Appunti di diritto industriale - Anno accademico 2010-2011

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SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI Appunti di Diritto Industriale Anno Accademico 2010– 2011 Avv. Gualtiero Dragotti [email protected] - i -

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SCIENZE MATEMATICHE, FISICHE E NATURALI

Appunti di Diritto Industriale

Anno Accademico 2010– 2011

Avv. Gualtiero Dragotti

[email protected]

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Note introduttiveGli appunti che seguono, organizzati in forma di lezioni, riassumono gli argomenti trattati nel corso

Ciascuna lezione termina con alcuni riferimenti bibliografici, necessari per approfondire i temi di volta in volta trattati, e con l’eventuale indicazione di materiali didattici distribuiti a lezione ovvero reperibili da parte degli studenti.

Per il superamento dell’esame è sufficiente la frequenza del corso e lo studio delle dispense e dei materiali che verranno illustrati a lezione.

Gli studenti che non potessero frequentare le lezioni dovranno completare la preparazione consultando un manuale istituzionale.

In proposito si segnalano i seguenti testi:

-VANZETTI – DI CATALDO, Manuale di diritto Industriale, Ed. Giuffrè, Milano 2009, con particolare riferimento al capitolo sulle invenzioni industriali.

-FLORIDIA, Le creazioni intellettuali a contenuto tecnologico, in, AA. VV., Diritto Industriale, Proprietà intellettuale e concorrenza, Ed. Giappichelli Torino 2009.

E’ inoltre richiesta la consultazione del Codice della Proprietà Industriale (D. Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, in G.U. Suppl. Ord. n. 52 del 4 marzo 2005) così come modificato dal D.Lgs. 16 marzo 2006 n. 140 e dal D. Lgs. 13 agosto 2010 n. 131, nonché delle altre norme in materia di proprietà industriale.

Informazioni sul diritto di autore

Tu sei libero:- di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rappresentare, eseguire e recitare quest'opera - di modificare quest'opera Alle seguenti condizioni:- Attribuzione. Devi attribuire la paternità dell'opera nei modi indicati dall'autore o da chi ti ha dato l'opera in licenza e in modo tale da non suggerire che essi avallino te o il modo in cui tu usi l'opera. - Condividi allo stesso modo. Se alteri o trasformi quest'opera, o se la usi per crearne un'altra, puoi distribuire l'opera risultante solo con una licenza identica o equivalente a questa. E' possibile rinunciare a qualunque delle condizioni sopra descritte se ottieni l'autorizzazione dal detentore dei diritti.Pubblico Dominio — Nel caso in cui l'opera o qualunque delle sue componenti siano nel pubblico dominio secondo la legge vigente, tale condizione non è in alcun modo modificata dalla licenza.Altri Diritti — La licenza non ha effetto in nessun modo sui seguenti diritti: Le eccezioni, libere utilizzazioni e le altre utilizzazioni consentite dalla legge sul diritto d'autore; I diritti morali dell'autore; i diritti che altre persone possono avere sia sull'opera stessa che su come l'opera viene utilizzata, come il diritto all'immagine o alla tutela dei dati personali.Nota — Ogni volta che usi o distribuisci quest'opera, devi farlo secondo i termini di questa licenza, che va comunicata con chiarezza.

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Programma del Corso

Introduzione al diritto industrialeNozione ed oggetto del diritto industrialeI fondamenti giuridici ed economici del sistema delle privativeCenni alle diverse privative: brevetti, modelli, marchiBrevetto e sfruttamento dell’invenzione in regime di segretoInvenzioni di prodotto, di procedimento e d’usoInvenzioni e scoperte

Riferimenti normativiLegislazione nazionale

Il codice della Proprietà Industriale e le norme successiveLegislazione internazionaleLegislazione Europea e ComunitariaRapporti tra i diversi sistemi normativiLa natura sovranazionale del diritto dei brevetti

I requisiti di validità del brevettole invenzioni non brevettabili

scopertesoftwaremetodi commercialinovità vegetali e razze animalimetodi terapeutici

IndustrialitàLiceitàNovitàAltezza inventiva

Procedura di deposito nazionaleDifferenza tra sistema con esame e senza esameGli allegati alla domanda di brevetto

titoloriassuntodescrizionedisegnirivendicazioni

Il procedimento di brevettazioneDepositoRicercaEsameModifiche della domandaConcessioneProcedura di ricorso

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Procedura di deposito CBELa struttura dell’Ufficio Europeo dei Brevetti

Il problema linguisticoIl procedimento di brevettazioneEfficacia del brevetto europeo in ItaliaCenni alla procedura PCT

Nullità e decadenza del brevettoTassatività delle cause di nullità

carenza dei requisitiinsufficienza della descrizioneestensione oltre il contenuto della domanda inizialebrevettazione del non avente diritto

Conversione del brevetto nulloLa decadenzaOnere di attuazione e licenza obbligatoriaL’azione di nullità e decadenza

Profili soggettiviLa brevettazione del non avente diritto

rimediLe invenzioni del dipendente

invenzione di servizio invenzione d’aziendainvenzione occasionalele invenzioni in ambito universitario

Determinazione dell’equo premio

L’ambito dell'esclusivaDescrizione e rivendicazioniBrevetto di prodotto e brevetto di procedimentoGli usi leciti dell'invenzione brevettata

uso personaleuso sperimentaleeccezione galenica

L'esaurimento del brevetto

La circolazione del brevettoCessioneLicenzaLicenza negoziale e licenza obbligatoria

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La difesa del brevettoLa contraffazione

letteraleparzialeindirettaper equivalenti

La domanda di contraffazionepresunzionicompetenza (forum shopping)rimedi

Il risarcimento del danno

La tutela cautelare del brevettoprocedimentodescrizionesequestroinibitoria

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LEZIONE I

Diritto Industriale - NozioneTradizionalmente con il termine “diritto industriale” si rinvia alla disciplina che ha per oggetto lo studio del diritto dei brevetti (per invenzione e per modello), dei marchi e della concorrenza, fino alla normativa antitrust.

Detti istituti sono ricompresi nell’alveo del più generale diritto della “proprietà intellettuale” (o immateriale), che comprende anche lo studio del diritto d’autore.

La classificazione che precede ha evidentemente natura accademica ed i termini proprietà industriale e proprietà intellettuale possono essere considerati per certi versi equivalenti.

Non è tuttavia privo di interesse soffermarsi sulla linea che separa i due settori, per quanto labile, giacché i recenti sviluppi della materia impongono di ripensare il confine tra diritto industriale (che la tradizione vuole collegato alla regolamentazione di beni immateriali utilizzati nella produzione industriale) e diritto della proprietà intellettuale, sino a qualche tempo fa distante, per sua natura, da tale mondo e, almeno nell’esperienza giuridica dei paesi di civil law, maggiormente orientato verso la tutela di diritti su beni immateriali non immediatamente rilevanti per il sistema produttivo industriale.

Tra i fattori che hanno portato ad una più pronunciata sovrapposizione tra i due “campi” ora ricordati è possibile citare, senza pretese di completezza:

a) La tutela del software, creazione questa senz’altro rilevante sotto il profilo industriale (il software viene infatti incluso tra le cd. “creazioni utili”) ma ricondotta, quanto meno in prima approssimazione, alla categoria del diritto d’autore;

b) Le nuove regole in materia di tutela delle creazioni ornamentali e del design, sino a qualche tempo fa ricondotte alla tipologia della tutela brevettuale ed oggi più vicine a modalità di tutela tipiche del diritto d’autore (tra cui l’assenza di formalità di registrazione per accedere ad un minimum di protezione), per altro ritenuto applicabile anche alle creazioni di questo tipo.

c) La tutela delle invenzioni biotecnologiche, per le quali si riconosce implicitamente la possibilità di brevettare quelle che a tutti gli effetti sono strutture informative, con la conseguente necessità di ripensare i requisiti di brevettabilità delle invenzioni, e forse la loro stessa definizione.

La nascita dei diritti di privativaDa sempre la funzione del diritto industriale, ed in particolare del diritto dei brevetti, viene avvicinata al progresso tecnico, quale fattore propulsivo del medesimo.

Il progresso tecnico opera verosimilmente da tempo immemorabile; non così il diritto industriale, la cui nascita è più recente e può situarsi nel momento in cui la produzione cessa di essere affidata alle “arti e mestieri” e si avvicina alla scienza.

Non è un caso che i primi scienziati (Leonardo da Vinci, Galileo Galilei) fossero anche inventori, la cui opera trovava un riconoscimento nel cd. sistema dei “privilegi”, che

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l’autorità sovrana concedeva a coloro che avessero messo a punto trovati ritenuti meritevoli di ricompensa.

Diversa è tuttavia la struttura del privilegio rispetto a quella del brevetto; il primo viene concesso dal sovrano e di regola ha per oggetto lo svolgimento, in regime di esclusiva, di una certa attività industriale e/o commerciale. Manca un collegamento stretto tra oggetto del privilegio e invenzione realizzata, così come non sussiste un diritto dell’inventore al privilegio, soggetto al beneplacito del sovrano.

Il passaggio dal sistema dei privilegi a quello dei brevetti viene di regola situato nel 1474, con l’emanazione della c.d. “parte veneziana”, considerata la prima legge generale in materia di invenzioni industriali.

Promulgata dalla Repubblica Veneta il 19 marzo 1474, la “parte” prevede che

“chadaun che fara in questa cita algun nuovo et ingegnoso artificio, non facto perauanti nel dominio nostro, reducto chel sara a perfection, sicchè il se possi usar et exercitar, sia tegnido a darlo in nota al officio di nostri Prouededori de Comun. Siano prohibido a chadaun altro in alguna terra et luogo nostro, far alcun altro artificio, ad Immagine et similitudine di quello, senza consentimento et licentia del auctor, fino ad anni X”.

La norma sopra citata contiene in nuce elementi del diritto brevettuale giunti sino a noi:

a) La concessione del diritto non dipende dall’arbitrio del sovrano ma discende, in via generale, dalla creazione intellettuale;

b) Sono previste formalità per la concessione del diritto, che comportano la comunicazione al pubblico dell’invenzione;

c) Perché il diritto possa sorgere l’invenzione deve essere “ridotta a perfezione”, ossia compiuta ed utilizzabile.

d) L’inventore ottiene un diritto esclusivo sulla sua creazione, di durata limitata nel tempo.

I diritti esclusivi previsti dalla parte veneziana, e altrove da successive previsioni legislative, non hanno comportato, ovviamente, la soppressione del sistema dei privilegi, che per qualche tempo si sono affiancati alle privative concesse da leggi generali.

L’assetto del mercato così conformato, che prevedeva come regola l’esistenza di monopoli e regimi di concessione ed autorizzazione, non è sopravvissuto alla introduzione del libero mercato.

Quando nel 1623 nel Regno Unito è stato introdotto lo “statute of monopolies”, legge che ha eliminato gran parte dei privilegi monopolistici previsti da normative precedenti, la previsione di esclusive brevettuali è stata mantenuta, riconoscendo loro la funzione di stimolo del progresso tecnico.

A conferma di ciò la Costituzione degli Stati Uniti d’America (1789) prevede esplicitamente la sussistenza di un sistema di diritti esclusivi: “to promote the progress of science and useful arts by securing for limited times to authors and inventors the exclusive rights to their respective writings and discoveries”.

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La norma trova attuazione nel successivo Patent Act del 1790, che rientra già tra le leggi brevettuali “moderne”, così come la legge brevetti francese del 1791.

Per l’Italia il primo testo brevettuale è la Legge Sarda del 12 marzo 1855 n. 782, estesa al Regno d’Italia (L. 30 ottobre 1859 n. 3731), in vigore sino all’emanazione del R.D. 29 giugno 1939 n. 1127 che, con svariate modifiche, ha regolato la materia sino al 2005.

Quell'anno, e segnatamente il 19 marzo 2005, è entrato in vigore il Codice della Proprietà Industriale, emanato con il D. Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, che ha sostituito la legislazione previgente accorpandola in un testo coordinato che disciplina tutti gli istituti della proprietà industriale (escluso il diritto di autore).

I fondamenti economici del sistema delle privativeSin dall’origine, al sistema delle privative brevettuali è stata riconosciuta la funzione di promuovere il progresso tecnico.

Ciò ha consentito la sopravvivenza dei diritti esclusivi previsti dalle varie normative in materia di proprietà industriale –per certi versi assimilabili a diritti di monopolio– anche dopo l’affermazione del libero mercato quale paradigma economico oramai vincente.

Un esempio significativo di ciò si ritrova nel Trattato CE, la cui adozione aveva proprio lo scopo di creare un libero mercato tra i Paesi oggi parte dell’Unione Europea, favorendo la libera circolazione di prodotti e servizi, capitali e persone.

L’originario articolo 36 del Trattato (ora divenuto art. 30) prevede la possibilità di mantenere “divieti all’importazione, all’esportazione e al transito” di beni e servizi quando siano giustificati, tra l’altro, da motivi di tutela della proprietà industriale e commerciale.

Il motivo dell’esenzione in parola deve essere ricercato proprio nella funzione pro-sviluppo, ed in definitiva pro-concorrenziale, delle privative industrialistiche.

Occorre dire che ben pochi sono stati i tentativi di verificare “sul campo” se i diritti di proprietà industriale svolgano davvero tale funzione; alcune ricerche effettuate negli Stati Uniti a cavallo dei primi anni ’60 hanno concluso in maniera dubitativa: i dati empirici non consentono di affermare che l’introduzione di un sistema di privative consentirebbe di accrescere il progresso tecnico. Gli stessi dati, tuttavia, non consentono di affermare che l’abolizione delle privative comporterebbe un qualche beneficio in questo senso.

Dal momento che regimi brevettuali sono previsti in quasi tutti i Paesi industrializzati –ed ormai anche nei Paesi in via di sviluppo– non vi è ragione per sollecitarne l’abolizione.

Elementi interessanti sulla ricaduta delle esclusive brevettuali su di un settore industriale possono trarsi dall’esperienza italiana. Nel nostro Paese, sino al 1978, vigeva il divieto di brevettazione dei medicinali e dei procedimenti per la loro produzione, giustificato in base a motivi di salute pubblica. Con la sentenza n. 20 del 20 marzo 1978 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità di tale divieto, aprendo la strada alla brevettazione dei prodotti farmaceutici.

Vigente il divieto di brevettazione, l’industria farmaceutica italiana ha per gran parte trascurato la ricerca, proponendosi invece come produttrice di principi attivi e prodotti sviluppati da terzi all’estero. Venuto meno il divieto di brevettazione, tuttavia, gli

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investimenti nella ricerca, e soprattutto nella ricerca applicata, non hanno compiuto incrementi di grande rilievo. Si è assistito, anzi, al progressivo venir meno di molte realtà produttive il che, unito alle dinamiche di mercato agenti su scala mondiale, che hanno favorito la fusione degli operatori del settore, ha comportato la sostanziale scomparsa della ricerca farmaceutica in Italia.

Resta, ma sussisteva anche prima del 1978, la ricerca di base, effettuata molto spesso all’interno di strutture non direttamente presenti sul mercato (università, centri di ricerca, etc.), il cui contributo al progresso tecnico molto spesso prescinde dalla possibilità di ottenere una tutela brevettuale.

Brevettazione e segreto industrialeIn linea di principio la tutela brevettuale non è l’unico mezzo per attuare una invenzione in regime di esclusiva.

Esiste infatti la possibilità di operare in regime di segreto: sino a quando il segreto rimane tale, i concorrenti sono impossibilitati ad attuare l’invenzione.

Tra i vantaggi che il segreto presenta vi sono:

a) l’assenza di formalità costitutive, e dei costi connessi;

b) la durata potenzialmente perpetua dell’esclusiva.

A fronte di ciò, tuttavia, esso presenta anche rilevanti svantaggi:

a) una volta che il segreto sia stato violato, non importa se legittimamente, la tutela viene meno;

b) il segreto è incompatibile con molte tipologie di invenzioni; si pensi ai prodotti meccanici: con l’introduzione sul mercato del primo esemplare i concorrenti sono in grado di comprenderne la struttura ed il funzionamento, e quindi di riprodurre l’invenzione.

Inoltre il segreto presenta un rilevante svantaggio per la comunità: qualora esso venga preservato in maniera efficace, è possibile che il contributo tecnico si perda con la scomparsa di colui che lo ha messo a punto.

Ecco quindi che l’esclusiva brevettuale può essere vista anche come un “contratto” tra l’ordinamento e l’inventore: quest’ultimo acconsente a divulgare l’invenzione (questo, come si vedrà, è uno dei fini del documento brevettuale), che entra così stabilmente a far parte del patrimonio tecnico, a fronte della concessione di una esclusiva, limitata nel tempo.

Il nostro sistema privilegia dunque il brevetto, rispetto al segreto, per la tutela dell’innovazione tecnologica.

Il segreto viene comunque protetto, sia dalla disciplina della concorrenza sleale (è considerato illecito appropriarsi dei segreti industriali e commerciali dei concorrenti) sia tramite una disciplina ad hoc ora prevista dalla sezione VII del Codice della Proprietà Industriale, dedicata appunto alla tutela delle informazioni segrete.

I presupposti della tutela sono

a) la segretezza delle informazioni: esse non devono essere generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore;

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b) il valore economico delle informazioni (in quanto segrete);

c) l’adozione di ragionevoli misure atte ad evitare la divulgazione delle informazioni.

Le informazioni riservate che soddisfano tali requisiti sono oggi protette nel senso che ne è vietata sia la rivelazione ai terzi, sia l'utilizzo nell'attività d'impresa da parte dei soggetti non autorizzati.

La privativa brevettualeAlla luce di quanto sin qui esposto è possibile formulare una prima definizione di “diritto di privativa”, utile per mettere in luce i principi generali alla base del sistema brevettuale.

Il diritto di privativa, così come si è sviluppato nel tempo, può essere definito come segue: “diritto esclusivo di durata limitata nel tempo a favore dell’inventore avente per oggetto una determinata invenzione, che deve essere descritta e resa disponibile ai consociati”.

La definizione che precede, che vuole essere una ipotesi di lavoro e non una definizione compiuta, consente di sottolineare i seguenti aspetti:

• L’inventore ottiene un diritto di esclusiva, vale a dire uno jus excludendi alios, ossia il diritto di impedire ai terzi di tenere una certa condotta (attuare l’invenzione). Il diritto di esclusiva non è né vuole essere equivalente al diritto di attuare l’invenzione, diritto questo che può dipendere da molteplici altri fattori che nulla hanno a che vedere con il diritto dei brevetti. Un soggetto che ottenga un brevetto su una nuova arma non per questo consegue il diritto di produrla e venderla.

La distinzione tra diritto di esclusiva e diritto di attuare l’invenzione trova una importante conferma (se mai fosse necessaria) nel considerando 14 della direttiva sulle biotecnologie, che così recita: “un brevetto di invenzione non autorizza il titolare ad attuare l’invenzione, ma si limita a conferirgli il diritto di vietare ai terzi di sfruttarla ai fini industriali e commerciali (…)”.

• Il diritto di esclusiva ha una durata limitata nel tempo; diversamente l’ordinamento non ricaverebbe alcun beneficio dalla concessione del diritto e gli effetti anti-concorrenziali e monopolistici dell’esclusiva non sarebbero giustificati.

• Il diritto spetta, in linea di principio, all’inventore. Tale previsione, che affonda le sue radici nella concezione giusnaturalistica per cui l’invenzione darebbe luogo ad un diritto esclusivo per il fatto stesso della sua creazione, e l’ordinamento altro non farebbe che riconoscere tale diritto, merita di essere ripensato, alla luce delle modalità con le quali viene oggi condotta la ricerca scientifica. E’ sempre più raro il caso dell’inventore isolato, che realizza l’invenzione esclusivamente con mezzi propri. Al contrario, oggigiorno la regola prevede che la ricerca venga svolta da equipes di soggetti, organizzati all’uopo da imprenditori commerciali, che sopportano i rischi della ricerca e sono intenzionati ad ottenerne il frutto. Il regime di attribuzione dei diritti esclusivi deve essere conformato in maniera tale da tenere in considerazione il fatto che l’invenzione viene comunque realizzata da persone fisiche, singole o in gruppo,

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ma anche del fatto che il rischio della ricerca può essere e spesso viene sopportato da soggetti diversi.

• Il diritto ha per oggetto una determinata invenzione. Vi deve essere una corrispondenza tra l’arricchimento del patrimonio tecnico connesso all’invenzione e l’ambito dei diritti esclusivi riconosciuti dal brevetto. Queste considerazioni conducono a sottolineare l’importanza delle rivendicazioni, che hanno la funzione di delimitare l’oggetto dell’esclusiva, e della loro relazione con la descrizione, che ha la funzione di descrivere l’invenzione, che deve essere resa disponibile ai consociati.

La definizione di invenzioneNonostante la centralità della nozione di invenzione ai fini del diritto dei brevetti, non esiste una definizione normativa di invenzione.

L’art. 2585 c.c., che disciplina l’ «oggetto del brevetto», usa il termine “invenzione” senza offrirne una definizione. Ciò non significa, tuttavia, che la definizione debba essere ricercata nel dato pregiuridico, ovvero nella concezione comune del termine.

La ricostruzione della definizione di invenzione è affidata pertanto alla dottrina, per cui l’invenzione è “la creazione intellettuale consistente nella soluzione di un problema tecnico” (SENA) ovvero la “soluzione originale di un problema tecnico” (VANZETTI – DI CATALDO) o ancora “l’idea di soluzione di un problema tecnico suscettibile di applicazione industriale” (FLORIDIA). Ciascuna definizione sottolinea diversi aspetti dell’invenzione brevettabile ed ha una funzione più che altro classificatoria ed astratta.

Più utile appare ricostruire la nozione di invenzione partendo dal sistema normativo nel suo complesso, che insegna a distinguere (45.2 CPI) tra invenzioni e invenzioni brevettabili. Non ogni “invenzione” è invenzione brevettabile.

Tra le invenzioni non brevettabili vi sono le scoperte scientifiche, ossia, indicativamente, le creazioni intellettuali non immediatamente suscettibili di applicazione industriale; la distinzione tra scoperta ed invenzione ha assunto ultimamente una nuova importanza, sia nel settore delle invenzioni biotecnologiche –ove il nesso tra scoperta e sua successiva applicazione industriale appare particolarmente immediato e diretto– sia per quel che riguarda le invenzioni chimiche di formula generale, spesso frutto della ricerca di base, contrapposta alla ricerca cd. applicata.

Prima ancora la distinzione tra invenzioni brevettabili e non era stata messa alla prova dal divieto di brevettazione dei programmi per elaboratori, che pure si legge nell’art. 45.2 CPI, poi ammessa per i programmi che diano luogo ad un “effetto tecnico”.

La definizione di invenzione brevettabile è pertanto un concetto aperto, da ricostruire sulla base della interpretazione delle norme, così come risultante dalle sollecitazioni che il progresso tecnico pone alla realtà industriale e commerciale prima ed all’interprete poi.

Le diverse tipologie di invenzioniTradizionalmente la dottrina distingue tre tipi di invenzioni:

a) le invenzioni di prodotto

b) le invenzioni di metodo o processo

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c) le invenzioni d’uso

Le prime hanno per oggetto un nuovo dispositivo od una nuova sostanza, in precedenza non esistente o comunque non disponibile per usi industriali o di rilievo economico in senso lato.

Le seconde hanno per oggetto metodi o procedimenti per la produzione di un manufatto o di una sostanza, che possono essere nuovi (ed autonomamente brevettabili, ricorrendone i presupposti) oppure noti.

Le invenzioni d’uso hanno invece per oggetto usi nuovi ed originali di prodotti e/o sostanze note.

La classificazione che precede è stata criticata da parte della dottrina italiana (VANZETTI – DI CATALDO), che ne ha rilevato l’inconsistenza quanto meno con riferimento ai brevetti chimici e in generale ai nuovi settori della tecnica, segnalando che anche l’invenzione di prodotto è in definitiva correlata ad un uso specifico del prodotto stesso, sicché sarebbe più corretto tracciare solo una bipartizione tra invenzioni di prodotto ed invenzioni di procedimento.

Questa lettura ha riflessi importanti sui rapporti tra i brevetti di prodotto ed i brevetti conseguiti sui successivi usi di prodotti noti.

Quale che sia la classificazione che si voglia adottare, è importante sottolineare che le tre (o due) categorie di invenzioni debbono avere comunque per oggetto un quid materiale, in mancanza del quale non potrà darsi invenzione brevettabile per carenza del requisito della industrialità o materialità, su cui si tornerà in seguito.

Come è stato efficacemente segnalato (SENA), le categorie che precedono debbono intendersi come diverse angolazioni da cui considerare l’invenzione piuttosto che come categorie separate ed esclusive l’una dell’altra.

Ponendo invece l’attenzione ai rapporti tra le diverse invenzioni, la dottrina ha individuato la categoria delle invenzioni derivate, che comprende le invenzioni di perfezionamento (l’invenzione consiste nel perfezionamento di un’invenzione precedente), le invenzioni di combinazione (l’invenzione consiste nella combinazione nuova ed originale di insegnamenti noti, che portano ad un risultato non ovvio), le invenzioni di selezione (tipologia di invenzioni che trova spazio nella chimica; l’invenzione consiste nella individuazione, in una classe di composti molto ampia, del composto che presenta le proprietà ricercate) e le invenzioni di traslazione (l’invenzione consiste nella applicazione di soluzioni note in un determinato settore ad un diverso settore della tecnica).

A seconda dell’approccio prescelto, tali invenzioni rientrano o non rientrano tra le invenzioni dipendenti, vale a dire le invenzioni per la cui attuazione è necessario il consenso del titolare dei diritti sull’invenzione principale (art. 68.2 CPI), salva la possibilità, per il titolare dell’invenzione dipendente, di ottenere una licenza obbligatoria (art. 71 CPI).

Il meccanismo della licenza obbligatoria ha il compito di evitare che l’esclusiva brevettuale possa trasformarsi in un ostacolo al progresso tecnico o comunque produca effetti negativi sull’economia del Paese; le spinte verso una applicazione restrittiva di tale meccanismo comportano la necessità di confrontare il diritto dei brevetti con il

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diritto antitrust, come avviene negli Stati Uniti, ove non è prevista alcuna licenza obbligatoria ma è stato sviluppato il concesso di “abuso di brevetto” o “patent misuse”.

Riferimenti bibliografici

DRAGOTTI, Brevetti di prodotto, di procedimento e invenzioni d’uso dopo i Gatt-Trips, in Riv. dir. ind., 1997, I, 99

DRAGOTTI, Brevetto chimico: invenzioni di prodotto, invenzioni d’uso e licenza obbligatoria - Una riflessione sulle esperienze statunitensi, in Riv. dir. ind., 1995, I, 156

DRAGOTTI, Osservazioni sulle invenzioni di traslazione e attività inventiva e sulla colpa nella responsabilità ex art. 82 l. inv., in Riv. dir. ind., 1995, II, 378

DRAGOTTI, voce “Informazioni segrete”, in Il Diritto - Enciclopedia Giuridica de Il Sole 24 Ore, Milano 2007-2008

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LEZIONE II

Diritto industriale e armonizzazione internazionaleSe si ripercorrono le modifiche via via apportate alla normativa nazionale in materia di brevetti non è difficile scorgere una parallela evoluzione dei sistemi normativi stranieri e del diritto internazionale.

Il diritto dei brevetti (e il diritto della proprietà industriale in genere), infatti, mal si presta ad una regolamentazione elaborata solo su base nazionale. Colui che realizza una invenzione raramente sarà interessato a conseguire un diritto esclusivo limitato al territorio italiano. Tanto più oggi, che i mercati hanno assunto dimensioni sovranazionali e gli scambi avvengono ormai a livello globale.

Di qui la natura intrinsecamente sovranazionale del diritto industriale, che si riflette in una pronunciata armonizzazione delle normative vigenti nei diversi Paesi, così come nell’introduzione di strumenti di tutela sovranazionali.

Evoluzione normativa internazionaleL’opera di armonizzazione del diritto industriale è iniziata tempo addietro; il punto di partenza può essere individuato nella Convenzione di Unione di Parigi (CUP), firmata a Parigi nel 1883 e più volte riveduta, che riunisce un numero assai rilevante di Stati.

Tra le principali innovazioni introdotte dalla CUP è possibile ricordare:

a) il principio di assimilazione, che impone a ciascuno Stato Membro di applicare ai cittadini degli altri Stati membri lo stesso trattamento previsto per i cittadini dello Stato Membro;

b) il diritto di priorità, introdotto allo scopo di facilitare la tutela sovranazionale delle invenzioni (e degli altri diritti di proprietà industriale).

Colui che ha depositato una domanda di brevetto in una Paese membro della CUP può depositare una domanda per un brevetto corrispondente negli altri paesi invocando la priorità del deposito nazionale di base; la domanda così depositata verrà valutata, quanto alla sussistenza dei requisiti della novità e dell’altezza inventiva, facendo riferimento alla data di priorità e non alla data dell’effettivo deposito.

Per i brevetti per invenzione e per modello il termine di priorità è di 12 mesi; per i marchi ed i disegni e modelli è di sei mesi.

c) Altra importante modifica apportata alla legge italiana in seguito alla revisione della CUP effettuata nel 1958 è l’abolizione della decadenza per mancata attuazione del brevetto, sostituita in prima istanza dalla previsione di una licenza obbligatoria (la decadenza rimane qualora il brevetto non venga attuato neppure dopo la concessione della licenza obbligatoria).

La CUP non regola direttamente le modalità con le quali ciascuno Stato Membro protegge i diritti di proprietà industriale.

La CUP è una convenzione generale, che non si occupa solo di brevetti per invenzione, i quali sono oggetto di due specifiche convenzioni, la Convenzione di Strasburgo del 1963, che prevede l’unificazione di alcuni principi delle legislazioni sui brevetti

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d’invenzione, e la Convenzione di Monaco del 1973 (CBE), che introduce e disciplina il Brevetto Europeo. Entrambe queste convenzioni sono state sottoscritte dagli Stati facenti parte dell’Europa in senso geografico, ma non sono strumenti di diritto comunitario (si rammenti che la Svizzera è parte della CBE ma non dell’Unione Europea).

Un altro strumento previsto dal diritto internazionale è il Trattato di Cooperazione in matteria di Brevetti (PCT), che istituisce una procedura di deposito centralizzata per le domande di brevetto (il cd. “brevetto internazionale”).

Da ultimo occorre citare l’accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 nell’ambito dei negoziati GATT.

Così come la CUP, l’accordo TRIPs è un accordo generale, sottoscritto da un numero molto elevato di Stati Membri. Diversamente dalla CUP, l’Accordo TRIPs prevede limiti minimi di tutela sostanziale dei diritti di proprietà intellettuale, preoccupandosi della concreta efficacia di tale tutela. Prevede altresì un apposito sistema per la risoluzione delle controversie tra gli Stati membri.

Il Brevetto Europeo: problemi e prospettiveSia la CUP che i TRIPs hanno inciso profondamente sul diritto dei brevetti nazionale; ancor più importante, in questo senso, è stata l’introduzione del Brevetto Europeo, che consente ai cittadini degli stati membri della CBE di ottenere una protezione estesa a tutti gli Stati Membri con il deposito di una singola domanda di brevetto.

Tale protezione non viene conferita, tuttavia, da un titolo unitario, bensì da un fascio di brevetti, formalmente regolati dalla legge di ciascuno Stato designato nella domanda di brevetto europeo.

A fronte degli ultimi sviluppi dell’Unione Europea, che ormai costituisce un mercato unico, il sistema del brevetto europeo mostra alcuni svantaggi:

a) pur coinvolgendo gli Stati parte dell’Unione Europea, il Brevetto Europeo non è uno strumento comunitario;

b) non esiste un titolo unico valido in tutto il territorio dell’Unione Europea;

c) attualmente il costo del brevetto europeo è molto elevato, anche a causa della necessità di depositare presso i singoli uffici brevetti nazionali la traduzione del brevetto;

d) la valutazione della validità (e della contraffazione) di ciascuna porzione nazionale di un brevetto europeo è rimessa ai Tribunali di ciascuno stato membro; ciò si ripercuote negativamente sulla uniformità delle decisioni e sul costo delle controversie.

Nel tempo la giurisprudenza ha tentato di rispondere ad alcuni degli inconvenienti sopra elencati; in particolare, la giurisprudenza olandese ha introdotto negli anni '90 le cd. “cross-border injunctions”, che consentono al titolare di un brevetto (europeo) di estendere gli effetti di una decisione anche oltre i confini dello Stato che ha emesso la decisione.

L’efficacia delle cross border injuntions è stata tuttavia ridimensionata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, e tale rimarrà,

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verosimilmente, sino a quando non esisterà un unico titolo, valido in tutto il territorio dell’Unione, ed un sistema giudiziario integrato.

Il tema dell'integrazione giudiziaria, ossia della messa a punto di un sistema armonizzato e quanto più possibile centralizzato per le controversie che coinvolgono i brevetti europei è stato affrontato anche dai governi di (alcuni) dei Paesi aderenti alla CBE, che hanno recentemente messo a punto una bozza di accordo ad hoc, denominato EPLA – European Patent Litigation Agreement.

Tale accordo prevede attualmente l'istituzione di una Corte Europea dei brevetti, cui affidare in esclusiva le controversie relative a validità e contraffazione dei brevetti europei, articolato in primo grado in tribunali nazionali e regionali. Le controversie in grado di appello verrebbero invece affidate ad una corte centralizzata.

La delicatezza della materia, che coinvolge interessi nazionali di assoluto rilievo e si interseca con le iniziative dell'Unione Europea volte ad istituire un vero e proprio brevetto comunitario, di cui si dirà a breve, ha procrastinato l'approvazione dell'accordo EPLA, tuttora in discussione.

Il 1 maggio 2008 è invece entrato in vigore il London Agreement, un protocollo addizionale alla Convenzione sul Brevetto Europeo in base al quale gli Stati membri rinunciano a subordinare l'efficacia del brevetto europeo sul loro territorio al depsoito della traduzione del brevetto nella loro lingua nazionale. La traduzione resta tuttavia necessaria qualora il titolare del brevetto intenda azionarlo nel Paese.

Ad oggi l'Italia non ha (ancora) aderito a tale accordo, né sembra che lo farà a breve.

Evoluzione normativa comunitariaSin dagli anni ’70 il legislatore comunitario ha messo a punto una proposta di Convenzione volta ad istituire un Brevetto Comunitario (CBC).

La prima proposta, risalente al 1975, è stata modificata nel 1989, al fine di superare le obiezioni di alcuni degli Stati Membri. Anche la proposta modificata, tuttavia, ha incontrato seri ostacoli e non è entrata in vigore.

Tra gli ostacoli all’entrata in vigore della CBC vi è la questione della lingua (gli Stati Membri si sono dimostrati restii a rinunciare alla traduzione del titolo in ciascuna lingua nazionale) e quella della giurisdizione (anche in questo caso, gli Stati Membri sono restii ad affidare ad autorità sovranazionali i giudizi di validità e contraffazione dei brevetti).

Vista la situazione di impasse, nel 2000 il Consiglio UE ha messo a punto una Proposta di regolamento relativa al brevetto comunitario.

La proposta prevedeva che Brevetto Comunitario, valido in tutti i Paesi dell’Unione, fosse concesso dall’Ufficio Brevetti Europeo, le cui lingue di lavoro sono inglese, francese e tedesco (il che consente di superare il problema delle traduzioni).

Prevedeva inoltre l’istituzione di una giurisdizione centralizzata, la cui struttura è stata oggetto di accesa discussione.

Le difficoltà sopra evidenziate hanno procrastinato l’approvazione della proposta di regolamento e non è possibile prevedere se tale approvazione avrà luogo; di recente, tuttavia, la Commissione ha messo mano con rinnovato vigore alla questione.

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Altrettanto travagliata la “storia” della Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 febbraio 2002, relativa alla brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici. La proposta, che era stata oggetto di discussione anche sulla stampa non specializzata, è stata rigettata dal Parlamento Europeo nel luglio 2005.

Diversa sorte ha avuto, in sede UE, la Direttiva 98/44/CE del 6 luglio1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, che fissa i criteri ed i requisiti di protezione per tale tipologia di invenzioni.

La Direttiva avrebbe dovuto essere attuata dagli Stati Membri entro il 30 luglio 2000; l’Italia ha provveduto solo nel 2006, dopo aver subito una condanna da parte della Corte di Giustizia delle Comunità Europee per l’inadempimento agli obblighi comunitari (sentenza 16 giugno 2005, Causa C-456/03).

Ancor prima il legislatore comunitario aveva emanato il Regolamento n. 1768/92/CE sulla istituzione di un certificato protettivo complementare (CPC) per i medicinali, che ha sostituito il certificato complementare di protezione (CCP) introdotto in Italia dalla legge 19.10.1991 n. 349.

Nel 2004 il legislatore comunitario ha altresì emanato la Direttiva 2004/48/CE del parlamento europeo e del consiglio del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (pubblicata sulla G.U.C.E. L 157 del 30 aprile 2004). L'Italia è tra i Paesi che per primi hanno attuato tale direttiva.

Evoluzione normativa nazionaleI brevetti per invenzione industriale sono stati regolati in Italia, sino al marzo del 2005, dal R.D. 29 giugno 1939 n. 1127, la cd. “legge invenzioni”.

Nonostante si trattasse di un testo normativo risalente nel tempo, esso si è dimostrato adeguato allo sviluppo tecnologico ed economico ed è stato capace di recepire le modifiche via via apportate, che ne hanno mantenuto, almeno sino ad oggi, l'impianto e la struttura originaria.

Tra le modifiche di maggior rilievo che si sono succedute conviene menzionare quelle apportate dal D.P.R. 22 giugno 1979 n. 338, che ha adeguato il nostro Sistema all'introduzione del brevetto europeo ed ha recepito le indicazioni della Corte Costituzionale in merito al divieto di brevettazione dei farmaci, abrogato; sul tema dei medicamenti il legislatore è intervenuto nuovamente con la L. 19 ottobre 1991 n. 349, che ha introdotto nel nostro ordinamento i Certificati Complementari di Protezione (la cui durata è stata successivamente modificata con il D.L. 15.4.2002 n. 63).

Negli ultimi 15 anni le modifiche alla legge invenzioni si sono succedute con maggiore frequenza: con il D. Lgs. 19 marzo 1998 n. 196 l'Italia ha adeguato le proprie norme agli accordi TRIPs; con la L. 18 ottobre 2001 n. 383 è stata introdotta una nuova disciplina in merito alle invenzioni effettuate in ambito universitario; con il D. Lgs. 27 giugno 2003 n. 168 sono state istituite le Sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale.

Nello stesso tempo anche altri settori del diritto industriale hanno conosciuto modifiche di rilievo, tra cui l'emanazione di norme ad hoc per la tutela del software e delle banche dati e la revisione radicale della disciplina dei prodotti dell'industrial design.

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Più che opportuna, a questo punto, una revisione sistematica della normativa, cui il legislatore ha messo mano con la legge delega 12 dicembre 2002 n. 273 che ha demandato al governo il riassetto delle disposizioni vigenti in materia di proprietà industriale.

La delega è sfociata nel “Codice della Proprietà Industriale” (CPI), approvato con il D. Lgs. 10 febbraio 2005 n. 30, pubblicato in Suppl. Ord. G.U. n. 52 del 4 marzo 2005, in vigore dal 19 marzo 2005, che oggi costituisce il testo unico in materia di proprietà industriale.

Il Codice è diviso in otto parti (capi); tra di esse assumono particolare rilievo la prima, che espone i principi fondamentali; la seconda, che si occupa di regolare in dettaglio i diversi diritti esclusivi (relativi a marchi, indicazioni geografiche, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, informazioni segrete, nuove varietà vegetali); la terza che disciplina la tutela giurisdizionale e la quarta che si occupa delle procedure per l’acquisto dei diritti.

Nonostante il Codice nasca dall’esigenza di sistematizzare e coordinare norme preesistenti, esso contiene alcune novità, in particolare per quel che concerne la tutela concreta dei diritti di proprietà industriale; è presto per valutare l’impatto, in positivo o in negativo, di tali innovazioni. Il Codice testimonia comunque l’estrema attenzione riservata dal legislatore per la tutela dei diritti di proprietà industriale.

Tale attenzione non è venuta meno dopo l'emanazione del Codice: nel 2006 il legislatore ha infatti provveduto ad attuare in Italia la Direttiva 98/44/CE del 6 luglio1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche; le relative norme, dapprima contenute nel D. L. 10 gennaio 2006, n. 3 (in G.U. n. 8 dell'11 gennaio 2006), e nella successiva legge di conversione 22 febbraio 2006, n. 78, sono oggi confluite negli artt. 81-bis e seguenti del Codice della Proprietà Industriale..

Nel marzo 2006 è stata poi attuata, tramite il D. Lgs. 16 marzo 2006 n. 140 (pubblicato in G.U. n. 82 del 7 aprile 2006) la Direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale; l'attuazione di tale direttiva ha rafforzato gli strumenti di tutela dei diritti di proprietà intellettuale, introducendo nel nostro ordinamento specifici strumenti per la protezione delle esclusive.

Con il Decreto Ministeriale 13 gennaio 2010 n. 33 è stato poi emanato il Regolamento di Attuazione del Codice, che contiene le norme di dettaglio necessarie per il concreto funzionamento dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e per il conseguimento e la gestione dei diritti di proprietà industriale.

Con il D. Lgs. 13 agosto 2010 n 131 il legislatore ha infine provveduto ad una revisione generale -e razionalizzazione- del Codice.

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Riferimenti normativi

Legislazione nazionale

R.D. 29.6.1939 n. 1127 (l. inv.) (Regolamento: R.D. 5.2.1940 n. 244)

D.P.R. 22.6.1979 n. 338 (Adeguamento CBE)

L. 19.10.1991 n. 349 (CCP)

D. Lgs 19 marzo 1996 n. 198 (Adeguamento TRIPs)

D. Lgs. 27 giugno 2003 n. 168 (Sezioni Specializzate)

Codice Proprietà Industriale (D. Lgs. 30/2005)

D. L. 10 gennaio 2006, n. 3 (Attuazione Direttiva Biotecnologie)

D. Lgs. 16 marzo 2006 n. 140 (Attuazione Direttiva Enforcement)

D.M 13 gennaio 2010 n. 33 (Regolamento di attuazione CPI)

D. Lgs. 13 agosto 2010 n. 133 (Revisione CPI)

Legislazione internazionale

La convenzione di Unione di Parigi

La convenzione di Strasburgo (1963)

La convenzione di Monaco (CBE) (1973)

Trattato di Cooperazione in materia di Brevetti (PCT) (1970)

Trattato di Budapest sul riconoscimento internazionale del deposito dei microrganismi (1977)

TRIPs (1994)

EPLA

London Agreement

Legislazione Comunitaria

Convenzione sul Brevetto Comunitario del 1975 - 1989

Regolamento 1610/96/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio (fitosanitari)

Direttiva 98/44/CE (Biotecnologie)

Proposta di Regolamento sul brevetto comunitario (2000-2007)

Proposta di Direttiva sul brevettabilità delle invenzioni attuate per mezzo di elaboratori elettronici

Direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (Enforcement)

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Riferimenti bibliografici

DRAGOTTI, Alcune osservazioni sulla proposta di regolamento del consiglio relativa al brevetto comunitario, in Riv. dir. ind., 2001, I, 28

DRAGOTTI, Cross-border injunctions: verso una tutela sovranazionale dei brevetti (europei)?, in Riv. dir. ind., 1995, I, 256

DRAGOTTI, L'attuazione della direttiva 'Enforcement', in Riv. Dir. Ind. 2006, III, 21

Materiali

Direttiva 98/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 1998 sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche (in G.U.C.E. n. L 213 del 30/07/1998 pag. 0013 – 0021)

D. Lgs. 16 marzo 2006 n. 140 ( in G.U. n. 82 del 7 aprile 2006)

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LEZIONE III

La tutela delle varietà vegetaliA fianco del sistema di protezione delle invenzioni industriali (che si articola, come visto, a livello di normativa nazionale, internazionale e comunitaria) si è sviluppato un parallelo sistema di protezione delle varietà vegetali.

A livello internazionale la normativa di riferimento è la Convenzione per la Protezione delle novità vegetali (UPOV), firmata a Parigi nel 1961 e profondamente modificata nel 1991.

In Italia la tutela delle novità vegetali è stata introdotta con il D.P.R. 12 agosto 1975 n. 974, poi integrato dal D. Lgs. 3 novembre 1998 n. 455, che ha adeguato la normativa interna alla revisione della Convenzione UPOV del 1991. La normativa è ora confluita negli artt. 100 e ss. del Codice della Proprietà Industriale.

Anche l’Unione Europea ha adottato una normativa per la protezione delle varietà vegetali, il Regolamento 2100/94/CE, recependo anch’essa le indicazioni provenienti dalla Convenzione UPOV.

La previsione di un sistema ad hoc per la tutela delle varietà vegetali discende da quella che a suo tempo era apparsa come una intrinseca diversità tra le invenzioni industriali e le varietà vegetali.

Queste ultime hanno infatti per oggetto organismi viventi ed auto-riproducenti, frutto di ricerca attuata su base non specificamente industriale (tipicamente le nuove varietà vegetali venivano messe a punto attraverso incrocio e/o selezione e solo più di recente attraverso mezzi chimico-biologici, come l’irraggiamento).

Con lo sviluppo della biotecnologia e, in generale, della cd. agroindustria, tuttavia, il confine tra l’oggetto della tutela brevettuale e l’oggetto della tutela varietale è divenuto più labile, tanto che non sono isolate le voci che ne chiedono il superamento.

L’ordinamento brevettuale già conosce ed ammette la brevettazione del vivente, da tempo per quanto concerne i microrganismi (cfr. art. 45.5 CPI e art. 53(b) CBE) e più di recente, con la Direttiva sulle biotecnologie, per i macro-organismi. Alla luce di ciò, la previsione di due diversi sistemi di tutela non appare giustificata, tanto più se i due sistemi si presentano come mutualmente esclusivi.

L’art. 53(b) CBE vieta infatti la brevettazione delle varietà vegetali (plant varieties) e delle razze animali, ammettendo solo la possibilità di brevettare i procedimenti microbiologici e i prodotti ottenuti tramite tali procedimenti. Nello stesso senso, in Italia, l'attuale formulazione dei commi 4 e 5 dell'art. 45 CPI.

A fronte della spinta verso la brevettazione di varietà vegetali (principalmente ottenute tramite procedimenti biotecnologici), la giurisprudenza dell’Ufficio Brevetti Europeo ha proposto una interpretazione restrittiva del divieto di cui all’art. 53(b) CBE, per cui sarebbe ammessa la brevettabilità di piante o animali se l’eseguibilità tecnica dell’invenzione non è limitata ad una determinata varietà vegetale o razza animale.

Questo approccio, denominato “più di una varietà”, si fonda sulla distinzione tassonomica tra genere, specie, e varietà ed è stato dapprima elaborato dalla giurisprudenza della Commissione dei Ricorsi dell’Ufficio Brevetti Europeo (si veda sul

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punto la fondamentale decisione della Camera dei Ricorsi ampliata dell’Ufficio Brevetti Europeo G 1/98).

La direttiva sulle invenzioni biotecnologiche ha recepito questi insegnamenti (v. in particolare i considerando 9, 29, 30, 31 e 32 nonché gli artt. 2 e 4) come anche il Regolamento di esecuzione della CBE (Capitolo VI, Regola 23c), modificato proprio in seguito all’emanazione della direttiva.

Quanto ai procedimenti, la brevettabilità è esclusa solo per i procedimenti essenzialmente biologici, ossia consistenti integralmente in fenomeni naturali quali l’incrocio e la selezione (art. 2.2 Direttiva).

Definizione normativa di varietà vegetaleI complessi rapporti tra privative varietali e brevetti per invenzione contribuiscono a comprendere le ragioni per cui la definizione di varietà vegetale prevista dalla convenzione UPOV 1991 e recepita nell’ordinamento italiano appare complessa.

A mente dell’art. 100 CPI, infatti,si intende per varietà un “insieme vegetale di un taxon botanico del grado più basso conosciuto che, conformandosi o meno alle condizioni previste per il conferimento del diritto del costitutore, può essere: (a) definito in base ai caratteri risultanti da un certo genotipo o da una certa combinazione di genotipi; (b) distinto da ogni altro insieme vegetale in base all’espressione di almeno uno dei suddetti caratteri; (c) considerato come un’entità rispetto alla sua idoneità a essere riprodotto in modo conforme”.

Analoga definizione si legge nel Regolamento 2100/94/CE, cui la Direttiva rinvia per la nozione di varietà vegetale (art. 2.3 Direttiva).

Requisiti per la protezioneColui che ottiene una varietà vegetale viene detto “costitutore”; i diritti del costitutore sono subordinati alla verifica, da parte dell’autorità amministrativa (l’UIBM e il Ministero per le politiche agricole), della sussistenza dei seguenti requisiti (art. 102 CPI):

a) novità. A differenza di quanto previsto per i brevetti, la divulgazione da parte del costitutore effettuata prima della data di deposito della domanda non sempre compromette la novità (v. art. 103 CPI);

b) distinzione. La varietà si reputa distinta quando si contraddistingue nettamente da ogni altra varietà la cui esistenza, alla data del deposito della domanda, è notoriamente conosciuta (v. art. 104 CPI);

c) omogeneità. La varietà si reputa omogenea quando è sufficientemente uniforme nei suoi caratteri pertinenti e rilevanti ai fini della protezione (v. art. 105 CPI);

d) stabilità. La varietà si reputa stabile quando i caratteri pertinenti e rilevanti ai fini della protezione rimangono invariati in seguito alle successive riproduzioni o moltiplicazioni (v. art. 106 CPI).

La protezione concessa dalla privativa varietale (termine questo che sostituisce il termine “brevetto” utilizzato in precedenza) dura 20 anni dalla data di concessione; per gli alberi e le viti la durata è estesa a 30 anni (art. 109 CPI).

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Microrganismi e materiale biologicoPer le invenzioni che hanno per oggetto microrganismi, ovvero procedimenti che utilizzano microrganismi, può sorgere la necessità di depositare, unitamente alla descrizione dell’invenzione, il microrganismo.

Il deposito internazionale dei microrganismi è regolato dal Trattato di Budapest del 1977, sul riconoscimento del deposito dei microrganismi ai fini della procedura in materia di brevetti.

Il trattato descrive in dettaglio le procedure di deposito e si occupa di regolamentare l’accesso ai microrganismi depositatati sia per la durata del brevetto che successivamente alla sua scadenza.

La direttiva sulle biotecnologie prevede la possibilità del deposito del materiale biologico in senso lato, vale a dire del “materiale contenente informazioni genetiche, autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico” (art. 2 Direttiva), rinviando alle procedure per il deposito dei microrganismi.

Protezione complementare dei medicamentiPer alcune categorie di prodotti, tra cui i medicamenti, il titolare del brevetto difficilmente riesce a fruire dell’intera durata dell’esclusiva, dal momento che l’inizio della commercializzazione è subordinato a procedure amministrative di durata considerevole.

Uno dei settori in cui tale problema si poneva in maniera particolarmente grave, anche a causa degli alti costi della ricerca, è quello delle invenzioni farmaceutiche.

La commercializzazione dei prodotti farmaceutici è subordinata, infatti, all’ottenimento dell’Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC), rilasciata dall’amministrazione in seguito a procedure lunghe e costose.

Al fine di reintegrare la posizione dei titolari di brevetti per invenzione aventi ad oggetto nuovi medicinali, che si trovavano a fruire concretamente di una esclusiva insufficiente ad ammortizzare i costi della ricerca, è stata introdotta, dapprima in Italia e poi a livello UE, una protezione complementare, tramite il sostanziale prolungamento della durata del brevetto per un tempo in linea di principio corrispondente al periodo intercorso tra la data di deposito della domanda di brevetto e l’ottenimento della prima AIC.

In Italia i Certificati Complementari di Protezione (CCP) sono stati introdotti con la L. 19 ottobre 1991 n. 349, che prevedeva una estensione della protezione, in termini temporali, pari al tempo intercorso tra la data di deposito della domanda di brevetto e l’ottenimento della prima AIC, fino ad un massimo di 18 anni.

Dal momento che in Italia i brevetti per invenzione durano 20 anni, con la protezione complementare si arriva ad una durata massima di 38 anni.

La legge nazionale è stata successivamente superata dalla normativa europea che, con il Regolamento 1768/92/CE, in vigore dal gennaio 1993, ha istituito il Certificato Protettivo Complementare (CPC), la cui durata è diversa ed inferiore rispetto al CCP.

L’art. 13 del Regolamento prevede infatti che la durata del CPC sia pari al tempo intercorso tra la data di deposito della domanda di brevetto e l’ottenimento della prima

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AIC, diminuito di cinque anni, fino ad un massimo di 5 anni. La durata complessiva dell’esclusiva non potrà pertanto mai essere superiore a 25 anni.

L’oggetto del CPC è indicato nell’art. 4 del Regolamento, che prevede che “la protezione conferita dal certificato riguarda solo il prodotto oggetto dell’autorizzazione all’immissione in commercio del medicinale corrispondente, per qualsiasi impiego del prodotto in quanto medicinale”.

Successivamente al rilascio dei primi CPC (e CCP) si è posto il problema dell’ambito dell’esclusiva conferita dal certificato, che non si limita a prolungare semplicemente la durata del brevetto cui si riferisce.

Un elemento importante per risolvere tale problema si ricava dal considerando 13 del Regolamento 1610/96/CE, che istituisce un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari; il considerando in questione afferma che il certificato conferisce gli stessi diritti del brevetto di base; quando il brevetto copre una sostanza attiva ed i suoi differenti derivati (sali ed esteri), il certificato conferisce la stessa protezione. Il successivo considerando 17 estende questa norma interpretativa al Regolamento 1768/92/CE.

Se la questione dell’ambito di protezione conferita dal CPC ha rilevanza comunitaria, tanto che su di essa si è pronunciata anche la Corte di Giustizia Europea, a livello nazionale si è posto il problema derivante dalla diversa durata dei CCP rilasciati secondo la L. 349/91 rispetto ai CPC rilasciati secondo il Regolamento CE che, oltre a dare luogo ad ostacoli alla libera circolazione delle merci all’interno del mercato comune, può non essere giustificata alla luce del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.).

Il legislatore italiano ha pertanto emanato il D.L. 15.04.2002, n. 63, convertito con L. 15.6.2002, n.112, con il quale ha abbreviato la durata dei CCP, tramite un meccanismo graduale, al fine di armonizzarla con quella dei CPC.

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LEZIONE IV

Le invenzioni non brevettabiliL’art. 45 CPI, dopo aver riassunto i requisiti per la valida brevettazione delle invenzioni, su cui si tornerà infra, esclude che possano essere considerate invenzioni: (a) le scoperte, le teorie scientifiche e i metodi matematici; (b) i piani, i principi ed i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciali e i programmi di elaboratori; (c) le presentazioni di informazioni.Il comma 3 chiarisce che tale esclusione vale solo “nella misura in cui la domanda di brevetto o il brevetto concerna scoperte, teorie, piani, principi, metodi e programmi considerati in quanto tali”.

La dottrina suole ricollegare il divieto di brevettazione che precede alla carenza del requisito della materialità: una teoria scientifica potrà essere fondamentale per la realizzazione di un determinato dispositivo ma, in quanto tale, non è una invenzione; potrà esserlo il dispositivo.

Lo stesso sembra potersi affermare per la scoperta: rilevare l’esistenza di un determinato composto non arricchisce direttamente il patrimonio tecnologico; se invece alla scoperta segue l’individuazione di una applicazione industriale della scoperta stessa ecco che l’invenzione diviene brevettabile.

L’art. 45 CPI svolge pertanto la funzione di escludere dalla brevettazione tutti quegli sforzi creativi e/o cognitivi che non si siano (ancora) tradotti in un arricchimento del patrimonio tecnologico.

I divieti previsti alla lettera (b) rispondono ad esigenze dello stesso segno, oltre che alla tradizionale ritrosia del sistema brevettuale ad interferire con attività dell’uomo o della mente umana. Le regole di un gioco, in quanto tali, si prestano ad essere utilizzate senza il coinvolgimento di elementi materiali, così come i metodi commerciali. I mezzi per attuare tali attività, in presenza dei requisiti di legge, potranno essere oggetto di valida brevettazione.

Anche il divieto di brevettazione delle “presentazione di informazioni” può essere letto alla luce dei medesimi principi, oltre che della volontà di evitare sovrapposizioni tra la tutela brevettuale e la tutela d’autore, preposta alla attribuzione di diritti esclusivi sulla forma esteriore delle opere dell’ingegno.

Le recenti innovazioni tecnologiche hanno tuttavia comportato la necessità di rivedere l’interpretazione dei divieti previsti dall’art. 45 CPI.

La brevettazione del softwareCiò è avvenuto, ad esempio, con riferimento al divieto di brevettazione dei programmi per elaboratore, la cui importanza, sotto il profilo industriale, è cresciuta in maniera inaspettata.

Se nel campo delle macchine utensili sino a qualche decennio addietro le innovazioni tecnologiche avvenivano implementando accorgimenti meccanici, elettro-meccanici o elettronici, dagli anni ’80 in poi -e forse anche prima- il progresso si è snodato attraverso il controllo numerico dei dispositivi, con una loro informatizzazione sempre più spinta.

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Di qui l’esigenza di tutelare questi trovati (anche) tramite lo strumento brevettuale. Sulla scia delle sollecitazioni provenienti dalla giurisprudenza straniera, in particolare degli Stati Uniti d’America, l’Ufficio Brevetti Europeo ha pertanto accolto una interpretazione restrittiva del divieto di brevettazione del software (l’art. 52 CBE corrisponde nella sostanza all’art. 45 CPI), valorizzando la portata della clausola “in quanto tale” e ritenendo brevettabili i programmi per elaboratore se e nella misura in cui essi abbiano un effetto tecnico ed implichino la soluzione di un problema tecnico.

Lo stesso processo può ravvisarsi in relazione al divieto di brevettazione dei metodi commerciali o business methods, ammessi alla brevettazione negli USA nella misura in cui essi non si esauriscono in una serie di istruzioni destinate a regolare una condotta dell’uomo (p. es.: la vendita “porta a porta”, ovvero la vendita “a rate”, e simili) bensì siano destinate ad essere implementate tramite dispositivi (tipicamente: elaboratori elettronici). L’Ufficio Brevetti Europeo non ha ancora sviluppato una giurisprudenza univoca sul punto.

Di recente la spinta verso la brevettabilità delle invenzioni connesse agli elaboratori elettronici nel territorio dell'Unione Europea ha subito una battuta di arresto, con la bocciatura, da parte del parlamento dell'UE, della direttiva sulle computer implemented inventions. In sede comunitaria ha infatti prevalso il timore che la brevettazione dei programmi per elaboratore, se ammessa con troppa ampiezza, potesse dare luogo a monopoli ingiustificati, con conseguenti ostacoli per lo sviluppo del settore, con particolare riferimento al modello del software open-source.

La sorte della direttiva induce a rimeditare la correttezza delle scelte a suo tempo effettuate in merito alla tutela dei programmi per elaboratore, cui verosimilmente mal si addicono sia il modello del copyright che il modello brevettuale.

Invenzioni e scoperteAnche il divieto di brevettazione delle scoperte deve essere letto alla luce delle modalità con le quali avviene la ricerca e non deve tradursi in un immotivato privilegio per i soggetti che conducono la cd. ricerca applicata, contrapposta alla cd. ricerca di base.

La questione si è posta con particolare chiarezza nel settore delle invenzioni chimiche, ove la ricerca di base ha realizzato e realizza invenzioni cd. di formula generale, individuando classi anche molto vaste di composti, tra cui la ricerca applicata ha il compito di selezionare quelli maggiormente adatti agli impieghi di volta in volta prescelti.

Qualificare come "scoperte" i risultati della ricerca di base -negando loro l'accesso alla brevettazione- equivale a privilegiare gli interessi della ricerca applicata. Appare preferibile riconoscere la tutela ad entrambe le tipologie di trovati, regolando il rapporto tra le esclusive secondo i criteri previsti dall'art 71 CPI (brevetti dipendenti).

La distinzione tra invenzione e scoperta assume rilievo anche in relazione alle invenzioni biotecnologiche. Il legislatore comunitario, dopo aver premesso (considerando 34) che la direttiva "non incide sulle nozioni di invenzione e di scoperta definite dal diritto dei brevetti", qualifica come invenzioni brevettabili anche i materiali biologici preesistenti allo stato naturale, sempre che tali materiali vengano isolati o prodotti tramite un procedimento tecnico (art. 3). Viene altresì prevista la brevettabilità delle sequenze o sequenze parziali di geni, anche se la loro struttura è identica a quella di un elemento naturale, purché venga concretamente indicata la loro applicazione

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industriale (art. 5).

La dottrina ha segnalato che la possibilità di brevettare materiali biologici preesistenti in natura, nonché sequenze e sequenze parziali di geni, impone di ripensare il divieto di brevettazione delle scoperte, dal momento che tali trovati sono appunto, in prima approssimazione, qualificabili come scoperte.

Tanto più che in campo biotecnologico tra la scoperta –ad esempio, la individuazione di una sequenza di geni che caratterizza un determinato virus- e la sua applicazione industriale –ad esempio, la realizzazione di un kit diagnostico che consente di rilevare la presenza del virus nell'organismo- il passo è breve e non comporta di regola la soluzione di alcun ulteriore problema tecnico.

Alcuni autori italiani hanno pertanto dubitato della brevettabilità dei kit diagnostici sviluppati grazie a insegnamenti provenienti dalla ricerca biotecnologica, segnalando che la individuazione della sequenza altro non sarebbe che una scoperta, mentre la successiva applicazione industriale difetterebbe dei requisiti di brevettabilità. La direttiva smentisce tuttavia tale tesi, che non ha trovato riscontro neppure nella giurisprudenza.

Come correttamente rilevato dal Tribunale di Milano nel caso Sorin, una delle prime decisioni italiane in materia di invenzioni biotecnologiche, “la brevettabilità di una scoperta in funzione delle sue applicazioni industriali non implica che tali applicazioni comportino un’attività inventiva autonoma rispetto alla scoperta in questione, con la conseguenza che l’indagine di novità ed originalità va condotta in relazione alla scoperta stessa.”

Altri trovati esclusi dalla brevettazioneIl quarto comma dell'art. 45 CPI nega poi l'accesso al brevetto ai metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale ed ai relativi metodi diagnostici. Il divieto non vale per i prodotti impiegati per l'attuazione di tali metodi, che possono invece essere brevettati1.

Tale esclusione ha evidentemente una matrice diversa rispetto a quelle sin qui esaminate, e suole ricondursi all'esigenza di evitare che le esclusive brevettuali possano interferire con la tutela della salute, o, meglio, con l'attività degli operatori sanitari.

Tale ultima precisazione assume rilievo per interpretare correttamente la conformazione del divieto in parola in ordine alla brevettabilità di metodi di dosaggio di farmaci, verso cui ultimamente si è rivolta una porzione crescente della ricerca farmaceutica.

La norma prevede poi il divieto di brevettazione delle varietà vegetali e delle razze animali e dei procedimenti essenzialmente biologici per il loro ottenimento. Tale divieto non si applica ai procedimenti microbiologici ed ai prodotti ottenuti mediante questi procedimenti.

La ratio della norma deve verosimilmente essere ascritta alla ritrosia del sistema brevettuale ad interferire con la materia vivente, come anche alla estraneità dei metodi tradizionali per la creazione di razze animali, un tempo ottenute pressoché esclusivamente tramite incroci e selezioni, dai processi industriali.

L'una e l'altra obiezione alla brevettabilità delle razze animali hanno oggi perso di significato.

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La brevettazione del vivente è ormai un dato acquisito, soprattutto dopo la approvazione della direttiva sulle invenzioni biotecnologiche, le quali per altro consentono di intervenire sul genoma animale tramite metodiche di natura industriale.

Non sussistono pertanto validi motivi per mantenere un divieto privo ormai di una condivisibile ragion d'essere. Ciò soprattutto quando ormai appare incongrua anche la distinzione tra micro-organismi e macro-organismi, ed il differente regime di accesso alla tutela previsto per gli uni e per gli altri.

Non a caso l'Ufficio Brevetto Europeo ha interpretato il divieto in maniera restrittiva, vietando l'accesso alla brevettazione delle sole razze animali in quanto tali, ed ammettendo invece la brevettabilità di trovati che possono coinvolgere intere specie o generi, come anche trovati che, agendo a livello dei singoli geni, non danno origine ad una specifica nuova razza animale.

I medesimi principi trovano applicazione, come si è visto, anche per le nuove varietà vegetali.

I requisiti di brevettabilitàPerché una invenzione sia brevettabile, essa deve possedere i requisiti previsti dagli artt. 46-50 CPI, ossia la liceità (art. 50 CPI), la novità (artt. 46 e 47 CPI), l'originalità o attività inventiva (art. 48 CPI) e l'industrialità (art. 49 CPI)

Conviene analizzare in primo luogo quest'ultimo requisito, la cui definizione non è agevole.

L'industrialitàA mente dell'art. 49 CPI, "una invenzione è considerata atta ad avere una applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria, compresa quella agricola".

Tale definizione ha il pregio di chiarire che anche le invenzioni destinate a trovare applicazione nell'ambito dell'agricoltura sono validamente brevettabili; poco contribuisce, tuttavia, alla comprensione del concetto.

In primo luogo, il requisito dell'industrialità è utile ad escludere la brevettabilità delle invenzioni tecnicamente non realizzabili (ad esempio le invenzioni relative al moto perpetuo o contrarie a conoscenze scientifiche consolidate).

In secondo luogo, l'industrialità può essere intesa come un rinvio al requisito della materialità: secondo alcune ricostruzioni, le ipotesi previste dall'art. 45 CPI (scoperte, principi scientifici, etc...) difetterebbero infatti del requisito della industrialità.

Nell'esperienza giurisprudenziale italiana il requisito dell'industrialità ha assunto rilievo nel settore delle invenzioni chimiche in relazione al problema della tutela dell'intermedio, inteso come la sostanza che rappresenta un passaggio obbligato nel procedimento di sintesi, ma che non è fruibile per il soddisfacimento di un bisogno diverso da quello connesso all'attuazione del procedimento stesso (questa la definizione proposta dalla Corte di Cassazione).

Nonostante alcune corti di merito (tra cui la Corte d'Appello di Milano e il Tribunale di Torino) avessero concluso per la brevettabilità dell'intermedio, essa è stata negata dalla Corte di Cassazione proprio in considerazione della affermata carenza del requisito dell'industrialità. Questa posizione è tuttavia discutibile.

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La liceitàL’art. 50 CPI vieta la brevettazione delle invenzioni la cui attuazione sarebbe contraria all'ordine pubblico o al buon costume, specificando che l'attuazione di una invenzione non può essere considerata contraria all'ordine pubblico o al buon costume per il solo fatto di essere vietata da una disposizione di legge o amministrativa.

Dal momento che la contrarietà all’ordine pubblico ed al buon costume deve essere interpretata restrittivamente, come impone anche la lettera della disposizione in oggetto, il divieto in questione non ha trovato frequente applicazione.

Con la direttiva sulle biotecnologie è stata assegnata una nuova importanza alla dimensione etica del brevetto; l’art. 6 della Direttiva esemplifica alcune ipotesi di invenzioni non brevettabili in quanto contrarie all’ordine pubblico o al buon costume, tali essendo (a) i procedimenti di clonazione di esseri umani; (b) i procedimenti di modificazione dell'identità genetica germinale dell'essere umano; (c) le utilizzazioni di embrioni umani a fini industriali o commerciali; (d) i procedimenti di modificazione dell'identità genetica degli animali atti a provocare su di loro sofferenze senza utilità medica sostanziale per l'uomo o l'animale, nonché gli animali risultanti da tali procedimenti.

In sede di attuazione della direttiva, il legislatore nazionale ha ampliato le ipotesi di illiceità, escludendo dalla brevettabilità (art. 81-quinquies CPI) anche le invenzioni il cui sfruttamento sia contrario “alla tutela della salute, dell'ambiente e della vita delle persone e degli animali, alla preservazione dei vegetali e della biodiversità ed alla prevenzione di gravi danni ambientali” (...) nonché ogni invenzione che utilizzi cellule embrionali umane.

L'ampiezza dei divieti così introdotti è frutto di esigenze che ben poco hanno a che fare con la materia brevettuale e corrispondono invece ad istanze di natura etica e politica in senso lato. Resta da vedere in quale misura tali divieti troveranno applicazione concreta.

La novitàLa definizione di novità si ritrova nell’art. 46 CPI: un'invenzione è considerata nuova se non è compresa nello stato della tecnica.

Il giudizio di novità presuppone un confronto tra l’oggetto dell’invenzione ed un termine di paragone, che il legislatore individua nello stato della tecnica, costituito da tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all'estero prima della data del deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo (art. 46.2 CPI).

Il nostro ordinamento accoglie pertanto la nozione di novità assoluta: lo stato della tecnica comprende tutte le conoscenze, ovunque esse siano state rese accessibili al pubblico, con qualunque mezzo.

Il requisito della novità ha lo scopo di non consentire la brevettazione di ciò che è già noto: il brevetto deve compensare un apporto al patrimonio tecnologico; in mancanza di tale apporto non vi è spazio per una valida brevettazione.

Ai fini del giudizio di novità si considera la data del deposito della domanda del brevetto, ovvero la data di priorità, se rivendicata. Lo stato della tecnica comprende anche le domande di brevetto ancora segrete alla data di deposito della domanda o alla

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data di priorità, purché esse siano destinate ad avere effetto in Italia (art. 46.3 CPI); la norma ha lo scopo di evitare che sulla stessa invenzione vengano concesse due privative.

Comprende altresì le divulgazioni effettuate dall’inventore, che abbia comunicato ai terzi l’invenzione prima del deposito della domanda, tranne quelle che derivano da un abuso evidente ai suoi danni (art. 47.1 CPI): la divulgazione abusiva non è infatti opponibile all’inventore.

La seconda ipotesi di divulgazione non opponibile (che tuttavia riveste un limitato rilievo pratico) è quella prevista dal successivo art. 47.2 CPI, e consiste nella divulgazione avvenuta in esposizioni ufficiali o ufficialmente riconosciute ai sensi della convenzione concernente le esposizioni internazionali firmata a Parigi il 22 novembre 1928, e successive modificazioni.

L’originalità o altezza inventivaSe la novità mira ad escludere la valida brevettazione di tutto ciò che è già compreso nello stato della tecnica, il requisito dell’originalità ha la funzione di escludere la valida brevettazione di tutto ciò che, pur essendo nuovo, altro non è che una estrinsecazione del normale progresso tecnico. Non ogni nuovo accorgimento merita il riconoscimento dell’esclusiva brevettuale.

L’art. 48 CPI, che definisce il requisito dell’originalità o altezza inventiva, riassume quanto precede ricorrendo al parametro della non evidenza: un'invenzione è considerata come implicante una attività inventiva se, per una persona esperta del ramo, essa non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica.

Lo stato della tecnica, ai fini dell’esame del requisito dell’altezza inventiva, non comprende le domande di brevetto ancora segrete (il che è comprensibile, posto che il requisito ha la funzione di “misurare” lo sforzo inventivo connesso all’invenzione).

Sulla base del dato normativo sopra riportato, nonché dell’esame della giurisprudenza italiana e straniera, la dottrina propone diverse definizioni del requisito in parola, tra cui quelle che seguono:

“L’apporto creativo, il contributo al progresso tecnico in cui consiste l’attività inventiva o novità intrinseca od originalità o, se si preferisce, il quantum di novità richiesto dall’invenzione deve distinguere quest’ultima da ciò che è un’ovvia implicazione del notorio, ma non deve necessariamente essere eccezionale, geniale sorprendente o comunque notevole” (SENA).

“L’originalità segna il confine tra ciò che appartiene al divenire normale di ciascun settore, che potrebbe essere realizzato da qualunque operatore del settore, e quindi non merita il brevetto, e ciò che è frutto di una idea che supera le normali prospettive di evoluzione del settore, che non è alla portata dei tanti che in esso operano, e quindi merita l’attribuzione del diritto esclusivo” (VANZETTI-DI CATALDO).

Come si comprende anche dalle definizioni sopra trascritte, il requisito dell’altezza inventiva rinvia comunque ad una valutazione soggettiva, come tale complessa. Concorrono a rendere più agevole l’analisi alcuni criteri, elaborati dalla giurisprudenza anche alla luce della prassi adottata dall’Ufficio Brevetti Europeo.

In primo luogo, occorre ricostruire la figura dello “esperto del ramo” assegnandogli

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tutte le competenze tecniche comuni nel settore di riferimento, combinandole all’occorrenza (ciò avviene, ad esempio, quando le invenzioni siano state messe a punto in settori in cui operano equipes di ricercatori, ciascuno dotato di sue specifiche competenze).

In secondo luogo, la giurisprudenza invita a non adottare criteri troppo restrittivi; in particolare, non bisogna cadere nel facile inganno di valutare l’altezza inventiva di un trovato “a posteriori” o ex post; le soluzioni, una volta descritte, possono sembrare scontate, mentre spesso lo sforzo inventivo risiede anche nella corretta posizione di un problema. Nello stesso senso occorre leggere l’invito a non confondere la non evidenza con la genialità.

In terzo luogo, vi sono alcuni indizi concreti che possono contribuire alla valutazione della altezza inventiva di un trovato.

Tra gli indizi di non-evidenza la giurisprudenza, soprattutto straniera, ha identificato il considerevole progresso tecnico (l’invenzione ha consentito uno sviluppo di considerevole importanza nel settore di riferimento); la “mano felice” (l’invenzione ha comportato una scelta tra innumerevoli opzioni); l’esistenza di precedenti tentativi di risolvere, senza successo, il medesimo problema tecnico; il fatto che l’invenzione risponde ad un bisogno avvertito da tempo; il superamento di un pregiudizio tecnico (le precedenti soluzioni ritenevano che la strada percorsa dall’inventore non consentisse di risolvere il problema tecnico), il fatto che il brevetto sia stato rispettato dai concorrenti per lungo tempo.

Alcuni tendono a ravvisare un indizio di non evidenza anche nel successo commerciale dell’invenzione; le moderne teorie economiche tendono tuttavia a ricollegare il successo commerciale di un prodotto a fattori che nulla hanno a che vedere con lo sforzo inventivo connesso alla sua realizzazione.

Accanto agli indizi di non-evidenza, la giurisprudenza ha elaborato anche degli indizi di evidenza, in presenza dei quali è probabile che il trovato non sia dotato di altezza inventiva: così è quando invenzioni simili siano state effettuate da più soggetti nello stesso spazio temporale, ovvero quando vi siano molti episodi di contraffazione non contrastate da iniziative a difesa del brevetto.

Riferimenti bibliografici

DRAGOTTI, Software, brevetti e copyright: le recenti esperienze statunitensi, in Riv. dir. ind., 1994, I, 539

DRAGOTTI, I regimi di dosaggio alla prova del divieto di brevettazione dei metodi terapeutici, chirurgici e diagnostici, in Riv. dir. ind. 2009, I, 214.

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LEZIONE V

Diritti di brevetto e diritti al brevettoColui che realizza un’invenzione acquista il diritto al brevetto (da non confondere con il diritto di brevetto, che sorge solo con la concessione dell’esclusiva da parte dell’Amministrazione).

Il diritto al brevetto corrisponde al diritto di depositare validamente una domanda di brevetto e spetta all’inventore o agli inventori, per il caso in cui l’invenzione sia stata messa a punto da uno o più soggetti (v. art. 6 CPI).

Qualora la ricerca venga effettuata nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente i diritti al brevetto possono competere ad un soggetto diverso dall'inventore, vale a dire al suo datore di lavoro. L’ipotesi viene configurata come eccezione rispetto alla regola generale; tuttavia le modalità concrete con le quali viene oggi condotta la ricerca (non più affidata all’inventore singolo ma ad equipes di ricercatori che operano nell’ambito di strutture imprenditoriali) inducono a riflettere sulla opportunità di rivedere il principio generale, tanto più se si valorizza l’apporto del soggetto che sopporta il rischio dell’attività di ricerca -l’imprenditore-, predisponendo i mezzi per la sua realizzazione.

In quest’ottica può essere appropriato un sistema che attribuisca i diritti patrimoniali derivanti dall’invenzione a quest’ultimo soggetto, quale ricompensa per l'investimento ed il rischio connesso alla ricerca.

Tanto più che l’inventore conserva comunque il diritto morale ad essere riconosciuto autore dell’invenzione. Si tratta di un diritto non cedibile, a differenza dei diritti patrimoniali, liberamente cedibili ai terzi (cfr. art. 62 CPI).

Sia il diritto morale ad essere riconosciuto autore dell’invenzione brevettata, sia i diritti patrimoniali sorgono con la concessione della privativa: la sola realizzazione dell’invenzione, non seguita dal deposito della domanda di brevetto e dalla concessione, non attribuisce all’inventore un diritto esclusivo sull'invenzione.

Colui che abbia realizzato un’invenzione ma non abbia provveduto a brevettarla potrà al più, in caso di successiva brevettazione da parte di un diverso soggetto, invocare il cd. “preuso”, che consiste nella facoltà di continuare ad impiegare l’invenzione brevettata all’interno dell’impresa preutente che abbia realizzato autonomamente l’invenzione, senza divulgarla, nei 12 mesi precedenti la data di deposito o la data di priorità (art. 68.3 CPI).

La legge attribuisce efficacia retroattiva alla tutela derivante dalla concessione, consentendo anche a colui che sia titolare di una domanda di brevetto di agire a tutela dei suoi diritti esclusivi, sempre che la domanda sia stata resa accessibile al pubblico (art. 53.2 CPI), il che di regola avviene trascorsi 18 mesi dalla data di deposito della domanda ovvero dalla data di priorità (art. 53 CPI), salvo che il richiedente abbia chiesto la pubblicazione immediata della domanda (nel qual caso il termine è di 90 giorni) ovvero abbia provveduto a notificarla al soggetto nei cui confronti intende farla valere (art. 53.4 CPI).

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La domanda di brevetto nazionaleLa legge prevede che chiunque possa depositare una domanda di brevetto, senza avvalersi di intermediari.

La redazione di una domanda di brevetto è tuttavia operazione delicata, dal momento che l’ambito dei diritti esclusivi derivanti dal brevetto dipende dalla domanda e dai suoi allegati; è pertanto consigliabile, e diffuso, affidarsi a consulenti brevettuali, iscritti in un apposito albo (oggi regolato dagli artt. 202 e ss. CPI).

La domanda di brevetto, che può essere depositata direttamente all’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM) ovvero agli uffici predisposti presso ciascuna Camera di Commercio, Industria ed Artigianato, si compone della domanda vera e propria e degli allegati, che sono il titolo, il riassunto, la descrizione, eventualmente integrata dai disegni, e le rivendicazioni.Il titoloCome prescritto dall’art. 51 CPI, il titolo deve corrispondere all’oggetto dell’invenzione ed ha la funzione di consentire ai terzi di reperire il brevetto.

Il riassuntoL’art. 52 CPI prescrive che la descrizione sia accompagnata da un riassunto, che ha solo fini di informazione tecnica; esso consente ai terzi di comprendere sommariamente l’oggetto dell’invenzione.

La descrizioneL’art. 51 CPI prescrive di allegare alla domanda di brevetto «la descrizione ed i disegni necessari alla sua intelligenza»; la norma prosegue specificando che la descrizione deve essere sufficientemente chiara e completa perché ogni persona esperta del ramo possa attuarla.

La insufficienza o carenza della descrizione comporta la nullità (totale o parziale) del brevetto; la sanzione conferma il ruolo essenziale che la descrizione riveste nel Sistema brevettuale.

Tramite la descrizione, infatti, l’inventore rende disponibile l’invenzione per la collettività, arricchendone il patrimonio tecnico; al termine del periodo dell’esclusiva, i terzi potranno sfruttare l’invenzione seguendo gli insegnamenti contenuti nella descrizione.

La giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che il requisito della sufficienza della descrizione si intende soddisfatto quando l’esperto del ramo è in condizione di attuare l’invenzione seguendo gli insegnamenti ivi contenuti senza effettuare attività di ricerca particolarmente complesse od onerose.

La scelta se corredare o meno la descrizione con i disegni è lasciata al richiedente; nel settore delle invenzioni meccaniche essi sono quasi sempre presenti.

Le rivendicazioniLe rivendicazioni hanno la funzione di indicare, “specificamente, ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto” (art. 52 CPI). Le rivendicazioni hanno pertanto la funzione di individuare e definire l’oggetto dell’esclusiva.

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Tra descrizione e rivendicazioni esiste un rapporto strettissimo: perché l’esclusiva sia valida è infatti necessario che le caratteristiche dell’invenzione siano sia descritte che rivendicate.

Caratteristiche rivendicate ma non descritte sono estranee all’ambito dell’esclusiva per carenza di descrizione; caratteristiche descritte ma non rivendicate sono egualmente estranee all’ambito dell’esclusiva, in quanto il titolare del brevetto ha omesso di manifestare la volontà di rivendicarle, cioè di riservarle a sé in esclusiva.

Il rapporto strettissimo sopra riassunto consente altresì una limitata possibilità di interpretare le rivendicazioni alla luce delle indicazioni presenti nella descrizione; negli ultimi anni la giurisprudenza, soprattutto quella sviluppata dalla Corte di Appello di Milano, ha posto seri limiti alla facoltà di riformulare o comunque modificare le rivendicazioni in sede giudiziaria, ferma restando la possibilità di interpretarle alla luce della descrizione e dei disegni, secondo l'impostazione oggi confluita nei commi 2 e 3 dell'art. 52 CPI.

La prima norma prescrive che “I limiti della protezione sono determinati dalle rivendicazioni; tuttavia, la descrizione e i disegni servono ad interpretare le rivendicazioni”; la seconda precisa che tale regola “deve essere intesa in modo da garantire nel contempo un'equa protezione al titolare ed una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi”.

Tali disposizioni sono allineate alle indicazioni in merito al rapporto tra descrizione e disegni provenienti dalla normativa e dalla prassi internazionale.

L’art. 8 della Convenzione di Strasburgo chiarisce infatti che “i limiti della protezione conferita dal brevetto sono determinati dal tenore delle rivendicazioni. Tuttavia la descrizione ed i disegni servono ad interpretare le rivendicazioni”.

L’art. 84 CBE, analogamente, dispone che “Le rivendicazioni definiscono l’oggetto della protezione richiesta. Esse devono essere chiare e concise e fondarsi sulla descrizione”.

L’esperienza del brevetto europeo ha avuto l’effetto di armonizzare la prassi nazionale con quella dell’Ufficio Brevetti Europeo, anche per quel che concerne le modalità di redazione delle rivendicazioni, che di regola si compongono di una parte precaratterizzante, che descrive brevemente la tecnica nota, ad una successiva parte caratterizzante, che specifica invece le caratteristiche nuove ed originali.

Le rivendicazioni possono essere distinte in indipendenti e dipendenti, queste ultime rinviando al contenuto di precedenti rivendicazioni, venendo a comporre una struttura ramificata o ad albero, che ha -tra l'altro- la funzione di evitare che la nullità di una o più rivendicazioni abbia per effetto la nullità dell'intero titolo.

Il procedimento di brevettazione nazionaleL’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, a differenza, ad esempio, dell’Ufficio Brevetti Europeo e di altri Uffici nazionali, non effettua un esame di merito della sussistenza dei requisiti di validità dell’invenzione, limitandosi di fatto a verificare la sussistenza dei requisiti formali di validità della domanda.

L’art. 170 CPI esclude infatti che l’esame dell’Ufficio possa riguardare la sussistenza dei requisiti di validità dell'invenzione, almeno sino a quando non sia stata istituita una

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apposita procedura di esame. Sino ad allora, prosegue la norma, l'Ufficio potrà (e dovrà) limitarsi a rigettare le domande di brevetto palesemente nulle. Tale facoltà, che corrisponde alla prassi sino ad ora adottata, lascia tuttavia un margine di discrezionalità forse troppo ampio all'Amministrazione, ad oggi attrezzata solo per lo svolgimento di un esame formale della regolarità della domanda.

Un primo passo l'istituzione di una vera è propria procedura di esame è stato effettuato nel luglio 2008, con l'entrata in vigore di un accordo tra l'UIBM e l'Ufficio Brevetti Europeo, demandato a svolgere, per conto del primo, una ricerca di anteriorità volta ad individuare lo stato della tecnica relativo a ciascuna domanda di brevetto depositata in Italia.

Il rapporto di ricerca, che termina con una prognosi relativa alla sussistenza dei requisiti di brevettabilità della domanda, ha valore puramente informativo; esso viene tuttavia trasmesso al richiedente e reso disponibile al pubblico al momento della pubblicazione della domanda di brevetto.

La procedura appena descritta dovrebbe consentire di conseguire un duplice risultato: da un lato porre il richiedente in condizione di modificare la domanda alla luce dei risultati della ricerca, o addirittura di abbandonarla quando l'invenzione appaia palesemente priva di novità o di altezza inventiva; dall'altro lato porre i terzi in condizione di valutare, senza sopportare i costi di una ricerca effettuata ad hoc, la validità del brevetto.

Come si vede, il ruolo dell'Ufficio resta defilato, anche se apparentemente l'art. 170 CPI assegna all'UIBM il dovere di verificare la conformità della domanda a quanto previsto dagli artt. 45 e 50 del Codice.

Il richiamo all’esame della conformità ai requisiti previsti dall’art. 45 CPI non deve essere interpretato come un rinvio ad un esame dei requisiti sostanziali di validità della domanda; lascia altresì perplessi la scelta del legislatore del Codice di demandare all'Ufficio l'esame del requisito della liceità, disciplinato dall'art. 50 CPI.

L’ufficio verifica altresì che ogni domanda abbia per oggetto una sola invenzione (art. 161 CPI), disponendo, in caso contrario, la limitazione della domanda ad una sola invenzione, con la facoltà per il richiedente di depositare altre domande per le rimanenti invenzioni.

La previsione riflette il requisito dell’unità dell’invenzione, giustificato in primo luogo sotto il profilo amministrativo (si vuole evitare che il richiedente riunisca più invenzioni in una sola domanda, violando le disposizioni amministrative e fiscali in materia).

Qualche tempo fa, la giurisprudenza ha avuto occasione di interpretare estensivamente il requisito in parola, arrivando ad affermare l’impossibilità di tutelare, con un solo brevetto, invenzioni di prodotto e di procedimento e comminando, in tale caso, la nullità parziale del brevetto, limitato vuoi all’invenzione “più importante” ovvero a quella che il richiedente avrebbe preferito se fosse stato al corrente dell’invalidità.

Questa giurisprudenza, eccessivamente formalistica, è contraddetta dalla prassi, ormai consolidata a livello europeo, di tutelare con un singolo brevetto diversi profili della medesima invenzione (p. es., nel caso di una invenzione avente ad oggetto un nuovo composto, è possibile e frequente rivendicare sia il prodotto che il procedimento per

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ottenerlo). La giurisprudenza più recente, sulla scorta dei rilievi critici appena esposti, ha oggi corretto l’interpretazione formalistica adottata in precedenza.

Avverso le decisioni dell’Ufficio è possibile interporre ricorso avanti alla Commissione di Ricorso; il termine per il ricorso è di 60 giorni dalla comunicazione della decisione (art. 135 CPI).

Nel corso dell’esame il richiedente ha la possibilità di modificare la domanda; non è tuttavia consentito estendere l’oggetto del brevetto oltre il contenuto della domanda iniziale (art. 76 lettera (c) CPI.).

La legge invenzioni prevede che alla concessione del brevetto faccia seguito la sua pubblicazione, a cura dell’Ufficio; attualmente essa non avviene.

Successivamente alla concessione il titolare del brevetto ha l’onere di corrispondere all’Ufficio le tasse annuali di mantenimento in vita (cd. annualità), il cui importo cresce con il trascorrere degli anni (si suppone che una invenzione che riveste ancora valore economico trascorsi diversi anni dalla concessione frutti al titolare introiti elevati, che giustificano l’imposizione di una tassa di mantenimento progressivamente crescente).

La mancanza di un esame di merito dell’invenzione snellisce grandemente la procedura di concessione dei brevetti nazionali. Nonostante in passato la mancata previsione di un esame sia stata criticata, la scelta originaria del legislatore italiano –verosimilmente dovuta alla mancanza di mezzi e di una struttura capace di affrontare compiti complessi quali quelli connessi all’esame della sussistenza dei requisiti sostanziali di validità delle domande di brevetto- può rivelarsi oculata, a fronte della possibilità, per l’inventore che voglia accedere ad una protezione più “forte”, di ricorrere allo strumento del brevetto europeo –oggi- e del brevetto comunitario, quando esso entrerà in vigore.

In tale contesto l’esistenza di una procedura nazionale semplificata, come tale rapida e meno costosa, appare giustificata.

Il procedimento di brevettazione europeoLe norme che regolano il procedimento di brevettazione europeo sono raccolte nella Convenzione sul Brevetto Europeo (CBE) e nel relativo Regolamento.

Il procedimento di brevettazione, che ha luogo avanti all’Ufficio Brevetti Europeo, noto anche con il suo acronimo inglese EPO (European Patent Office) prevede, a differenza di quanto avviene nel procedimento italiano, l’esame di merito della domanda, ossia l’esame della sussistenza dei requisiti di validità sostanziale del brevetto, segnatamente novità ed altezza inventiva (inventive step nella terminologia della CBE).

Prevede altresì la possibilità di proporre opposizione avverso la concessione di un brevetto, possibilità questa oggi non concretamente disponibile per i brevetti italiani.

Alla maggiore complessità dei compiti cui adempie l’EPO corrisponde una corrispondente maggiore articolazione della struttura, che ha la sua sede centrale a Monaco di Baviera e si articola in diverse divisioni, tra cui la divisione di deposito, la divisione di ricerca, la divisione di esame e la divisione di opposizione. Le decisioni dell’Ufficio possono essere impugnate avanti alla commissione di ricorso (board of appeal), che può decidere anche in composizione allargata (enlarged board of appeal).Il procedimento di brevettazione che si conclude positivamente sfocia nella concessione di un titolo unitario, il brevetto europeo, pubblicato in una delle tre lingue di lavoro

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dell’ufficio (inglese, francese, tedesco); le rivendicazioni vengono tradotte in tutte e tre le lingue di lavoro.

L’efficacia del brevetto europeo nei singoli Paesi designati è tuttavia subordinata all’adempimento di talune formalità, che possono comprendere il deposito di una traduzione presso l’Ufficio Brevetti di ciascun Paese in cui il titolare intende ottenere l’esclusiva (art. 65 CBE). Recentemente taluni stati (quelli che hanno aderito al cd. London Agreement) hanno rinunciato a subordinare la validità del brevetto europeo al deposito della sua integrale traduzione presso l'Ufficio Brevetti nazionale.

Formalmente, dunque, il brevetto europeo dà luogo ad un fascio di brevetti nazionali, di identico contenuto ma il cui regime, anche e soprattutto per quanto concerne la validità e la contraffazione, è regolato da ciascun diritto nazionale.

La procedura di brevettazione inizia con il deposito della domanda, che avviene direttamente all’EPO ovvero tramite i singoli uffici brevetti nazionali. In Italia la legge (cfr. art. 198 CPI), per motivi connessi alla sicurezza nazionale, vieta il deposito all’estero di domande di brevetto che non siano state prima depositate in Italia, salva la possibilità di ottenere un nullaosta dalle autorità preposte.

Gli allegati alla domanda di brevetto europeo sono il titolo, l’estratto (corrispondente in sostanza al riassunto previsto dalla legge nazionale), la descrizione, con gli eventuali disegni, e le rivendicazioni.Ricevuta la domanda, l’Ufficio ne verifica la regolarità formale; successivamente viene effettuata una ricerca di anteriorità, atta a ricostruire lo stato della tecnica rilevante ai fini dell’esame della novità e dell’altezza inventiva del trovato.

La ricerca ha anche lo scopo di consentire al richiedente di effettuare una prognosi quanto alle concrete possibilità di ottenere la concessione del brevetto.

Sia la domanda che il rapporto di ricerca vengono pubblicati; entro 6 mesi dalla pubblicazione del rapporto di ricerca il richiedente ha l’onere richiedere l’esame, nel corso del quale è possibile modificare la domanda, senza tuttavia ampliarla.

L’esame verifica sia la novità che l’altezza inventiva del trovato e si svolge in contraddittorio con l’esaminatore.

L’esame termina con la concessione del brevetto ovvero con il rigetto della domanda. Come si è detto, le decisioni dell’Ufficio possono essere impugnate avanti alla commissione di ricorso.

Dopo la concessione il brevetto viene pubblicato ed il titolare ha l’onere di procedere alla conferma della sua validità presso i singoli uffici brevetti nazionali (cfr. art. 65 CBE).

In Italia l’art. 56 CPI prescrive a questo fine la necessità del deposito presso l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi di una traduzione del brevetto in lingua italiana, oltre al pagamento delle tasse, entro tre mesi dalla pubblicazione della concessione del brevetto europeo.

La procedura di opposizione, regolata dagli artt. 99 e ss. CBE, consente ai terzi di opporsi alla concessione del brevetto; in mancanza di opposizione, o qualora essa venga respinta, la contestazione della validità del brevetto potrà avvenire solo avanti alle singole autorità nazionali.

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I motivi di opposizione sono indicati nell’art. 100 CBE (la carenza dei requisiti di brevettabilità, l’insufficienza delle descrizione e l’estensione del brevetto oltre il contenuto delle domanda iniziale).

La procedura di opposizione si svolge avanti alla divisione di opposizione e termina con la revoca del brevetto ovvero con il suo mantenimento, eventualmente in forma modificata.

Il brevetto internazionale (PCT).Il Patent Cooperation Treaty o PCT ha istituito un sistema di deposito centralizzato delle domande di brevetto che, tuttavia, non istituisce un ufficio ad hoc, bensì si affida agli uffici brevetti nazionali o regionali già esistenti.

L’aspetto qualificante della procedura PCT consiste nello svolgimento, dopo il deposito, di una ricerca internazionale, che ha lo scopo di individuare lo stato della tecnica pertinente all’invenzione. L’esito della ricerca fornirà al richiedente –ed ai successivi uffici cui sarà demandato l’esame della domanda– utili elementi per la valutazione della sussistenza dei requisiti di validità dell’invenzione.

Il richiedente ha altresì la facoltà di chiedere un esame preliminare internazionale, volto a determinare la sussistenza dei requisiti di validità dell’invenzione.

La procedura prevista dal PCT confluisce poi nelle procedure nazionali o regionali corrispondenti agli stati o alle unioni regionali designate al momento del deposito.

Materiali

• Fascicolo di un brevetto europeo (da reperirsi a cura degli studenti sul database ESPACENET, consultabile a partire dal sito dell’Ufficio Brevetti Europeo – www.european-patent-office.org).

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LEZIONE VI

La nullitàLe cause di nullità dei brevetti sono elencate nell’art. 76 CPI.

Tale elenco ha carattere tassativo; l’impossibilità di introdurre ulteriori cause di nullità deriva anche dagli obblighi derivanti dai trattati internazionali e segnatamente dall’art. 138 CBE, che vieta agli Stati membri di introdurre ulteriori cause di nullità oltre a quelle ivi previste.

La prima causa di nullità, indicata alla lettera (a) dell’art. 76 CPI, è la carenza di uno dei requisiti di validità previsti dagli artt. 45-50 CPI.

La seconda causa di nullità, indicata alla lettera (b) dell’art. 76 CPI, è connessa alla insufficienza o carenza della descrizione, che deve essere sufficientemente chiara e completa da consentire all’esperto del ramo di attuare l’invenzione senza effettuare una indebita attività di ricerca e sperimentazione.

La terza causa di nullità, indicata alla lettera (c) dell’art. 76 CPI, è connessa alla possibilità, per il richiedente di apportare modifiche alla domanda nel corso della procedura di brevettazione. Tali modifiche non debbono tuttavia comportare una estensione dell’oggetto del brevetto rispetto al contenuto della domanda iniziale. Diversamente il richiedente avrebbe buon giuoco nell’introdurre nel brevetto nuovi apporti messi a punto successivamente al deposito della domanda, pregiudicando così il corretto funzionamento del sistema.

La quarta causa di nullità, indicata alla lettera (d) dell’art. 76 CPI, non attiene al contenuto del brevetto bensì alla sua titolarità ed ha lo scopo di sanzionare la condotta di coloro che conseguono un brevetto senza avere il diritto di ottenerlo, ad esempio perché hanno usurpato l’invenzione al legittimo titolare. La sanzione della nullità viene prevista solo qualora l’inventore non si sia avvalso dei rimedi previsti dall’art. 118 CPI, che gli consentono, se tempestivamente esercitati, di rivendicare l’esclusiva sottraendola all’usurpatore.

La nullità può essere totale o parziale; di regola l’invalidità parziale viene dichiarata con riferimento alle rivendicazioni: la loro struttura “ad albero” facilita in questo senso l’opera dell’Autorità Giudiziaria. Nella loro stesura è opportuno tenere conto di ciò, redigendole in maniera tale che sia più agevole la sopravvivenza di parte del brevetto nel caso in cui una o più di esse si rivelino invalide.

La dichiarazione della nullità del brevetto opera ex tunc, ha cioè effetto retroattivo: i diritti esclusivi derivanti dal brevetto non sono mai validamente sorti e gli effetti derivanti dall’esistenza del brevetto nullo debbono essere, per quanto possibile, rimossi.

Questo principio, confermato dall’art. 77 CPI, sconta tuttavia la necessità di evitare che la declaratoria della nullità di un brevetto travolga rapporti e situazioni soggettive già esaurite: per questo motivo la norma appena richiamata prevede che la nullità non pregiudica (a) gli atti di esecuzione di sentenze di contraffazione passate in giudicato già compiuti, e (b) i contratti aventi ad oggetto l'invenzione conclusi anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza che ha dichiarato la nullità nella misura in cui siano già stati eseguiti.

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E’ altresì prevista la possibilità, per il giudice, di accordare un equo rimborso alla parte che abbia già versato importi in esecuzione di contratti aventi ad oggetto il brevetto dichiarato nullo.

La conversione del brevetto nulloLa carenza dei requisiti di validità di un brevetto per invenzione non esclude che il trovato possegga quelli di un diverso brevetto. E’ possibile, in altre parole, che l’invalidità del brevetto derivi da una errata decisione del titolare al momento della scelta della privativa (accanto ai brevetti per invenzione il nostro sistema attualmente conosce infatti i modelli di utilità, i modelli e disegni industriali, le topografie dei prodotti a semiconduttori e le varietà vegetali).

Le possibilità di errore possono in concreto verificarsi con maggiore facilità tra brevetti per invenzione industriale e brevetti per modello di utilità, che hanno per oggetto i “nuovi modelli atti a conferire particolare efficacia, o comodità di applicazione, o di impiego, a macchine, o parti di esse, strumenti, utensili od oggetti d’uso in genere, quali i nuovi modelli consistenti in particolari conformazioni, disposizioni, configurazioni o combinazioni di parti” (art. 82 CPI).

La distinzione tra invenzioni e modelli è focalizzata sul requisito dell’originalità: mentre per le invenzioni è richiesta l’altezza inventiva, per i modelli è sufficiente la particolare efficacia, o comodità di applicazione, o di impiego.

La giurisprudenza tradizionalmente avverte che la distinzione tra brevetti e modelli ha natura qualitativa e non quantitativa: i modelli non sarebbero, come pure da alcuni si era suggerito, invenzioni dotate di minore altezza inventiva.

Tale approccio, indubbiamente raffinato ed anche condivisibile in via teorica (altro è risolvere un problema tecnico, altro è migliorare l’efficacia o l’utilità di un prodotto già esistente), si rivela tuttavia di non agevole applicazione.

Non è raro che trovati dotati di insufficiente altezza inventiva possano essere validamente protetti tramite modelli di utilità, tanto che si prevede la possibilità per il richiedente di modificare la natura della privativa successivamente al deposito, su invito dell’Ufficio. Sennonché è noto che l’UIBM non effettua un esame di merito delle domande di brevetto: tale possibilità difficilmente trova pertanto applicazione nella pratica.

Per evitare che un errore nella qualificazione del trovato (invenzione piuttosto che modello di utilità, ma non solo) travolga irrimediabilmente la validità della privativa, è stata introdotta la possibilità di pronunciare la conversione del brevetto nullo.

Il terzo comma dell’art. 76 CPI dispone infatti che “Il brevetto nullo può produrre gli effetti di un diverso brevetto del quale contenga i requisiti di validità e che sarebbe stato voluto dal richiedente, qualora questi ne avesse conosciuto la nullità”.

La conversione viene disposta dal giudice su istanza di parte; per porre fine ad alcune incertezze giurisprudenziali che si erano verificate prima dell’emanazione del Codice, il legislatore chiarisce che “La domanda di conversione può essere proposta in ogni stato e grado del giudizio”.

Al fine di evitare che la conversione, che può comportare un prolungamento della durata del brevetto, possa pregiudicare i diritti dei terzi, il successivo comma 4 dello stesso

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articolo prevede, a favore dei licenziatari e di coloro che in vista della prossima scadenza avevano compiuto investimenti seri ed effettivi per utilizzare l'oggetto del brevetto, la possibilità di ottenere una licenza obbligatoria gratuita e non esclusiva per il periodo di maggiore durata della privativa.

La decadenzaDiversamente dalla nullità, la decadenza interviene quando una privativa, inizialmente dotata dei requisiti di validità, perde efficacia in seguito ad eventi successivi.

La decadenza opera pertanto ex nunc, non ha cioè effetto retroattivo.

Una prima causa di decadenza consiste nel mancato pagamento delle tasse annuali di mantenimento in vita del brevetto (art. 75 CPI), che il titolare ha l’obbligo di corrispondere all’Amministrazione.

Gli importi delle tasse annuali di mantenimento in vita sono progressivamente crescenti, al fine di disincentivare la permanenza di esclusive il cui interesse industriale o commerciale sia venuto meno.

Una seconda causa di decadenza può intervenire in caso di mancata od insufficiente attuazione dell’invenzione brevettata.

Il sistema brevettuale, oltre a costituire un incentivo per il progresso tecnico e scientifico del Paese, ha anche la funzione di stimolare il sistema produttivo nel suo complesso, che beneficia della concreta attuazione nel Paese delle invenzioni brevettate. In forza di tali considerazioni, connesse a ragioni di politica economica, industriale ed occupazionale, nonché di benessere dei cittadini in senso lato, il legislatore italiano aveva in origine sanzionato la mancata attuazione delle invenzioni brevettate con la decadenza della privativa. Tale disposizione era tuttavia in contrasto con l’art. 5 della Convenzione di Unione di Parigi, che non prevedeva tale sanzione per il caso di mancata attuazione dell’invenzione, bensì quella della licenza obbligatoria.

Nel 1968 il legislatore italiano ha provveduto a rendere la disciplina interna conforme al diritto internazionale introducendo, appunto, la sanzione della licenza obbligatoria per il caso di mancata od insufficiente attuazione dell’invenzione. La decadenza rimane tuttavia come sanzione residuale, qualora, trascorsi due anni dalla concessione della licenza obbligatoria, l’onere di attuazione non venga adempiuto dal titolare del brevetto o da colui o coloro che hanno ottenuto la licenza (art. 70 CPI).

Una terza causa di decadenza deriva dalla rinuncia del titolare (art. 78 CPI).

Onere di attuazione e licenza obbligatoriaCome accennato nel paragrafo precedente, il titolare del brevetto ha l’onere di attuare l’invenzione nel territorio dello stato in misura tale da non risultare in grave sproporzione con i bisogni del Paese (art. 69 CPI).

L’attuazione deve avvenire entro tre anni dalla data della concessione del brevetto ovvero entro quattro anni dalla data di deposito della domanda, se questo termine scade successivamente al precedente. Inoltre l’attuazione non deve essere sospesa o ridotta in maniera tale da risultare in grave sproporzione con i bisogni del paese, per un periodo superiore a tre anni (art. 70 CPI)

Qualora l’invenzione non sia attuata, o lo sia in maniera insufficiente rispetto ai bisogni del paese (valutazione questa delicata e da compiersi sulla base di considerazioni che

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non attengono solo profili brevettuali), i concorrenti interessati allo sfruttamento dell’invenzione hanno diritto di ottenere una licenza obbligatoria per l’uso non esclusivo dell’invenzione.

La concessione della licenza, che avviene secondo la procedura prevista dall’art. 72 CPI, è subordinata alla prova della indisponibilità del titolare del brevetto a concedere una licenza negoziale a condizioni eque.

La previsione dell’onere di attuazione rinvia evidentemente a ragioni di natura nazionalistica, tant’è che inizialmente la norma faceva riferimento alla attuazione “nel territorio dello Stato”. Tale impostazione è tuttavia inconciliabile con la progressiva creazione del mercato comune europeo e con la conseguente integrazione e liberalizzazione del mercato, anche a livello di Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o WTO). Ciò è vero soprattutto se l’onere di attuazione viene inteso come onere di produrre quanto oggetto di brevetto all’interno dei confini nazionali.

Per questi motivi l’art. 70 CPI parifica ora la produzione negli Stati membri dell’Unione Europea o dell’Organizzazione Mondiale del Commercio alla produzione all’interno dello Stato.

L’onere di attuazione ha la funzione di evitare che l’esclusiva brevettuale, abusivamente esercitata, si concreti in un ostacolo allo sviluppo economico del Paese. Qualora la mancata attuazione del brevetto sia dovuta a cause indipendenti dalla volontà del titolare la sanzione della licenza obbligatoria non interviene.

Tra le cause di giustificazione individuate dalla dottrina e dalla giurisprudenza vi sono, ad esempio, i tempi necessari per la costruzione di stabilimenti od impianti e i tempi connessi all’ottenimento di autorizzazioni amministrative. Non costituiscono invece cause di giustificazione la mancanza di mezzi finanziari e la mancanza di domanda sul mercato nazionale.

L’azione di nullità o decadenza del brevettoColui che abbia interesse (art. 100 c.p.c.) ad ottenere la declaratoria della nullità o decadenza di un brevetto per invenzione industriale deve proporre la corrispondente azione di fronte all’Autorità Giudiziaria italiana. E’ infatti escluso che un giudice straniero possa dichiarare nullo o decaduto un titolo di proprietà industriale concesso dallo Stato italiano.

Il D. Lgs. 27 giugno 2003 n. 168, in vigore dal 12 luglio 2003, ha istituito le Sezioni Specializzate in Materia di Proprietà Industriale presso i Tribunali e le Corti d’Appello di Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Trieste e Venezia.

A tali sezioni è stata assegnata la competenza esclusiva per le azioni in materia di controversie riguardanti: “marchi nazionali, internazionali e comunitari, brevetti d'invenzione e per nuove varietà vegetali, modelli di utilità, disegni e modelli e diritto d'autore, nonché di fattispecie di concorrenza sleale interferenti con la tutela della proprietà industriale ed intellettuale” (art. 3 D. Lgs. 168/2003).

Il Codice della Proprietà Industriale ha in una certa misura ampliato i limiti di tale competenza, assegnando alle sezioni specializzate la competenza per le controversie sopra indicate nonché per tutte quelle “in materia di proprietà industriale e di

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concorrenza sleale, con esclusione delle sole fattispecie che non interferiscono neppure indirettamente con l’esercizio dei diritti di proprietà industriale” (art. 134.1 CPI).

Per la determinazione della competenza territoriale, ossia l’individuazione del tribunale geograficamente competente a trattare una specifica causa, l’art. 120 CPI prevede tre criteri generali ed un criterio speciale.

I criteri generali prescrivono che l’azione debba essere proposta avanti al tribunale della residenza, domicilio o dimora del convenuto (cd. foro del convenuto); qualora il convenuto non abbia residenza, dimora o domicilio nello Stato, l’azione deve essere proposta nel foro dell’attore; qualora neppure l’attore abbia residenza, dimora o domicilio in Italia, l’azione deve essere proposta avanti alla Sezione Specializzata del tribunale di Roma.

I criteri ora visti debbono essere coordinati con il criterio speciale previsto dall’art. 120.3 CPI, che parifica l’indicazione di domicilio annotata nel registro dei brevetti, che il richiedente sovente effettua al momento del deposito della domanda, all’elezione di domicilio ai fini della determinazione della competenza.

La competenza derivante dall’elezione di domicilio è esclusiva ed inderogabile, il che comporta che la più parte delle cause in materia brevettuale si concentrano nei tribunali nelle cui circoscrizioni hanno sede la maggior parte degli uffici di consulenza in proprietà industriale.

Tale circostanza comporta a sua volta una maggior dimestichezza dei giudici che compongono tali tribunali con le controversie in materia brevettuale, sì che spesso tali fori vengono preferiti ad altri. Ciò almeno sino a quando la preparazione dei giudici che compongono le altre sezioni specializzate non si consoliderà.

Qualora l’azione si concluda con la dichiarazione della nullità o della decadenza del brevetto, la sentenza avrà affetto nei confronti di tutti e non solo delle parti in causa e dovrà essere annotata nel registro dei brevetti a cura dell'UIBM (art. 122.5 CPI).

Si noti che tale effetto “allargato” (cd. erga omnes) delle sentenze di nullità o decadenza non trova applicazione per le sentenze che abbiano confermato la validità ed efficacia di un brevetto, respingendo una domanda di nullità o decadenza. La migliore dottrina ha evidenziato che tali sentenze non dichiarano la validità del brevetto ma si limitano a respingere la domanda di nullità o decadenza. Non è pertanto possibile -né giuridicamente corretto- parlare di sentenze di validità od efficacia.

Egualmente non avrà effetto erga omnes la sentenza che accolga una eccezione di nullità o decadenza di un brevetto per invenzione: tale effetto è infatti limitato alle domande, siano essere proposte in via principale o riconvenzionale.

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Glossario

Attore: colui che propone una azione o domanda giudiziale.Convenuto: colui nei cui confronti viene proposta una azione o domanda giudiziale.Domanda principale: Richiesta rivolta all’Autorità Giudiziaria nei confronti di una

altro soggetto volta ad ottenere la tutela di un diritto. La proposizione della domanda equivale all’esercizio di una azione giudiziaria.

Domanda riconvenzionale: Domanda proposta dal convenuto in risposta ad una domanda proposta dall’attore.

Eccezione: Difesa volta a paralizzare una domanda della controparte, che tuttavia non mira ad ottenere una statuizione definitiva dell’Autorità Giudiziaria.

Dimora: luogo in cui la persona concretamente si trova, anche per breve tempo.Residenza: luogo in cui la persona ha la dimora abituale (art. 43 c.c.).Domicilio: luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e

interessi (art. 43 c.c.). E’ possibile eleggere un domicilio speciale per determinati atti o affari (art. 47 c.c.).

Foro: locuzione utilizzata per indicare un determinato ufficio giudiziario. p.es.: “foro dell’attore” = ufficio giudiziario nel cui territorio l’attore ha la residenza, la dimora o il domicilio.

Giurisdizione: Potere dell’autorità giudiziaria dello stato nel suo complesso di pronunciarsi in merito ad una determinata domanda. Le regole generali sulla giurisdizione italiana sono contenute nella L. 31 maggio 1995, n. 218.

Competenza: Potere di un determinato ufficio giudiziario di pronunciarsi su una determinata domanda. Le regole generali sulla competenza sono contenute nel Codice di Procedura Civile. La competenza risolve le questioni connesse all’attribuzione delle diverse cause tra uffici giudiziari di livello diverso (Giudice di Pace, Tribunale, Corte d’Appello: competenza verticale) e tra uffici dello stesso livello (competenza per territorio o competenza orizzontale).

Materiali

D. Lgs. 27 giugno 2003 N. 168

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LEZIONE VII

La brevettazione del non avente dirittoQualora una domanda di brevetto sia stata depositata da un soggetto diverso dall’inventore o comunque da colui che è titolare del diritto al brevetto, l’art. 76 CPI lettera (d) prevede la possibilità che chiunque possa chiedere la nullità della privativa.

Tale sanzione, tuttavia, non è idonea a tutelare gli interessi dell’inventore: la nullità del brevetto non gli riconsegna infatti il diritto esclusivo che gli è stato usurpato.

In vista di tali considerazioni la legge prevede la possibilità, per colui che abbia subito l’usurpazione del brevetto, di rivendicarne la titolarità, purché la relativa azione sia promossa entro tre mesi dalla sentenza che riconosca definitivamente l’intervenuta usurpazione (art. 118 CPI).

La norma distingue l’ipotesi in cui il brevetto sia ancora allo stato di domanda da quella in cui esso sia già stato concesso.

Nel primo caso (art. 118.2 CPI), l’inventore può (a) assumere a proprio nome la domanda di brevetto rivestendo a tutti gli effetti la qualità di richiedente; (b) depositare una nuova domanda di brevetto la cui decorrenza, nei limiti in cui il contenuto di essa non ecceda quello della prima domanda, risale alla data di deposito o di priorità della domanda iniziale la quale cessa comunque di avere effetti; (c) ottenere il rigetto della domanda.

L’opzione di cui alla lettera (b) ha lo scopo di consentire all’inventore di riformulare la domanda qualora quella depositata dall’usurpatore presenti a suo avviso dei difetti.

Qualora il brevetto sia già stato concesso (art. 118.3 CPI), l’inventore ha la facoltà di (a) ottenere con sentenza, avente efficacia retroattiva, il trasferimento a suo nome del brevetto, oppure (b) far valere la nullità del brevetto rilasciato a chi non ne aveva diritto. Non è prevista la possibilità di riformulare il contenuto del brevetto.

Qualora l’inventore non si avvalga delle facoltà previste dall’art. 118 CPI entro due anni dalla concessione del brevetto, chiunque può chiedere che esso sia dichiarato nullo (art. 118.4 CPI e art. 76 lettera (d) CPI). Tale sanzione ha lo scopo di evitare il mantenimento in vita di un diritto esclusivo ottenuto abusivamente, interesse questo che sussiste anche qualora l’inventore che ha subito l’usurpazione decida di non attivarsi.

Le invenzioni del dipendenteSe l’usurpazione dell’invenzione costituisce una ipotesi patologica di difformità tra inventore e titolare del brevetto, cui l’ordinamento risponde predisponendo i rimedi appena visti, vi sono anche ipotesi in cui tale difformità è lecita e per così dire fisiologica.

L’esclusiva brevettuale ha lo scopo e la funzione di incentivare la ricerca ed il progresso tecnico; come tale è ragionevole che essa sia attribuita al soggetto che sopporta i rischi connessi all’attività inventiva, finanziandola e predisponendo i mezzi per la sua effettuazione.

Di regola oggi tale soggetto non è l’inventore singolo persona fisica bensì l’impresa, che organizza e finanzia la ricerca avvalendosi di equipes di ricercatori, con la

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prospettiva di conseguire i benefici connessi a tale attività, primi tra tutti le esclusive brevettuali.

Qualora tra l’impresa ed i ricercatori vi sia un rapporto di lavoro autonomo, l’attribuzione dei diritti derivanti dalla (eventuale) attività inventiva è lasciata alla libera contrattazione tra le parti.

Qualora invece vi sia un rapporto di lavoro subordinato, l’attribuzione dei diritti esclusivi è regolata dall’art. 64 CPI, che prevede tre diverse ipotesi, che la dottrina denomina tradizionalmente come invenzione di servizio, invenzione di azienda ed invenzione occasionale.

Si ha una invenzione di servizio quando l’attività inventiva prestata dal lavoratore dipendente sia prevista come oggetto del contratto o del rapporto di lavoro ed espressamente retribuita (art. 64.1 CPI). La giurisprudenza si è soffermata più volte su tale ultimo requisito: non è sufficiente che il dipendente sia genericamente addetto al reparto ricerca e sviluppo, in quanto l’attività inventiva non è necessariamente il frutto dell’attività di ricerca e costituisce invece un risultato solo eventuale ed ulteriore rispetto alla prestazione dovuta dal lavoratore dipendente.

Qualora ricorrano i presupposti dell’invenzione di servizio, i diritti sull’invenzione appartengono al datore di lavoro: il dipendente inventore mantiene solo il diritto morale di essere riconosciuto autore dell’invenzione.

Qualora non sia prevista alcuna retribuzione per l’attività inventiva ricorre l’ipotesi della invenzione di azienda, regolata dall’art. 64.2 CPI: anche in questo caso i diritti sull’invenzione appartengono al datore di lavoro, dal momento che questi ha comunque apportato i mezzi necessari per la realizzazione dell’invenzione, sopportando i costi ed i rischi della ricerca sfociata in una invenzione effettuata utilizzando le strutture dell’impresa; tuttavia il dipendente inventore, oltre al diritto morale ad essere riconosciuto autore dell’invenzione, ha diritto ad un equo premio.

Il calcolo dell’equo premio, in caso di controversia, è rimesso ad un collegio di arbitratori (art. 64.4 CPI); gli arbitratori dovrebbero, nell’intenzione del legislatore, avere maggiore dimestichezza con calcoli necessariamente complessi, quali quelli relativi alla determinazione dell’equo premio.

La giurisprudenza straniera, soprattutto quella tedesca, riassume i criteri per il calcolo dell’equo premio nella cd. formula tedesca, per la quale l’ammontare del premio corrisponde ad una percentuale sul valore dell’invenzione calcolata tenendo conto dell’autonomia del dipendente nella individuazione del problema tecnico risolto dall’invenzione, del contributo dell’azienda e delle mansioni del dipendente medesimo.

Criteri analoghi trovano ora riscontro nell’art. 64.2 CPI, secondo il quale per la determinazione dell’equo premio “si terrà conto dell'importanza della protezione conferita all'invenzione dal brevetto, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dall'inventore, nonché del contributo che questi ha ricevuto dall'organizzazione del datore di lavoro”.

Quali che siano i risultati cui può condurre l’applicazione di siffatti criteri, comunque temperata da un giudizio di equità, è opportuno sottolineare che l’ammontare del premio tiene conto del valore dell’invenzione ma non corrisponde ad esso: di regola, esso sarà inferiore (se si applica la formula tedesca secondo i parametri sviluppati da quella

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giurisprudenza, il valore massimo dell’equo premio è pari al 30% del valore dell’invenzione).

Qualora l’invenzione sia stata realizzata dal dipendente al di fuori delle sue mansioni e senza utilizzare le strutture ed i mezzi dell’azienda, e tuttavia l’invenzione rientri nel campo di attività dell’azienda, trova applicazione l’art. 64.3 CPI, che regola la cd. invenzione occasionale.

I diritti di brevetto spettano in questo caso al dipendente, che tuttavia è obbligato a cederli, a richiesta, al datore di lavoro, che dovrà corrispondere al dipendente inventore un corrispettivo pari al valore dell’invenzione, detratte le somme corrispondenti agli eventuali aiuti che l'inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all'invenzione.

Se nel caso dell’invenzione di servizio e dell’invenzione d’azienda la ratio dell’attribuzione dei diritti sull’invenzione al datore di lavoro risponde all’esigenza di compensare il soggetto che sopporta il rischio ed i costi della ricerca e dell’attività inventiva, nel caso dell’invenzione occasionale la ratio è da ricercarsi piuttosto nell’obbligo di fedeltà e nel divieto di concorrenza, entrambi connaturati al rapporto di lavoro subordinato.

Lo sfruttamento in proprio, da parte dell’inventore, ovvero la concessione di licenze o la cessione del brevetto a concorrenti del datore di lavoro sarebbe infatti incompatibile con la corretta prosecuzione del rapporto di lavoro.

Al fine di evitare che le disposizioni qui riassunte possano essere facilmente aggirate l’art. 64.6 CPI prescrive che “si considera fatta durante l'esecuzione del contratto o del rapporto di lavoro o d'impiego, l'invenzione industriale per la quale sia stato chiesto il brevetto entro un anno da quando l'inventore ha lasciato l'azienda privata o l'amministrazione pubblica, nel cui campo di attività l'invenzione rientra”.

Le invenzioni del ricercatore universitarioIl sistema disegnato dall’art. 64 CPI (che riproduce la normativa precedente l’entrata in vigore del Codice), pur perfettibile, ha una sua coerenza e risponde ad esigenze condivisibili; nella sua formulazione originale esso si applicava sia alle invenzioni realizzate da dipendenti di imprese private che a quelle realizzate da dipendenti pubblici (in astratto, la ricerca di base dovrebbe essere svolta in larga misura da strutture pubbliche o da strutture finanziate dallo Stato, così come avviene in molti paesi industrializzati).

Nel 2001 il legislatore ha avvertito la necessità di regolamentare in maniera diversa i diritti sulle invenzioni realizzate da ricercatori che abbiano un rapporto di lavoro subordinato con le università o con una pubblica amministrazione avente fra i suoi scopi istituzionali finalità di ricerca.

Con la legge 18 ottobre 2001, n. 383, in vigore dal 25 ottobre dello stesso anno, è stata introdotta una nuova norma, la cui formulazione non spicca per linearità ed è stata criticata quasi unanimemente dalla dottrina, e il cui contenuto è stato ora sostanzialmente trasfuso nell’art. 65 CPI.

La norma dapprima assegna al ricercatore i diritti sulle invenzioni (art.65.1 CPI), salvo prevedere una significativa ingerenza del datore di lavoro (università od ente pubblico di ricerca) nella gestione del brevetto (art 65.2 e 65.3 CPI).

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La norma non si applica, poi, alle ricerche finanziate, in tutto o in parte, da soggetti privati o comunque diversi dalla struttura in cui opera il ricercatore (art. 65.5 CPI).

Le previsioni dei diversi commi della norma appaiono difficilmente conciliabili; un autore ha proposto, a questo fine, la distinzione tra ricerca libera, i cui frutti spetterebbero in toto al dipendente inventore, e ricerca vincolata, i cui frutti spetterebbero invece all’ente pubblico, che sarebbe tuttavia tenuto al rispetto delle restrizioni previste dalla norma. Tale proposta interpretativa, pur suggestiva, non trova un agevole riscontro testuale nella lettera della norma, di cui si è auspicata la riformulazione.

Le difficoltà interpretative che essa pone rischiano infatti di ostacolare la ricerca effettuata da università ed enti pubblici, settore questo in cui l’Italia già sconta un considerevole ritardo rispetto agli altri Paesi industrializzati.

La formula tedesca (schema)

La determinazione dell’equo premio secondo la formula tedesca

I = V x P

I = Indennità (equo premio)

V = Valore dell’invenzione

Costo che l’azienda dovrebbe sopportare per ottenere lo sfruttamento dell’invenzione

P = Indice che misura il contributo inventivo del dipendente, così ricavato:

P= P1+P2+P3 (espresso in termini percentuali)

P1= Autonomia del dipendente nella posizione del problema

P2= Contributo dell’azienda

P3= Mansioni del dipendente

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LEZIONE VIII

L’estensione del diritto di esclusivaIl brevetto conferisce al suo titolare il diritto esclusivo di sfruttare l’invenzione e di trarne profitto nel territorio dello Stato (art. 66.1 CPI). La contraffazione del brevetto consiste nella violazione di tale diritto esclusivo.

La legge specifica le diverse facoltà in cui si articola tale diritto di sfruttamento esclusivo, distinguendo i brevetti di prodotto dai brevetti di procedimento (art. 61.2 CPI).

Per i primi, il diritto di brevetto consiste nel diritto esclusivo di vietare ai terzi di “produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare” il prodotto oggetto del brevetto. Si ritiene che anche l’esportazione del prodotto brevettato, nella misura in cui essa si concreti nello sfruttamento dell’invenzione, interferisca con i diritti esclusivi del titolare del brevetto e ne costituisca contraffazione.

Per i brevetti di procedimento, i diritti esclusivi conferiti al titolare consistono nel diritto di vietare ai terzi di “applicare il procedimento, nonché di usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto direttamente ottenuto con il procedimento in questione”.

Secondo le regole generali in materia di prova nel processo civile, il titolare del brevetto ha l’onere di provare la contraffazione (cfr. art. 121 CPI): tale prova è senz’altro più agevole per i brevetti di prodotto, in quanto di regola sarà sufficiente acquisire un esemplare del prodotto.

Per i brevetti di procedimento, diversamente, la prova della contraffazione può implicare l’accesso nella sfera del preteso contraffattore; anche quando tale accesso avvenga, ad esempio tramite una descrizione (cfr. art 129 CPI), non è detto che sia possibile acquisire la prova della contraffazione.

Consapevole della situazione deteriore in cui si trova il titolare di un brevetto di procedimento, il legislatore ha ritenuto di introdurre alcune presunzioni volte a facilitare la prova della contraffazione, stabilendo che (art. 67 CPI) ogni prodotto identico al prodotto oggetto del procedimento brevettato si considera ottenuto tramite il procedimento brevettato se:

(a) il prodotto è nuovo; oppure

(b) vi sia la sostanziale probabilità che il prodotto contestato sia stato ottenuto tramite il procedimento brevettato e il titolare del brevetto non abbia potuto determinare quale sia il procedimento adottato dal preteso contraffattore nonostante abbia compiuto “ragionevoli sforzi” a tale scopo.

L’ipotesi prevista dalla lettera (b) è stata introdotta con il D. Lgs. 198/1996 e riflette esperienze proprie dei sistemi di common law; come tale si concilia con difficoltà con il nostro ordinamento.

I diritti esclusivi del titolare del brevetto non si estendono all’uso privato e non commerciale dell’invenzione, né alla sua attuazione a fini sperimentali (art. 68 CPI).

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La prima eccezione (uso privato e non commerciale) deriva dalla natura stessa delle privative industrialistiche, che operano nei rapporti tra imprenditori o comunque attengono agli atti di produzione e/o commercio e non agli atti compiuti dal singolo nella sua sfera privata.

La seconda eccezione (uso sperimentale) si ricollega alla necessità che i diritti di privativa non si risolvano in un ostacolo alla sperimentazione ed alla ricerca, che il diritto industriale ha lo scopo di favorire e non di ostacolare.

La giurisprudenza, non solo nazionale, ha avuto modo di interrogarsi sulla liceità dell’attività di sperimentazione volta all’ottenimento dell’Autorizzazione alla Immissione in Commercio (AIC). Le prove ed i test necessari per l’ottenimento di una AIC hanno una durata considerevole: di qui l’interesse dei terzi intenzionati a porre in commercio un prodotto immediatamente dopo la scadenza del brevetto ad effettuare tali attività prima della scadenza stessa.

Da un lato, tale attività, sia pur sperimentale in senso lato, ha sicuramente un risvolto commerciale, sicché la sua liceità durante la vigenza del brevetto appare opinabile. Da un altro lato, vietarne lo svolgimento sino alla scadenza del brevetto equivale ad attribuire al titolare un indebito prolungamento di fatto dell’esclusiva, che appare particolarmente ingiustificato dopo l’introduzione dei certificati di protezione complementare.

Appare pertanto condivisibile quella giurisprudenza che, dopo l’introduzione della protezione complementare, ha ritenuto la liceità dell’attività di sperimentazione volta all’ottenimento di una AIC.

Il Codice della Proprietà Industriale ha recepito quest’impostazione chiarendo (art. 68.1 lettera (b) CPI) che non costituisce contraffazione di un brevetto l’attività consistente in “studi e sperimentazioni diretti all'ottenimento, anche in paesi esteri, di un'autorizzazione all'immissione in commercio di un farmaco ed ai conseguenti adempimenti pratici ivi compresi la preparazione e l'utilizzazione delle materie prime farmacologicamente attive a ciò strettamente necessarie”.Il comma 1-bis dell'art. 68, introdotto con il D.Lgs. 133/2010, precisa tuttavia che le procedure amministrative volte all'ottenimento di una AIC possono essere avviate, al più presto, un anno prima della scadenza della protezione.

L’art. 68.1 lettera (c) CPI prevede una ulteriore eccezione ai diritti esclusivi del titolare del brevetto, specificando che essi non si estendono alla “preparazione estemporanea, e per unità di medicinali nelle farmacie su ricetta medica, e ai medicinali così preparati”. Tale eccezione, nota come “eccezione galenica”, è volta a consentire ai farmacisti la preparazione, nel loro laboratorio, su scala non industriale e solo dietro presentazione di una ricetta medica, di qualunque medicamento e risponde a considerazioni di salute pubblica.

Le modalità con le quali oggigiorno vengono prodotti i principi attivi ed i medicamenti, incompatibili con la loro preparazione “artigianale” da parte del farmacista, rende difficile trovare uno spazio di applicazione concreta di tale eccezione, che la dottrina considera un residuo del passato e che la giurisprudenza applica in maniera assai restrittiva.

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La disapplicazione concreta dell’eccezione galenica risponde senz’altro agli interessi dei titolari dei brevetti e può essere giustificata da considerazioni di politica brevettuale ed economica in senso lato: meno corretto considerare tale eccezione un residuo del passato, posto che essa è stata introdotta nel 1979, in occasione dell’abolizione del divieto di brevettazione dei farmaci.

Per evitare che l’eccezione galenica, interpretata in maniera estensiva, vanificasse la tutela delle privative brevettuali il legislatore, in occasione dell’emanazione del Codice, ha chiarito che detta eccezione si applica “purché non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente” il che impedisce, oggi, che vi sia un concreto spazio di applicazione della norma.

L’esaurimento del dirittoIl diritto esclusivo di commercializzare il prodotto oggetto di un brevetto non si estende, evidentemente, agli atti di commercio effettuati da colui che abbia acquistato il prodotto dal titolare del brevetto o comunque con il suo consenso.

Il titolare del brevetto non ha, in altre parole, il diritto di controllare la circolazione dei prodotti brevettati una volta che essi siano usciti lecitamente dalla sua sfera.

Ciò risponde a criteri di ragionevolezza secondo il comune sentire nonché ad esigenze di natura pratica: la circolazione dei beni incontrerebbe ostacoli quasi insormontabili qualora per ogni transazione fosse necessario accertare se un determinato prodotto è protetto da un diritto esclusivo. Inoltre la possibilità di esercitare il diritto successivamente al primo atto di sfruttamento dell’esclusiva consentirebbe al titolare facili abusi, ingiustificati in un sistema di libero mercato.

Meno agevole spiegare in termini giuridici i motivi per cui gli atti di sfruttamento dell’invenzione successivi al primo non sono più soggetti al consenso del titolare del brevetto. A tal fine è stato elaborato il concetto di esaurimento del diritto: una volta sfruttato il brevetto, tramite la messa in commercio del prodotto, la concessione di una licenza o altro, il diritto di esclusiva si esaurisce ed il titolare del brevetto non può esercitarlo ulteriormente.

Tale impostazione trova ora riscontro nell’art. 5 CPI, che prevede appunto che i diritti di esclusivi “si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo”.

L’esaurimento del diritto ha la funzione di conciliare il sistema delle esclusive con il principio della libera circolazione delle merci all’interno del mercato, che ora non è più limitato a quello interno bensì (almeno) al mercato comunitario, allargato al cd. Spazio Economico Europeo. Diversamente il titolare di un brevetto esteso in più paesi dell’Unione potrebbe utilizzare ciascuna privativa nazionale per impedire la circolazione delle merci tra gli stati membri, comportamento questo che integra un abuso del diritto esclusivo, vietato dall’art. 30 (in precedenza 36) del Trattato di Roma.

La nozione di esaurimento comunitario del diritto esclusivo è stata oggetto di diverse decisioni della Corte di Giustizia della Comunità Europea, che ha avuto modo di affrontare la questione soprattutto con riferimento all’esaurimento dei diritti di marchio ed alle cd. “importazioni parallele”.

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In proposito la Corte ha puntualizzato non solo la necessità dell’esaurimento comunitario del diritto, ma anche la inopportunità dell’introduzione, da parte di uno o più degli stati membri, dell’esaurimento internazionale del diritto, che pure potrebbe essere giustificato, quanto meno tra i paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.

Come la Corte ha rilevato, l’introduzione dell’esaurimento internazionale dei diritti esclusivi deve derivare da una consapevole scelta di politica economica, che dovrà tuttavia essere affrontata nel momento in cui i Paesi membri dell’OMC daranno luogo ad un vero e proprio mercato comune.

La circolazione del dirittoIl brevetto, come si è visto, conferisce al titolare un diritto esclusivo, che si traduce, in termini economici, in un vantaggio nei confronti dei concorrenti; tale vantaggio può essere sfruttato direttamente, attuando la tecnologia brevettata, ovvero indirettamente, concedendo ai terzi, di regola dietro corrispettivo, la facoltà di attuare l’invenzione.

A seconda delle finalità di volta in volta perseguite detta concessione potrà assumere diverse forme.

Una prima ipotesi è quella della cessione del brevetto, in cui il titolare (cedente) si spoglia dell’esclusiva a favore di un diverso soggetto (cessionario) che subentra nella posizione del primo.

Di regola la cessione avviene a titolo oneroso e consente al cedente di realizzare un guadagno immediato ed indipendente dalle sorti economiche dell’invenzione; se la cessione avviene poco dopo la brevettazione i costi per l’estensione dell’esclusiva ed il mantenimento in vita della privativa -che possono essere anche ingenti- gravano sul cessionario, che ha tuttavia il vantaggio di acquistare il completo controllo dell’invenzione e del suo sfruttamento.

Una seconda ipotesi è quella della licenza, in cui il titolare del brevetto (licenziante) mantiene la titolarità dell’esclusiva ma concede ad un diverso soggetto (licenziatario) la facoltà di attuare l’invenzione, a determinate condizioni (durata, ambito territoriale, etc.).

Anche la licenza -di norma- viene concessa a titolo oneroso e consente al licenziante di godere dei frutti dell’attuazione dell’invenzione, ripartendo tuttavia tra sé ed il licenziatario i rischi ed i costi ad essa connessi. A tal fine è usuale prevedere che il licenziatario corrisponda al licenziante il corrispettivo (anche) in forma di royalties, il cui importo dipende dai ricavi o dagli utili connessi allo sfruttamento del trovato.

Il ricorso alle licenze, in un sistema industriale moderno, eventualmente in un quadro di licenze reciproche o incrociate, corrisponde alle modalità fisiologiche dello sfruttamento delle privative industriali e consente una allocazione ottimale dei costi e dei proventi della ricerca. In tale ottica l’impiego in giudizio delle esclusive nei confronti dei contraffattori può invece essere letto come un evento patologico.

La configurazione dei singoli contratti di licenza è lasciata all’autonomia privata, che nel tempo ha messo a punto diversi schemi tipici differenziati quanto alla durata della licenza, al numero dei licenziatari (la licenza può essere esclusiva o non esclusiva) o ai mercati ad essi riservati (la licenza può prevedere che l’attuazione sia limitata ad uno

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specifico settore o mercato, sia sotto il profilo territoriale che sotto quello tecnico o merceologico).

La piena libertà dei privati nel determinare i contenuti delle licenze è temperata dalla normativa antitrust, che mira ad impedire che i diritti di privativa o, più precisamente, il loro abuso, ostacolino in maniera non giustificata la libera circolazione delle merci ed il gioco della concorrenza in generale.

Il Codice contiene invece disposizioni volte ad impedire che le privative si traducano in un ostacolo al progresso tecnico e, più in generale, al benessere dei consociati. A tal fine la legge prevede due ipotesi di licenze, cd. licenze obbligatorie in quanto prescindono dalla volontà del titolare dell’esclusiva.

Una prima ipotesi è quella della licenza che spetta al titolare di un brevetto su un'invenzione dipendente (art. 71 CPI.) che costituisca un importante progresso tecnico di considerevole rilevanza economica rispetto all’invenzione principale. La norma prevede comunque che il titolare del brevetto principale abbia a sua volta diritto ad una licenza sull’invenzione dipendente.

Una seconda ipotesi è quella, accennata in precedenza, della licenza obbligatoria in caso di mancata od insufficiente attuazione dell’invenzione brevettata.

Riferimenti bibliografici

DRAGOTTI, Brevetti di prodotto, di procedimento e invenzioni d’uso dopo i Gatt-Trips, in Riv. dir. ind., 1997, I, 99

DRAGOTTI, Esaurimento, importazioni parallele e rischio di confusione, in Riv. Dir. Ind. 1999, II, 394.

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LEZIONE IX

La contraffazione del brevettoLa contraffazione del brevetto consiste nella violazione del diritto esclusivo, ossia nella attuazione dell’invenzione al fine di trarne profitto senza il consenso del titolare del brevetto (art. 66 CPI).

Seguendo l’indicazione analitica proposta dal legislatore, la contraffazione può consistere sia nella produzione del prodotto oggetto del brevetto (ovvero nell’attuazione del procedimento brevettato), sia nella sua commercializzazione, come anche nella importazione o esportazione dello stesso.

La valutazione della contraffazione comporta quindi il raffronto tra quanto è oggetto del brevetto e la condotta del preteso contraffattore; per i brevetti di prodotto, il confronto dovrà avvenire tra l’oggetto del brevetto ed il prodotto fabbricato o commercializzato dal contraffattore. L’oggetto del brevetto viene determinato, come si è visto, principalmente sulla base delle rivendicazioni.

Se il prodotto contestato riproduce tutte le caratteristiche presenti nelle rivendicazioni si avrà la contraffazione letterale del brevetto. Nella pratica la contraffazione letterale si riscontra abbastanza di rado: nel caso di contraffazione consapevole, il contraffattore di regola ha cura di introdurre varianti costruttive formali, mentre in caso di contraffazione inconsapevole le probabilità che tutte le caratteristiche rivendicate vengano riprodotte sono minime.

Più frequente il caso della contraffazione per equivalenti, in cui una o più delle caratteristiche rivendicate vengono realizzate tramite accorgimenti formalmente diversi da quelli indicati nel brevetto e che svolgono la stessa funzione, con gli stessi mezzi, ottenendo il medesimo risultato, ovvero sostituiscono delle varianti ovvie rispetto alle caratteristiche brevettate.

Recentemente la Corte di Cassazione ha proposto una definizione della contraffazione per equivalenti imperniata sul concetto di ovvietà: sono equivalenti -e non valgono ad escludere la contraffazione del brevetto- tutte quelle varianti che siano ovvie per il tecnico del ramo. Tale approccio ha il vantaggio di proporre all'interprete un criterio di valutazione (l'ovvietà) che non si discosta da quello impiegato per valutare l'altezza inventiva del trovato. L'applicazione di tale criterio deve essere tuttavia effettuata in maniera oculata, se non si vuole svuotare di significato la categoria delle invenzioni dipendenti (cfr. art. 71 CPI), che hanno per oggetto trovati non ovvi rispetto alla tecnica nota e che al contempo interferiscono con l'ambito di esclusiva derivante da un brevetto anteriore. La chiave di volta per risolvere la questione risiede probabilmente in una attenta ricostruzione del problema tecnico che i due trovati si propongono di risolvere: se entrambi affrontano lo stesso problema tecnico ed il secondo propone una soluzione non ovvia rispetto al primo, l'equivalenza non sussiste. Se invece la modifica apportata al secondo trovato, pure originale, ha per oggetto un diverso problema tecnico, l'attuazione della seconda invenzione costituisce contraffazione per equivalenti del primo brevetto.

Oltre alla contraffazione letterale e per equivalenti, giurisprudenza e dottrina hanno individuato la contraffazione parziale (che non coinvolge tutti gli aspetti

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dell’invenzione brevettata, ma solo alcuni di essi, che debbono tuttavia essere qualificanti), e la contraffazione peggiorativa (l’invenzione viene realizzata adottando accorgimenti volti all’ottenimento dello stesso risultato, sia pur in maniera meno efficace).

La contraffazione evolutiva consiste nella realizzazione di un perfezionamento dell’invenzione brevettata; qualora tale perfezionamento sia a sua volta dotato di novità ed altezza inventiva, esso potrà dare luogo ad un valido brevetto, che sarà tuttavia un brevetto dipendente, ossia non potrà essere attuato senza il consenso del titolare del brevetto principale (art. 68.2 CPI). Come già detto, qualora l’invenzione protetta dal brevetto dipendente costituisca un importante progresso tecnico di considerevole rilevanza economica rispetto all’invenzione principale (art. 71 CPI), il titolare del brevetto dipendente avrà diritto ad una licenza obbligatoria.

La contraffazione indiretta, nota anche come “contributory infringement”, consiste invece nella realizzazione di mezzi univocamente destinati ad attuare l’invenzione, come ad esempio la produzione di un prodotto univocamente destinato ad essere impiegato in un procedimento brevettato. Si tratta di una categoria sviluppata dalla giurisprudenza straniera (soprattutto anglosassone) al fine di consentire al titolare del brevetto di impedire il facile aggiramento dei suoi diritti esclusivi.

L’azione di contraffazioneLa competenza per l’azione di contraffazione segue le medesime regole viste per l’azione di nullità (art. 120 CPI): l’azione si propone nel foro del domicilio del convenuto; qualora questi non abbia la residenza, la dimora o il domicilio in Italia l’azione si propone nel foro dell’attore; qualora neppure l’attore abbia residenza, dimora o domicilio in Italia, l’azione si propone avanti al Tribunale di Roma.

I predetti criteri sono tuttavia integrati dalla previsione del sesto comma della norma in parola, che consente all’attore di proporre l’azione anche avanti alla Sezione Specializzata del tribunale del luogo in cui sono stati commessi i fatti che si assumono lesivi dei suoi diritti (cd. forum commissi delicti).Tale ulteriore criterio facoltativo assume nella pratica un rilievo tutt’altro che marginale, in quanto esso consente all’attore la scelta tra diversi tribunali quando la contraffazione avvenga a livello nazionale (pratica questa che nel diritto anglosassone è nota con il nome di forum shopping).

Anche le azioni di contraffazione, come quelle di decadenza e nullità sono ora di competenza esclusiva delle sezioni specializzate in materia di proprietà industriale ed intellettuale, istituite come si è detto con il D. Lgs. 27 giugno 2003 n. 168.

Un ulteriore elemento che consente all’attore un certo controllo sulla scelta del foro deriva dal fatto che sia la fabbricazione dei prodotti contraffatti (ovvero l’attuazione del procedimento brevettato), sia la commercializzazione dei prodotti così ottenuti costituisce contraffazione del brevetto. Il titolare del diritto può convenire nello stesso giudizio sia il produttore sia il rivenditore, proponendo la relativa azione nel foro ove uno di essi ha la residenza, in base alle norme generali sulla connessione delle cause contenute nel codice di procedura civile.

L’azione può essere proposta anche quando il brevetto non sia ancora stato concesso, purché la domanda sia stata resa accessibile al pubblico (art. 53.2 CPI). Dal momento

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che l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi non compie un vero e proprio esame di merito delle domande di brevetto, sarebbe ingiustificato subordinare la possibilità di tutelare i diritti esclusivi derivanti dal brevetto alla concessione della domanda, atto di natura formale che spesso interviene dopo un lasso di tempo non breve. La concessione del brevetto deve comunque intervenire prima della decisione della causa.

Il titolare del brevetto, con la domanda di accertamento della violazione del suo diritto esclusivo, propone di regola la domanda di condanna del contraffattore al risarcimento del danno. La condanna del contraffattore comporta altresì l’ordine di astenersi, per il futuro, dal comportamento illecito (cd. inibitoria), eventualmente assistita da una penale per il caso in cui l’ordine di inibitoria non venga rispettato (art. 124 CPI).

La legge prevede altresì alcune misure accessorie, tra cui la pubblicazione del provvedimento (art. 126 CPI), l’assegnazione in proprietà dei prodotti contraffatti e dei mezzi specifici utilizzati per la loro fabbricazione (art. 124.4 CPI) o il loro sequestro (art. art. 124.5 CPI).

Il risarcimento del dannoL’ammontare della somma che il contraffattore deve corrispondere al titolare del brevetto a titolo di risarcimento del danno viene determinata dal giudice, eventualmente anche in via equitativa (art. 125.2 CPI).

In linea di principio, il danno corrisponde alla diminuzione patrimoniale diretta subita dal titolare del brevetto a causa della contraffazione (cd. danno emergente), nonché al mancato guadagno (cd. lucro cessante).

La determinazione del mancato guadagno (di solito la voce di danno più rilevante, se non l’unica) non è agevole, dal momento che tale somma corrisponde all’utile che il titolare della privativa avrebbe ipoteticamente conseguito se la contraffazione non vi fosse stata.

Si tratta, evidentemente, di una somma ipotetica, per la cui determinazione la giurisprudenza ha evidenziato l’utilità dei seguenti indici:

(a) numero dei prodotti contraffatti commercializzati;

(b) margine di profitto unitario del titolare della privativa;

(c) margine di profitto unitario del contraffattore;

(d) royalty media del settore.

Questi indici vengono utilizzati, anche combinati tra loro, secondo i seguenti criteri di calcolo:

i. Secondo un primo criterio, il danno corrisponde al mancato utile unitario del titolare della privativa moltiplicato per il numero dei prodotti commercializzati dal contraffattore.

Si tratta del criterio che maggiormente corrisponde alla definizione di “lucro cessante”; esso tuttavia ha lo svantaggio di essere inapplicabile qualora i modelli di business del titolare del brevetto e del contraffattore siano molto lontani tra loro, ovvero quando tra il prezzo del prodotto originale e quello del prodotto contraffatto vi sia una enorme sproporzione. Inoltre non è detto che la

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contraffazione non si risolva comunque in una operazione commercialmente vantaggiosa per il contraffattore.

ii. Seguendo un secondo criterio, il danno corrisponde all’utile realizzato dal contraffattore (che si ottiene moltiplicando l’utile unitario del contraffattore per il numero dei prodotti commercializzati).

Questo criterio rischia di avvantaggiare il titolare di un brevetto che abbia la “fortuna” di vedere il suo diritto esclusivo violato da un concorrente molto abile dal punto di vista commerciale, ovvero dotato di una estesa rete distributiva, etc. Esso ben si presta ad integrare il criterio sub (1).

iii. Un terzo criterio prevede di calcolare il danno moltiplicando il numero dei prodotti contraffatti alla percentuale di royalty comune nel settore di riferimento.

Questo criterio, che ha il vantaggio di semplificare grandemente i calcoli, rischia tuttavia di equiparare il contraffattore a coloro che hanno ottenuto una licenza negoziale per lo sfruttamento del brevetto.

Anche se la giurisprudenza non privilegia univocamente l’uno o l’altro dei criteri qui riassunti, appare ragionevole assegnare una funzione centrale a quello sub (i), utilizzando quello sub (ii) come soglia minima e quello sub (iii) come criterio integrativo o di controllo della congruità degli importi così determinati.

Con l'attuazione della Direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, il legislatore ha riformulato l'art. 125 CPI, adottando un approccio dissuasivo quando non “punitivo” nei confronti del contraffattore.

Il danno deve infatti essere determinato, in primo luogo, tenendo conto “di tutti gli aspetti pertinenti, quali le conseguenze economiche negative, compreso il mancato guadagno, del titolare del diritto leso, i benefici realizzati dall'autore della violazione e, nei casi appropriati, elementi diversi da quelli economici, come il danno morale arrecato al titolare del diritto dalla violazione”. In ogni caso il danno non può essere inferiore ai “canoni che l'autore della violazione avrebbe dovuto pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso”. Detti criteri mirano a rendere svantaggiosa, sotto il profilo economico, la violazione di una esclusiva altrui, giacché i profitti eventualmente conseguiti debbono comunque essere restituiti al titolare della privativa (art. 125.3 CPI).

La norma, così come riformulata, ha il pregio di scoraggiare seriamente la contraffazione, anche se si discosta dagli usuali criteri per il calcolo del risarcimento del danno, tradizionalmente incentrati sulla diminuzione patrimoniale concretamente sofferta dal danneggiato più che sugli eventuali profitti conseguiti dal danneggiante.

I provvedimenti cautelariLe difficoltà connesse alla determinazione del danno risarcibile, così come i tempi della giustizia civile, inducono ad assegnare una importanza non secondaria ai provvedimenti cautelari, che hanno la funzione di anticipare la tutela, facendo cessare l'illecito, ad un momento precedente la definizione del giudizio.

A questo fine il nostro ordinamento prevede le misure del sequestro e dell’inibitoria cautelare.

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Appunti di Diritto Industriale – 2010/2011

Il sequestro consiste nella sottrazione alla disponibilità del contraffattore dei prodotti che violano il brevetto, nonché dei mezzi adibiti alla produzione dei prodotti contraffatti (art. 129 CPI).

L’inibitoria cautelare consiste nell’ordine del giudice, rivolto al contraffattore, di non proseguire l’attività illecita (art. 131 CPI.) sino a quando non verrà decisa la causa di merito; per accrescere l’efficacia di tale ordine esso può essere assistito da una penale, ossia da una somma predeterminata che il contraffattore dovrà pagare nel caso in cui prosegua la contraffazione.

Sia il sequestro che l’inibitoria possono essere richiesti, con un procedura snella la cui durata di regola si misura in termini di pochi mesi, prima della causa o nel corso di essa.

Al fine della loro pronuncia è necessario dimostrare la probabilità della sussistenza del diritto (di regola a questo scopo non è sufficiente l’esistenza di un brevetto italiano, concesso senza un esauriente esame di merito) e della sua violazione, nonché dimostrare che la prosecuzione dell’illecito cagiona al titolare del diritto un danno irreparabile. Le difficoltà connesse alla determinazione del danno inducono la giurisprudenza ad affermare che, nel caso di violazione di privative brevettuali, il danno sia sempre o quasi sempre irreparabile.

Il titolare di un brevetto può chiedere al giudice, con una procedura analoga a quella prevista per il sequestro e l’inibitoria, la descrizione dei prodotti contraffatti e/o del procedimento utilizzato per la loro produzione (art. 129 CPI).

Si tratta di una misura molto efficace che ha lo scopo di acquisire la prova della contraffazione, molto spesso di difficile reperimento. Quando vi sia il fondato timore che il soggetto nei cui confronti viene richiesta possa, se informato, sottrarre od occultare i prodotti o comunque pregiudicare la fruttuosa attuazione della descrizione, essa può essere concessa inaudita altera parte, vale a dire senza informare preventivamente la controparte.

Tale possibilità è prevista anche per l’inibitoria ed il sequestro, che tuttavia vengono di regola concessi solo dopo aver sentito la difesa del soggetto interessato.

Nel disporre la descrizione o il sequestro, il giudice deve tenere conto anche delle esigenze di riservatezza della parte che subisce tali misure. Purché tali esigenze vengano tutelate, il titolare del diritto ha accesso a tutti gli elementi utili a valutare la portata e gli effetti della contraffazione, anche sotto l’aspetto economico, tra cui i “documenti, elementi od informazioni” atti a confermare la contraffazione e ad individuare i soggetti in essa coinvolti (art. 121.2 CPI).

Con l'attuazione della Direttiva 2004/48/CE sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, il legislatore ha ampliato gli strumenti a disposizione del titolare del brevetto per acquisire le informazioni sull'origine e sulle reti di distribuzione dei prodotti contraffatti, istituendo un vero e proprio “diritto di informazione” (art. 121-bis CPI) in base al quale i soggetti coinvolti nella contraffazione sono tenuti a comunicare al titolare del diritto, tra l'altro, “il nome e indirizzo dei produttori, dei fabbricanti, dei distributori, dei fornitori e degli altri precedenti detentori dei prodotti o dei servizi, nonché dei grossisti e dei dettaglianti, nonché informazioni sulle quantità prodotte, fabbricate, consegnate, ricevute o ordinate, nonché sul prezzo dei prodotti o servizi in questione”. Il tutto sia al fine di contrastare efficacemente la contraffazione, sia di

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Appunti di Diritto Industriale – 2010/2011

acquisire gli elementi necessari per pervenire alla determinazione del danno, secondo i criteri prima indicati.

Riferimenti bibliografici

PELLEGRINO – DRAGOTTI, Il principio di equivalenza , in Riv. Dir. Ind. 2005, II, 70.

DRAGOTTI, L'attuazione della direttiva 'Enforcement', in Riv. Dir. Ind. 2006, III, 21

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Indice dei materiali di approfondimento

• DRAGOTTI, Software, brevetti e copyright: le recenti esperienze statunitensi, in Riv. dir. ind., 1994, I, 539

• DRAGOTTI, Brevetto chimico: invenzioni di prodotto, invenzioni d’uso e licenza obbligatoria - Una riflessione sulle esperienze statunitensi, in Riv. dir. ind., 1995, I, 156

• DRAGOTTI, Cross-border injunctions: verso una tutela sovranazionale dei brevetti (europei)?, in Riv. dir. ind., 1995, I, 256

• DRAGOTTI, Osservazioni sulle invenzioni di traslazione e attività inventiva e sulla colpa nella responsabilità ex art. 82 l. inv., in Riv. dir. ind., 1995, II, 378

• DRAGOTTI, Brevetti di prodotto, di procedimento e invenzioni d’uso dopo i Gatt-Trips, in Riv. dir. ind., 1997, I, 99

• DRAGOTTI, Esaurimento, importazioni parallele e rischio di confusione, in Riv. Dir. Ind. 1999, II, 394.

• DRAGOTTI, Alcune osservazioni sulla proposta di regolamento del consiglio relativa al brevetto comunitario, in Riv. dir. ind., 2001, I, 28

• PELLEGRINO – DRAGOTTI, Il principio di equivalenza , in Riv. Dir. Ind. 2005, II, 70

• DRAGOTTI, L'attuazione della direttiva 'Enforcement', in Riv. Dir. Ind. 2006, III, 21

• DRAGOTTI, voce “Informazioni segrete”, in Il Diritto - Enciclopedia Giuridica de Il Sole 24 Ore, Milano 2007-2008

• DRAGOTTI, I regimi di dosaggio alla prova del divieto di brevettazione dei metodi terapeutici, chirurgici e diagnostici, in Riv. dir. ind. 2009, I, 214.

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Indice SommarioNote introduttive................................................................................................................ii

Programma del Corso.......................................................................................................iii

LEZIONE I........................................................................................................................1

Diritto Industriale - Nozione..............................................................................................1

La nascita dei diritti di privativa........................................................................................1

I fondamenti economici del sistema delle privative..........................................................3

Brevettazione e segreto industriale....................................................................................4

La privativa brevettuale.....................................................................................................5

La definizione di invenzione.............................................................................................6

Le diverse tipologie di invenzioni.....................................................................................6

Riferimenti bibliografici............................................................................................8

LEZIONE II.......................................................................................................................9

Diritto industriale e armonizzazione internazionale..........................................................9

Evoluzione normativa internazionale................................................................................9

Il Brevetto Europeo: problemi e prospettive...................................................................10

Evoluzione normativa comunitaria..................................................................................11

Evoluzione normativa nazionale.....................................................................................12

Riferimenti normativi..............................................................................................14

Riferimenti bibliografici..........................................................................................15

LEZIONE III...................................................................................................................17

La tutela delle varietà vegetali.........................................................................................17

Definizione normativa di varietà vegetale.......................................................................18

Requisiti per la protezione...............................................................................................18

Microrganismi e materiale biologico...............................................................................19

Protezione complementare dei medicamenti...................................................................19

LEZIONE IV...................................................................................................................21

Le invenzioni non brevettabili.........................................................................................21

La brevettazione del software..........................................................................................21

Invenzioni e scoperte.......................................................................................................22

Altri trovati esclusi dalla brevettazione...........................................................................23

I requisiti di brevettabilità................................................................................................24

L'industrialità...............................................................................................................24

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Appunti di Diritto Industriale – 2010/2011

La liceità......................................................................................................................25

La novità......................................................................................................................25

L’originalità o altezza inventiva..................................................................................26

Riferimenti bibliografici..........................................................................................27

LEZIONE V....................................................................................................................29

Diritti di brevetto e diritti al brevetto...............................................................................29

La domanda di brevetto nazionale...................................................................................30

Il titolo.........................................................................................................................30

Il riassunto...................................................................................................................30

La descrizione..............................................................................................................30

Le rivendicazioni.........................................................................................................30

Il procedimento di brevettazione nazionale.....................................................................31

Il procedimento di brevettazione europeo.......................................................................33

Il brevetto internazionale (PCT)......................................................................................35

Materiali...................................................................................................................35

LEZIONE VI...................................................................................................................37

La nullità..........................................................................................................................37

La conversione del brevetto nullo...................................................................................38

La decadenza...................................................................................................................39

Onere di attuazione e licenza obbligatoria.......................................................................39

L’azione di nullità o decadenza del brevetto...................................................................40

Glossario..................................................................................................................42

Materiali...................................................................................................................42

LEZIONE VII..................................................................................................................43

La brevettazione del non avente diritto...........................................................................43

Le invenzioni del dipendente...........................................................................................43

Le invenzioni del ricercatore universitario......................................................................45

La formula tedesca (schema)...................................................................................46

LEZIONE VIII................................................................................................................47

L’estensione del diritto di esclusiva.................................................................................47

L’esaurimento del diritto..................................................................................................49

La circolazione del diritto................................................................................................50

Riferimenti bibliografici..........................................................................................51

LEZIONE IX...................................................................................................................53

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Appunti di Diritto Industriale – 2010/2011

La contraffazione del brevetto.........................................................................................53

L’azione di contraffazione...............................................................................................54

Il risarcimento del danno.................................................................................................55

I provvedimenti cautelari.................................................................................................56

Riferimenti bibliografici..........................................................................................58

Indice dei materiali di approfondimento.........................................................................59

Indice Sommario..............................................................................................................61

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