le province e i comuni sono organizzati secondo il modulo proprio dello Stato centrale. Esso comprende:– un consiglio (regionale, provinciale e comunale) eletto dalle collettività stanziate nel territorio,

con compiti normativi, di indirizzo e di controllo;– una giunta (regionale, provinciale e comunale) con compiti esecutivi e di supporto al capo

dell'esecutivo;– un presidente (regionale e provinciale) o un sindaco con compiti di direzione

dell'amministrazione e di rappresentanza.I governi regionali e locali sono sistemi di tipo presidenziale, in modo da rendere più stabile l'esecutivo. Difatti il capo dell'esecutivo viene scelto dai cittadini, e, a sua volta, sceglie gli assessori della giunta. Il consiglio, eletto con sistema maggioritario temperato da quote proporzionali, può sfiduciare, ma non scegliere l'esecutivo.Per quanto riguarda i rapporti tra organi politici e uffici amministrativi, valgono le regole già enunciate per lo Stato. In particolare il d.lg. n. 267/2000 attribuisce agli statuti e ai regolamenti locali il compito di disciplinare la dirigenza locale e stabilisce che ai dirigenti sono attribuiti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con atti di indirizzo; che essi sono titolari della c.d. competenza residuale; che sono responsabili della correttezza amministrativa, dell'efficienza e dei risultati della gestione.

10.2 L'organizzazione amministrativaLa Costituzione stabilisce l'autonomia organizzativa degli enti locali, che essi disciplinano con lo statuto e i regolamenti.Di norma ogni assessore è a capo di un complesso di uffici, competente per una determinata materia, denominato assessorato. Inoltre è frequente nelle regioni il ricorso a enti strumentali, aziende e società per azioni a prevalente partecipazione regionale.Nelle province e nei comuni è prevista la presenza di un direttore generale e, necessariamente, un segretario comunale e provinciale. Il direttore generale è scelto al di fuori della dotazione organica e ha un contratto a temo determinato. Provvede ad attuare gli indirizzi e gli obiettivi stabiliti dagli organi di governo dell'ente e sovrintende alla gestione. Il segretario comunale e provinciale viene selezionato mediante pubblico concorso e dipende da una apposita agenzia (Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali). Egli svolge funzioni di collaborazione e consulenza amministrativa e quando non viene nominato il diretto generale, è il segretario a svolgere le sue funzioni.La legge prevede l'istituzione di organi, per province e comuni, per il decentramento di compiti e per12. Organizzazione amministrativa e strumenti privatistici la partecipazione dei cittadini all'amministrazione locale. Essi sono:– i circondari (facoltativi) per le province;– le circoscrizioni per i comuni (obbligatori se i comune ha più di centomila abitanti).Infine il citato decreto, regola la gestione dei servizi pubblici locali.Essi possono essere:– servizi con rilevanza economica;– servizi privi di rilevanza economica.Per i primi la proprietà delle reti e degli impianti, di norma riservata all'ente locale, deve essere distinta dall'erogazione del servizio, e l'affidamento deve avvenire con procedure di evidenza pubblica, se la società non è a capitale pubblico, altrimenti può avvenire in via diretta (senza bisogno di gare preventive).

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12. Organizzazione amministrativa e strumenti privatisticiAi fini di svolgimento di talune attività delle pubbliche amministrazioni, si ricorre, per assicurare maggiore efficienza ed economicità dell'azione pubblica, oltre che ad istituti tipici del diritto amministrativo, anche a strumenti propri del diritto privato. La ragione principale di tale tendenza sta nell'esigenza delle pubbliche amministrazioni, di esercitare attività imprenditoriali in modo efficiente ed efficace, senza i condizionamenti che derivano dalle specifiche regole di gestione dell'attività amministrativa , relative al disegno organizzativo, alla disciplina finanziaria, all'ordinamento del personale e alle procedure contrattuali. La posizione di preminenza della pubblica amministrazione, che impone deroghe ed eccezioni al diritto comune, non viene comunque abbandonata. In pratica si verifica un contemperamento tra gli aspetti soggettivi, nei quali prevale il profilo pubblicistico, e quelli oggettivi, nei quali si afferma la connotazione privatistica. Ciò dà luogo a numerose incertezze, perché spesso non risulta chiaro quale regime giuridico debba essere applicato e in quale misura. Inoltre essa non risulta conforme ai principi dell'ordinamento comunitario, il quale, in considerazione degli obiettivi sanciti dall'art. 4 tr. Ce. presuppone la parità dell'amministrazione con le altre parti nel momento in cui essa esercita attività in regime di diritto privato. Risultano quindi incompatibili tutte le norme nazionali che tendono a conferirle posizioni di privilegio, ad esempio (Cass. sez. un., 11077/1993):– quelle che non riconoscono l'obbligo di buona fede nella fase delle trattative commerciali:– quelle che prevedono l'inapplicabilità delle clausole vessatorie;– quelle che escludono i controlli di opportunità sula potestà di autotutela.

12.1 L'amministrazione pubblica in forma privata: società di diritto speciale, amministrazioni private per l'esercizio di funzioni pubbliche e amministrazioni private in pubblico comando.I tipi principali di amministrazioni pubbliche in forma privata sono tre:

– le c.d. società anomale o di diritto speciale o legali sono società per azioni che presentano caratteri derogatori rispetto al modello definito nel codice civile, in quanto previste e regolate da una legge che ne detta i principi essenziali. In questi casi il legislatore non incontra limiti in ordine alla disciplina da applicare alle persone giuridiche pubbliche. Rispetto al modello dell'ente pubblico economico vi è una differenza sostanziale. Nel primo il soggetto è pubblico, pur operando per la maggior parte in base a regole privatistiche, mentre nel secondo il soggetto è privato, ma è retto da norme che derogano in chiave pubblicistica alla disciplina civilistica.

– Le amministrazioni private per l'esercizio di funzioni pubbliche sono soggetti privati ai quali è attribuito dalla legge l'esercizio di compiti pubblici (ad esempio le associazioni e le fondazioni che gestiscono la previdenza e l'assistenza obbligatoria per talune categorie di lavoratori, come avvocati, commercialisti, ecc...). In tale fattispecie sono previsti specifici controlli pubblici.

– Le amministrazioni private in pubblico comando sono di solito società per azioni di diritto comune, nelle quali soggetti pubblici detengono partecipazioni azionarie. In questo caso si applicano totalmente le norme civilistiche in materia societaria. Oltre alle s.p.a. sono utilizzati anche le figure dell'associazione e della fondazione.

12.2 I privati in funzione dell'amministrazione: esercizio privato di funzione pubbliche, concessioni e contratti di servizio.Le amministrazioni pubbliche provvedono alla realizzazione dei propri fini e all'esercizio delle proprie funzioni anche avvalendosi di soggetti privati. Talvolta, infatti, piuttosto che svolgere

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compiti direttamente, risulta più conveniente affidarli a terzi, i quali vengono ad agire in funzione strumentale dell'amministrazione, rimanendo separati da quest'ultima e utilizzando organizzazione e mezzi propri.

Per definire il fenomeno si usa il termine esternalizzazione. Ciò avviene con atti specifici che assumono di volta in volta natura normativa, autoritativa o contrattuale.

– La legge può demandare a determinati soggetti l'esercizio di particolari funzioni pubbliche (ad esempio gli art. 2699 e 1703 c.c. che consentono ai notai di esercitare attività costitutive di certezza pubblica). Questa figura, denominata tradizionalmente esercizio privato di funzioni pubbliche, si caratterizza per il fatto che vi è una attribuzione ad un soggetto esterno all'amministrazione della titolarità di un munus pubblico.

– Tra soggetti pubblici e privati possono stabilirsi rapporti che vengono disciplinati da atti autoritativi, come nel caso delle concessioni di servizio. Tali concessioni vengono utilizzate quando una pubblica amministrazione intende affidare ad un terzo un servizio, regolandone attraverso uno specifico atto gli obblighi.

– Una attività di pubblico interesse può essere svolta invia indiretta, mediante contratto. Anche in questo caso si ha un'amministrazione che decide di utilizzare un'organizzazione esterna per lo svolgimento di una determinata attività. Rispetto alla fattispecie precedente quest'ultima ha natura privata e non di servizio pubblico.

In tutti questi casi, tra il soggetto pubblico e quello privato si instaura un rapporto di ausiliarietà e di collaborazione. Tale rapporto comporta una ripartizione di compiti e, quindi, di poteri tra enti collegati, tra i quali ve ne è uno posto in posizione sovraordinata dal punto di vista funzionale che detiene la potestà di controllo. In tale prospettiva, assume rilevanza l'attività, pubblica o di pubblico interesse, svolta e non la natura dell'ente ausiliario, tant'è che, nella realtà, i rapporti in questione si instaurano nei confronti di enti sia interamente privati, sia privati posti sotto il controllo pubblico, sia pubblici.

Il personale

1. Titolarità degli uffici pubblici e categorie di personaleVi è uno stretto collegamento tra l'organizzazione, alla quale sono intestate le funzioni amministrative, e il personale, che le deve svolgere: queste prestano la propria attività al servizio delle pubbliche amministrazioni e, in alcuni casi, assumono la titolarità degli uffici pubblici.

1.1 Rapporto di ufficio e rapporto di servizio.Il rapporto di servizio riguarda l'attività lavorativa, che il dipendente si obbliga a prestare, di norma, in cambio della retribuzione.

Il rapporto di ufficio produce invece un collegamento giuridico tra il dipendente ed una componente dell'organizzazione. In particolare la persona fisica assume la titolarità di un ufficio ed acquisisce la capacità di esercitare i poteri e le funzioni che le norme attribuiscono a tale ufficio. In quanto titolare di una sfera di funzioni pubbliche, si dice che il dipendente è un funzionario pubblico, e in quanto componente dell'organizzazione si dice che egli vi si immedesima. L'immedesimazione è più evidente quando i funzionario è titolare di un ufficio-organo e assume la capacità di compiere atti giuridici rilevanti all'esterno dell'amministrazione, a questa imputandone i relativi effetti.

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1.2 Principi comuni ai titolari di ufficiLa titolarità dell'ufficio si acquisisce in vari modi:

– per nomina da parte del titolare di altro ufficio;

– a seguito di elezione.

La titolarità si può perdere per:

– dimissioni;

– scadenza del termine;

– per revoca o rimozione adottata dal titolare di altro ufficio.

Esistono dei principi comuni applicabili a tutti i titolari di uffici:

– il principio della continuità implica che in caso di impedimento temporaneo del titolare, sovente la legge individua chi ha il compito di sostituirlo – il supplente o vicario; oppure l'ufficio può essere affidato al titolare di un ufficio diverso, che ne diviene, ad interim, il reggente. Se il rapporto si estingue per scadenza del termine, il titolare rimane in carica fino alla nomina del successore. L'istituto della prorogatio ha un limite, oltre che di legge (l. n. 444/1994), anche costituzionale (la riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa). Inoltre il titolare scaduto deve limitarsi all'ordinaria amministrazione e il l'ufficio competente a nominare il successore è responsabile per danni.

– Il principio del conferimento della titolarità degli uffici è stabilito dalla Costituzione all'art. 51 “tutti i cittadini dell'uno e dell'altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive i condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”.

– I titolari di uffici devono adempiere a tali funzioni con disciplina ed onore (art. 54 Cost.). In particolare le funzioni devono essere esercitate mantenendo separati l'interesse dell'ufficio da quello del suo titolare, nonché il patrimonio dell'ufficio da quello del suo titolare. Ad assicurare tale separazione vi sono anche delle norme penali, come quelle che puniscono i reati di corruzione, concussione e peculato.

1.3 Il personale non volontarioIl rapporto di servizio può essere volontario o obbligatorio. Quando è imposto dall'amministrazione, contro la volontà dell'interessato, è obbligatorio. Il servizio obbligatorio è, in particolare, previsto dall'art. 52 cost., nel settore della difesa: “la difesa della patria è sacro dovere del cittadino” e “il servizio militare è obbligatorio, nei limiti e modi stabiliti dalla legge”. La l. n. 215/2001 ha sospeso il servizio obbligatorio. Esso potrebbe essere ripristinato, con decreto del Presidente della Repubblica, a fronte di particolari situazioni.

1.4 Il personale non professionaleIl personale volontario può essere:

– professionale:

– non professionale o onorario.

Quando viene conferita ad un funzionario non professionale titolarità di un ufficio, l'aspetto professionale, che è costituito dal rapporto di servizio, passa in secondo piano, perché rappresenta una semplice appendice del rapporto di ufficio.

In genere, la scelta del funzionario onorario è di natura politico-discrezionale anziché di carattere tecnico-amministrativo (non presuppone un concorso). Inoltre la legge di solito prevede dei casi di

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incandidabilità, ineleggibilità o incompatibilità.

La disciplina dei diritti e degli obblighi del funzionario verso l'amministrazione è, di regola, molto ridotta. Ciò dipende dal fatto che l'aspetto professionale assume un rilievo marginale, prevalendo l'identificazione del funzionario nell'organizzazione.

Per la stessa ragione il compenso del funzionario onorario non è un elemento essenziale del rapporto. Tuttavia, dato che l'esercizio delle funzioni pubbliche assorbono spesso l'intera capacità lavorativa, la legge quasi sempre riconosce al personale non professionale un'indennità, spesso piuttosto consistente.

Il rapporto del funzionario è, di regola, a termine, perché essendo nella maggior parte dei casi di natura politica, in un ordinamento democratico, un tale rapporto non può essere che temporaneo.

La giurisdizione delle controversie relative ai funzionari onorari, a differenza di quanto accade con il personale professionale, è ripartita fra l giudice ordinario e il giudice amministrativo sulla base della situazione soggettiva lesa.

La categoria del personale non professionale è molto ampia e composta, fra gli altri, da parlamentari, membri del governo, amministratori di enti pubblici, ecc... La loro titolarità è scelta secondo un criterio di rappresentanza politica (elezione o scelta del titolare di altra carica politica), oppure rappresentanza di interessi (rappresentatività).

1.5 Il personale professionaleIl personale professionale appartiene ad un corpo di burocrati di professione, selezionati in base al merito, i quali, in cambio della retribuzione, pongono permanentemente e continuamente la propria capacità lavorativa al servizio dell'amministrazione.

Qui il rapporto di servizi esiste indipendentemente dal rapporto di ufficio e non estingue con esso.

Se gli uffici a titolarità onoraria sono in genere espressione di rappresentanza politica, quelli a titolarità professionale riflettono il criterio del merito. Se i primi assicurano, sovente, la realizzazione del principio democratico, i secondi garantiscono il rispetto del principio di imparzialità amministrativa.

Al principio democratico è ispirata la regola che vuole la titolarità degli organi riservata al personale onorario, di estrazione politica. Ma in base al principio di distinzione tra politica e amministrazione, le funzioni di gestione amministrativa, che comprendono l'adozione di atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno, sono intestate agli uffici dirigenziali. Non è un caso che il personale professionale titolare di organi (dirigenza) presenta alcuni caratteri tipici del rapporto a titolo onorario: al natura politico-discrezionale e la temporaneità.

Nella maggior parte dei casi il personale professionale è titolare di uffici “privati” della pubblica amministrazione, la cui sfera di competenza non è individuata da fonti dell'ordinamento.

I modelli di rapporto di servizio sono due:

– il pubblico impiego ;

– il rapporto di lavoro privato con le pubbliche amministrazioni.

Entrambi costituiscono, nella loro configurazione tipica, rapporti di lavoro subordinato e a tempo indeterminato.

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1.6 Il personale precario.Vi sono categorie di personale professionale il cui rapporto di servizio presenta l'elemento della subordinazione, ma non quello della stabilità. Il personale precario, essendo assunto per u periodo di tempo determinato, e per esigenze straordinarie e temporanee, è spesso reclutato senza concorso e al di fuori della dotazione organica.

Spesso però, prima o poi, mediante appositi provvedimenti legislativi, viene immesso stabilmente in ruolo, con rapporto di lavoro a tempo determinato, sottraendosi così al concorso. La legge ha osto in passato divieti generali di assunzione dei precari, salvo poi disattendere quei divieti in un ampio numero di casi particolari.

Recentemente, nel quadro di una generale tendenza verso i rapporti di lavoro flessibili, è venuto meno anche nel settore pubblico il disfavore verso il lavoro a termine. Il d.lg. 165/2001 autorizza, in via generale, le pubbliche amministrazioni di avvalersi delle forme contrattuali flessibili (contratto a tempo determinato, di formazione e lavoro, di fornitura temporanea di lavoro, ecc.). A questi si sono aggiunti il lavoro interinale, i lavori socialmente utili e la collaborazione coordinata e continuativa.

Il citato decreto stabilisce che anche questo tipo di assunzioni è subordinato al rispetto delle disposizioni in materia di reclutamento e, dispone, che la violazione di norme imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori da parte delle pubbliche amministrazioni non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Di conseguenza la sanzione di conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che è applicata nel settore privato, continua a non trovare applicazione nel lavoro pubblico, dove il lavoratore interessato ha titolo al solo risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro in violazione di disposizione imperative. La Corte Costituzionale ha confermato tale differenza di trattamento trovando giustificazione nell'art. 97 Cost., che stabilisce il principio di accesso mediante concorso.

1.7 Il personale con rapporto di lavoro autonomoAd alcune categorie di personale professionale fa difetto sia l'elemento della stabilità, sia quello della subordinazione. Si tratta del personale assunto con rapporto di lavoro autonomo. L'art. 7, c.6, d.lg. 165/2001 è fra le norme di carattere generale che autorizza le pubbliche amministrazioni, per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, a conferire incarichi individuali ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione. Agli uffici di diretta collaborazione del ministro (art. 14, c. 2 del d.lg. 165/2001) possono essere assegnati, fra l0altro, esperti e consulenti per particolari professionalità e specializzazioni con incarichi di collaborazione coordinata e continuativa.

Le pubbliche amministrazioni tendono ad abusare di questi strumenti. La giurisprudenza ha, quindi, precisato le circostanze che giustificano il ricorso a queste categorie di incarichi: devono ricorrere esigenze specifiche e contingenti, individuate in modo oggetto, in via preventiva e sulla base di valutazioni certe e puntuali. Soprattutto deve trattarsi di esigenze cui non è possibile far fronte con personale già in servizio.

Se il soggetto cui viene conferito l'incarico diviene, anche, titolare di un ufficio pubblico, esso rientra nella categoria dei funzionari onorari. In questo caso il conferimento non trova il proprio fondamento in un rapporto di rappresentanza politica o di interessi, come i funzionari elettivi o scelti per motivi politici, ma sulla particolare qualificazione professionale del soggetto.

3. Il pubblico impiegoL'affermarsi di una burocrazia professionale ha segnato la formazione dello Stato moderno. Il suo ambito di applicazione, che per lungo tempo ha compreso la quasi generalità dei rapporti di lavoro con soggetti pubblici, si è drasticamente ridotto. Oggi comprende quasi un quinto del personale

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professionale.

3.1 I caratteri del pubblico impiegoIl rapporto di pubblico impiego presenta due caratteri fondamentali:

– il rapporto di cittadinanza;

– il rapporto di diritto pubblico;

La cittadinanza indica una relazione di appartenenza dell'individuo allo Stato. Si tratta di uno status, cioè di una posizione del soggetto nell'ordinamento, da cui derivano diritti e doveri. Il rapporto di pubblico impiego rappresenta un approfondimento dello status di cittadinanza: perché lo presuppone e ricomprende, e perché lo riproduce approfondendolo, implicando maggiori diritti e doveri. All'art. 51 la Costituzione collega l'ammissione ai pubblici uffici allo status di cittadino.

Queste norme costituzionali devono, peraltro, essere interpretate alla luce del diritto europeo. Pertanto, ai fini del requisito della cittadinanza, gli uffici pubblici, cui esse di riferiscono, sono quelli che rientrano nella nozione di pubblica amministrazione individuata dalla Corte di giustizia in ordine all'applicazione dell'art. 39 tr. Ce.

Il secondo carattere fondamentale del rapporto di pubblico impiego, peraltro collegato al primo, è la sua natura di di diritto pubblico, affermatasi alla fine dell'Ottocento per due ragioni principali:

– essendo una relazione fra cittadino e Stato, non poteva essere di natura paritaria; lo Stato doveva avere una posizione di supremazia, e il privato una posizione di soggezione.

– buona parte del personale è titolare di uffici pubblici, quindi, oltre a esserci un rapporto di scambio fra lavoro e retribuzione (rapporto di servizio), ad un soggetto privato vengono attribuite le funzioni intestate ad un ufficio pubblico (rapporto di ufficio).

Per queste ed altre ragioni, il rapporto di pubblico impiego è stato inquadrato nel diritto pubblico.

3.2 Il regime giuridico del pubblico impiegoIl regime giuridico del rapporto di pubblico impiego si basa su quattro principi:

– l'amministrazione costituisce il rapporto con l'atto di nomina, manifestazione di potere pubblico, ed è in genere un provvedimento amministrativo unilaterale;

– il rapporto di lavoro non si costituisce né per contratto, né può essere regolato da accordi. La sua disciplina è regolata dalla legge o da altre fonti. Questo principio si è affermato nel 1908, con l'approvazione del primo statuto degli impiegati civili dello Stato, ed è stato in seguito modificato varie volte, fino al 1957, con il d.P.R. 3/1957, tuttora in vigore. Tale normativa ha costituito un privilegio per gli impiegati pubblici dato che accordava loro garanzie sconosciute ai dipendenti privati.

– Il rapporto di lavoro si modifica e si estingue per effetto di decisioni che sono, a loro volta, espressione di potere pubblico.

– Esso è soggetto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, attribuitagli nel 1924. Questa è la conseguenza della natura giuridica del rapporto pubblico, ma ne è anche la causa, dato che il giudice amministrativo, giudice prevalentemente di provvedimenti, ha continuato a vedere altrettanti provvedimenti negli atti di gestione del rapporto di lavoro (anche dove forse non ve ne erano).

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3.3 Le categorie di personale con rapporto di impiego pubblico: tratti comuniL'area del personale professionale legato all'amministrazione da un rapporto di pubblico impiego è ancora piuttosto vasta. Essa comprende:

– personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia;

– il personale militare e delle forze di polizia di Stato;

– i magistrati ordinari, contabili e amministrativi, gli avvocati e procuratori dello Stato;

– i professori e ricercatori universitari;

– il Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la carriera dirigenziale penitenziaria.

Essi rappresentano il cuore della sovranità degli Stati (c.d. compétences régaliennes): difesa, affari esteri, ordine pubblico, giustizia. Il diritto europeo consente agli Stati di riservare ai propri cittadini l'accesso ai relativi uffici.

La normativa contenuta nel testo unico del 1957, si applica solo in via residuale. Mentre la disciplina sostanziale del rapporto di lavoro varia per le diverse categorie. Così come sono diverse le ragioni che spiegano, nei vari casi, la conservazione del regime dell'impiego pubblico.

3.4 Il personale diplomatico e della carriera prefettiziaQuesto personale è preposto ad uffici cui è attribuita una complessiva funzione di rappresentanza dello Stato. Verso l'esterno, in ambito internazionale, per gli agenti diplomatici, verso l'interno, in periferia, per i prefetti. Esso spiega la chiusura verso l'esterno delle rispettive carriere, cui si può accedere sola grado iniziale, per poi progredire in base al merito. E spiega anche la speciale relazione fiduciaria con il governo, al venir meno della quale prefetti e diplomatici possono essere collocati a disposizione nell'interesse del servizio.

Il regime di diritto pubblico ha subito un'attenuazione, per effetto della normativa di riordino di entrambe le carriere. Infatti alcuni profili del rapporto di lavoro sono regolati mediante accordi collettivi, il cui contenuto è poi recepito in decreti del Presidente della Repubblica.

3.5 Il personale militare e delle forze di Polizia di StatoIl regime dell'impiego pubblico trova, nel caso del personale militare e delle forze di Polizia, applicazione in virtù del suo carattere tradizionalmente autoritario. Tale criteri, infatti, hanno tradizionalmente giustificato la compressione dei diritti sindacali. Tuttavia anche per questa categoria di personale, il regime pubblicistico ha progressivamente subito attenuazioni e contaminazioni con il regime privatistico.

Il personale della polizia di Stato è stato smilitarizzato e, di conseguenza, il relativo rapporto di impiego, per una serie di materie, è regolato da decreti del Presidente della Repubblica adottati a seguito di accordi sindacali, seconda la disciplina dettata dal d.lg. 195/1995, modificato dal d.lg 129/2000.

Anche il rapporto di impiego del personale delle forze di polizia ad ordinamento militare (Carabinieri e Guardia di Finanza) così come quello del personale delle Forze armate, è regolato, per alcuni aspetti, da decreti che recepiscono gli esiti di procedure di concertazione con esponenti di una sorta di sindacato interno (organi di rappresentanza), che rappresenta esclusivamente le varie categorie di personale militare.

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3.6 Magistrati, avvocati dello Stato e docenti universitariIn altri casi il rapporto di diritto pubblico è scelto per i suoi tratti garantistici, anziché per gli aspetti autoritari. Esso serve ad assicurare la neutralità politica e l'indipendenza di determinate categorie di personale professionale.

Tale esigenza è particolarmente avvertita per i magistrati. La Costituzione, anzitutto, impone che il loro status sia regolato dalla legge, escludendo ogni spazio per una disciplina negoziale. Il Consiglio superiore della magistratura è l'organo di autogoverno, che adotta tutti i provvedimenti amministrativi che incidono sullo status del magistrato, come le assunzioni, i trasferimenti, le promozioni o le sanzioni disciplinari.

Analoghe garanzie di autonomia e inamovibilità sono previste anche per i magistrati amministrativi e contabili, di cui la Costituzione esige l'indipendenza rispetto al governo. Esse sono poi estese pure agli avvocati e procuratori dello Stato, tradizionalmente equiparati ai magistrati, benché non esercitino funzioni giurisdizionali.

Anche per i professori e ricercatori universitari, lo statuto di di dritto pubblico viene giustificato in base all'esigenza di tutelarne l'autonomia, e, attraverso questa, di garantire i valori costituzionali del pluralismo culturale e della libertà della scienza. Tuttavia né la disciplina legislativa del rapporto, né l'inamovibilità, sono imposte dalla Costituzione, e la stessa legislazione sottopone questa categoria al diritto pubblico solo temporaneamente.

3.7 Il personale delle autorità indipendentiAnche il personale delle autorità indipendenti risulta escluso dall'ambito di applicazione delle disposizioni sulla privatizzazione del rapporto di impiego. L'esclusione dei dipendenti delle autorità indipendenti dal novero delle categorie contrattualizzate, ha affermato la Corte costituzionale, non implica affatto l'applicazione dello statuto del pubblico impiego, ma rappresenta solo la presa d'atto di come per essi siano già in essere moduli propri, fortemente caratterizzati da elementi privatistici in correlazione con l'autonomia su cui le autorità indipendenti fondano la loro peculiare presenza nell'ordinamento. Il regime applicabile al personale delle autorità indipendenti si basa sui regolamenti da ciascuna di esse adottati, i quali devono peraltro uniformarsi ai criteri fissati dal contratto collettivo di lavoro in vigore per la Banca d'Italia.

4. Il rapporto di lavoro privato con le pubbliche amministrazioniIl personale professionale, in prevalenza, è legato all'amministrazione da un rapporto di natura privatistica. in larga misura regolato dal diritto comune del lavoro.

Il d.lg. 29/1993 e il d.lg. 165/2001 hanno disposto la privatizzazione del rapporto di impiego di più dell'ottanta percento dei dipendenti pubblici. Tale disciplina agisce su un duplice versante:

– equipara il regime giuridico dei rapporti di impiego con le pubbliche amministrazioni a quello proprio dei rapporti di lavoro subordinato con imprese private;

– dispone l'applicazione, anche ai rapporti di impiego con le pubbliche amministrazioni, della stessa disciplina sostanziale che regola il lavoro subordinato nell'impresa.

Questa disciplina rende incerta la rilevanza, per il diritto amministrativo, di tali rapporti. Tuttavia, due considerazioni giustificano tale rilevanza:

– la disciplina presenta alcuni significativi profili di specialità, riconducibili alla natura pubblica del datore di lavoro;

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– lo stesso avviene anche altri contratti di diritto privato (di servizio, di fornitura, di lavori), in quanto stipulati dalle pubbliche amministrazioni;

4.1 Il regime giuridico del rapporto di lavoro privato con le pubbliche amministrazioniIl regime giuridico del rapporto di lavoro privato con le pubbliche amministrazioni poggia su quattro principi fondamentali, collegati l'uno all'altro:

– il rapporto ha origine contrattuale. Difatti l'assunzione nelle pubbliche amministrazioni avviene con contratto individuale di lavoro. il rapporto che ne deriva è espressione di autonomia privata e consiste in una relazione obbligatoria, che intercorre fra due parti poste in posizione di eguaglianza formale.

– I rapporti individuali di lavoro sono regolati contrattualmente. Se l'autonomia delle parti è il fondamento costitutivo del rapporto, è naturale che essa possa anche disciplinare tale rapporto, sia a livello individuale, sia a livello collettivo. Poi, la disciplina contrattuale interessa, potenzialmente, ogni aspetto del rapporto di lavoro e non soltanto le materie espressamente indicate dalla legge, come invece avviene per alcune categorie di personale retto dal diritto pubblico.

– La gestione del rapporto avviene mediante atti negoziali. Le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunte con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro. quindi, ad esempio, la promozione, il trasferimento o il licenziamento di un dipendente pubblico non sono provvedimenti amministrativo, ma atti negoziali.

– Non essendo gli atti adottati dall'amministrazione nei confronti dei propri dipendenti dei provvedimenti amministrativi, e a fronte di essi non vi sono dunque interessi legittimi, appare conseguente rimetterne la cognizione al giudice ordinario. Inoltre, non esistendo atti amministrativi, il giudice ordinario non incontra il divieto del loro annullamento, previsto dall'art. 4 l. n. 2248/1865, all. E. Egli può adottare, nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tutti i provvedimenti, di accertamento, costitutivi e di condanna, richiesti dalla natura dei diritti tutelati.

Sintetizzando le differenze esistenti tra il rapporto di lavoro privato nella pubblica amministrazione e quello pubblico si può dire che dove qui vi è contratto di lavoro, lì vi è atto di nomina. Qui vi è rapporto obbligatorio di diritto privato, lì vi è status di diritto pubblico. Qui vi è regolamentazione pattizia, nei limiti delle norme legislative imperative, lì vi è disciplina legislativa unilaterale, salvo alcuni aspetti espressamente affidati alla contrattazione. Qui vi sono atti negoziali di gestione del rapporto, lì vi sono provvedimenti amministrativi. Qui vi è il giudice ordinario, lì il giudice amministrativo.

Questo rovesciamento di regime ha suscitato alcune perplessità, di cui si è fatto interprete, in particolare, il giudice amministrativo. Questi ha mosso due critiche:

– in primo luogo, il fatto che la prestazione lavorativa del dipendente pubblico consiste nell'esercizio di funzioni pubbliche, escluderebbe la natura privatistica del rapporto;

– in secondo luogo, la riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa, posta dall'art. 97 cost., renderebbe illegittima una completa contrattualizzazione della disciplina del personale.

Ma si tratta di una idea sbagliata, perché i caratteri propri dell'organizzazione si trasferiscono, semmai, sul solo rapporto organico (o d'ufficio) del personale, non anche sul rapporto di lavoro )o di servizio). Il d.lg. 165/2001, sotto questo profilo, separa nettamente l'organizzazione dal rapporto di lavoro del personale, Come ha osservato la Corte costituzionale, che ha legittimato la scelta del legislatore, l'organizzazione resta necessariamente affidata alla legge nonché alla potestà

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amministrativa, mentre il rapporto di lavoro dei dipendenti viene attratto nell'orbita della disciplina civilistica. Il d.lg. 165/2001 anzi si spinge anche oltre, perché assoggetta al regime privatistico pure una parte dell'organizzazione amministrativa. Infatti, al di sotto degli uffici di maggiore rilevanza, che sono costituiti con atti di diritto pubblico, le determinazioni per l'organizzazione degli uffici sono assunte con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro.

4.2 L'applicazione del diritto comune del lavoro e i suoi limitiLa privatizzazione dei rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni comporta, anche. l'applicazione ad essi della stessa disciplina sostanziale valida per i rapporti di lavoro subordinato nell'impresa.

Questo diritto del lavoro comune poggia su tre principi, stabiliti dal d.lg. 165/2001:

– il primo è un rinvio mobile,, per così dire, alla disciplina privatistica – i rapporti individuali di lavoro con le pubbliche amministrazioni sono disciplinati dalle disposizioni del codice civile e dalle altre leggi sui rapporti di lavoro subordinato nell'impresa. Il rinvio mobile, perché non si riferisce a singole e specifiche regole, ma a tutte le norme, vigneti e future, che regolano e regoleranno il lavoro subordinato nell'impresa.

– Il secondo principio mira a eliminare la disciplina speciale passata del lavoro pubblico. Le norme generali e speciali del pubblico impiego, vigenti alla data del 13 gennaio 1994 cessano in ogni caso di produrre effetti dal momento della sottoscrizione dei contratti collettivi del quadriennio 1998-2001.

– Il terzo principio, infine, contrasta la disciplina speciale futura del lavoro pubblico, cioè le eventuali disposizioni di legge, regolamento o statuto, che introducano discipline dei rapporti di lavoro la cui applicabilità sia limitata ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche, o a categorie di essi. Questa disciplina può essere derogata da successivi contratti o accordi collettivi e. per la parte derogata, non è ulteriormente applicabile, salvo che la legge disponga espressamente in senso contrario.

In conclusione, per effetto di questi tre principi, dipendenti privati e dipendenti pubblici vengono tendenzialmente assoggettati alle medesime regole.

Questa parificazione normativa ha però una limitazione. La disciplina privatistica si applica, infatti, ai rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni, fatte salve le diverse disposizioni contenute nel presente decreto. Il d.lg 165/2001, dunque costituisce il fondamento della privatizzazione, ma segna anche il suo limite.

4.3 La disciplina della contrattazione collettivaA differenza di quanto accade per i contratti collettivi di lavoro stipulato da imprese private, la legge stabilisce il modo in cui le pubbliche amministrazioni devono stipulare i propri contratti collettivi. Il d.lg 165/2001, in particolare, regola tre aspetti:

– la struttura;

– i soggetti;

– le procedure della contrattazione.

La legge prevede che vi siano almeno tre livelli contrattuali e regola il rapporto fra il livello intermedio e quello inferiore. Il primo livello è rappresentato dai contratti che fefiniscono i comparti o che regolano istituti comuni a più comparti. I comparti sono unità negoziali, che si riferiscono a

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settori omogenei o affini. Ciascuno di essi comprende categorie di personale pubblico cui si applica uno stesso contratto collettivo.

I comparti costituiscono un limite alla privatizzazione, perché escludono che i dipendenti pubblici possano essere regolati da contratti collettivi applicabili anche a lavoratori del settore privato. Il secondo livello contrattuale è costituito dai contratti collettivi nazionali, detti anche, appunto, di comparto. E come tali essi si distinguono dai contratti collettivi integrativi, che compongono il terzo livello contrattuale e si riferiscono, di norma, al personale di una singola amministrazione (ad esempio, i dipendenti del Ministero dell'economia e delle finanze).

La legge regola direttamente soprattutto la contrattazione nazionale, mentre affida a quest'ultima il compito di disciplinare la contrattazione integrativa. Fra il secondo e il terzo livello, infatti, vi è n rapporto gerarchico. Essa può svolgersi sule materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono.

Quanto ai soggetti, la contrattazione nazionale si svolge fra una parte pubblica, che rappresenta le amministrazioni del comparto, e una parte sindacale, che rappresenta i rispettivi dipendenti. Le amministrazioni sono rappresentate di diritto dall'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni – Aran. L'Aran ha personalità giuridica di diritto pubblico ed è un organismo tecnico, di cui le norme tutelano l'autonomia ed indipendenza rispetto al corpo politico. Questo organismo, peraltro, negozia in base alle direttive impartite delle amministrazioni pubbliche, che essa rappresenta, e alle quali si applicano i contratti che essa conclude. Le amministrazioni costituiscono, a tale fine, proprie istanze associative o rappresentative. Ciascuna istanza associativa o rappresentativa, poi, per ciascuno comparto, costituisce un comitato di settore, che esercita i poteri di indirizzo e controllo sull'operato dell'Aran.

Oltre ad attribuire all'Aran la rappresentanza legale delle pubbliche amministrazioni, la legge impone a queste ultime l'obbligo di osservare i contratti sottoscritti e di garantire a tutti i propri dipendenti parità di trattamento contrattuale.

Per questa regione, la legge detta anche, nel settore pubblico, una apposita disciplina per l'individuazione della parte sindacale. Tale disciplina mira a garantire che tutti i lavoratori, appartenenti alla categoria cui il contratto è destinato ad applicarsi, siano democraticamente rappresentati in sede di stipulazione dell'accordo. Il che costituisce, poi, anche l'esigenza sostanziale posta a base della procedura prescritta dall'art. 39 cost.

La legge stabilisce, infine, il procedimento per la stipulazione del contratto collettivo Questo si apre con la quantificazione delle risorse finanziarie da destinare alla contrattazione collettiva. Per gli oneri a carico dello Stato, vi provvede il Ministero dell'economia e delle finanze, con apposita norma da inserire nella legge finanziaria. Per gli oneri a carico delle altre amministrazioni, l'autorizzazione alla spesa è disposta con le stesse forme con cui vengono approvati i bilanci. Successivamente, i comitati di settore adottano gli atti di indirizzo dell'attività negoziale dell'Aran. Seguono le trattative che si concludo con un ipotesi di accordo fra l'Aran e le parti sindacali. Su di essa, l'Aran deve, poi, acquisire il parere favorevole del comitato di settore. Da ultimo, l'Aran trasmette una quantificazione dei costi derivanti dall'accordo alla Corte dei conti, che ne deve accertare l'attendibilità e la compatibilità con i vincoli finanziari previsti in sede di programmazione e di bilancio. La certificazione positiva della Corte dei conti conclude il procedimento e legittima il presidente dell'Aran a sottoscrivere definitivamente il contratto collettivo.

4.4 La costituzione del rapporto: a) organici e programmazione delle assunzioniLa fase costitutiva del rapporto di lavoro, che precede cioè la stipulazione del contratto individuale, è regolata del diritto amministrativo.

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La facoltà delle amministrazioni pubbliche di assumere personale trova un limite, in particolare, nella disciplina che riguarda gli organici, la programmazione delle assunzioni e la mobilità.

Anzitutto, le pubbliche amministrazioni non possono assumere un dipendente in mancanza di un corrispondente posto inorganico. Questo è un documento, adottato con atto normativo, che definisce la dotazione ottimale di personale dell'amministrazione. Essa deve essere anche ridefinita periodicamente, o comunque a scadenza triennale, altrimenti le pubbliche amministrazioni non possono assumere nuovo personale.

Anche per i posti disponibili nell'organico, inoltre, la decisione di avviare le rispettive procedure di reclutamento è adottata in base ad atti di programmazione triennale delle assunzioni (l. n. 449/1997, successive modificazioni).

La previsione di nuove assunzioni è subordinata, in sede di programmazione, all'esperimento di procedure di mobilità. Prima di assumere nuovo personale, in altri termini, le amministrazioni sono tenute a verificare la possibilità di impiegare dipendenti già in servizio presso altre amministrazioni, che siano stati dichiarati in eccedenza e, quindi, collocati in disponibilità.

4.5 Segue: b) il concorsoLa scelta del personale da assumere deve essere effettuata, per espressa previsione costituzionale, mediante concorso. L'art. 97 codifica, in questo modo, il principio del merit system (sistema del merito), diffusosi, in Europa, nel corso del Settecento. Si contrappone, per questo, al metodo del political patronage (patronato politico), in base al quale il reclutamento è influenzato dagli interessi della parte politica al governo, che assegna liberamente i posti e gli uffici.

La legge però attua in modo molto discutibile le disposizioni costituzionali sul concorso. E abusa della facoltà di derogare a tale principio. Sotto il primo profilo, il d.lg. 165/2001 adopera una espressione più generica. L0art. 35 subordina, infatti, le assunzioni all'espletamento di procedure selettive volte all'accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l'accesso dall'esterno. Questa definizione non coincide pienamente con la nozione di concorso. Di essa recepisce un elemento, perché assume la competenza professionale – cioè il merito – quale criterio selettivo. Accoglie, poi, ma solo parzialmente, un altro elemento, che è quello dell'apertura a tutti i cittadini. Omette di indicare, però, un elemento qualificante, che del concorso ha la stessa radice semantica: La concorrenza, appunto, fra fra i candidati e la loro valutazione comparativa. Opportunamente, invece, l'art. 35 esclude il concorso per i posti delle qualifiche più basse.

Le procedure selettive sono disciplinate dalle singole amministrazioni, secondo principi comuni fissati dalla legge. In base al d.lg. 165/2001, le procedure di reclutamento devono, anzitutto, garantire la pubblicità e l'imparzialità della selezione.

Per le amministrazioni statali, il d.P.R. 487/1994, detta una regolamentazione più specifica per il procedimento di concorso. Questa si applica alle altre amministrazioni solo in via residuale. Il procedimento si articola in quattro fasi:

– l'adozione del bando di concorso;

– l'ammissione dei candidati;

– la selezione dei candidati:

– l'approvazione della graduatoria.

Il bando di concorso disciplina le modalità di svolgimento della selezione e fissa i requisiti, generali e speciali, richiesti per l'ammissione. I requisiti generali, relativi a tutti gli impieghi pubblici, sono la cittadinanza di uno Stato dell'Unione europea )o, in alcuni casi, come si + visto., la cittadinanza italiana), l'idoneità fisica all'impiego, il godimento del diritto di voto, la posizione regolare nei

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confronti dell'obbligo di leva, il possesso del titolo di studio prescritto. gli eventuali ulteriori requisiti sono definiti di volta in volta dal bando, nel rispetto del principio di parità di accesso agli impieghi e di garanzia dalle massima partecipazione.

Successivamente, entro il termine previsto dal bando, gli interessati devono inviare le domande di ammissione. Quindi, l'amministrazione accerta il possesso dei requisiti prescritti e delibera. per ciascun candidato, l'ammissione alla selezione o l'esclusione dal concorso. Il provvedimento di esclusione può essere, ovviamente, impugnato dal candidato e, se illegittimo, è annullato dal giudice amministrativo. In questo caso, l'annullamento si estende, a cascata, anche a tutti gli atti successivi della procedura. Per evitare questo rischio, spesso l'amministrazione, su richiesta del giudice o autonomamente, dispone la c.d. ammissione con riserva.

Segue poi, la selezione di candidati ammessi, sulla base dei titoli presentati e delle prove sostenute. Questa è effettuata dalla commissione giudicatrice, nominata dall'amministrazione secondo i criteri in precedenza indicati. Prima dello svolgimento delle prove, peraltro, la commissione deve definire i criteri di massima per la valutazione dei titoli e i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali. In tutti i procedimenti amministrativi preordinati alla valutazione di situazioni soggettivamente concorrenti, incombe all'amministrazione l'obbligo di prestabilire i criteri in base ai quali si accinge a valutare comparativamente i requisiti e i titoli dei concorrenti, in omaggio al principio di imparzialità e di buon andamento dell'azione amministrativa (Cons. St., VI, 455/1994). Al termine delle prove, e in base alla valutazione delle stesse e dei titoli, la commissione forma la graduatorie di merito.

Questa deve essere, infine, approvata dall'amministrazione che ha bandito il concorso, dopo aver controllato la legittimità dell'operato della commissione, L'approvazione della graduatoria conclude il procedimento concorsuale e costituisce il presupposto della stipulazione del contratto individuale di lavoro con il vincitore, o i vincitori, del concorso. Essa segna anche il passaggio dal diritto amministrativo al diritto privato. Le controversie relative alle procedure concorsuali sono infatti di competenza del giudice amministrativo, mentre quelle che attengono al rapporto di lavoro già instaurato rientrano, come visto, nella competenza del giudice ordinario.

4.6 Segue: c) le deroghe al principio del concorsoIl legislatore ha sovente abusato della facoltà, concessagli dall'art. 97 cost., di derogare al principio del concorso. Ciò è avvenuto, soprattutto, allo scopo di favorire il personale che abbia già instaurato un rapporto, di diversa natura, con l'amministrazione.

In primo luogo, come si è già detto in precedenza, la legge ha frequentemente aggirato il principio del concorso per regolarizzare la posizione del personale precario. In secondo luogo, la copertura dei posti delle qualifiche superiori mediante concorso, parto a tutti, anche all'esterno dell'amministrazione, confligge con gli interessi del personale interno delle qualifiche inferiori. Per tutelare gli interessi del personale interno, quindi, la legge ha spesso introdotto meccanismi di deroga alla regola della massima apertura della selezione al più ampio numero di candidati.

Il legislatore ha previsto l'accesso agli impieghi pubblici in base a concorsi interni, cioè riservati, in tutto o in parte, ai dipendenti già in servizio. L'equilibrio fra i due sistemi è affidato alla contrattazione collettiva, che disciplina l'inquadramento dei dipendenti pubblici. Questa ha però privilegiato lo sviluppo professionale degli interni. Essa ha, invece, limitato l'ambito di applicazione del principio del concorso, così sacrificando anche le speranze di molti giovani inoccupati e qualificati.

La Corte costituzionale ha censurato più volte questa pratica, che si riflette negativamente sul buon andamento della pubblica amministrazione. Secondo la successiva giurisprudenza dalla Cassazione e l'interpretazione di essa offerta dal giudice amministrativo, soltanto l'accesso ad una area o

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categoria di inquadramento superiore costituisce una assunzione, che richiede il concorso aperto agli esterni e implica la giurisdizione del giudice amministrativo. Non è così, invece, per i passaggi a posizioni superiori che, però, si trovino all'interno della stessa area o categoria: questi non sono nuove assunzioni, ma semplici sviluppi di carriera.

4.7 La disciplina derogatoria del rapporto: a) la carrieraUna volta costituito, con la stipulazione del contratto individuale, il rapporto fra il dipendente e l'amministrazione è regolato dai contratti collettivi e dal diritto del lavoro. Su tale disciplina privatistica, tuttavia, si innestano alcune regole speciali, dettate, o richiamate, dal d.lg. 165/2001. Queste investono, in particolare, la materia dell'inquadramento professionale e della carriera dei dipendenti pubblici, quella dei loro obblighi e della loro responsabilità disciplinare nonché quella dell'estinzione del loro rapporto di impiego.

Sulla disciplina della carriera dei dipendenti pubblici influiscono gli stessi principi che ispirano le regole sulla costituzione del loro rapporto di lavoro: la corrispondenza fra il lavoratore e posto dell'organico, la parità di accesso agli impieghi pubblici, l'imparzialità delle selezioni.

Tali principi, infatti, verrebbero pregiudicati dall'applicazione integrale del regime privatistico. Questo non prevede alcuna limitazione alla facoltà del datore di lavoro di promuovere i propri dipendenti. Inoltre, contempla l'ipotesi della c.d. promozione automatica. Nel settore pubblico, invece, la facoltà di promuovere i dipendenti non è illimitata, perché deve armonizzarsi con l'esigenza di rispettare l'organico e con quella di assicurare, almeno in parte, anche l'accesso dall'esterno, mediante concorso. Per ragioni analoghe, neppure è applicabile la regola della promozione automatica. Il principio, speciale, dell'irrilevanza dell'esercizio di fatto di mansioni superiori, costantemente affermato dalla giurisprudenza amministrativa, è attualmente codificato dall'art. 52 del d.lg. 165/2001. In base a questa norma, peraltro, esso è irrilevante ai fini della promozione, ma rilevante ai fini del trattamento economico.

4.8 Segue: b) doveri e responsabilitàUna seconda area di regole speciali si riferisce agli obblighi dei dipendenti pubblici e alla loro responsabilità disciplinare.

Anzitutto, in luogo del normale dovere di fedeltà (art. 2105 c.c.), grava del dipendente pubblico un più incisivo dovere di esclusività, che gli impone di porre tutte le proprie energie lavorative al servizio esclusivo dell'amministrazione di appartenenza. l'esclusività è richiesta, anzitutto, perché si presume che lo svolgimento di una seconda attività lavorativa riduca l'impegno del dipendente. Per evitare un potenziale conflitto fra l'interesse pubblico, che il dipendente dover curare, e l'interesse privato. Per queste ragioni, la legge vieta ai dipendenti pubblici l'esercizio di attività industriali e commerciali, l'accettazione di cariche in società costituite a fini di lucro e, più in generale, qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo. Il divieto di una seconda attività lavorativa non vale, ad esempio, per i dipendenti part-time. Vi sono, poi, alcuni incarichi in via generale consentiti, come quelli non retribuiti o compensati solo con rimborso delle spese.

Una disciplina parzialmente speciale regola, in secondo luogo, il dovere di osservanza dei dipendenti pubblici, inteso come soggezione al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro. Il potere direttivo si esercita, in particolare, attraverso la definizione di un codice di comportamento. Questo è adottato dal Dipartimento della funzione pubblica, per tutti i dipendenti pubblici, ed è poi modificato ed integrato da parte degli organi di vertice delle singole amministrazioni.

Il codice generale, approvato nel 1994, e modificato nel 2000 (decreto 28 novembre 2000), recupera in parte la previgente disciplina sul pubblico impiego (d. P.R. 3/1957). Le regole del

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codice riguardano il dipendente pubblico più nella sua qualità di funzionario che nella sua qualità di lavoratore.

In applicazione di tale principio, il codice detta una regolamentazione molto precisa e minuziosa,che ha il pregio di rendere più certo il confine tra i comportamenti vietati e quelli consentiti.

L'inosservanza delle norme del codice di comportamento, tuttavia, espone il dipendente al potere disciplinare dell'amministrazione solo nel caso un cui tali norme siano fatte proprie dai contratti collettivi. Se i contratti definiscono le infrazioni e le sanzioni disciplinari, la legge, però, regola il procedimento per l'irrogazione delle sanzioni disciplinari.

Considerato, poi, che alcuni comportamenti del dipendente pubblico possono dar luogo, contemporaneamente, a responsabilità disciplinare e a responsabilità penale, esiste anche una disciplina legislativa dei rapporti fra i due tipi di procedimento, che in passato erano anche considerati affini. La l. 97/2001, in particolare, dispone che la sentenza penale irrevocabile di condanna ha effetti di giudicato, nel corrispondente procedimento disciplinare, quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e della circostanza che l'imputato lo abbia commesso. La stessa legge 97/2001, infatti, stabilisce che, per alcuni reati più gravi, la condanna penale, anche non definitiva, obbliga l'amministrazione a sospendere il dipendente dal sevizio; inoltre, la condanna definitiva ad oltre tre anni di reclusione determina l'estinzione del rapporto di lavoro o di impiego con la pubblica amministrazione.

4.9 Segue: c) il licenziamentoUna terza area di regole speciali attiene, infine, alla fase estintiva del rapporto. Essa riguarda, in particolare, i licenziamenti, individuali o collettivi, disposti per esigenze organizzative del datore di lavoro, cioè in caso di eccedenza di personale.

Le pubbliche amministrazioni che rilevino eccedenze di personale pari ad almeno dicci dipendenti (licenziamenti collettivi) devono darne comunicazione ai sindacati, indicando il personale in esubero, i motivi della situazione di eccedenza e le proposte per rimediarvi. Segue un esame congiunto (amministrazione-sindacati) della situazione, per verificare la possibilità di ricollocare il personale in eccedenza presso altre amministrazioni, mediante l'istituto della mobilità.

Il personale in disponibilità percepisce per due ani, senza lavorare, una indennità pari all'ottanta per cento dello stipendio. Esso è iscritto in appositi elenchi, gestiti da amministrazioni che provvedono alla riqualificazione professionale dei dipendenti e, ove possibile, alla loro ricollocazione presso altre amministrazioni. Terminati i due anni, in mancanza di ricollocazione, il rapporto di lavoro si estingue definitivamente.

4.10 L'ambito di applicazione della disciplina del lavoro privato con le pubbliche amministrazioniIl lavoro privato con le pubbliche amministrazioni pubbliche è divenuto il modello tipico e prevalente di rapporto di servizio del personale professionale pubblico. Le sue norme costituiscono per le regioni, principi fondamentali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione.

Ma l'art. 117 della Costituzione è, successivamente, cambiato. Quindi è necessario stabilite quali siano le pubbliche amministrazioni elencate dal d.lg.165/2001, per le quali il legislatore statale sia ancora competente a dettare la disciplina del rapporto di lavoro dei rispettivi dipendenti e, eventualmente, in quale misura.

Secondo l'art. 117 cost., la materia dell'organizzazione amministrativa spetta alla potestà legislativa

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esclusiva dello Stato solo relativamente alla amministrazione dello Stato stesso e degli enti pubblici nazionali. Per le altre pubbliche amministrazioni, spetta invece alla potestà legislativa (residuale) delle regioni e alla potestà regolamentare attribuita a comuni, province e città metropolitane.

Diversamente, la disciplina dei rapporti di lavoro spetta, in parte, alla potestà legislativa regionale concorrente in materia di tutela e sicurezza del lavoro e, in parte maggiore, alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Oltre a dettare i principi fondamentali in materia di tutela e sicurezza del lavoro, infatti il legislatore statale, soprattutto, ha competenza esclusiva in materia di ordinamento civile.

Ma la disciplina legislativa statale posta dal d.lg. 165/2001 riguarda l'organizzazione amministrativa (e quindi non vincola regioni ed enti locali) oppure concorre a costituire quel diritto civile che regola i rapporti di lavoro con tutti i soggetti dell'ordinamento?

La Corte costituzionale pare muovere dall'assunto che la intervenuta privatizzazione e contrattualizzazione del rapporto di lavoro vincola anche le regioni: la disciplina sostanziale del rapporto di lavoro, quella contenuta nelle leggi civili, può essere attratta nella competenza legislativa dello stato nell'ambito della materia ordinamento civile.

Tuttavia, non sempre la disciplina del d.lg. 165/2001 è coerente con il principio di privatizzazione. Essa contiene, come si è visto, numerose e significative regole speciali, applicabili solo ai dipendenti pubblici.

Può sostenersi che anche la regolamentazione speciale dei rapporti di lavoro pubblico sia posta dal legislatore statale nell'esercizio della sua potestà esclusiva in materia di ordinamento civile?

In alcuni casi, il legislatore statale, con il d.lg. 165/2001, ha previsto regole speciali applicabili al rapporto di lavoro con amministrazioni pubbliche, che derogano o modificano in alcuni aspetti la disciplina privatistica, ma vi si innestano, in un certo senso facendo corpo con essa. Si pensi, ad esempi, alla disciplina delle mansioni del dipendente pubblico.

In altri casi, invece, la disciplina speciale posta dal legislatore statale non tanto riguarda il rapporto di lavoro in sé considerato – cioè la relazione fra il datore di lavoro e il lavoratore – quanto il modo in cui il datore di lavoro organizza l'esercizio della propria autonomia negoziale. Si pensi, in particolare, alle procedure di reclutamento e alle modalità di accesso all'impiego, oppure alle procedure di contrattazione collettiva.

5. La dirigenzaLa dirigenza è una categoria di personale professionale creata, negli anni '70 dello scorso secolo (d.P.R. 748/1972), per separare, dagli antri dipendenti, l'alta burocrazia. Essa comprende, pertanto, i funzionari amministrativi di vertice, titolari degli uffici di livello più elevato.

La dirigenza è oggetto di una disciplina speciale e particolarmente importante, perché si colloca al crocevia del rapporto fra politica e amministrazione. La disciplina sull'alta burocrazia definisce, infatti, in concreto, l'equilibrio fra il principio democratico e il principio di imparzialità. Il primo impone il controllo dell'amministrazione da parte degli organi politici. Il secondo postula un'amministrazione al servizio dell'intera collettività anziché della parte politica al governo.

Questo equilibrio dipende da due elementi:

– dal punto di vista funzionale, l'equilibrio dipende dal modo in cui sono distribuiti i poteri fra gli uffici affidati a titolari politici (non professionali) e gli uffici affidati a titolari professionali (i dirigenti). Qui il rapporto gerarchico fra i due uffici favorisce il controllo politico, mentre la separazione delle rispettive competenze limita gli effetti della politicizzazione.

– Dal punto di vista strutturale, l'equilibrio dipende dal modo in cui è configurato il rapporto fra il

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titolare dell'ufficio dirigenziale e il suo datore di lavoro (che è poi l'organo politico). Qui la precarietà assicura la prevalenza della politica, mentre la stabilità garantisce maggiormente l'imparzialità.

5.1 La distinzione fra politica e amministrazioneLa distribuzione delle funzioni fra gli uffici politici e quelli dirigenziali risponde al principio di separazione, o distinzione, delle rispettive competenze, Ai primi, spettano le funzioni di indirizzo politico-amministrativo e di controllo. Ai secondi, sono affidati i compiti di gestione amministrativa. La legittimazione politica abilita, dunque, alla posizione dei fini e degli obiettivi. Solo la legittimazione professionale, invece, abilita all'attuazione e realizzazione concreta delle finalità e degli obiettivi prestabiliti.

Con riguardo alle attribuzioni finali dell'amministrazione, gli organi politici adottano,in particolare, gli atti normativi e quelli di carattere programmatico, quali, in particolare, le direttive generali per l'azione amministrativa (art. 4, c. 1, d.lg. 165/2001). Spetta, invece, alla dirigenza, l'adozione degli atti e dei provvedimenti amministrativi, compresi tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno.

Con riguardo alle attribuzioni strumentali, gli organi politici definiscono, anzitutto, con atti di diritto pubblico, l'organizzazione di vertice, cioè gli uffici di livello dirigenziale; essi ripartiscono, quindi, il personale e le risorse finanziarie. I dirigenti, invece, mediante atti di di dritto privato, definiscono la parte bassa dell'organizzazione degli uffici (c.d. micro organizzazione); essi prevedono, poi, sia ad una ulteriore ripartizione di personale e di risorse finanziarie fra i centri di responsabilità collocati all'interno degli uffici dirigenziali, sia alla gestione di tale personale e di tali risorse.

Questa distinzione funzionale ha trasformato il rapporto fra politica e amministrazione (cioè, fa uffici politici e uffici burocratici). Questo era, in passato, un rapporto gerarchico. Adesso è una rapporto di direzione. Non tutte le funzioni del ministro possono essere esercitate dal ministro, perché alcune di esse sono sottratte agli organi politici e riservate al personale professionale. Né egli può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti adottare atti di competenza dei dirigenti.

Le rispettive competenze della politica e dell'amministrazione, pur distinte, non sono peraltro, scollegate. Gli atti di indirizzo sono adottati, dagli organi politici, anche in base alle proposte dei dirigenti. Questi partecipano, quindi, all'esercizio dei compiti intestati al vertice politico. Quest'ultimo, in secondo luogo, ha anche compiti di controllo sulla gestione e sui suoi risultati.

5.2. Il rapporto fra il dirigente e l'amministrazione: a) il rapporto di servizioDiversamente dagli altri dipendenti, i dirigenti assumono la titolarità di uffici costituiti con atti di diritto pubblico. Di conseguenza, il loro rapporto di uffici o- cioè i modi di conferimento della titolarità degli uffici di maggiore rilevanza – è regolato dalla legge e la la relativa disciplina appartiene al diritto amministrativo.

Nondimeno, il rapporto di servizio dei dirigenti è stato sottoposto al diritto privato, così come quello degli altri dipendenti. Questa scelta ha suscitato la perplessità del giudice amministrativo, che ne ha messo in dubbio la legittimità costituzionale. Come è noto, la disciplina privatistica del rapporto di lavoro dirigenziale prevede un regime di recedibilità caratterizzato dal venire meno del rapporto di fiducia: ciò pregiudicherebbe il principio di imparzialità.

La regola privatistica del c.d. recesso ad nutum, secondo la quale il datore di lavoro può licenziare in ogni momento il dirigente nel quale non abbia più fiducia, senza dover giustificare la sua decisione, non si applica nel settore pubblico. Qui l'estinzione del rapporto di lavoro del dirigente è circondata da maggiori garanzie, previste sia dalla disciplina legislativa sull'accertamento della

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responsabilità dirigenziale, sia dalla contrattazione collettiva, cui quella disciplina rinvia.

5.3. Segue: b) il rapporto di ufficioLa disciplina legislativa sul conferimento e sulla revoca degli incarichi dirigenziali instaura una relazione fiduciaria fra l'organo politico e il dirigente.

Reclutati attraverso concorsi indetti dalle singole amministrazioni, ovvero mediante corso-concorso gestito centralmente dalla Scuola superiore della pubblica amministrazione, di dirigenti sono inseriti nel ruolo dirigenziale dell'amministrazione che li ha assunti. Più precisamente, vengono inseriti nella seconda delle sue fasce in cui questi ruoli si articolano.

Ai dirigenti di ruolo sono conferiti gli incarichi dirigenziali. Ve ne sono di tre livelli: la titolarità di strutture sovraordinate agli uffici i dirigenziali generali (ad esempio, segretario generale di ministeri, capo dipartimento. ecc.); la titolarità di uffici dirigenziali generali; la titolarità di uffici dirigenziali non generali. Ai dirigenti della prima fascia può essere affidato qualsiasi tipo di incarico. Ai dirigenti della seconda fascia, invece, possono essere conferiti solo gli incarichi del livello più basso e, in una percentuale limitata (settanta per cento), quelli di livello intermedio.

Sebbene in una percentuale limitata, gli incarichi possono essere attribuiti anche a soggetti che non appartengono ai ruoli dirigenziali delle amministrazioni statali: a soggetti esterni di particolare e comprovata qualificazione professionale, assunti con contratto a tempo determinato; oppure a dirigenti che siano dipendenti di amministrazioni pubbliche o organi costituzionali, posti n posizione di comando o di collocamento fuori ruolo.

Gli incarichi sono conferiti con un provvedimento adottato dall'organo politico, oppure, nel caso degli incarichi di livello più basso, dal dirigente titolare dell'uffici o dirigenziale sovraordinato. Dal testo della legge, dai relativi lavori preparatori, nonché da successivi atti di interpretazione e applicazione, emerge con chiarezza l'intento del legislatore di qualificare la decisione di conferimento dell'incarico in termini di provvedimento amministrativo. Nondimeno, l'orientamento della Corte di cassazione, complicato nelle motivazioni e complicante negli esiti, afferma la natura privata dell'atto di conferimento dell'incarico, ci si contrapporrebbero interessi legittimi di diritto privato.

Quale che sia la natura dell'atto di conferimento, il dirigente incaricato stipula con l'amministrazione anche un contratto, che accede al provvedimento di conferimento dell'incarico (ar.t 18, d.lg. 165/2001). Questo contratto individuale, certamente di natura privatistica, definisce il trattamento economico. Più precisamente, esso definisce, in realtà, la parte di trattamento economico che è collegata allo svolgimento di quel particolare incarico e che si aggiunge al trattamento economico in base alla contrattazione collettiva.

Il provvedimento di conferimento dell'incarico, oltre al suo oggetto e agli obiettivi da conseguire, ne definisce anche la durata. Questa non può essere inferiore a tre anni né eccedere il termine di cinque anni. L'organo politico ha la facoltà di rinnovare l'incarico. Sicché l'estinzione del rapporto di ufficio dipende, comunque, da una decisione di mancato rinnovo, che l'organo politico assume sostanzialmente, senza però doverla esplicitare e, quindi, motivare e giustificare.

Prime della scadenza del termine, il rapporto di ufficio può estinguersi per due cause:

– gli incarichi più elevati cessano automaticamente entro novanta giorni dal voto di fiducia del nuovo governo. Per questi incarichi vige il sistema delle spoglie (spoils system). Chi vince le elezioni ha diritto di occupare i posti della pubblica amministrazione con persone di propria fiducia.

– L'incarico può essere revocato in caso di accertamento dei risultati negativi della gestione o del mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati. Questo accertamento è l'esito di un

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procedimento di valutazione annuale, svolto in contraddittorio con il dirigente valutato.

La revoca per accertamento della responsabilità dirigenziale dovrebbe rappresentare l'ipotesi più frequente di estinzione del rapporto di ufficio, perché essa presuppone la valutazione del merito dei dirigenti. Essa rappresenta, invece, una rarissima eccezione. L'organo politico trova più conveniente, infatti, conferire incarichi a termine e decidere liberamente, alla scadenza, se rinnovarli o meno.

5.4. L'assetto della dirigenza pubblica alla luce della CostituzioneQuesto regime è stato considerato, dal giudice amministrativo, in contrasto con la Costituzione e contraddittorio, In contrasto con la Costituzione, anzitutto, perché la intrinseca precarietà dell'incarico, e la sua revocabilità in base ad apprezzamenti latamente discrezionali del vertice politico, elude il valore sostanziale enunciato dall'art. 97 cost., ossia che ai vertici degli apparati burocratici deve essere assicurato uno status coerente al dovere dell'imparzialità e buon andamento. Contraddittorio, poi, perché un regime della dirigenza eccessivamente orientato verso rapporti di ufficio costituiti su base fiduciaria tradisce la scelta di principio della separazione fra politica e amministrazione. La Corte costituzionale ha escluso che la disciplina descritta sia in contrasto con l'art. 97 cost. Essa ha motivato tale conclusione semplicemente (e forse semplicisticamente) affermando che tale norma costituzionale non impone per i dipendenti pubblici le stesse garanzie costituzionali di autonomia previste per i magistrati.

Dunque, mentre si attende una nuova pronuncia della Corte, la conseguenza di questo assetto normativo, per ora, è la seguente:

– in base al principio di distinzione fra politica e amministrazione, le funzioni di gestione amministrativa sono sottratte agli organi politici;

– In base alla disciplina degli incarichi dirigenziali, tali funzioni sono affidate a persone di fiducia dei titolari degli organi politici.

(Corte Costituzionale 23 marzo 2007, n. 103 - Gesuele Bellini)E’ costituzionalmente illegittima la revoca delle funzioni legittimamente conferite ai dirigenti al di fuori delle ipotesi di una accertata responsabilità dirigenziale in presenza di determinati presupposti ed all’esito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato.A queste conclusioni è giunta la Corte Costituzionale nella sentenza 23 marzo 2007, n. 103, chiamata, tra l’altro, a sindacare la legittimità dell’art. 3, comma 7, della legge 15 luglio 2002, n. 145, recante “disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di esperienze e l’interazione tra pubblico e privato”, nella parte in cui prevede un meccanismo (c.d. spoils system una tantum) di cessazione automatica, ex legge e generalizzata, degli incarichi dirigenziali di livello generale al momento dello spirare del termine di sessanta giorni dall’entrata in vigore della stessa legge.

Il procedimento

1.1 Le forme dell'attività amministrativa

Le funzioni amministrative si esplicano nei modi più diversi: nella definizione di norme giuridiche, nel rilascio di autorizzazioni, nella conclusione di contratti, nell'erogazione di pensioni, nella

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prestazione di cure mediche, nell'intercettazione della corrispondenza o delle telefonate e così via. Si può dire che la sostanza delle funzioni amministrative può essere riversata in forme giuridiche diverse. Occorre ora esaminare queste forme.

Dal punto di vista strutturale, l'attività delle pubbliche amministrazioni non si distingue da quella di ogni altro soggetto di diritto. Esse pongono in essere sia dichiarazioni di volontà (come i provvedimenti amministrative e i contratti), di scienza (come i verbali e i certificati) e di giudizio (come i pareri e le valutazioni tecniche), sia operazioni materiali (la demolizione di un fabbricato abusivo, l'arresto di un ladro o di un disertore, le prestazioni sanitarie). Spesso anche i comportamenti negativi dell'amministrazione assumono rilevanza, come nel caso del c.d. silenzio della pubblica amministrazione. Anche questo, peraltro, è un fenomeno non esclusivo del diritto amministrativo.

Alcune funzioni amministrative sono svolte essenzialmente attraverso operazioni materiali: si pensi all'attività dei medici e degli analisti negli ospedali, dei docenti nelle scuole. Delle attività di questo tipo nono ci si occupa in questa sede: nono perché non siano importanti, ma perché sono regolate prevalentemente da discipline non giuridiche (come la medicina, la chimica e la pedagogia), e non dal diritto amministrativo. Naturalmente, le regole tipiche di queste discipline possono assumere un rilievo giuridico: le norme possono definire la buona prassi di laboratori e limitare la libertà di un docente di definire il programma del suo corso. Tuttavia, l'eterogeneità delle attività in questione impedisce che esse siano soggette a principi e norme generali, come quelli sui quali ci si concentra in questa sede.

Non presentano particolarità, rispetto ad analoghi atti conosciuti dal diritto privato, neanche le dichiarazioni di scienza e di giudizio. A volte le norme disciplinano il relativo procedimento di formazione, ma anche in questo caso non vi sono principi o norme generali.

Maggiore attenzione, invece, meritano le dichiarazioni di volontà, nell'ambito delle quali la distinzione principale è quella tra atti unilaterali e accordi. Questa distinzione non coincide con quella, molto diffusa ma imprecisa, tra attività amministrativa di diritto pubblico e attività amministrativa di diritto privato.

Tra gli atti unilaterali,la figura principale è quella dei provvedimenti amministrativi: sono gli atti, emanati a conclusione di procedimenti amministrativi, con i quali le amministrazioni esercitano poteri loro conferiti dalle norme per la cura di interessi pubblici, producendo effetti giuridici anche nei confronti di altri soggetti. Essi vanno quindi distinti, principalmente dagli altri atti che si collocano all'interno di questi procedimenti in funzione servente, detti appunto atti strumentali: per esempio, le proposte, i pareri e le richieste di informazioni.

Quella degli atti strumentali, peraltro, è una categoria eterogenea (nella quale rientrano dichiarazioni di volontà, di scienza e di giudizio), per la quale l'ordinamento non pone regole generali (a differenza di quanto fa per i provvedimenti): l'unico dato comune agli atti strumentali è quello di non costituire provvedimenti amministrativi, ma anche questo è un dato che ha senso solo all'interno del singolo procedimento, considerato che molti atti strumentali richiedono a loro volta procedimenti amministrativi.

1.2. La procedimentalizzazione dell'attività amministrativaIl carattere più vistoso dell'attività amministrativa è la procedimentalizzazione: essa è un'attività ordinata in sequenza. Le decisioni delle pubbliche amministrazioni non sono prese in modo istantaneo, ma si formano attraverso procedimenti. La decisione è poi racchiusa in un atto finale (l'autorizzazione, la sanzione, la decisione di concludere il contratto il contratto stesso), ma il contenuto di quest'atto è in gran parte determinato dagli atti e dai fatti che hanno avuto luogo nel corso del procedimento. La procedimentalizzazione dell'attività amministrativa è dovuta, da un lato,

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al fatto che le pubbliche amministrazioni sono organizzazioni complesse e, come tali, svolgono normalmente la propria attività attraverso diversi uffici e articolano il ruolo di questi uffici definendo in via generale competenze e procedure; dall'altro lato, alle peculiarità dell'attività amministrativa, che è svolgimento di funzioni amministrative attribuite dalle norme. Queste secondo aspetto merita qualche spiegazione.

Nei capitoli precedenti si è esaminato il rapporto tra amministrazione e diritto, osservando, tra l'altro, che attività delle pubbliche amministrazioni è sempre parzialmente regolata dalle norme. Occorre ora aggiungere che, nel disciplinare l'attività delle amministrazioni, di regola le norme non si limitano ad attribuire loro compiti e poteri, ma ne stabiliscono le modalità di svolgimento e di esercizio. In particolare, esse disciplinano il processo di formazione delle decisioni. A differenza di quanto avviene per l'attività dei privati, dunque, il processo di formazione delle decisioni delle pubbliche amministrazioni è giuridicamente rilevante, in quanto regolato da norme di diritto.

In questo modo, le norme individuano i fatti e gli interessi rilevanti e definiscono, almeno in parte, l'assetto degli interessi, quindi limitano il margine di scelta delle amministrazioni in sede di emanazione dei provvedimenti. Infatti, da un lato, il potere può legittimamente essere esercitato (cioè il provvedimento può legittimamente essere emanato) solo se si è svolto il procedimento previsto dalle norme; dall'altro, il provvedimento è legittimo solo se il suo contenuto è coerente con le risultanze del procedimento stesso. È ciò che si intende quando si afferma il rilievo non solo formale, ma anche sostanziale, del procedimento.

L'articolazione dell'attività amministrativa in procedimenti, dunque, ha diversi scopi. In primo luogo, serve a dare ordine all'attività amministrativa. In secondo luogo, essa serve a definire il ruolo dei singoli uffici e, quindi, a completare il disegno organizzativo, distribuendo il potere di decisione, Serve, poi, a consentire anche ai soggetti privati di far valere il proprio punto di vista e, quindi, di tutelare il proprio interesse, che, dalla decisione dell'amministrazione possa essere leso. Serve, ancora, a consentire a soggetti pubblici e privati di partecipare all'attività amministrativa in chiave collaborativa, a tutela dell'interesse generale oltre che del proprio interesse specifico. Di conseguenza, serve a mettere a confronto gli interessi coinvolti e a definirne il peso rispettivo. Serve, infine, a individuare le circostanze di fatto rilevanti per la decisione. Il fenomeno della procedimentalizzazione riguarda tendenzialmente tutta l'attività amministrativa: non solo l'emanazione di atti unilaterali, ma anche quelle di scienza e di giudizio; non solo l'attività finale, volta a perseguire gli interessi pubblici indicati dalla legge, ma anche quella strumentale, attraverso la quale le pubbliche amministrazioni organizzano se stesse e soddisfano le esigenze del proprio apparato; anche le operazioni materiali.

1.3. Procedimenti amministrativi e altri procedimenti giuridiciQuanto precede induce a individuare nel procedimento, secondo una nota impostazione, la forma della funzione amministrativa: come la funzione legislativa si svolte attraverso il procedimento legislativo e quella giurisdizionale attraverso il processo, la funzione amministrativa si svolte attraverso procedimenti amministrativi.

Come le altre funzioni pubbliche, quelle amministrative si svolgono mediante procedimenti ai quali partecipano diversi uffici e anche soggetti privati. Come per le altre funzioni pubbliche, il procedimento si conclude con l'emanazione di un atto, al quale l'ordinamento ricollega determinati effetti giuridici e sul quale si appuntano i controlli, anche giurisdizionali, eventualmente previsti dall'ordinamento; come il vizio di atto processuale po' invalidare la sentenza e quello della legge delega il decreto legislativo, così il vizio di un atto strumentale può invalidare il provvedimento.

Tuttavia, il procedimento amministrativo si differenzia nettamente da quello legislativo e dal processo giurisdizionale, in primo luogo per via della sua eterogeneità e atipicità: i procedimenti amministrativi hanno strutture estremamente diverse l'una dall'altra. Il procedimento amministrativo

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cambia la sua struttura in ragione del tipo di provvedimento da emanare (rilascio della patente di guida, imposizione di un vincolo su un bene privato di interesse storico o artistico, collocamento in aspettativa obbligatoria della lavoratrice per gravidanza e così via), perché ogni tipo di procedimento ha le sue norme.

Esistono, peraltro, norme generali, che si applicano a tutti i procedimenti amministrativi o ad ampie categorie di essi: nell'ordinamento italiano esse sono contenute essenzialmente nella l. n. 241/1990.

2. Il potere amministrativo e la discrezionalitàSi è già osservato che tutta l'attività amministrativa è procedimentalizzata e che la disciplina del procedimento amministrativo, della quale si dirà tra breve, è applicabile, almeno in parte anche a procedimenti diversi da quelli volti all'emanazione di provvedimenti amministrativi. Tuttavia, questa disciplina è dettata essenzialmente con riguardo a questi ultimi, cioè agli atti di esercizio di poteri amministrativi.

Il procedimento amministrativo, quindi, è innanzitutto un modo di esercizio del potere amministrativo.

2.1. Il potere amministrativo

Mediante il procedimento legislativo si esercita un potere libero, dato che il legislatore è, entro i limiti posti dai principi costituzionali e dal diritto europeo, libero di individuare i fini da perseguire. Al contrario, il potere esercitato dal giudice nel processo è tendenzialmente vincolato all'unico fine dell'attuazione della legge.

Il procedimento amministrativo è, per così dire, una via di mezzo, perché le pubbliche amministrazioni devono rispettare la legge e perseguire i fini da essa stabiliti, ma devono colmare i vuoti lasciati dalle norme e definire in concreto l'assetto di interessi. Per un verso, le amministrazioni devono essere imparziali, non molto diversamente dai giudici; per un altro verso, esse non sono indifferenti rispetto agli interessi in gioco, anzi sono esse stesse portatrici di interessi pubblici.

Ciò significa che il procedimento amministrativo è uno strumento di esercizio di un particolare tipo di potere, che è il potere amministrativo: esso si distingue dal potere privato, che è libero nel fine e non richiede un procedimento; dal potere legislativo, che è libero nel fine; dal potere giurisdizionale, che non implica una apprezzamento di interessi.

Come ogni situazione soggettiva di potere, il potere amministrativo implica un ruolo di mediazione, affidato al suo titolare, tra la norma e l'effetto giuridico. La norma non produce immediatamente l'effetto, ma ne affida la produzione al titolare del potere, in questo caso la pubblica amministrazione.

2.2. Norme giuridiche e poteri amministrativi

A monte di un potere amministrativo, dunque, vi è sempre una norma, che lo attribuisce all'amministrazione; a valle, vi è l'effetto che la norma mira a ottenere attraverso l'esercizio del potere. Ciò significa che i poteri amministrativi devono sempre avere un fondamento normativo. È il principio di tipicità dei provvedimenti amministrativi, che si fonda su quello di legalità.

Ogni potere esprime una relazione tra il suo titolare e l'ordinamento, in base alla quale il secondo ricollega determinati effetti a un atto del primo, e questa relazione non può essere posta che da una norma. Il vero problema è risolta, in molti casi, dalle riserve di legge poste dalla Costituzione a tutela dei diritti fondamentali e dei diritti di proprietà e di impresa, nonché in materia di prestazoni

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imposte: quest'ultima previsione, in particolare, implica che i provvedimenti restrittivi, come quelli ablatori1 e quelli sanzionatori, possono essere emanati solo nei cassi previsti da atti venti forza di legge.

Gli stessi principi sono affermati dalla giurisprudenza comunitaria, secondo la quale “gli interventi dei pubblici poteri nella sfera di attività privata di ogni persona, sia fisica che giuridica, devono essere fondati sulla legge ed essere giustificati dai motivi contemplati dalla legge”.

Quando gli effetti del provvedimento sono favorevoli per il destinatario, invece, i poteri amministrativi possono essere attribuiti anche da norme di rango subordinato.

2.3. Caratteri del potere amministrativoL'esercizio di alcuni poteri (come quello di recedere dal contratto e quello di emanare le leggi) determina l'immediata produzione dell'effetto giuridico. Altri poteri (come quello di chiedere l'annullamento del contratto e quello dello Stato di impugnare una legge regionale e viceversa) si esercitano invece agendo in giudizio.

I poteri amministrativi rientrano nel primo gruppo: le pubbliche amministrazioni, per produrre l'effetto previsto dalle norme, non hanno bisogno di rivolgersi a un giudice. Ciò è legato alla disciplina dell'invalidità del provvedimento amministrativo e alla struttura del processo amministrativo: come si vedrà nel capitolo successivo, il provvedimento invalido è di regola annullabile (e non nullo), cioè produce provvisoriamente i suoi effetti; e, come si vedrà, il processo amministrativo inizia di regola con un ricorso del privato, che impugna il provvedimento per ottenerne l'annullamento.

Le pubbliche amministrazioni sono titolari, in base alle norme di diritto privato, anche di altri poteri, sia del primo, sia del secondo tipo. I caratteri che distinguono il potere amministrativo dagli altri tipi di potere dipendono dal suo inserirsi nello svolgimento di una funzione: esso è un potere a esercizio doveroso; si esercita attraverso un procedimento; deve essere esercitato entro un certo termine, che è il termine entro il quale il procedimento deve concludersi; è disciplinato da numerose regole, generali e speciali.

2.4. Potere amministrativo e interessi protettiLe norme e la giurisprudenza sembrano spesso mosse da una certa diffidenza nei confronti dei poteri amministrativi: a volte li escludono; nell'attribuirli, individuano con precisione i presupposti e il contenuto dei relativi provvedimenti; disciplinano il procedimento con norme dia di applicazione generale, sia relative a singoli tipi di provvedimento; impongono regole relative alla formazione della decisione; prevedono controlli amministrativi e giurisdizionali. Più che diffidenza nei confronti delle amministrazioni, si tratta della conseguenza, da un lato, della natura funzionale dell'attività amministrativa, dall'altro, della garanzia dei diritti dei cittadini. Ciò spiega perché regole e controlli possano essere invocati dai titolari di questi interessi, partecipando al procedimento amministrativo e impugnando il provvedimento dinanzi al giudice.

Ne consegue che, nei confronti di un potere amministrativo, i titolari degli interessicoinvolti si trovano in una situazione più favorevole che nei confronti di un potere privato.

Non vanno usate, dunque, nozioni a lungo diffuse nel linguagggio giuridico, come quelle di

1 Gli atti ablatori, sono provvedimenti d’autorità con cui il pubblico potere, per un vantaggio della collettività, sacrifica un interesse di un privato cittadino ad un bene della vita " (Giannini). Questa fattispecie giuridica si estende fino a poter ricomprendere le espropriazioni e le requisizioni, nonché le imposizioni di opere come il sevizio militare o altri prelievi coattivi come quelli fiscali.

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supremazia della pubblica amministrazione e di imperatività del provvedimento amministrativo. Tutto ciò che si può dire è che esse sono titolari di numerosi poteri amministrativi, dei quali di regola i privati non possono essere titolari.

Ciò può essere espresso affermando che i titolari degli interessi su cui il potere amministrativo incide, destinatari degli effetti dei relativi provvedimenti, non si trovano in una situazione di mera soggezione, ma in una situazione di interesse legittimo: situazione giuridica soggetta che, a differenza della soggezione, consente al suo titolare di incidere sull'esercizio del potere, che si trova difronte.

Il titolare di un interesse legittimo non ha, come il titolare di un diritto soggettivo, la garanzia di soddisfacimento del proprio interesse (nel senso di aspirazione a un bene della vita), ma può partecipare al procedimento amministrativo e impugnare il provvedimento dinanzi al giudice. La tecnica di tutela indicata dall'interesse legittimo, peraltro, si è progressivamente avvicinata a quella indicata dal diritto soggettivo, soprattutto a quando la giurisprudenza ammette la risarcibilità della lesione del primo.

Questa nozione è sconosciuta nella quasi totalità degli altri ordinamenti. Agli interessi legittimi fanno riferimento gli art. 24 e 113 cost., ma questa menzione serve solo ad affermare la pienezza della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione. Ai fini della presente trattazione, è sufficiente ricordare la distinzione tra interessi oppositivi, di cui sono titolari coloro che temono di ricevere un pregiudizio dall'esercizio di un potere amministrativo (come nei procedimenti ablatori o sanzionatori), e interessi pretensivi, di cui sono titolari coloro che aspirano a riceverne un beneficio (come nei procedimenti concessori o autorizzatori).

2.5. Le valutazioni amministrative; la discrezionalitàNonostante le norme e la giurisprudenza limitino in vario modo i poteri amministrativi, alle pubbliche amministrazioni rimangano sempre margini di scelta. L'attività amministrativa contempla continuamente il compimento di scelte tra più soluzioni compatibili con il dato normativo.

Per ciascuno di questi tipi di scelta, si pongono due problemi:

– quello delle modalità di esercizio della scelta, cioè dei criteri che devono guidare chi la compie;

– quella del controllo giurisdizionale su di essa, cioè della possibilità del giudice, di fronte al quale il provvedimento sia impugnato, di sostituire la propria valutazione a quella dell'amministrazione.

Per le opzioni interpretative, per esempio, il primo problema si risolve applicando le norme contenute nelle preleggi2 e, per quanto riguarda il secondo, è ovvio che l'interpretazione delle norme spetta al giudice nono meno che all'amministrazione.

Molto meno semplici sono le soluzioni per quanto riguarda le scelte, per così dire, squisitamente amministrative, cioè relative al miglior modo idi curare l'interesse pubblico. È il problema della discrezionalità amministrativa, che ha diversi aspetti:

– se emanare un certo provvedimento (discrezionalità dell'an3);

– quando emanare (nel quando);

– con quale contenuto (nel quid4);

2 Le disposizioni sulla legge in generale, dette anche disposizioni preliminari al codice civile e preleggi sono un insieme di 31 articoli posti come premessa del Codice civile italiano nel 1942.

3 Se.4 Che cosa.

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– come esternarlo e quali elementi accidentali inserirvi (nel quomodo5);

Ma non tutti questi elementi sono sempre presenti. La discrezionalità nell'an spesso manca, perché, in presenza dei presupposti di legge, l'emanazione del provvedimento è obbligata. Anche la discrezionalità nel quando è di regola molto limitata per via della previsione di un termine del procedimento.

Per quanto riguarda il primo dei due problemi indicati in precedenza (modalità di esercizio della scelta), sulla natura della discrezionalità si sono avute diverse teorie. Nel corso del ventesimo secolo, si è imposta la teoria che la descrive come ponderazione dei vari interessi secondari, pubblici e privati, sui quali la scelta dell'amministrazione incide, con un interesse primario, che è quello per il quali all'amministrazione è attribuito il potere amministrativo.

Se le norme non dispongono diversamente, l'amministrazione, nel compiere la scelta, deve considerare non soltanto l'interesse primario, ma anche gli altri interessi che l'ordinamento considera meritevoli di tutela.

2.6. Discrezionalità amministrativa e controllo giurisdizionaleAnche se nel linguaggio comune discrezionalità è sinonimo di liberà, nel diritto amministrativo non è così, anche se lo era inizialmente. Nel diciannovesimo secolo, infatti, l'espressione “atto discrezionale” indicava gli atti dell'amministrazione sottratti al sindacato giurisdizionale, in ossequio al principio della separazione dei poteri. Successivamente, questo principio è stato bilanciato dal principio di legalità e dall'esigenza di tutela dei diritti dei cittadini.

La soluzione, sviluppata in Italia come in altri ordinamenti dalla giurisprudenza amministrativa, è il ricorso a regole logiche odi comune esperienza, oggettive e verificabili (come quelle della parità di trattamento, della logicità, della completezza dell'istruttoria, dell'esatta rappresentazione di fatti). Si tratta di regole non previste dalle norme, ma elaborate nel tempo dalla stessa giurisprudenza.

La nozione di discrezionalità, in definitiva, esprime una situazione intermedia tra la libertà e il vincolo: all'amministrazione spettano scelte, ma esse devono essere esercitate in modo da realizzare l'interesse pubblico. Ciononostante, l'attività discrezionale viene tradizionalmente contrapposta all'attività vincolata, interamente regolata dalle norme, con esclusione di ogni possibilità di scelta per l'amministrazione. Si potrebbe anche dubitare che simili atti costituiscano esercizio di poteri, dato che la componente dell'obbligo è decisamente prevalente su quella del potere. La questione, peraltro, è poco rilevante, dato che l'ordinamento li assoggetta allo stesso regime giuridico al quale assoggetta gli altri provvedimenti amministrativi e la legge ammette esplicitamente l'esistenza di provvedimenti vincolati (art. 21-octies, l. n. 241/1009)..

La stessa distinzione tra attività discrezionale e attività vincolata, in effetti, ha un'utilità limitata, essendo rilevante essenzialmente per due scopi. In primo luogo, per il riparto della giurisdizione, dato che si afferma spesso la corrispondenza tra atto vincolato e diritto soggettivo. Corrispondenza non affermata dalla giurisprudenza in modo assolto. Inoltre, questo profilo di rilevanza della distinzione ha ormai perso di importanza, dato che il riparto della giurisdizione avviene spesso per materie. In secondo luogo, per l'applicazione della norma appena citata della l.n. 241/1990, che fa riferimento solo agli atti vincolatati e della quale si tratterà nel capitolo successivo, nel quale si osserverà che, peraltro, la giurisprudenza sembra applicare questa norma anche ad atti discrezionali.

2.7. La discrezionalità tecnicaDiverse dalle scelte relative a interessi, almeno concettualmente, sono quelle relative

5 In quale modo.

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all'applicazione di conoscenza specialistiche. Sono quelle che l'art. 17, l.n. 241/1990 definisce valutazioni tecniche, che si distinguono dagli accertamenti tecnici proprio per l'opinabilità della scelta, per il margine di incertezza che essa lascia, per la variabilità del risultato in relazione al metodo adottato. L'espressione tradizionale, invece, è quella di discrezionalità tecnica, in evidente simmetria con quella amministrativa.

Per queste scelte il primo dei due aspetti prima individuati non è problematico, dato che le regole da applicare sono ovviamente quelle di una disciplina specialistica. Lo è, invece, il secondo aspetto: le valutazioni tecniche operate dalla pubblica amministrazione sono sindacabili da parte del giudice, dato che non si tratta dell'apprezzamento di interessi pubblici? Sul punto gli studiosi sono divisi e la giurisprudenza è alquanto incerta. Per un verso, l'evoluzione del processo amministrativo (con l'ampliamento dei mezzi istruttori, compresa la consulenza tecnica d'ufficio) induce i giudici a sindacare le valutazione tecniche. Per un altro verso, essi tendono ad arrestarsi di fronte a valutazioni particolarmente complesse.

2.8. L'obbligo di provvedere; il termine del provvedimentoSi è già osservato che l'esercizio del potere amministrativo è doveroso. In presenza dei presupposti previsti dalle norme il procedimento deve essere avviato e il provvedimento emanato.

A carico dell'amministrazione, quindi, vi sono un obbligo di procedere, cioè di avviare il procedimento, e un obbligo di provvedere, cioè di concluderlo. Del primo si è sempre riconosciuta l'esistenza: esso deriva, se non altro, dalle norme che attribuiscono i poteri, prevedendo che essi siano esercitati al realizzarsi di determinati presupposti. Il secondo è imposto dall'art. 2, l. n. 231/1990, a norma del quale, quando il procedimento consegua obbligatoriamente a una istanza o debba essere iniziato d'ufficio, l'amministrazione ha il dovere di concluderlo con un provvedimento espresso (quindi non tacito o implicito).

Naturalmente, essi sorgono solo quando vi siano i presupposti per l'esercizio del potere: non, per esempio, in presenza di un'istanza palesemente infondata o della richiesta di riesame di un provvedimento ormai inoppugnabile.

L'obbligo di provvedere risponde a esigenze di efficienza dell'amministrazione e di controllo, sia di garanzia dei privati, i quali aspirino a ottenere una misura favorevole (nei procedimenti a iniziativa di parte) o a rimuovere lo stato di incertezza in ordine all'eventuale adozione di una misura sfavorevole (in quelli a iniziativa d'ufficio). Dal punto di vista dei destinatari, il provvedimento espresso è preferibile a quello tacito non solo quando il suo contenuto è favorevole, ma anche quando esso è sfavorevole, perché contro il provvedimento espresso essi possono esperire i rimedi amministrativi e giurisdizionali. Ciò spiega l'esistenza dei provvedimenti negativi, con i quali il potere amministrativo viene esercitato senza produrre alcuna modificazione della realtà giuridica. Essi costituiscono una particolarità del potere amministrativo rispetto ad altri poteri. Esistono, invece, per le stesse ragioni, le sentenze di rigetto.

Il rispetto dell'obbligo di provvedere sarebbe difficilmente verificabile, e la sua violazione difficilmente sanzionabile, e non fosse possibile individuare il momento entro il quale il provvedimento deve essere emanato. A partire dalla l. n. 241/1990, il problema è risolto dalla previsione secondo la quale, per ogni tipo di procedimento, deve essere stabilito il termine massimo di durata. In qualche caso, esso è fissato dalle norme che disciplinano il singolo tipo di procedimento. Ove ciò non avvenga, l'art. 2 della legge prevede che sia l'amministrazione stessa a fissarlo: se non lo fa, si applica il termine residuale indicato dalla legge stessa, di novanta giorni.

Il termine non dipende soltanto da dati oggettivi, come la disciplina normativa del singolo procedimento e la complessità delle valutazioni richieste, ma anche da dati relativi alle singole amministrazioni.

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Il termine può essere sospeso se le norme richiedono all'amministrazione di chiedere valutazioni tecniche ad altri uffici e se essa deve acquisire informazioni che non siano già in suo possesso, né reperibili presso altre amministrazioni.

3. La disciplina del procedimentoLa disciplina del procedimento amministrativo consiste in principi e regole in parte generali, relativi a tutti i procedimenti, in parte speciali, relativi ad ampie categorie di procedimenti o a singoli tipi. Gli uni e gli altri sono in parte contenuti in disposizioni normative, i parte elaborati dalla giurisprudenza. I principi e le regole generali, definiti dalle norme e dai giudici nazionali, sono spesso analoghi a quelli che si ritrovano in altri ordinamenti e nel diritto europeo.

3.1. I principi giurisprudenzialiIl diritto amministrativo è, per varie ragioni, un diritto non codificato: molti dei suoi istituti e principi fondamentali sono stati inventati, o scoperti, non dal legislatore, ma dai giudici. Vi sono poche norme di portata generale, ma numerosissime norme relative a singole funzioni, quindi a singoli procedimenti. Ciò spiega la tradizionale divisione del lavoro tra legislatore e giudici: il primo pone discipline di dettaglio, i secondi elaborano regole generali.

Per quanto riguarda, in particolare, la disciplina del procedimento amministrativo, il fenomeno è dovuto anche a fattori già menzionati: da una lato, le norme che attribuiscono poteri amministrativi tendono a disciplinare puntualmente le modalità di esercizio, per garantire il corretto perseguimento degli interessi pubblici e la tutela di quelli privati; dall'altro, l'eterogeneità delle funzioni e dei procedimenti amministrativi rende difficile l'elaborazione di una disciplina generale, che regoli in dettaglio lo svolgimento del procedimento.

A causa di questi fattori, la maggior parte dei principi generali relativi al procedimento è di origine giurisprudenziale: essi sono stati elaborati dai giudici in sede di valutazione della legittimità dei provvedimenti amministrativi.

Per molto tempo, ciò è avvenuto attraverso la già menzionata tecnica di controllo basata sull'eccesso di potere: per dare contenuto a questo vizio, la giurisprudenza amministrativa ha elaborato una serie di regole e ne ha imposto il rispetto alle amministrazioni, annullando i provvedimenti che non le osservassero; ciò spiega l'evidente corrispondenza tra alcuni principi dell'azione amministrativa e alcune figure sintomatiche di eccesso di potere.

In ogni caso, quelle elaborate dai giudici sono regole alquanto fluide, perché sono codificate dalle norme, e generiche, perché fatte per essere applicate a procedimenti molto diversi l'uno dall'altro.

3.2. Le discipline legislativeTutto ciò è riscontrabile nei vari ordinamenti: quello nazionale, quello europeo, quelli regionali, quelli di altri Stati, quelli corrispondenti ad alcune organizzazioni internazionali. Nel corso del ventesimo secolo, peraltro, in numerosi ordinamenti, sia dell'Europa continentale (come l'Italia), sia del mondo anglosassone (come gli Stati Uniti d'America), sono state introdotte discipline legislative generali del procedimento amministrativo. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di leggi di principi. Solo in pochi ordinamenti (come quello austriaco, già menzionato) vi è una disciplina analitica, che regola compiutamente lo svolgimento del procedimento. In altri (come l'Unione europea e il Regno Unito), all'opposto, una disciplina legislativa generale è del tutto assente.

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La codificazione della disciplina del procedimento ha determinato nei vari ordinamenti, da un lato, l'introduzione di nuove regole generali, dall'altro, la codificazione di regole già affermate dalla giurisprudenza. Di conseguenza, è mutato il rapporto tra legge e giurisprudenza: la prima pone anche norme generali, che la seconda è chiamata a specificare e applicare.

3.3. Principi del diritto amministrativo e principi del procedimentoMolti di quelli che vengono normalmente definiti “principi del procedimento” sono in realtà relativi, più in generale, all'attività amministrativa, se non all'amministrazione nel suo complesso: per esempio, i principi di imparzialità e buon andamento sono riferiti dall'art. 97 cost. all'organizzazione, e non all'attività, amministrativa. Nel procedimento, peraltro, cioè nel momento nel quale le pubbliche amministrazioni formano le proprie decisioni, questi principi trovano la loro massima esplicazione.

Le leggi sul procedimento enunciano in gran parte gli stessi principi: l'imparzialità, l'economicità, il contraddittorio, la trasparenza e la certezza del tempo sono presenti, sia pure con nomi diversi, in tutte o quasi tutte le leggi menzionate nelle pagine precedenti. Altri principi, come quelli di ragionevolezza, di proporzionalità e di tutela dell'affidamento, sono normalmente affermati dalla giurisprudenza nei diversi ordinamenti. In ambito europeo, anche per opera della giurisprudenza comunitaria e di quella della Corte europea dei diritti dell'uomo, vi è una notevole osmosi tra i diversi ordinamenti. La circolazione di questi principi è favorita da norme come quella dell'art. 1, l. n. 241/1990, che include quelli dell'ordinamento comunitario tra i principi generali dell'attività amministrativa.

3.4. I principi del procedimento nell'ordinamento italianoTra i principi più importanti, vi sono ovviamente quelli di imparzialità e buon andamento, enunciati dalla Costituzione. Per quanto riguarda i procedimenti amministrativi, la giurisprudenza e poi il legislatore si sono incaricati di trarre regole specifiche dalla loro enunciazione generica: dall'imparzialità deriva il dovere di valutare e ponderare gli interessi rilevanti; dal buon andamento derivano i principi di economicità e di efficacia, affermati dall'art. 1, l. n. 241/1990.

L'economicità riguarda il rapporto tra mezzi e risultati, quindi impone di fare buon uso delle risorse a disposizione. Risorse materiali e finanziarie, ma anche di quelle umane: un'applicazione del principio di economicità è il divieto di aggravare il procedimento, se non per esigenze straordinarie e motivate. L'efficacia riguarda invece il rapporto tra obiettivi e risultati, quindi è rispettata se l'azione dell'amministrazione è idonea al raggiungimento degli obiettivi prefissati in sede normativa e politica. A questi ultimi viene a volte accostato il principio di efficienza: in termini generici, esso è sinonimo di buon andamento: in termini specifici, riguarda il rapporto tra costi e benefici, quindi implica l'effettiva utilità della decisione.

Non meno importante di quelli di imparzialità e buon andamento è il principio di ragionevolezza: al pari di essi, è considerato un principio assoluto, perché non può mai cedere difronte ad altri principi. In termini generici, la regionevolezza indica la plausibilità e giustificabilità della scelta operata dall'amministrazione. In termini specifici, essa viene riferita al bilanciamento di interessi operato dall'amministrazione, che deve tenere conto degli interessi rilevanti e non comportare il loro inutile sacrificio.

Altro principio di portata ampia, suscettibile di applicazione differenziate, è quello di proporzionalità, elaborato soprattutto dalla giurisprudenza tedesca: in base ad esso, la scelta dell'amministrazione deve essere tale da raggiungere il risultato voluto, ma deve comportare il minore sacrificio possibile per gli interessi rilevanti.

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Non hanno valore assoluto il principio del giusto procedimento e quello della partecipazione. Il primo, che riecheggia il principio costituzionale americano del due process of law, riguarda i procedimenti che sfociano in misure restrittive per i destinatari, come quelli ablatori e quelli sanzionatori: prima dell'adozione di simili misure occorre svolgere un'adeguata istruttoria e offrire agli interessati la possibilità di essere ascoltati. Il secondo ha invece portata generale, essendo riferito dal capo III della l. n. 241/1990 a tutti i procedimenti (con le sole eccezioni indicate dall'art. 13: procedimenti per i quali vi sono comunque norme specifiche sull'intervento degli interessati nel procedimento). Le norme in questione danno anche contenuto al principio, indicando gli obblighi dell'amministrazione e i poteri degli interessati. Entrambi i principi, comunque, possono essere sacrificati in presenza di esigenze prevalenti, come la celerità e la segretezza.

La giurisprudenza applica regolarmente, sia pure spesso senza enunciarli, ulteriori principi, come quello di buona fede (o del legittimo affidamento), che impone all'amministrazione di tenere conto dell'affidamento generato nei privati dai suoi provvedimenti e comportamenti, e quello di consequenzialità, che le impone di rispettare i criteri di azione che essa stessa si sia data. Quest'ultimo principio è valorizzato da varie norme che impongono alle amministrazioni di prefissare simili criteri, quindi di autolimitarsi, operando uno sdoppiamento dell'esercizio del potere amministrativo in due momenti, quello della determinazione dei criteri e quello della loro applicazione in concreto.

3.5. La semplificazione amministrativaNaturale derivazione dei principi di buon andamento, economicità ed efficacia è quello di semplicità. Esso ha avuto un notevole impulso a partire dalla l. n. 241/1990, che ha avviato un'intesa politica di semplificazione amministrativa, per due principali ragioni:

– per la riduzione delle spese che esso consente alle amministrazioni;

– per il miglioramento della qualità dei servizi resi ai cittadini e alle imprese, per i quali ogni adempimento amministrativo rappresenta un costo e un ostacolo alla soddisfazione dei propri interessi.

La legge dedica un intero capo, nel quale sono disciplinati diversi istituti di semplificazione, che saranno esaminati in seguito: la conferenza dei servizi e gli accordi tra amministrazioni, nel trattare la conclusione del procedimento; la disciplina dei pareri e delle valutazioni tecniche, nel trattare la struttura del procedimento; l'autocertificazione nel trattare i procedimenti dichiarativi; la denuncia di inizio di attività e il silenzio assenso, nel trattare le autorizzazioni del provvedimento.

Nell'ultimo quindicennio, il principio di semplicità ha dato vita a varie altre previsioni normative. In primo luogo, gli istituti previsti dalla l. n. 241/1990 sono stati utilizzati da varie norme di settore. In secondo luogo, alla disciplina generale degli istituti di semplificazione le norme hanno affiancato discipline speciali, relative a singoli tipi di procedimento. Ciò è avvenuto soprattutto a seguito della l. n. 537/1993, che ha avviato un massiccio processo di semplificazione di numerosi procedimenti. Infine, a partire dal 1997 è previsto che quello di semplificazione sia un processo permanente, alimentato annualmente da una legge di semplificazione approvata su iniziativa del governo (art. 20, c. 4, l. n. 59/1997).

3.6. L'accesso ai documenti amministrativiL'art. 1, l. n. 241/1990, spesso definita “legge sulla trasparenza amministrativa”, enuncia espressamente i principi di pubblicità e di trasparenza. Prima di questa legge, quello di pubblicità non era un principio generale dell'ordinamento, la regola essendo piuttosto quella del segreto d'ufficio imposto ai dipendenti pubblici.

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Nel procedimento, esso determina l'obbligo dell'amministrazione di rendere pubbliche determinate informazioni (come il termine di ciascun procedimento) e di comunicare determinate circostanze (come l'avvio del procedimento) agli interessati.

Come si è osservato nel capitolo sui principi, il principale istituto nel quale il principio si esprime è il diritto dei cittadini di accedere ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni. Esso può essere esercitato anche se non vi è un procedimento amministrativo in corso. Di esso occorre considerare:

– l'oggetto;

– i titolari;

– i soggetti obbligati;

– i limiti;

– le modalità di esercizio;

– la tutela.

Oggetto al quale si accede è il documento amministrativo, del quale l'art. 22 offre una definizione molto ampia. Deve comunque essere detenuto da una pubblica amministrazione e concernere attività di pubblico interesse. La nozione di documento amministrativo non va confusa con quella di atto amministrativo: gli atti amministrativi (di volontà, di scienza o di giudizio) e non hanno necessariamente forma scritta. Il diritto, d'altra parte, sussiste anche se i documenti non sono relativi ad atti amministrativi, ma ad atti di natura privata, come quelli relativi alla conclusione di contratti o alla gestione del personale.

Titolari del diritto sono tutti i soggetti privati “che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso”. Non, quindi, qualunque cittadino, ma solo coloro che siano titolari di un interesse che l'ordinamento tutela. Né il diritto di accesso può essere esercitato per operare un controllo generalizzato sull'attività dell'amministrazione. La richiesta di accesso, di conseguenza, deve essere motivata, per dimostrare l'utilità del l'accesso per la tutela dell'interesse in questione.

Più ampia è la disciplina dell'accesso nei confronti degli enti locali, in base all'art. 10, d. lg. n. 267/2000, che stabilisce che tutti gli atti dell'amministrazione comunale e provinciale sono pubblici e prevede che ai cittadini sia assicurato il diritto di accedervi.

Il diritto si esercita, come si è già accennato, non solo nei confronti degli enti pubblici, ma anche nei confronti dei gestori di pubblici servizi e di tutti i soggetti privati, “limitatamente alla loro attività di pubblico interesse”.

Il diritto si esercita mediante esame ed estrazione di copia del documento. Quando la richiesta è evidentemente fondata, l'accesso è consentito senza formalità (accesso informale); se, invece, l'accoglimento immediato non è possibile o sorgano dubbi sulla legittimazione del richiedente, la domanda determina l'avvio di un procedimento amministrativo (procedimento di accesso formale: art. 2 e 3, d.P.R. n. 352/1992).

Il principio di pubblicità non è un principio assoluto, quindi il diritto d'accesso incontra limiti. È la legge, però, a indicare gli interessi a tutela dei quali l'accesso può essere escluso: interessi pubblici, come quelli alla difesa nazionale, all'ordine pubblico e alla politica monetaria, nonché l'interesse alla riservatezza dei terzi. E, ovviamente, è il giudice, in sede di giudizio sulla legittimità del diniego di accesso, a valutare se è giustificata da uno degli interessi indicati.

Particolarmente problematico è il bilanciamento tra il diritto di chi vuole accedere e il diritto alla riservatezza di coloro che la legge chiama “controinteressati”. La legge stabilisce che la riservatezza costituisce un limite all'accesso, ma il secondo prevale sulla prima se ala conoscenza del documento è necessaria per curare o difendere un interesse giuridico. Ulteriori previsioni, poi, regolano il caso

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in cui i documenti contengano dati “sensibili”.

La tutela del diritto d'accesso è assicurata soprattutto dal giudice amministrativo. Anche la giurisprudenza comunitaria è attenta a garantire l'effettività del diritto di accesso.

4. L'oggetto e l'ambito di applicazione della legge sul procedimentoNell'ordinamento italiano, la disciplina legislativa generale del procedimento amministrativo è contenuta nella l. n. 241/1990, che è stata oggetto di revisione da parte della l. n. 15/2005, la quale ha anche introdotto una disciplina organica del provvedimento amministrativo, che sarà esaminata nel capitolo successivo.

4.1. L'individuazione dei procedimenti amministrativiPrima dell'emanazione della l. n. 241/1990, quella di procedimento amministrativo era una nozione sconosciuta al legislatore. Essa era utilizzata dalla giurisprudenza per isolare gli atti aventi natura provvedimentale, quindi impugnabili davanti al giudice amministrativo, e dalla scienza giuridica per sottolineare che la volontà della pubblica amministrazione si forma gradualmente, attraverso una sequenza di atti che sono giuridicamente rilevanti.

La legge in questione utilizza la nozione e disciplina il procedimento, ma non ne dà una definizione.

Il problema nasce evidentemente dall'eterogeneità dei procedimenti amministrativi e dal carattere frammentario della disciplina. Neanche il procedimento legislativo e i procedimenti giurisdizionali sono definiti dalle norme, tuttavia queste identificano chiaramente gli atti di iniziativa (la proposta di legge, l'atto di citazione, il ricorso e così via). La l. n. 241/1990, invece, è imprecisa sia con riferimento all'inizio, sia con riferimento alla fine del procedimento.

In pratica, si pongono due problemi principali. Il primo è quello dei procedimenti che non si concludono con un provvedimento amministrativo, ma con atti di natura diversa. Il secondo è dato dai collegamenti tra procedimenti diversi.

4. 2. Procedimenti senza provvedimentoPer quanto riguarda il primo problema, la nozione di procedimento amministrativo è nata dall'esigenza di individuare l'atto impugnabile dinanzi a al giudice amministrativo e la teoria del procedimento è stata costruita intorno alle principali figure di provvedimento amministrativo: le autorizzazioni, le concessioni, le espropriazioni, le sanzioni e così via.

Tuttavia, le pubbliche amministrazioni pongono in essere anche procedimenti diversi, come quelli contrattuali, quelli organizzativi, quelli finanziari e quelli dichiarativi. Molte delle esigenze, che sono alla base della disciplina legislativa generale del procedimento, riguardano tuta l'attività amministrativa: per esempio, quelle del buon andamento e della certezza del tempo.

A questi procedimenti la legge si applica parzialmente. Per esempio, non avrebbe senso applicare l'obbligo di motivazione a un procedimento finanziario, volto all'adempimento di un debito dell'amministrazione.

D'altra parte, i principi enunciati dall'art. 1 valgono per tutta l'attività amministrativa e istituti come il temine, del quale si è già riferito, e il responsabile, del quale si riferirà tra breve, rispondono a esigenze che si pongono anche per i procedimenti ora menzionati.

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4.2. Procedimenti collegatiIl secondo problema si pone essenzialmente con riferimento ai due istituti da ultimo menzionati: termine e responsabile.

Si è osservato all'inizio di questo capitolo che la stessa distinzione ttra provvedimento e atto strumentale non è netta, dato che alcuni atti strumentali richiedono a loro volta un procedimento, che può a sua volta essere soggetto alla disciplina legislativa. Vi sono diversi possibili nessi tra procedimenti diversi:

– di continenza (per esempio, il procedimento per l'elaborazione di un parere che si svolge nell'ambito di uno più ampio);

– di presupposizione (se un procedimento inizia con la proposta di un'altra amministrazione, esso non può iniziare prima che si concluda quello volto alla formulazione della proposta);

– di parallelismo (per realizzare un impianto industriale sono necessarie diverse autorizzazioni);

– di incidentalità (come nel caso in cui si apra un procedimento di secondo grado, volto all'annullamento di un atto strumentale), e così via.

In questa ipotesi, il termine e il responsabile vanno individuati per il procedimento principale o complessivo, per le sue parti o subprocedimenti o per entrambi?

La scienza giuridica e la giurisprudenza (Cons. St., ad. gen., n. 10/1991) hanno chiarito che essi vanno determinati con riferimento al procedimento principale o complessivo, corrispondente al provvedimento che incide sugli interessi del privato: infatti, è a tutela degli interessi che la legge impone la certezza dei tempi e l'individuazione delle responsabilità.

Le amministrazioni possono determinare termini e responsabili delle singole fasi, a patto che determinino anche quelli dell'intero procedimento.

4.4. Il catalogo dei procedimentiQuanto precede mostra che quella di procedimento, utilizzata dalla l. n. 241/1990, è una nozione imprecisa, impossibile da delimitare. Le soluzioni date sono confermate dal modo in cui le amministrazioni applicano le norme relative al termine e al responsabile.

Ai fini dell'applicazione di queste norme, infatti, la legge impone alle pubbliche amministrazioni di compilare e tenere aggiornato un “catalogo” dei procedimenti amministrativi di propria competenza. A norma degli art. 2 e 4 della legge, il termine e l'ufficio responsabile devono essere determinati in via generale dalle amministrazioni. La l. n. 241/1990 ha, quindi, costretto le amministrazioni a operare un censimento dei propri procedimenti amministrativi.

La determinazione del termine e del responsabile del procedimento è oggetto di un potere normativo (Cons. St., ad. gen., n. 141/1991)_ la legge, infatti, stabilisce che, per le amministrazioni statali, l'individuazione dei termini avvenga attraverso regolamenti amministrativi, che elenchino i procedimenti di competenza della relativa amministrazione e per ognuno di essi forniscano le due indicazioni.

I regolamenti di attuazione degli art. 2 e 4 non elencano soltanto procedimenti come quelli autorizzatori e ablatori, ma anche i procedimenti con i quali le amministrazioni concludono contratti, pagano debiti, rilasciano certificati, rendono pareri, organizzano i propri uffici e gestiscono il proprio personale.

Ovviamente, può accader che, nell'individuazione dei procedimenti, le amministrazioni applichino la legge in modo erroneo. Altrettanto ovviamente, l'individuazione da esse operata non vincola il

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giudice. D'altra parte, si è già rilevato che la legge stessa, nel disciplinare il temine, contempla il caso in cui un procedimento non sia stato identificato dall'amministrazione: essa stabilisce che, in questa ipotesi, si applica il temine di novanta giorni.

4.5. L'ambito di applicazione oggettivoAi fini dell'applicazione della l. n. 241/1990, occorre precisare a quali procedimenti si applicano le sue previsioni. L'ambito di applicazione va esaminato sia in termini oggetti, cioè con riferimento ai tipi di procedimento che essa regola, sia in termini soggettivi, cioè con riferimento alle amministrazioni alle quali essa si applica.

Dal primo punto di vista, la maggior parte delle disposizioni sono dette dettate per tutti i procedimenti. Tuttavia, alcune previsioni escludono determinati tipi e altre riguardano solo determinati tipi. L'art. 3, che esclude l'obbligo di motivazione per gli atti normativi e per quelli a contenuto generale, e il già menzionato art. 13, che esclude l'applicabilità delle norme sulla partecipazione al procedimento per gli stessi due tipi di procedimento, per quelli di pianificazione e di programmazione e per quelli tributari. L'art. 12, che riguarda solo alcuni procedimenti concessori, e gli art. 19 e 20, relativi alla denuncia di inizio di attività e al silenzio assenso, che riguardano solo attività soggette a procedimenti autorizzatori. Le une e le altre norme sono significative perché dimostrano che i diversi tipi di procedimento si differenziano tra loro nono solo per il contenuto del provvedimento finale, ma anche per la struttura procedimentale.

Naturalmente, il fatto che la legge escluda determinati tipi di procedimento da alcune sue regole non vuol dire che le stesse regole non possano essere imposte da altre fonti, compresa la giurisprudenza.

4.4. L'ambito di applicazione soggettivoDal secondo punto di vista, quella della l. n. 241/1990 è una disciplina nazionale, quindi è ovviamente applicabile alle amministrazioni statali e agli enti pubblici nazionali e, altrettanto ovviamente, non p applicabile alle amministrazioni dell'ordinamento comunitario, che è sopranazionale. Più complesso è il problema dell'applicazione della legge alle amministrazioni delle regioni e degli enti locali, soprattutto a seguito della riforma costituzionale del 2001.

Da un lato, l'art. 117 cost. non menziona la disciplina generale del procedimento amministrativo: dunque, non si tratta di una materia nella quale lo Stato ha potestà legislativa (tranne, ovviamente, per quanto riguarda le amministrazioni statali). In linea di principio, la potestà legislativa spetta alle regioni, le quali potrebbero disciplinare il procedimento in modo diverso. Inoltre, le regioni e gli enti locali hanno potestà statutaria e i secondi hanno potestà regolamentare in ordine allo “svolgimento delle funzioni loro attribuite” (art. 117, c. 6).

Dall'altro lato, molte regole giurisprudenziali e molte previsioni della l. n. 241/1990 sono espressione o applicazione di principi costituzionali o di principi del diritto comunitario. Inoltre, allo Stato spetta la potestà legislativa esclusiva in materia di “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territori nazionale”(art. 117, c. 2, lett. m)_ essa può ben comprendere le norme poste a tutela dei cittadini nei confronti delle amministrazioni. Per quanto riguarda gli enti locali, poi, va considerata la potestà legislativa esclusiva dello Stato relativa, tra l'altro, alle loro “funzioni fondamentali” (art. 117, c. 2, lett. p).

In definitiva, lo Stato può ben porre principi fondamentali in materia di attività amministrativa, validi per tutte le pubbliche amministrazioni: e da principi fondamentali è in gran parte composta la disciplina della l. n. 241/1990. Ciò è espresso dall'art. 29, l. n. 241/1990, che prevede che le regioni e gli enti locali regolino la materia “nel rispetto del sistema costituzionale e delle garanzie del cittadino nei confronti dell'azione amministrativa. In materia di procedimento, dunque, la potestà

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legislativa regionale e quella regolamentare degli enti locali si riducono agli aspetti di dettaglio.

Un problema di applicabilità si pone anche per alcuni enti non territoriali, in ragione delle loro funzioni o della loro collocazione nell'ordinamento. Per gli enti pubblici economici, la disciplina del procedimento non è applicabile all'attività d'impresa da essi svolta.

Per le autorità indipendenti, il problema è più complesso e non può essere risolto in modo unitario: alcune autorità, infatti, tendono a compensare alla carenza di legittimazione, derivante dalla loro indipendenza dal potere politico, rafforzando le garanzie procedimentali, anche al di là di quanto previsto dalla n. n. 241/1990; altre tendono invece a sfuggire all'applicazione dei suoi istituti, trovando conforto in previsioni di legge ad hoc: per altre ancora, le norme europee e nazionali impongono regole e garanzie procedimentali anche ulteriori rispetto a quelle della l. n. 241/1990.

La legge non è di regola applicabile all'attività amministrativa svolta dagli organi costituzionali (come le Camere e la Presidenza della Repubblica) odi rilievo costituzionale (come il Consiglio superiore della magistratura).

Infine, sull'ambito di applicazione della legge incidono i fenomeni dell'amministrazione pubblica in forma privata e dei privati in funzione dell'amministrazione, dei quali si è riferito in precedenza (cap. I, par. 2.4 e cap. III, par. 12.2). È espressamente previsto dall'art. 1, c. 1-ter, della legge, a norma del quale i soggetti in questione devono assicurare il rispetto dei principi enunciati nel primo comma dello stesso articolo. Per quanto riguarda il diritto d'accesso, ciò avviene per espressa previsione della legge, dato che – come già osservato – l'art. 22 definisce la pubblica amministrazione facendovi rientrare anche i soggetti privati in esame e l'art. 23 stabilisce che esso si esercita anche nei confronti dei gestori di pubblici servizi.

5. La struttura del procedimentoIn base all'approccio tradizionale, il procedimento viene studiato esaminando le diverse fasi. Questo approccio rimane utile per l'analisi strutturale del procedimento amministrativo, che, come tutti i procedimenti giuridici, ha uno svolgimento diacronico. Ma i procedimenti hanno strutture estremamente diversificate. Quella che segue, quindi, non è la descrizione della strutture necessaria del procedimento o comune a tutti i procedimenti, ma l'analisi di alcune fasi e adempimenti normali o frequenti nella maggior parte dei procedimenti.

5.1. L'avvioL'iniziativa procedimentale può essere d'ufficio o di parte. Nel primo caso, è la stessa amministrazione procedente a deliberare l'avvio del procedimento, essendosi verificato il presupposto al quale la legge ricollega l'emanazione del provvedimento. Questo presupposto può essere una situazione giuridica (come l'emanazione di una legge, di una sentenza o di un atto amministrativo ovvero la scadenza di un termine) o una circostanza di fatto (la commissione di un illecito, una situazione di pericolo, l'esigenza di acquistare un bene o di assumere un impiegato). Delle circostanze di fatto l'amministrazione può venire a conoscenza in vari modi.

Nel secondo caso, il procedimento consegue a un'istanza del soggetto interessato, della quale l'amministrazione deve comunque operare una sommaria valutazione: come si è già riferito, infatti, non sempre l'istanza dell'interessato fa sorgere l'obbligo di provvedere. L'iniziativa può anche essere di un'altra pubblica amministrazione: determinati procedimenti non possono che cominciare con una proposta di un'altra amministrazione.

Nel caso di iniziativa di parte, dunque, l'individuazione del termine iniziale del procedimento è facile: esso è dato dal momento della ricezione dell'istanza. In quelli d'ufficio può non esserlo:

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occorre individuare il momento in cui, superata la fase preparatoria o di vigilanza, l'amministrazione decide di procedere. La l. n. 241/1990, peraltro, impone di individuare questo momento, per due ragioni: perché da esso decorre il termine (finale) del procedimento e perché l'avvio del procedimento fa sorgere, in capo all'amministrazione procedente, l'obbligo di informarne determinati soggetti, salvo che le esigenze di celerità lo impediscano (in quest'ultimo caso, il principio di buon andamento prevale su quelli di pubblicità e di partecipazione).

È la comunicazione di avvio del procedimento, prevista dall'art. 7 al fine di consentire la partecipazione degli interessati al procedimento: essa è espressione, appunto, dei già menzionati principi di partecipazione e – per i procedimenti volti all'emanazione di provvedimenti restrittivi – giusto procedimento.

I suoi destinatari sono:

– i soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti;

– quelli che per legge devono intervenire nel procedimento;

– quelli, individuati o facilmente individuabili e diversi dai diretti destinatari, ai quali dal provvedimento possa derivare n pregiudizio(quindi, che siano titolari di interesse oppositivi),

Essa deve essere fatta anche in quelli a iniziativa di parte. Essa peraltro, può essere fatta senza particolari formalità, purché contenga le informazioni indicate dall'art. 8.

L'omissione della comunicazione di avvio determina un vizio del procedimento e, quindi, l'invalidità del procedimento finale. Questa invalidità, peraltro, non necessariamente conduce all'annullabilità del provvedimento. Da un lato, infatti, la legge dispone che l'omissione della comunicazione può essere fatta valere solo dal soggetto nel cui interesse la comunicazione stessa è prevista. Dall'altro, essa stabilisce che l'omissione non rende il provvedimento annullabile se l'amministrazione dimostra in giudizio che il suo contenuto non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La legge, dunque, impone alle amministrazioni l'obbligo di procedere alla comunicazione, ma a volte omette di sanzionare la violazione di questo obbligo.

Anche la giurisprudenza applica questo istituto in modo alquanto restrittivo. Da un lato, essa spesso esclude la sussistenza dell'obbligo per determinati tipi di procedimento: non solo quelli segreti o riservati, ma anche quelli vincolati. Dall'altro, essa ritiene che l'omissione della comunicazione non determina invalidità del provvedimento se l'interessato è comunque venuto a conoscenza dell'inizio del procedimento.

5.2. L'istruttoria e il responsabile del procedimentoL'istruttoria è normalmente la fase centrale del procedimento, nella quale si forma la decisione dell'amministrazione, attraverso l'acquisizione degli interessi e dei fatti rilevanti. L'acquisizione degli interessi è il presupposto della loro ponderazione. L'acquisizione dei fatti può richiedere adempimenti come accertamenti tecnici, ispezioni, inchieste, pareri e valutazioni tecniche. Ove sia necessario acquisire documenti, il principio di semplificazione opera sia attraverso l'istituto dell'autocertificazione, sia attraverso l'obbligo del responsabile del procedimento di acquisire i documenti in possesso della stessa o di altra amministrazione.

In questa fase, dunque, vengono osti in essere numerosi atti strumentali e adempimenti di vario genere dell'amministrazione procedente, di altre amministrazioni e dei privati interessati: una buona descrizione di questa fase del procedimento è offerta dall'art. 6, l. n. 241/1990, che elenca le funzioni del responsabile del procedimento. Si tratta di un istituto volto a promuovere sia il buon andamento dell'amministrazione, sia la pubblicità e la partecipazione, garantendo agli interessati un interlocutore.

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La legge parla di responsabile sia nel senso di ufficio responsabile per ciascun tipo di procedimento (art. 4), sia nel senso di funzionario responsabile del singolo procedimento concreto, della singola pratica (art. 5).

5.3. L'attività consultivaLe norme di settore, che disciplinano i singoli procedimenti, prevedono spesso che l'amministrazione procedente, prima di provvedere, chieda pareri o valutazioni tecniche ad altre amministrazioni o uffici.

I pareri sono resi principalmente da organi consultivi, per lo più collegiali. Le norme, peraltro, prevedono spesso che l'amministrazione procedente chieda il parere di determinate amministrazioni o uffici, non aventi funzioni consultive_ in questo caso, il parere è un modo per rappresentare l'interesse pubblico di cui l'amministrazione o ufficio sia titolare. In molti casi, poi, le norme prevedono che sia chiesto il parere di associazioni private, come i sindacati di imprese o di lavoratori: il parere costituisce, in queste ipotesi, una forma di partecipazione al procedimento.

I pareri possono essere obbligatori, se previsti dalla legge, o facoltativi, se richiesti dall'amministrazione di sua iniziativa (circostanza eccezionale, per via del divieto di aggravare il procedimento). Quelli obbligatori possono essere vincolanti.

Poiché la mancata elaborazione dei pareri loro richiesti da parte degli organi consultivi può bloccare il procedimento, l'art. 16 della legge fissa (o richiede la fissazione) di termini per renderli: decorsi detti termini, l'amministrazione può procedere indipendentemente dall'acquisizione del parere.

L'articolo seguente contiene una previsione simile in ordine alla valutazioni tecniche, delle quali si è trattato in precedenza (par. 2.7): se esse non vengono elaborate entro i termini fissati, il responsabile del procedimento deve chiederle ad altri organi. La legge prevede anche la sospensione del termine del procedimento per il tempo necessari alla loro acquisizione (art. 2, c. 4).

5.4. La partecipazione degli interessatiIl principio della partecipazione si esplica sia in norme di settore (per esempio, quelle relative ai procedimenti sanzionatori o alla formazione dei piani urbanistici), che consentono agli interessati di intervenire nel procedimento con osservazioni, deduzioni, opposizioni e simili, sia con la disciplina generale contenuta nella l. n. 241/1990, che individua i soggetti legittimati a intervenire e i loro poteri.

I soggetti legittimati, che si aggiungono ai destinatari della comunicazione di avvio sono indicati dall'art. 9, del quale vanno notati due aspetti: anche esso, come l'art. 7, privilegia gli interessi oppositivi rispetto a quelli pretensivi; esso, generalizzando una previsione contenuta in norme di settore, consente l'intervento non solo alle amministrazioni pubbliche e ai soggetti privati a tutela dei rispettivi interessi, ma anche alle associazioni e ai comitati portatori di interessi diffusi.

Gli interventori (sia quelli necessari, di cui all'art. 7, sia quelli volontari, d cui all'art. 9) possono prendere visione degli atti del procedimento e presentare memorie scritte e documenti. Il primo potere è un'esplicazione del diritto d'accesso. Per quanto riguarda il secondo, la norma è importante perché impone all'amministrazione l'obbligo di valutare le memorie e i documenti, se pertinenti, a pena di invalidità del provvedimento finale.

Un ulteriore forma di partecipazione, relativa ai soli procedimenti a iniziativa di parte, è quella predisposta dall'art. 10-bis,introdotto nel 2005. Esso impone all'amministrazione di comunicare al richiedente, prima dell'adozione di un provvedimento negativo, le ragioni che impediscono l'accoglimento della sua domanda (per esempio, la mancanza di un documento). Il difetto di questa

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comunicazione rende illegittimo il provvedimento finale. La norma, peraltro, non si applica ad alcuni tipi di procedimento che imporrebbero un gran numero di simili comunicazioni, come quelli concorsuali e quelli in materia previdenziale e assistenziale.

5.5. Gli accordi tra amministrazioni e interessatiL'intervento nel procedimento può sfociare in un accordo tra l'amministrazione e gli interessati. L'art. 11 ne individua due tipi:

– l'accordo procedimentale (o integrativo o preliminare), che determina il contenuto discrezionale del procedimento;

– l'accordo sostitutivo, che sostituisce il provvedimento.

Il primo è un atto strumentale del procedimento, il secondo ne è l'atto conclusivo.

L'importanza della norma dipende essenzialmente dalla previsione degli accordi sostitutivi. Quelli procedimentali, infatti, potrebbero essere conclusi anche in sua assenza: nulla, comunque, impedirebbe alle amministrazioni di concludere accordi informali con i privati, prima di emanare il provvedimento. La possibilità di sostituire il provvedimento con un accordo (e, quindi, di non esercitare il potere amministrativo attribuito dalla relativa norma, ma un potere di tipo diverso), invece, richiede una previsione normativa. Questa previsione, modificata nel 2005, è ora molto ampia e consente, in astratto, di concludere qualsiasi procedimento (tranne quelli indicati dall'art. 136) con un accordo: non solo procedimenti (come quelli di concessione) che riflettono un incontro tra la volontà dell'amministrazione e quella del privato, ma anche procedimenti (come quelli sanzionatori) che riflettono la prevalenza della prima sulla seconda.

La distinzione tra provvedimento e accordo (e tra i due tipi di accordo), peraltro, è sfumata dallo stesso art. 11, che richiede che la stipulazione dell'accordo sia preceduta da una “determinazione dell'organo che sarebbe competente per l'adozione del provvedimento” (c. 4 bis). Questa determinazione, richiesta “a garanzia dell'imparzialità e del buon andamento dell'azione amministrativa”, in effetti, non è altro che un provvedimento.

L'importanza dell'articolo è dovuta anche al fatto che esso indica la disciplina applicabile agli accordi: in particolare, a essi si applicano “i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili”. Ciò è molto importante, anche se la norma impone un delicato giudizio di compatibilità delle norme del codice civile con la peculiarità degli accordi.

In un caso, il problema della compatibilità è risolto dalla legge stessa: si tratta del recesso unilaterale, che è consentito all'amministrazione “per sopravvenuti motivi di pubblico interesse”. In questo caso al privato è dovuto un indennizzo per l'eventuale pregiudizio subito (per le spese sostenute, mentre l'inadempimento nel contratto obbliga al risarcimento, che è più dell'indennizzo).

6 Art. 13.Ambito di applicazione delle norme sulla partecipazione1. Le disposizioni contenute nel presente capo non si applicano nei confronti dell'attività dellapubblica amministrazione diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, dipianificazione e di programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolanola formazione.2. Dette disposizioni non si applicano altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimentiferme le particolari norme che li regolano, nonché ai procedimenti previsti dal decreto-legge 15gennaio 1991, n. 8, convertito con modificazioni, dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, e successivemodificazioni, dal decreto legislativo 29 marzo 1991, n. 119, e successive modificazioni.

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6. La conclusione del procedimentoIl procedimento è volto all'emanazione di un atto conclusivo, la cui natura è variabile: può essere una dichiarazione di volontà, soggetta al regime del provvedimento amministrativo, che sarà esaminato nel capitolo successivo; ma, come si vedrà alla fine di questo, può essere anche una dichiarazione di scienza, un atto strumentale o privo di rilevanza esterna, un accordo.

L'atto in questione può essere imputabile a un solo soggetto o essere riconducibile a una pluralità di persone, di uffici o di amministrazioni.

6.1. La deliberazione collegialeSe l'atto finale del procedimento è di un organo collegiale, la sua emanazione richiede un procedimento ad hoc, volto alla formazione della volontà o dell'avviso dell'organo stesso. Lo stesso procedimento si applica ovviamente, quando l'atto dell'ufficio collegiale non è quello conclusivo del procedimento ma un atto strumentale.

Organi e atti collegiale si hanno, ovviamente, anche in altri settori del diritto: per esempio, nel diritto costituzionale e in quello societario. Tuttavia, occorre trattarne brevemente, sia perché molti organi e provvedimenti amministrativi hanno natura collegiale, sia perché la giurisprudenza amministrativa ha elaborato una serie di regole sul relativo procedimento, che si aggiungono a quelle poste dalle norme di settore.

Il potere di convocazione spetta al presidente del collegio, che però è obbligato a convocarlo entro un termine congruo se lo richiede la maggioranza dei componenti; l'avviso di convocazione deve essere comunicato entro un termine congruo; esso deve contenere l'ordine del giorno, cioè l'elenco degli argomenti da trattare, a meno che questo sia stabilito dalle norme (come nelle commissioni di concorso); il collegio può deliberare su oggetti non indicati nell'ordine del giorno solo se tutti i componenti, presenti, siano d'accordo.

I collegi reali (o perfetti) possono riunirsi e deliberare solo se siano presenti tutti i i componenti, ma i membri titolari possono essere sostituiti dai supplenti, ove questi vi siano. Per i collegi virtuali (o imperfetti) deve essere presente la maggioranza dei membri in carica (quorum strutturale).

Lo svolgimento dell'adunanza è diretto dal presidente. Le adunanze sono di regole riservate, eccezionalmente pubbliche.

La deliberazione viene adottata attraverso un procedimento di votazione: essa deve ottenere il voto favorevole della maggioranza dei presenti, tra i quali vanno computati anche gli astenuti e le schede bianche (quorum funzionale). Le modalità di espressione del voto sono decise dal collegio, ma il voto deve essere segreto per le deliberazioni che riguardano persone.

Il risultato della votazione viene proclamato dal presidente, ma la deliberazione deve essere verbalizzata, altrimenti è considerata inesistente.

6.2. gli atti strutturalmente complessiPiuttosto che la volontà di un unico organo collegiale, il provvedimento può esprimere quella di più organi: ciò avviene quando la legge stabilisce che esso sia emanato da più organi congiuntamente (come i decreti interministeriali), da un organo su proposta di un altro organo o amministrazione (per esempio, dal ministro dell'economia e delle finanze su proposta della Banca d'Italia), di concerto o d'intesa con un altro organo o amministrazione (per esempio, da un ministro d'intesa con le regioni interessate), ovvero sia soggetto all'approvazione di un altro organo o amministrazione (per esempio, un atto del comune che debba essere approvato dalla regione), quando sia richiesto un

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nulla osta (per esempio, un'autorizzazione che no possa essere accordata senza il nulla-osa della soprintendenza per il patrimonio storico e artistico) o, ancora, in presenza di pareri vincolanti. Si parla, in queste ipotesi, di decisione pluristrutturata e di atto complesso.

6.3. Gli accordi tra amministrazioniIl procedimento può dare luogo alla conclusione di un accordo, che può anche essere l'atto finale del procedimento. ciò avviene non solo nel caso di accordo sostitutivo con gli interessati, ma anche in numerose ipotesi di accordo tra amministrazioni.

Le pubbliche amministrazioni hanno sempre concluso accordi tra loro. Ormai è frequente che a questi accordi partecipino anche soggetti privati. Nell'ultimo quindicennio sono state emanate diverse norme che dettano discipline più o meno generali per questi accordi. tra le più importanti, l'art. 34, d. lg. 267/2000, che prevede gli accordi di programma volti a realizzare opere e interventi che richiedano la partecipazione di amministrazioni appartenenti a diverso livello di governo.

La disposizione di portata più generale è quella dell'art. 15. l. n. 241/1990, che consente alle pubbliche amministrazioni di concludere accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune. Essa inoltre rinvia al codice civile per disciplinare tali accordi.

Nella pratica, queste norme hanno un'applicazione estremamente ampia e variegata e le varie previsioni normative vengono spesso applicate congiuntamente, elaborando nuove figure di accordo. Gli accordi, quindi, sono strumenti di negoziazione più che di semplificazione.

6.4. La conferenza di serviziIl contenuto dell'atto conclusivo del procedimento è il frutto dell'attività di acquisizione dei fatti rilevanti e degli interessi coinvolti. Le diverse fasi possono essere concentrate in un'unica fase nella quale i diversi interessi pubblici siano oggetto di valutazione contestuale, da parte dei rappresentanti delle relative amministrazioni, appositamente riuniti.

È la conferenza di servizi, che semplifica il procedimento accelerandolo e favorendo il coordinamento tra le amministrazioni e il confronto tra gli interessi coinvolti. L'art. 14, l. n. 241/1990 contiene, nei primi due commi, le due previsioni fondamentali, alle quali corrispondono due tipi di conferenza di servizi;

– quella istruttoria;

– quella decisoria.

La conferenza di servizi istruttoria viene convocata dall'amministrazione procedente, titolare del potere amministrativo, quando “sia opportuno effettuare un esame contestuale di vari interessi pubblici coinvolti”. La valutazione di questa opportunità, naturalmente, spetta all'amministrazione stessa (in particolare, al responsabile del procedimento.

L'amministrazione procedente rimane titolare del potere di provvedere: essa non è tenuta a recepire nel provvedimento le soluzioni emerse in sede di conferenza, salvo ovviamente l'obbligo di motivare la propria decisione.

La conferenza di servizi decisoria è indetta quando “l'amministrazione procedente deve acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati da altre amministrazioni pubbliche e non li ottenga” entro un breve termine. Può essere indetta altresì in presenza di esplicito dissenso di una delle amministrazioni interpellate. “Il provvedimento finale conforme alla determinazione conclusiva della conferenza di servizi sostituisce, a tutti gli effetti, ogni autorizzazione, concessione, nulla osta o atto di assenso comunque denominato di competenza delle amministrazioni

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partecipanti”. Un amministrazione può bloccare il procedimento stesso, astenendosi dall'accordare il proprio assenso. L'esigenza di accelerazione e coordinamento, quindi, è particolarmente forte, ma l'applicazione dell'istituto non ha consentito di raggiungere pienamente questi risultati.

Queste modifiche sono state volte a risolvere la tensione tra le esigenze ora indicate e quelle di tutelare i singoli interessi pubblici, che indurrebbero a mantenere intatti i poteri delle varie amministrazioni coinvolte. La soluzione adottata dal legislatore nel 2005 è di rimetter la decisione all'amministrazione procedente, che all'esito dei lavori dalle conferenza adotta una “determinazione motivata di conclusione del procedimento”, valutando le risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in essa.

La decisione dell'amministrazione procedente, ovviamente, può comportare il sacrificio di singoli interessi, di cui siano titolari le amministrazioni che rimangano in minoranza nella conferenza: solo a tutela di determinati interessi (relativi all'ambiente, al paesaggio, al patrimonio storico artistico e alla salute) è previsto un rimedio, consistente nella rimessione della decisione all'autorità politica (art. 14-quater, c. 3). Questa possibilità è però problematica quando l'amministrazione dissenziente appartenga a un livello di governo diverso da quella procedente (per esempio, una regione e un'amministrazione statale), in quanto il ricorso a questo meccanismo potrebbe alterare il riparto delle funzioni amministrative, definito a livello costituzionale. È per questo che ulteriori norme prevedono meccanismi di decisione basati su forme di coordinamento, come la rimessione della decisione alla Conferenza Stato-regioni o alla conferenza unificata (art. 14-quater, c. 3-ter. ss).

6.5. L'”integrazione dell'efficacia”Naturalmente, il procedimento non si conclude con l'emanazione dell'atto principale: sono necessari adempimenti ulteriori, come il controllo dell'atto, la sua comunicazione, il pagamento di un tributo, la produzione di un documento, la prestazione di un giuramento: Si parla di fase integrativa dell'efficacia, soprattutto con riferimento ai controlli preventivi di legittimità, che sono condizione di efficacia del provvedimento.

7. TipologiaI procedimenti amministrativi possono essere classificati in vari modi: per materie o funzioni, per amministrazioni procedenti, per parti o destinatari, per grado di complessità e in altri modi ancora. Nessuna classificazione è esaustiva.

7.1. Tipologia dei procedimenti e dei provvedimentiLa classificazione più diffusa è quella basata sulla funzione o sugli effetti del provvedimento finale: procedimenti autorizzatori, concessori, ablatori e così via. Indubbiamente, ai diversi tipi di provvedimento possono corrispondere diverse strutture procedimentali.

Tuttavia, la distinzione rimane basata su caratteri dei provvedimenti e non dei procedimenti, quindi è utile per classificare i primi più che i secondi. Inoltre, essa lascia in ombra i procedimenti che non danno luogo a provvedimenti, ma a contratti, ad atti interni, a operazioni materiali o contabili. Di conseguenza, essa sarà utilizzata nel capitolo successivo, per esaminare i principali tipi di provvedimento: gli atti precettivi, quelli ablatori, le autorizzazioni, le concessioni, le sanzioni amministrative, i provvedimenti di secondo grado.

Nelle pagine che seguono, invece, si utilizzano altre distinzioni e ci si concentra sui procedimenti che non danno luogo a provvedimenti, ma ad atti strumentali, ad atti dichiarativi o ad accordi. Si

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esaminano, inoltre, i procedimenti che si svolgono in parte presso le amministrazioni nazionali, in parte presso quelle comunitarie.

7.2. I procedimenti strumentaliSi è osservato all'inizio del capitolo che tutta l'attività amministrativa è procedimentalizzata, sia quella finale sia quella strumentale: ai procedimenti finali, attraverso i quali si svolgono le funzioni amministrative, si affiancano dunque i procedimenti strumentali, relativi al funzionamento interno dell'amministrazione. Anche alcuni procedimenti strumentali, peraltro, possono sfociare in un provvedimento amministrativo, come l'emanazione di uno statuto, l'approvazione della graduatoria di un concorso, la delibera di scioglimento di un organo collegiale e l'annullamento di un atto da parte dell'organo di controllo.

La natura strumentale di questi procedimenti non fa venir meno la loro importanza pratica né il loro rilievo giuridico.

Essi sono spesso standardizzati, nel senso che possono svolgersi in modo analogo nelle diverse amministrazioni, dato che essi soddisfano esigenze che si pongono in termini analoghi in ciascuna di esse.

I procedimenti strumentali hanno a soggetto l'organizzazione amministrativa, il personale o la finanza.

Attraverso i procedimenti organizzativi viene esercitata la potestà organizzativa dell'amministrazione, cioè quella parte di potestà organizzativa che non è sottratta all'amministrazione in base alla riserva di legge posta dall'art. 97 cost.: essi servono all'articolazione degli uffici, alla definizione dei rapporti tra essi, alla disciplina del loro funzionamento e così via. Rientrano tra quelli organizzativi anche i procedimenti di controllo, in quanto volti a verificare la funzionalità degli uffici.

I procedimenti di amministrazione del personale sono volti all'emanazione degli atti relativi al rapporto tra l'amministrazione e i dipendenti: assunzioni, promozioni, trasferimenti, irrogazione di sanzioni disciplinari, dimissioni e così via.

Attraverso i procedimenti finanziari le amministrazioni spendono il loro denaro: per pagare i propri fornitori, i propri dipendenti, i titolari di borse di studio, i pensionati, i destinatari di sovvenzioni e così via. C'è sempre, da un lato, il procedimento di approvazione del bilancio, che comporta lo stanziamento dei relativi fondi (quindi, per le amministrazioni statali, un provvedimento legislativo); dall'altro, un procedimento amministrativo attraverso il quale l'impegno di spesa viene assunto o il debito accertato.

7.3. I procedimenti dichiarativiSi distingue a volte tra procedimenti costitutivi e dichiarativi: i primi sono volti alla modificazione della realtà giuridica, quindi danno luogo a dichiarazioni di volontà; i secondi sono volti al suo accertamento, quindi danno luogo a dichiarazioni di scienza. I procedimenti dichiarativi, invece, si concludono di regola con atti non soggetti, se non in parte, al regime del provvedimento: iscrizioni, certificati, verbali, relazioni, notificazioni, avvisi, e simili.

Questi procedimenti servono alla produzione di certezze giuridiche in ordine a fatti giuridicamente rilevanti. Per esempio, ai portatori di handicap fisico sono riservati determinati parcheggi, ma per poterne fruire non è sufficiente avere un handicap, è necessario che questo sia accertato dall'autorità amministrativa. Alla base degli atti dichiarativi vi sono, quindi, una situazione di fatto e il suo accertamento o la sua comunicazione.

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Nell'ultimo quindicennio, i procedimenti in questione sono stati oggetto di una massiccia semplificazione, avviata dalle disposizioni dell'art. 18, l. n. 241/1990 relative all'autocertificazione e alla presentazione di atti e documenti alle amministrazioni da parte dei cittadini. L'istituto dell'autocertificazione, in realtà, risale al 1968. Il quadro è stato completato da previsioni successive al 1990, ora codificate nel d.P.R. n. 445/2000. Questa disciplina consente l'eliminazione di adempimenti come la richiesta di certificati, la produzione di copie di documenti e l'autenticazione di copie e firme.

7.4. Procedimenti e accordiAlcuni procedimenti sono volti all'emanazione di provvedimenti amministrativi, quindi di atti unilaterali. Altri, a volte definiti procedimenti di concertazione, sono volti alla conclusione di numerosi tipi di accordi: contratti di appalto o fornitura, contratti collettivi per la disciplina dei rapporti di lavoro dei dipendenti pubblici, accordi di programma, patti territoriali e contratti d'area per lo sviluppo locale, convenzioni tra università e ospedali, accordi tra comuni per la gestione congiunta di servizi pubblici, convenzioni tra concedente e concessionario di un servizio pubblico e così via. In qualche caso, provvedimento e accordo coesistono, come nelle ipotesi di conferenza di servizi decisoria e di accordo procedimentale.

7.5. Procedimenti nazionali, procedimenti comunitari, procedimenti compostiOccorre ora esaminare i rapporti tra l'attività delle amministrazioni nazionali e quella delle istituzioni europee. Infatti, da una lato, i procedimenti amministrativi nazionali servono spesso all'attuazione delle decisioni comunitarie, secondo il modello dell'esecuzione indiretta. dall'altro, essi sono variamente collegati a procedimenti comunitari o si fondono con essi per formare procedimenti composti, che si svolgono in parte presso amministrazioni nazionali (anche Stati diversi), in parte presso amministrazioni comunitarie.

I modelli di raccordo sono i più vari. In certi procedimenti di finanziamento alle imprese, si ha un'istruttoria nazionale e una decisione comunitaria: in quelli per il riconoscimento delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine, l'istruttoria è sia nazionale sia comunitaria; in materia di immissione in commercio di organismi geneticamente modificati, la decisione può essere nazionale o comunitaria; in materia di concorrenza, l'avvio del procedimento comunitario determina l'interruzione di quello nazionale, ma la Commissione europea può chiedere la collaborazione delle autorità nazionali; e così via. Il procedimento può avere un andamento ascendente (trasmissione della domanda dall'amministrazione nazionale a quella comunitaria), discendente 8definizione degli obiettivi o dei criteri a livello comunitario e loro attuazione a livello nazionale) o misto.

I procedimenti composti pongono inoltre un problema di individuazione del giudice competente per l'impugnazione delle decisioni: spesso, infatti, non è facile individuare l'atto lesivo delle situazioni giuridiche degli interessati e quindi il giudice competente.

Gli stessi problemi si pongono sempre più spesso, con complicazioni ulteriori, nei rapporti tra le amministrazioni nazionali e quelle internazionali.

Il provvedimento

1. Nozione e caratteriIl provvedimento amministrativo è l'atto con il quale, a conclusione di un procedimento, viene

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esercitato il potere amministrativo. Esso è tradizionalmente considerato l'atto tipico di esplicazione delle funzioni amministrative.

1.1. Natura della nozioneNell'ordinamento italiano come nella maggior parte degli altri ordinamenti (soprattutto dell'Europa continentale), alla nozione si attribuisce la stessa importanza che, in altri rami del diritto, si attribuisce a nozioni come quelle di legge, sentenza e contratto. A differenza di questi tipi di atto giuridico, peraltro, il provvedimento amministrativo, nell'ordinamento italiano, non è né definito né individuato con precisione dalla legge.

La definizione di contratto serve a determinare l'ambito di applicazione della relativa disciplina codicistica. La facile individuazione delle leggi e delle sentenze dipende dal fatto che i relativi procedimenti di formazione e regimi giuridici sono compiutamente disciplinati dalle norme. Per il provvedimento, invece, non vi è una definizione.

Ciò è vero anche dopo che la legge n. 15 del 2005 ha introdotto nella legge 241 una disciplina organica, anche se incompleta, del provvedimento, che costituisce in gran parte il recepimento di principi da tempo affermati dalla giurisprudenza. Difatti manca ancora una definizione di provvedimento amministrativo: questa nozione continua a essere presupposta, piuttosto che posta, dal legislatore; individuarrne i caratteri e i confini continua a essere compito dell'interprete. Mentre in precedenza le orme scritte erano poche e frammentarie, e prevalevano i principi giurisprudenziali, alla giurisprudenza spetta ormai il compito di colmare i vuoti lasciati dalle norme.

Il regime giuridico dei provvedimenti amministrativi, di conseguenza, continua a risultare da una serie di regole, ciascuna delle quali può applicarsi a un diverso insieme di atti. Per esempio, alcuni atti non provengono da autorità amministrative, ma sono impugnabili dinanzi a la giudice amministrativo (per esempio, certi atti di concessionari di opere pubbliche e di servizi pubblici); altri provengono da autorità amministrative, ma non sono impugnabili dinanzi a questo giudice 8così molte sanzioni amministrative); altri ancora sono soggetti alla disciplina legislativa del procedimento o a controlli amministrativi, ma sono sottratti all'obbligo di motivazione (rispettivamente, gli atti generali, come i bandi e i piani urbanistici, e i regolamenti amministrativi); altri, poi, possono essere annullati d'uffici o dall'amministrazione emanante, ma non revocati da essa (il permesso di costruire); e così via.

Gli atti di esercizio dei poteri amministrativi sono normalmente soggetti a questo regime, a meno che le norme non dispongano diversamente: ma questa soggezione dipende non dalla loro qualificazione come provvedimenti amministrativi, ma semplicemente dal fatto che le singole regole, legislative o giurisprudenziali, che compongono quel regime, sono applicabili a essi.

Si può soltanto, preso atto del suo carattere impreciso, individuare i caratteri normali o più frequenti dei provvedimenti. È arbitrario, invece, definire il provvedimento sulla base di caratteri generici (come la tipicità), ingannevoli (come l'imperatività) o eventuali (come la discrezionalità).

1.2. Potere amministrativo, procedimento, provvedimento, processoVi sono due caratteri in assenza dei quali parlare di provvedimento amministrativo ha poco senso:

– l'emanazione a seguito di un procedimento;

– l'impugnabilità dinanzi a un giudice, di solito quello amministrativo.

Ciò dipende sia da n dato storico, sia da un dato normativo. Storicamente, si può osservare che la nozione è nata da due esigenze:

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– la prima, che si è posta fin da quando esiste il giudice amministrativo, è quella di individuare gli atti impugnabili dinanzi a a esso, distinguendoli da quelli non impugnabili in quanto strumentali o preparatori e, quindi, non idonei a ledere “un interesse di cittadini o enti morali giuridici” (art. 26, r.d. n. 1054/1924).

– La seconda, che si è posta soprattutto con l'introduzione della l. n. 241/1990, è quella di individuare l'atto conclusivo del procedimento e, quindi, i procedimenti ai quali applicare la disciplina in essa contenuta.

Per quanto riguarda il dato normativo, le uniche norme generali che utilizzano questa nozione sono quelle della l. n. 241/1990 (la quale, fino al 2005, conteneva quasi esclusivamente norme sul procedimento, e non sul provvedimento) e quelle relative alla giustizia amministrativa (in particolare, l'art. 113 cost., il r.d. appena citato e la l. n. 1034/1971). Più precisamente, la prima parla di “provvedimento amministrativo”, le seconde di “atto amministrativo”. Anche la giurisprudenza utilizza per lo più le due espressioni in modo equivalente. La scienza giuridica, invece, spesso distingue le due nozioni, chiamando atti amministrativi quelli strumentali.

Questa combinazione di norme è significativa, perché suggerisce che ogni potere amministrativo – cioè ogni potere, conferito dalle norme a una pubblica amministrazione, di curare un interesse pubblico emanando un atto produttivo di effetti giuridici anche nei confronti di altri soggetti – deve essere esercitato di regola attraverso un procedimento, oggetto alla disciplina legislativa, che deve concludersi con un provvedimento impugnabile dinanzi al giudice amministrativo.

La combinazione dei due caratteri indicati non consente di definire o delimitare con precisione la nozione di provvedimento, perché i due caratteri spesso non sono compresenti; in secondo luogo, perché ciascuno di essi è a sua volta incerto.

È sufficiente osservare che vi sono atti impugnabili dinanzi a al giudice amministrativo pur non essendo stati emanati a seguito di un procedimento (come certi atti dei concessionari di opere pubbliche e di servizi pubblici) e atti emanati a seguito di un procedimento ma non impugnabili dinanzi ad alcun giudice come molti atti dichiarativi, strumentali e organizzativi).

Dal secondo punto di vista, da un lato, come si è visto nel capitolo precedente, la nozione di procedimento è a sua volta imprecisa. Dall'altro, come pure si è visto, la distinzione tra provvedimenti e atti strumentali è incerta e la giurisprudenza ammette spesso l'impugnabilità di atti endoprocedimentali che in concreto possano essere lesivi di interessi.

1.3. I caratteriIl provvedimento è un atto di esercizio di un potere: quindi è un atto unilaterale e tipico, che produce effetti giuridici anche nei confronti di soggetti diversi da quello che lo emana. In quest'ultimo carattere è spesso identificata la pretesa imperatività del provvedimento: nozione che, oltre a non distinguere il provvedimento da altri atti unilaterali, è ingannevole, perché suggerisce una prevalenza della volontà dell'amministrazione su quella del destinatario che spesso non esiste. L'art. 1, c. 1-bis, l. n. 241/1990, contemplando esplicitamente l'esistenza di provvedimenti non autoritativi, conferma che essa non è un carattere proprio del provvedimento.

È un atto di svolgimento di una funzione: da ciò dipendono caratteri come l'emanazione a seguito di un procedimento, la motivazione, la soggezione a controlli amministrativi e giurisdizionali, la sindacabilità per eccesso di potere.

È un atto impugnabile dinanzi a un giudice, di regola quello amministrativo: dalla struttura del processo amministrativo derivano altri caratteri, come l'immediata produzione di effetti (per cui l0invalidità del provvedimento dà luogo ad annullabilità e non a nullità) e l'inoppugnabilità in assenza di tempestiva impugnazione. Inoltre, poiché l'art. 113 cost. parla di “atti della pubblica amministrazione”, esso è emanato da una pubblica amministrazione. ma ciò pone un ulteriore

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problema di delimitazione.

Dalle norme in materia di giustizia amministrativa, poi, derivano ulteriori caratteri la ricorribilità in sede contenziosa (l'interessato può chiedere all'autorità amministrativa di ritirare o modificare il provvedimento, secondo procedimenti descritti dalle norme); l'annullabilità del provvedimento invalido da parte del giudice amministrativo, il divieto di annullamento a carico del giudice ordinario e la disapplicabilità da parte di questo giudice.

Le norme del nuovo capo IV-bis della legge 241, infine, codificano ulteriori caratteri, già affermati prima del 2005, come la soggezione del provvedimento alla revoca, alla sospensione e all'annullamento d'ufficio: quest'ultimo, come si vedrà trattando dei provvedimenti di secondo grado, è un privilegio della pubblica amministrazione, alla quale è consentito di far valere essa stessa l'invalidità dei propri atti.

2. Ambio della nozioneLa nozione di provvedimento è una nozione imprecisa: stabilire quali caratteri includere nella nozione è arbitrario e inutile.

2.1. Provvedimenti amministrativi e altri atti di pubblici poteriNon sono provvedimenti amministrativi gli atti di esercizio della funzione legislativa, di quella giurisdizionale e gli atti politici.

Sono soggetti al regime del provvedimento, invece, gli atti di alta amministrazione.

2.2. Provvedimenti amministrativi e atti privatiI provvedimenti amministrativi, essendo atti unilaterali, non comprendono gli accordi (sostitutivi) e i contratti della pubblica amministrazione, così come tutti gli atti di esercizio di poteri privati. Lo sono invece i singoli atti del procedimento contrattuale, gli atti che recepiscono il contenuto di accordi procedimentali e le determinazioni di concludere gli accordi e quelli che concludono i procedimenti a seguito di conferenze di servizi.

In alcuni casi vengono assimilati a provvedimenti amministrativi gli atti emanati da soggetti privati nell'espletamento di funzioni pubbliche.

2.3. Atti normativi e atti amministrativi generaliSia gli atti normativi che quelli amministrativi generali sono soggetti al regime giuridico del provvedimento. Da notare che i primi sottostanno alla disciplina legislativa stabilita dalla Costituzione. Ambedue hanno i caratteri tipici delle fonti del diritto e sono sottratti all'obbligo di motivazione.

Avendo carattere generale, e non rivolti a soggetti ben definiti, non sono autonomamente impugnabili ma è possibile farlo unitamente agli atti applicativi (ad esempio, il divieto insieme all'atto che irroga la sanzione).

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2.4. Altri tipi particolari di attoGli atti dichiarativi, essendo dichiarazioni di scienza, sono per lo più, sottratti al regime processuale del provvedimento amministrativo.

Molte sanzioni amministrative hanno una disciplina che accentua la garanzia del contraddittorio e sono impugnabili dinanzi a giudici diversi da quello amministrativo.

Gli atti di controllo della Corte dei conti non sono impugnabili davanti al giudice amministrativo.

Gli atti strumentali sono spesso provvedimenti.

Gli atti esternati oralmente, chiaramente, non sottostanno al regime del provvedimento, anche se possono essere considerati tali, e l'impugnabilità avviene verso l'eventuale sanzione in seguito alla mancata esecuzione dell'ordine.

Le operazioni non sono considerate provvedimenti ma atti di esecuzione di provvedimenti.

3. Profili strutturaliLa struttura di un provvedimento sono i requisiti che deve avere per poter essere considerato il provvedimento un atto di esercizio di un potere amministrativo.

3.1. Esistenza e requisiti del provvedimentoPer poter riconoscere un provvedimento amministrativo bisogna valutare alcuni requisiti. Una volta riconosciuto bisogna vedere se è valido: cioè se è conforme alla legge.

Le legge non aiuta a riconoscere un atto perché a differenze delle leggi, delle sentenze o dei contratti, non individua questi elementi essenziali. Questo compito spetta quindi all'interprete.

3.2. Il soggettoIl soggetto è la pubblica amministrazione che emana l'atto e, per atti strutturalmente complessi, possono essere più di uno.

L'attribuzione riguarda la materia per cui è competente una data amministrazione, mentre la competenza è il complesso di poteri (quota di attribuzione) riconosciuto al singolo ufficio.

3.3. I presuppostiI presupposti del provvedimento sono le circostanze di fatto e le situazioni giuridiche che ne consentono l'emanazione.

Può essere, ad esempio, la domanda dell'interessato o la commissione di un illecito, oppure può essere anche un atto della stessa o di un altra amministrazione. Quest'ultimo può essere un atto strumentale previsto dalle norme, o un atto autonomo, cosiddetto presupposto.

L'eventuale illegittimità si fa valere impugnando nel primo caso il provvedimento finale, nel secondo caso impugnando ambedue gli atti. Nel secondo caso vale di regola l'illegittimità derivata, eccezionalmente la sua inesistenza (caducazione).

Le norme prevedono anche l'emanazione di provvedimenti, cosiddetti necessitati, in presenza del

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presupposto dell'urgenza (come per i decreti legge per gli atti legislativi), dando ampia discrezionalità riguardo il contenuto. Ciò è permesso solo a determinate autorità (ministro, sindaco, prefetto) e la giurisprudenza può effettuare un controllo rigoroso di legittimità su questi atti.

3.4. La volontà e i motiviIl provvedimento è un atto volontario, la cui volontà si forma progressivamente, durante il procedimento. La forma normalmente scritta del provvedimento e la sua unilateralità difficilmente pongono il problema del vizio di volontà.

Hanno rilievo giuridico i motivi del provvedimento. Difatti è illegittimo se i suoi motivi non coincido con la tutela degli interessi pubblici e degli altri interessi da prendere in considerazione.

3.5. Il contenutoIl contenuto del provvedimento è riconducibile in parte alle previsioni normative, in parte alle valutazioni dell'amministrazione. L'assenza e l'indeterminabilità del contenuto è rilevante per vari aspetti: per l'identificazione del provvedimento e del potere con esso esercitato, che va operata sulla base del contenuto piuttosto che del nomen attribuito all'atto, per l'applicazione di norme che si riferiscano soltanto a determinati atti, per valutare la tempestività di un ricorso giurisdizionale , ecc.

Per quanto riguarda il contenuto si distinguono in particolare due categorie di provvedimenti:

– i provvedimenti negativi, che sono soggetti allo stesso regime giuridico del provvedimento positivo;

– le decisioni amministrative che sono emanate per dirimere n conflitto, tra l'amministrazione e l'interessa o tra diversi interessati. Hanno contenuto simile alle sentenze e comprendono, fra gli altri i provvedimenti emanati in seguito a ricorsi amministrativi, ricorsi interni, atti che decidono su opposizioni, ecc.

4. L'esternazionePerché l'atto esista, non basta che vi sia la volontà di emanarlo, ama è necessario che questa volontà venga manifestata.

4.1. L'esternazione scrittaLa forma scritta è quella normale, e in molti casi, è imposta dalle norme (quando sono previsti pareri o controlli sull'atto, quando sono previsti determinati elementi, tipo data, denominazione, ecc. o quando c'è l'obbligo di motivazione o comunicazione).

La struttura è normalmente copo

La giustizia

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1.3. I rimedi amministrativiColui che ritenga di aver subito la lesione di una situazione soggettiva qualificata (diritto soggettivo o interesse legittimo) può anche presentare ricorso amministrativo, ai sensi del d.P.R. 1199/1971.

I ricorsi amministrativi rientrano nella categoria dei procedimenti amministrativi di secondo grado. L'atto con il quale si conclude il ricorso amministrativo è tradizionalmente annoverato tra le decisioni amministrative, provvedimenti amministrativi aventi natura contenziosa ed effetti giustiziali. Essi vanno distinti nettamente dai ricorsi giurisdizionali, anche se nei procedimenti volti a decidere ricorsi amministrativi trovano applicazione talune regole che sono più assimilabili a quelle processuali che a q quelle amministrative (ad es. il principio dispositivo, per il quale l'autorità decidente non può introdurre d'ufficio motivi ulteriori rispetto a quelli dedotti nel ricorso).

Ricorso ordinario (entro 30 giorni) Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica (entro 120 giorni all'autorità che ha adottato l'atto o al Ministero competente)

Gerarchico Generale e rinnovatorio

Esperibile anche per ragioni di merito (valutazione dell'opportunità e della convenienza dell'azione) oltre che di legittimità.Unico grado ma può essere seguito da ricorso straordinario o ricorso giurisdizionale.L'autorità decidente provvede a integrare il contraddittorio all'organo che ha emanato il provvedimento e ai controinteressati.

Generale ed eliminatorio

Solo contro provvedimenti definitivi (cioè provvedimenti per i quali il ricorso ordinario sia stato già esperito o non possa esserlo).Solo in alternativa al ricorso giurisdizionale. Oltre che per motivi di legittimità, possono essere impugnati anche atti di diritto privato della pubblica amministrazione. Deve essere presentato ad almeno un controinteressato. È obbligatorio il parere del Consiglio di Stato.

Gerarchico improprio

Tassativo, eliminatorio e raramente rinnovatorio

In opposizione

Generale e rinnovatorio