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19014 Economia del lavoro A.A. 2009/2010 A. Gaj Pagina 1 di 31 Approfondimento: i Mercati interni del lavoro Sommario Approfondimento: i Mercati interni del lavoro.......................................................... 1 1. Fondamenti della teoria dei mercati interni ..................................................... 1 2. Genesi e consolidamento dei mercati interni .................................................. 4 2.1 I fattori di genesi.................................................................................................. 5 3. Perché i mercati interni del lavoro sono efficienti ......................................... 7 4. Evoluzione dei modelli di mercato interno del lavoro ................................ 10 4.1 Modello tradizionale .......................................................................................... 13 4.2 Prevalenza di transazioni individuali .......................................................... 14 4.3 Il modello segmentato ..................................................................................... 15 4.4 Il modello terziarizzato .................................................................................... 16 4.5 Il modello dualistico .......................................................................................... 17 4.6 Imprese a rete .................................................................................................... 19 5. Tecnologia, organizzazione del lavoro e professionalità ........................... 20 5.1 Tecnologie specifiche ........................................................................................ 22 5.2 Tecnologie generali ........................................................................................... 23 5.3 Tecnologie effusive ............................................................................................ 24 5.4 Tecnologie intrusiva .......................................................................................... 25 5.5 Tecnologie codificabili........................................................................................... 25 5.6 Tecnologie non codificabili .............................................................................. 26 6. Il mercato interno: una rivisitazione ................................................................ 27 7. Mercato interno del lavoro come mercato ...................................................... 29 1. Fondamenti della teoria dei mercati interni La prima formulazione sistematica è stata fatta da Doering e Piore nel 1973 con il loro libro Internal Labour Markets and Manpower analysis. Essi hanno proposto una definizione e una impostazione analitica che non sono più state messe in discussione dalla letteratura specializzata. Il mercato interno è definito come: Un’unità amministrativa, quale ad esempio uno stabilimento produttivo, all’interno del quale la retribuzione e i criteri allocativi sono governati da un complesso di norme e procedure amministrative. Si distingue dal mercato del lavoro esterno della teoria economica neoclassica in quanto in quel mercato le variabili quali il salario,

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Approfondimento: i Mercati interni del lavoro

Sommario

Approfondimento: i Mercati interni del lavoro..........................................................1  1. Fondamenti della teoria dei mercati interni .....................................................1  2. Genesi e consolidamento dei mercati interni ..................................................4  

2.1 I fattori di genesi..................................................................................................5  3. Perché i mercati interni del lavoro sono efficienti .........................................7  4. Evoluzione dei modelli di mercato interno del lavoro ................................10  

4.1 Modello tradizionale ..........................................................................................13  4.2 Prevalenza di transazioni individuali ..........................................................14  4.3 Il modello segmentato .....................................................................................15  4.4 Il modello terziarizzato ....................................................................................16  4.5 Il modello dualistico ..........................................................................................17  4.6 Imprese a rete ....................................................................................................19  

5. Tecnologia, organizzazione del lavoro e professionalità ...........................20  5.1 Tecnologie specifiche........................................................................................22  5.2 Tecnologie generali ...........................................................................................23  5.3 Tecnologie effusive............................................................................................24  5.4 Tecnologie intrusiva ..........................................................................................25  

5.5 Tecnologie codificabili...........................................................................................25  5.6 Tecnologie non codificabili..............................................................................26  

6. Il mercato interno: una rivisitazione ................................................................27  7. Mercato interno del lavoro come mercato ......................................................29  

1. Fondamenti della teoria dei mercati interni La prima formulazione sistematica è stata fatta da Doering e Piore nel

1973 con il loro libro Internal Labour Markets and Manpower analysis. Essi

hanno proposto una definizione e una impostazione analitica che non sono

più state messe in discussione dalla letteratura specializzata.

Il mercato interno è definito come:

Un’unità amministrativa, quale ad esempio uno stabilimento

produttivo, all’interno del quale la retribuzione e i criteri allocativi sono

governati da un complesso di norme e procedure amministrative.

Si distingue dal mercato del lavoro esterno della teoria economica

neoclassica in quanto in quel mercato le variabili quali il salario,

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l’allocazione, lo sviluppo professionale etc. sono influenzate direttamente

da variabili di tipo economico.

I due mercati sono tuttavia interconnessi e i flussi di forza lavoro

interessano ben specifiche posizioni di lavoro che potrebbero essere

definite come “porte di entrata e di uscita” del mercato del lavoro.

Sul mercato esterno, pur tenendo conto delle eventuali situazioni di

monopolio, monopsonio e segmentazione, funziona il principio

efficientistico e marginalistico che tende a uguagliare le retribuzioni alla

produttività marginale del lavoro.

Sul mercato interno, invece, l’allocazione delle risorse (umane) e la

determinazione del loro prezzo (retribuzioni) sono sottratte ai principi

competitivi e avvengono grazie a dispositivi quali i sentieri di carriera

legati alla seniority e alla job evaluation.

Questa analisi dei mercati interni del lavoro si rifaceva in prima istanza:

alla teoria del capitale umano (Becker 1964)

alle ipotesi sulla natura “quasi fissa” dei costi del lavoro (Oi 1962)

alle analisi di tipo istituzionalista degli anni ’50 (Kerr, 1954; Dunlop

1958)

tese a dimostrare che i modelli neoclassici e concorrenziali di mercato del

lavoro descrivevano accuratamente solo i mercati del lavoro di alcuni

settori economici.

Il concetto di mercato interno si enucleava principalmente in

contrapposizione a quello di mercato esterno, rifacendosi alla teoria

dualistica del mercato del lavoro. Segmenti o comparti forti o primari e

segmenti o comparti deboli o periferici del mercato del lavoro venivano

individuati a seconda delle caratteristiche della domanda e dell’offerta di

lavoro corrispondenti (dimensione di impresa, sindacalizzazione, sesso e

classi di età delle forze di lavoro…). Con gli anni settanta, a partire dalle

elaborazioni neo-istituzionaliste, la teoria dei mercati interni del lavoro

venne progressivamente integrata nella teoria economica. Gli aspetti di

“efficienza organizzativa” dei mercati interni vennero evidenziati

soprattutto da Williamson, Wachter e Harris (1975).

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Nella seconda metà degli anni settanta la ricerca sui mercati interni si è

sviluppata lungo due filoni.

Il primo ha privilegiato le implicazioni in termini di efficienza dei

mercati interni, proponendo analisi economiche formali e sofisticate

concentrate sul tema dei contratti impliciti e incompleti (Azariadis

1975) già affrontato da un fondamentale contributo di Simon (1951) e

sull’impatto delle organizzazioni sindacali sul mercato del lavoro

(Freeman e Medoff 1984).

Il secondo invece ha privilegiato gli aspetti distributivi della teoria dei

mercati interni, analizzando le implicazioni in termini di potere

organizzativo (Kanter Moss 1978; Pfeffer 1982 e 1988), utilizzando

spesso approcci radicali (Edwards 1979).

Con gli anni ’80, la letteratura sull’economia delle organizzazioni applicata

ai rapporti di lavoro si è ulteriormente sviluppata, recuperando e

sussumendo numerosi aspetti “distributivi” nei modelli di efficienza. In

questi contributi si fa infatti esplicito riferimento a concetti tipicamente

distributivi, quali:

la ripartizione asimmetrica delle informazioni tra i soggetti

l’esistenza dei costi di transazione

la rilevanza degli investimenti reciproci che gli attori devono realizzare

per entrare in rapporto.

Anche i modelli di signaling (Spence 1974), secondo cui i lavoratori

vengono selezionati sul mercato del lavoro in base a segnali come la

scolarizzazione e la teoria della job competition (Thurow 1975), cioè la

concorrenza per posizioni di lavoro particolarmente attrattive e non per

retribuzioni attrattive (wage competition), si inseriscono in questo filone.

Successivamente, seppure con una molteplicità di approcci e metodologie,

il programma di ricerca dell’economia delle organizzazioni si è a sua volta

sviluppato e articolato lungo due filoni.

Il primo è quello della teoria dei costi di transazione (Williamson

1981, 1985, 1986, Butler 1982, Barney e Ouchi 1984, Nacamulli e

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Rugiadini 1985 Manzolini 1984 Costa 1990). Questo approccio si

concentra sull’interpretazione del rapporto di lavoro come contesto

all’interno del quale lavoratori e management realizzano scambi

economici (transazioni). Esso privilegia gli aspetti delle transazioni di

lavoro legati al tipo di risorse (grado di idiosincrasia) scambiate tra

impresa e lavoratori e al contesto organizzativo (grado di incertezza,

interdipendenza e frequenza delle transazioni).

Il secondo è quello della teoria delle agenzie (Pratt e Zeckhauser

1985; Eisenhardt 1985; Levinthal 1988; Pilati Salvemini 1989). Questo

approccio concepisce invece i rapporti organizzativi tra capi e

subordinati come relazioni contrattuali complesse tra “principale” e

“agenti”. Il principale è un capo che delega attività ad un suo

collaboratore (agente) e cerca di ottenere da questo i migliori risultati

minimizzando i costi di controllo. La teoria delle agenzie privilegia gli

aspetti delle transazioni di lavoro legati ai comportamenti dei soggetti

(opportunismo, moral hazard etc), ai loro rapporti di potere (legati al

grado di asimmetria nella distribuzione delle informazioni tra principale

e agente) e alle loro interazioni (strutture di incentivi, meccanismi di

controllo reciproco etc).

2. Genesi e consolidamento dei mercati interni

La teoria dei mercati interni si compone di due nuclei principali:

perché si formano i mercati interni;

cosa giustifica la loro permanenza e consolidamento.

Il primo nucleo concerne i fattori di genesi dei mercati interni del lavoro,

mentre il secondo riguarda i vantaggi reciproci che imprese e lavoratori

hanno nella conservazione dell’assetto formatosi con i mercati interni.

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2.1 I fattori di genesi

Le condizioni che determinano il formarsi dei mercati interni del lavoro

sono (Doering e Piore 1971 pp.14-27):

la specificità delle professionalità (skill specificity);

l’addestramento sul lavoro (on the job training);

le consuetudini e le norme informali di comportamento (customary

laws).

SKILL SPECIFICITY

È definita dalle specifiche abilità richieste nello svolgimento di una data

mansione e nell’utilizzo di una data tecnologia. Essa contribuisce alla

formazione dei mercati interni in quanto le abilità sviluppate su mansioni

particolari, o operando con tecnologie o processi produttivi propri di una

data impresa, non sono trasferibili (non hanno mercato) e implicano costi

di professionalizzazione elevati.

Williamson (1975) interpreta la specificità della professionalità in termini

di transazioni di lavoro nel senso che nell’erogazione delle prestazioni

lavorative i lavoratori sviluppano determinate job specific skills e task

specific knowledges.

Gli scambi tra capo e collaboratori assumono generalmente un certo livello

di complessità legato all’incertezza del contesto e delle prestazioni,

all’interdipendenza tra le mansioni e alla frequenza delle interazioni tra i

membri dell’unità organizzativa. Ai fini della realizzazione di questi scambi

l’identità delle parti non è indifferente. Molte prestazioni lavorative sono

specifiche nel senso che sono erogabili solo da un certo lavoratore o sono

ottenibili attraverso il lavoro di un’equipe affiatata (Alchian Demsetz

1972).

In questi contesti l’applicazione di contratti espliciti tra impresa e

lavoratore sia nelle forme estreme che in quelle più complesse e articolate

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diventa estremamente costosa e difficile. È molto più efficiente per un

capo gestire i propri collaboratori attraverso rapporti di autorità, rapporti

collaborativi basati sulla fiducia reciproca e sulla delega di aree di attività

a collaboratori fidati, lasciando che siano le dinamiche di gruppo tra pari a

governare i livelli di impegno e di sforzo che non piuttosto negoziare

sistematicamente e individualmente ogni cosa.

ON THE JOB TRAINING

L’addestramento sul lavoro contribuisce anch’esso alla formazione dei

mercati interni. Esso è una modalità di training, utilizzata soprattutto per

certi tipi di posizioni operaie e impiegatizie, e consiste in un processo non

formalizzato di trasferimento di abilità professionali. La sua attuazione

avviene attraverso l’osservazione diretta dello svolgimento delle attività

lavorative, l’affiancamento successivo a lavoratori già esperti, e

l’inserimento graduale in una data mansione.

Questa modalità di professionalizzazione del lavoro è legata circolarmente

alla skill specificity, di cui è una causa (il carattere informale dell’on the

job training non consente la codifica e la formalizzazione di quelle

specificità che sono proprie di una data tecnologia e di una data

mansione), ma anche un effetto (l’idiosincrasia delle mansioni e delle

abilità necessarie a svolgerle rende non economico il training formale al di

fuori del contesto lavorativo, mentre l’addestramento sul lavoro è di

norma individuale e quindi più adattabile alle capacità di apprendimento

del singolo lavoratore).

In altri termini, la stretta connessione del learning by doing con il teaching

by doing è favorita da e nel contempo rinforza la formazione di

professionalità specifiche e favorisce il trasferimento di queste sulle

mansioni che assumono a loro volta caratteri di specificità.

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LE LEGGI CONSUETUDINARIE

Le leggi consuetudinarie (customary laws) svolgono un ruolo importante

nella genesi dei mercati interni perché costituiscono norme di

comportamento tacite e condivise non trasgredibili senza una sanzione

definita dal gruppo sociale di appartenenza. Queste regole informali sono il

risultato dell’esperienza passata e talvolta della storia aziendale. Ad

esempio, Kanter Moss (1978) sottolinea come le organizzazioni si

caratterizzano per aspetti sociali che spingono verso l’omogeneità al

conformismo nei comportamenti e alla esclusione sistematica degli

outsider. Le regole informali di comportamento possono essere veicolate

da vari media, quali lo stile di direzione, i meccanismi di coordinamento

(comitati, riunioni, gruppi di lavoro), i sistemi di significati (concetti di

equità, competenza, merito, giustizia, etc.) trasmessi dalle tecniche di

comunicazione interna e dalle altre forme di linguaggio organizzativo, e i

riti e le saghe aziendali (Gagliardi 1986).

Queste consuetudini influenzano la disciplina dei comportamenti lavorativi

nei luoghi di lavoro, la definizione delle strutture retributive e della

dinamica salariale, l’allocazione e i criteri di mobilità interna verticale e

orizzontale del personale.

3. Perché i mercati interni del lavoro sono efficienti

In un’ottica non meramente marginalistica, i costi di turnover del

personale sono rilevanti, e legati ai processi di selezione e di inserimento,

oltre che di uscita. Il costo del lavoro per l’impresa non presenta solo

componenti variabili e dirette, ma anche e soprattutto componenti fisse e

indirette, che costituiscono vere e proprie barriere di uscita dal rapporto di

lavoro.

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Per contro, anche i lavoratori sopportano costi di mobilità tra imprese e/o

posizioni lavorative. Tali costi, che rappresentano a loro volta delle

barriere all’uscita dal rapporto di lavoro, derivano dalla necessità di

replicare i costi di soluzione dei problemi di job search, inserimento,

integrazione nel contesto sociale e organizzativo etc. e dalla impossibilità

di valorizzare completamente e trasferire (in tutto o in parte) le skill

possedute.

Il mercato interno del lavoro comporta la definizione da parte dell’impresa

di un sistema di incentivi/disincentivi che renda il turnover del personale

oneroso per i lavoratori e opportuna la scelta di utilizzare e sviluppare al

meglio le potenzialità del personale limitandone il ricambio a livello

fisiologico.

I vantaggi conseguibili dalle imprese attraverso l’uso dei mercati interni

consistono nella riduzione dei (Doering e Piore, 1971):

COSTI DI FINE RAPPORTO;

COSTI DI RICERCA DI NUOVO PERSONALE (COSTI DI INFORMAZIONE A SUPPORTO DEI

PROCESSI DI RECLUTAMENTO E SELEZIONE);

COSTI DI NON TRASPARENZA DELLE QUALITÀ PROFESSIONALI DEI NEOASSUNTI

(ELUSIONE DEI TEST DI SELEZIONE, OPPORTUNISMO, ETC);

COSTI SOCIALI E ORGANIZZATIVI CONNESSI ALL’INSERIMENTO E ALL’INTEGRAZIONE

DEL NUOVO PERSONALE;

COSTI DI INEFFICACE O MANCATO FUNZIONAMENTO DEGLI ISTITUTI CHE REGOLANO IL

MERCATO ESTERNO.

Oltre alla riduzione dei costi del turnover, l’uso del mercato interno

comporta ulteriori benefici per l’impresa. Innanzitutto, una maggiore

efficienza dei processi di ricerca, selezione e sviluppo delle risorse umane

perché da un lato l’allocazione basata sui processi di mobilità interna

verticale e orizzontale e l’utilizzo dei porti di entrata a livelli gerarchici

tendenzialmente bassi consente la determinazione di standard di selezione

meno costosi e i costi di informazione necessari alle riallocazioni e al

reclutamento interno sono ampiamente abbassati (le informazioni sono già

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disponibili internamente). Secondariamente, le modalità con cui

avvengono i processi di professionalizzazione e di integrazione

(interiorizzazione della cultura, cioè dei modelli di comportamento, delle

norme e dei valori condivisi) consentono di economizzare sui costi della

conflittualità organizzativa di tipo individuale o sindacale.

Tuttavia, la permanenza e il consolidamento dei mercati interni si

verificano anche grazie alla convergenza delle strategie dei lavoratori e

delle organizzazioni sindacali che, attraverso la genesi e il consolidamento

dei mercati interni, ottengono vantaggi in termini di (Manzolini, 1984):

garanzie di stabilità occupazionale e di opportunità di carriera pur in

presenza di livelli salariali non competitivi;

equità e trasparenza dei principi e delle norme che regolano il

funzionamento del mercato interno, spesso garantite dal controllo

sindacale (si pensi all’equità interna delle strutture retributive

determinate attraverso i piani di job evaluation, alla programmazione

delle carriere basata sulle regole della seniority).

Oltre a questi vantaggi, anche i lavoratori possono ridurre i costi di

turnover e in particolare:

I COSTI DI RICERCA DI NUOVE POSIZIONI LAVORATIVE (COSTI DI INFORMAZIONE A

SUPPORTO DEI PROCESSI DI RECLUTAMENTO E SELEZIONE);

I COSTI DI NON TRASPARENZA DELLE QUALITÀ DELLE IMRPESE E DELLE POSIZIONI

DISPONIBILI SUL MERCATO;

I COSTI SOCIALI E ORGANIZZATIVI CONNESSI ALL’ABBANDONO DI UN CONTESTO

ORGANIZZATIVO E AL CAMBIAMENTO DEL GRUPPO LAVORATIVO DI RIFERIMENTO

(PROFESSIONALE E NON);

I COSTI DI INEFFICACE O MANCATO FUNZIONAMENTO DEGLI ISTITUTI CHE REGOLANO

IL MERCATO INTERNO.

In sintesi, è la contestuale e reciproca convenienza di imprese e

lavoratori, dovuta al carattere di match-specific degli investimenti che le

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parti realizzano per entrare in rapporto, a determinare la genesi e il

consolidamento dei mercati interni.

4. Evoluzione dei modelli di mercato interno del lavoro

La rigida distinzione tra mercato interno e mercato esterno sostenuta dai

primi teorici dei mercati interni del lavoro è stata messa in crisi durante gli

anni ottanta dalla proliferazione delle forme che i mercati interni del lavoro

hanno assunto (Osterman, 1987).

Si è infatti assistito alla dissoluzione, anche in tema di rapporti di lavoro,

all’antinomia tra gerarchie e mercati (Williamson 1975) tipica, fino agli

anni settanta, delle imprese industriali. Secondo questa antinomia

esistono due modi fondamentali e idealtipici attraverso cui il lavoro può

essere utilizzato nelle produzioni per aggiungere valore, diversi tra loro

per tipo di contratto utilizzato, durata del contratto, relazione tra soggetto

e oggetto dell’attività lavorativa, concezione dei contraenti.

Nella prima modalità, il lavoro viene comprato/venduto su un mercato

secondo contratti di vendita o spot. Questi contratti sono completi e in essi

sono specificati l’oggetto, il risultato e il prezzo della prestazione

scambiata. Il rapporto di lavoro generato da questi contratti ha durata

breve o brevissima e si svolge tra contraenti che possono anche essere

sempre diversi, la cui identità è sostanzialmente indifferente. Secondo

questa modalità non esiste separazione tra lavoratore (soggetto) e

prestazione lavorativa (oggetto), che vengono comprati/venduti

simultaneamente su un unico mercato retto da principi di concorrenzialità.

Lo stock di lavoro non è distinto dal flusso, la cui erogazione avviene

immediatamente senza bisogno di ulteriori negoziazioni.

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Nella seconda modalità, il lavoro viene impiegato nelle attività

produttive attraverso un rapporto di subordinazione del lavoratore

all’impresa. Esso viene cioè comprato/venduto in due tempi: lo stock, cioè

il potenziale di risorse e di energia lavorativa posseduto da un certo

soggetto viene acquisito/ceduto su un mercato (ancora esterno) secondo

contratti di impiego che possono assumere varie forme a seconda del

contesto organizzativo. Questi contratti sono incompleti, nel senso che

non specificano l’oggetto, il risultato e il prezzo della prestazione

lavorativa. Il tipo di contratto è implicito, e viene esplicitato dai contraenti

in una continuità del rapporto di lavoro, man mano che le specifiche

situazioni lavorative si presentano. Il rapporto di lavoro governato da

questi contratti è di durata lunga o lunghissima.

Una volta siglato il contratto di impiego, impresa e lavoratore non sono

più contraenti indifferenti. Anzi sono legati in un gioco multiperiodale e

ripetuto in cui tutti gli aspetti del contratto vengono definiti e negoziati.

Secondo questa modalità esiste una distinzione tra soggetto (lavoratore) e

oggetto (prestazione) lavorativo, che assicurano la loro

presenza/appartenenza (soggetto) e la loro effettiva erogazione (oggetto)

in momenti temporali differenti e su mercati diversi.

Questi mercati sono retti uno (quello esterno) dai principi di

concorrenzialità e di valorizzazione delle risorse secondo le regole della

scarsità e dell’eccedenza e l’altro (quello interno) da procedure istituzionali

e dispositivi amministrativi. La distinzione tra soggetto/oggetto e lo

sfasamento temporale tra presenza ed erogazione rendono operativa la

distinzione tra stock di lavoro (la cui presenza e appartenenza è assicurata

dal contratto di impiego) e flusso di lavoro (l’erogazione della prestazione

lavorativa avviene in un secondo momento in base al rapporto di

subordinazione e dopo eventuali ulteriori negoziazioni).

Con gli anni ottanta, l’elemento che teneva unite le dicotomie

mercati/gerarchie, mercati interni/mercati esterni del lavoro, contratti

espliciti-spot/contratti impliciti di impiego, prezzi/procedure

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amministrative, si è via via dissolto e articolato. Inoltre ricerche più

complete hanno cominciato ad evidenziare la rilevanza delle decisioni

manageriali nella scelta di configurazione di mercato interno. Insomma,

fattori esogeni ed endogeni contribuiscono ad indirizzare in modo

differenziato i sistemi di governo delle transazioni di lavoro e a

diversificare gli assetti possibili dei mercati interni.

Un esempio di diversificazione è quello portato dagli studi di Stark (1986),

secondo cui la configurazione dei mercati interni del lavoro nelle imprese

occidentali è completamente diversa (almeno fino a tutti gli anni ottanta)

rispetto a quella delle imprese a economia pianificata dell’Est europeo. In

particolare, concependo il mercato interno come un sistema per

economizzare sui costi di governo delle transazioni di lavoro, tale sistema

cambia completamente a seconda della configurazione di incertezza

ambientale. L’incertezza ambientale di mercato viene ridotta dalle imprese

capitalistiche attraverso dispositivi istituzionali e meccanismi

amministrativi di governo delle transazioni di lavoro. Vivecersa, in un

ambiente pianificato e caratterizzato dalla burocrazia, le imprese

ungheresi ad esempio, riducono l’incertezza rendendo più flessibili e

competitivi (di mercato) i meccanismi allocativi e retributivi. I carichi di

lavoro vengono negoziati, le attività allocate in base al principio di

prestazione, le retribuzioni legate esplicitamente ai risultati. E questo è

indubbiamente un tipo assai diverso di mercato interno.

Dopo gli anni ottanta è avvenuta una inversione di tendenza nelle

necessità organizzative delle imprese che presenta caratteri antitetici

rispetto a quelle che avevano favorito, negli anni sessanta e settanta, lo

sviluppo dei mercati interni del lavoro secondo il modello “tradizionale”.

Questa inversione di tendenza sembra particolarmente evidente per le

strutture allocative, per i percorsi di sviluppo e di formazione, e per i

percorsi di carriera, per i quali, nonostante la diversità delle situazioni, si

manifesta in modo diffuso il passaggio dalla cultura della rigidità, delle

“garanzie” e della seniority, alla cultura della professionalità, del merito,

della ricerca di flessibilità e della riduzione dei costi di gestione.

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Il concetto di mercato interno è stato così implementato per interpretare

nuove realtà caratterizzate da sistemi di governo delle transazioni di

lavoro diversi e più complessi.

I diversi modelli che si possono configurare sono:

1. MODELLO TRADIZIONALE

2. PREVALENZA DI TRANSAZIONI INDIVIDUALI

3. IL MODELLO SEGMENTATO

4. IL MODELLO TERZIARIZZATO

5. IL MODELLO DUALISTICO

6. IMPRESE A RETE

4.1 Modello tradizionale

Si fa riferimento alle prime specificazioni di Doering e Piore.

Si caratterizza per:

Contratti di lavoro tendenzialmente impliciti;

Rapporti organizzativi rigidamente gerarchici.

FORMA CONTRATTUALE DEL RAPPORTO DI LAVORO

Contratto di lavoro subordinato ed è omogenea verticalmente (lungo la

gerarchia) e orizzontalmente (nelle diverse funzioni o divisioni e nei

diversi gruppi professionali)

TRANSAZIONI DI LAVORO sono collettive e mediate dai sindacati.

LE TECNOLOGIE sono tradizionali o si fa un uso tradizionale delle tecnologie

flessibili (Taylor-fordista).

ORIENTAMENTO RELAZIONALE è prevalentemente all’oggetto, sia nella

ricerca e selezione (logica della copertura della posizione) che nella

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valutazione e retribuzione (job evaluation compatibile con gli

inquadramenti sindacali).

Mobilità rigidamente e burocraticamente determinata (careers ladders), è

legata a meccanismi amministrativi e regole condivise (anzianità). Le

modalità di entrata del mercato interno sono a livelli organizzativi bassi.

Questo è stato il modello dominante in Europa e USA fino alla fine degli

anni ’70. In Italia domina ancora nei settori maturi e nel terziario

tradizionale (commercio, banche, assicurazioni); nelle dimensioni medio

piccole e nelle imprese meno dinamiche delle partecipazioni statali e PA.

4.2 Prevalenza di transazioni individuali

Prevale dove il ruolo delle organizzazioni sindacali è nullo o molto debole.

Situazioni in cui esiste una forte iniziativa imprenditoriale e manageriale

nella gestione delle risorse umane che determina una prevalenza delle

transizioni individuali.

Contratti di lavoro anche molto differenziati in termini retributivi e di

mobilità in quanto negoziati ad hoc e personalizzati.

Esistono alcuni principi unificanti depositati nelle direzioni del personale

che rendono legittimi e percepiti come equi tali contratti (Weiss 1988).

Internal marketing. È ottimizzata la gestione dei dipendenti in coerenza

con le proprie strategie e obiettivi. Esse sono centrate sui bisogni e sulle

attese dei lavoratori, ma soprattutto sulle scelte manageriali interne di

gestione del fattore lavoro e di relazione con il personale.

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4.3 Il modello segmentato

Riguarda le imprese di grandi dimensioni e internazionali che sono:

Diversificate;

Integrate verticalmente.

In cui il mercato interno non è strutturato in modo univoco ma a seconda:

Della società del gruppo

Della filiale estera

Della unità organizzativa (divisione/funzione)

Esistono diversi mercati interni relativamente IMPERMEABILI tra loro e

tuttavia INTERCONNESSI.

È verificato da diverse indagini che questi sub-mercati abbiano differenti

mercati retributivi di riferimento esterni.

Esempi classici sono:

le filiali delle imprese multinazionali, che tendono a sviluppare

(seppure con gradazioni diverse) mercati interni coerenti anche con lo

specifico contesto nazionale;

il management dei professionals e in particolare del personale delle

funzioni di ricerca e sviluppo, che richiede l’adozione di una logica

specifica;

le business units (divisioni di un’impresa o società operative di un

gruppo) relative ad aree strategiche di affari collocate a stadi diversi

del ciclo di vita dei business.

A livello internazionale le imprese giapponesi che sul mercato interno

hanno caratterizzazioni molto specifiche in termini di:

Meccanismi di promozione;

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Retribuzione;

Organizzazione del lavoro.

Hanno sperimentato notevole difficoltà nel proporre nelle subsidiarie

estere gli stessi meccanismi.

In Italia problemi come questi sorgono a seguito di fusioni, acquisizioni e

joint ventures. In questi casi le transazioni di lavoro rimangono a lungo

governate da insiemi di meccanismi differenziati configurando così mercati

interni segmentati o dualistici.

4.4 Il modello terziarizzato

Questo modello è stato anche definito “salaried” da Osterman (1987,

1988) che sottolinea le conseguenze delle esigenze di flessibilità emerse in

certi settori:

Necessità di innovazione;

Accorciamento dei cicli di vita dei prodotti;

Nuove opportunità delle tecnologie ICT.

Ovvero

Nuove professionalità;

Accentuazione del ruolo dei white collars rispetto ai blue collars;

Strutture organizzative piatte.

TRANSAZIONI DI LAVORO

Ci sono meccanismi più flessibili, infatti, pur restando i CONTRATTI IMPLICI,

questi vengono gestiti in modo meno rigido per quel che riguarda:

Le strutture retributive

o Che devono essere competitive verso l’esterno;

o Bilanciate in termini di rapporto tra il contributo del singolo e

gli incentivi erogati

La mobilità; esistono quindi una molteplicità di percorsi di carriera

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Gli aspetti normativi; orario, condizioni di lavoro.

In generale vari esempi (DELL, IBM) ci dicono che la necessità di rendere

più FLESSIBILE le strategie di business:

Accorciamento dei cicli di vita del prodotto

Cambiamenti nei mix

E l’organizzazione:

Abbassamento del rapporto diretti/indiretti;

Svecchiamento della popolazione aziendale

È stata ottenuta attraverso un programma integrato composto da

meccanismi per la MOBILITÀ VERTICALE E ORIZZONTALE del personale

di sviluppo e riprofessionalizzazione

di gestione delle uscite (outplacement).

4.5 Il modello dualistico

In alcune imprese è possibile rilevare la presenza di un mercato dualistico.

Questo mercato si caratterizza per la presenza di un NUCLEO (core) di

risorse umane e di una periferia; il nucleo centrale o primario spesso è

gestito secondo lo schema terziarizzato, mentre quello di personale

periferico o secondario, viene gestito diversamente.

TRANSAZIONI DI LAVORO

La loro gestione è duplice. Il personale della periferia è gestito spesso con:

Contratti impliciti per durata

o Part-time

o Tempo determinato

Aspetti normativi

o Orario flessibili

o Job sharing

Forma non sono contratti di lavoro subordinato ma:

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o Rapporti professionali

o Contratti a prestazione

o Contratti bilaterali

o Lavoro temporaneo

RETRIBUZIONI E MOBILITÀ

Seguono logiche diverse. Il personale periferico costituisce un bacino cui

l’impresa può attingere per il reclutamento o ovviare alle job vacancies.

La distinzione tra centro e periferia è legata al tipo di attività svolte dal

personale:

Tipo di attività svolta dal personale

Tecnologie utilizzate

Know-how richiesto

La distinzione tra centro e periferia è in genere legata al tipo di attività

svolte dal personale, nonchè alle tecnologie utilizzate e al know how

richiesto.

Management delle tecnologie;

Definizione dei confini di impresa;

Tipo e grado di segmentazione del mercato interno.

Sono strettamente correlati.

Questo è il modello tipico delle:

Imprese giapponesi e delle loro gerarchie di sub-contracting;

Grandi gruppi coreani;

High tech Silicon Valley.

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4.6 Imprese a rete

La rete costituisce una forma organizzativa emergente.

TRANSAZIONI DI LAVORO

Sono modificate radicalmente dalle relazioni cooperative tra imprese.

Prevalgono i rapporti di lavoro autonomo rispetto a quelli di lavoro

subordinato.

Si instaurano relazioni di tipo

EMPLOYER-EMPLOYER.

Rispetto alla tradizionale

EMPLOYER-EMPLOYEE.

La RETE configura un mercato interno del lavoro caratterizzato da uno o più

CLUSTER di contratto espliciti tipo:

Franchising;

Concessione esclusiva;

Licenza;

Fornitura di servizi personali;

Sub-contracting.

Il mercato interno assume forme diverse in funzione del tipo di rete:

Reti di distribuzione;

Consorzi;

Imprese cooperative;

Insiemi di attività decentrate da parte di grandi gruppi

Sono assetti organizzativi cui corrispondono sistemi innovativi di governo

delle transizioni.

Non solo il mercato del lavoro esterno è diventato un mercato di contratti

Segmentato

Dualistico

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Istituzionalizzato

Ma anche i mercati interni si adattano evolvendo le proprie forme

differenziandole a causa di

Pressioni tecnologiche

Pressioni economiche

Inoltre si affermano meso-configurazioni economiche

Imprese-rete;

Reti di imprese;

Distretti industriali

Anch’esse tendono a caratterizzarsi per la presenza di uno o più insiemi di

meccanismi di governo delle transazioni di lavoro strutturalmente diversi

per durata e forma.

L’ipotesi fondamentale è che

Il lavoro come fattore produttivo non è scindibile dell’attore sociale in

cui è incorporato

È quindi necessario considerare separatamente il momento in cui

Si negozia l’impiego o l’appartenenza ad un’azienda

Da quello in cui giorno per giorno

Viene erogata o parzialmente rinegoziata la prestazione.

5. Tecnologia, organizzazione del lavoro e professionalità

Abbiamo detto che nelle transazioni di lavoro, l’oggetto dello scambio tra

impresa e lavoratore nasce dalla professionalità che il lavoratore ha

acquisito. Questa professionalità è identificabile con un insieme di

informazioni possedute dal lavoratore e sedimentate in date skill. Dipende

cioè oltre che dalle caratteristiche innate, anche dal patrimonio di

esperienza sviluppato attraverso le interazioni tra lavoratore e specifico

contesto lavorativo.

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La professionalità di un lavoratore è concepibile come un pool di

informazioni, di skill manuali e intellettuali, di sapere tecnologico e

organizzativo, ovvero di capitale umano.

Queste skill:

RAPPRESENTANO SPESSO RISORSE E KNOW-HOW DI TIPO TACITO E IMPLICITO, CIOÈ

INCORPORATE NELLA PERSONA E QUINDI NON CODIFICABILI ED ESPLICITABILI COME

ALTRI TIPI DI “SAPERE” SECONDO LA COSIDDETTA METAFORA DEL BLUE PRINT BOOK

(NELSON WINTER 1982, POLANYI);

RAPPRESENTANO SPESSO INFORMAZIONI, CONOSCENZE E CAPITALE UMANO

SPECIFICO DI IMPRESA E DI LUOGO E DI TEMPO, ANCHE SE RELATIVAMENTE FUNGIBILE

IN TERMINI DI UTILIZZO POTENZIALE (HAYEK 1945, WILLIAMSON 1975);

RAPPRESENTANO SPESSO INFORMAZIONI, CONOSCENZE E CAPITALE UMANO

DERIVANTE DA PROCESSI DI APPRENDIMENTO (MALERBA 1988) E DI MEMORIA

ATTRAVERSO IL LORO ESERCIZIO (DOING), UTILIZZO (USING) E SCELTA

(CHOOSING), DI SOLITO LEGATI ALLE ATTIVITÀ DI PROBLEM SOLVING NELLE

ORGANIZZAZIONI (ARGYRIS E SCHOEN 1978, VON HIPPEL 1988, WARGLIEN

1989).

La matrice di questa professionalità sviluppata sul posto di lavoro è

ritrovabile nel concetto di tecnologia, ovvero quel complesso di condizioni

tecniche e organizzative che presiedono alle attività di trasformazione

delle risorse in prodotti/servizi.

In particolare sono individuabili tre tipologie di tecnologie che hanno

rilevanti conseguenze sulla formazione della professionalità dei lavoratori:

1. tecnologie generiche e specifiche;

2. tecnologie effusive e intrusive;

3. tecnologie codificabili e non codificabili.

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5.1 Tecnologie specifiche

La tecnologia è una variabile ambientale che può venire interiorizzata

dall’impresa in modi differenti. Le imprese possono classificare la

tecnologia presente nelle diverse attività in funzione del loro grado di

specificità aziendale.

Il carattere firm specific delle tecnologie dipende da una serie di fattori:

spesso le tecnologie sono sviluppate all’interno delle imprese e sono

finalizzate alla risoluzione di problemi tecnico-economici specifici; esse

possono costituire il prodotto principale o un by-product

dell’organizzazione e presentano quindi caratteri peculiari e non

direttamente applicabili ad altre realtà;

le tecnologie sono in genere finalizzate alla risoluzione di problemi

particolari, e tuttavia possono avere un potenziale di applicazione assai

ridotto o assai ampio a seconda dei soggetti che le utilizzano;

potenziale comunque con trasferibilità limitata;

spesso le tecnologie abbisognano di altre tecnologie complementari per

essere utilizzate, in particolare di codici e linguaggi di comunicazione

che sono specificatamente aziendali o addirittura peculiari di gruppi

professionali o unità organizzative;

spesso le tecnologie sono deliberatamente o involontariamente

protette (windows versus linux) e quindi non disponibili off the shelf a

chi vuole adottarle.

Le tecnologie specifiche sono pertanto quelle finalizzate alla risoluzione di

problemi particolari che l’impresa, l’unità organizzativa o il singolo si sono

trovati storicamente ad affrontare.

Esse implicano un’organizzazione del lavoro in cui le mansioni richiedono

professionalità particolari e implicano processi di apprendimento specifici,

relativi a skill almeno parzialmente infungibili.

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Le abilità relative a questo tipo di mansioni ‘non hanno un mercato’, nel

senso che non essendo riferibili a posizioni e tecnologie analoghe in altre

imprese, il loro contenuto ha un valore solo all’interno del contesto

organizzativo specifico e dell’impresa. Impresa e lavoratore sono locked in

in un rapporto in cui l’una affronta più o meno cospicui costi di

addestramento e inserimento e l’altro possiede e sviluppa una

professionalità parzialmente o totalmente non valorizzabile e non vendibile

altrove.

5.2 Tecnologie generali

Le tecnologie generali sono invece quelle:

finalizzate alla soluzione di problemi più generali che più imprese in un

settore si sono storicamente trovate ad affrontare, o di problemi che

sono comunque riconducibili a quelli presentatisi altrove;

hanno un potenziale di utilizzo più ampio;

sono acquisibili anche dall’esterno e quindi applicabili semplicemente o

convertibili a costi relativamente bassi.

Spesso implicano un’organizzazione del lavoro in cui le mansioni

richiedono professionalità di tipo generale e innescano processi di

apprendimento relativi a skill almeno parzialmente fungibili.

Le abilità relative a questo tipo di mansioni ‘hanno un mercato’ nel senso

che il loro contenuto è assimilabile (in termini di compiti, funzioni e

informazioni) a quello di posizioni analoghe (per analogia tecnologica) in

imprese diverse e quindi trasferibile.

A seconda del grado di specificità, le tecnologie influenzano il grado di

idiosincrasia delle mansioni derivante dalle scelte di organizzazione del

lavoro effettuate dal management. In altri termini, il grado di asset

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specificity delle tecnologie è legato, attraverso le scelte di job design, al

grado di specificità delle mansioni che è uno dei fattori di genesi dei

mercati interni.

5.3 Tecnologie effusive

Una tecnologia è effusiva quando le informazioni rilevanti per lo

svolgimento della mansione e delle funzioni devono essere memorizzate,

interiorizzate e parzialmente sviluppate dall’operatore. Tali informazioni

richiedono un’elaborazione in termini di ‘spazio’ e ‘tempo’ con i soggetti

che coprono altre mansioni e svolgono altre funzioni. Ciò crea una

rilevante interazione dell’operatore rispetto al processo produttivo e un

notevole investimento per l’impresa in termini di ricerca e selezione di

personale col desiderato grado di addestrabilità, in termini di formazione e

di professionalizzazione ricorrente.

In presenza di tecnologie effusive

La divisione del lavoro;

La sostituzione e il rimpiazzo degli operatori;

La turnazione;

L’assenteismo;

Il turnover e le forme flessibili (part-time, job-sharing etc)

Implicano una ripetizione dei costi di professionalizzazione e

apprendimento e comportano attività di trasferimento di informazioni con

le eventuali inefficienze a essa collegate.

Con la tecnologia effusiva l’investimento è assai più cospicuo e non è

necessariamente una conseguenza dei criteri di progettazione delle

mansioni. Infatti con le tecnologie effusive le mansioni tendono ad essere

più ampie e ricche e le rotazioni favorite.

Le tecnologie effusive richiedono un investimento in capitale umano più

cospicuo di quelle intrusive e implicano processi di professionalizzazione

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‘pregiata’ per i lavoratori che sviluppano un repertorio di skill più ricco

(per qualità e quantità).

5.4 Tecnologie intrusiva

Una tecnologia è intrusiva quando le informazioni rilevanti per il processo

produttivo sono memorizzate e incorporate nelle macchine (hardware) o

nei sistemi operativi e procedure (software). Le mansioni, funzioni o

operazioni in oggetto sono svolgibili e gestibili da un qualsiasi operatore,

qualunque sia la sua collocazione spaziale e temporale, senza che sia

necessaria una specifica interazione individuale. In questo caso esiste una

relativa indifferenza dell’operatore rispetto al processo nel senso che

l’investimento dell’impresa nei processi di professionalizzazione e

apprendimento è di entità relativa e trascurabile.

Il lavoro è più facilmente ed economicamente divisibile e la sostituzione e

il rimpiazzo degli operatori non comporta i costi rilevati per le tecnologie

effusive.

La distinzione tra tecnologie effusive e intrusive consente pertanto di

cogliere un primo elemento caratteristico delle professionalità sviluppate

nel rapporto di lavoro dai lavoratori sui processi produttivi: le tecnologie

effusive richiedono investimenti in capitale umano più cospicui di quelle

intrusive e implicano processi di professionalizzazione pregiata per i

lavoratori che sviluppano un repertorio di skill più ricco (per qualità e

quantità).

5.5 Tecnologie codificabili

La distinzione può essere fatta risalire a Nelson e Winter (1982) e alla

cosiddetta “metafora del blue print book”.

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È condivisa l’idea che le tecniche produttive sono caratterizzabili da blue-

prints, cioè da ricette come in libro di cucina. Il know-how tecnologico così

concepito si presenta sotto le forme di un sapere codificato, cioè scritto o

contenuto in un qualche file o manuale, e pertanto facilmente accessibile e

trasferibile tra lavoratore e lavoratore all’interno di un’impresa e tra

impresa e impresa all’interno di un settore.

In realtà non tutte le tecnologie sono codificabili e le informazioni che esse

utilizzano (input) o da esse emanano (output) non sono sempre articolabili

e quindi accessibili e trasferibili ad altri soggetti e altre imprese.

Polanyi (1958) ha sottolineato che il sapere individuale e quindi la

professionalità di un lavoratore hanno una rilevante componente tacita e

implicita, e che molto spesso queste skill non sono codificabili. In

particolare alcune tecnologie richiedono abilità che non sono definibili a

priori, né possono essere capite e acquisite da altri, ma il loro possesso

richiede l’esercizio e la sperimentazione personale.

Le tecnologie codificabili implicano un’organizzazione del lavoro le cui

mansioni richiedono professionalità e quindi skill esplicitabili, misurabili

(cioè comunicabili) e quindi trasferibili ad esempio ad altri lavoratori (esse

possono o meno avere un valore al di fuori del contesto organizzativo

specifico e al di fuori dell’impresa). In altri termini, le abilità necessarie

allo svolgimento della mansione, anche nel caso in cui siano sviluppate dal

lavoratore sono esplicitabili e codificabili in supporti oggettivi.

5.6 Tecnologie non codificabili

Le tecnologie non codificabili implicano un’organizzazione del lavoro in cui

le mansioni richiedono professionalità e quindi skill a forte componente

implicita o tacita. Le abilità relative a questo tipo di mansioni sono

difficilmente esplicitabili e quindi trasferibili ad altri lavoratori, anche se

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possono o meno avere valore in altri contesti organizzativi. In altri

termini, le abilità necessarie allo svolgimento della mansione restano

depositate in modo esplicito e tacito nel lavoratore.

6. Il mercato interno: una rivisitazione

Quindi come abbiamo avuto modo di vedere, la controprova più evidente

dell’esistenza dei mercati interni è basata sull’elevata durata media dei

contratti di impiego nelle imprese.

Le modalità con cui impresa e lavoratore entrano in rapporto e la durata di

questo ultimo, costituiscono un primo modo attraverso cui è valutabile in

termini operativi il concetto di mercato interno. Tanto più è lungo il

rapporto di lavoro tra un’impresa e i suoi collaboratori e tanto più ci si

allontana dal “mercato”, configurato dal “contratto di vendita” e tanto più

ci si avvicina la “mercato interno” configurato dal “contratto di impiego”.

In un’ottica economico-organizzativa, l’impresa da un lato e i lavoratori

dall’altro hanno convenienza a rendere durevole il loro rapporto (e quindi

a creare una situazione di mercato interno) minimizzando il turnover,

quando sussistono due condizioni:

UNA CONDIZIONE QUANTITATIVA; IMPRESA E LAVORATORE REALIZZANO UN

INVESTIMENTO NEL RAPPORTO IL CUI VALORE ATTUALE NETTO (CONSIDERANDO LA

SOMMATORIA DELLE DIFFERENZE ATTUALIZZATE DEI BENEFICI E DEI COSTI DERIVANTI

DAL RAPPORTO) È POSITIVO DOPO UN CERTO NUMERO DI ANNI;

UNA CONDIZIONE QUALITATIVA; IMPRESA E LAVORATORE RISULTANO LOCKED IN NEL

RAPPORTO, CIOÈ IL RECIPROCO INVESTIMENTO NEL RAPPORTO STESSO È DI TIPO

IDIOSINCRATICO E NON VALORIZZABILE AL DI FUORI DELLA LORO RELAZIONE.

Il costo del turnover rappresenta pertanto una sorta di “barriera all’uscita”

dal rapporto. Ma in cosa consiste il costo del turnover per un’impresa?

1. Il costo fisso di ricerca e selezione del personale (reclutamento,

consulenze, screening, colloqui, ecc..);

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2. Il costo fisso d’uscita del personale (outplacement, bonus, indennità

sostitutiva preavviso, ecc..);

3. Il tipo di professionalizzazione cui il lavoratore è sottoposto, che

comprende costi fissi di addestramento e formazione e costi di

apprendimento che sono variabili in funzione del tipo di posizione e di

tecnologia. In particolare, il livello di questi costi di

professionalizzazione è tendenzialmente più elevato in presenza di

tecnologie effusive, e il rischio di non recuperare tali costi è più alto se

la professionalizzazione è di tipo “forte” ed “esplicito”.

Questi costi, sostenuti lungo il periodo di permanenza in azienda del

lavoratore e soprattutto nella fase iniziale, sono prevalentemente

indipendenti dalle prestazioni (cioè dalla produttività, impegno, sforzo

ecc..) erogate dal lavoratore e rappresentano i costi che l’impresa deve

ridurre a zero per poter “entrare” in rapporto di “mercato interno” con il

lavoratore.

Tanto maggiore è il livello di questi costi, tanto più lungo tendenzialmente

dovrà essere il rapporto di lavoro, in quanto più lungo è il payback period

(o il numero degli anni in cui i flussi netti attualizzati di produttività del

lavoratore eguagliano gli investimenti iniziali in capitale umano e le

retribuzioni erogate dall’impresa).

Fondamentalmente nella considerazione dell’investimento in capitale

umano è comunque la specifica quantità della tecnologia e della relativa

organizzazione del lavoro utilizzata.

Se la professionalità del lavoratore è vendibile sul mercato e di tipo “forte”

(tecnologie effusive e generali) e se essa non è esplicita, cioè

comunicabile ad altri lavoratori (tecnologie non codificabili), l’impresa sarà

costretta a intervenire in termini retributivi (ricompense intrinseche o

estrinseche) per limitare il turnover. Sarà cioè costretta a pagare salari di

efficienza.

Considerazioni analoghe a quelle svolte fin qui per l’impresa, potrebbero

essere svolte anche per i lavoratori. Anche per essi esiste un costo di

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turnover dato dalla sommatoria dei costi di ricerca e selezione del posto di

lavoro (informazioni), dai costi di uscita e da quelli di professionalizzazione

e integrazione nel contesto socio-organizzativo dell’impresa.

7. Mercato interno del lavoro come mercato

Una volta che sono state definite le modalità di accesso al mercato interno

e l’entrata nel rapporto di lavoro, la definizione dell’assetto di mercato

interno deriva da come si svolgono le transazioni tra capi e subordinati e

quindi dalle loro caratteristiche.

I meccanismi di governo delle transazioni (selezione, sviluppo, carriera,

valutazione, retribuzione, ecc..) e quindi le eventuali soluzioni contrattuali

in cui si sono inseriti, dipendono dalle scelte strategiche e di struttura

organizzativa oltre che dai vincoli tecnologici e istituzionali.

A seconda del tipo di tecnologia utilizzata, anche l’insieme dei meccanismi

che regolano l’erogazione delle prestazioni di lavoro cambia

profondamente. Ad esempio, è solo in presenza di tecnologie intrusive e

codificabili che l’impresa ha convenienza a rendere flessibile il rapporto

usando la strumentazione contrattuale relativa ai meccanismi di gestione

dell’orario e dell’organizzazione del lavoro (part-time, job sharing, orario

flessibile, rapporto professionale o di consulenza).

I meccanismi di governo delle transazioni di lavoro non si differenziano

però solo per la forma contrattuale attraverso cui impresa e lavoratore

entrano in rapporto realizzando reciproci investimenti match-specific.

Anzi, sono proprio le relazioni tra i soggetti che determinano le modalità

dello scambio tra le prestazioni lavorative fondate sulla professionalità del

lavoratore e il pacchetto di ricompense intrinseche messo a punto

dall’impresa.

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Questo punto è particolarmente importante. Sottolineando l’esistenza di

una dimensione di scambio anche nel mercato interno se ne supera la

visione come “unità amministrativa”, come luogo cioè in cui le transazioni

sono governate esclusivamente da rigidi dispositivi istituzionali. In realtà,

pur nella sua istituzionalizzazione, anche nel mercato interno si svolge una

complessa attività di negoziazione bilaterale e multilaterale, individuale e

collettiva, in cui gli attori si comportano strategicamente a livello sia

individuale che collettivo.

Ad esempio, un manager può scambiare con i propri collaboratori una

certa flessibilità nell’orario di lavoro a fronte di una provata disponibilità a

effettuare straordinari e a lavorare in giorni festivi nei periodi di picco.

Oppure l’intervista di valutazione o il processo di direzione per obiettivi

possono diventare un momento di negoziazione importante in cui il

raggiungimento di obiettivi di risultato viene scambiato con un’allocazione

di risorse più favorevole al valutato.

Inoltre, l’effetto lock in legato al reciproco investimento match specific

effettuato da impresa e lavoratori, crea la possibilità che si generino

comportamenti di tipo elusivo o opportunistico da parte del lavoratore o

da parte dell’impresa. Questo significa ad esempio, che i manager da un

lato ed i lavoratori dall’altro ricerchino inefficienti posizioni di rendita,

caratterizzando dunque ex post il mercato interno come una situazione di

negoziazione bilaterale, cioè come un luogo in cui le prestazioni reciproche

vengono negoziate sulla base della situazione contingente e quindi anche

dei rapporti di potere.

Il mercato interno non è più quindi solo un insieme di meccanismi

amministrativi, di dispositivi istituzionali e comunque organizzativi

finalizzato ad economizzare sui costi delle transazioni di lavoro, ma è

anche, pur nelle sue peculiarità, un vero e proprio “mercato” in cui

lavoratori e impresa rinegoziano, una volta affrontati i costi per entrare in

rapporto, l’erogazione delle prestazioni reciproche. I mercati interni si

differenziano quindi anche per i meccanismi di allocazione, di controllo e di

Page 31: Approfondimento: i Mercati interni del lavoro -  · 19014 Economia del lavoro A.A. 2009/2010 A. Gaj Pagina 3 di 31 Nella seconda metà degli anni settanta la ricerca sui mercati interni

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incentivazione necessari a far collimare gli obiettivi aziendali con quelli

individuali e collettivi, attraverso comportamenti opportuni.

Tuttavia, questa dimensione negoziabile del mercato interno non deve

indurre in equivoci. Si tratta di un mercato comunque particolare,

caratterizzato da gradi e tipi diversi di istituzionalizzazione. Ad esempio

Rosenbaum (1979) ha evidenziato che i percorsi professionali e di carriera

nelle grandi imprese possono essere interpretati in termini storici

(attraverso i cosiddetti tournments models). Nei mercati interni, la

mobilità nei periodi iniziali è correlata al tipo e alla velocità di carriera

successivamente svolta, per cui, il fatto di iniziare la propria carriera in

una certa unità organizzativa, o di avere un capo che fa carriera molto

rapidamente influenzano in modo determinante i processi di avanzamento.