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Abstracts Convegno 2010 1 Convegno-Seminario di aggiornamento per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda Apprendere l’italiano da lingue lontane: prospettiva linguistica, pragmatica, educativa Bergamo, 17 - 19 giugno 2010 Raccolta degli Abstracts UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO CIS – CENTRO DI ITALIANO PER STRANIERI CENTRE OF ITALIAN FOR FOREIGNERS

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Convegno-Seminario di aggiornamento

per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda

Apprendere l’italiano da lingue lontane:

prospettiva linguistica, pragmatica, educativa

Bergamo, 17 - 19 giugno 2010

Raccolta degli Abstracts

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BERGAMO CIS – CENTRO DI ITALIANO PER STRANIERI CENTRE OF ITALIAN FOR FOREIGNERS

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Relazioni ad invito - Abstracts Giuliano Bernini (Università di Bergamo) Misurare la lontananza tipologica: l’apporto del World Atlas of Language Structures La relativa distanza tipologica tra le lingue coinvolte nei processi di apprendimento di L2 è uno dei fattori che possono favorire o rallentare l’apprendimento, come è stato mostrato da una serie di lavori ormai nutrita, tra i quali, per l’italiano, si ricordano qui Valentini (1992), Schmidt (1994), Chini (1995) e Giacalone Ramat (2009). La pubblicazione del World Atlas of Language Structures (WALS, cfr. Haspelmath/Gil/Dryer/Comrie 2005) e la sua messa in rete (http://wals.info/index) permettono ora di elaborare profili tipologici di molte lingue del mondo fondate sulla comparazione di tratti che possono essere elaborati sia qualitativamente sia con strumenti statistici in molte direzioni, tra le quali sono prevalenti quella genealogica e areale (cfr. p.es. Cysouw/Comrie 2009). Sulla base delle carte dello WALS, è possibile elaborare il profilo tipologico delle lingue prime coinvolte nei processi di apprendimento dell’italiano come lingua seconda, verificandone la relativa lontananza tipologica nei livelli di analisi e nei tratti per i quali le lingue interessate sono state considerate. A questo riguardo, rispetto all’italiano considerato per 69 tratti nello WALS, si considerano due aspetti: a) Il problema di ordine metodologico relativo alla diversa quantità di tratti considerati per le lingue che si vogliono comparare. Tra le lingue prime coinvolte nell’apprendimento dell’italiano il tigrino è considerato nello WALS per soli 17 tratti, il cinese mandarino per quasi il doppio di tratti (130), albanese e romeno per un numero analogo di tratti (rispettivamente 78 e 70). b) La misurazione della relativa lontananza tipologica che caratterizza l’italiano rispetto a romeno e cinese mandarino.

Bibliografia Cysouw, Michael/Comrie, Bernard (2009), “How varied typologically are the languages of

Africa?”. In: Botha, Rudolf/Knight, Chris (ed.), The Cradle of language, Oxford, Oxford University Press, pp. 189-203.

Chini, Marina (1995), Genere grammaticale e acquisizione. Aspetti della morfologia nominale in italiano L2, Milano, FrancoAngeli.

Giacalone Ramat, Anna (2009), Typological universals and second language acquisition, in Scalise, Sergio et alii (eds.), Universals of language today, Berlin, Springer, pp. 253-272.

Haspelmath, Martin/Gil, David/Dryer, Matthew/Comrie, Bernard (eds.) (2005), The World Atlas of Language Structures, Oxford, Oxford University Press.

Schmid, Stephan (1994), L’italiano degli spagnoli, Milano, FrancoAngeli. Valentini, Ada (1992), L’italiano dei Cinesi. Questioni di sintassi, Milano, Guerini e associati.

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Paola Gandolfi (Università di Bergamo) Apprendere l’italiano con uno sguardo verso le lingue materne e “altre” culture educative. Percorsi tra pedagogie e società, tra progetti di insegnamento dell’arabo ai figli di migranti a scuola in Europa e coraggiosi progetti interculturali in Italia. L’obiettivo di questo contributo è proporre alcuni stimoli alla riflessione sull’apprendimento dell’italiano per figli di migranti nelle scuole italiane a partire dall’attenzione, da un lato, alle culture educative delle loro famiglie e delle loro società di origine e, dall’altro, alla loro lingua materna e ai loro vissuti plurilingui. Focalizzando l’analisi sui figli di migranti di origine araba (e, nello specifico, sui figli di migranti originari del Maghreb e del Marocco in particolare), l’intenzione è di suggerire alcune minime chiavi di lettura dei contesti culturali e sociali di origine e delle “culture educative” delle loro famiglie. Da qui, l’interesse è di proporre dei percorsi che si snodino - con innovazione - tra diverse pedagogie e società, al fine di valorizzare “altre modalità” di apprendere e al fine di tutelare le lingue materne e le lingue di origine dei figli di migranti, nella consapevolezza – oltre che del già complesso “mercato linguistico”, culturale e simbolico (A.Boukous, 1999) specifico della società di origine delle famiglie di migranti e del ruolo della questione linguistica nel loro sistema educativo – dell’importante funzione della lingua materna nell’apprendimento della lingua seconda e nella prospettiva di un approccio interculturale che sempre più va ripensato e ridiscusso in relazione alla complessità della società contemporanea. Un’analisi dell’insegnamento della lingua e della cultura araba nelle scuole di alcuni paesi in Europa ci invita a considerare quelle politiche che hanno tenuto conto dell’evoluzione linguistica dei figli di migranti ed hanno agito nella consapevolezza che le lingue standard non sono più gli unici referenti. Uno sguardo sui paesi europei di più antica immigrazione ci interroga oggi, anche in Italia – dove in alcune scuole sono iniziati da pochi anni i primi progetti pilota, tra gli altri, di insegnamento della lingua araba e cultura marocchina in collaborazione tra Marocco e Italia - sulla necessità di considerare, anche, le cosiddette «lingue (e culture) di contatto» (A.Tabouret-Keller, 1997 - P.Gandolfi, 2009) e di avvalorare la complessa realtà sociolinguistica e socioculturale che gli studenti delle nostre scuole vivono. In questo quadro, si va nella prospettiva di un’idea di intercultura “in divenire” che tenga conto di tutto questo e che, magari, vada anche oltre. Un’idea che si traduce in attività educative e didattiche e in progetti che possono prevedere al loro interno, ad esempio, persino l’insegnamento di un vernacolo di un gruppo arabofono minoritario per tutti gli alunni di una classe di una scuola primaria italiana. Il che rappresenta una scelta educativa coraggiosa e suggerisce nuove organizzazioni e sperimentazioni di “identità reciproche”, proponendoci una prassi pedagogica interculturale dove l’apprendimento dell’italiano e l’apprendimento – ovvero un primo approccio all’apprendimento – dell’arabo, così come di lingue “altre”, possano co-esistere e inter-agire in alcune scuole italiane (per quanto come minimi percorsi e originali traiettorie) nel segno di una contemporaneità che è pluralità di identità eterogenee e complesse. Una contemporaneità che ci interpella sulle evoluzioni – quelle necessarie e quelle possibili – della pedagogia, della didattica e della glottodidattica, della sociolinguistica e delle politiche sociali ed educative.

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Gabriele Iannàccaro (Università di Milano-Bicocca) Si legge come è scritto: modelli linguistici e scritture delle lingue

La comunicazione vuole illustrare il funzionamento strutturale di diversi sistemi di scrittura adottati dalle lingue del mondo, innanzitutto per discutere una serie di luoghi comuni che accompagnano le nozioni normalmente ricevute sulla scrittura, e poi per mostrare come codifiche scritte diverse dell’informazione linguistica possono dar luogo a visioni e considerazioni della lingua stessa assai differenti presso le comunità che le utilizzano. In particolare ci si concentrerà sul rapporto che intercorre fra grafia e aspetto fonico delle lingue, argomento in genere considerato cruciale nell’apprendimento delle abilità di lettura e scrittura, e – in un quadro di linguistica antropologica e sociale – sul valore della scrittura come marcatore identitario e di comunità.

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Elena Nuzzo (Università di Verona) L’agire linguistico tra universali pragmatici e specificità culturali

Nell’ambito della ricerca sull’agire linguistico il dibattito tra universalismo e relativismo è sempre stato vivace e caratterizzato da alterne fortune dell’una o dell’altra posizione secondo il luogo e il momento storico. Da un lato, i sostenitori della posizione universalista ritengono che i tipi di atti linguistici, le strategie per realizzarli, per comunicare cortesia e per modulare la forza degli enunciati siano essenzialmente gli stessi in tutte le lingue e culture; ciò che muta è solo l’uso appropriato di ogni strategia (Fraser, 1984); dall’altro, chi sostiene la posizione relativista propende invece per una stretta connessione tra comportamento linguistico e valori culturali specifici: culture diverse trovano espressione in differenti sistemi di atti linguistici, e diversi sono gli atti che si radicano e, in una certa misura, diventano convenzionali nelle varie lingue (Wierzbicka, 1985; 1991).

Entrambe le posizioni trovano parziale riscontro nell’osservazione empirica. In tutte le lingue esistono modi per salutare, ringraziare, scusarsi ecc., dunque questi atti linguistici sembrerebbero avere un carattere universale. Inoltre, non esistono lingue – almeno a quanto mi risulta – nelle quali non si adottino strategie e strumenti linguistici per attenuare o rafforzare l’intensità di certi atti. D’altra parte, un’ampia letteratura aneddotica ci ha reso familiari episodi di cross-cultural misunderstanding che mostrano l’importanza di considerare l’uso linguistico come profondamente connesso con il sistema di valori su cui si fonda una determinata cultura. Se per esempio l’offerta di una tazza di caffè alla fine del pasto vada intesa come un invito per l’ospite a trattenersi più a lungo o piuttosto come un’esortazione a considerare conclusa la visita è una questione che non riguarda tanto la scelta della strategia più adatta per la realizzazione linguistica dell’atto di offerta, quanto l’interpretazione di un certo comportamento linguistico in una determinata situazione (Pohl, 2004). Analogamente, se un parlante giapponese adotta l’espressione abitualmente usata per esprimere rammarico in un contesto nel quale un parlante inglese avrebbe invece scelto parole di ringraziamento, non si tratta semplicemente di una diversa realizzazione linguistica del medesimo atto, ma di un valore diverso attribuito alla medesima situazione da parte di parlanti di lingue differenti, ciascuno dei quali ritiene opportuno, a parità di situazione, fare cose differenti con le parole (Mey, 2001).

L’obiettivo della comunicazione non è quello di offrire una (improbabile) conciliazione tra le due posizioni, ma di presentare e discutere il problema con l’ausilio di esempi tratti da diverse lingue e culture, affrontandone le implicazioni nella pratica didattica nel contesto di classi plurilingui e pluriculturali.

Bibliografia Fraser B., On the universality of speech acts strategies, in S. GEORGE (ed.), From the linguistic to

the social context, CLUEB, Bologna, 1984, 43-49. Mey J., Pragmatics: An introduction, Blackwell, Oxford, 2001. Pohl G., Cross-cultural pragmatic failure and implications for language teaching, in Second

Language Learning & Teaching 4 (2004), http://www.usq.edu.au/opacs/sllt/ Wierzbicka A., Different cultures, different languages, different speech acts, in Journal of

Pragmatics 9, 1985, 145-78. Wierzbicka A., Cross-cultural pragmatics. The semantics of human interaction, Mouton de

Gruyter, Berlin - New York, 1991.

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Mario Squartini (Università di Torino) L’italiano visto da lontano: modalità e evidenzialità Svariate lingue del mondo dispongono di mezzi grammaticali specificamente dedicati a indicare la fonte del contenuto informativo di un enunciato. Forme con questa funzione, che nella letteratura tipologica vengono ricondotte alla categoria grammaticale dell’evidenzialità, si trovano ad esempio in tariana, una lingua parlata nell’Amazzonia brasiliana (Aikhenvald 2004:2-3), i cui verbi contengono obbligatoriamente marche morfologiche diverse a seconda che il locutore sia stato testimone diretto (attraverso la vista o altri sensi) della situazione espressa dal verbo, oppure ne sia indirettamente venuto a conoscenza attraverso inferenze, congetture o per averne sentito parlare da altri. Oltre che in America, sistemi grammaticali di questo genere sono stati ampiamente descritti (Aikhenvald 2004, de Haan 2005) anche in numerose lingue dell’Asia centrale, del Caucaso e dell’Europa balcanica. Molte altre lingue, tra le quali l’italiano, pur non disponendo di un insieme di morfemi obbligatori dedicati esclusivamente all’espressione della fonte dell’informazione, presentano tratti evidenziali che si intrecciano con la semantica delle forme modali. Usi evidenziali sono tipicamente riconoscibili nel condizionale citazionale o ‘giornalistico’ (Secondo le ultime informazioni, il presidente si sarebbe già dimesso), ma il cosiddetto Futuro epistemico (Adesso si sarà già dimesso) potrebbe anche essere considerato come una marca evidenziale in cui, a differenza del Condizionale, la fonte dell’informazione è il locutore stesso. Anche nel modale dovere + infinito, in quanto marca grammaticale di processi di ragionamento induttivo (Dato che le finestre sono chiuse, Gianni deve essere già partito) si può identificare il valore inferenziale di una delle forme evidenziali del tariana. Sviluppando queste osservazioni intendo mostrare come la descrizione del sistema modale dell’italiano possa essere complessivamente rivista alla luce delle conoscenze tipologiche sull’evidenzialità in lingue lontane (Giacalone Ramat / Topadze 2007), che più in generale spingono a ripensare i tradizionali confini della modalità epistemica sia nel lessico che nella grammatica (Pietrandrea 2007; Squartini 2008). Sulla base di alcune intuizioni di Berretta (1992, 1997), argomenterò poi che l’evidenzialità è anche un fenomeno pragmatico che si realizza nell’interazione discorsiva, come dimostrano alcuni impieghi ‘modali’ del Futuro italiano, tra i quali in particolare il Futuro concessivo (Sarò piemontese, ma mica scema!, da Berretta 1997:8) ma anche altri usi ‘esclamativi’ (Maleducato sarà lei!, SARÀ carina, questa bambina!, Ho dimenticato le chiavi: SARÒ scemo!), che possono essere interpretati come estensioni pragmatiche basate su categorie evidenziali (citazione, percezione diretta, inferenza). Bibliografia Aikhenvald, Alexandra Y. (2004), Evidentiality. Oxford: Oxford University Press. Berretta, Monica (1992), “Sul sistema di tempo, aspetto, e modo nell’italiano contemporaneo”, in Bruno Moretti, Dario Petrini e Sandro Bianconi (a cura di), Linee di tendenza dell’italiano contemporaneo. Atti del XXV Congresso SLI. Roma: Bulzoni, pp. 135-153. Berretta, Monica (1997), “Sul futuro concessivo: riflessioni su un caso (dubbio) di de/grammaticalizzazione”, Linguistica e Filologia 5:7-40. de Haan, Ferdinand (2005), “Coding of evidentiality”, in Martin Haspelmath, Matthew S. Dryer, David Gil, Bernard Comrie (a cura di), The World Atlas of Language Structures. Oxford / New York: Oxford University Press, pp. 318-321. Giacalone Ramat, Anna / Manana Topadze (2007), “The coding of evidentiality: a comparative look at Georgian and Italian”, in Mario Squartini (a cura di), Evidentiality between lexicon and grammar, numero monografico di Italian Journal of Linguistics 19:7-38. Pietrandrea, Paola (2007), “The grammatical nature of some epistemic-evidential adverbs in spoken Italian”, in Mario Squartini (a cura di), Evidentiality between lexicon and grammar, numero monografico di Italian Journal of Linguistics 19:39-63. Squartini, Mario (2008), “Lexical vs. grammatical evidentiality in French and Italian”, Linguistics 46:917-947.

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Relazioni selezionate - Abstracts

Manuel Bonomo (Istituto Comprensivo Ugo da Como – Lonato (BS)) Distanza tipologica e distanza socio-affettivo-culturale: esperienze didattiche e ipotesi operative nella scuola dell’obbligo La nostra esperienza di insegnamento dell’italiano a stranieri nella scuola dell’obbligo ci mette di fronte, a parità di interventi didattici, a un’utenza assai variegata relativamente ai tempi di acquisizione della L2: dal lungo protrarsi di fasi del silenzio ad evoluzioni estremamente rapide delle interlingue. I diversi risultati raggiunti dagli apprendenti non sono mai unicamente imputabili alla distanza tipologica fra L1 e L2, né tantomeno a una naturale predisposizione linguistica dei singoli. Se è innegabile che apprendenti cinesi, pachistani, arabi e indiani risentano maggiormente –senonaltro in fase iniziale- della distanza tipologica fra lingua madre e italiano, essi dimostrano anche di essere più soggetti ai filtri affettivi provocati dal sostanziale -e assai spesso traumatico- cambiamento socio-culturale. Il nuovo contesto di vita e l’acquisizione di una lingua seconda implicano difatti un cambio di identità, da rinegoziarsi all’interno della nuova comunità italofona. Tale processo, messo in luce dai recenti identity studies, deve essere preso in considerazione nella definizione di una prassi didattica proficua e rispettosa dei giovani apprendenti. A questo scopo, utile si dimostra la teoria della Second language socialization, che vede «language learning and social learning as constitutive of each other» (Ortega 2008). La scuola deve inoltre prendere in considerazione anche numerosi altri aspetti di natura extra-linguistica nello strutturare percorsi di accoglienza e insegnamento dell’italiano adeguati, che permettano di sfruttare al meglio le risorse economiche –spesso limitate- a disposizione degli Istituti. Nella nostra relazione presenteremo alcune ipotesi operative maturate dall’esperienza didattica recente, riportando l’esemplificazione di alcuni apprendenti da noi osservati per illustrare i risultati ottenuti. Tali ipotesi sono basate su alcuni punti metodologici di carattere generale:

- valutazione del percorso scolastico pregresso dei singoli studenti, quasi mai coincidente, nella pratica, con il percorso ufficiale previsto dalle normative;

- coinvolgimento e responsabilizzazione della famiglia tramite i mediatori linguistici; - diagnosi di patologie del linguaggio non diagnosticate; - presa in considerazione di problemi comportamentali e/o famigliari; - sospensione della valutazione dell’attività curriculare (così come previsto dalla legge

italiana) durante la fase di inserimento scolastico e di primo apprendimento dell’italiano; - formazione dei professori su concetti di base (interlingua, apprendimento vs acqusizione,

etc). - realizzazione di alcune attività ponte fra il laboratorio di L2 e la classe di appartenenza;

e su altri punti di carattere più prettamente didattico:

- valutazione e valorizzazione delle competenze già acquisite nei Paese d’origine (molto proficuo –e divertente- è l’utilizzo dei diversi alfabeti);

- presa in considerazione gli stili di apprendimento individuali, integrandoli con il proprio metodo (es. memorizzazione di liste di verbi, scrittura della basmala, esercizi di copiatura);

- ricorso ad unità tematiche a sfondo (inter)culturale (es. festa della donna, geografia, feste) o che permettano una rielaborazione dell’esperienza di migrazione;

- lezioni pratiche in situ che permettano di mettere in pratica quanto appreso nel laboratorio e stimolino la conoscenza e la frequentazione del nuovo ambiente socio-culturale (lezioni pratiche al supermercato, in stazione, biblioteca, etc.).

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Sono inoltre opportune alcune accortezze, come il non valutare negativamente apparenti peggioramenti nel comportamento (è normale nel passaggio da una realtà più costrittiva a una più libera) o nell’impegno scolastico.

Bibliografia A.J. Blackledge / A. Pavlenko (a cura di), 2004, Negotiation of Identities in Multilingual Settings, Multilingual Matters. M. Chini, 2005, Che cos’è la linguistica acquisizionale, Carocci. G. Favaro, 2000, Il mondo in classe, Milano. R. Grassi / R.B. Costa / C. Ghezzi ( a cura di), 2008, Dagli studi sulle sequenze di acquisizione alla classe di italiano L2 (atti CIS del convegno-seminario di Bergamo del 19-21 giugno 2006), Guerra. L. Ortega, 2008, Understanding second language acquisition, Oxford University Press. G. Pallotti, 20012, La seconda lingua, Bompiani. S. Rastelli, 2009, Che cos’è la didattica acquisizionale, Carocci. P. Riley, 2007, Language, culture and identity: an ethnolinguistic perspective, Continuum.

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Paolo Borsa (Università degli Studi di Milano) Nuove tecnologie per la didattica dell'italiano L2: LIM e progettazione di materiali multimediali L’intervento intende presentare riflessioni e considerazioni sviluppate nel corso della progettazione di materiali multimediali per l’insegnamento dell’italiano L2 (i corsi A tu per tu [2008] e Ciao, amici! [2009], a cura di Graziella Favaro, Maria Frigo e Nella Papa), all’interno di un più ampio discorso sulle opportunità offerte dalle nuove tecnologie per la didattica. Nelle attuali classi multiculturali e plurilingui un alunno non italofono frequenta spesso anche un laboratorio di italiano L2. In tale contesto, nel quale lo studente lavora in piccoli gruppi o in autonomia, nuovi strumenti tecnologici come la LIM (lavagna interattiva multimediale) e materiali didattici ricchi e flessibili possono rappresentare una grande risorsa per l’insegnamento e l’apprendimento. La LIM , in particolare, promuove la multicanalità e, rispetto all’aula di informatica (in cui ogni alunno siede dietro il proprio monitor, fissandolo), consente di svolgere la lezione in classe in modalità head-up, favorendo la condivisione dei contenuti e l’apprendimento cooperativo. Il suo utilizzo, se non si limita alla spettacolarizzazione della lezione frontale tradizionale, permette di modificare la prospettiva con cui si veicolano i contenuti; invece di utilizzare le immagini come “corredo” a parole e concetti, secondo la modalità tipica del libro di testo cartaceo, essa permette di partire dalle immagini per “generare” parole e concetti. Il metodo si rivela particolarmente efficace nell’apprendimento del lessico di base della L2 e, in uno stadio più avanzato, del lessico per lo studio, in particolare allorché si predispongano gallerie di immagini o scenari che permettano – soprattutto in ambiente touch – di andare “alla scoperta” delle parole, associando le immagini alle rispettive forme grafiche e realizzazioni fonetiche. L’ambiente touch consente, inoltre, di manipolare sulla LIM oggetti digitali in forma più naturale e intuitiva rispetto al mouse; le funzioni di trascinamento e rilascio (drag and drop) si rivelano particolarmente efficaci per compiere operazioni di categorizzazione, fondamentali per l’apprendimento delle strutture grammaticali della L2, specialmente nei casi in cui la lingua materna dell’alunno sia tipologicamente lontana dall’italiano. L’intervento intende soffermarsi, infine, sull’importanza, in situazioni di autoapprendimento, di un’accorta gestione della risposta (feedback) della macchina, tesa a valorizzare progressi e meriti dell’apprendente, più che a sottolinearne gli errori.

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Annamaria Cacchione (Università degli Studi del Molise) Imparare l’italiano da lingue agglutinanti: apprendenti iniziali turcofoni e magiarofoni

Questo abstract descrive la prima parte di una ricerca sperimentale in corso presso l’Università degli Studi del Molise e focalizzata sull’apprendimento dell’italiano da parte di un piccolo gruppo di studenti turchi e ungheresi presenti in Italia con il programma Erasmus. Gli studenti coinvolti nella ricerca (4 studenti turchi e una studentessa ungherese) costituiscono un sottoinsieme della classe di italiano L2 di livello A1. Il resto della classe, formato soprattutto da studenti spagnoli e portoghesi, pur essendo costituito da apprendenti iniziali, ha seguito, come era prevedibile, un percorso di acquisizione molto veloce, facilitato dalla vicinanza tra la lingua di partenza e la lingua target. In questo contesto, gli studenti turcofoni e la studentessa magiarofona si sono sentiti profondamente frustrati per la loro incapacità di mantenere il ritmo degli altri. La loro richiesta di lezioni aggiuntive ha fornito l’occasione per un’analisi mirata del loro percorso acquisizionale, incentrato soprattutto sulle primissime fasi dell’apprendimento della morfosintassi italiana. Al termine del corso sono quindi state organizzate altre 5 lezioni, della durata di 2 ore, dirette soltanto agli studenti in questione e finalizzate a consolidare il loro percorso acquisizionale verso il livello A1. Questa analisi ha dato modo, inoltre, di approfondire questioni di carattere sociolinguistico e didattico legate al profilo peculiare degli apprendenti. La ricerca riveste inoltre un carattere di particolare innovatività dal momento che non esistono, per l’Italia, studi focalizzati sull’apprendimento dell’italiano in contesti misti (il programma Erasmus unisce apprendimento spontaneo, guidato e di tipo CLIL) da parte di apprendenti turcofoni universitari. Metodologia di analisi Le lezioni hanno ripreso gli elementi grammaticali chiave che erano stati affrontati durante il corso (presente/passato prossimo, accordo articolo/nome/aggettivo) e hanno approfondito una serie di aspetti selezionati direttamente dagli studenti. Le lezioni si sono dunque svolte in modo fortemente interattivo, a partire da spunti forniti direttamente durante la lezione e/o da precedenti conversazioni/letture o ascolti. Un ruolo importante è stato riservato alla correzione degli esercizi ed alla riflessione metalinguistica, del resto ampliamente sollecitata dagli apprendenti stessi. Gli studenti hanno inoltre inviato regolarmente all’insegnante via mail i compiti svolti a casa tra una lezione e l’altra. Alcune lezioni sono state videoregistrate. La ricerca: obiettivi e (primi) risultati L’obiettivo principale della ricerca è stato l’analisi del percorso di acquisizione delle strutture morfologiche di base dell’italiano (morfologia nominale e verbale) con particolare focus su: a) il ruolo della diversa tipologia della L1, soprattutto in riferimento al passaggio da una L1 agglutinante ad una flessiva ed a ciò che questo implica (ordine dei costituenti, sistema di articoli e preposizioni, accordo); b) il ruolo della riflessione metalinguistica e della grammatica esplicita come possibili facilitatori dell’apprendimento; c) il ruolo giocato dall’inglese come lingua franca e ponte verso l’italiano (L3 o L4 per gli apprendenti). Risultati I risultati, ancora parziali, hanno permesso di tracciare alcune linee di interesse da seguire con ulteriori investigazioni: 1. l’acquisizione della morfologia verbale non crea particolari problemi agli apprendenti, in particolare a quelli turchi; 2. la morfologia nominale pone invece difficoltà di vario genere: l’individuazione del genere, l’accordo nome-aggettivo e la selezione di articolo e preposizione sono alcune delle difficoltà più comuni. Gli apprendenti turcofoni, in particolare, appaiono spiazzati dalla pluralità di soluzioni che

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di volta in volta possono essere attuate. In questo, come in altri aspetti, la corrispondenza biunivoca quasi perfetta che c’è tra forma e funzione nella loro L1 emerge come aspettativa continuamente frustrata. Un aspetto particolarmente interessante, anche per il ruolo giocato probabilmente dall’inglese, è dato dai problemi incontrati da tutti gli apprendenti nella costruzione del SN ponendo nome e aggettivo nell’ordine giusto. Dall’analisi di casi come “casa di amico” (= coinquilino, L1 turco) e “ungarese studente” (L1 ungherese), è emerso che il pattern di riferimento, confermato dall’inglese come lingua tramite, è quello di A-N, come in

ITALIANO GIALLA GONNA

Turco Sarı etek

Ungherese Sa’rga szoknya

Inglese Yellow skirt

3. la riflessione metalinguistica è apparsa una costante del processo di insegnamento/apprendimento, in quanto gli studenti chiedono continuamente spiegazioni sul perché di determinati usi e fanno spontaneamente raffronti tra le loro L1, l’inglese e l’italiano. Si ipotizza che l’intervento metalinguistico possa svolgere una funzione positiva di facilitazione dell’apprendimento, poiché a seguito delle riflessioni/spiegazioni si è rilevata la fissazione di pattern corretti; 4. dal punto di vista sociolinguistico e glottodidattico, si tratta di apprendenti nuovi, che, soprattutto per i turco foni, entrano per la prima volta nel sistema universitario italiano presentando caratteristiche ed esigenze peculiari. In genere si tratta di studenti molto preparati, molto esigenti con se stessi ed estremamente motivati. La glottodidattica, di conseguenza, deve elaborare modi nuovi di rispondere a questi fabbisogni, tenendo nella giusta considerazione le variabili linguistiche e sociolinguistiche di questo nuovo tipo di apprendenti.

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Barbara D’Annunzio (Università Ca’ Foscari di Venezia)

La didattica del cinese LS per apprendenti italofoni principianti: favorire strategie per la lettura e la scrittura attraverso un insegnamento ragionato dei caratteri.

Negli ultimi anni, malgrado l’innegabile crescita d’interesse per lo studio del cinese come LS in Italia, in Europa e in Cina, la riflessione e la letteratura scientifica su questo tema restano ancora ampiamente da sviluppare. In particolare, il tema dell’acquisizione dei caratteri in cinese LS merita, a nostro avviso, un investimento di ricerca specifico.

La nostra indagine preliminare condotta tra il 2005 e il 2008 aveva lo scopo di verificare una prima ipotesi intuitiva: imparare una lingua come il cinese moderno da parte di apprendenti che fanno uso di una L1 tipologicamente distante, come l’italiano, è compito particolarmente impegnativo soprattutto perché presuppone la conoscenza di un sistema di scrittura non alfabetico.

L’ipotesi, da noi verificata su un campione di 200 studenti italiani che apprendono la lingua cinese in contesto di Scuola Secondaria di Secondo grado, ha confermato che nell’apprendimento del cinese LS l’acquisizione dei caratteri costituisce uno sforzo cognitivo enorme e che di fronte a tale compito gli studenti non riescono ad elaborare specifiche strategie di apprendimento. Proprio l’elaborazione dei dati raccolti attraverso questa indagine preliminare ci ha condotti a focalizzare l’attenzione sullo sviluppo delle abilità di lettura e scrittura in cinese LS.

Dal punto di vista glottodidattico, la questione centrale riguarda il rapporto tra carattere, morfema e parola: come conciliare l’insegnamento dei caratteri e l’insegnamento delle parole? Quanti e quali caratteri bisogna insegnare? In base a quale criterio conviene programmarli?

Con lo scopo di individuare risposte a tali quesiti abbiamo analizzato 7 tra i manuali didattici più comunemente utilizzati per l’insegnamento del cinese LS a studenti principianti italofoni ed in particolare abbiamo finalizzato la nostra analisi alla rilevazione dei caratteri introdotti, della progressione e frequenza adottate. Dall’analisi emerge che nei manuali basati sull’approccio comunicativo, la progressione e il corpus di caratteri presentati non tiene conto della logica strutturale interna al carattere e ciò conduce ad un insegnamento dispersivo che non rispetta i naturali processi di acquisizione e memorizzazione.

Poiché, la difficoltà legata all’acquisizione dei caratteri coinvolge anche gli apprendenti di cinese L1 e non unicamente quelli stranieri, abbiamo operato un’estensione della stessa analisi a manuali di cinese L1 e siamo giunti, anche grazie a tale confronto, a delle conclusioni che saranno oggetto di trattazione nell’intervento.

In particolare, nel nostro contributo intendiamo presentare ed esemplificare una modalità d’insegnamento dei caratteri particolarmente efficacemente per la loro memorizzazione e per lo sviluppo di differenti strategie di lettura. Verrà presentato, inoltre, attraverso esemplificazioni, una metodologia didattica che integra un approccio essenzialmente comunicativo con l’attenzione alla natura specifica della lingua cinese.

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Abstracts Convegno 2010 13

Anna De Marco (Università della Calabria) Uno studio pilota sull’insegnamento dell’atto del complimentarsi in apprendenti cinesi e indonesiani di italiano L2. Questo contributo presenta i primi risultati di un’analisi esplorativa sulle abilità pragmatiche di un gruppo di apprendenti di livello B2 di origine cinese e indonesiana iscritti ai corsi di lingua universitari. Il progetto è volto ad esaminare le abilità pragmatiche relative all’atto linguistico dei complimentarsi e del rispondere ai complimenti. Lo studio si propone di analizzare in primo luogo la variabilità e la multifunzionalità dell’uso di questa abilità nelle due culture, e in secondo luogo, di verificare gli effetti dell’istruzione sull’acquisizione delle strategie pragmatiche in L2. La sperimentazione tenta di rispondere principalmente a due domande: a. Quali effetti ha un certo tipo di istruzione in classe sullo sviluppo della pragmatica in L2? b. Gli apprendenti mostrano un qualche sviluppo nelle abilità pragmatiche senza l’ausilio di una istruzione specifica? L’atto del complimentarsi (Pomerantz, 1978, Golato, 2005), ed in particolare la risposta al complimento, è uno degli atti linguistici più indagati in pragmatica. I primi studi sull’argomento hanno contribuito ad evidenziare gli aspetti più rilevanti che caratterizzano e che influenzano la scelta delle opzioni di risposta al complimento: gli oggetti del complimento, i tipi di interlocutori (e le loro caratteristiche come ad esempio il genere) ai quali sono diretti i complimenti, le strategie pragmatiche impiegate dalle diverse comunità linguistiche e le variabili di distanza, potere e imposizione dell’atto sull’interlocutore, nell’ottica della teoria della cortesia linguistica. In cinese, in particolare, la forma di rifiuto dei complimenti sembra essere la risposta utilizzata più di frequente, anche se recenti ricerche (Ye, 1995, Chen, Yang, in stampa) hanno registrato una inversione di tendenza e sottolineato la preferenza per differenti strategie di accettazione (è da notare comunque una grande variabilità nell’uso da parte delle diverse comunità cinesi). In indonesiano esistono esigui studi, in particolare sulle strategie di rifiuto nell’interlingua di inglese L2 e sulle scuse in Lombok (Novy, 1997, Wouk, 2001). In ottica acquisizionale non sono numerosi gli studi che indagano sulla competenza pragmatica in italiano L2 (vedi Nuzzo, 2007), mentre sono più numerosi gli studi sull’uso della L2 per la realizzazione degli atti linguistici (Bettoni, 2006, Rose, Kasper 2001). E’ stata condotta un’analisi preliminare che ha permesso di stabilire i differenti scenari in cui vengono utilizzati i complimenti e gli argomenti su cui più frequentemente i parlanti usano complimentarsi nella loro L1 (cfr. Rose & Ng Kwai-fun, 2001). Nel test preliminare i parlanti cinesi e indonesiani hanno elencato una lista di dieci fra i complimenti ricevuti o a cui hanno assistito di recente. Da questa lista sono stati estratti gli scenari e gli argomenti più frequenti tra i due gruppi di parlanti. Successivamente lo studio sulla competenza pragmatica in L2 è stato condotto attraverso l’impiego di un questionario di valutazione metapragmatica: gli apprendenti sono invitati a fornire quattro riposte ad un complimento in una data situazione in ordine sequenziale (MAQ, metapragmatic assessment questionnaire). Le risposte al complimento consistono delle tre maggiori strategie: accettazione, rifiuto, deviazione, nessuna risposta. Questo test viene somministrato a seguito di un test di completamento (DCT, written discourse completion questionnaire, cfr. Blum-Kulka, House e Kasper, 1989) che consiste in una serie di domande aperte in cui gli apprendenti sono invitati a fornire sia i complimenti ad una situazione data, sia le risposte ai complimenti. E’ stata attuata successivamente una sperimentazione in due classi di studenti, la prima ha ricevuto il trattamento mentre la seconda, quella di controllo, non ha ricevuto alcun trattamento, sebbene abbia completato i questionari come il gruppo sperimentale. Il trattamento è stato implementato in 5 incontri di 30 minuti incentrati sull’analisi dei complimenti nelle diverse L1 e sulla visione di alcuni spezzoni di film contenenti scambi di complimenti e relative risposte (cfr. Rose, 1997). L’approccio utilizzato è stato quello induttivo che prevede l’esposizione guidata ai dati attraverso una serie di domande per l’individuazione delle generalizzazioni di schemi pragmatici senza l’aggiunta di alcuna informazione metapragmatica (questo studio replica in parte lo studio condotto da Rose & Ng Kwai-fun, op.cit.). Alla fine è stato somministrato un post-test.

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Bibliografia Bettoni C. ((2006), Usare un’altra lingua. Guida alla pragmatica interculturale, Laterza, Roma-Bari Blum-Kulka S., House J. e, Kasper G. (eds.), (1989), Cross-cultural pragmatics: Re.quests and apologies, Norwood, Ablex. Chen, Yang (2010), Responding to compliments in Chinese: has it changed? Golato A. (2005), Compliments and Compliment Responses: Grammatical Structure and Sequential Organization. Amsterdam/Philadelphia, John Benjamins. Kasper G., Rose, K. R., (2002), Pragmatic Development in a SecondLanguage, Oxford, Blackwell. Novy A. (1997), Interlanguage Pragmatics: A Study of the Refusal Strategies of Indonesian Speakers Speaking English. In TEFLIN Journal: A publication on the teaching and learning of English, Vol 8, No 1. Nuzzo E., 2007, Imparare a fare cose con le parole. Richieste, proteste, scuse in italiano lingua seconda, Perugia, Guerra. Pallotti G., Ferrari S. (2008), Variabilità dell’interlingua in apprendenti avanzati di italiano L2: aspetti pragmalinguistici e interazionali. In Bernini G., Spreafico L., Valentini A. (eds.), Competenze lessicali e discorsive nell’acquisizione di lingue seconde, Perugia, Guerra. Pomerantz A. (1978), Compliment responses: Notes on the cooperation of multiple constraints. In J. Schenkein (Ed.), Studies in the organization of conversationale interaction, pp. 79-112, New York, Academic Press. Rose, K. R. (2001), Compliments and compliment responses in film: implications for pragmatics research and language teaching. In International Review of Applied Linguistics in Language Teaching 39, 309–326. Rose K. R. & Kasper, G. (2001), Pragmatics in language teaching, Cambridge Applied Linguistic Series, NY, Cambridge University Press. Rose K. R. & Ng Kwai-fun C. (2001), Inductive and deductive teaching of compliments and compliment responses. In Rose K. R. & Kasper G. Pragmatics in language teaching, Cambridge University Press, New York. Wouk F. (2001), The language of apologizing in Lombok, Indonesia. In Journal of Pragmatics, 38, Issue 9, 1457–1486. Ye, L. (1995), Complimenting in Mandarin Chinese. In Kasper G. (Ed.) Pragmatics of Chinese as a native and target language. In Journal of pragmatics, in stampa.

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Anna De Meo-Massimo Pettorino (Università di Napoli “L’Orientale”) Competenza prosodica nell’italiano L2: cinesi, vietnamiti e giapponesi a confronto Tutti i recenti studi sul parlato sottolineano l’importanza del livello soprasegmentale, sia ritmico-prosodico che intonativo, nell’interazione conversazionale. L’elaborazione e la decodifica del significato di un enunciato passano in gran parte attraverso la corretta gestione dell’andamento intonativo, della velocità di articolazione, del ritmo. La competenza prosodica risulta, infatti, spesso più determinante di quella lessicale o morfosintattica, poiché da essa dipendono la corretta interpretazione del significato e della funzione dell’enunciato. Manca ancora per l’italiano una descrizione del rapporto tra intenzioni comunicative e correlati acustici che abbia la stessa sistematicità delle descrizioni relative al livello segmentale della lingua, carenza ancora più marcata se si passa all’analisi dell’italiano L2. In un nostro precedente lavoro sperimentale abbiamo condotto una serie di test percettivi per esplorare la competenza prosodica nell’interlingua di apprendenti cinesi di italiano L2, con un corpus costituito da tre frasi di diversa lunghezza e con tre diverse intenzioni comunicative. I risultati ottenuti permettono di affermare che:

1. La capacità di gestire la prosodia dell’italiano sembra essere indipendente dal livello di competenza degli apprendenti.

2. Esiste una maggiore riconoscibilità del rapporto tra intenzioni comunicative e correlati acustici all’interno del sistema dell’interlingua degli apprendenti sinofoni rispetto al riconoscimento degli stessi rapporti da parte di parlanti madrelingua italiani.

3. Il gesto articolatorio nella L2 appare particolarmente accurato sul piano segmentale, in molti casi ancor più del corrispondente enunciato nell’italiano L1, anche per foni generalmente ritenuti problematici per parlanti cinesi di italiano.

4. Sul piano prosodico appare evidente una scansione ritmica tendenzialmente uniforme, ben diversa dalle continue ma sistematiche variazioni di velocità articolatoria dei parlanti madrelingua italiani.

5. Per quanto riguarda l’andamento intonativo non vi è corrispondenza tra L1 e L2 per i singoli atti linguistici.

Sulla base dei dati ricavati in questa precedente indagine, nel presente lavoro intendiamo procedere ad ulteriori verifiche sperimentali, ponendoci i seguenti obiettivi: 1. cercare conferme alle linee di tendenza emerse dalla ricerca sulle interlingue dei cinesi,

applicando le stesse metodologie di analisi a parlanti di L1 vietnamita, lingua tonale e isolante come il cinese, e di L1 giapponese, lingua tonale a base moraica;

2. condurre test percettivi sulle interlingue di cinesi, vietnamiti e giapponesi, modificando artificialmente alcuni enunciati sul piano ritmico-prosodico, andamento intonativo e velocità di articolazione, in direzione del modello di parlato dei madrelingua italiani, secondo quanto emerso dall’analisi sperimentale;

3. indagare la competenza ricettiva degli apprendenti stranieri - cinesi, vietnamiti e giapponesi -, relativamente ai modelli ritmico-intonativi connessi a variazioni del significato delle singole parole (aggettivi, nomi, verbi), mediante somministrazione di test percettivi condotti su un corpus costituito da interazioni realizzate da madrelingua italiani (campani), ciascuna di due o tre battute di parlato dialogico, in cui le stesse parole sono prodotte con intonazioni diverse in funzione di diversi intenti comunicativi, idealmente collocati su una scala di graduale variazione del significato.

Tutti i dati saranno discussi in dettaglio.

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Elena Maria Duso (Università di Padova) Un Laboratorio di scrittura per apprendenti cinesi all’università Il contributo parte da un'attività didattica svolta in Laboratorio con apprendenti cinesi di livello A2, appartenenti ai Progetti Marco Polo e Confucio, che conoscevano l'inglese come L2, negli anni 2009-2010 e 2010-2011. Verrà quindi volutamente trascurato il problema del primo approccio alla scrittura in alfabeto occidentale, in genere già risolto quando gli studenti universitari asiatici arrivano in Italia. Nella prima parte dell'intervento, si evidenzieranno le principali difficoltà che gli studenti cinesi incontrano nel momento in cui scrivono in italiano L2, segnalando sia difficoltà di ordine strettamente linguistico (molto brevemente e con rimando agli studi di linguistica acquisizionale), sia, e soprattutto, difficoltà di ordine retorico, entrando nel campo della retorica contrastiva. Dal momento però che in questo settore gli studi in Italia sono ancora molto scarsi, si partirà da una breve rassegna dei comportamenti riscontrati negli scritti in inglese L2 di cinesi, per verificare, su un piccolo corpus di testi di livello A1-B1, se i problemi evidenziati per l'inglese riguardino anche l'italiano. Seguiranno il resoconto dell'esperienza didattica fatta, ed alcunisuggerimenti pratici.

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Stefania Ferrari – Elena Nuzzo (Università di Modena e Reggio Emilia / Università di Verona) Un’osservazione longitudinale sul rapporto tra pragmatica e morfosintassi nell’acquisizione dell’italiano L2 Da quando è stato elaborato il concetto di competenza comunicativa (cfr. Hymes 1972; Canale & Swain 1980), diversi studiosi hanno sottolineato la necessità di investigare il rapporto tra le varie componenti di tale competenza (cf. Walters 1980; Bardovi-Harlig & Dörnyei 1998). In questa prospettiva, alcuni lavori hanno esplorato l’interfaccia tra competenza pragmatica e competenza grammaticale in diverse L2 (per esempio, Schauer 2006; Vedder 2008), suggerendo che lo sviluppo dell’una sia strettamente legato a quello dell’altra. Tuttavia, l’esatta natura di questa relazione risulta ancora piuttosto oscura. Nel presente contributo inendiamo affrontare la questione attraverso l’osservazione di come la capacità di realizzare l’atto linguistico della richiesta evolve in relazione a due misure di sviluppo dell’interlingua: la complessità sintattica e l’accuratezza. L’evoluzione pragmatica viene quindi messa in relazione con indici generali di sviluppo che coinvolgono fenomeni grammaticali, non con le strutture grammaticali specifiche richieste per la realizzazione dell’atto (per una discussione su questo punto, cfr. Kasper & Rose 2002). Le apprendenti sono quattro ragazze con diverse L1 (punjabi, tigrino, twi e Pidgin English nigeriano), seguite longitudinalmente per tre anni (2005-2008) in quattro rilevazioni. Le loro produzioni sono confrontate con quelle di due parlanti native d’italiano della stessa età che frequentano la stessa scuola. I dati sono stati elicitati per mezzo di un compito comunicativo: per portare a termine il compito, le ragazze dovevano contattare telefonicamente alcuni interlocutori sconosciuti e chiedere informazioni. Per questo contributo analizziamo le richieste delle ragazze in prospettiva sia qualitativa, osservando le modalità di realizzazione dell’atto, sia quantitativa, applicando i due indici di sviluppo già menzionati. I risultati mostrano che, da un lato, nel corso dei tre anni le apprendenti evolvono in maniera sostanziale sia dal punto di vista pragmatico sia da quello linguistico, dall’altro, lo sviluppo pragmatico influenza la complessità sintattica e l’accuratezza, determinando un effetto di trade off tra queste due dimensioni. Bibliografia Bardovi-Harlig, K. & Dörnyei, Z. (1998), “Do language learners recognize pragmatic violations?

Pragmatic vs. grammatical awareness in instructed L2 learning”. TESOL Quarterly, 32: 233-259. Canale, M. & Swain, M. (1980), “Theoretical bases of communicative approaches to second

language teaching and testing”. Applied Linguistics, 1: 1-47. Hymes, Dell H. (1972), On communicative competence in: John B. Pride / Janet Holmes (a cura di),

Sociolinguistics, Harmondsworth, Penguin Books, pp. 269-93. Kasper, G. & Rose, K.R. (2002), Pragmatic Development in a Second Language, Oxford,

Blackwell. Schauer, G. (2006), “Pragmatic awareness in ESL and EFL contexts: Contrast and development”.

Language Learning, 56(2): 269-318. Vedder, I. (2008), “Competenza pragmatica e complessità sintattica in italiano L2: l’uso dei

modificatori nelle richieste”. Linguistica e Filologia, 25: 99-123. Walters, J. (1980), Grammar, meaning, and sociological appropriateness in second language

acquisition. Canadian Journal of Psychology – Revue Canadienne de Psychologie, 34: 337-345.

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Eleonora Luzi (Università degli Studi Roma Tre) Costruzioni polifunzionali nell'italiano L2 di cinesi: tra coordinazione e subordinazione

La recente applicazione dei principi della Construction Grammar agli studi in SLA ha portato la ricerca acquisizionale a investigare costruzioni in italiano L2 da una nuova prospettiva. In particolare, la distinzione tra forma e funzione operata nell’ambito del Costruzionismo ci ha incoraggiato ad analizzare una costruzione polifunzionale: la coordinazione di proposizioni. Numerosi studi in SLA (Givón, 1984; Klein&Perdue, 1997; per l’italiano L2, Giacalone Ramat, 2003) hanno evidenziato come le varietà iniziali della competenza sintattica in L2 sia caratterizzata da fenomeni di giustapposizione e paratassi, che verranno sostituiti nelle fasi più avanzate da forme più complesse di subordinazione. Sul fronte puramente linguistico, grazie all’impulso dato dalla corpus linguistics all’analisi del parlato spontaneo o semi-spontaneo, sono in continuo aumento i contributi dedicati a casi di instabilità nel continuum coordinazione-subordinazione: se già da tempo ormai la dicotomia coordinazione-subordinazione è stata superata in favore di approcci più scalari, per l’italiano parlato l’attenzione si è spostata verso fenomeni di instabilità solo recentemente (Simone, 1995, 2009; Lombardi Vallauri, 2004, 2009; Pompei, 2009). Il nostro lavoro si concentrerà su un corpus di parlato di italiano L2 di appendenti sinofoni di livello B1 e C2 e costituirà un primo tentativo di classificazione delle funzioni svolte dalla costruzione coordinata (sindetica e asindetica) basata sulla funzione che essa svolge all’interno del contesto. La scelta di apprendenti sinofoni, all’interno di un bacino più ampio di dati, è stata determinata dal fatto che il cinese permette costruzioni tradizionalmente considerate a metà strada tra la coordinazione e la subordinazione, come la cosiddetta verb serialization (Li&Thompson, 1981). Si evidenzieranno, pertanto, le differenze, in termini di frequenza e distribuzione, tra i due livelli di competenza, nella consapevolezza che alcune delle funzioni svolte dalla costruzione si riscontrano anche nell’italiano dei nativi.

Bibliografia Banfi E. (ed.) (2003a) L’italiano/L2 di cinesi, Milano: Franco Angeli. Banfi E. (2003b) “Alcune caratteristiche della frase relativa cinese e frasi relative nell’italiano di cinesi” in

Banfi (2003a):92-119. Berruto G. (2001) “L’emergenza della connessione interproposizionale nell’italiano di immigrati. Un’analisi

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Ferrari A. (ed.) (2009) Sintassi storica e sincronica dell’italiano. Subordinazione, coordinazione, giustapposizione. Atti del X Congresso della Società Internazionale di Linguistica e Filologia Italiana (Basilea, 30 giugno – 3 luglio 2008), Firenze: Franco Cesati Editore

Ferraris S. (1998) “Pseudorelative: loro natura e posizione all’interno del continuum coordinazione subordinazione”, Linguistica e Filologia, 6: 127-150.

Fillmore C. J., Kay P. & O’Connor M. C. (1988) “Regularity and Idiomacity in Grammatical Constructions: the Case of Let Alone”, Language, 64(3):501-538.

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Giacalone Ramat A. (ed.) (2003) Verso l’italiano, Roma: Carocci. Givón (1984) “Universals of Discourse Structure and Second Language Acquisition” in Rutherford W. (ed.)

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Givón T. (2009) The Genesis of Syntactic Complexity, Amsterdam/Philadelphia: Benjamins. Goldberg A. E. (1995) A Construction Grammar Approach to Argument Structure, Chicago: The University

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Abstracts Convegno 2010 19

Kemmer S. & Barlow M. (eds.) (2000) Usage-Based Models of Language, Stanford: CSLI. Klein W. & Perdue C. (1997) “The Basic Variety (or: Couldn’t natural languages be much simpler?)”,

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Associates. Masini F. (2007) Parole sintagmatiche in italiano, Tesi di Dottorato, Università degli Studi Roma Tre. Pompei A. & Montorselli L. (2009) “Subordinazione avverbiale, congiunzioni subordinanti e coordinazione”

in Ferrari (2009):813-836. Robinson P. & Ellis N. C. (eds.) (2008) Handbook of Cognitive Linguistics and Second Language

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Abstracts Convegno 2010 20

Monica Rizzardi (Centro Territoriale per l’Intercultura di Calcinato (BS))

Vivere la migrazione: progetti migratori della famiglia, percorsi di vita dei minori

Il C.T.I. Centro Territoriale per l’Intercultura avente sede presso l’Istituto Comprensivo di Calcinato si è orientato, in modo particolare negli ultimi due anni, verso percorsi di formazione significativi rivolti ai Docenti di ogni ordine e grado, delle scuole in rete. La Scuola media di Ghedi, raccogliendo questa sollecitazione, ha dato seguito ad una proposta formativa che ha sviluppato i seguenti aspetti:

• Vivere la migrazione: cambiamenti e rotture, accoglienze ed esclusioni Progetti migratori della famiglia, percorsi di vita dei minori

• Costruirsi un’identità tra luogo di origine e luogo di accoglienza/vita impedimenti e insuccessi scolastici, scacchi e conflitti, risorse e opportunità nei minori, nella famiglia, nei gruppi comunitari

• Identità e appartenenze Scissione fra filiazione ed affiliazione

I periodi di rischio elettivo (0-1 anno, 6-8 anni e adolescenza)

La stima di sé e il modello delle risorse

• La mediazione etnoclinica Gli strumenti etnoclinici (genogramma, storiogramma e storie di vita) La traduzione parola per parola ed i suoi tranelli

Il paradosso del bambino traduttore

Il lavoro con i mediatori linguistico-culturali

La costruzione di un dispositivo etnoclinico ed il ruolo della scuola

La particolarità della proposta è nata dal desiderio degli insegnanti di approfondire il tema molto attuale, talvolta scottante, dell’identità dei minori stranieri. quell’identità talvolta confusa che spesso non si delinea in coloro che hanno vissuto storie di migrazione, non sempre condivise o scelte, che hanno radici in un luogo lontano, assai diverso dall’attuale luogo di vita. Accanto al percorso di formazione rivolto ai Docenti, si è avviato un intervento con gli studenti che, attraverso la narrazione, hanno potuto dare voce alle loro storie, ai loro vissuti. Dai racconti sono emersi aspetti molto particolari legati alla costruzione identitaria dei minori di origine immigrata . La narrazione ha consentito di mettere al centro il tema della loro collocazione tra almeno due mondi culturali: quello dell'origine e quello di accoglienza. Il CTI ha accolto e supportato la realizzazione di questo “viaggio” dentro le storie di vita che sono state raccolte in questa pubblicazione. Vuole essere testimonianza di un percorso voluto, restituzione degli aspetti emersi e stimolo per gli insegnanti, gli operatori, le famiglie, il territorio. La significativa presenza delle molteplici culture ci porta a dire che nessuno può dirsi escluso; non è più tempo di delegare ad altri quella parte di responsabilità che spetta a ciascuno: al singolo, alla famiglia, alla scuola, al territorio. Solo attraverso un confronto serio e continuo tra le varie realtà educanti ci è possibile coniugare il pensiero e le azioni, far fronte ai problemi e tentare insieme di risolverli.

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Abstracts Convegno 2010 21

Andrea Scala (Università degli Studi di Milano) Così vicini, così lontani. I parlanti romaní e la scuola, tra vecchi pregiudizi e nuovi progetti La romaní, lingua indoaria delle comunità rom e sinte, annovera in Italia un numero di locutori calcolato in circa 60.000 unità1. Tale stima è riferibile alle comunità di antico e, ormai da tempo, stabile insediamento, presenti sul territorio italiano almeno dal XV secolo. Non comprende perciò quei gruppi di Rom balcanici di recente arrivo, rispetto alla cui futura permanenza in Italia ben poco si può prevedere. A fronte di un così significativo numero di parlanti, in massima parte di cittadinanza italiana, non esiste per la romaní alcun tipo di riconoscimento legale. La legge 482/1999 non tutela infatti la romaní, probabilmente per una sua presunta, ma poco verosimile, non territorialità2. L’assenza di tutela, lo stigma sociale associato ai locutori, lo scarso prestigio della lingua e la modestia delle conoscenze su di essa disponibili3 hanno fatto sì che la romaní rimanesse sostanzialmente ai margini delle riflessioni di educazione e pianificazione linguistica. Tante sono state le strategie messe in atto per favorire l’incontro tra istituzioni, soprattutto scolastiche, e Rom e Sinti, ma il canale della valorizzazione, o quanto meno della consapevolezza, della loro specificità linguistica non è stato preso mai seriamente in considerazione4. Se lo scarso prestigio della romaní è un dato non modificabile e lo stigma sociale a carico di Rom e Sinti è attenuabile solo con azioni politiche e sociali di lungo periodo, la questione dell’incremento delle conoscenze linguistiche sulla romaní, in vista ad esempio di un loro impiego nei processi formativi ed educativi della scuola primaria, è un progetto pienamente attuabile. Al momento le linee di ricerca che si stanno perseguendo sono le seguenti: 1) costruzione di un atlante linguistico della romaní d’Italia 2) descrizioni di singole varietà e della loro situazione sociolinguistica 3) costruzione di grammatiche romaní aperte, a disposizione degli insegnanti, ovverossia di grammatiche da modificare e implementare in sede di contatto diretto con alunni rom e sinti 4) ricerche sull’italiano L2 di adulti e bambini rom e sinti Nell’intervento si daranno esempi dei primi risultati concernenti i quattro filoni di ricerca e delle loro potenzialità applicative.

1 P. Bakker-H. Kyuchukov, What is the Romani language?, Hertfodshire, Centre de recherches tsiganes, 2000, p. 40. 2 V. Orioles, Le minoranze linguistiche. Profili sociolinguistici e quadro dei documenti di tutela, Roma, Il Calamo, 2003, pp. 18-19 e 22. 3 Cfr. G. Soravia, Zigeunersprachen und Romanisch, in G. Holtus-M. Metzeltin-Ch. Schmitt (Hrgg.). Lexikon der Romanistischen Linguistik, VII, Tübingen, Max Niemeyer Verlag, 1998, pp. 419-427, a p. 425 dove si dà un elenco di desiderata concernente la romaní. La massima parte delle ricerche auspicate è ancora totalmente da compiere. 4 Interessanti osservazioni in: P. Desideri, Il romanés ovvero la lingua come patria: riflessioni glottodidattiche, in C. Consani-P. Desideri (a c. di), Minoranze linguistiche. Prospettive, strumenti, territori , Roma, Carocci, 2007 pp. 218-234.

Page 22: Apprendere l’italiano da lingue lontane: prospettiva ... · Abstracts Convegno 2010 3 Paola Gandolfi (Università di Bergamo) Apprendere l’italiano con uno sguardo verso le lingue

Abstracts Convegno 2010 22

Paola Sguazza (Istituto Dante Alighieri – Milano) Il ruolo del mediatore linguistico e culturale e la sua importanza nel percorso di inserimento di alunni sinofoni. La lingua cinese è quanto di più lontano ci possa essere da qualsiasi lingua neolatina; non solo per la sua struttura di lingua non flessiva, ma anche e, oserei dire, soprattutto, perché espressione di una cultura tanto differente per la sua storia, le sue tradizioni e per il modo di vedere il mondo e la vita. Per questo motivo insegnare Italiano a cinesi diventa impresa interessante sotto diversi punti di vista, ma può rivelarsi allo stesso tempo un terreno arduo. Non conoscere la cultura cinese può o potrebbe causare situazioni imbarazzanti per lo studente e per l’insegnante stesso. Situazione, questa, da evitare sempre, ma da monitorare con particolare attenzione quando l’utente è un bambino o un adolescente immigrato che sta compiendo il suo percorso migratorio. Interessanti sono le esperienze che da anni comuni e cooperative sociali fanno nell’ambito dell’Insegnamento dell’Italiano l2. Lo studente viene accompagnato nella prima fase definita “accoglienza” dalla figura del Mediatore Linguistico e Culturale che lo aiuta a “muovere i primi passi” nel nuovo Paese. Il mediatore deve affiancare, però, anche la famiglia e l’insegnante di Italiano l2, per permettere a quest’ultimo di attuare le migliori strategie di insegnamento non solo in relazione alle caratteristiche della lingua cinese, ma anche in relazione ai tratti culturali della lingua stessa. Con questo lavoro è mia intenzione focalizzare una serie di esperienze comuni e positive in tale ambito e delle quale approfondirò gli OBIETTIVI, la METODOLOGIA e i RISULTATI ottenuti. È importante analizzare tale esperienza e inquadrarla in quelle che vengono definite “buone pratiche”, per poterla ampliare e rivalutare in ambiti diversi da quelli della scuola dell’obbligo e per valutarne i risultati anche per le altre “lingue lontane”. Bibliografia E.Banfi, Italiano L2 di Cinesi,Franco Angeli C.Luise, Italiano Lingua Seconda, Utet Camilla Bettoni, Usare un’altra lingua, Laterza Paolo E. Balboni, Le sfide di Babele, Utet Paola Sguazza, Il Mediatore Linguistico e Culturale nella scuola dell’obbligo:esperienza con la comunità cinese, Tesi di Laurea in Mediazione Linguistica e Culturale, 2004