Apprendere e lavorare nell'era digitale

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A cura diGianmaria BattagliaElisabetta SimeoniGiovanni Serpelloni

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Apprendere e lavorare nell’era digitaleOn-line collaborative e-learning per le organizzazioni sanitarie e sociali

A cura diGianmaria BattagliaElisabetta Simeoni

Giovanni Serpelloni

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Apprendere e lavorare nell’era digitaleOn-line collaborative e-learning per le organizzazioni sanitarie e sociali

A cura di:

Prof. Gianmaria BattagliaSDA Bocconi ProfessorSchool of ManagementArea Public & Health Care Management and Policy

Dott.ssa Elisabetta SimeoniDirettore Generale - Area Tecnica - Dipartimento per le Politiche AntidrogaPresidenza del Consiglio dei Ministri

Dott. Giovanni SerpelloniCapo del Dipartimento per le Politiche AntidrogaPresidenza del Consiglio dei Ministri

Pubblicazione “no profit”Tutti i diritti riservatiVietata la vendita

Per richieste:Dott. Giovanni Serpellonic/o Centro di Medicina Preventiva e ComunitariaAzienda ULSS 20 VeronaVia Germania, 20 – 37136 VERONATelefono 045 8622235 Fax 045 8622239e-mail: [email protected]

L’intero manuale è scaricabile in formato elettronico dal portale www.dronet.org nell’area biblioteca.

La responsabilità dei dati scientifici e dei contenuti degli articoli è dei singoli autori.

Editing e impostazione grafica: Alessandra Gaioni

Stampato in Italia, settembre 2008 da Cierre Grafica - Caselle di Sommacampagna (Verona)

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Where is the Life we have lost in living?Where is the wisdom we have lost in knowledge?

Where is the knowledge we have lost in information?T.S. Eliot, Choruses from “The rock” (1930)

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AUTORI

Gianmaria BattagliaSDA Bocconi Professor School of ManagementArea Public & Health Care Management and Policy

Diana CandioConsulente Programma Regionale sulle Dipendenze

Luciana Castellini DOT Solutions – Milano

Roberta RaimondiSDA Bocconi Professor School of ManagementArea Unità Sistemi Informativi

Giovanni Serpelloni Capo del Dipartimento per le Politiche AntidrogaPresidenza del Consiglio dei Ministri

Elisabetta Simeoni Direttore Generale - Area Tecnica - Dipartimento per le Politiche AntidrogaPresidenza del Consiglio dei Ministri

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PREMESSA

Sen. Avv.to Carlo GiovanardiSottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri

La formazione è senz’altro un tema fondamentale della società attuale.E’ sempre più difficile separare la dimensione personale dalla dimensione professionale nella gestione del proprio tempo: la complessità dei problemi posti dalla società attuale richiede competenze arti-colate e sofisticate, sia per rispondere alle sfide della sfera professionale, ma anche per garantire a sé e alla propria famiglia una vita serena ed equilibrata.

Le competenze richieste per affrontare la competitività del mercato globale del lavoro da un lato e la complessità dei fenomeni sociali dall’altro convergono, quindi, su ciascuno di noi, ed è a livello indivi-duale che vanno sviluppate e gestite. Il Lifelong learning va pertanto inteso non solo come fattore di competitività economica, ma soprattutto come fattore di competitività sociale nel creare le condizioni per un sistema sociale sano e solido. Un sistema sociale con queste caratteristiche è la base per la competitività del nostro paese.

Il testo di Battaglia, Serpelloni, Simeoni, di fatto, fornisce una metodologia che ha un impatto im-portante proprio sul versante sociale del sistema Italia. La possibilità di sfruttare le tecnologie per flessibilizzare la formazione genera, infatti, impatti positivi sul fragile equilibrio tra le tre sfere della vita (lavorativa-famigliare-individuale). In tale equilibrio, troppo spesso la sfera familiare è quella sacrificata per volontà o necessità all’altare della sopravvivenza professionale.

A ben vedere, ancor più rilevante è l’impatto della cultura dell’apprendimento collaborativo in rete sulla possibilità di costruire una società ancorata alle sue radici storiche e culturali. Il sistema di rela-zioni sociali non sempre fornisce strumenti per tutelare i propri contesti personali e familiari: le com-petenze collaborative forniscono un pilastro per riportare al centro della società le persone inserite nella propri legami familiari e relazionali.

Lo sradicamento che molte nuove professioni inducono, soprattutto sperimentato dai giovani, deve trovare nei legami sociali e familiari un bilanciamento per il recupero dei valori che hanno fondato la storia italiana e che il passaggio alla nuova società globalizzata sta mettendo in crisi.

Avviare una riflessione sui metodi e gli strumenti per supportare la capacità di lavorare e sviluppare le proprie competenze “in rete” non è, quindi, solo un modo di accrescere la competitività del sistema economico ma anche un contributo al sostegno della società stessa e dei suoi elementi costituenti di base, la famiglia in primis.

Roma, agosto 2008

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PRESENTAZIONE

On. Dott. Alberto GiorgettiSottosegretario di Stato all’Economia e alle Finanze

Sin dalla cosiddetta “Strategia di Lisbona” del 2000, orientata a rendere l’Europa “l’economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”, l’attenzione delle isti-tuzioni si è rivolta, oltre che ai sistemi formativi ed educativi tradizionali, allo sviluppo della formazione permanente (lifelong learning) come uno dei fattori chiave di tale strategia.

Nel Giugno 2002, il Consiglio dell’Europa ha quindi adottato una Risoluzione sull’apprendimento permanente al fine di favorire il reale sviluppo di competenze coerenti con la complessità delle sfide della società locale e internazionale, attuale e futura. Tale strategia assume particolare rilevanza per la realtà italiana che ha sempre avuto nel valore ag-giunto delle idee un fattore critico di successo e che ora sente la minaccia dei paesi a rapida crescita economica non solo come produttori a basso costo, ma anche come fornitori di valore aggiunto intellettuale di qualità.

Le competenze, ma soprattutto le metacompetenze dei nostri lavoratori e cittadini, saranno quindi il passaporto imprescindibile per la prosperità del futuro dell’Italia.In tale quadro l’e-learning assume una doppia rilevanza, in qualità di strumento tecnico per garantire la sostenibilità di iniziative di largo respiro e dall’altro come metodo orientato ad avviare la cultura del “lavoro in rete” che è un elemento fondante delle economie basate sulla specializzazione e sulla conoscenza.

I paradigmi teorici di riferimento sono però da testare nel contesto socio culturale attuale, per poter supportare la realizzazione del lifelong learning attraverso l’e-learning: questo libro fornisce una base di riferimento per lo sviluppo e la diffusione di metodi innovativi, sostenibili e concreti per la creazione costante di competenze e metacompetenze e la conseguente e contestuale disseminazione.

Roma, luglio 2008

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PREFAZIONE

Prof. Elio BorgonoviProfessore ordinario di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche Università Commerciale “L. Bocconi” di Milano

La pubblicazione affronta un tema oggi al centro del dibattito sulla formazione manageriale, quello del rapporto tra nuove tecnologie, specie ICT ma non solo, e processo di apprendimento. Un tema che ho avuto l’occasione di affrontare recentemente quando, commentando i risultati dell’annuale indagine sull’offerta formativa dei soci ASFOR, ho rilevato che l’uso di strumenti didattici innovativi, in particolare e-learning, si sono diffusi negli ultimi anni assai più lentamente di quanto previsto 4-5 anni fa e anche le previsioni per il futuro non sembrano in linea né con il trend di altri Paesi, né con le previsioni di alcuni studiosi del settore secondo cui in pochi anni, i “metodi didattici innovativi”, tipo e-learning, simulazioni immersive (ad es. second life) ecc. sostituiranno una parte rilevante degli stru-menti didattici tradizionali, quali lezioni, discussione di casi, ecc. Devo dire che queste teorie-previsioni su un radiale cambiamento in tempi brevi degli strumenti didattici non mi hanno mai convinto per una serie di ragioni, alcune delle quali sono efficacemente esposte nel testo e in particolare nei primi contributi di Battaglia.

La prima riguarda la distinzione tra il concetto-processo didattico e il concetto-processo di appren-dimento. La didattica, infatti, è il processo tramite cui si diffondono (lezione tradizionale), si fanno emergere (discussione di casi), si condividono e si confrontano teorie e metodologie: frequentemente con una didattica organizzata per sessioni di “due ore” (che è molto diffusa nella formazione per adulti o rivolta a chi ha già esperienza). Il processo di apprendimento, invece, è quell’insieme di relazioni tramite il quale le persone coinvolte in un processo didattico adattano e accrescono le reciproche co-noscenze: nel processo di apprendimento interagiscono molti più fattori oggettivi e soggettivi rispetto al processo didattico in senso stretto.

Inoltre, specie nella formazione per adulti, ma anche in quella rivolta a giovani senza esperienza di lavoro, si ha apprendimento sia da parte degli studenti/partecipanti ai programmi per adulti, sia per i docenti che sono stimolati a cercare di rendere sempre più chiara la loro esposizione ma, soprattutto, possono adattare e migliorare le proprie conoscenze sulla base delle reazioni delle persone cui si rivolgono e delle domande degli studenti. Dopo aver richiamato il concetto di rete e della sua appli-cazione ai processi formativi, il testo chiarisce bene la necessità di tenere ben distinto lo strumento (le nuove tecnologie didattiche), al fine di migliorare il processo di apprendimento le cui caratteristiche sono analizzate approfonditamente nel capitolo “Apprendere e lavorare: il ruolo della rete”.

Si passa poi alla trattazione degli strumenti ed in particolare all’uso delle ICT e, in questo ambito, degli archivi che hanno un’enorme capacità di conservazione del “patrimonio informativo” ed anzi “patri-monio di conoscenze” accumulato. Il progresso scientifico è realizzato tramite accumulo di conoscen-ze e la disponibilità di archivi elettronici, raramente più grandi di quelli cartacei, accessibili a distanza (eliminazione della barriera spaziale); inoltre, esso è conservabile più a lungo e con maggiore flessibi-lità (superamento della barriere temporali), può agevolare i processi didattici e di apprendimento.Tuttavia, la correlazione non è automatica per almeno due ordini di ragioni:

1. informazione non equivale a conoscenza: nelle “reti” e tra la “community” circolano infor-mazioni e contenuti non di rado “strumentali” rispetto alla dominanza di certe culture, a volte errate;2. l’apprendimento non dipende solo dalla quantità e dalla qualità delle informazioni, ma an-che dalle relazioni interpersonali.

Un altro aspetto che va sottolineato riguarda “le professionalità” necessarie per l’uso delle tecnologie didattiche innovative. La rapida e continua evoluzione di queste culture favorisce una crescente dis-

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sociazione tra chi ha accumulato conoscenze - intese come “sapere critico” - e capacità nell’uso degli strumenti. Spesso i giovani studenti non solo hanno conoscenze di gran lunga più avanzate rispetto ai docenti nell’uso delle tecnologie, ma tramite esse hanno accesso a informazioni e conoscenze non in possesso dei docenti. Ciò accade spesso anche nella formazione per adulti nella quale molti parteci-panti hanno non di rado una conoscenza più diretta e più evoluta della realtà e, ad esempio, sono in grado di meglio valutare la significatività e il grado di distorsione dei dati e hanno una migliore capacità di interpretarli. Al riguardo, appare particolarmente significativo il capitolo su “Ruoli e professionalità per la gestione di iniziative e-learning” (docenti, tutor e altre figure di agevolatori dei processi di ap-prendimento) che introduce al terzo tema che intendo richiamare all’attenzione del Lettore: quello della progettazione e della gestione dei processi di formazione affrontato nella parte finale del libro.

I contenuti di questa parte trovano solide fondamenta nella pluriennale esperienza di Gianmaria Battaglia, uno dei primi e dei più convinti utilizzatori di processi formativi che usano le moderne tecnologie della SDA Bocconi. L’Autore, tra l’altro, è coordinatore per la SDA Bocconi di un grande progetto finanziato dal Ministero della Pubblica Istruzione finalizzato a diffondere le competenze e le capacità di utilizzo degli strumenti di e-learning presso i docenti della Scuola Superiore. Progetto che ha coinvolto circa 10.000 docenti e circa 600 docenti con la professionalità di esperti facilitatori nell’uso delle tecnologie.

Sul tema oggetto di questa monografia Gianmaria Battaglia, oltre alla stessa conoscenza delle teorie e della letteratura su un tema che lo appassiona, porta anche l’avanzamento dei fatti, ossia di un do-cente di formazione manageriale e anche accademica in senso tradizionale, che è stato coinvolto in uno dei più rilevanti, come dimensione, contenuti e partecipanti, progetti gestiti nel nostro Paese e forse in Europa.

Milano, luglio 2008

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INTRODUZIONE

Dott. Massimo BrugnettiniDirettore Sanitario Azienda ULSS 20 Verona

Introdurre modalità innovative di formazione ed aggiornamento mediante sistemi altamente tecnolo-gici, sempre affiancati ai tradizionali sistemi di aggiornamento, costituisce un importante passo in avanti nello sviluppo delle Aziende Sanitarie. Quanto presentato in questo manuale colpisce per l’originalità ma soprattutto per il forte potenziale di concreta utilità che queste metodologie portano con sè. Sempre di più è necessario introdurre logiche di Clinical governance che permettono, contempora-neamente, una visione ed un controllo trasparente non solo dell’utilizzo e della amministrazione delle risorse ma anche delle modalità operative dei processi utilizzati, dei riferimenti scientifici, dei risultati e degli esiti dei trattamenti.Come è stato bene illustrato in questo manuale i sistemi web che utilizzano tecnologie di e-learning o di date base condivisi possono facilitare molto questo aspetto creando, nel contempo, un aumento delle comunicazione interna e della condivisione dei vari protocolli facilmente consultabili in rete oltre che poter strutturare una formazione di tutti gli operatori che lavorano nelle organizzazioni sanitarie anche mediante tecniche di autovalutazione e controllo automatico dei livelli di conoscenza acquisiti.

Verona, luglio 2008

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POSTFAZIONE

Prof. Gianmaria BattagliaSDA Bocconi ProfessorSchool of ManagementArea Public & Health Care Management and Policy

La formazione degli adulti è una disciplina relativamente recente e nei fatti è dominio di professionalità diverse. La rilevanza che gli specifici contenuti disciplinari hanno avuto tradizionalmente nello sviluppo professionale delle persone adulte e la supposta capacità di ciascun individuo di presidiare il proprio processo di apprendimento, limitano sovente l’azione di chi gestisce la formazione ad un ruolo di mero “enunciatore” di contenuti. La prassi, inoltre, troppo spesso riserva ai già inusuali investimenti in competenze didattiche il solo compito di rendere più piacevoli le attività formative - generalmente concentrate in pesanti giornate full time - e a conquistarsi un buona valutazione nei questionari di customer satisfaction compilati a fine giornata.

In realtà i processi di apprendimento degli adulti sono certamente una responsabilità individuale, in virtù della quale ciascuno, secondo le proprie esigenze e valutazioni, li indirizza e governa liberamen-te, ma è altrettanto evidente che nella società attuale il tema meriti qualche riflessione ulteriore: la complessità e soprattutto la dinamicità delle situazioni problematiche poste dalla vita lavorativa e personale ha messo in crisi i modelli di formazione basati sull’esistenza di un corpus di conoscenze sufficienti a risolvere i problemi e in cui il ruolo della formazione risiede nello studio dei meccanismi per trasmettere tale corpus di conoscenze.

Il fabbisogno di conoscenze è cresciuto a dismisura per qualunque contesto professionale in funzione di tre fattori distinti, ma interagenti. Il primo è costituito dall’inevitabile processo di specializzazione in-dotto dal crescere del dominio delle diverse discipline scientifiche e sociali. Il secondo invece è ricon-ducibile all’elevata dinamicità dei contesti che la scienza e la società, proprio in virtù delle potenzialità indotte dalla specializzazione alimenta costantemente. Il terzo, infine, è legato alla complessità delle attese della società nei confronti delle istituzioni: complessità dipendente dalla maturità dei bisogni (più attenti alla qualità che alla quantità), alla frammentazione degli interessi e attese in gioco e alla loro eterogeneità in funzione della differenziazione delle componenti degli specifici contesti sociali. In termini di conoscenze necessarie a svolgere il proprio ruolo nella società o nelle organizzazioni, tale pressione si manifesta in fabbisogno di soluzioni ai problemi emergenti che sempre meno si è in grado di anticipare perché nuovi e dipendenti da dinamiche complesse e talvolta caotiche.

A ben vedere, la costante “urgenza di soluzioni” cui ci si confronta in realtà nasconde non tanto la necessità di una maggior quantità di soluzioni prontamente disponibili, quanto la necessità di una miglior comprensione dei fenomeni in cui si è immersi. Tale miglior comprensione non può derivare però da un potenziamento della trasmissione delle conoscenze accumulate in passato - generalmente inutilizzabili per come sono formulate in sé - ma può discendere solo da quella che si può definire la saggezza della conoscenza, o, in termini più propri, dalle competenze e metacompetenze di ciascuno, inserito nel proprio contesto operativo e sociale.Sempre maggior attenzione è stata riservata negli ultimi decenni alle competenze intese come “ca-pacità degli individui di combinare, in modo autonomo, tacitamente o esplicitamente e in un contesto particolare, i diversi elementi delle conoscenze e delle abilità che possiedono” [Wikipedia]. L’obiettivo di sviluppo delle competenze è a parole assunto a riferimento dell’azione di tutti i formatori, anche se non altrettanto si può dire degli strumenti di valutazione dell’impatto della formazione adottati nella pratica.

A riprova di questa attenzione, anche il concetto di metacompetenza - intesa come capacità, propria di ogni individuo, di adattarsi e riadattarsi alle dinamiche evolutive del proprio sistema ambientale e

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relazionale di riferimento, costruendo e trasformando continuamente i propri modelli di conoscenza e di azione - ha assunto un ruolo chiave nella formazione degli adulti, testimoniando la trasformazione sostanziale della società delle organizzazioni che la costituiscono.Queste riflessioni hanno un significativo impatto sul pensiero relativo all’apprendimento e alla forma-zione. Non possiamo non condividere lo scritto di Varisco (1998) quando rileva che: [...] il processo di apprendimento non è lineare, ma interattivo, ricorsivo, talvolta caotico; problemi, migliorie e cambiamenti vengono determinati in contesto, la pianificazione è organica, evolutiva, riflessiva e colla-borativa: gli allievi sono co-protagonisti del processo; gli obiettivi emergono dallo sviluppo dei processi di apprendimento; viene enfatizzato l’apprendimento in contesti significativi; vengono favoriti: l’insegnamento ancorato a problemi significativi, la cognizione situata in specifici contesti applicativi, l’apprendistato cogni-tivo, la flessibilità cognitiva (approccio multidimensionale alla conoscenza realizzato anche attraverso la tecnologia ipermediale). La valutazione formativa (autovalutazione di processo, effettuata dal singolo e dal gruppo oltre che dall’insegnante) diventa elemento strategico.

In tale quadro si è inserita l’evoluzione di un’altra variabile chiave: la tecnologia. La tecnologia ha avuto, per quanto riguarda l’interesse di questo scritto, due ambiti di sviluppo paralleli: il primo, di impatto più apparente, è legato all’ipertestualità e alla multimedialità, il secondo, meno enfatizzato all’inizio, ma nei fatti più radicale e soprattutto più pervasivo, è legato alla diffusione degli strumenti digitali di comunicazione.

Di ipermedialità (Nelson,1965) si è cominciato a riflettere e sperimentare sin dalla seconda metà de-gli anni ’60 del secolo scorso, ma è solo con la recentissima diffusione capillare di personal computer connessi ad internet (sia nei luoghi di lavoro come nelle case private) e dei dispositivi portatili (tele-foni, PC palmari, ecc.) capaci di riprodurre contenuti multimediali e connessi in rete, che l’accesso alle informazioni ipermediali è diventato prassi e la produzione e consultazione dei contenuti è riuscita a diventare realmente libera e dinamica fino a rivoluzionare il complesso sistema delle relazioni sociali, professionali organizzative e personali.

Una prima constatazione a riguardo, risiede quindi nel fatto che il sistema delle relazioni sociali è in-termediato in forma significativa dagli strumenti di comunicazione digitale. Il sistema delle relazioni in-terpersonali è ormai solidamente fondato su strumenti come e-mail, SMS, VOIP, e altri ancora, mentre con lo sviluppo degli strumenti orientati al networking sociale (blog, forum, podcasting, social tagging, social bookmarking, social spaces in genere, e tutte le altre innovazioni tecnologiche e relativi modelli d’uso che saranno disponibili in futuro) la conoscenza individuale si fonde con la conoscenza collettiva in processi di costruzione e smantellamento in continua evoluzione. Tale evoluzione è rilevante non solo come evidenza di un abbattimento delle barriere alla produzione e diffusione della conoscenza (tralasciando per il momento il digital divide), ma anche con riferimento alla possibilità - data dalla intermediazione sulle conoscenze operata dai sistemi informativi - di sottoporre le conoscenze stesse ad analisi, interpretazioni ed elaborazioni, sfruttando le potenzialità dei sistemi informatici: ci si riferisce sia alle potenzialità dei sistemi informatici dal punto di vista quantitativo (efficienza dei database, ecc.) che qualitativo: si pensi all’analisi semantica, alla clusterizzazione delle informazioni, alla georeferen-ziazione dei fenomeni, che di fatto aggiungono conoscenza alla conoscenza proprio grazie al fatto di essere intermediati dai sistemi informativi.

Una seconda e conseguente constatazione si riferisce all’esperienza secondo la quale il patrimonio di conoscenze accessibile con modalità istantanee sia praticamente illimitato. Infatti, i sistemi di ricerca delle informazioni svolgono processi di ricerca, selezione e valutazione delle stesse con una efficienza ed efficacia tali che i limiti del processo risiedono solo nella capacità da parte del soggetto di proces-sare i contenuti selezionati e non più, come in passato, nel processo di ricerca e selezione stesso.

Si può quindi riconoscere un cambio di paradigma nella gestione della conoscenza: la nozione statica associabile al concetto di “bagaglio”, risultato di un lento processo di raccolta e metabolizzazione,

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è affiancata, e talvolta sovrastata, da una concezione più dinamica dove ciò che fa la differenza è la capacità di rinnovare continuamente le proprie conoscenze sulla base di competenze di meta-ap-prendimento.

Si può quindi sostenere che almeno una parte del mondo sia entrata pienamente nell’era digitale. Senza voler entrare nello studio di questa profonda rivoluzione, né nelle sue analisi psicologiche, sociologiche o etiche, ai fini di questo scritto non si può non prendere atto di come sia cambiato il modello di gestire le relazioni organizzative: ciò vale per le grandi organizzazioni ma probabilmente ancor più per le piccole. Esistono organizzazioni composte da poche decine di dipendenti altamente qualificati che operano in vari paesi di continenti diversi che sviluppano prodotti e servizi sofisticati e innovativi attraverso processi altamente integrati e multidisciplinari e destinati a mercati o contesti sociali (se si tratta di servizi pubblici) altamente dinamici e differenziati.

Ecco che oggi più che mai l’ambito prioritario di investimento per accrescere le professionalità è ine-rente alle competenze per assemblare le conoscenze accessibili (e sempre meno “già possedute”) e interagire in contesti complessi, multidisciplinari e multiculturali.

La formazione può, quindi, finalmente ripensare i modelli formativi alla luce del diverso funziona-mento della società e delle organizzazioni, ed in particolare della consapevolezza di operare in una società digitale. In realtà si è giunti ad una seconda fase dell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC o ICT secondo la dizione anglosassone Information and Communication Technology) nella formazione. Non è più la formazione che introduce le ICT nei processi formativi, ma i processi formativi si devono rimodellare sulla base delle relazioni consentite dalle ICT disponibili ed in uso nella società. Paradigmi come la formazione a distanza, l’e-learning, ecc. sono superati da un nuovo paradigma di formazione che li ingloba, basandosi sulle modalità relazionali utilizzate nella vita reale (e quindi largamente basate sulle tecnologie ICT), per consentire il perseguimento di obiettivi formativi coerenti con i fabbisogni della società digitale. In sintesi: apprendimento nell’era digitale.

A ciò va aggiunto che le trasformazioni che fanno convivere nei fatti le attività che generano appren-dimento con il concreto operare professionale rendono sfumati i confini delle iniziative formative facendole confondere talora con vere e proprie consulenze talora con iniziative di tutorship se non coaching individuale. Se da un lato è giusto rispettare le reali dinamiche dei fenomeni legati all’ap-prendimento, dall’altro la necessità di mantenere almeno parte della responsabilità della conduzione dei processi di apprendimento, propria del ruolo del formatore, complica il rapporto tra formatore, organizzazione committente e professionista che partecipa alle iniziative formative.

Si profila quindi una ridefinizione dello spazio di azione delle attività finalizzate allo sviluppo delle competenze: la formazione si intende come un continuo processo di stimolo e supporto allo sviluppo delle competenze nell’ambito di un insieme di specifiche iniziative che devono però essere inquadrate in un unico disegno progettuale e un unico processo di monitoraggio, valutazione supporto delle competenze stesse. La formazione può sempre più assumere il ruolo di interfaccia e simulazione del contesto operativo per favorire l’apprendimento in contesti realistici ma controllati e quindi favorevoli allo sviluppo delle competenze e alle correlate e fondamentali metacompetenze.

Molti temi sono pertanto di interesse per chi intende progettare o anche solo partecipare a iniziative formative pensate per professionisti operanti nell’era digitale e in una prospettiva di lifelong lear-ning. Va infatti ricordato che il lifelong learning, inteso come processo di continuo aggiornamento e qualificazione personale professionale, è diventato uno dei capisaldi delle politiche di sviluppo delle società moderne ed è entrato nelle priorità di investimento dell’Unione Europea, dell’OCSE e di varie istituzioni internmazionali.

Pertanto, è opportuno sin da subito sbarazzarsi delle concezioni di e-learning (magari basato sull’au-

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toapprendimento solitario) come sostituto a basso costo della formazione tradizionale, ma occuparci di quali siano gli elementi fondanti e le caratteristiche di tali processi formativi.Per meglio comprendere la struttura di questo libro si richiamano i fattori chiave caratterizzanti un percorso di formazione così come inteso in questo scritto:

1. possibilità di svolgere parte delle attività didattiche con la separazione fisica tra docente e discente e tra discenti (anche per quasi tutta la durata del processo educativo, se lo si ritiene opportuno);2. possibilità di svolgere parte delle attività didattiche con asincronia temporale (almeno entro certi limiti);3. assunzione di un ruolo fondamentale da parte di un soggetto nella progettazione dei ma-teriali di lavoro e di studio, e nella progettazione degli strumenti di lavoro (il che distingue le iniziative formative dal semplice studio individuale basato su prodotti editoriali, per quanto multimediali e orientati al supporto dell’apprendimento);4. uso di mezzi tecnici per mettere in relazione i soggetti coinvolti nel processo formativo durante tutto il suo sviluppo;5. uso di forme e strumenti di:

a. comunicazione bidirezionali sia verticali (tra docente e discente/i), sia orizzontali (tra discenti),b. rappresentazione della conoscenza alimentate dai docenti e dai discenti in modo collaborativo (mappe, wiki, ecc.);

6. possibilità di creare ambienti virtuali in cui far agire i discenti con caratteristiche flessibili, anche riproducenti situazioni professionali concrete e specifiche dei contesti lavorativi di riferimento;7. possibilità di osservare e tracciare i comportamenti assunti in tali ambienti virtuali.

Tali spazi di azione progettuale e operativa richiedono la riscoperta di alcuni contenuti di base della formazione per una rigenerazione delle iniziative formative in coerenza con le potenzialità e le aspet-tative cui ci si confronta.

Va, quindi, sottolineato che tali riflessioni siano particolarmente rilevanti con riferimento alle organiz-zazioni sanitarie, in quanto queste hanno elementi di complessità organizzativa e professionale che richiedono prime fra tutte processi formativi innovativi e di alta qualità. Alla formazione professionale si deve infatti integrare una formazione di tipo organizzativo, ossia orientata a rendere efficaci ed effi-cienti i processi organizzativi svolti dai diversi professionisti, e anche una formazione manageriale, ossia volta a consentire di orientare i processi organizzativi alle proprie finalità istituzionali. Tali fabbisogni si riferiscono, quindi, ad una numerosità di operatori molto estesa, richiedendo risposte formative a co-sti accettabili con modalità omogenee sul territorio e coerenti con le politiche e i sistemi di gestione e monitoraggio dello sviluppo delle professionalità.

I contributi raccolti in questa pubblicazione fanno riferimento al lavoro svolto in diversi ambiti forma-tivi negli ultimi anni.

Il primo capitolo focalizza il ruolo della rete nella ridefinizione dei format delle iniziative formative e dei metodi di lavoro sulla base della rivisitazione degli obiettivi didattici e di una piena consapevolezza dei principi di base delle diverse teorie dell’apprendimento; su tali basi fornisce uno schema operativo per la classificazione delle iniziative formative (o loro parti) corredato da un criterio orientativo delle tecnologie a sostegno.

Nel secondo capitolo viene illustrata l’evoluzione dei fabbisogni di raccolta, archiviazione, gestione, e accesso alle informazioni all’aumentare della complessità organizzativa e dell’arricchimento dei servizi erogati dall’organizzazione. Viene inoltre introdotto il processo attraverso il quale le informazioni si traducono in conoscenza a disposizione dell’organizzazione (Knowledge Management).

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Il terzo capitolo fornisce un modello interpretativo delle variabili di riferimento per le scelte relative alle tecnologie necessarie alla gestione della conoscenza e in particolare delle attività formative che si avvalgono di tecnologie. Sviluppa altresì il tema delle variabili che influenzano l’effettiva adozione delle tecnologie nella propria prassi professionale da parte degli utenti dei sistemi di gestione delle informazioni.

Il quarto capitolo fornisce una rassegna critica dei diversi ruoli o funzioni necessarie per la progetta-zione, realizzazione e gestione di iniziative di formazione con l’uso di tecnologie (e-learning).

Il quinto capitolo ricostruisce le principali teorie di instructional design e fornisce quindi schemi operativi per la progettazione dei attività on-line con uno specifico approfondimento del tema della valutazione delle iniziative.

Il sesto capitolo affronta in chiave pragmatica le caratteristiche delle applicazioni e-learning per uno dei temi chiave della sanità attuale: la governance dei comportamenti clinici.

Il settimo capitolo focalizza il tema del lavoro in team, argomento fondamentale in relazione all’impo-stazione collaborativa e sociale dei principali orientamenti in merito all’apprendimento e allo sviluppo della conoscenza, con uno specifico approfondimento sui team virtuali.

L’ottavo capitolo fornisce un caso paradigmatico di iniziativa formativa in cui si esemplificano gli stru-menti operativi utilizzati nella progettazione gestione dell’iniziativa stessa.

Il capitolo di chiusura esplora, sempre in chiave operativa, una delle potanizalità più interessanti del-l’e-learning: l’appredimento collaborativo. Il capitolo infatti esemplifica una applicazione orientata alla collaborazione e riferita ad una delle attività sanitarie più complesse dal punto di vista del governo gestionale, la prevenzione socio-sanitaria.

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INDICE

uno.APPRENDERE E LAVORARE: IL RUOLO DELLA RETE pag. 21Gianmaria Battaglia

due.USO DELLE TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA pag. 39COMUNICAZIONE: DALL’ARCHIVIAZIONE DEI DOCUMENTI ALLA GESTIONE DELLA CONOSCENZARoberta Raimondi

tre.LA SCELTA, L’ADOZIONE E LA DIFFUSIONE DELLE TECNOLOGIE A pag. 51SUPPORTO DELLE ATTIVITA’ FORMATIVEGianmaria Battaglia

quattro.RUOLI E PROFESSIONALITA’ PER LA GESTIONE DI INIZIATIVE DI pag. 59E-LEARNINGLuciana Castellini

cinque.PROGETTAZIONE E GESTIONE DI PROGETTI FORMATIVI pag. 71Gianmaria Battaglia

sei.APPLICAZIONE PRATICA DEI SISTEMI DI E-LEARNING COME STRU- pag. 83MENTO PER REALIZZARE CONCRETAMENTE LA CLINICAL GOVER-NANCE NELLE AZIENDE SANITARIEElisabetta Simeoni, Giovanni Serpelloni

sette.IL LAVORO IN TEAM pag. 87Luciana Castellini

otto.L‘ESPERIENZA E-LEARNING ALL’INTRENO DEL PORTALE pag. 101WWW.DRONET.ORGElisabetta Simeoni, Luciana Castellini, Gianmaria Battaglia

nove.COLLABORATIVE E-LEARNING: UN’APPLICAZIONE PRATICA NELLE pag. 121POLITICHE DI PREVENZIONE SOCIO-SANITARIAElisabetta Simeoni, Giovanni Serpelloni, Diana Candio

dieci.BIBLIOGRAFIA pag. 127

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APPRENDERE E LAVORARE IN RETE Gianmaria Battaglia

Il Project Management nelle organizzazioni ad alto contenuto professionale svolge un ruolo che va al di là della mera tecnica di pianificazione e monitoraggio della realizzazione di un progetto. Configura in realtà una modalità organizzativa volta a molteplici scopi, tra i quali i seguenti sono rilevanti ai fini di questo scritto:

• garantire il coordinamento di professionalità diverse nell’ambito del medesimo intento. Ciò va inteso non tanto in senso di coordinamento dei diversi, e distinti contributi, ma come modalità di organizzare l’integrazione dei contributi nella medesima attività multidisciplinare;• mantenere una tenuta organizzativa in contesti a basso legame formale: si pensi a progetti che coinvolgono diverse istituzioni (pubbliche, private) operanti in diversi contesti (sistemi istituzionali, giuridici e sociali). Tale tenuta è tanto più importante quando il progetto riguarda attività che per loro natura possono essere svolte solo attraverso “reti” distribuite sul territo-rio e conseguentemente sono costruite attraverso progetti a dimensione territoriale estesa;• favorire l’apprendimento, individuale e organizzativo, con riferimento a soluzioni innovative ai problemi complessi, caratterizzati dall’elevata dinamicità, tipici delle società attuale.

Il settore sanitario, infatti, manifesta questi tre fabbisogni in modo forte ed evidente. Lavorare per progetti pertanto assume il carattere di leva fondamentale per l’innovazione e il miglioramento del sistema.

A tal fine, pertanto, è opportuno in un manuale di Project Management affiancare alle tecniche di PM in senso stretto alcune teorie e i correlati strumenti operativi per far diventare il lavorare per progetti un modus operandi che sia un linguaggio comune delle diverse aziende e istituzioni del settore.

Le aree di approfondimento proposte in questo capitolo attengono, quindi, alle modalità di appren-dimento con riferimento alle competenze e non solo alle conoscenze e all’e-learning come meto-dologia di organizzazione della diffusione delle competenze di PM. Attraverso l’e-learning, infatti, si configura una modalità didattica che proprio per il fatto di:

• favorire il lavoro a distanza,• consentire attività collaborative in gruppo,• favorire la riflessività nell’azione operativa,• utilizzare l’intermediazione comunicativa della tecnologia,

si può considerare una palestra potente per la diffusione del Project Management e, quindi, rende la formazione stessa sulle teorie e sui metodi una simulazione operativa dei progetti reali.A tal fine si propongono, quindi, due distinti approfondimenti sui modelli di apprendimento e sui format didattici disponibili per l’e-learning.

L’APPRENDIMENTO

La formazione degli adulti è una disciplina relativamente recente e nei fatti è dominio di professio-nalità diverse. La rilevanza che gli specifici contenuti disciplinari hanno avuto tradizionalmente nello sviluppo professionale delle persone adulte e la supposta capacità di ciascun individuo di presidiare

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il proprio processo di apprendimento, limitano nella maggioranza dei casi l’azione di chi gestisce la formazione ad un ruolo di mero “enunciatore” di contenuti. La prassi, inoltre, troppo spesso riserva ai già inusuali investimenti in competenze didattiche il solo compito di rendere più piacevoli le attività formative - generalmente concentrate in pesanti giornate full time - e a conquistarsi una buona valu-tazione nei questionari di customer satisfaction compilati a fine giornata.

In realtà i processi di apprendimento degli adulti sono certamente dominio di ciascun individuo il quale, in virtù delle proprie esigenze e valutazioni, li indirizza e governa liberamente, ma è altrettanto evidente che nella società attuale il tema meriti qualche riflessione ulteriore: la complessità e soprat-tutto la dinamicità delle situazioni problematiche poste dalla vita lavorativa e personale quotidiana ha messo in crisi i modelli di formazione basati sulla esistenza di un corpus di conoscenze sufficienti a risolvere i problemi e in cui il ruolo della formazione risieda nello studio dei meccanismi per trasmet-tere tale corpus e nella loro attivazione.

Il fabbisogno di conoscenze è cresciuto a dismisura per qualunque contesto professionale in funzione di tre fattori distinti, ma interagenti. Il primo è costituito dall’inevitabile processo di specializzazione in-dotto dal crescere del dominio delle diverse discipline scientifiche e sociali. Il secondo, invece, è ricon-ducibile all’elevata dinamicità dei contesti che la scienza e la società, proprio in virtù delle potenzialità indotte dalla specializzazione, alimentano costantemente. Il terzo, infine, è legato alla complessità delle attese della società nei confronti delle istituzioni: complessità dipendente dalla maturità dei bisogni (più attenti alla qualità che alla quantità), alla frammentazione degli interessi e delle attese in gioco e alla loro eterogeneità in funzione della differenziazione delle componenti degli specifici contesti sociali. Tale pressione, in termini di conoscenze necessarie a svolgere il proprio ruolo nella società o nelle organizzazioni, si manifesta in fabbisogno di soluzioni ai problemi emergenti che sempre meno si è in grado di anticipare perché nuovi e dipendenti da dinamiche complesse e talvolta caotiche.

A ben vedere la costante “urgenza di soluzioni” in cui viviamo in realtà nasconde non tanto la neces-sità di una maggior quantità di soluzioni a portata di mano quanto la necessità di una miglior com-prensione dei fenomeni in cui siamo immersi. Tale miglior comprensione non può derivare però da un potenziamento della trasmissione delle nozioni e tecniche accumulate in passato - generalmente inutilizzabili per come sono formulate in sé - ma, se vogliamo esprimerci in termini poetici, può di-scendere solo dalla saggezza della conoscenza, o, in termini più propri, dalle competenze e metacom-petenze di ciascuno, inserito nel suo contesto operativo e sociale.

Negli ultimi decenni, sempre maggior attenzione è stata riservata alle competenze intese come “ca-pacità degli individui di combinare, in modo autonomo, tacitamente o esplicitamente e in un contesto particolare, i diversi elementi delle conoscenze e delle abilità che possiedono” [Wikipedia]. L’obiettivo di sviluppo delle competenze è, a parole, assunto a riferimento dell’azione di tutti i formatori, anche se, ad essere sinceri, non altrettanto si può dire dell’effettivo orientamento degli strumenti di valutazione dell’impatto della formazione adottati nella pratica.

A riprova di questa attenzione, anche il concetto di metacompetenza - intesa come capacità, propria ad ogni individuo, di adattarsi e riadattarsi alle dinamiche evolutive del proprio sistema ambientale e relazionale di riferimento, costruendo e trasformando continuamente i propri modelli di conoscenza e di azione - ha assunto un ruolo chiave nella formazione degli adulti, testimoniando la trasforma-zione sostanziale della società delle organizzazioni che la costituiscono. Queste riflessioni hanno un significativo impatto sul pensiero relativo all’apprendimento e alla formazione. Non possiamo non condividere lo scritto di Varisco (1998) quando rileva che: [...] il processo di apprendimento non è lineare, ma interattivo, ricorsivo, talvolta caotico; problemi, migliorie e cambiamenti vengono determinati in contesto, la pianificazione è organica, evolutiva, riflessiva e colla-borativa: gli allievi sono co-protagonisti del processo; gli obiettivi emergono dallo sviluppo dei processi di apprendimento; viene enfatizzato l’apprendimento in contesti significativi; vengono favoriti: l’insegnamento

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ancorato a problemi significativi, la cognizione situata in specifici contesti applicativi, l’apprendistato cogni-tivo, la flessibilità cognitiva (approccio multidimensionale alla conoscenza realizzato anche attraverso la tecnologia ipermediale). La valutazione formativa (autovalutazione di processo, effettuata dal singolo e dal gruppo oltre che dall’insegnante) diventa elemento strategico.

In tale quadro si è inserita l’evoluzione di un’altra variabile chiave: la tecnologia. La tecnologia ha avuto, per quanto riguarda l’interesse di questo scritto, due paralleli ambiti di sviluppo: il primo, apparen-temente più eclatante, è legato all’ipertestualità e alla multimedialità, il secondo meno enfatizzato all’inizio, ma nei fatti dirompente e soprattutto più pervasivo, è legato alla diffusione degli strumenti digitali di comunicazione.Di ipermedialità (Nelson, 1965) si è cominciato a riflettere e sperimentare sin dalla seconda metà de-gli anni ’60 del secolo scorso, ma è solo con la recentissima diffusione capillare di personal computer connessi ad Internet (sia nei luoghi di lavoro come nelle case private) e dei dispositivi portatili (tele-foni, PC palmari, etc...) capaci di riprodurre contenuti multimediali e connessi in rete, che l’accesso alle informazioni ipermediali è diventato prassi e la produzione e consultazione dei contenuti è riuscita a diventare realmente libera e dinamica fino a rivoluzionare il complesso sistema delle relazioni sociali, professionali organizzative e personali.

Una prima constatazione a riguardo, risiede quindi nel fatto che il sistema delle relazioni sociali è intermediato in forma significativa dagli strumenti di comunicazione digitale. Il sistema delle relazioni interpersonali è ormai solidamente fondato su strumenti come email, sms, VOIP, e così via, mentre con lo sviluppo degli strumenti orientati al networking sociale (blog, forum, podcasting, social tagging, social bookmarking, social spaces in genere, e così via) la conoscenza individuale si fonde con la conoscenza collettiva in processi di costruzione e smantellamento in continua evoluzione. Tale evoluzione è rile-vante non solo come evidenza di un abbattimento delle barriere alla produzione e diffusione della conoscenza (tralasciando per il momento il digital divide) ma anche con riferimento alla possibilità - data dalla intermediazione sulle conoscenze operata dai sistemi informativi - di sottoporre le cono-scenze stesse ad analisi, interpretazioni ed elaborazioni, sfruttando le potenzialità dei sistemi informa-tici: ci riferiamo sia alle potenzialità dei sistemi informatici dal punto di vista quantitativo (efficienza dei database, etc.) che qualitativo: si pensi all’analisi semantica, alla clusterizzazione delle informazioni alla georeferenziazione dei fenomeni, che di fatto aggiungono conoscenza alla conoscenza proprio grazie al fatto di essere intermediati dai sistemi informativi.

Una seconda e conseguente constatazione si riferisce all’esperienza secondo la quale il patrimonio di conoscenze accessibile con modalità istantanee sia praticamente illimitato. Infatti, i sistemi di ricerca delle informazioni svolgono processi di ricerca, selezione e valutazione delle stesse con un’efficienza ed efficacia tali che i limiti del processo risiedono solo nella capacità da parte del soggetto di proces-sare i contenuti selezionati e non più, come in passato, nel processo di ricerca e selezione stesso.

Si può quindi riconoscere un cambio di paradigma nella gestione della conoscenza: la nozione statica associabile al concetto di “bagaglio”, risultato di un lento processo di raccolta e metabolizzazione, è affiancata, e talvolta sovrastata, da una concezione più dinamica dove ciò che fa la differenza è la capacità di rinnovare continuamente le proprie conoscenze sulla base di competenze di meta-ap-prendimento.

Si può quindi sostenere che almeno una parte del mondo sia entrata pienamente nell’era digitale. Senza voler entrare nello studio di questa profonda rivoluzione, né nelle sue analisi psicologiche, so-ciologiche o etiche, ai fini di questo scritto non si può non prendere atto di come sia cambiato il mo-dello di gestire le relazioni organizzative: ciò vale per le grandi organizzazioni ma probabilmente ancor più per le piccole. Esistono organizzazioni composte da meno di 50 dipendenti altamente qualificati che operano in una decina di paesi diversi del mondo e che sviluppano prodotti e servizi sofisticati e innovativi attraverso processi altamente integrati e multidisciplinari e destinati a mercati o contesti

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sociali (se si tratta di servizi pubblici) altamente dinamici e differenziati.Ecco che oggi più che mai l’ambito prioritario di investimento per accrescere le professionalità è ine-rente alle competenze per assemblare le conoscenze accessibili (e sempre meno “già possedute”) e interagire in contesti complessi, multi disciplinari e multiculturali.

La formazione può quindi finalmente ripensare i modelli formativi alla luce del diverso funzionamento della società e delle organizzazioni, ed in particolare della consapevolezza di operare in una società di-gitale. In realtà si è giunti ad una seconda fase dell’uso delle tecnologie dell’informazione e della comu-nicazione (TIC o ICT secondo la dizione anglosassone Information and Communication Technology) nella formazione. Non è più la formazione che introduce le ICT nei processi formativi, ma i processi formativi si devono azzerare e ricostruire sulla base delle relazioni consentite dalle ICT disponibili ed in uso nella società. Paradigmi come la formazione a distanza, l’e-learning, ecc. sono superati da un nuovo paradigma di formazione che li ingloba basandosi sulle modalità relazionali utilizzate nella vita reale (e quindi largamente basate sulle tecnologie ICT) per consentire il perseguimento di obiettivi formativi coerenti con i fabbisogni della società digitale. In sintesi: apprendimento nell’era digitale.

A ciò va rilevato come le trasformazioni che fanno convivere nei fatti le attività e che generano ap-prendimento con il concreto operare professionale rendono sfumati i confini delle iniziative forma-tive, facendole confondere talora con vere e proprie consulenze, talora con iniziative di tutorship se non coaching individuale. Se da un lato è giusto rispettare le reali dinamiche dei fenomeni legati all’ap-prendimento, dall’altro la necessità di mantenere almeno parte della responsabilità della conduzione dei processi di apprendimento, propria del ruolo del formatore, complica il rapporto tra formatore, organizzazione committente e professionista che partecipa alle iniziative formative.Si profila quindi una ridefinizione dello spazio di azione delle attività finalizzate allo sviluppo delle competenze: la formazione si intende come un continuo processo di stimolo e supporto allo sviluppo delle competenze nell’ambito di un insieme di specifiche iniziative che devono però essere inquadrate in un unico disegno progettuale e un unico processo di monitoraggio, valutazione, supporto delle competenze stesse. La formazione può sempre più assumere il ruolo di interfaccia e simulazione del contesto operativo per favorire l’apprendimento in contesti realistici ma controllati e quindi favorevoli allo sviluppo dei processi di apprendimento ed ai correlati e fondamentali processi di meta-appren-dimento.

Molti temi sono pertanto di interesse per chi intende progettare o anche solo partecipare a iniziative formative pensate per professionisti operanti nell’era digitale e in una prospettiva di lifelong learning. Va infatti ricordato che il lifelong learning, inteso come processo di continuo aggiornamento e qualifi-cazione personale professionale, è diventato uno dei capisaldi delle politiche di sviluppo delle società moderne ed è entrato nelle priorità di investimento dell’Unione Europea e dell’OCSE. Pertanto, pos-siamo sin da subito sbarazzarci delle concezioni di e-learning (magari basato sull’autoapprendimento solitario) come sostituto a basso costo della formazione tradizionale, ma occuparci di quali siano gli elementi fondanti e le caratteristiche di tali processi formativi.

Le sfide che la formazione in sanità deve affrontare sono:1. possibilità di svolgere parte delle attività didattiche con la separazione fisica tra docente e discente e tra discenti (anche per quasi tutta la durata del processo educativo, se lo si desidera);2. possibilità di svolgere parte delle attività didattiche con asincronia temporale (almeno entro certi limiti);3. assunzione di un ruolo fondamentale da parte di un soggetto nella progettazione dei materiali di lavoro e di studio, e nella progettazione degli strumenti di lavoro (il che distingue le iniziative formative dal semplice studio privato basato su prodotti editoriali, per quanto multimediali e orientati al supporto dell’apprendimento);4. uso di mezzi tecnici per mettere in relazione i soggetti coinvolti nel processo formativo

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durante tutto il suo sviluppo;5. uso di forme e strumenti di:

a. comunicazioni bidirezionali sia verticali (tra docente e discente/i), sia orizzontali (tra discenti),b. rappresentazioni della conoscenza alimentate dai docenti e dai discenti in modo collaborativo (mappe, wiki, e così via);

6. possibilità di creare ambienti virtuali in cui far agire i discenti con caratteristiche flessibili, anche riproducenti situazioni professionali concrete e specifiche dei contesti lavorativi di riferimento dei discenti;7. possibilità di osservare e tracciare i comportamenti assunti in tali ambienti virtuali.

Tali spazi di azione progettuale e operativa richiedono la riscoperta di alcuni contenuti di base della formazione per una rigenerazione delle iniziative formative in coerenza con le potenzialità e le aspet-tative cui ci si confronta.

APPRENDERE E LAVORARE: IL RUOLO DELLA RETE

La formazione degli adulti per molto tempo non ha avuto una specifica disciplina di riferimento, uti-lizzando i modelli e le teorie della pedagogia.Senza voler esplorare approfonditamente il dibattito in merito si può sin da subito rilevare come l’applicazione dei modelli pedagogici agli adulti contenga in sé, in realtà, elementi di problematicità: gli adulti infatti sono individui già maturi, con esperienze consolidate e operanti pienamente nei propri contesti sociali professionali con responsabilità. Quando decidono di partecipare a programmi forma-tivi sono spinti da un proprio desiderio di apprendimento legato a specifici problemi che incontrano nella loro vita.Knowles, che - benché già dal 1800 vi fossero già state riflessioni in proposito - più di altri ha svilup-pato e impostato l’andragogia per come è intesa attualmente (scienza dell’educazione degli adulti) e ne è considerato il padre rileva come l’adozione di un approccio pedagogico con gli adulti non consi-deri le caratteristiche dei processi adottati da questi ultimi e generi tensioni, risentimenti e resistenze all’apprendimento:Andragogy assumes that the point at which an individual achieves a self-concept of essential self-direction is the point at which he psychologically becomes adult. A very critical thing happens when this occurs: the in-dividual develops a deep psychological need to be perceived by others as being self-directing. Thus, when he finds himself in a situation in which he is not allowed to be self-directing, he experiences a tension between that situation and his self-concept. His reaction is bound to be tainted with resentment and resistance. It is my own observation that those students who have entered a professional school or a job have made a big step toward seeing themselves as essentially self-directing. They have largely resolved their identity-forma-tion issues; they are identified with an adult role. Any experience that they perceive as putting them in the position of being treated as children is bound to interface (sic) with their learning (Knowles, 1978).

Il primo pensiero di Knowles è poi stato messo in discussione, anche dallo stesso autore che più tardi ha ridefinito il ruolo dell’andragogia con riferimento ai modelli pedagogici:…andragogy is simply another model of assumptions about adult learners to be used alongside the peda-gogical model of assumptions, thereby providing two alternative models for testing out the assumptions as to their ‘fit’ with particular situations. Furthermore, the models are probably most useful when seen not as dichotomous but rather as two ends of a spectrum, with a realistic assumption (about learners) in a given situation falling in between the two ends (Knowles, 1980).

Ai fini di questo scritto è comunque utile richiamare gli assunti su cui si fonda la sua interpretazione dell’andragogia (Knowles, 1990):

• gli adulti necessitano di conoscere perché occorra apprendere qualcosa prima di avviare

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un percorso di apprendimento;• autodeterminazione del soggetto: gli adulti devono essere responsabili delle proprie de-cisioni, deve essere riconosciuta loro la capacità di autogestirsi;• ruolo dell’esperienza: gli adulti possiedono una varietà di esperienze che rappresentano la risorsa più importante per l’apprendimento. Tali esperienze, però, sono anche foriere di preconcetti e illazioni infondate;• preparazione all’apprendimento: gli adulti sono pronti all’apprendimento in funzione delle attività che sono chiamati a svolgere nei propri ruoli sociali e professionali;• l’orientamento all’apprendimento è rivolto alla performance e all’ottenimento di risultati immediati.

Risulta evidente come le strategie rivolte a generare processi di apprendimento o di acquisizione di nuove competenze siano fortemente condizionati da tali assunti: in particolare, situazioni in cui il fabbisogno di apprendimento non nasce da situazioni fisiologiche (riqualificazione professionale cau-sata dall’espulsione dal proprio contesto lavorativo) oppure su situazioni non percepite dal soggetto (formazione per persone che si percepiscono adeguate, ecc.).

A complicare il quadro delle riflessioni riguardo al ruolo dell’apprendimento nei contesti sociali e pro-fessionali interviene un altro filone di riflessioni, che possiamo riferire a Donald Schön, che si sintetizza nel concetto di professionista riflessivo.Schön suggerisce che la capacità di riflettere nell’azione per attivare un processo di apprendimento continuo è una caratteristica intrinseca nell’attività di tutti i professionisti. Sostiene inoltre che il mo-dello della formazione professionale, basato sul trasferimento agli studenti di una razionalità tecnica che poi saranno chiamati ad applicare una volta entrati nel proprio ruolo professionale, non descriva correttamente come avvenga nei fatti l’acquisizione delle conoscenze realmente utili nella pratica professionale.

In particolare, nelle società attuali, caratterizzate da una dinamicità continua e rapida, diviene essen-ziale coltivare la capacità di riflettere durante l’azione e dopo l’azione, in quanto il professionista deve affrontare problemi inediti non risolvibili solo in base a repertori tecnici o regole definite. La cono-scenza pratica, precedentemente accumulata, diventa inadeguata: “…il professionista può far emergere e criticare la propria iniziale comprensione del fenomeno, costruire una nuova descrizione di quest’ultimo e verificare attraverso un esperimento sul campo. Talvolta egli per-viene a una nuova teoria del fenomeno mediante l’articolazione di una sensazione che egli ha riguardo ad esso…”“Questo processo trasforma il professionista in un ricercatore operante nel contesto della pratica; la sua indagine non è limitata ad una decisione sui mezzi dipendente da un preliminare consenso sui fini. Egli non tiene separati i fini dai mezzi, ma li definisce in modo interattivo, mentre struttura una situazione problematica” (Schön, 1993).

Tale approccio ci suggerisce quindi che non esiste un insieme di conoscenze che sia indispensabile e sufficiente a risolvere i problemi della pratica professionale. Pertanto, l’enfasi sui contenuti di molta formazione non appare totalmente giustificata se si pensa alla rapida obsolescenza che i contenuti trasmessi hanno ad esempio nella maggior parte delle discipline manageriali (sempre ammesso che la trasmissione avvenga realmente in termini di competenze attraverso quella formazione). D’altra parte, se da un lato la riflessione nel corso dell’azione come fonte dell’apprendimento sposta l’atten-zione sulle competenze più che sulle conoscenze, dall’altro lega indissolubilmente l’apprendimento all’azione pratica e quindi alla concreta attività professionale.

Le conseguenze di tale riflessione sulla progettazione di percorsi di apprendimento è di immediata comprensione se pensiamo alle modalità di svolgimento della formazione tradizionale che vive della rassicurante relazione docente-formando e sul principio di autorità esercitato dal primo nell’ambito

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di una relazione verticale di tipo enunciativo di contenuti in cui l’interazione riguarda la richiesta di chiarimenti seguita normalmente da una riformulazione delle nozioni esposte.

L’adeguamento delle modalità di svolgimento della formazione all’assunto posto da Schön comporta la ridefinizione delle attività didattiche verso un modello più simile al laboratorio, piuttosto che a una sequenza di lezioni: il ruolo della tecnologia per realizzare dei “laboratori virtuali” attraverso simula-zioni e giochi di ruolo è stato scoperto ed esplorato già da qualche decennio ed è ormai entrato a pieno titolo nel bagaglio dei progettisti della formazione.

A completare un pur sommario quadro delle specificità dei processi di apprendimento degli adulti con riferimento alle competenze professionali non possiamo non fare riferimento anche al pensiero di Etienne Wenger con riferimento alle comunità di pratica. Wenger definisce le Comunità di Pratica come: “gruppi di persone tenuti assieme in modo informale da una comune attività e da ciò che hanno appreso a seguito di tale coinvolgimento” (Wenger, 1998).Le caratteristiche peculiari delle comunità di pratica, ciò che le distingue dalle altre forme di aggrega-zione aziendale come i Gruppi di lavoro, i Team di Progetto e i Network informali, sono, come definite da Wenger:

• l’impegno in una qualsiasi attività – ovvero la realizzazione di un’attività intrapresa comune, intesa come tale dai suoi membri e negoziata nei suoi diversi aspetti;• la forte coesione sociale che le unisce – ovvero l’esistenza di un impegno reciproco tra i membri, i quali si sentono legati da una comune identità all’interno di una determinata iden-tità sociale;• la condivisione di una cultura specifica – ovvero la presenza di un repertorio condiviso di risorse comuni sviluppato nel tempo, ossia linguaggi, stili di azione, sensibilità, modalità ricor-renti di azione e pensiero.

I membri di una comunità di pratica collaborano guidati da un senso di appartenenza frutto della condivisione di una determinata cultura, di un linguaggio, di un vocabolario, di un modo di esprimersi, di una stessa modalità di interpretazione degli eventi che si presentano, quasi fossero un unico “orga-nismo vivente” che si adatta e si evolve seguendo una logica evoluzionistica. Il risultato è la creazione di nuova conoscenza attraverso un “apprendimento organico” della comunità di pratica.

Le comunità di pratica generano valore per gli individui e per l’organizzazione in diversi modi:• identificando, migliorando e prospettando nuove aree di sviluppo e nuove strategie d’im-presa;• contribuendo a risolvere velocemente i problemi (ogni membro conosce a chi chiedere aiuto per focalizzare un problema e il modo di risolverlo);• trasferendo rapidamente le best practices attraverso la rappresentazione di un Forum di condivisione e diffusione all’interno dell’impresa, del gruppo e del settore;• sviluppando e migliorando le competenze professionali di ogni lavoratore tramite il mo-dello “artigianale”, in cui l’apprendista impara dal suo “maestro di mestiere”. Un efficace e duraturo apprendimento del singolo dipende dalla disponibilità dei colleghi più esperti e dalla loro capacità di agire come coaches.

Tale impostazione fa riferimento ad un concetto di apprendimento come “apprendimento situato”. L’apprendimento situato si basa su quattro assunti:

• l’apprendimento è fondato sulle azioni delle situazioni quotidiane;• la conoscenza è acquisita in modo situato e quindi trasferibile solo in situazioni simili;• l’apprendimento è il risultato di un processo sociale che comprende modi di pensare, di percepire, di risolvere i problemi, e interagisce con le conoscenze dichiarative e procedurali;• l’apprendimento non è separato dal mondo dell’azione ma coesiste in un ambiente sociale complesso fatto di attori, azioni e situazioni.

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La nozione di comunità di pratica e la sua correlata nozione di “apprendimento situato” consentono di derivare alcune conseguenze pratiche di grande rilevanza per chi si assume la responsabilità dei processi di apprendimento di altri adulti: l’apprendimento è, infatti, insito nelle relazioni tra persone. Le concezioni tradizionali si basano sull’assunto che l’apprendimento sia all’interno di ciascun individuo: secondo l’apprendimento situato, esso è nelle condizioni che avvicinano le persone e organizzano un punto di contatto tra di loro che consente ad una nozione di assumere rilevanza. Senza il sistema delle rilevanze non c’è apprendimento e non c’è memoria, e il sistema delle rilevanze è dato dal sistema delle relazioni: l’apprendimento non appartiene agli individui ma alle diverse conversazioni di cui fanno parte. Il ruolo dei formatori sarebbe, quindi, principalmente quello di far sì che i formandi entrino a far parte di comunità di pratica e partecipino pienamente alla comunità.

CENNI SULLE TEORIE DELL’APPRENDIMENTO

A fronte delle specificità dei processi di apprendimento degli adulti sopra sintetizzate attraverso il riferimento ad alcuni contributi significativi, è comunque utile richiamare le principali teorie sull’ap-prendimento sviluppate dalla pedagogia, in quanto forniscono ulteriori elementi di interesse per il formatore.Gli assunti pedagogici che sottostanno alle teorie di progettazione della didattica attraverso le tec-nologie sono infatti essenziali per comprendere come il concetto di formazione si evolva nel tempo congiuntamente al modo di intendere cosa siano l’apprendimento e l’insegnamento.

Senza avere pretesa di esaustività si intende presentare una sintetica panoramica dei modelli di apprendimento e delle principali correnti di pensiero pedagogico del nostro secolo per metterli in relazione con le tecnologie dell’educazione e con i principi di instructional design delineati in questo libro.

Ciò che maggiormente si vuole mettere in luce in questo paragrafo è che l’efficacia della tecnologia dell’educazione è funzione sia di quanto questa supporti adeguatamente uno specifico modello didat-tico sia dell’appropriatezza del modello ad una certa situazione di apprendimento.

Nessuno dei paradigmi di apprendimento che verranno di seguito descritti è migliore degli altri in termini assoluti. Ognuno di essi sarà appropriato in relazione ad un certo numero di variabili quali ad esempio la tipologia dell’utenza (livello di preparazione, esperienza, maturità, skills) o la tipologia dei contenuti o ancora, l’orientamento del formatore e le sue preferenze didattiche. Ciò che si ritiene in-dispensabile è che il formatore che determina l’impianto e le scelte didattiche per qualunque corso di formazione sia consapevole dei differenti modelli esistenti e di ciò che questi comportano in termini di risultati e implicazioni didattiche e di apprendimento.

Oggettivismo e comportamentismo E’ un filone di studi sulle tecnologie dell’educazione che prende avvio negli USA nella seconda metà del secolo scorso con la pubblicazione nel ’54 di un articolo di Skinner dal titolo “The science of lear-ning and the art of teaching”. Questo lavoro, scritto da uno dei più significativi autori della corrente di pensiero cosiddetta “Comportamentista”, da origine ad una notevole serie di studi ed applicazioni nel campo della formazione derivanti dalla psicologia sperimentale.Presupposto teorico di questo approccio di evidente derivazione psicologica, è che nulla si può dire di ciò che avviene all’interno della mente dell’individuo e che si può osservare e studiare solo ciò che è esterno al comportamento umano (per questa ragione viene anche definito “Oggettivismo”).Se applicato nel campo dell’educazione, il modello prevede che l’apprendimento avvenga attraverso un processo di stimolo-risposta. L’apprendimento, quindi, si configura come un cambiamento nella disposizione dei comportamento di un individuo che può essere indirizzato dal docente attraverso una serie di stimoli e rinforzi selettivi.

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Elemento fondamentale di questo modello è la constatazione che esista una realtà oggettiva e che l’obiettivo dell’apprendimento sia proprio nella comprensione di questa realtà. Conseguenza del pro-cesso dell’apprendere è il cambiamento attitudinale delle persone in relazione al mondo oggettivo che le circonda.In sintesi gli assunti pedagogici in base ai quali si sviluppa la teoria sono:

• esiste un livello del reale condiviso dagli studenti;• questa realtà può essere rappresentata e trasferita allo studente;• l’attitudine della mente è quella di agire come specchio della realtà piuttosto che come interprete di questa;• tutti gli studenti hanno essenzialmente gli stessi processi per rappresentare e compren-dere la realtà.

In termini di insegnamento, il modello oggettivista/comportamentista assume, quindi, che lo scopo dell’insegnamento sia di trasmettere efficacemente il sapere dall’esperto allo studente. Ove si ve-rifichino possibili incomprensioni da parte dello studente, queste sono causate da imperfezioni o incompletezze nel processo di trasferimento della conoscenza. In questo senso, ruolo essenziale dell’insegnante è quello di strutturare la realtà in rappresentazioni generali e astratte che possono essere passate agli studenti e da questi richiamate in seguito a stimoli specifici. Il linguaggio, ad esem-pio, è costituito da parole che rappresentano astrazioni concettuali della realtà; affinché le persone si capiscano e comunichino efficientemente, deve essere attribuito e condiviso uno stesso significato per ogni parola.

L’insegnante è la fonte del sapere, controlla i materiali ed il percorso di apprendimento, e verifica, attraverso domande o questionari se il trasferimento è effettivamente avvenuto. Dall’altro versante, lo studente impara al meglio in stato di isolamento e di attività intensiva con la materia oggetto di studio.

Dato quanto sopra esposto è evidente che lo stile di insegnamento più consono a tali presupposti sia la lezione magistrale, poiché per un oggettivista la presentazione delle informazioni è essenziale. Il percorso e la progressione dell’insegnamento verranno inoltre costruiti in modo modulare che pro-ceda gradualmente e gerarchicamente da un argomento al successivo. Questo modello può essere appropriato in alcuni casi o contesti specifici – come ad esempio l’apprendimento di tipo procedurale – ma altri modelli hanno oltrepassato gli assunti fondanti di questo paradigma proponendo nuovi modi di intendere l’apprendere e l’insegnare.

Il costruttivismoIl filone costruttivista, invece, assume che non esista una realtà oggettiva esterna ed indipendente dalla mente degli individui. La mente umana non riproduce la realtà esterna ma produce essa stessa una sua unica originale concezione degli eventi e degli aspetti che analizza e che rielabora. Ognuno, quindi, percepisce la realtà in modo differente a seconda delle proprie esperienze pregresse e del bagaglio di conoscenza individuale.

Una posizione più moderata afferma l’esistenza di un mondo oggettivo esterno all’individuo ma assu-me che, a partire da questa, ognuno costruisca la propria realtà. Col tempo, poi, analizzando differenti interpretazioni di informazioni o circostanze, lo studente sarà in grado di distaccarsi dal proprio sog-gettivo mondo di esperienza individuale per elaborare concetti astratti per rappresentare la realtà.

Il processo di apprendimento è proprio la formazione di concetti astratti che consente al soggetto che impara di staccarsi dalla propria visione del mondo permettendogli una crescita individuale che supporta il ragionamento scientifico, il pensiero astratto e l’operativizzazione di questi.

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Il tipo di processo didattico che richiede il paradigma di apprendimento costruttivista è centrato sullo studente assumendo che questi apprende nel modo migliore quando è spinto a sperimentare e sco-prire piuttosto che quando viene istruito attraverso una lezione magistrale. Secondo gli studi di Piaget, uno degli studiosi più significativi del costruttivismo, il soggetto deve controllare il proprio percorso formativo e deve sperimentare attraverso la formulazione di ipotesi e previsioni, porre domande e ricercare soluzioni, manipolare oggetti, usare l’immaginazione. L’insegnante ha la funzione di essere il mediatore “creativo” del processo di apprendimento che fornisce strumenti per aiutare gli studenti a costruire le proprie visioni del mondo.

I critici di questo approccio obbiettano che nella pratica molto spesso il processo di apprendimento si riduce in realtà nella ricerca di un sapere preordinato che sarebbe insegnato (o trasferito) molto più efficacemente ed efficientemente dal docente.

Il modello cooperativoDal paradigma precedente deriva il modello cooperativo (o collaborativo) che assume come fon-damentali le interazioni che intervengono non già tra studenti e oggetti della realtà, ma piuttosto tra individui.

Il processo di apprendimento si svolge dunque attraverso l’esercizio, la verifica, il miglioramento e il consolidamento dei propri modelli mentali attraverso la discussione e la condivisione di informazioni. Gli assunti pedagogici essenziali del modello possono essere riassunti in quattro punti:

• la conoscenza non solo viene condivisa nel processo di interazione tra individui ma viene anche creata, e più si condivide più si impara,• coloro che hanno acquisito precedentemente conoscenza possono partecipare alla di-scussione condividendo ciò che sanno con gli altri soggetti coinvolti,• la partecipazione è essenziale per il processo di apprendimento,• la partecipazione si sviluppa se ci sono condizioni ottimali che la favoriscono come ad esempio gruppi di piccole dimensioni.

Un’implicazione interessante di questo modello è che attraverso le interazioni con gli altri componen-ti della comunità, lo studente non solo apprende ma acquisisce anche quelle meta abilità sottostanti l’attività di collaborazione, quali ad esempio la capacità di comunicare e ascoltare.

Il ruolo del docente si trasforma da “lecturer” che eroga e controlla i contenuti in facilitatore dello scambio di informazioni e del processo di discussione tra studenti. Il feedback sulle attività del gruppo da parte del docente è di estrema importanza per consolidare e confermare il processo di appren-dimento ma altrettanto critico secondo questo approccio è il feedback che può venire da uno degli studenti che compone il gruppo (si parla anche di peer to peer tutoring, o tutoraggio tra pari). Infine, è indispensabile che si stabiliscano regole e strategie didattiche che consentano lo svilupparsi della collaborazione per favorire lo scambio di informazioni: ad esempio un ambiente di apprendimento che il partecipante possa percepire come competitivo invece che collaborativo potrebbe spingerlo a trattenere e non a condividere con gli altri la propria conoscenza.

E’ stato dimostrato che questo tipo di approccio all’apprendimento è superiore ai modelli tradizionali dove lo studio avviene in modo individualistico nei termini di miglioramento dei risultati personali, nel cambiamento delle attitudini sociali ed in generale nell’aumento della motivazione e dello stimolo ad imparare. In gruppo, infatti, si generano più facilmente idee e procedure diversificate e combinate con strategie di ragionamento di livello superiore, così come soluzioni e risposte più creative e innovative a quesiti e problemi.

Il cognitivismoUn’ulteriore declinazione del modello costruttivista considera come elemento centrale i processi

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cognitivi messi in atto nell’apprendimento. L’apprendere implica appunto elaborazione cognitiva di tutte le informazioni che riceviamo o raccogliamo tramite l’esperienza, per sviluppare dei modelli mentali efficaci ed affidabili per risolvere situazioni problematiche. Se gli input didattici non sono colti ed elaborati dagli studenti, questi non avranno nessun impatto significativo sui loro modelli mentali. Per contro, la frequenza e l’intensità di ogni studente di elaborare dal punto di vista cognitivo gli input determinano il ritmo individuale del processo di apprendimento.

Gli assunti principali sono: • gli studenti hanno diverse preferenze e differenti stili di apprendimento;• i paradigmi di apprendimento che meglio si adattano ai differenti stili individuali nella mo-dalità di apprendere, saranno i più efficaci.

Da questo assunto ne deriva che è necessario pensare ad un’istruzione in termini di flessibilità e di individualizzabilità dei processi e dei percorsi.

Ciò che già sappiamo, il nostro bagaglio di conoscenza pregressa, costituisce un modello mentale che, attraverso la funzione della memoria, diventa una determinante fondamentale nel modo in cui lo studente elaborerà le nuove informazioni. In questo caso il supporto didattico da parte di un do-cente dovrà tener conto sia dell’entità delle conoscenze, sia dello stile cognitivo di apprendimento del soggetto.

La tabella che segue rappresenta una sintesi degli elementi distintivi delle diverse teorie dell’appren-dimento che sono state sopra delineate.

Modello preMesse di bAse obiettivi didAttici Assunti principAliiMplicAzioni

per l’ApprendiMento

Oggettivismo L’apprendimento è un assorbimento acritico di un sapere obiettivo

Trasferire il sapere dal docente allo studente

Capacità di richiamare alla memoria la conoscenza

L’insegnante maneggia tutto il sapere necessario.

Gli studenti apprendono al meglio in modalità individuale ed intensiva

L’insegnante controlla sia i materiali sia il percorso didattico

L’insegnante fornisce stimoli

Costruttivismo L’apprendimento è il processo di costruzione della conoscenza da parte degli individui

Formazione di concetti astratti per rappresentare la realtà

Assegnare significati ad eventi o informazioni

Le persone imparano meglio quando scoprono cose da sè e quando controllano il proprio percorso didattico

Attività didattiche attive e learner-centered

L’insegnante deve supportare piuttosto che dirigere

CollaborativismoCooperativismo

L’apprendimento emerge attraverso la condivisione di informazione tra più persone

Promuovere gruppi di comunicazione, di ascolto e partecipazione

Promuovere la socializzazione

Il coinvolgimento è fondamentale per il processo di apprendimento

Gli studenti possiedono del sapere precedente che in qualche modo condiziona il processo di apprendimento

Il processo di apprendimento è orientato alla comunicazione

Il docente come colui che pone domande e conduce la discussione

Cognitivismo L’apprendimento è l’elaborazione e il trasferimento di nuova conoscenza nella memoria a lungo termine

Migliorare le abilità cognitive di elaborazione degli studenti

Migliorare la capacità di richiamo e ritenzione del sapere

Il livello individuale di conoscenza precedente condiziona la misura dell’intervento e del supporto didattico da parte del docente

Alcuni stimoli possono influenzare l’attenzione dello studente

L’insegnante necessita di feedback sull’apprendimento degli studenti

Adattato da Leidner, Jarvenpaa 1995

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UNO SCHEMA PER LA DEFINIZIONE DI FORMAT DIDATTICI

I filoni di studio e riflessione sin qui sintetizzati forniscono basi di riferimento insostituibili per la com-prensione o la progettazione di qualunque attività con scopi formativi: ciononostante, la numerosità delle variabili in gioco rende la classificazione e definizione delle iniziative formative difficile, generan-do possibili incomprensioni tra i diversi soggetti coinvolti (organizzazione committente la formazione, partecipanti la formazione, docenti e responsabili delle iniziative) con riferimento ai ruoli reciproci.

Le infinite varianti che le iniziative formative possono assumere rendono difficile un’immediata com-prensione delle caratteristiche principali di ciascuna. Quando si considera la formazione nel suo reale contesto di domanda, proposta e acquisto occorre quindi che i vari interlocutori, in genere con competenze non necessariamente molto approfondite in materia, abbiano a riferimento una base comune del prodotto formativo in discussione.

Il concetto di format può aiutare a organizzare e coordinare le diverse fasi di un processo di richiesta, offerta, scelta e progettazione operativa di una iniziativa formativa. Così come in altri ambiti (televisivo, letterario, ecc.) il format aiuta a definire un modello logico cui tutti le istanze di tale modello fanno riferimento. Pur non volendo costituire uno schema rigido, di seguito si propone quindi uno schema per la definizione didattica coerente con quanto esposto sopra.

I format proposti hanno l’obiettivo di abbracciare le principali variabili legate alle attività didattiche e alle tecnologie coinvolte, onde fornire una maggior chiarezza dei prodotti formativi in oggetto. I for-mat sono definiti attraverso una matrice tridimensionale e da una check list descrittiva delle principali caratteristiche delle componenti del prodotto formativo.

La creazione della matrice tridimensionale rappresentativa dei format didattici è possibile consideran-do tre distinte dimensioni:

1. tipologia degli obiettivi didattici prevalenti,2. rilevanza delle interazioni verticali secondo il principio di autorità del docente,3. rilevanza delle interazioni orizzontali secondo il principio di collaborazione e confronto.

Il mix di obiettivi didattici è stato graduato nei tre segmenti: conoscere, saper fare, saper decidere/agi-re. Secondo la classificazione più cara ai formatori aziendali.

Fig. 1: Il mix di obiettivi didattici

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La seconda dimensione si focalizza sulla rilevanza del ruolo del docente come fonte del sapere e come autorità di riferimento per le competenze di riferimento. I due estremi possono essere descritti come “Modello di riferimento” da cui dipende il processo formativo da un lato, e come “Moderatore neutrale” delle attività dei corsisti dall’altro.

Fig. 2: La dimensione dell’interazione verticale di un modello didattico

Fig. 3: La dimensione dell’interazione orizzontale di un modello didattico

E’ da notare come le due dimensioni siano indipendenti consentendo tutte e quattro le combinazioni: in particolare la combinazione con debole verticalità e debole orizzontalità si configura come appren-dimento solitario (o comunque con relazioni esterne al contesto formativo di riferimento), mentre la combinazione forte-forte si configura ad esempio con attività formative basate sulla realizzazione di progetti complessi, in cui il docente assume il ruolo di project manager e leader forte del gruppo.

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Fig. 4: Le variabili legate all’interazione: quella orizzontale e quella verticale

La combinazione delle tre dimensioni genera uno “spazio della formazione” in cui è possibile identi-ficare dodici format. Tra le possibilità se ne possono identificare alcune che identificano dei modelli relativamente “puri” e quindi utilizzabili a riferimento generale.

Fig. 5: Lo “spazio della formazione” per l’individuazione dei format didattici

I modelli didattici individuati sono quattro:1. il modello didattico orientato alla conoscenza: caratterizzato da una forte interazione verticale formatore-corsista, da una debole interazione orizzontale tra corsisti e da un obiettivo formativo individuato nel “conoscere”,2. il modello didattico orientato al metodo: caratterizzato da una forte interazione verticale, da una debole interazione orizzontale e da un obiettivo formativo individuato nel “saper fare”3. il modello didattico orientato alle abilità: caratterizzato da una forte interazione verticale, da una forte interazione orizzontale e dall’obiettivo formativo del “saper fare”,4. il modello didattico orientato alle competenze: caratterizzato da una debole interazione verticale, da una forte interazione orizzontale e dall’obiettivo formativo del “saper agire/decidere”.

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Fig. 6: Il modello didattico orientato al metodo

Fig. 7: Il modello didattico orientato alle abilità

Fig. 8: Il modello didattico orientato alle competenze

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Risulta evidente come tale schematizzazione abbia delle aree di confine sfumate e di fatto anche le combinazioni limitrofe possano originare efficaci iniziative formative. Si rammenta però che tale classi-ficazione non ha uno scopo normativo, ma principalmente descrittivo e pertanto desidera fornire un possibile linguaggio di base dei format che consenta di comprendere e descrivere anche le iniziative che non rientrano perfettamente nei quattro modelli individuati.

E’ da notare come la variabile tecnologica non faccia parte delle dimensioni del modello: si ribadisce infatti che le caratteristiche degli strumenti tecnologici utilizzati per erogare corsi di formazione in rete non possono essere considerate criteri diretti di classificazione dei modelli formativi. In altri ter-mini, l’uso della rete non è una variabile interpretativa dell’approccio didattico, ma semplicemente un elemento descrittivo di un’attività didattica.

Ad esempio, si può citare il forum, ovvero l’area adibita alla discussione asincrona in rete: questo strumento può essere utilizzato in vari modi, a seconda delle necessità didattiche corrispondenti ad un determinato obiettivo formativo. Il Forum on-line in sé non è direttamente assimilabile ad alcun determinato modello formativo, in quanto è solo uno strumento flessibile facilmente adattabile ad esigenze diverse di interazione.

Fig. 9: Il modello didattico orientato alle conoscenze

Tali format didattici possono essere descritti attraverso le modalità più coerenti di svolgimento. Alcu-ne modalità e alcuni strumenti potranno dipendere in modo più diretto dal format didattico, mentre altre modalità possono essere interpretate diversamente. In tal caso lo schema di lavoro può essere utilizzato come tabella di comparazione delle iniziative.

I riferimenti dello schema proposto non costituiscono valori prescrittivi, ma costituiscono valori di riferimento.

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Elementi per la classificazione

di un modello didattico

Modello orientato alla conoscenza

Modello orientato al metodo

Modello orientato alle abilità

Modello orientato alle competenze

Bilanciamento attività

Residenziali in presenza 50% 50%

On-line a distanza 50% 50%

Motore del processo di apprendimento

Formatore

Corsista

Natura delle attività

Strutturate su contenuti

Con feed back valutativo oggettivo

Senza feed back valutativo oggettivo

Libere su casi, problemi, progetti

Con feed back valutativo oggettivo

Senza feed back valutativo oggettivo

Organizzazione temporale delle interazione mediate dalla tecnologia

Ritmo

Chiuso con scadenze

Aperto

Sincronia

Sincrono LezioniSessioni di analisi con docente

Riunioni Riunioni

AsincronoRiflessioni confronto con docente

Riflessioni confronto con docente

Discussioni confronti con colleghi

Cooperazione, collaborazione, coordinamento

Strumenti di interazione

Strutturati in ambienti fisici o virtuali

AsincroniForum

Wiki

Tool per Gestione gruppi di lavoro o progetti

Forum

SincroniWebseminar

Ricevimento virtuale

Classe virtuale

Ricevimento virtuale

VideoconferenzeVideoconferenze

LiberiAsincroni Wiki Email, SMS, Wiki,

blog

Sincroni Chat, VOIP (Tipo: Messenger, Skype)

Chat, VOIP (Tipo: Messenger, Skype)

Materiali e Media

Focus dei materiali

Contenuto

Metodologia

Rilevanza multimedialità

Materiali di studio Bassa Media Bassa Bassa

Materiali di lavoro - Media Media Alta

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USO DELLE TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE: DALL’ARCHIVIAZIONE DEI DOCUMENTI ALLA GESTIONE DELLA CONOSCENZA Roberta Raimondi

In questo capitolo viene illustrata l’evoluzione dei fabbisogni di raccolta, archiviazione, gestione, e accesso alle informazioni all’aumentare della complessità organizzativa e dell’arricchimento dei servizi erogati dal-l’istituzione scolastica. Viene inoltre introdotto il processo attraverso il quale le informazioni si traducono in conoscenza (Knowledge Management).

Da qualche tempo le organizzazioni hanno intuito l’importanza della trasformazione del proprio patrimonio informativo in conoscenza, utile ai fini di una maggiore efficienza operativa e di una mi-gliore efficacia decisionale. Hanno altresì compreso la sostanziale differenza esistente tra il possesso di dati e di informazioni, l’utilizzo delle stesse a supporto dello svolgimento dei processi caratteristici dell’istituzione e la disponibilità di un contesto informativo adatto a soddisfare gli specifici e dinamici fabbisogni degli utenti.

E’ proprio l’informazione corretta, comprensibile e percepita come utile per un destinatario, quella che può essere definita “elemento di conoscenza”; si tratta quindi di realizzare concretamente il detto: l’informazione giusta, al momento giusto per interlocutore giusto!

La necessità di conoscere per comprendere è impellente e si manifesta nel momento in cui l’organiz-zazione mette in atto proattività e innovatività nelle sue azioni.

Un sistema informativo efficiente, in grado di raccogliere un significativo volume di dati e di elaborarli a fini operativi, non è sempre e necessariamente in grado di offrire ai suoi utenti un prodotto infor-mativo completo e coerente, congruente, personalizzato e contestualizzato, soprattutto se si riferisce a informazioni non strutturate e cioè non codificate come dati dentro database ma presenti dentro documenti, mail, pagine web e così via.

Il patrimonio informativo della Pubblica Amministrazione, e della Scuola in particolare, è infatti costi-tuito da documenti, la maggior parte ancora in formato cartaceo e solo parzialmente già trasformato in digitale. La natura di questi documenti è molto varia: possono essere documenti amministrativi, normative, materiale didattico e così via.

Oggi nelle scuole si trattano normalmente anche mail, scambiate con fornitori, famiglie, enti pubblici, si usa la multimedialità nella didattica e quindi ci si trova a trattare anche formati particolari di dati, come video, audio e così via.

Le problematiche di gestione di questo patrimonio partono dalla necessità di archiviarlo e organiz-zarlo, in modo tale da poterlo recuperare, leggere, modificare, trasmettere e condividere, attraverso l’adozione della tecnologia ICT nell’ambito del rispetto degli standard definiti dagli organismi prepo-

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sti.

La differenza esistente tra un documento (o un elemento informativo di qualsiasi formato) solo posseduto ed uno disponibile sta proprio nella possibilità di reperirlo dentro un archivio, attraverso molteplici chiavi di ricerca, di poterlo riutilizzare e possibilmente di poterlo trasmettere ad altri ope-ratori, pubblici o privati che si relazionano con la nostra istituzione.

Le Pubbliche Ammnistrazioni oggi sono consapevoli della necessità di organizzare e restaurare il patrimonio informativo non strutturato, soprattutto quello documentale. Sono numerosi, infatti, le normative che forniscono un quadro concettuale e pratico sui diversi aspetti che riguardano proprio la gestione degli “archivi informatici”.

Di conseguenza, il mercato dei prodotti e servizi ICT di queste nuove esigenze è particolarmente dinamico in questo periodo, soprattutto nell’offerta di soluzioni per la conservazione e la gestione del patrimonio documentale.

LA GESTIONE DI UN ARCHIVIO: CENNI NORMATIVI E ASPETTI METODOLOGICI

Dal punto di vista della normativa molto è stato prodotto negli ultimi anni con riferimento alle attività connesse alla gestione di un archivio, soprattutto di documenti, nella Pubblica Amministrazione.Se all’inizio si trattava solo di archiviare l’”immagine” di un documento, come nel caso dei sistemi di archiviazione ottica (molto diffusi negli uffici del Protocollo), di recente si sente anche la necessità di gestire un patrimonio informativo integrato, non soltanto archiviando “immagini”, ma organizzando i documenti in modo da poterli recuperare, modificare e scambiare nel tempo.La normativa riferita al “documento informatico” e alle modalità della sua gestione, anche con riferi-mento agli archivi, è molto ricca e si è sviluppata lungo tre direzioni:

• archiviazione dell’immagine di un documento;• gestione completa di un patrimonio documentale;• gestione dei flussi documentali e collegamento di questi nell’ambito dei processi operativi dell’Ente.

Principali normative di riferimento Principali Delibere, Decreti, Regolamenti sul tema del documento informatico, e sulla modalità di conservazione, utilizzo e trasmissione.

La definizione di documento informatico, nell’art. 1. del DPR 513/1997 è la seguente:

Il documento informatico è definito come rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridi-camente rilevanti.

In realtà non è l’unica. Ad esempio, nell’art. 3 della L.547/1993 sulla criminalità informatica, si introduce una definizione originale di documento informatico, in riferimento alla falsità in atti:

Si intende per documento informatico qualunque supporto informatico contenente dati o informa-zioni aventi efficacia probatoria o programmi specificatamente destinati ad elaborarli.

Per quanto riguarda l’obiettivo di questo tutoriale, non ci si vuole addentrare nell’intrico della norma-tiva, lasciando ai giuristi la corretta interpretazione di ciò che è (o non è) realmente un documento informatico. Piuttosto è fondamentale comprendere l’importanza della corretta archiviazione e orga-nizzazione di un grande patrimonio di conoscenza costituito principalmente da documenti (soprattut-to nella Pubblica Amministrazione) ma anche da file informatici dai contenuti più disparati.

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La normativa esistente, quindi, fornisce un contesto di regole cui riferirsi nella gestione dell’intero ciclo di vita di un’informazione, dal momento in cui viene recepita (di solito attraverso un atto formale, come ad esempio quello della “protocollazione” di un documento in ingresso) al momento in cui vie-ne rilasciata all’esterno (con circolari, pubblicazioni su Internet e così via...). Non più, quindi, solo con riguardo alle attività da compiere per la sua corretta conservazione e non più solo con riferimento a documenti, anche se di seguito si fa riferimento in molti casi a questi ultimi, per semplicità.

Il momento della memorizzazione e della conservazione di documenti all’interno di un archivio è molto delicato, soprattutto se si tratta di documenti contenenti dati sensibili (protetti dalla legge sulla Privacy) o documenti validi a fini fiscali. Altrettanto si può dire, in generale, di tutti quei documenti che possano prima o poi essere richiesti e confrontati allo scopo di dirimere questioni o con valore di prova. In questi casi devono essere rispettate alcune regole che ne preservino il contenuto da qual-siasi tipo di manomissione e lo rendano sempre verificabile. Le attività connesse a questo momento della gestione di un archivio vengono di solito richiamate con la dicitura conservazione sostitutiva. Ci si riferisce, in questo caso, alle modalità e ai supporti con i quali i documenti informatici (cartacei o già elettronici) possono essere acquisiti, registrati e archiviati in modo da poterli sempre ricondurre all’originale.

La normativa si occupa di definire le modalità con cui è possibile garantire la “sicurezza” del contenuto di un documento, per proteggere il patrimonio documentale da intromissioni o addirittura manomis-sioni. Sofisticati algoritmi matematici, implementati da applicativi informatici specifici, hanno lo scopo di rendere sempre verificabile l’autenticità e l’integrità di un documento informatico, nei confronti dell’originale.Il processo di conservazione dei documenti informatici, regolato anche dal CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione – ex AIPA) prevede tre fasi fondamentali:

• la fase di Memorizzazione (scansione per i documenti cartacei e importazione per i file elettronici);• la fase di Archiviazione elettronica, cioè il salvataggio dei file su supporto adeguato;• la fase di vera e propria Conservazione sostitutiva, che archivia i documenti su un suppor-to non riscrivibile (DVD o CD).

LA CENTRALITÀ DI UN ARCHIVIO PER L’ORGANIZZAZIONE: DA DEPOSITO DI INFORMAZIONI A PUNTO DI PARTENZA PER L’ATTIVAZIONE DI PROCESSI E LA CREAZIONE DI CONOSCENZA

Il concetto di semplice archiviazione come detto, però, si evolve: l’archivio informatico oggi dev’essere più “disponibile” agli utenti, che manipolano e scambiano documenti.

Si tratta di creare un sistema, possibilmente automatizzato, che permetta alle persone che utilizzano archivi di:

• ricercare,• accedere,• combinare,• elaborare/utilizzare,• organizzare/archiviare• pubblicare le informazioni elettroniche, in qualsiasi formato, sia esso costituito da docu-menti, video, audio, testo non strutturato e così via.

Tutte le suddette operazioni possono essere realizzate con efficienza se l’archivio di riferimento pos-siede le seguenti caratteristiche:

• è ordinato ed il suo contenuto è stato correttamente classificato ed indicizzato per le

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successive attività di ricerca;• è protetto, cioè sono state predisposte adeguate misure di protezione da intromissioni e manomissioni;• è accessibile, cioè le informazioni disponibili sono in formati intelleggibili dagli standard più diffusi di trattamento delle informazioni in formato elettronico.

Quindi, quando oggi si argomenta riguardo ad un patrimonio di informazioni o, nello specifico, ad un patrimonio documentale, ci si può riferire alle seguenti attività:

• gestione documentale, è la capacità del sistema di archiviare, assegnare e reperire i file associati ai documenti elettronici.• gestione del flusso documentale, è l’insieme di accorgimenti finalizzati a promuovere la gestione “dinamica” del patrimonio documentale, consentendo agli utenti non solo di consul-tare ma anche di modificare il patrimonio stesso.• gestione dell’interoperabilità, per la quale è prevista l’adozione del sistema di firma elettro-nica e della posta elettronica per rendere possibile l’interoperabilità di tutte le attività svolte ai livelli superiori.

Nell’ambito della Pubblica Amministrazione e della scuola, oggi non è più possibile pensare di pro-durre e accumulare documenti o supporti informativi, senza considerare la possibilità, in momenti successivi, di riutilizzarli, ricombinarli, scambiarli, prestando sempre attenzione agli aspetti di sicurezza e di privacy, che in un processo di scambio devono riguardare anche il momento della trasmissione.

Fig. 1: Gli ambiti di sicurezza nella gestione e nella trasmissione di informazioni o documentiinformatici

UN ASPETTO CRITICO NELL’ORGANIZZAZIONE E NELL’UTILIZZO DI UN ARCHI-VIO: LA RICERCA

Nell’ambito delle problematiche di gestione di un patrimonio informativo, un altro aspetto essenziale riguarda la ricerca di contenuti. Come può essere possibile ritrovare un contenuto specifico dentro un archivio di documenti, o un server di mail, o una mediateca?Si pensi ad archivi con centinaia o migliaia di documenti accumulati nel corso del tempo, che possono riguardare i più svariati argomenti, con un diverso livello di dettaglio. O ancora alle centinaia di mail, molte con allegati, che ognuno di noi riceve e che dopo qualche tempo dimentica.

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E’ necessario distinguere a questo punto tra due diversi tipi di archivi:• archivi sui quali è già stato fatto un intervento di comprensione e classificazione dei con-tenuti;• archivi “grezzi”, nei quali i contenuti sono stati memorizzati in maniera non organizzata.

Nel primo caso l’approccio più comune e più diffuso è quello che ricorre alla progettazione di un sistema di classificazione degli argomenti, dentro il quale possono essere ricondotti documenti e altri formati di informazioni. In questo modo, attraverso la navigazione dentro l’archivio o la ricerca per parole chiave è possibile ritrovare i contenuti cercati.

Ad esempio, un testo didattico che riguarda le regole grammaticali nella coniugazione dei verbi può essere classificato con la seguente descrizione:

Fig. 2: Esempio di classificazione di un documento

Secondo questa modalità, ogni volta che un documento viene prodotto deve essere corredato da informazioni che ne descrivono il contenuto, e/o da termini (dette parole chiave o anche “chiavi di ricerca”) che ne riconducono al significato. Al momento dell’archiviazione il documento viene quindi accompagnato dai suoi dati descrittivi, denominati anche metadati e da indici che ne consentono il recupero ed il trattamento in tempi successivi.

L’albero degli argomenti entro il quale può essere classificato il documento o ogni altro tipo di con-tenuto, è chiamato tassonomia, e viene utilizzato analogamente all’uso che se ne fa in biologia, per la classificazione di specie animali o vegetali: ad ogni nuova “scoperta” gli scienziati procedono alla classi-ficazione dell’animale o del vegetale dentro categorie tassonomiche pre-definite. Nello stesso modo, ogni volta che ricercano informazioni procedono navigando o puntando (ad esempio direttamente nella categoria “mammiferi”) all’informazione desiderata.

La classificazione e l’indicizzazione delle informazioni dentro un archivio può essere effettuata con-testualmente al caricamento dell’informazione oppure a posteriori, in modalità manuale o automa-tizzata.

Quando la ricerca viene svolta su patrimoni informativi non organizzati o strutturati (per esempio su molteplici archivi organizzati secondo criteri diversi, o contenenti informazioni in formato diso-

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mogeneo) è possibile utilizzare dei motori di ricerca del tutto simili a quelli presenti su Internet, che recuperano le informazioni semplicemente “contando” il numero di volte che la parola (o la frase ricercata) compare in un documento.

E’ possibile rendere più efficace una ricerca effettuata con questa modalità “contestualizzando” le parole o le frasi cercate, istruendo il motore di ricerca (con modalità “avanzate”) o, nelle versioni più sofisticate, utilizzando degli accorgimenti (detti a volte “estensioni semantiche”) per “personaliz-zare” il più possibile la ricerca entro un particolare contesto organizzativo.

Una sperimentazione in Regione Lombardia che ha riguardato un progetto finalizzato all’individuazione di un metodo efficace per la ricerca di informazioni dentro il patrimonio informativo dell’Ente.

DALL’INFORMAZIONE ALLA CONOSCENZA: CENNI DI KNOWLEDGE MANAGE-MENT

L’esistenza di un archivio di documenti, o di un server di mail o di un archivio di file video o audio non presuppone necessariamente la capacità di “gestire la conoscenza” o, come sovente si suol dire, di fare Knowledge Management.

Moltissimi studiosi di organizzazione negli ultimi anni hanno provato a definire obiettivi, caratteristi-che e confini dei sistemi di Knowledge Management. Di seguito, brevemente, si accenna agli aspetti più importanti per poterne dare una corretta definizione.Innanzitutto è necessario dare definizione di cosa concretamente si può intendere con il concetto di Knowledge Management:

• l’insieme delle azioni che catturano, distribuiscono e favoriscono il riutilizzo della cono-scenza;• la creazione di nuova conoscenza e la capacità di cambiare i comportamenti organizza-tivi in modo da incentivare una simile attitudine;• i processi di identificazione e gestione della conoscenza catturata dall’organizzazione.• la capacità di mappare la distribuzione della conoscenza di un sistema organizzativo e trasformarlo in valore per l’organizzazione, attraverso la creazione di soluzioni che ne facilitino la mobilizzazione;• disciplina che promuove l’approccio integrato all’identificazione, gestione, scambio e condivisione di tutte le informazioni presenti entro un’organizzazione, includendo database, documenti e informazioni non strutturate, regole e procedure, esperienze e conoscenze non espresse, proprie delle persone.

Occorre poi esplicitare cosa si intende con il termine “conoscenza” e a tal fine può essere utile, da un lato identificarne le fonti e dall’altro definire come questa può essere utilizzata e da chi.Riguardo alle possibili fonti di conoscenza, si nota che essa non deriva soltanto da informazioni già codificate o formalizzate come quelle esistenti in un archivio (elettronico o meno) ma anche da una serie di “conoscenze” personali, costituite dalle specifiche esperienze delle persone o da com-petenze individuali, sviluppate magari nell’ambito di un piccolo gruppo di lavoro ma non “disponibili” al di fuori.

Nell’ambito di un’organizzazione, riguardo alle possibilità di utilizzo della conoscenza, si distingue tra un utilizzo personale, al fine prevalentemente di comprendere, e un utilizzo teso a condividere con l’obiettivo principale di generare conoscenza comune.

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Due studiosi di organizzazione hanno proposto una razionalizzazione del significato di gestione della conoscenza e hanno costruito una matrice (vedi figura 3) al fine di individuare e segmentare i possibili approcci da adottare.

Fig. 3: Fonti e modalità di utilizzo della conoscenza in un’organizzazione

Gli interventi proposti nei quadranti della matrice contribuiscono a gestire la conoscenza in relazione dalla sua natura e all’utilizzo che le persone dovranno farne. Questo approccio aiuta a comprendere che non esiste un solo metodo per fare Knowledge Management, ma piuttosto che il risultato più efficace è raggiunto adottando un mix adeguato coerente con lo specifico contesto in cui si opera.

IL RUOLO DELL’ICT NELLA GESTIONE DELLA CONOSCENZA

Come si è accennato in precedenza, all’interno di un’organizzazione la conoscenza può essere pre-sente in molteplici forme e derivare da numerose fonti.

La conoscenza può essere, infatti, tratta da elementi già esplicitati nell’ambito dell’organizzazione, come i dati e le informazioni di natura più o meno strutturata, ma può essere anche generata dal fun-zionamento dei processi organizzativi e dalle attività individuali e collaborative delle persone. Questa componente di conoscenza non può essere trascurata e la tecnologia deve poter abbinare questa ricchezza a quella già consistente del patrimonio informativo descritto più sopra, costituito da ele-menti già formalizzati e codificati.

Le criticità nella gestione della conoscenza cosiddetta implicita sono parzialmente diverse rispetto a quelle tipiche della gestione delle sue componenti esplicite, per quanto la gestione di queste ultime sia complicata - come visto in dettaglio nel tutoriale - dalla presenza di una forte componente di natura destrutturata. Si tratta in questo caso di trovare e implementare strumenti e soluzioni adatti ad individuare e catturare queste forme di conoscenza, forzando i depositari (che siano persone o processi) ad esternalizzarla e condividerla.

Il flusso di gestione dell’informazione dovrebbe poter essere applicato a tutte queste fonti e a tutti questi ambiti, con un mix di strumenti adatti ai fabbisogni di una specifica organizzazione e di uno specifico obiettivo rientrante nel più generale tema del Knowledge Management.

Le fonti implicite di conoscenza devono trovare il modo di essere esternalizzate e condivise, mentre

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la conoscenza formalizzata e, quindi, esplicitata deve trovare forme e strumenti efficaci per una inter-nalizzazione da parte delle persone (ne è esempio il caso della formazione).

Le persone devono altresì disporre di strumenti in grado di ricombinare i singoli elementi di cono-scenza messi a loro disposizione, e di metterli in relazione ai fini di analisi e presa di decisioni. Infine, le persone devono poter socializzare, per scambiare conoscenze prevalentemente di tipo implicito nello svolgimento di lavori di gruppo e nello sviluppo di progetti.

Prescindendo dall’assunto che gli strumenti offerti dall’ICT non possono che supportare specifici disegni di natura prettamente organizzativa, molte “etichette” date ad aree applicative emergenti danno l’impressione di essere l’unica soluzione alla gestione della conoscenza, mentre soddisfano solo parzialmente specifici obiettivi.

Con riferimento alla conoscenza di tipo esplicito, formalizzato e codificato, soprattutto di origine strutturata, i tradizionali sistemi informativi di livello direzionale (di cui fanno parte, ad esempio, i siste-mi di datawarehousing e di reporting, i tools di analisi e di supporto alla presa di decisioni rientranti nell’area della cosiddetta business intelligence), sono particolarmente adatti a soddisfare esigenze di ricombinazione, per un utilizzo di tipo esplicito da parte delle persone, mentre, al contrario, la formazione si presta ad agevolare l’internalizzazione di concetti, regole, modelli e processi in capo all’individuo.

D’altro canto le conoscenze intrinsecamente connesse al funzionamento dei processi, possono essere esternalizzate attraverso strumenti in grado di catturare le logiche di funzionamento e le relazioni sottostanti, come motori di work-flow e modelli informativi evoluti, basati sull’esplicitazione di regole semantiche riguardo a dati, informazioni e, appunto, processi1.

La modellizzazione del patrimonio informativo, l’approntamento di modelli semantici o la costruzione di un sistema tassonomico sul quale possano essere classificati i documenti, sono ancora soluzioni parziali al problema di recuperare elementi di conoscenza, perché seppur presenti nel patrimonio informativo, non sono utilizzati in quanto non disponibili o non utilizzabili in maniera trasparente dagli utenti.

Infine, le persone possono essere stimolate a partecipare e condividere le proprie conoscenze su un Portale, inteso come sistema informativo centrato sull’utente, atto a ricreare un luogo di socializzazio-ne oltre che di lavoro, rappresentativo della realtà e delle dinamiche dell’organizzazione a cui l’utente appartiene.

Alcuni esempi di utilizzo di soluzioni informatiche nell’ambito del Knowledge Management sono rap-presentate nello schema alla pagina seguente.

1 Si veda, ad esempio, il linguaggio predisposto dal Semantic Group (www.w3c.org) chiamato Web Ontology Language.

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uso delle tecnologie dell’inforMAzione e dellA coMunicAzione___________________________________________________________________________________________________________

POSSIBILI APPROCCI AREE APPLICATIVE

ESTERNALIZZAZIONETassonomizzazione

Categorizzazione/classificazioneContent Management

INTERNALIZZAZIONERicerca

“Estrazione”FormazionecoMbinAzione

Content e Data managementReporting

IntelligenceSupporto alle decisioni

SOCIALIZZAZIONESupporto alle attività collaborative

Sistemi di profilazioneSistemi di delivery e condivisione risorse

Sistemi di personalizzazione

DW e Business IntelligencePortali aziendali

Enterprise Information IntegrationE-learning

Content ManagementProcess e Project Management

Groupware…

Gli aspetti critici nel processo di trasformazione di una semplice massa di informazioni in elementi di conoscenza si possono individuare a monte e a valle del cosiddetto ciclo di gestione dell’informazione (information management), nell’ambito sia del patrimonio informativo sia del contesto utente, come rappresentato nella seguente figura.

Fig. 4: Il flusso di information management: dal sistema delle informazioni all’utente

Fonte: Adattato da Butcher & Rowley, 1998

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È possibile affermare che i profondi cambiamenti che hanno caratterizzato negli ultimi anni il patrimo-nio informativo ed il contesto hanno reso più complesso l’efficace svolgimento delle fasi del processo di trasformazione dell’informazione in conoscenza.

IL CONCETTO DI “PATRIMONIO INFORMATIVO NON STRUTTURATO” ED IL CONTENT MANAGEMENT

La diffusione di canali innovativi come Internet, la necessaria integrazione delle informazioni che si scambiano su diversi canali (sportelli al pubblico, call center, mail, fax, telefoni cellulari, PDA) la pervasi-vità degli strumenti di lavoro individuale (pc) e l’esistenza di aree più tecniche del sistema informativo (ad esempio sistemi di tipo GIS - Geographical Information System) hanno introdotto formati di dati ed informazioni tradizionalmente non gestiti insieme a quelli che sono stati definiti “strutturati”.Inizialmente con il termine content si è inteso indicare proprio questa parte meno strutturata delle informazioni mentre oggi si va verso una più ampia concezione di content, che richiama la capacità di trarre da ogni tipologia di dati e informazioni presenti in un’organizzazione, reale conoscenza. Tutto ciò si ottiene attraverso la possibilità di integrare, ricercare, produrre, correlare e combinare, distri-buire, in modalità adeguata alle esigenze dell’utente, tutto quanto già esistente negli archivi aziendali e che dinamicamente viene generato a fronte dello svolgimento dei processi. Le “fonti” di un sistema del genere non trascurano nessuna tra le molteplici forme di contenuto pre-senti in un’organizzazione:

• dati strutturati importati dai data base;• metadati (dati che spiegano il significato, l’origine, le modalità di calcolo ecc. di un altro dato, generalmente quantitativo);• dati testuali (ad esempio le email collegate alle richieste di informazioni provenienti dagli utenti del sito Internet);• dati documentali (ad esempio le delibere o le circolari);• dati in forme più ricche perché “multisensoriali” (ad esempio audio, video, animazione, grafica, multimedia);• dati dinamicamente generati dallo svolgimento dei processi organizzativi di varia natura (ad esempio l’aggiornamento dello stato delle iscrizioni scolastiche o dei risultati di un esame ecc.).

Per questi motivi gli strumenti adatti a gestire questo tipo di informazioni fanno riferimento a molte-plici comparti del settore informatico (o meglio della sua gestione): dagli aspetti di integrazione infor-mativa, a quelli dell’indicizzazione e della ricerca entro gli archivi più o meno strutturati, alla gestione delle attività legate al ciclo di vita dell’informazione (produzione, modifica e aggiornamento, diffusio-ne), all’archiviazione, alla distribuzione contestualizzata e personalizzata del prodotto informativo (in parte soddisfatta dai Portali Internet).

Gli obiettivi principali di un tale sistema, chiamato anche di Content Management o anche (per indi-carne un utilizzo più ampio e pervasivo nell’organizzazione) di Enterprise Content Management, oggi sono quelli di rendere più efficienti i processi legati alla pubblicazione (ad esempio nel caso del settore pubblico), così come le attività coordinate di produzione, gestione e distribuzione di documentazione legata all’attività amministrativa.

Si sono sviluppati tre comparti nell’ambito del mercato delle soluzioni informatiche di content ma-nagement: Web Content Management (WCM) - Sistemi atti a supportare le attività di sviluppo, pubblica-zione e gestione di contenuti in formato web destinati ai canali Internet/Intranet/Extranet aziendali. Document Management (DM) - Sistemi di supporto alle attività di creazione, manutenzione,

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uso delle tecnologie dell’inforMAzione e dellA coMunicAzione___________________________________________________________________________________________________________

archiviazione, indicizzazione e ricerca di documenti, anche ai fini della loro pubblicazione su canali elettronici (Integrated Document Management). Digital Asset Management (DAM) - Sistemi che operano a supporto dell’aggregazione, dell’ar-chiviazione, della ricerca e della gestione di contenuti caratterizzati da formati speciali e multimediali e che supportano i principali standard di codifica oggi condivisi (formati testuali - pdf, immagini naturali - JPEG, immagini vettoriali - SVG, formati audio - MP3, formati video - MPEG e animazioni - flash).

Tali sistemi si differenziano certamente per le soluzioni tecnologiche ed applicative che adottano, ma soprattutto si distinguono in riferimento al processo operativo cui si legano ed alla tipologia di utenza cui si rivolgono, in particolare rispetto agli elementi di seguito citati:

• l’oggetto dell’applicazione stessa: documenti nel caso dei sistemi di DM, file multimediali nel caso del DAM ed elementi (o pagine) web nel caso di WCM;• le tecnologie di riferimento: esclusivamente basate su web nel caso dei sistemi WCM, diverse nel caso DM;• l’ampiezza del ciclo di vita del contenuto informativo gestito dai sistemi suddetti: nel caso dei sistemi DM parte dall’esistenza del documento da gestire, mentre nei sistemi di WCM si estende addirittura alle fasi di creazione dello stesso;• la gestione della sicurezza, in termini di certificazione del processo e del supporto infor-mativo: è più sviluppata nei sistemi DM, a causa dell’ampia normativa di riferimento sul tema del documento informatico e, più recentemente, sul tracciamento e sulla certificazione delle attività di manutenzione.

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LA SCELTA, L’ADOZIONE E LA DIFFUSIONE DELLE TECNOLOGIE A SUPPORTO DELLE ATTIVITA’ FORMATIVE Gianmaria Battaglia

Il tema delle tecnologie per la didattica ha vissuto negli ultimi 30 anni una crescente attenzione ed è stato oggetto di dibattiti e di studi.

Alle possibilità offerte dalla presenza di un PC in ogni ambiente di lavoro e in gran parte delle case, si sono affiancate la possibilità offerta dalla multimedializzazione dei PC e alla messa in rete delle posta-zioni per arrivare alla creazione di ambienti di lavoro condiviso accessibili da qualunque postazione in rete. La rete Internet può essere considerata come un elemento caratterizzante le tecnologie per la didattica e per il lavoro in team e, quindi, particolare enfasi è data alla dimensione dell’apprendimento individuale e organizzativo attraverso gli strumenti “on-line”.

L’evoluzione delle possibilità consentite “a livello utente” dalle tecnologie e la diffusione sempre più capillare delle strumentazioni informatiche, consente e consiglia di articolare il tema in due distinti livelli:

• l’impatto sulle modalità didattiche (obiettivi, metodologie, ecc.) indotte dall’uso delle tecnologie;• le caratteristiche ricercate nelle tecnologie e quindi i modelli di scelta e adozione delle tecnologie stesse.

Appare subito evidente come le due prospettive siano complementari e inscindibili: dal punto di vista operativo è però importante dotare i discenti di modelli interpretativi e di analisi autonomi che gli consentano di appropriarsi delle scelte fondamentali relative alle tecnologie da utilizzare.

Lo sviluppo di strumenti alla portata dell’utente (almeno dei cosiddetti “utenti evoluti”, come può es-sere un formatore con la dovuta preparazione) e l’inserimento dei sistemi informatici nelle reti locali e in Internet, in particolare, ha generato un contesto in cui:

• gli strumenti di gestione dei contenuti e dei materiali sono di tipo generale e possono essere adattati a più scopi con relativa facilità: si pensi alla possibilità di produrre ipertesti, slide animate da parte di chiunque senza dover ricorrere necessariamente a professionalità informatiche;• la tecnologia non è più l’interlocutore degli studenti (o dei formandi), ma è solo lo stru-mento con cui tali soggetti interagiscono con il materiale didattico, i docenti (tutor, ecc.) e soprattutto tra di loro.

La complementarietà delle due prospettive sopra citate (didattica e strumenti) può essere garan-tita solo se gli strumenti informatici recepiscono e sono progettati in coerenza con la dimensione didattica: i formatori devono essere, quindi, parte attiva del processo di scelta e progettazione degli strumenti.

L’articolazione degli strumenti utilizzabili, però, rende tale processo di scelta un processo da definirsi

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a livello di istituzione (se non in alcuni casi a livello di più istituzioni in forme di collaborazione).

In tale prospettiva è utile distinguere varie classi di strumenti: strumenti di gestione degli ambienti di apprendimento virtuale (Learning Management Systems). In questa classe ricomprendiamo le cosid-dette “piattaforme per la didattica” (Blackboard, FLE, Learning Space, Moodle, per citarne solo alcune in ordine alfabetico).

Tali strumenti forniscono:• un ambiente in cui mettere a disposizione i materiali didattici (e gli altri strumenti neces-sari alle attività didattiche) sulla base di anagrafiche specifiche e sulla base di specifici ruoli (docente, tutor, studente, ecc.);• un set di strumenti di base per lo svolgimento delle attività didattiche (navigazione mate-riali, test on-line, forum, spazi di lavoro di gruppo, calendari, ecc.);• un set di strumenti per il monitoraggio delle attività da parte dei docenti e tutor,• un set di strumenti per la gestione dei diversi ambienti di lavoro (classi, corsi, materie, ecc.): creazione, salvataggio, duplicazione, ecc.

Strumenti di content management (inclusa la dimensione multimediale) - Per mettere a disposizione i contenuti è necessario utilizzare degli strumenti software che propongano le rappresentazioni visive dei contenuti stessi. Ad esempio è possibile proporre un testo scritto con un word processor nel formato originario del word processor stesso (MSWord, StarOffice, OpenOffice, ecc.) oppure tra-sformato in un file leggibile con Acrobat Reader (come è stato fatto per proporre questo tutoriale). Nel caso si intendano includere anche dei contenuti visuali, magari dinamici, varie sono le possibilità disponibili (Powerpoint, Flash, ecc.). Normalmente la dimensione del content management si risolve nella scelta del “formato” con cui realizzare tale contenuto.

Dotazione di Hardware Software e Reti - La disponibilità degli strumenti hardware, software e di con-nessione in rete può essere molto varia e orientare le attività didattiche supportate dalla tecnologia verso formule basate sui laboratori, sullo studio individuale sulle discussioni asincrone, ecc. E’ evidente come la strumentazione tecnica fosse quella meno governabile dai formatori: indipendentemente da ciò, è però importante che si sviluppi la consapevolezza che le scelte d’uso delle dotazioni non sono neutrali sugli orientamenti didattici di fatto implementati, con una conseguente autonomia decisionale a riguardo.

Ovviamente i LMS forniscono anche strumenti e funzioni di content management, ma in generale possono accettare contenuti realizzati e gestiti con strumenti molto diversi.

E’ da segnalare come siano in atto vari tentativi di standardizzare il formato dei materiali didattici per consentire una migliore integrazione con i LMS e al contempo l’indipendenza da uno specifico LMS. Uno standard possibile è ad esempio lo standard SCORM, che consente la creazione di “oggetti” che possono essere inseriti in tutti i LMS che accettano tale standard.

Gli strumenti sopra brevemente richiamati possono essere selezionati durante la progettazione didat-tica in relazione alle proprie “abilità tecnologiche” e ai software disponibili.

Altre scelte devono invece essere necessariamente prese a livello complessivo, come ad esempio tutte le strumentazioni che diventano condizione organizzativa comune. È infatti sconsigliabile dover accedere ad “ambienti virtuali” differenti nel caso di iniziative formative con supporto on-line avviate all’interno della medesima organizzazione.

La compresenza di una dimensione individuale e di una dimensione organizzativa consiglia di artico-lare il sistema di scelte nel rispetto delle diverse esigenze: la dimensione organizzativa richiede ruoli e

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funzioni preposte ad analizzare le esigenze dell’organizzazione nel suo complesso e a fissare il quadro generale in cui le scelte individuali possono spaziare. A tale funzione “normativa” può anche affiancarsi un ruolo consulenziale per aiutare i singoli docenti nelle scelte progettuali relative al proprio ambito di autonomia.

GLI STRUMENTI TECNOLOGICI E IL LORO CONTESTO: UN MODELLO SISTEMI-CO

La scelta relativa alle tecnologie on-line da adottare deve tenere in considerazione un insieme varie-gato di variabili. Alcune di tali variabili devono essere indagate sia dal punto di vista del docente (e dell’organizzazione che commissiona l’iniziativa), sia dal punto di vista del partecipante. Infatti “l’utiliz-zatore” della tecnologia è duplice: il docente e il partecipante.

Il modello di analisi proposto affianca alle variabili tecnologiche le altre variabili che entrano in gioco nei processi didattici con l’intento di favorire una lettura sistemica del problema.

Il modello proposto raggruppa le variabili nelle seguenti categorie: • Istituzionali,• Didattiche,• Soggettive,• Sociali,• Tecnologiche.

Fig. 1: Esempio di modello delle variabili

Le variabili istituzionali riguardano le caratteristiche dell’organizzazione in cui gli strumenti dovranno essere usati.

In particolare possono essere scomposte almeno nelle seguenti:

Supporti organizzativi La presenza di supporti organizzativi preposti alla gestione delle risorse tecnologiche è un elemento che va tenuto in considerazione nella definizione delle risorse stesse. Il tema, pur nella sua apparente ovvietà, è però spesso sottovalutato: ciò che più conta, infatti, non è la presenza di “esperti” che hanno la responsabilità di mantenere il patrimonio tecnologico (come spesso avviene per quanto riguarda i laboratori o le postazioni di lavoro), ma la presenza di persone che facilitino l’utilizzo delle risorse tec-nologiche, facilitando le operazioni più ostiche all’utente, sia esso il docente o gli studenti. In sostanza,

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il supporto non deve necessariamente essere un intermediario tra tecnologia e utilizzatore, ma se possibile un “facilitatore esterno” che stimoli e supporti il processo di appropriazione della tecnologia da parte dell’utilizzatore.

Risorse tecnologiche La tipologia di risorse messe a disposizione condiziona la scelta degli strumenti: la disponibilità di un server su cui installare strumenti da rendere disponibili via Internet, la possibilità di dotare tutti gli utenti di indirizzi di posta elettronica, la possibilità di accedere a postazioni informatiche con flessibilità di orario e senza complessi meccanismi di prenotazione, ecc. sono elementi che possono garantire gradi di libertà significativi per l’ideazione di attività didattiche sempre più efficaci e l’adozione di solu-zioni potenti. In ogni caso non è da sottovalutare, nell’ambito delle risorse tecnologiche a disposizione, la dotazione che ciascun ambito casalingo rende disponibile ai partecipanti: la disponibilità di un PC domestico e di una connessione ad internet è una condizione sempre più diffusa. Tale dotazione può essere valorizzata all’interno delle attività formative (anche formazione obbligatoria) con gli opportuni accorgimenti.

Tempistica I cicli di attività sono un fattore rilevante nella scelta degli strumenti: la potenza degli strumenti si accompagna sovente con una fase di apprendimento iniziale a volte significativa. Se i “cicli di vita” delle attività sono brevi, la potenza offerta non riesce di fatto ad essere sfruttata e diventa persino un ostacolo all’efficacia delle attività. Al contrario, se le attività possono essere articolate su orizzonti temporali di interi cicli di carriera all’interno di una organizzazione in condizioni di stabilità di strumen-ti, gli investimenti iniziali saranno ripagati facilmente da un uso delle tecnologie duraturo e fruttuoso.

Budget di costoOvviamente la possibilità di avere dei budget di costo ampi consente di accedere a soluzioni potenti ed efficaci. In senso contrario a questa considerazione va però notato come in generale siano dispo-nibili soluzioni software “open source” d’uso gratuito di ottimo livello, affrancando così (almeno per la parte software) le organizzazioni da considerevoli investimenti.

Le variabili didattiche costituiscono forse la classe più importante: gli strumenti infatti esistono solo in funzione delle attività che devono consentire. La natura di tali attività determina le caratteristiche degli strumenti. In generale più che la tipologia di contenuti da trattare ciò che è rilevante è la modalità con cui dovranno essere trattati.

Senza voler raggiungere un’esaustività di trattazione, ai fini della valutazione delle tecnologie può essere sufficiente considerare:Obiettivi di apprendimento Ovviamente obiettivi legati al “fare” e all’”essere” presuppongono attività più articolate che non il semplice “conoscere”. Gli strumenti da mettere a disposizione dovranno non solo trasmettere con-tenuti ma fornire una “palestra” in cui esercitare capacità pratiche e di relazione.

Meccanismi e strumenti di valutazione Strumenti di valutazione di tipo tradizionale possono essere affiancati a strumenti basati sulla valuta-zione incrociata tra studenti (“peer review”): gli strumenti devono consentire tale flessibilità.

Strategie di apprendimento utilizzate La possibilità di fornire un contesto in cui ciascuno studente possa applicare le proprie strategie di apprendimento e la possibilità di stimolarne alcune specifiche in relazione alla natura dei contenuti e degli obiettivi didattici genera fabbisogni di strumenti differenziati.

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Numero deipartecipanti La numerosità incide sulle caratteristiche organizzative delle attività in modo significativo: la tecnologia deve poter garantire il supporto organizzativo per gestire numerosità diverse. Gli automatismi devo-no alleggerire laddove possibile il carico di lavoro del docente.Ruolo gruppi La presenza di attività di gruppo e le caratteristiche di tali attività (semplice discussione, ricerca con risultato comune atteso, ecc.) determina fabbisogni di strumenti differenziati e specifici.

Materiali didattici utilizzati La tipologia di materiali didattici utilizzati genera fabbisogni di strumenti (in questo caso di “content management”) con caratteristiche specifiche.

Tempistica La durata pone problematiche simili a quelle già citate con riferimento alle variabili istituzionali.

Le variabili soggettive si riferiscono alle caratteristiche delle persone che utilizzeranno gli strumenti: il rapporto con le tecnologie di fatto è un elemento che caratterizza l’intero “modello di vita” delle persone nella nostra società. Di fatto i modelli di uso delle tecnologie, che ciascuno di noi ha scelto (consapevolmente o meno), determinano la possibilità di inserirsi in processi che si basano sulle tec-nologie: si pensi ad esempio ai diversi modelli di uso dei telefoni cellulari. Strumento di comunicazione telefonico, strumento di gioco, strumento di messaggistica asincrona (SMS). Ciascuno di noi ha scelto un profilo diverso di utilizzo. Lo stesso si può rilevare per quanto riguarda i PC e Internet.

Il rapporto che ciascuno degli attori dell’organizzazione ha con la tecnologia permette, quindi, di coin-volgerlo in modo differente dagli altri nelle diverse attività didattiche supportate dalla tecnologia. E’ quindi importante indagare tali variabili soggettive. Una prima scomposizione si può articolare in: Motivazione alla partecipazione La motivazione (in senso qualitativo: “perché partecipo alle attività didattiche” e quantitativo: “quanto sono motivato”) influenzano la possibilità di chiedere adattamenti e piccoli investimenti sugli strumen-ti necessari allo svolgimento delle attività stesse.

Stili di vita e condizioni sociali Lo stile di vita determina il rapporto con la tecnologia che le persone di fatto hanno già sviluppato e quindi sono la base di partenza fondamentale per qualunque ragionamento.

Disponibilità tecnologiche Conoscenze tecnologiche. Queste sono evidentemente gli elementi più ovvi, anche se in relazione alle altre variabili soggettive non necessariamente devono essere considerati dei vincoli troppo rigidi. L’apprendimento degli strumenti è infatti molto più facile e naturale quando inserito e finalizzato a risultati ritenuti importanti.

Le variabili sociali rilevano le dinamiche sociali tra le persone da coinvolgere nell’uso delle tecnologie. In particolare per le tecnologie ICT che sono fortemente caratterizzate dalla loro capacità di mettere in comunicazione persone attraverso strumenti informatici, i rapporti sociali in cui tali comunicazioni si inseriscono sono fondamentali per comprenderne la reale efficacia. Gli interessi che hanno in co-mune, il grado di conoscenza previa che li caratterizza rendono consigliabili strumenti di comunica-zione molto diversi.

In particolare, a titolo di esempio, se le persone non hanno la possibilità di incontrarsi, gli strumenti di comunicazione attraverso la tecnologia devono essere “ricchi di informazioni” sui partecipanti e met-tere in evidenza le loro dimensioni umane e personali, pena una difficile disponibilità a confrontarsi tra

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“fantasmi”. Diversamente, se le persone hanno già sviluppato un rapporto personale e sociale (come gruppo) forte e consolidato, gli strumenti potranno essere orientati all’efficienza e alla continuità (an-che se dall’esterno i messaggi potranno sembrare “secchi” e sbrigativi, quasi “in codice”).

In generale è necessario partire dalla rilevazione di:• Composizione partecipanti - età, esperienza, ecc.• Contesti e motivi di contatti precedenti, prestando attenzione all’esistenza di eventuali sottogruppi già esistenti.• Contesti e motivi di contatti futuri.

Le variabili tecnologiche, quindi, dovranno essere valutate non solo in relazione a criteri di efficienza tecnologica, ma soprattutto in relazione alla coerenza con le variabili sopra citate.

L’analisi delle cinque variabili è sviluppata in uno strumento operativo nella “Griglia per l’analisi delle variabili caratterizzanti un ambiente di apprendimento” utilizzata nell’ultimo capitolo. Il caso proposto fornisce infatti l’analisi di alcuni strumenti di gestione degli ambienti didattici on-line per la realizzazio-ne di una iniziativa di formazione.

LE SCELTE INDIVIDUALI DI ADOZIONE DELLE TECNOLOGIE

La scelta delle tecnologie è per molti aspetti una decisione da prendere a livello di organizzazione: alcuni strumenti devono essere condivisi e può essere utile mantenere una relativa omogeneità anche nelle modalità di gestione dei contenuti. Ciò permette:

• economie di scala nell’uso degli strumenti condivisi;• maggiore efficienza dei processi organizzativi (si pensi alla gestione delle anagrafiche delle utenze per l’accesso agli spazi di lavoro on-line);• economie di apprendimento e diffusione delle conoscenze: l’uso dei medesimi strumenti permette uno scambio di esperienze e conoscenze che consente una crescita collettiva più rapida, se confrontata con le situazioni in cui ciascuno utilizza strumenti diversi;• efficacia nell’applicazione delle competenze apprese nella formazione: il confine tra stru-mento didattico e strumento di lavoro può essere abbassata e annullata rendendo di imme-diato uso ciò che è utilizzato in prima battuta con intento didattico formativo.

Il giusto bilanciamento tra “dirigismo” e “anarchia” va ricercato con riferimento alle specifiche con-dizioni di ciascuna situazione. In ogni caso, in qualsiasi contesto organizzativo in cui alcune scelte tecnologiche sono adottate in forma centralizzata, si ha il problema di far adottare tali tecnologie. Spe-cialmente in contesti formativi, in cui ciascun docente ha l’autonomia di gestire il processo didattico in grande libertà e non è possibile “imporre” l’uso di specifici strumenti, è però importante indagare i fattori che determinano la reale adozione delle tecnologie. Tale aspetto è stato infatti sovente trascu-rato con la conseguenza che talvolta le risorse disponibili non sono valorizzate al meglio.

Diversi studi e riflessioni si sono sviluppati con riferimento a questo tema e hanno dato origine a “modelli di accettazione delle tecnologie” che ricostruiscono come gli utenti accettano ed iniziano ad utilizzare le tecnologie. Secondo gli approcci più accreditati, la causa di un comportamento non è l’atteggiamento, ma l’intenzione di mettere in atto il comportamento stesso. Il comportamento agito (anche nella scelta di adozione delle tecnologie), passa attraverso tra livelli:

propensione verso il comportamento > intenzione comportamentale > comportamento agito.

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I modelli, in prima battuta, suggeriscono che gli utenti sono influenzati da:• utilità percepita dello strumento, ossia quanto l’utente percepisce che l’uso di uno stru-mento migliorerà la sua performance;• facilità d’uso, ossia quanto l’utente percepisce che per usare lo strumento non saranno necessari particolari sforzi.

In realtà il processo di adozione delle tecnologie è influenzato anche da altre variabili. Uno dei mo-delli più usati per spiegare l’adozione delle tecnologie è stato sviluppato inizialmente da Ajzen (Ajzen, 1980) e successivamente sviluppato anche da altri autori, si pone l’obiettivo di spiegare i comporta-menti analizzandone le motivazioni all’azione e i fattori che le influenzano.

La teoria proposta prevede che anche un compito difficile può essere tentato, se la percezione di potercela fare è alta. Viceversa, anche azioni semplici non verranno attuate, se l’individuo percepisce barriere tali (interne o esterne) che lo possano bloccare.

Uno dei contributi importanti fornito dalla teoria consiste nel far emergere l’importanza delle cre-denze del soggetto come principali determinanti del suo comportamento: credenze soggettive, e non necessariamente realtà oggettive.

Fig. 2: Il modello in una delle sue formulazioni più semplici include le seguenti variabili

In particolare si rileva come l’effettivo utilizzo sia una conseguenza dell’”intenzione d’uso” e che tale intenzione dipenda:

• dalla “propensione e atteggiamento” nei confronti della tecnologia;• dalla padronanza percepita della tecnologia;• dalla dimensione normativa (individuale e sociale) relativa all’uso della tecnologia.

La dimensione normativa riguarda le norme percepite dal soggetto: tali norme non sono necessaria-mente formali ma descrivono quanto il soggetto percepisce di dover adottare la tecnologia. Le fonti di tale percezione risiedono in: Orientamenti individuali personali Essere propensi a seguire gli altri oppure reagire negativamente ai comportamenti diffusi è una carat-

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teristica soggettiva che influenza la percezione normativa relativa all’adozione delle tecnologie in rela-zione ai comportamenti degli altri. La motivazione all’adattamento alle norme, si riferisce alla maggiore o minore propensione dell’individuo ad adattarsi alle aspettative dei gruppi di riferimento. Le singole persone possono infatti essere più o meno propense o condizionate dalle aspettative, distinguendo in questo caso tra soggetti ad alta sensibilità normativa (soggetti molto attenti ed influenzati dalle aspettative altrui) e soggetti a bassa sensibilità normativa (soggetti poco influenzati dalle aspettative altrui); Pressioni sociali esplicite o implicite La presenza di colleghi che adottano una tecnologia ha un effetto di pressione sociale notevole. Vari studi, ormai classici, hanno dimostrato come la probabilità di diventare fumatori sia molto alta se frequentiamo prevalentemente fumatori. Anche la probabilità di adottare determinati strumenti tecnologici è influenzata, quindi, pesantemente dalla quantità e tipologia di persone che intorno a noi li utilizzano; Elementi culturali Le modalità con cui le tecnologie sono considerate all’interno della società influenza la dimensione normativa. Società in cui alle tecnologie è associato un maggior valore, determinano pressioni norma-tive maggiori rispetto alle società meno sensibili al valore delle tecnologie.

La propensione individuale verso la tecnologia descrive come il soggetto considera l’uso della tec-nologia. Tale atteggiamento può essere positivo o negativo e deriva dalla percezione che il soggetto ha della tecnologia stessa. Questa percezione parte dall’esperienza passata, da un’analisi del proprio stato attuale, e dall’anticipazione di circostanze future (credenze sul futuro). Le credenze, come tali, possono essere anche profondamente errate, dovute a disinformazione o scarsa conoscenza di stati reali, situazioni oggettive e dati di fatto. Nel modello osserviamo, infatti, che:

• sono le credenze sugli esiti dei comportamenti a creare l’atteggiamento verso l’intrapren-dere o meno un’azione (non le prove reali sugli esiti dimostrabili del comportamento); • sono le credenze su come gli altri reagiranno, a creare la percezione di doversi adattare alle aspettative altrui (non la conoscenza reale di come gli altri reagiranno, ma una pura ipo-tesi anticipativa di tale reazione); • sono le credenze del soggetto rispetto a ciò che egli può o riesce a fare, e non le sue reali capacità, a limitare il campo del fattibile.

La padronanza percepita, infine, agisce da rinforzo o da freno alla motivazione all’uso: in effetti, è una leva fondamentale per l’attivazione dell’azione effettiva.

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RUOLI E PROFESSIONALITA’ PER LA GESTIONE DI INIZIATIVE DI E-LEARNING: IL RUOLO DEL TUTOR Luciana Castellini

Il tutor esercita un ruolo chiave in contesti di formazione in rete e il suo operato contribuisce in grande misura alla buona riuscita dei corsi.

La sua funzione è estremamente importante, ma spesso si tende, riduttivamente, a considerarlo una figura alternativa al docente tradizionale negando le sue peculiarità.

Il tutor è infatti responsabile su più fronti:• Relazionale in quanto direttamente a contatto con i corsisti; • Didattico poiché si occupa di verificare l’attività on-line dei discenti, facilitare il processo di apprendimento e supportare i contenuti del corso;• Gestionale dal momento che si trova spesso e volentieri a dover affrontare eventi inaspet-tati e situazioni problematiche;• Comunicativo con il duplice compito di presidiare il corretto utilizzo dei canali comunicativi a disposizione quali forum, chat, e-mail, ecc. e saper smistare eventuali richieste ai corretti destinatari;• Amministrativo e organizzativo in quanto trait d’union tra gli altri membri dello staff di pro-getto (coordinatore, segreteria, ecc.) e partecipanti.

É il tutor quindi che deve saper gestire le comunità d’apprendimento, schedularne le attività, man-tenere la tracciabilità della partecipazione degli allievi, creare un ambiente amichevole e supportare l’utilizzo dell’ambiente tecnologico.

Tutte queste attività si traducono nei vari ruoli che i tutor possono assumere : Consigliere: in genere si attua attraverso due canali, uno pubblico (le aree di discussione) e uno privato (la posta personale). Il tutor consigliere deve soprattutto affrontare i dubbi e le perplessità che frequentemente nascono fra i corsisti; in questi casi, la comunicazione asincrona con registro informa-le facilita la creazione di un dialogo aperto e spontaneo. Nella fase di avvio del corso è fondamentale il suo intervento per elargire rassicurazioni e consigli. Coordinatore: Il tutor coordinatore deve farsi carico delle indicazioni da dare per mantenere sempre viva e produttiva la discussione, in quanto la distanza spazio-temporale degli attori potrebbe provocare un calo di tensione dialogica. Inoltre, deve illustrare con chiarezza le fasi del lavoro da svol-gere: l’efficacia della coordinazione determina infatti la puntualità nelle consegne. Esercitatore: il tutor esercitatore deve sottoporre i partecipanti del corso alle esercitazioni, opportunamente predisposte in fase di progettazione; durante le esercitazioni, l’atteggiamento di disponibilità e di incoraggiamento verso chi necessita di ulteriori chiarimenti porterà ad un avanza-mento nelle conoscenze diffuso a tutto il gruppo di lavoro. Facilitatore: il tutor facilitatore fornisce le indicazioni precise sullo svolgimento di tutte le atti-vità del corso di e-learning, per dare chiarezza e incisività ai diversi contributi. Moderatore: il compito del tutor moderatore consiste nel mediare le discussioni soprattutto

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se bloccate mettendo in evidenza i nodi concettuali del discorso, suggerendo una modalità d’approc-cio al problema, prendendo posizioni o formulando un’ipotesi, magari provocatoria, per rilanciare una discussione ormai arenata. Organizzatore: la buona organizzazione di un corso, specie per gruppi numerosi, può trovare una soluzione nella divisione in sottogruppi di lavoro, organizzati in base ai contenuti e alle attività previste. In particolare le attività collaborative necessitano di un forte intervento organizzativo per garantire la loro efficacia.

Vari autori tra cui Harasim, Andrusyszyn, Berge, Collins e Turoff sostengono che la figura del tutor assume un particolare significato nei percorsi formativi in rete basati sull’apprendimento collaborativo ma non possiamo dimenticare che nella formazione on-line possono verificarsi situazioni molteplici, che richiedono atteggiamenti diversificati.

In particolare a seconda delle metodologie, dell’approccio e delle problematiche didattiche è possibile delineare vari modelli di corsi on-line, classificabili in base a:

• il diverso peso dei contenuti rispetto alla tutorship,• la tipologia degli obiettivi didattici,• il livello di collaborazione che si instaura tra i discenti.

A seconda delle caratteristiche del corso e delle sue singole fasi, il ruolo del tutor può quindi cambiare così come competenze e abilità richieste.Collins e Berge distinguono nel profilo del tutor tre sfaccettature:

• Instructor,• Moderator,• Facilitator,

Il tutor instructor coincide solitamente con l’esperto/trainer e opera in corsi di formazioni basati su modelli instructor-centered il cui obiettivo principale è l’acquisizione di contenuti da parte dei corsisti. In particolare, si avvale della rete per veicolare i materiali e utilizza strumenti di comunicazione sincro-ni e asincroni in proporzioni pressoché simili impostando un tipo di relazione verticale uno-a-molti.

Questa modalità prevede il riutilizzo su vasta scala dei materiali elaborati e non richiede particolari abilità da parte dei discenti nella loro consultazione.

Tipicamente, “il tutor istruttore” comunica con la comunità degli studenti elaborando materiali strut-turati. Gli studenti hanno accesso ai materiali, li consultano, eseguono i compiti assegnati o le verifiche stabilite. I contenuti elaborati dal tutor possono essere di varia natura:

• informazioni generali sugli obiettivi del corso e le metodologie didattiche che saranno adottate; • contenuti in senso stretto, sotto forma di lucidi, schemi, documenti; • suggerimenti per sviluppare percorsi di ricerca in Internet; • schede o strumenti per l’autovalutazione da parte degli studenti.

Durante il corso o durante la fase di studio dei materiali da parte dei discenti il tutor:• avvia le attività,• orienta i partecipanti rispetto all’accesso delle risorse predisposte,• fornisce indicazioni circa la documentazione da analizzare o i percorsi Internet da segui-re,• risponde alle richieste di chiarimento inviate dai partecipanti,• richiama gli eventuali ritardatari o coloro che mostrano zelo eccessivo.

Il tutor può scegliere di interagire con la comunità di discenti utilizzando tecniche di comunicazione

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audio e video, oppure elaborando risorse utilizzabili in modo asincrono e garantendo una maggiore elasticità nella fruizione da parte degli allievi.

Le conoscenze della disciplina insegnata dovranno essere molto approfondite. Inoltre il tutor dovrà possedere i seguenti requisiti: capacità di affrontare e di presentare i contenuti del corso, abilità di design del materiale formativo ipertestuale o multimediale, capacità di gestire e risolvere i problemi tecnici, capacità di reperire tempestivamente risorse on-line e offline di approfondimento agli studenti che ne fanno richiesta e capacità di mantenere aggiornate le risorse.

Per poter offrire una gamma così articolata di competenze si è soliti ricorrere ad una équipe di tutor composta da più esperti.

L’azione del tutor on-line nella veste di istruttore può essere illustrata attraverso il seguente schema.

Fig. 1: Schema che illustra l’azione del tutor nella sua veste di istruttore

In sintesi il tutor formatore eroga contenuti con l’obiettivo di condividere conoscenze e modalità di utilizzo degli strumenti per omogeneizzare l’intero patrimonio cognitivo.

Il tutor-facilitatore privilegia invece un tipo di relazione uno-a-uno con i partecipanti, in genere via e-mail, pertanto il numero di discenti da gestire dovrà ridursi di molto. Le abilita’ comunicative e rela-zionali del tutor diventano fondamentali, in quanto egli deve essere in grado di:

• porre le domande giuste al momento giusto, osservare;• ascoltare e intervenire solo quando strettamente opportuno; • fornire feedback adeguati;• sostenere e incoraggiare le attività dei discenti.

In questo caso, il modello didattico adottato si definisce “learner centered”, in quanto il focus si sposta dal tutor, come nel modello precedente, al discente; il peso dell’azione asincrona aumenta di molto.

Il tutor svolgerà, quindi, il ruolo di guida operativa capace di esaltare le potenzialità e le caratteristiche specifiche di ciascun corsista.

L’azione del facilitatore è volta a sostenere i partecipanti non ancora autonomi utilizzando molteplici forme di scaffolding (“armatura”): tecnica che modella la strategia di apprendimento per spostare gradualmente la responsabilità da sè ai membri della Comunità.

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L’espressione “facilitatore dell’apprendimento” è riconducibile a Carl Rogers (1973) il quale afferma che l’individuo tende a compiere esperienza attraverso l’apprendimento con un impegno personale che coinvolge la dimensione affettiva e cognitiva. Il tutor, quindi, non può essere solo “insegnante” ma, in quanto “facilitatore”, predispone l’atmosfera ed il clima iniziale dell’esperienza di gruppo, contri-buendo a chiarire gli scopi dei partecipanti e a selezionare le risorse necessarie per conseguirli.

Durante le fasi orientate all’approfondimento dei contenuti e alla condivisione di opinioni ed espe-rienze tra i corsisti il tutor:

• si assicura che la comunicazione tra i partecipanti rispetti le regole vigenti; • verifica con cadenza settimanale se sono presenti osservazioni e interventi;• valuta se intervenire con messaggi di sollecito o per animare la discussione;• produce documentazione integrativa, se lo ritiene opportuno; • programma eventuali interventi audio o audio-video, per puntualizzare problematiche emerse e chiarire dubbi;• valuta quale tipologia di attività adottare per rimanere in linea con gli obiettivi del corso (es. se optare per attività collaborative o individuali);• produce delle linee/guida da inviare ai corsisti per l’elaborazione di una riflessione perso-nale da allegare al dossier;• risponde a richieste specifiche di chiarimento.

La relazione tra il tutor/facilitatore e la comunità degli studenti può essere rappresentata come nello schema che segue.

Fig. 2: Schema che illustra l’azione del tutor nella sua veste di facilitatore

Il tutor-moderatore/animatore viene impiegato laddove si applica un modello learning-team-centered, basato cioè sul “gruppo che apprende” e sulla collaborazione tra pari. Il tutor ricoprirà pertanto il ruo-lo di mediatore all’interno di una comunità di discenti che presenta una certa autonomia organizzativa e operativa. L’interazione al suo interno è di tipo molti-a-molti e lo spazio offerto al dialogo tra gli studenti è inversamente proporzionale a quello concesso agli interventi del tutor: tanto più aumenta il primo, tanto più diminuisce il secondo.

In questa tipologia di attività si cerca soprattutto di favorire forme di tutoring reciproco, in modo che ciascuno contribuisca ad arricchire il “patrimonio” degli altri e quello comune, modificando, durante il

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processo, il proprio atteggiamento iniziale fino ad elaborare nuovi modelli e nuove idee per l’approc-cio ad un problema e alla sua soluzione: si rendono quindi necessarie anche figure di coordinamento provenienti dal gruppo stesso.

Il compito del tutor sarà quello di moderare e sollecitare la discussione del gruppo, creare un clima di familiarità per favorire la collaborazione reciproca, stabilire argomenti di discussione, discriminare gli interventi on e off topic, stimolare la partecipazione di tutti gli allievi, favorire una comunicazione fluida, fornire nuovi spunti di dibattito, quando necessario, mantenere alta la motivazione e contribuire ad instaurare un clima di fiducia reciproca e di serenità.

Potrà gestire un numero molto più elevato di discenti rispetto al tutor-facilitatore in quanto sono fondamentali le interazioni tra i membri della classe virtuale mentre il tutor agisce come osservatore, che decide di intervenire se e solo quando lo ritiene opportuno.

Le attività on-line avvengono grazie ad un alto livello di cooperazione: la tutorship, quindi, è distribuita all’interno della comunità stessa dei discenti spesso suddivisa in piccoli sottogruppi, al fine di facilitare le interazioni e lo svolgimento del programma.

Un solo tutor potrà seguire facilmente più gruppi così costituiti.

Le attività proposte ai discenti potranno essere articolate secondo una delle seguenti modalità (Gu-glielmo Trentin):

La frequenza nell’interazione cresce esponenzialmente quando si strutturano attività che prevedono una forte interdipendenza tra i membri dei gruppi di lavoro (Figura 3).

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Fig. 3 - Lo schema seguente illustra l’azione del tutor nella sua veste di moderatore/animatore

Fig. 4 - Schema che illustra l’azione del tutor nella sua veste di moderatore/animatore: in questo caso è evidenziato soprattutto il ruolo del tutor come moderatore della comunità virtuale degli studenti

L’interazione è tipicamente molti-molti: ne consegue che il tutor non è più necessariamente elemento centrale o punto di riferimento dell’azione formativa, ma tende a diventare uno tra i molti attori. Il suo ruolo potrà a questo punto assumere caratteristiche diverse a seconda di come è impostata l’attività e di quanta importanza è assegnata ai processi collaborativi e all’interazione tra gli studenti, ai con-tenuti piuttosto che alle riflessioni metodologico/didattiche. Lo schema precedentemente illustrato può essere, ad esempio, leggermente modificato, immaginando una situazione in cui il gruppo che apprende, oltre che comunicare e discutere, collabora attivamente alla realizzazione di un elaborato o di un prodotto, sia esso una simulazione o un vero e proprio oggetto di senso compiuto.

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Fig. 5 - Schema che illustra l’azione del tutor nella sua veste di moderatore/animatore: in questo caso è evidenziato soprattutto il ruolo del tutor come animatore di gruppi collaborativi di studenti

Il tutor, nella sua veste di moderatore, si occupa soprattutto dell’organizzazione e della gestione dei gruppi di discussione. In tal senso, una parte della letteratura sulla figura del moderatore on-line si rifà a modelli mutuati dagli studi sulla comunicazione e sulle dinamiche di gestione dei gruppi. Berge (1995), recuperando Brochet (1989), individua sei compiti fondamentali nella figura del moderatore.

• Definire gli obiettivi dell’interazione e gli argomenti in discussione(moderatore = goal setter)• Discriminare tra contributi interessanti e contributi poco utili alla discussione e poco costruttivi(moderatore = discriminator)• Stimolare la partecipazione dei coinvolti e creare un clima di fiducia(moderatore = host)• Affrontare e rimuovere gli ostacoli alla comunicazione e promuovere la cooperazione(moderatore = pace setter)• Arricchire il dibattito fornendo se necessario adeguati chiarimenti(moderatore = explainer)• Mantenere alta la motivazione dei partecipanti e il clima complessivo il più possibile se-reno(moderatore = entertainer)

Laddove il gruppo è sufficientemente motivato ed è in grado di interagire con una certa regolarità, il tutor:

• svolge un ruolo attivo, per quanto gli compete, a seconda del tipo di attività collaborativa che i corsisti praticano in rete (administrator nella simulazione di un corso on-line, master nel gioco, osservatore/critico nell’attività di scrittura collaborativa, ecc);• reagisce alle sollecitazioni dei gruppi di attività valutando se e come apportare variazioni agli obiettivi stabiliti;• produce un “report” periodico sullo stato dell’attività in corso, da inviare a tutti i corsisti, sollecita i corsisti a “chiudere” le attività collaborative producendo un risultato, in base agli obiettivi stabiliti o a quelli che si sono andati delineando; • si occupa del monitoraggio e della documentazione per poter avere un quadro più chiaro

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della situazione generale;• elabora dei report di autovalutazione dell’esperienza in corso, con alcune informazioni essenziali.

Complessivamente, il moderatore/animatore ha una notevole responsabilità: dovrà sempre cercare di rendere il più possibile viva l’atmosfera, in particolare quando si utilizzano tecniche di comunicazione asincrone (Woodall, 1999).

Lo schema proposto di seguito, realizzato da Guglielmo Trentin, riassume quanto appena affermato rispetto a ruoli e funzioni dei tutor:

Questo schema evidenzia lo stretto legame tra l’azione svolta dal tutor nel contesto, secondo le arti-colazioni proposte, e i diversi modelli strutturali applicabili in corsi on-line.

La relazione tra modelli strutturali e ruolo del tutor merita quindi di essere approfondita. Il punto di partenza è Mason (1998), che ha definito tre possibili modelli di corso on-line le cui differenze influiscono in modo significativo sia sul modo di elaborare i contenuti che sul modo di organizzarli e distribuirli, oltre che, ovviamente, sull’azione svolta dal formatore.

Le tre modalità d’azione del tutor riassunte nello schema possono essere messe in relazione con le tre tipologie di corsi online codificate e accettate dalla letteratura in materia (Mason, 1998):

• content + support,• wrap around,• modello integrato.

Nella tabella che segue il ruolo del tutor è messo in relazione con gli obiettivi generali del corso e

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delle sue fasi e con le tecnologie che meglio supportano le diverse attività.

obiettivi generAli sApere sAper fAre sAper essere

Cosa deve acquisire lo studente

Contenuti, informazioni

Abilità, competenze in ambiti specifici

Capacità di sviluppare atteggiamenti e affrontare problemi condividendo con altri esperienze e opinioni

Modello didattico Instructor Centered

Learner Centered

Learning Team Centered

Focus Content oriented Process oriented Project oriented

Ruolo prevalente del tutor

Istruttore Facilitatore Moderatore/animatore

Tecnologie prevalentemente utilizzate

Pagine WebpdfE-MailAudio/videoconferenza

Pagine WebpdfE-MailMailing-List o ForumLavagne condivise

PagineWebpdfE-MailMailing-List o ForumChattingAmbienti Groupware

Peso dell’azione asincrona 50% 70-80% 90-100%

Peso dell’azione real-time 50% 20-30% 0-10%

È chiaro che uno stesso tutor può assumere diversi ruoli durante le varie fasi del corso in rete, così come è altrettanto chiaro che ciascuno dei ruoli può essere interpretato da un diverso soggetto e delineare un diverso profilo.

Secondo Paulsen, l’attività del tutor si può inquadrare a tre livelli: organizzativo, sociale ed intellettuale. Il buon tutor dovrà essere in grado di calibrare i suoi interventi sui tre piani, a seconda del tipo di corso e del suo momento di svolgimento.

Per ogni fase che contraddistingue lo svilupparsi temporale di un corso, il tutor ha un suo compito preciso. Vediamo schematicamente le principali fasi:Progettazione del corso - In questa fase occorre definire, oltre agli strumenti, i contesti in cui prevedere il ruolo attivo del tutor, quali ad esempio momenti intermedi di verifica, discussione di casi, lavori di gruppo, prove intermedie, ecc. Avvio del corso - Il tutor dovrà presentarsi in termini di competenze e ruolo ai partecipanti. Svolgimento del corso - Il tutor deve presidiare le attività svolte attraverso il controllo delle statistiche di accesso alla piattaforma tecnologica e monitorare l’intero andamento del corso.

Momenti di verifica delle competenze acquisite - A seconda della complessità delle prove proposte, queste potranno essere gestite direttamente dal tutor in autonomia o in collaborazione con gli esper-ti di contenuto. Conclusione del corso - Il tutor può esprimere un giudizio su come i partecipanti hanno affrontato

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l’attività formativa ad integrazione dei dati forniti dalla piattaforma tecnologica.

Dal momento che in un corso on-line manca la possibilità del docente di intuire lo smarrimento dei discenti di fronte ad un nuovo concetto o argomento, scrutando i loro volti, occorre l’utilizzo di strumenti diversi per la verifica continua dell’apprendimento e l’impostazione multiprospettica della formazione (F. La Noce, 2001).

I più usati sono:Casi di studio: lo studente è impegnato nella spiegazione di come affrontare una soluzione reale o fit-tizia; nell’esposizione realizza di aver appreso o meno i concetti e le informazioni richieste per l’analisi, verifica se quanto appreso è realmente applicabile al caso e giunge ad una soluzione.

Allenamento (coach): un esempio tipico è dato dall’assistenza on-line, mediante l’invio di messaggi in risposta a specifiche domande; un coach prevede un’assistenza totale o parziale ad una presa di decisioni.

Dimostrazione: versione ridotta di un prodotto che include solo in parte le funzionalità sviluppate; il demo di solito consente all’utente di provare alcuni aspetti del prodotto e per il corsista risulta utile come costruzione dell’impressione d’impatto.

Referenze on-line: si intende così un elenco strutturato alfabeticamente di contenuti pratico-teorici (enciclopedia, elenco delle funzioni di un programma, esercizi risolti di riferimento); questo strumento stimola l’autoapprendimento, proponendo all’utente la sintesi degli aspetti principali (topics), le liste alfabetiche di riferimento, gli esempi e le illustrazioni di approfondimento. Simulazioni: sono esperienze che replicano le caratteristiche principali di una situazione complessa e che lasciano all’utente la possibilità di sperimentare il risultato delle decisioni di prova; utilissime per ipotizzare le relazioni interpersonali, (vendita e gestione delle risorse umane), o per sperimentare tutte le funzionalità dei programmi software. Consigli (tips): rapidi avvisi elettronici in grado di suggerire al corsista come accrescere la propria produttività, velocizzando alcune fasi; vengono visualizzati di solito all’inizio di un programma o di un modulo nuovo, per rinforzare le conoscenze di base e le abilità. Tutoriali: sono spezzoni di lezioni tradizionali contenenti sequenze di lettura da parte del tutor, con l’integrazione di consigli sulle modalità di applicazione pratica, per fornire all’utente una competenza immediatamente usabile negli esercizi; questa tecnica costituisce una valida alternativa alla guida on-line o al manuale utente, da preferire per immediatezza per contenuti pragmatici e procedurali. Wizards (magie): parti del software che svolgono automaticamente, al posto dell’utente, certe attività, lasciando l’interattività ridotta solo al momento del risultato finale.

In genere, il ruolo del tutor tende a mutare con il procedere del corso: all’inizio sarà più frequente e direttivo, poi tenderà a diradarsi. In parallelo, tenderà ad aumentare il grado di collaborazione tra i partecipanti.

Infine, avrà un ruolo attivo nel momento in cui stimola e motiva la fruizione del corso e passivo quan-do diventa il punto di riferimento del corso. Il tutor on-line viene spesso identificato come il soggetto a cui rivolgersi per risolvere problemi o per condividere l’esperienza formativa che si sta vivendo.

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CONCLUSIONI

Carl Rogers ritiene che non si può insegnare, ma solo facilitare l’apprendimento, si può apprendere solo ciò che si sente utile per il mantenimento e la crescita del Sè, che nell’ambiente di apprendimen-to si deve evitare qualsiasi forma di minaccia che possa rischiare di irrigidire le difese e, infine, che l’apprendimento si accompagna alla conquista dell’autonomia ed alla realizzazione della personalità.

Il tutor, in quanto facilitatore dell’apprendimento, predispone quindi il clima migliore per l’esperienza di gruppo e contribuisce a chiarire e a facilitare il conseguimento degli obiettivi educativi. Egli fornisce il cosiddetto “scaffolding”, il sostegno tecnico e relazionale che favorisce l’apprendimento e stimola lo sviluppo delle potenzialità individuali, dopo avere indotto il singolo a scoprirle. Egli dovrebbe indurre lo sviluppo di apprendimento autonomo dei singoli discenti, facendo leva sulla loro curiosità, indivi-duando i loro bisogni formativi, formulando obiettivi compatibili con le loro possibilità, identificando le risorse per raggiungerli, progettando un percorso individualizzato, in base alle esigenze individuali e fornendo un feedback sulle loro performance.

Secondo Rowntree, il rischio principale per il tutor è l’overload, cioè l’impossibilità di gestire adegua-tamente la comunità virtuale con un conseguente tasso elevato di abbandono da parte degli studenti e/o disinteresse da parte loro.

Le difficoltà principali di un tutor on-line sono relative alla formazione delle competenze relative alla materia insegnata, il coordinamento delle dinamiche di interazione, la gestione della comunicazione scritta, che richiede tempo e riflessione, le abilità socio-personali, la capacità di mediazione tra le richieste degli allievi e quelle dei docenti, il saper fare rispettare le regole comunicative, così come le scadenze dei tempi di consegna dei compiti assegnati, l’abilità di mettere tutti nelle condizioni di for-nire il proprio contributo, evitando uno squilibrio tra coloro che partecipano in abbondanza e coloro che non lo fanno per niente.

Ad esse si aggiungono: una capacità di comunicazione chiara e concisa, l’abilità di favorire l’appren-dimento e l’automonitoraggio sia dei singoli, sia dei gruppi, il possesso di un’ottima familiarità con le piattaforme che vengono, eventualmente, utilizzate, sia nell’interfaccia del docente, sia del discente, la possibilità di fornire, nei limiti del possibile, dei percorsi di formazione e di studio personalizzati ad hoc, essere in grado di supplire eventuali cali di attenzione o di interesse, di stimolare stasi di attività, la pazienza, in particolare di fronte a possibili errori tecnici dovuti ad imperizia e l’effettuazione periodica di un bilancio della situazione, insieme alla tempestività negli interventi.

Quanto detto fino ad ora conferma e avvalora la tesi secondo la quale la presenza del tutor e in particolare la sua capacità di gestire e organizzare le risorse disponibili realizza appieno il processo formativo.

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PROGETTAZIONE E GESTIONE DI PROGETTI FORMATIVI Gianmaria Battaglia

Le attività di Instructional Design, traducibile in italiano con Progettazione della Formazione, hanno a che fare con tutto ciò che favorisce e sostiene il processo cognitivo dell’apprendere. Considerata la complessità dei criteri di progettazione delle iniziative formative, così come intese in questo scritto, il ruolo dell’instructional designer è particolarmente delicato. Frequentemente tale ruolo è assunto dal docente che ha la responsabilità del programma formativo in collaborazione con i docenti dei diversi contenuti trattati nello stesso. Pur potendo adoperarsi per creare figure specializzate in instructional design è però altrettanto utile aiutare i docenti ad acquisire le competenze per svolgere il proprio ruolo implicito di instructional designer con riferimento alle proprie sessioni e ai propri corsi.

È quindi opportuno affrontare alcune principali teorie di instructional design. In estrema sintesi si può definire “teoria” un’insieme organico di affermazioni che permettono di spiegare, prevedere o controllare fenomeni reali o ipotetici.

Queste possono essere di duplice natura: • teorie descrittive che descrivono appunto la realtà per come si suppone che sia, • teorie prescrittive che intendono fornire indicazioni sistematiche per arrivare a determinati risultati.

Le teorie di progettazione didattica (instructional design theories) sono generalmente di natura pre-scrittiva: ossia, ci dicono che per ottenere certi risultati dal punto di vista della formazione è neces-sario impostare strategie didattiche e metodologie dell’apprendimento in un determinato modo. Le teorie dell’apprendimento costituiscono la base di riferimento, le fondamenta di una corretta attività di progettazione didattica e sono essenzialmente teorie descrittive. Nel cercare di descrivere e spiegare quali sono i processi logici e cognitivi attraverso i quali i soggetti coinvolti imparano, esse influenzano in modo determinante i criteri generali e le strategie didattiche di qualunque processo di progettazione.

Per identificare metodologie efficaci per specifiche situazioni di apprendimento è necessario però avvalersi di una teoria di instuctional design. Infatti, mentre le teorie dell’apprendimento descrivono a livello teorico i meccanismi cognitivi che avvengono internamente all’individuo nell’atto di apprendere, le teorie di instructional design danno indicazioni più pratiche ed applicabili riguardo contesto e me-todi che facilitano l’apprendimento per il soggetto coinvolto. Le teorie della progettazione didattica quindi traducono le teorie dell’apprendimento in sequenze operative di azioni o in modelli logici di riferimento per l’attività di progettazione didattica.

Va peraltro sottolineato che esistono molte teorie per la progettazione didattica. Ciascuna di queste enfatizza alcuni aspetti dei processi di apprendimento e fa normalmente - anche se spesso implicita-mente - riferimento a specifici contesti culturali e operativi. Pertanto va ricordato che ciascuna teoria non è vera o falsa, ma più o meno preferibile. Ossia ciascun progettista sceglie tra le possibili modalità d’intervento quella che ritiene più adatta ad un determinato set di condizioni specifiche (istituzionali, individuali, tecnologiche, ecc.), soddisfacendo così non tanto criteri di validità, quanto criteri di prefe-ribilità.

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COS’É UNA TEORIA DI INSTRUCTIONAL DESIGN?

Una teoria di instructional design (o teoria di progettazione didattica) offre una guida organica ed esplicita riguardo alle condizioni e i metodi che favoriscono nel migliore dei modi l’apprendimento, lo sviluppo e l’evolversi dei soggetti coinvolti nel processo formativo.

Gagnè (1983) definisce una teoria di instructional design come il tentativo di relazionare specifiche condizioni formative ai processi e ai risultati dell’apprendimento. Inoltre, in termini generali possiamo affermare che le teorie della progettazione didattica:

• si basano sul background di conoscenza derivante dalle teorie dell’apprendimento;• sono prescrittive nel senso che tendono ad identificare quelle condizioni formative che renderanno migliore l’apprendimento, la memorizzazione, la rielaborazione delle informazio-ni acquisite;• provvedono a dare una spiegazione delle relazioni tra le metodologie utilizzate per inse-gnare e risultati da esse derivanti a livello comportamentale, specie nell’aumentare le presta-zioni e le competenze individuali.

Il concetto di condizioni formative è molto variabile e la sua interpretazione è parte essenziale di ciascuna teoria: le condizioni formative considerate sono quindi il primo elemento per valutare l’ade-guatezza della teoria a guidare il processo di progettazione di cui si è responsabili.

Di seguito si propongono alcuni modelli ritenuti significativi della gamma di orientamenti possibili nella consapevolezza che la pratica consente e suggerisce di costruirsi una propria versione dei modelli preferiti a seguito di un processo di contaminazione creativa dettato dall’esperienza e dalle caratteri-stiche del proprio contesto.

ALCUNI MODELLI PER LA PROGETTAZIONE DIDATTICA

I primi modelli di instructional design più che essere delle teorie organiche potrebbero essere definiti come delle rappresentazioni grafiche delle diverse fasi di un processo di progettazione di iniziative didattiche. Questi modelli (per citarne solo alcuni il modello ADDIE, il modello di Dick & Carey, il modello Kemp) hanno in comune tre ordini di attività realizzative: analisi, strategia di sviluppo, valuta-zione.

Il modello ADDIE è stato il primo modello di instructional design ad essere formulato e probabil-mente per questo motivo si è discusso a lungo in letteratura sulla sua efficacia e sulla sua applicabilità. In effetti la sua metodologia di pianificazione è semplice, facilmente applicabile e di natura ciclica, in quanto gli output di una fase diventano gli input per quella successiva.

Fig. 1 - Il modello ADDIE, la centralità della fase di valutazione e la circolarità del processo di pro-gettazione di un intrevento formativo

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progettAzione e gestione di progetti forMAtivi___________________________________________________________________________________________________________

ADDIE è l’acronimo che sta per: Analyse, Design, Develop, Implement, and Evaluate. Questo modello è il primo a suggerire un approccio sistematico alla progettazione di attività, materiali e contesti per l’apprendimento attraverso le cinque fasi sopra citate, ognuna delle quali è strettamen-te correlata all’altra:

L’attività di ANALISI è fondamentale per tutte le successive in quanto in questa fase vengono definiti i bisogni formativi (ciò che deve essere imparato). Possibili output di questa attività sono il profilo dello studente, la definizione dei vincoli di progetto e la definizione degli obiettivi formativi. Tutte le infor-mazioni derivanti dalla fase di analisi diventano a loro volta input per la successiva fase del modello.

La fase di DESIGN implica la pianificazione delle strategie per mettere in pratica l’insegnamento (come deve essere insegnato). Possibili attività di questa fase sono identificare gli obiettivi, individuare risorse, definire istruzioni, mentre gli output riguardano ad esempio la definizione della misurabilità degli obiettivi, la definizione della strategia didattica, ecc.

La fase di DEVELOPMENT riguarda lo sviluppo e l’implementazione del piano formativo e la realizza-zione dei materiali. Tutto ciò che viene fatto in questa fase (dallo sviluppo delle unità formative e delle risorse alla scrittura degli storyboard fino alla definizione degli strumenti di hardware e software) viene prodotto sulla base di quanto definito nei due step precedenti.

La fase di IMPLEMENTATION riguarda la messa in atto vera e propria dell’intervento formativo (sia che si tratti di istruzione tradizionale in presenza, sia che si tratti di istruzioni in rete). In questo stadio, vengono messe in atto tutte le strategie didattiche per il miglior apprendimento, per sostenere gli studenti, per assistere l’utenza nel trasferimento delle competenze acquisite nel mondo del lavoro, ecc. Gli output di questa fase sono costituiti da tutti i dati, quantitativi e qualitativi relativi alla fruizione dell’utenza.

La fase di VALUTAZIONE ha lo scopo di verificare la coerenza e l’adeguatezza dell’intervento for-mativo. Vengono analizzati in questo stadio i dati di frequenza (i file di log nel caso della formazione on-line), i risultati delle esercitazioni e delle attività didattiche dei questionari valutativi e di gradimento del corso, ecc. Il risultato di questa analisi sarà un insieme di raccomandazioni per le future edizioni del corso, la revisione dei prototipi, la taratura dei tempi o dei contenuti alle esigenze testimoniate dai partecipanti, ecc.La valutazione, non è necessariamente la fase conclusiva del ciclo di progettazione. Come si può notare nella figura, può essere svolta in itinere consentendo un adeguamento continuo del progetto didattico prima della sua chiusura e messa in opera. In questo caso si parla di Valutazione Formativa. Ci si riferisce invece alla Valutazione Sommativa quando si intende la valutazione complessiva del progetto didattico che viene fatta a conclusione delle attività corsuali.

A fronte di tale modello che enfatizza la razionalità della sequenza di valutazioni e decisioni possiamo individuarne altri che sviluppano la dimensione sistemica del processo di progettazione. Tra questi esaminiamo il modello proposto nella pagina seguente da Guglielmo Trentin (2001).

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Questo modello, a differenza del precedente, è stato sviluppato a supporto della progettazione di interventi formativi basati sull’utilizzo della rete e delle tecnologie telematiche.

Nonostante il livello di dettaglio molto maggiore delle fasi di progettazione, ha in comune con il pre-cedente la proceduralità del processo: ogni fase del progetto ha un suo ordine temporale di sviluppo, ad esempio prima si definiscono gli obiettivi didattici e poi i contenuti. E’ essenziale tenere presente però che ogni fase potrebbe influenzare retroattivamente le fasi precedenti (ad esempio spesso suc-cede che, dopo aver strutturato i contenuti, ci si renda conto che il loro studio richiederebbe troppo tempo e sarà quindi necessario tornare a rivedere e ridimensionare gli obiettivi didattici). Inoltre, il modello prevede una continua interazione bidirezionale con l’architettura della comunica-zione che sostiene il progetto didattico. E’ in questa dialettica una prima grande novità introdotta dal modello: gli strumenti infatti non sono neutrali nel loro utilizzo e pertanto possono alternativamente aprire nuove prospettive alle attività didattiche o vincolarne alcuni aspetti del funzionamento.

Il modello proposto da Trentin è uno dei più completi con riferimento alla didattica basata sull’uso delle tecnologie e fornisce un quadro progettuale molto affidabile in quanto sperimentato nella pro-gettazione di iniziative per molteplici ambiti di realizzazione.

A fianco dei modelli orientati alla progettazione ex-ante delle iniziative ve ne sono altri che preferi-scono concentrarsi sulla dimensione dinamica delle attività didattiche. Tra questi segnaliamo il modello conversazionale di Diana Laurillard (1993).

L’approccio conversazionale, sviluppato con specifico riferimento all’istruzione universitaria, si fonda sulla natura dialettica dell’interazione tra docente e partecipante (e tra partecipanti). In particolare, il modello considera l’interazione docente-partecipante e in particolare il processo di negoziazione di punti di vista sul contenuto per governare le percezioni del partecipante sull’argomento.

Le dimensioni che interagiscono sono costituite da:• la concettualizzazione del docente,• la concettualizzazione dello studente,• l’ambiente di azione / sperimentazione in cui opera lo studente,• le azioni dello studente.

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Vi sono due interazioni di base: quella tra studente e docente e quella tra studente e ambiente di azione / sperimentazione. La prima avviene tipicamente sulla base di enunciazioni da parte del do-cente e dello studente con lo scopo di chiarire la dimensione di rappresentazione concettuale. La seconda invece attiene all’applicazione di tali concezioni nella realtà (per quanto simulata).

Tali interazioni di base consentono due interazioni di tipo riflessivo. La prima, propria del docente, con riferimento all’idoneità dell’ambiente di azione / sperimentazione a supportare il processo di appren-dimento dello studente è finalizzata all’adattamento di tale ambiente in un processo di evoluzione continua. La seconda, propria dello studente, attiene alla verifica della propria concettualizzazione sulla base dei fedback ottenuti durante lo svolgimento dei task assegnati negli ambienti di azione / sperimentazione.

Fig. 2 - Il modello conversazionale di Laurillard

Il modello scompone poi la conversazione attraverso la molteplicità di interazioni, rappresentate da ciascuna freccia dello schema, fino a ricostruire 12 interazioni. Tale modello base, centrato su un solo studente può essere poi ampliato includendo le interazioni tra studenti nelle attività didattiche di gruppo previste da docenti fautori dei modelli di apprendimento collaborativisti.

Probabilmente il modello può essere ulteriormente ampliato includendo le interazioni tra i diversi docenti coinvolti in programmi di ampio respiro. Tale estensione può assumere particolare rilevanza in contesti professionali in cui interagiscono diverse prospettive con riferimento al percorso di svi-luppo professionale dei singoli (linee organizzative, pianificazione e sviluppo risorse umane, esperto di contenuti, ecc.).

Il lavoro della Laurillard complementa il modello con una ricostruzione dei diversi media a disposizio-ne per poi proporre criteri di gestione di ciascuna delle 12 relazioni previste dal modello.

I media vengono classificati in 5 categorie:• Narrativi: mostrano o raccontano,• Interattivi: reagiscono in modo semplice alle azioni dello studente (testi, immagini, video, ecc.),

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• Comunicativi: intermediano la comunicazione tra persone (email, forum, voip, ecc.),• Adattivi: interagiscono con le azioni dello studente (simulazioni, mondi virtuali, ecc.),• Produttivi: consentono la produzione di output (word processor, fogli di calcolo, disegno di mappe, ecc.).

Tale classificazione fornisce una originale e utile schematizzazione per selezionare le tecnologie in relazione al loro scopo didattico.

Esperienza di apprendimento Tecnologia Media

Assistere, acquisire Stampa, TV, video, DVD Narrativi

Ricercare, esplorare Biblioteche, CD, DVD, risorse Web Interattivi

Discutere, dibattere Seminari, workshop, conferenze online Comunicativi

Sperimentare, esercitarsi Laboratori, viaggi studio, simulazioni Adattivi

Argomentare, esprimersi Saggi, animazioni, modelli, mappe Produttivi

Schema adattato da Peter Clinch (Clinch, 2005)

Tra i modelli focalizzati alla dimensione dinamica ed evolutiva delle attività si segnala il modello di sviluppo di un processo formativo pensato esclusivamente per la formazione a distanza e più speci-ficatamente per le iniziative formative prevalentemente svolte in modalità asincrona. Il modello a 5 stadi di Gilly Salmon mette in relazione le diverse interazioni dei partecipanti con i tutors (in questo caso chiamati e-moderators) con le diverse attività on-line (definite e-tivities) che dovrebbero essere proposte in ogni stadio di svolgimento di un corso per facilitare il processo di apprendimento.

L’elemento interessante che questo modello mette in luce è la centralità dedicata alle interazioni all’interno dell’ambiente virtuale di apprendimento e come, al variare di queste, cambino sia le speci-fiche attività on-line da proporre agli studenti sia il livello e la tipologia di interventi richiesti ai tutor.

Fig. 3 - Il modello a 5 stadi di Gilly Salmon

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Nel primo stadio, quello dell’accesso, le attività on-line sono pensate per permettere al nuovo utente di adattarsi all’ambiente. Il ruolo del tutor sarà quello di “dare il benvenuto”, di motivare e di sostenere la presa di confidenza verso l’ambiente tecnologico in generale. L’accesso e il supporto ai partecipanti è un prerequisito essenziale per la partecipazione a sistemi di conferencing on-line.

Il secondo stadio riguarda la socializzazione on-line. La creazione di una comunità, piccola o grande che sia, è molto importante per un corso on-line di terza generazione. Spesso i partecipanti sono interessati ed incuriositi dalle potenzialità derivanti dallo scambio di informazioni o riflessioni con i propri colleghi ma il più delle volte non sanno come questo possa avvenire, soprattutto se le relazioni devono avvenire in rete. Le attività dei tutors devono in questo livello essere funzionali alla costruzio-ne di “ponti virtuali” tra i partecipanti.

Nel terzo stadio sarà presente lo scambio di informazioni e potranno essere svolti compiti collabo-rativi. I tutors avranno il ruolo di facilitare nello svolgimento dei task didattici e di aiutare nell’utilizzo delle risorse.

Il fatto che le interazioni si svolgano in modo asincrono permette ai partecipanti di gestire il proprio tempo formativo secondo le proprie esigenze e secondo il proprio stile di apprendimento. A questo livello è richiesta la partecipazione sia con i contenuti e le risorse del corso sia con i tutor e con gli altri partecipanti. Forme iniziali di cooperazione si verificano nel momento in cui i partecipanti iniziano ad interessarsi e a sostenere non solo i propri obiettivi formativi, ma anche quelli degli altri.

Nel quarto stadio i partecipanti cominciano a comprendere il potenziale delle interazioni asincrone e attraverso queste diventano progressivamente soggetti attivi nella costruzione del proprio processo di conoscenza. Gruppi di discussione relativi alle attività corsuali cominciano a diventare sempre più collaborativi.

A questo livello i tutors sono meno presenti quantitativamente anche se svolgono un ruolo fonda-mentale nell’orientare i gruppi che interagiscono attraverso sistemi di conferencing.

L’ultimo stadio rappresenta il consolidamento di quanto appreso sia a livello individuale che a livello collaborativo. In questa fase sono evidenti ai partecipanti i benefici del percorso svolto nel raggiungi-mento dei propri obiettivi personali e cominciano a riflettere consapevolmente sul loro processo di apprendimento.

Come rappresentato nella figura 3, ogni stadio richiede ai partecipanti differenti competenze tecniche (rappresentate dai triangoli in basso a destra) e ai tutors differenti abilità nella capacità di gestione del-le attività on-line (rappresentati in figura nei triangoli in alto a sinistra). La barra verticale rappresenta invece il livello crescente di interazioni tra i partecipanti.

Ogni individuo avrà i suoi tempi nella progressione da un livello all’altro. Probabilmente, partecipanti più esperti saranno più rapidi nell’acquisire quelle capacità che gli permetteranno di muoversi rapi-damente verso le fasi 3 e 4, che sono quelle più interessanti dal punto di vista dello sviluppo dell’ap-prendimento vero e proprio. Tuttavia, gli studenti che hanno avuto modo di partecipare alle attività dei primi due stadi riusciranno a gestire meglio la propria partecipazione nella parte collaborativa.

Questo modello rappresenta una sorta di impalcatura che aiuta a strutturare in maniera graduale le attività inerenti gli interventi formativi.

Questa “struttura” viene in sostanza costruita direttamente sul partecipante, attraverso la sua pro-gressiva esperienza di partecipazione. Allo studente viene dunque offerto supporto adeguato ad ogni stadio, man mano che ognuno costruisce la propria expertise nelle attività di apprendimento

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on-line.

LA VALUTAZIONE DI INIZIATIVE DI E-LEARNING

Nella maggior parte dei modelli di supporto alla progettazione e gestione delle iniziative assume particolare centralità la dimensione della valutazione.

I primi modelli di valutazione orientate all’uso della tecnologia datano un paio di decenni. Nel 1992 Delone e McLean svilupparono un ormai famoso modello di classificazione attraverso il quale pote-vano essere valutati i sistemi di gestione delle informazioni nelle organizzazioni.

Essenzialmente il modello contiene i seguenti elementi:• Qualità tecniche:

- qualità del sistema,- qualità delle informazioni;

• Reazione dell’utente:- uso del sistema (E’ stato usato? Quanto spesso? Come previsto?),- soddisfazione dell’utente;

• Impatto individuale;• Impatto sull’organizzazione.

Tanya McGill ha sperimentato ed esteso l’originale schema di classificazione al fine di distinguere la dimensione delle qualità tecniche come elemento valutato dagli esperti rispetto alla dimensione dell’usabilità come aspetto valutato dagli utenti, oltre che le varie tipologie di impatti che un sistema informativo e di comunicazione potrebbe avere.

Il suo modello si compone delle seguenti categorie:

Qualità tecniche (ambito valutato da progettisti, information providers e altri esperti tecnologici):• qualità del sistema (le effettive caratteristiche del sistema, inclusa l’affidabilità tecnica, il tempo di risposta ecc.),• qualità del contenuto (le effettive caratteristiche del contenuto – è aggiornato? è dispo-nibile in diverse lingue? ecc).

Usabilità (si valuta la percezione e la reazione dell’utente al sistema):• qualità percepita del sistema (inclusa la percezione del tempo di risposta del sistema - è sufficientemente rapido? è facile da usare? ecc.),• qualità dell’informazione (percezione dell’utente riguardo l’accuratezza dei contenuti - sono accurati? aggiornati e di facile comprensione?).

Impatto (cosa cambia in seguito all’uso del sistema? Quali effetti ha il sistema su utenti e organizzazione?)• Valutazioni soggettive dell’utente sull’impatto:

- soddisfazione dell’utente (sia riguardo il sistema sia riguardo i risultati derivanti dal suo uso),- percezione soggettiva dell’impatto (cosa l’utente ritiene siano i risultati dell’uso – ad es. “facilita il mio lavoro?”, “ho imparato qualcosa di nuovo?”);

• Valutazioni oggettive dell’impatto sul singolo utente (“il lavoro è migliorato?”, “l’apprendi-mento si è effettivamente verificato? in che misura?”):

- impatto sull’organizzazione (“la produzione è migliorata?”, “le informazioni sono state condivise con più facilità?”).

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Le tipologie di modelli delineati nelle pagine precedenti, sono utili per la maggior parte dei sistemi informativi organizzati, tuttavia non permettono di rilevare alcuni aspetti della complessità propria dell’e-learning.

Innanzitutto queste sono centrate sulla tecnologia, ovvero assumono che si stia valutando una tecno-logia. Riguardo alle iniziative formative invece, l’assunto di partenza è che si stia valutando l’appren-dimento. Ciononostante, va ricordato che la tecnologia è essa stessa una componente essenziale dell’e-learning e dunque dobbiamo valutare la sua natura e il suo uso a fianco della valutazione dell’apprendimento.

Lo schema illustrato nella figura seguente è la versione più recente di un modello in continuo sviluppo che interseca le categorie del modello classico. Attualmente è in fase di testing con diversi tipi di e-learning in differenti contesti.

Fig. 5 - Livelli di valutazione dell’e-learning, Klobas e Renzi (2004)

Le Risorse possono riguardare un particolare aspetto della tecnologia, un learning object, una piattafor-ma, uno strumento di CMC oppure potrebbero riguardare un testo, un libro o un sito web. Le risorse sono valutate ai primi due livelli del modello classico, ovvero qualità tecnologica e usabilità. Inoltre, dovrebbe essere valutata la pertinenza e l’adeguatezza per lo specifico corso e le attività in cui sono utilizzate.

Tutti gli altri livelli del modello sono livelli di “Impatto” e rappresentano la complessità dell’e-learning.

A livello Educational si vuole valutare il corso o le singole attività formative nelle quali le risorse sono inserite: cosa hanno appreso i discenti? hanno apprezzato la loro esperienza di apprendimento? quale responso da parte dei docenti? sono soddisfatti? quali cambiamenti possono essere fatti relativamente alle risorse e al contesto di apprendimento in cui sono strutturate per migliorare processi e risultati?

A livello Istituzionale ciò che interessa valutare è in che misura le risorse, un corso o una specifica atti-vità (o una combinazione delle tre a seconda di ciò che intendiamo valutare) contribuiscono affinché l’organizzazione (una istituzione, una azienda, un’università, ecc.) raggiunga i suoi obiettivi.

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Questi possono essere obiettivi strategici (concernenti l’organizzazione stessa, le proprie condizioni ambientali e il suo futuro), obiettivi per il miglioramento dei processi di funzionamento dell’organizza-zione o obiettivi economici, come il ritorno dell’investimento sostenuto.

Questo livello di analisi si rivolge in due direzioni: verso il piano Educational con focus su processi e risultati per docenti e studenti, e verso il livello Extra-Istituzionale con focus in termini di relazioni cross-istituzionali con altre organizzazioni e con il mercato.

Questo ambito di valutazione non deve essere considerato solo un livello di tipo economico. Per alcuni ritorni di investimento ed alcuni costi vi è un’oggettiva difficoltà a quantificarli: è necessaria, pertanto, in questi casi, una valutazione di tipo qualitativo.

Il livello più esterno, l’ambito di valutazione Extra-Istituzionale, ci ricorda che sono da considerare an-che gli impatti esterni dei programmi di apprendimento. Come per il piano Istituzionale, gli obiettivi di cui vogliamo misurare il conseguimento dipenderanno molto dal tipo di organizzazione.

Alcuni esempi di ciò che potrebbe essere valutato in quest’ambito:• Le Business Schools nelle università sono confrontate e classificate internazionalmente. L’accessibilità e le diverse componenti dei corsi sono uno dei criteri di classificazione che potrebbero essere condizionati dalla qualità dei programmi di e-learning in università.• “L’immagine” è un importante criterio per la maggior parte delle istituzioni, da quelle com-merciali fino ad arrivare alle scuole e le università che potrebbero voler essere conosciute per la qualità dei loro insegnamenti e delle proposte di e-learning.• Per molte istituzioni è importante l’attenzione verso il sociale e il contributo alla realizza-zione di obiettivi collettivi. Alcuni di questi contributi potrebbero esser valutati attraverso le linee guida stabilite dalle istituzioni locali, nazionali o della comunità europea.• La condivisione della conoscenza e dell’innovazione attraverso le organizzazioni, in settori specifici o in aree più ampie, potrebbe anch’essa essere un obiettivo di alcune iniziative di e-learning.

Con specifico riferimento alle iniziative di e-learning proponiamo qui di seguito un elenco di dimen-sioni utili per la valutazione.

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DIMENSIONI PER LA VALUTAZIONE DI PROGETTI DI E-LEARNING

APPRENDIMENTO DEI CONTENUTIIn che misura i discenti hanno raggiunto gli obiettivi didattici stabiliti in fase di progettazione?E’ necessario valutare in che misura questa dimensione dipenda dalla parteci-pazione alle attività on-line piuttosto che da altri fattori associati al corso (quali ad esempio la partecipazione in circostanze collaborative o dal maggior entu-siasmo del formatore derivante dalla diversa modalità di insegnamento). Per determinare questi aspetti, la soddisfazione del discente deve essere valutata in relazione a tutti gli aspetti caratterizzanti del corso (si vedano le dimensioni sotto elencate).

META-APPRENDIMENTOIn che misura la partecipazione al corso ha rinforzato la crescita del discente e della sua capacità di imparare in quegli aspetti che l’organizzazione vorrebbe promuovere nei suoi operatori? Le dimensioni del meta-apprendimento possono includere: attitudine e abilità verso attività collaborative, lavorare utilizzando le tecnologie dell’informazione, fare fronte ai cambiamenti, capacità di apprendimento autonomo, abilità di pro-blem solving, ecc.

SODDISFAZIONE DEL DISCENTEIn che misura i discenti sono rimasti soddisfatti del corso, dell’apprendimento che ne hanno tratto e dalla partecipazione ad esso?La valutazione della soddisfazione deve essere fatta con tutti gli elementi costi-tutivi del corso: docenti, progettazione didattica, tecnologia e applicazioni infor-matiche, interazioni tra i partecipanti e con lo strumento tecnologico, interazio-ne con tutor e con docenti, ecc.

ACCESSIBILITÀ PER I DISCENTIIl progetto di formazione a distanza permette l’accesso all’apprendimento a quelle categorie di discenti che non avrebbero facilmente accesso in forme tradizionali di istruzione?Questa dimensione potrebbe includere sia quei discenti il cui stile di appren-dimento li porti a preferire altri tipi di formazione rispetto a quella d’aula, sia coloro che a causa di difficoltà logistiche non potrebbero raggiungere il luogo dove viene impartito fisicamente il corso.

ACCESSIBILITÀ TECNOLOGICALa tecnologia ha soddisfatto i criteri stabiliti di accessibilità e affidabilità?

SODDISFAZIONE DEI DOCENTII docenti sono soddisfatti dell’esperienza di insegnamento?Ritengono che l’esperienza sia ripetibile e sostenibile (in termini di aumento del carico di lavoro)?

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APPLICAZIONE IN PRATICA DEI SISTEMI PER REALIZZARE CONCRETAMENTE LA CLINICAL GOVERNANCE NELLE AZIENDE SANITARIE DI E-LEARNING Giovanni Serpelloni, Elisabetta Simeoni

INTRODUZIONE

Il termine “Clinical Governace“ è stato usato per la prima volta dall’OMS (1983) per rappresentare in modo sintetico gli aspetti multidimensionali della qualità: tecnica percepita, efficienza tecnica ed allocativa, gestione del rischio.

Il Governo clinico in sanità è stato definito dal documento del Governo inglese come “Un sistema at-traverso il quale le organizzazioni del servizio sanitario nazionale sono responsabili del miglioramento continuo della qualità dei loro servizi e della salvaguardia di elevati standard di assistenza attraverso la creazione di un ambiente in cui possa svilupparsi l’eccellenza dell’assistenza sanitaria”.

Per Governo Clinico si intende un approccio integrato per l’ammodernamento del SSN, che pone al centro della programmazione e gestione dei servizi sanitari i bisogni dei cittadini e valorizza il ruolo e la responsabilità dei medici e degli altri operatori sanitari per la promozione della qualità. Per assicu-rare la qualità e la sicurezza delle prestazioni, i migliori risultati possibili in salute e l’uso efficiente delle risorse, vengono impiegate metodologie e strumenti quali le linee guida ed i profili di assistenza basati su prove di efficacia, la gestione del rischio clinico, sistemi informativi costruiti a partire dalla cartella clinica integrata informatizzata, la valorizzazione del personale e la relativa formazione, la integrazione disciplinare e multiprofessionale, la valutazione sistematica delle performance per introdurre innova-zioni appropriate e con il coinvolgimento di tutti i soggetti, compresi i volontari e la comunità.

Il programma di clinical governance non può prescindere da una sistematica azione di aggiornamento del personale in tutte le sue forme. Obiettivo del presente articolo è, quindi, trarre concreti vantaggi per lo sviluppo del governo clinico aziendale dai sistemi di collaborative e-learning.

UN’OPPORTUNITÀ INNOVATIVA

I sistemi di e-learning possono essere estremamente utili e vantaggiosi per sostenere la Clinical Go-vernance nelle aziende sanitarie ed in particolare per formalizzare e capitalizzare in forma strutturata e intelligibile le esperienze e le conoscenze delle varie unità organizzative o dei dipartimenti.

Molto spesso, infatti, il know how accumulato in anni di attività e le esperienze di successo di team particolarmente produttivi e brillanti, non trovano appropriata memorizzazione e quindi potenziale trasmissibilità, proprio perché non esistono strumenti in grado di capitalizzare facilmente ed in modo autogestito tali esperienze. Oltre a questo, molto spesso gli stessi operatori non sono abituati a teo-rizzare, modellizzare e raccontare le proprie esperienze e le proprie modalità di lavoro. Essi infatti tendono più ad attuare una sorta di trasmissione verbale delle tradizioni e delle prassi professionali più che strutturarle in documenti o modalità permanenti di visione e utilizzo.

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Oltre a questo vi è la necessità di conoscere da parte della direzione strategica le modalità di funzio-namento delle unità organizzative con strumenti informativi innovativi e più potenti, che permettano la visione immediata, generale e comparata delle realtà produttive spesso dislocate in location molto distanti tra loro e dalla stessa direzione.

Proprio per valorizzare e supportare la Clinical Governance è necessario creare le condizioni affinché vi sia la possibilità concreta e fisica (ed in maniera sistematica e standardizzata) di archiviare tutta la documentazione e la base informativa che le unità organizzative utilizzano per il loro funzionamento.

Tutto questo sia per quanto riguarda i processi e i protocolli, sia la normativa specifica di settore a cui fare riferimento oltre alle linee guida e di indirizzo tecnico scientifiche che stanno alla base delle scelte e delle decisioni cliniche e gestionali.

UN REPOSITORY DINAMICO

Le piattaforme di e-learning possono essere un’ottima opportunità per formalizzare e capitalizzare queste esperienze e conoscenze, inserendole quindi in un “Dynamic Repository” web in grado di essere creato, aggiornato e fruito in modo molto facilitato e rapido da ogni punto della azienda sfrut-tando la rete Internet come rete di comunicazione.

Questa base informativa strutturata è in grado di ospitare una serie di informazioni e di documenti con un’amministrazione decentrata (input presso le unità organizzative) ed un controllo degli stan-dard centralizzato (controllo presso lo staff della direzione).

I contenuti strutturati e differenziati possono essere: i processi professionali utilizzati, i protocolli e i criteri decisionali, le linee guida e di indirizzo di riferimento, la normativa specifica di settore e i rego-lamenti regionali, gli indicatori che vengono utilizzati per la valutazione dell’esito delle proprie attività e un rapporto standardizzato a livello aziendale delle attività e dei costi generati. Nulla toglie che questo strumento possa essere utilizzato anche per la scheda di budget ed il monitoraggio a distanza dell’andamento di tale documento.

Una particolarità delle piattaforme informatiche dei sistemi di e-learning è che possono ospitare documentazione sotto varia forma: testo elettronico, immagini statiche, immagini dinamiche (video) e audio. Tutto questo agevola la comunicazione e la possibilità di introdurre informazioni multimediali, più fruibili e maggiormente descrittive delle attività e delle modalità operative.

UTILITÀ CONCRETE

Formazione e aggiornamento periodicoUn aspetto estremamente rilevante dei sistemi di e-learning utilizzabile per supportare la Clinical Governance, è la possibilità di elaborare ed inserire percorsi formativi multimediali con contenuti controllati e standard, associandoli a sistemi interni di autovalutazione da poter utilizzare in qualsiasi momento e da qualsiasi posto da parte del personale di nuova acquisizione, che ha necessità di cono-scere in tempi rapidi, le modalità operative e l’organizzazione in cui opererà, e dal personale già attivo che ha la necessità e l’obbligo di aggiornamento e formazione (per esempio per quanto riguarda la legge 626 e successivi decreti sulla sicurezza nei luoghi di lavoro).

Comunicazione interna: “Enterprise network”Avere a disposizione una base informativa di questo tipo comporterà anche una migliore trasparen-

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ApplicAzione in prAticA dei sisteMi di e-leArning___________________________________________________________________________________________________________

za e visibilità delle varie unità organizzative aziendali nei confronti delle altre unità aziendali e della direzione strategica. In questo modo la Direzione Strategica potrà ottenere una migliore conoscenza delle attività che via via le varie unità organizzative espletano, essendo così anche incentivate e tenere aggiornata la loro base dati. Parte integrante di questo aspetto è anche la funzione di rendicontazione interna che questa area può rappresentare e soddisfare.

Utilità operativa nelle attivitàOltre a questi due aspetti vi è anche la possibilità che questo sistema, se non utilizzato semplicemente come “vetrina”, possa e debba essere di supporto concreto all’operatore durante lo svolgimento delle attività quotidiane. Questo aspetto può trovare diversi livelli di applicazione e di complessità in relazione a quanto si voglia e si possa realizzare in un sistema informativo in grado di gestire questi aspetti.

Il fatto comunque che gli operatori sappiano di avere a disposizione un’unica base dati dove per esempio poter reperire la documentazione di uso comune e sempre aggiornata, o consultare le ulti-me procedure di intervento, o valutare anche i propri dati di attività, produrrà una buona compliance al sistema ed una migliore applicazione e conservazione degli standard prefissati.Ovviamente assicurando una rapidità e facilità di accesso e d’utilizzo del sistema è la base del successo e della buona riuscita di questa innovazione.

Comunicazione esterna: “social network”Con un sistema di questo tipo è possibile anche aprire all’esterno una parte della base informativa in esso contenuta in modo da socializzare e rendere visibile i meccanismi di funzionamento aziendali, le basi tecnico scientifiche su cui si basa l’operatività, e quanto necessario per mettere nelle condizioni il possibile “cliente” sulla base di criteri ancora più consapevoli e ragionati, di poter operare una scelta sul fornitore di assistenza. Questo aspetto va studiato ed approfondito ma siamo convinti che possa rivestire un ruolo importante anche nel motivare il personale ed i dirigenti coinvolti a migliorare le proprie performance e modalità di lavoro.

In altre parole, aumentando la trasparenza in esterno aumenteranno anche gli standard di qualità è sarà possibile iniziare ad introdurre un benchmarking con altre realtà aziendali omologhe.

LA STRUTTURA AZIENDALE

Il sistema potrà essere organizzato all’interno di una piattaforma unica in settori standardizzati rappre-sentanti i vari dipartimenti o, se si preferisce, le singole unità organizzative. Ciascuno di questi seguirà una struttura standardizzata di rappresentazione delle informazioni richieste. Questo porterà a poter disporre di una rappresentazione comparabile e di facile lettura utilizzando tutti la stessa logica e le stesse aree di input.

CONCLUSIONI

In conclusione, l’on-line collaborative learning oggi sembra far parte integrante del modello di gestione del business aziendale. Il suo punto di forza starebbe nell’informalità del processo di apprendimento che ha permesso di definire un nuovo concetto di flusso delle informazioni, di interscambio all’interno delle organizzazioni grazie a strumenti come blog, chat e forum. Quindi l’e-learning diventa non solo strumento di formazione con alto grado di indipendenza nel percorso didattico libero da vincoli di presenza fisica o da un orario specifico, e leva di business aziendale tanto più efficace quanto più le organizzazioni sapranno implementare i loro data-base e condividerne le procedure ed i modelli che

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stanno alla base.

L’e-learning, inoltre, può aiutare a ridurre i costi di formazione. Secondo alcuni studi recenti usando soluzioni di e-learning invece delle tradizionali, si possono ridurre del 50% i tempi di costruzione delle competenze e insieme ottenere un abbattimento dei costi del 15-30% in termini di efficienza.

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IL LAVORO IN TEAM Luciana Castellini

Un Team è un gruppo di persone che collaborano per il raggiungimento di obiettivi comuni e che forniscono ciascuno un contributo alla realizzazione della performance del gruppo.

Nei contesti organizzativi attuali diventa sempre più comune la necessità di affrontare e sviluppare progetti in equipe che coinvolgono diverse professionalità. Questo atteggiamento ha generato la ne-cessità di studiare ed analizzare più a fondo le caratteristiche che i gruppi di lavoro devono possedere e valutare eventuali disfunzioni e difficoltà che possono insorgere.

Senza dubbio, uno degli aspetti più difficili da presidiare è l’intreccio complesso dei comportamenti che l’interazione tra individui normalmente induce. Proprio per questo l’attività di gruppo non può essere improvvisata e lasciata al caso, bensì necessita dell’uso consapevole di regole e strumenti.

Nella seconda parte di questo capitolo prenderemo, quindi, in considerazione gli strumenti a suppor-to dei gruppi di lavoro, in particolare vedremo come la tecnologia può fornire un valido contributo nell’affrontare progetti comuni soprattutto laddove sussiste anche distanza fisica tra i soggetti coo-peranti. Inoltre, vedremo quali vantaggi realmente produce il lavoro di squadra e con quale modello organizzativo meglio si combina.

CARATTERISTICHE DEL TEAM

Un gruppo di lavoro è costituito da un insieme di individui che interagiscono tra loro nella consapevo-lezza di dipendere l’uno dall’altro e di condividere gli stessi obiettivi e gli stessi compiti. Ognuno svolge un ruolo specifico e riconosciuto, preservando il benessere dei singoli e mirando parallelamente allo sviluppo dei singoli componenti e del gruppo stesso. Perché un gruppo di lavoro possa evolversi e maturare nel tempo e per permettere una maggiore collaborazione tra i suoi membri ed una loro partecipazione più attiva, è necessario che si passi dalla semplice interazione ad una vera e propria integrazione, affinché i partecipanti al gruppo possano condividere bisogni ed esigenze. La realizzazione concreta della collaborazione all’interno del gruppo, è poi facilitata dal meccanismo di negoziazione, che permette il confronto e il passaggio dal punto di vista dei singoli individui ad un punto di vista comune e condiviso per realizzare al meglio gli obiettivi previsti.

Ecco, pertanto, elencate le caratteristiche che concorrono nella costruzione di un buon gruppo di lavoro:

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Il lavoro in team può permettere il raggiungimento più efficace ed efficiente degli obiettivi, ma può anche ostacolarlo. L’efficacia del lavoro in team può dipendere da:

• le caratteristiche degli obiettivi: i processi di decisione di gruppo sono utilizzabili per pro-blemi nuovi, complessi e multidisciplinari;• le dinamiche e le relazioni che si creano all’interno del gruppo.

Inoltre, il lavoro in team presenta i seguenti vantaggi:Vantaggio cognitivo

• con il teamwork aumentano le capacità di raccolta e di trattamento delle informazioni e si riducono le distorsioni cognitive;• l’efficacia del gruppo aumenta in condizioni di complessità crescente.

Vantaggio motivazionale• con il lavoro in gruppo avviene uno scambio di beni sociali;• la partecipazione a processi decisionali di gruppo è un fattore di accettazione e convin-zione delle azioni da compiere.

Il lavoro in team fallisce invece, quando il gruppo è caratterizzato da:• pressione al conformismo (group think): i membri del gruppo trovano difficile esprimere la loro opinione se la maggioranza o gli esponenti più “forti” sostengono un’altra posizione;

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• alta propensione al rischio: la propensione al rischio del gruppo è maggiore della somma-toria delle propensioni al rischio individuali a causa di un processo di deresponsabilizzazione dei singoli;• polarizzazione: gli individui si identificano nel gruppo, isolandosi dal resto dell’organizza-zione e creando subculture e clan.

Il teamwork ha una connessione molto stretta con in modello organizzativo per progetti. La combi-nazione di queste due “facce della stessa medaglia” consente:• la massima concentrazione verso il raggiungimento degli obiettivi prefissati per il gruppo di pro-getto;• la creazione di una cultura persistente dell’orientamento al risultato.

Di converso, ciò implica:• una forte ridondanza delle strutture operative => costo elevato, rischio di reinventare la ruota ad ogni giro;• il rischio di una dispersione del patrimonio di conoscenze sviluppato dal team ad ogni progetto => importanza dei processi di knowledge management;• il rischio della perdita della visione d’insieme di obiettivi e risultati dell’organizzazione nel suo complesso.

L’efficacia del lavoro in team può dipendere da:• Grado di differenziazione (diversità) delle informazioni a disposizione dei membri del gruppo.• Grado di coesione del gruppo intorno agli obiettivi e agli interessi comuni.• Livello di pressione temporale.• Livello di pressione esterna verso i risultati.

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I team virtuali sono gruppi che in modo semipermanente o transitorio svolgono dei compiti i cui processi di comunicazione sono mediati, totalmente (team virtuali) o in parte (team fisico-virtuali), dalla tecnologia.

IL TEAM VIRTUALE: STRATEGIE PER OTTIMIZZARE LE PERFORMANCE

Dal momento che le strutture sanitarie sono distribuite in modo sempre più capillare all’interno del territorio, anche le relazioni e gli scambi tra operatori e operatori-utenti stanno divenendo maggior-mente intensi e significativi.

Tali cambiamenti impongono che la comunicazione tra i diversi soggetti divenga più efficace attivando una rete in grado di fornire servizi integrati, frutto di una continua collaborazione.

Viene enfatizzata l’importanza del Knowledge Management, vale a dire di quei processi organizzativi che uniscono la capacità di combinare i dati ed elaborare le informazioni, con la creatività e la capacità di innovare degli esseri umani. Pertanto, la conoscenza del singolo deve divenire patrimonio di tutti gli interlocutori siano essi interni che dislocati nelle diverse aree del territorio.

Da qui nasce l’esigenza di costituire i cosiddetti “team virtuali”, vale a dire gruppi di individui in grado di collaborare anche a distanza (in luoghi e momenti diversi) avvalendosi dell’uso di varie tecnologie.

Sebbene la tecnologia che supporta i team virtuali meriti gran parte dell’attenzione, gestire un team

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virtuale richiede più che il semplice accesso alla tecnologia.

Tali team hanno, infatti, bisogno di impadronirsi di nuovi approcci comunicativi e organizzativi.

CARATTERISTICHE DEI TEAM VIRTUALI

• Località geografiche diverse,• La tecnologia come strumento per la costituzione e il funzionamento del gruppo,• Assegnazione chiara dei ruoli e organizzazione verticale,• Ruolo fondamentale del coordinatore,• Differenze culturali,• Regole, strumenti e metodi chiari e condivisi,• Condivisione delle conoscenze.

• L’uso di strumenti di comunicazione, di condivisione e di coordinamento virtuali riduce le barriere comunicative causate dalla lontananza fisica.• I principali strumenti di collegamento fra i membri di un team virtual sono:

• Instant Messaging: permette a due o più persone di comunicare in tempo reale tramite messaggi di testo;

• Conference-call: tramite conference-call, 4 o più persone possono comunicare tramite telefono;

• Dataconferencing: assieme ad una conference-call permette di collaborare con gli altri partecipanti su applicazione PC-based dal proprio PC o attraverso servizi Web-based;

• Videoconferencing: è un servizio di virtual meeting che permette comunicazioni face-to-face fra partecipanti distanti attraverso televisioni, microfoni e linee di collegamento ad alta velocità;

• Database virtuali: siti web team-oriented per la condivisione di informazioni e la collaborazione con altri membri del team su documenti condivisi;

• Piattaforme e-learning: permettono la creazione e la fruizione di corsi formativi per tutti i membri del gruppo.

Le reti on-line inoltre:

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• consentono lo scambio di informazioni e prospettive tramite una comunicazione flessibile con gruppi e singoli individui sulla stessa linea di pensiero, ma che possono essere distanti dal punto di vista geografico;• consentono il dialogo sociale e l’apprendimento reciproco stimolando un’assidua e co-struttiva condivisione delle conoscenze;• vantano protocolli politici e sociali che definiscono i confini e rappresentano le basi per l’identità dei gruppi;• sono dinamiche, quindi cambieranno e si evolveranno man mano che cambiano le finalità della comunità on-line;• devono essere attivamente sostenute e agevolate da animatori di rete esperti, che ne garantiranno la concretezza, la presenza sociale e la struttura;• sono fondamentali per le organizzazioni che dipendono dalle conoscenze che hanno dunque bisogno di informazioni aggiornate e di rapide risposte.

GESTIRE PROGETTI VIRTUALI

Praticare una corretta comunicazione può rappresentare un compito arduo anche quando due o più interlocutori si trovano in una stessa stanza, ma le cose si complicano ulteriormente se avviene a distanza.

L’esperienza dimostra che solo quando si guarda la persona con la quale si sta parlando si può perce-pire il suo linguaggio non verbale, vale a dire quell’insieme di reazioni, emozioni e gesti che aggiungono importanti informazioni utili nelle relazioni interpersonali e nel buon svolgimento del lavoro in team. Quando mancano queste informazioni, le persone coinvolte nel team di lavoro ne soffrono con evi-denti ripercussioni sulla qualità del lavoro svolto.

In realtà, il lavoro di gruppo si basa in gran parte sulla fiducia che ciascuno riesce a riporre nell’altro, pertanto i membri di ciascun team devono poter credere che ogni componente sia realmente im-pegnato nel raggiungere un obiettivo comune. Le differenze culturali rendono i gruppi eterogenei divenendo pertanto la causa principale di ripetute incomprensioni.

Il team si consolida quando raggiunge una propria energia interna. Perseguire questo obiettivo risul-ta indubbiamente più semplice durante gli incontri in presenza; si pensi ad esempio alle sessioni di brainstorming in cui le idee fluiscono mentre il tempo scorre velocemente, oppure ai momenti nei quali il team lavora ininterrottamente per rispettare una scadenza e all’eccitazione diffusa dopo il conseguimento di un risultato.

Quando il team fisicamente si incontra, la stanza stessa funge da “contenitore” nel quale l’energia del team fermenta e si distribuisce tra i suoi membri.

I team virtuali sperimentano una sorta di effetto antropico in cui l’energia si disperde perché non esiste uno spazio fisico in grado di contenerla.

Per fare in modo che questo non accada e che il team arrivi a identificare un proprio contesto, è fondamentale che:

• tutti i soggetti vengano resi partecipi rispetto agli eventi interessanti in corso anche se riguardano per lo più solo uno o pochi membri del gruppo;• il gruppo costruisca una propria identità e un forte senso di appartenenza creando ad esempio una team inbox oppure utilizzando intestazioni e formattazioni specifiche per tutte le informazioni provenienti dal gruppo di lavoro;• lo spazio virtuale venga personalizzato attraverso foto personali o immagini, descrizione

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dei profili, uso di emoticon, così come normalmente accadrebbe nel proprio ufficio (foto, cartoline, portafortuna).

Queste ed altre sono le difficoltà che contraddistinguono questo genere di team, ma che possono essere facilmente superate se affrontate con consapevolezza.

Di seguito analizzeremo le principali caratteristiche dei team virtuali e i vari aspetti che li contraddi-stinguono, partendo dall’acronimo stesso “VIRTUAL”:

V - VISION (visione condivisa)I - INTERACTIVE (ricorso ad una tecnologia interattiva)R - REVIEWS (revisioni periodiche)T - TRUST (costruzione di fiducia tra i partecipanti)U - UNIFORM (utilizzo di strumenti, modi e linguaggi uniformi)A - ACCESS (accesso ad un database comune)L - LEVERAGE (ottimizzazione dei tempi)V - VISIONE CONDIVISA

Quando un team di persone si trova a dover collaborare su un medesimo progetto deve poter definire innanzitutto la propria linea comune da adottare prima di progettare gli obiettivi e definire i compiti.

Il gruppo deve sviluppare collegialmente la propria “Vision” senza che questa venga calata dall’alto; diversamente non sentirà proprio il progetto e probabilmente non impegnerà tutte le sue energie per l’ottenimento dei risultati.

E’ necessario, inoltre, che il team non perda di vista la mission del progetto, vale a dire il fine ultimo che s’intende perseguire.

Nell’applicazione della teoria sistemica ai virtual team, Lipnack e Stamps (1997) asseriscono che le componenti relative a persone, obiettivi e collegamenti formino un modello sistemico di input, pro-cessi e output.

Le diverse persone formano il team virtuale, gli obiettivi sono i compiti che coinvolgono tutto il team, i canali sono le interazioni che contraddistinguono il team.

La natura e la varietà di questi canali sono i due fattori che maggiormente distinguono team tradizio-nali da team virtuali.

Gli input necessari per sviluppare team virtuali includono membri indipendenti, fini cooperativi e multiple media. Attraverso il processo di sviluppo, i membri condividono la leadership scambiandosi i ruoli vicendevolmente, il che implica l’instaurarsi di interazioni.

Gli output generati includono livelli di organizzazione, risultati concreti e relazioni.Lo schema seguente mostra i principi sopra descritti.

INPUT PROCESSI OUTPUT PRODOTTI

PERSONE MEMBRI INDIPENDENTI LEADERSHIP CONDIVISA LIVELLI INTEGRATI

OBIETTIVI FINI COMUNI (COOPERATIVI) COMPITI INTERSCAMBIABILI RISULTATI CONCRETI

CANALI MULTIPLE MEDIA INTERAZIONI RELAZIONI

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I - USO DI TECNOLOGIA INTERATTIVALa comunicazione tra i membri del team virtuale spesso avviene attraverso strumenti già di uso quotidiano quali per esempio la posta elettronica, ma ciò non significa che gli stessi conoscano le regole alla base di una corretta ed efficace interazione.

Esistono però anche altri potenti strumenti, più o meno sofisticati, in grado di supportare la condivisione di informazione ed il conferencing.

Tali strumenti possono essere utilizzati ad integrazione gli uni degli altri, ma richiedono un uso consapevole e strutturato.

Pertanto, sono necessarie delle sessioni di training rivolte a tutti i soggetti coinvolti nel team.

R - REVISIONI PERIODICHE Qualsiasi progetto necessita di periodiche revisioni, a maggior ragione se condotto a distanza. E’ essenziale che tutti siano a conoscenza di come procede il lavoro affidato a ciascun componente del gruppo nelle varie fasi del progetto.

Pertanto, è opportuno prevedere un numero ragionevole di incontri a distanza o in presenza (se necessario) in cui discutere lo stato di avanzamento del progetto stesso.

T - COSTRUIRE FIDUCIA TRA I PARTECIPANTIAl fine di costruire il team, occorre sviluppare metodi per comunicare e interagire a distanza gli uni con gli altri, avvalendosi dei medesimi strumenti e adottando regole comuni condivise. Sia le Intranet che i sistemi PBX rappresentano un valido supporto nella condivisione delle esperienze e delle informazioni.

Diversamente da quanto accade tra colleghi abituati che lavorano fianco a fianco, a distanza è difficile che avvengano conversazioni informali: gli scambi si limitano a questioni strettamente legate all’ambito professionale.

Ciò implica una scarsa conoscenza reciproca che non facilita il clima di fiducia nel team.

Per favorire interazioni più amichevoli si possono ad esempio: • tenere conferenze di gruppo telefoniche informali;• stimolare discussioni circa argomenti di varia natura (es. cultura generale o di interessecomune);• invitare esperti (autori, consulenti, persone chiave) provenienti da altre partidell’organizzazione.

U - UTILIZZO DI STRUMENTI, FORME E LINGUAGGI COMUNI Ogni fase del progetto dovrà essere seguita da un momento di analisi e verifica attraverso opportuni strumenti e format comuni.

L’analisi non dovrà trascurare i seguenti aspetti:- COERENZA RISPETTO AGLI OBIETTIVI INIZIALI;- RISPETTO DEL PIANO OPERATIVO (TEMPI, BUDGET, COMPITI);- AGGIORNAMENTO SUI DATI ATTUALI; - ANALISI DELLE DISCREPANZE RISPETTO A QUANTO PREVISTO NEL PIANO OPERATIVO;- DEFINIZIONE DELLO STEP SUCCESSIVO.

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A - ACCESSO AD UN DATABASE COMUNE Le informazioni, i dati e le decisioni relative al progetto, dovranno alimentare un unico database di facile accesso in qualsiasi momento.Tali elementi dovranno essere periodicamente aggiornati alla luce delle successive revisioni e archiviati nel medesimo “contenitore” seguendo procedure comuni.

L - OTTIMIZZAZIONE DEI TEMPIGli incontri in presenza, seppur sporadici, hanno come obiettivo quello di facilitare l’interazione e la conoscenza tra i membri del team e rappresentano un’ottima occasione di scambio reciproco e di approfondimento delle criticità vissute da ciascuno.Tali incontri dovranno essere ben programmati stabilendo in anticipo un ordine del giorno che tenga conto di tutti gli argomenti rilevanti. Sarà pertanto ottimizzato il tempo a disposizione con l’aiuto di moderatori esperti nella gestione delle riunioni.Quanto emerso durante il meeting dovrà essere inserito in un report consultabile on-line.

COMUNICARE ON-LINE

Il successo di una rete dipende da molti fattori, fra cui la partecipazione attiva e l’autentica interazione sociale. L’animatore di rete svolge una funzione fondamentale: animare, facilitare, gestire e moderare le discussioni. Nelle previsioni, tutti i componenti della comunità dovrebbero contribuire alla crescita e allo sviluppo della rete, ma l’animatore facilita e guida il gruppo durante l’evoluzione. Questo ruolo richiede una serie complessa di competenze e può anche essere svolto da più persone, in modo da ripartire le responsabilità. Perché la rete sia gestibile e produttiva, qualcuno deve assumersi la responsabilità di mantenerne l’assetto e la direzione.

Presiedere riunioni faccia a faccia può essere stimolante; quando però lo scenario cambia e diventa quello di un ambiente virtuale, in cui occorre sostenere, animare e controllare grandi gruppi per periodi prolungati di tempo, entra in gioco una combinazione di competenze comunicative, tecniche e gestionali. Nelle previsioni, l’animatore dovrebbe:

• fornire una finalità chiara e la durata delle discussioni,• definire il modello sociale e le regole generali,• rispondere tempestivamente alle richieste dirette,• attestare e sintetizzare i contributi significativi,• introdurre domande nel sistema per stimolare il dibattito,• gestire le differenze di lingua e cultura.

La ricerca sui comportamenti on-line ha evidenziato le distinte fasi raggiunte dai partecipanti man mano che familiarizzano con l’ambiente virtuale (Salmon, 2000). Anche se i componenti si sono incontrati personalmente, prima del lancio della rete, comunicare on-line e formare un’identità di gruppo nello spazio virtuale è un’altra cosa. Nelle prime fasi, ad esempio, per tutti le principali preoccupazioni saranno gli aspetti tecnici e l’accesso alla conferenza, seguiti dall’affermarsi di una presenza sociale. Solo a questo punto la sicurezza dei partecipanti sarà tale da consentire loro di avviare un’autentica interazione e un dialogo sensato con gli altri componenti. Questo percorso è illustrato nel modello descritto dalla Salmon.

Le fasi più avanzate stimolano la costruzione delle conoscenze all’interno della comunità che, a sua volta, porta all’applicazione pratica su più grande scala. Man mano che nei componenti del gruppo diminuisce la dipendenza dall’animatore, la comunità si incarica maggiormente dei propri progressi, riducendo gradatamente gli interventi dell’animatore. Gli animatori di rete devono inoltre essere consapevoli dei vari tipi di comportamento dei partecipanti, in particolare di quelli specifici all’ambiente on-line; in più, potrebbero trovarsi nella necessità di creare

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metodi per far fronte a diversi tipi di contributi on-line. In tal senso, è senz’altro utile impostare sin dall’inizio i confini della rete e il modello sociale, nonché convenire sulle regole o “étiquette” per la discussione on-line nella rete.

SOSTENERE L’IDENTITÀ DEL GRUPPO

Le reti on-line coronate da successo hanno in comune determinate caratteristiche.

Per prima cosa, assicurano strumenti di comunicazione flessibili, intuitivi, affidabili e accessibili a tutti i componenti del gruppo. Sono guidate e gestite con mano esperta da animatori che contribuiscono a suscitare costantemente l’interesse dei componenti animando le discussioni, immettendo regolarmente riepiloghi, definendo l’agenda dei lavori e dando il benvenuto ai nuovi arrivati.

I componenti si sentono pienamente partecipi della progettazione e della gestione della rete e condividono una comprensione unica dei procedimenti relativi alle loro attività. Le loro aspettative concordano con quelle degli organizzatori della rete e degli altri partecipanti; ne risulta un senso di soddisfazione e identificazione con la comunità on-line.

La comunicazione è assidua e ben finalizzata, con discussioni animate e obiettivi precisi. Viene messo a punto un sistema di gestione delle conoscenze per raccogliere, ordinare in categorie e strutturare le informazioni e le risorse condivise.

Il successo delle reti on-line, tuttavia, non è dovuto al caso. Per conseguire risultati utili per i componenti, queste devono essere ben alimentate e strutturate. Ad esempio, il design di uno spazio di dialogo può decisamente influenzare il processo di comunicazione e la motivazione dei componenti.

Un’interfaccia attraente e facile da navigare, con titoli e layout logici per ogni area della conferenza, agevolerà l’interazione e la comunicazione fra i componenti. Analogamente, la diffusione di una sintetica descrizione delle finalità e peculiarità della comunità garantirà una visione uguale per tutti. Sin dall’inizio, dunque, occorre prendere in considerazione numerosi aspetti.

Inizialmente i più diretti interessati saranno gli animatori, ma in seguito anche i componenti del gruppo dovranno contribuire all’evoluzione della struttura della rete.

Ecco alcune delle probabili problematiche:

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Non esistono risposte semplici per questi aspetti, poiché ogni rete avrà obiettivi e requisiti differenti.

Gli studi effettuati in proposito indicano che le comunità on-line di successo stimolano il senso di appartenenza e, nel tempo, i componenti giungono a identificarsi strettamente con il gruppo. Ad esempio, Wenger (1998) ha identificato tre stadi di appartenenza:

Immaginazione: tramite l’orientamento e l’esplorazione, i partecipanti si identificano con una comunità di pratiche.

Partecipazione: tramite la partecipazione ad una comunità da essi apprezzata, giungono ad appartenere a tale comunità.

Allineamento: il pensiero dei partecipanti inizia a convergere su aspetti strategici, rendendoli più desiderosi di ascoltare il parere altrui.

Può essere utile e rassicurante esaminare in che modo si sono evolute le più affermate comunità di pratiche. I ricercatori hanno individuato le seguenti cinque fasi (schema ricavato da Gongla e Rizzuto, 2001):

potenziAle La comunità comincia a formarsi

costruzione La comunità si definisce e formalizza finalità e peculiarità

operAtività La comunità è completamente operativa e continua a migliorare le proprie procedure

AttivALa comunità comprende e dimostra i vantaggi derivanti dalla gestione delle conoscenze e dal proprio lavoro collettivo

AdAttAtivALa comunità e le sue organizzazioni di sostegno utilizzano le conoscenze per assicurarsi vantaggi politici e strategici

La costituzione ed il sostegno a simili comunità di pratiche presenta più di una difficoltà in un ambito transnazionale, dove le differenze linguistiche e culturali possono ulteriormente ostacolare tanto gli animatori quanto i componenti del gruppo. Naturalmente, c’è modo per superare queste difficoltà; ad esempio, l’uso di frasi ben strutturate e semplici sintatticamente nelle comunicazioni con testo, le opzioni di traduzione on-line e gli strumenti di traduzione assistita.

MotivazioneSe dovessimo indicare un singolo fattore, fondamentale per il successo, senza dubbio sceglieremmo la motivazione. Tutti noi abbiamo responsabilità, professionali e personali; riuscire a trovare il tempo per le discussioni on-line può quindi essere problematico, soprattutto se tale attività è su base volontaria.

Per essere motivati, i partecipanti devono avere la sensazione che il loro coinvolgimento in una rete

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on-line sia utile, prezioso e naturalmente anche piacevole. Lo stesso vale per l’efficienza del ruolo di animatori di rete.

La motivazione, in sé, non è facile da definire. Può essere estrinseca, imposta dalla necessità di acquisire nuove conoscenze o competenze, forse correlata agli obiettivi di performance, oppure intrinseca, nel senso di una forza interiore che spinge i singoli a conseguire obiettivi personali.Sulla motivazione incidono vari fattori, alcuni dominabili facilmente mentre altri sembrano spesso al di là di ogni controllo, e preoccupano indistintamente gli animatori e i componenti della comunità; nella vita quotidiana, infatti, siamo tutti sottoposti a varie pressioni che incidono sulla capacità e sul

desiderio di partecipare alla rete on-line. Possiamo distinguere i fattori in tre categorie principali: tecnici, di implementazione e sociali (Warren, 2000). Le prime due categorie dipendono di norma da influenze esterne, come illustra la tabella seguente e spesso possono essere trattate direttamente dall’animatore di rete:

Fattori tecnici

DIFFICOLTA’ AZIONE DELL’ANIMATORE

Il partecipante ha scarsa accessibilità a computer idonei

Incoraggiarlo a controllare le possibilità di accesso nel luogo di lavoro

Fornire consulenza sull’acquisto di computer

Fornire consulenza su ISP (Internet Service Provider) gratuiti o a basso costo

Problemi tecnici con i computer Fornire consigli e documentazione comprensibile

Fornire supporto informatico

Fornire informazioni sulla formazione alle competenze informatiche

Fattori di implementazione

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DIFFICOLTA’ AZIONE DELL’ANIMATORE

Il partecipante non possiede le competenze comunicative appropriate

Impartire formazione ai partecipanti, in seminari faccia a faccia

Definire una zona ‘esercitazioni’ in una conferenza on-line

Consigliare corsi sulle competenze linguistiche e l’uso di strumenti di traduzione assistita

Percezione di una mancanza di autenticazione e importanza

Garantire una comprensione univoca

Incoraggiare aspettative comuni esplicitandole

Garantire la chiarezza degli obiettivi, per tutti i partecipanti

La terza categoria, tuttavia, pone maggiori difficoltà poiché dipende soprattutto da fattori personali e interiori, non sempre facilmente influenzabili dall’esterno. Questi riguardano soprattutto le responsabilità personali e professionali del singolo, che possono determinare la quantità di tempo a disposizione per le attività on-line. Se il tempo è limitato, le preoccupazioni e le priorità immediate avranno la precedenza. In queste situazioni, spesso, è necessario l’intervento di un animatore di rete competente e dotato di grande intuito.

Fattori sociali

DIFFICOLTA’ AZIONE DELL’ANIMATORE

I partecipanti hanno altre priorità Fornire strumenti di comunicazione flessibili che consentano l’accesso on-line in ogni momento

Mettersi in contatto con la loro organizzazione e incoraggiare il riconoscimento e la visibilità

Impegni familiari, condizioni di salute, vacanze Garantire che i tempi per le discussioni e i dibattiti siano ragionevoli e flessibili

Assicurare incoraggiamenti e sostegno

Isolamento e mancanza di sostegno dei colleghi

Stimolare il sostegno dei colleghi nell’organizzazione del partecipante

Fornire occasioni per instaurare relazioni più informali in una conferenza on-line

CONCLUSIONI

Un team funziona quando obiettivi e metodi sono chiari e condivisi e quando tutto il gruppo sa gestire il tempo, definire e rispettare ruoli, procedure e regole.

Lavorare in gruppo non significa pertanto focalizzare l’attenzione solo sull’obiettivo da raggiungere,

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ma anche sul “come” si lavora insieme.

Più volte abbiamo sottolineato in questo capitolo che l’attività di gruppo non è la mera esecuzione di un mandato, bensì presenta molteplici vantaggi tra cui:

• permette di verificare le proprie percezioni personali confrontandole con quelle degli altri;• fornisce il mezzo per aumentare la sicurezza nell’affrontare un “problema” comune;• richiede abilità sia nella gestione delle relazioni che dell’ operatività.

Quest’ultimo punto rappresenta senza dubbio la sfida più difficile poiché determinante sul rendimento dei singoli membri del team: la perdita di motivazione, infatti, è spesso legata più a processi personali, di dinamica di gruppo e di clima di lavoro che non ad aspetti tecnici.

La motivazione rappresenta quindi l’energia positiva che nasce dal trovare significato e senso in ciò che si fa ma purtroppo non possiamo pensare che basti cercare una sola motivazione, per ottenere il massimo del rendimento, e che questa possa essere comune per tutti. Ognuno ha un proprio stimolo personale, qualcosa che egli pone sopra a tutto e che gli permette di dare il meglio di sé (Alberto Bucci).

Per le ragioni sopra citate, è importante fare continua “manutenzione del gruppo”: la sua crescita potrebbe essere favorita per esempio da periodiche sessioni di valutazione, verifica e condivisione dei risultati raggiunti e dei cambiamenti che sono stati apportati al lavoro.

La tecnologia, grazie ad una vasta gamma di strumenti web-based, indubbiamente facilita gran parte di questi processi. In primo luogo permette di superare le barriere spazio temporali che spesso rappresentano un ostacolo alla comunicazione per offrire spazi di confronto più flessibili e meglio articolati.

Se da un lato però la più veloce e vasta messa in condivisione delle idee rappresenta un fattore vincente per le organizzazioni, dall’altro impone il superamento di un atteggiamento autoreferenziale ancora fortemente consolidato negli ambienti di lavoro.

Questa modalità di lavoro può, quindi, diffondersi e avere successo laddove vige una cultura organizzativa atta a sostenere, alimentare e premiare il raggiungimento di obiettivi comuni ottenuto dal team working.

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L’ESPERIENZA DI E-LEARNING ALL’INTERNO DEL PORTALE www.dronet.org Elisabetta Simeoni, Gianmaria Battaglia, Luciana Castellini

“L’esperienza e-learning system” all’interno del portale www.dronet.org, portale istituzionale realizza-to in collaborazione con il Ministero della Salute, il Ministero della Solidarietà Sociale ed il Gruppo di Coordinamento Interregionale sulle Dipendenze - Dronet nasce come ulteriore strumento di facilita-zione messo a disposizione degli operatori del settore, sia per integrare la proposta formativa di aula, sia per poter essere una valida alternativa per la formazione aziendale base degli operatori.

L’iniziativa ha rappresentato una grande sfida poiché rivolta ad un target di persone anche piuttosto restie all’uso delle tecnologie e maggiormente inclini ad una formazione basata su lezioni frontali e relazione verticale docente-discenti.

L’intento principale è stato quello di proporre ai partecipanti un approccio didattico nuovo più attivo e coinvolgente e, per questo, particolarmente adatto a sviluppare conoscenza in un contesto formati-vo di operatori impegnati, che necessitano di momenti di formazione più flessibili in relazione al loro tempo libero.

La piattaforma ha voluto rappresentare un “luogo virtuale” di scambio e confronto tra partecipanti provenienti da contesti lavorativi diversi, ma che si trovano a dover gestire nel quotidiano criticità comuni.

Il percorso formativo è stato pertanto arricchito da attività ed esercitazioni volte a stimolare il lavoro in gruppi in modalità collaborativa, valorizzando i singoli contributi offerti da ciascun partecipante.

L’esperienza narrata di seguito ripercorre le tappe di valutazione, progettazione e infine realizzazione del corso “blended” (vale a dire lezioni in presenze coadiuvate da attività a distanza) di uno dei corsi realizzati: il Project Management.

La progettazione del corso ha attraversato tre principali fasi così articolate:• Prima Fase: ANALISI delle variabili istituzionali, didattiche, sociali, personali e tecnologi-che;• Seconda Fase: DEFINIZIONE degli obiettivi formativi e delle attività correlate; • Terza Fase: STRUTTURAZIONE dell’ambiente on-line coerentemente con le finalità del corso precedentemente esplicitate.

La fase di analisi delle variabili è stata fondamentale al fine di:• delineare i singoli aspetti da presidiare, quali ad esempio quelli organizzativi, economici, logistici ecc.;• valutare tempi e mezzi di realizzazione; • compiere scelte tra loro coerenti; • avere un quadro completo delle azioni da compiere e stabile le priorità;• valorizzare al meglio le risorse già presenti e valutare l’esigenza di eventuali ulteriori in-vestimenti;• progettare il corso tenendo conto di fabbisogni specifici.

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Apprendere e lAvorAre nell’erA digitAle___________________________________________________________________________________________________________

Ciascuna variabile è stata scomposta in ulteriori sottoclassi utilizzando lo schema illustrato di seguito e accanto ad ogni sottoclasse sono state formulate alcune considerazioni sulla base del contesto analizzato.

In particolare sono state prese in considerazioni le:• VARIABILI ISTITUZIONALI di:valutazione degli aspetti organizzativi, definizione della tempistica, verifica delle risorse e quantificazione dei costi.• VARIABILI DIDATTICHE di:esplicitazione degli obiettivi formativi e scelta delle attività; organizzazione aspetti logistici e progettazione materiali didattici.• VARIABILI SOCIALI di:osservazione del contesto e composizione dell’aula.• VARIABILI PERSONALI di:descrizione del profilo utenti, • VARIABILI TECNOLOGICHE di:analisi dettagliata delle risorse a disposizione nell’ambiente on-line.

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l’esperienzA e-leArning sul portAle www.dronet.org___________________________________________________________________________________________________________

vAriAbili istituzionAli

Scomposizione

in sottoclassiContestualizzazione Considerazioni

Supporti organizzativi Per discenti Segreteria organizzativa

Attivazione di un sistema automatizzato di gestione dei ticket di assistenza, informazione e supporto via email.

Realizzazione di procedure d’iscrizione online informatizzate

Per docenti Segreteria organizzativa

Attivazione di un sistema automatizzato di gestione dei ticket di assistenza, informazione e supporto via email.

Risorse tecnologiche LMS

(Learning Management System)

Installazione di un Learning Management System e gestione dell’ambiente

Hosting della piattaforma

Modalità accesso allo spazio

Link dal portale www.dronet.org con nuova autenticazione

Tempistica Quantità Progettazione del corso

Raccolta iscrizioni

Organizzazione logistica

Attività seminariale e didattica (6 giornate di corso in presenza e 5 intermoduli on-line)

Estensione Svolgimento del corso (3 mesi )

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Apprendere e lAvorAre nell’erA digitAle___________________________________________________________________________________________________________

Budget di costo Costi da sostenere Installazione, hosting

della piattaforma

Gestione e manutenzione

dello spazio

Supporto organizzativo

Supporto didattico

Progettazione del corso

Gestione sessioni Live

e configurazione della tecnologia

Piattaforma open source

VARIABILI DIDATTICHE

Scomposizione in sottoclassi Contestualizzazione Considerazioni

Obiettivi

di

apprendimento

CONOSCENZA

PERFORMANCE (conoscere e comprendere)

Messa a disposizione di note didattiche, lucidi, materiale di approfondimento e link a siti d’interesse

APPLICAZIONE (astrarre informazioni dalle situazioni reali) Esercitazioni su casi emblematici

COMPRENSIONE (revisione del caso da più punti di vista) Feedback del docente

ANALISI (rilettura delle situazioni da parte dei partecipanti alla luce dei nuovi assunti appresi)

Raccolta di riflessioni elaborate dai partecipanti

SINTESI/VALUTAZIONE

(elaborazione di strategie e criteri di lavoro)

Discussione dei casi con supporto di Esperti

Meccanismi

e strumenti

di valutazione

Quiz

Correzione degli elaborati individuali e di gruppo (invio di feedback)

Tracking attività online

Questionari

Predisposizione di strumenti di valutazione e verifica on-line tramite piattaforma

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l’esperienzA e-leArning sul portAle www.dronet.org___________________________________________________________________________________________________________

Strategie

di

apprendimento

utilizzate

Aula lezione frontale

Aula in gruppi

Online autoapprendimento

Online collaborativi su task/casi

Lezioni frontali seguite da intermoduli in modalità distance con l’obiettivo di integrare e approfondire gli argomenti trattati in aula e proporre esercitazioni individuali e collaborative coerenti con gli obietti di apprendimento del corso

Numero

partecipanti43 discenti

Numero di partecipanti ideale per svolgere sia attività individuali che in gruppo

Ruolo gruppiE’ volto a simulare il lavoro in equipe, stimolare in confronto tra pari, favorire un approccio meno verticale rispetto allo studio e all’apprendimento

Messa a disposizione di una vasta gamma di attività da svolgere in gruppo (es. wiki, workshop, forum ecc.)

Materiali

didattici

utilizzati

Ipertesti

Sessioni live

File documentali

Griglie e schede

Realizzazione di materiali in diversi formati disponibili sia online all’interno della piattaforma che scaricabili sul proprio PC.

TempisticaQuantità

6 giornate di corso in presenza

5 intermoduli on-line

Estensione 3 mesi

VARIABILI SOGGETTIVE

Scomposizione

in sottoclassiContestualizzazione Considerazioni

Motivazione

alla partecipazione

Libera scelta finanziata Adesione al corso da parte degli operatori su base volontaria

Stili di vita Orari di lavoro, turni

Tipo di mansione ricoperta

Provenienza sia dall’ambiente pubblico (strutture sanitarie, Comuni) che dal privato sociale accreditato (cooperative sociali)

Page 109: Apprendere e lavorare nell'era digitale

108

Apprendere e lAvorAre nell’erA digitAle___________________________________________________________________________________________________________

Disponibilità tecnologiche

Luoghi

Tipologie

Messa a disposizione dei partecipanti di alcune postazioni informatiche per consentire loro prima o dopo le lezioni in aula, di interloquire con i discenti su eventuali problematiche informatiche riscontrate

Conoscenze tecnologicheUso del pc, posta elettronica, internet

Tutti i partecipanti dovranno possedere un indirizzo di posta elettronica per poter essere iscritti alla piattaforma e ricevere copia dei post inviati nei forum

Difficoltà LogisticheDistanza dalla sede di svolgimento del corso

Rimborsi

Partecipanti provenienti dalla Regione Veneto, altri dalla Regione Lazio.

Costi dei loro spostamenti sostenuti o dalla loro Azienda di Riferimento o personalmente dagli operatori

VARIABILI SOCIALI

Scomposizione

in sottoclassiContestualizzazione Considerazioni

Composizione partecipanti Provenienze

Professionalità

Età

Regione Veneto, Regione Lazio

Medici, Infermieri, Assistenti Sociali, Psicologi

30-55 anni

Contesti e motivi di contatti precedenti

Portale

Diffusione di materiale pubblicitario

Tramite il sito

www.dronet.org e tramite materiale pubblicitario

(depliant, locandine)

Contesti e motivi di contatti futuri

Portale

Diffusione di materiale pubblicitario

Tramite il sito

www.dronet.org e tramite materiale pubblicitario

(depliant, locandine)

Mailing-list

Reminder SMS

Nella seguente tabella vengono mostrate alcune delle funzionalità della piattaforma prese in considerazione.

Page 110: Apprendere e lavorare nell'era digitale

109

l’esperienzA e-leArning sul portAle www.dronet.org___________________________________________________________________________________________________________

TECNOLOGIE

LMS – Ambiente Descrizione strumento Modalità di utilizzo

Forum Strumento di dialogo a-sincrono Discussioni, confronto su argomenti specifici

Chat Strumento di dialogo sincrono Brevi scambi privati tra partecipanti

WikiStrumento collaborativo

a-sincrono

Redazione di documenti a piccoli gruppi. con storico delle modifiche apportate

WorkshopStrumento collaborativo

a-sincronoPer attività di valutazione reciproca tra gruppi di lavoro

CompitoStrumento per lo svolgimento di attività individuali da inviare al docente

Con feedback del docente

Diario Strumento ad uso del partecipante Riflessioni, annotazioni, ecc

Classe VirtualeStrumento di comunicazione sincrono che comprende audio, video e chat

Sessioni Live didattiche di approfondimento o tutorship

Messaggio Strumento di comunicazione a-sincrono

Permette di lasciare brevi massaggi anche ad utenti non in linea

Test Strumento di verifica dell’apprendimento

Quiz di autovalutazione, questionari

Sondaggio Strumento di verifica Somministrazione di sondaggi per verificare le opinioni altrui e stimolare delle discussioni

Lezione Strumento per attività di studio Ipertesti navigabile

Glossario Strumento per l’approfondimento

Definizioni, approfondimenti

da allegare

GLI OBIETTIVI FORMATIVI E LE ATTIVITÀ DIDATTICHE

La realizzazione di un buon progetto didattico volto a sfruttare in modo intelligente le potenzialità della rete doveva, secondo noi, partire da una attenta analisi degli obbiettivi educativi da raggiungere.

La letteratura, e in particolar modo gli studi condotti da Vygotsky, davano conferma del fatto che le interazioni “sociali” potessero portare a dei livelli di sviluppo cognitivo altrimenti impensabili, e dato che Internet è soprattutto un mezzo per comunicare, abbiamo ritenuto utile fare riferimento ad una tassonomia specifica in merito.

Si è pertanto deciso di utilizzare come riferimento la tassonomia elaborata da Bloom per descrivere

Page 111: Apprendere e lavorare nell'era digitale

110

Apprendere e lAvorAre nell’erA digitAle___________________________________________________________________________________________________________

gli obiettivi didattici a cui associare attività e strumenti.

Una tassonomia è infatti una sorta di classificazioni standard che ha come obiettivo quello di decidere quali siano i risultati dell’apprendimento che si vogliono ottenere, e cercare di stabilire con esattezza che cosa si vuole sottoporre a verifica (definizione degli obiettivi educativi).

Le tabelle proposte di seguito mostrano in quale modalità le teorie sopra citate sono state applicate per la strutturazione del corso di Project Management all’interno dell’esperienza Dronet.

Page 112: Apprendere e lavorare nell'era digitale

111

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112

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Page 114: Apprendere e lavorare nell'era digitale

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114

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Page 116: Apprendere e lavorare nell'era digitale

115

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116

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LA REALIZZAZIONE E LA GESTIONE

Dopo aver valutato attentamente strumenti a disposizione, facilità di utilizzo e loro rispondenze con obiettivi ed esigenze di monitoraggio, si è potuto procedere con la realizzazione vera e propria del corso all’interno dell’ambiente on-line.

La scelta è ricaduta sulla piattaforma open source Moodle, in quanto molto semplice da utilizzare per gli utenti e completa dal punto di vista delle funzionalità.

L’accesso alla piattaforma è stato reso disponibile attraverso un link dal sito www.dronet.org con richiesta di autenticazione per i partecipanti iscritti.

Ad ogni utente sono state fornite chiavi di accesso personalizzate da modificare al primo login per garantire la privacy e la riservatezza dei dati.

La gestione delle anagrafiche ha rappresentato, inoltre, un elemento fondamentale per la fruizione controllata e monitorata delle risorse on-line.

Durante la prima giornata di corso si è ritenuto opportuno organizzare una breve sessione introdut-tiva volta a illustrare ai partecipanti lo strumento e le sue principali funzionalità.

I partecipanti hanno avuto così modo di navigare all’interno della piattaforma e svolgere un primo compito in presenza per familiarizzare con lo spazio.

Per la fruizione del corso all’interno dell’ambiente on-line è stato aperto uno spazio dedicato cu-stomizzato con loghi, descrizioni e documenti informativi generali e alimentato di risorse comuni a disposizione dei corsisti (forum news, calendario eventi, repository ecc.)

La strutturazione del corso ha previsto i seguenti interventi all’interno del LMS:• Attivazione e predisposizione degli strumenti disponibili necessari allo svolgimento di cia-scuna attività (forum, assignment, test, diari, esercitazioni, chat, workshop, survey, wiki, ecc.).• Predisposizione delle istruzioni operative per i partecipanti con riferimento a ciascuna at-tività proposta quale integrazione della dimensione didattica con quella operativa (scadenze, funzionamento degli strumenti del LMS utilizzati, ecc.).• Alimentazione di risorse comuni a disposizione dei corsisti (forum news, calendario eventi, repository ecc.).• Strutturazione personalizzata di ciascun ambiente di lavoro (aree e sottoaree corrispon-denti all’articolazione del corso/seminario) in coerenza alle attività didattiche da svolgere on-line.

Nelle apposite aree sono stati:• Caricati i documenti prodotti dai direttori e dai docenti destinati allo studio e all’appro-fondimento dei temi introdotti durante i seminari in presenza.• Attivate le funzioni che regolano la visibilità dei documenti da parte dei partecipanti, in relazione alla programmazione delle attività (periodi di visibilità dei documenti, di svolgimento dei test, di consegna degli assignment).• Caricate le domande, relative risposte e feedback dei docenti.

Per assicurare un costante presidio delle attività didattiche e tecniche in corso è stato necessario co-stituire il gruppo di coordinamento composto da professionisti esterni esperti di e-learning e referenti interni all’Ulss.

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L’attività di gestione da parte del gruppo di esperti si è concretizzata nell’affiancamento a coordinatori e docenti nella conduzione del corso attraverso:

• la verifica e il monitoraggio delle attività svolte dai partecipanti;• il supporto:

o nel sostenere, motivare e moderare i partecipanti durante le discussioni e i con-fronti , l’analisi dei risultati dei test, lo svolgimento dei lavori di gruppo, ecc.),o nella raccolta degli elaborati inviati dai partecipanti e sintesi dei dati emersi,o nello sviluppo dei feedback da inoltrare ai partecipanti al termine dell’attività,o nella scelta delle modalità di comunicazione da utilizzare con i partecipanti negli intermoduli;

• la creazione di gruppi di lavoro tra loro omogenei.

Il presidio dei partecipanti è stato invece affidato ad un tutor che si è occupato di:• inviare periodicamente e-mail per comunicare scadenze e avvio di nuove attività;• moderare le discussioni nei forum;• contattare telefonicamente i partecipanti per sollecitare il completamento dei moduli e fornire loro eventuale supporto.

Infine, è stato predisposto un servizio di help desk tecnico per affiancare i docenti nella soluzione di problemi segnalati dai partecipanti attraverso l’invio di risposte alle domande inserite nell’apposito forum.

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LA CLASSE VIRTUALE

Quale ulteriore strumento di comunicazione, si è deciso di adottare anche una classe virtuale facil-mente integrabile con la piattaforma prescelta.

Tale strumento è stato adottato per soddisfare molteplici esigenze:• realizzare sessioni live di tutorship per i partecipanti al fine di garantire un supporto

costante gli iscritti durante tutto l’arco del percorso formativo;• organizzare interventi da parte di docenti ed esperti per approfondire temi e argomenti

d’interesse;• programmare briefing periodici tra lo staff organizzativo, docenti e tutor;• mettere a disposizione dei corsisti uno spazio sempre aperto quale occasione di:

• scambio di opinioni riguardanti le attività in corso,

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• momento di discussione, dialogo e confronto, anche rispetto alle attività svolte all’interno della propria organizzazione.

Ogni evento live è stato preceduto da una comunicazione via mail e da un annuncio inserito in piat-taforma indicanti giorno e ora dell’appuntamento.

Per venire incontro il più possibile alle varie esigenze dell’utenza, le sessioni live sono state program-mate in differenti giorni della settimana e in diverse le fasce orarie.

Dai commenti raccolti tra i partecipanti sono emersi i seguenti punti di forza rispetto allo strumento utilizzato:

• superamento della diade tutor-partecipante; • rafforzamento del senso di appartenenza al percorso formativo;• scambio di vedute su problematiche comuni con l’abbattimento di barriere derivanti dalla diversa collocazione geografica degli utenti ; • offerta di uno spazio di riflessione ex-post rispetto alle giornate in presenza; • registrazione delle live realizzate dai docenti, rese pertanto fruibili in qualsiasi momento.

CONCLUSIONI

I questionari finali di gradimento hanno evidenziato da una parte le difficoltà incontrate e dall’altra i vantaggi percepiti da un corso come questo, condotto in modalità blended.

In particolare, questa esperienza ha dimostrato che la conoscenza è un fatto sociale (e quindi retico-lare, ricco di interrelazioni) e, come tale, implica il confronto con altri soggetti anche al di fuori delle aule.

Questa consapevolezza si scontra con quel paradigma consolidato da secoli che vede il solo utilizzo di materiale documentale al centro della cultura.

Lo strumento utilizzato influenza il modo di apprendere e di insegnare: un vecchio detto recita infatti: “se tutto quello che hai è un martello, tutto ciò che hai sottomano diventa un chiodo”.

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“Esistono infatti, tutta una serie di situazioni in cui è preferibile evitarne l’impiego, e nelle quali invece sareb-be sufficiente e addirittura consigliabile ricorrere ad una interazione di tipo asincrono, ad esempio mediante la posta elettronica, che offre il vantaggio sia di garantire maggiore continuità alla comunicazione fra i par-tecipanti, sia di supportare quelle attività che non necessitano della presenza simultanea..” (Manca)

Questi strumenti tendono per loro natura a far applicare un diverso modello di insegnamento che si richiama al costruttivismo. I discenti, utilizzandoli, saranno infatti in grado di esplorare i dati disponibili in rete dialogando con loro pari e con altri e di ricavare da essi conoscenza piuttosto che memo-rizzarli passivamente, di partecipare a progetti, di soddisfare direttamente la loro curiosità, di dare e ricevere aiuto nel risolvere problemi.

A questo proposito sono stati proposti vari approcci teorici che si rifanno alle tesi di Piaget e di Vygotsky: si parla perciò di apprendimento collaborativo in un contesto costruttivista se due o più persone riescono a raggiungere degli obiettivi a cui singolarmente non sarebbero potuti giungere (11, 1990). Grande importanza viene data alle differenze che le persone hanno nel modo di risolvere un certo problema: i diversi approcci possono integrarsi reciprocamente e addirittura modificare la com-prensione del problema stesso. Vygotsky parla di “zona di sviluppo prossimale” proprio per definire: “...la distanza fra l’attuale livello di sviluppo, determinato dal modo di risolvere i problemi singolarmente, e il livello di sviluppo potenziale determinato attraverso la risoluzione di problemi [...] in collaborazione con altri più capaci.” (Vygotsky)

Internet non è quindi uno strumento del tutto neutro nei confronti dell’insegnamento in quanto non è possibile farne uso senza venire, in qualche misura, influenzati. Proprio per questo motivo possiamo parlare di Internet come di uno strumento cognitivo piuttosto che di una banale tecnologia per la comunicazione.

Inoltre, in funzione del grado di interattività che verrà scelto, apprendere non significherà più leggere delle pagine di un libro e nemmeno usare un cd-rom multimediale, ma piuttosto immergersi in un contesto dinamico non più autoreferenziale, sempre aperto, di interpretazioni, in cui comunicare diventa un atto istintivo.

La rete e gli strumenti che essa mette a disposizione, dando la possibilità di mettere in contatto tra loro un gran numero di persone fisicamente anche molto lontane, consente possibilità di sviluppo vastissime.

Apprendere, in questo contesto, significa non solo imparare i concetti di una specifica disciplina, ma anche come usare al meglio gli strumenti per comunicare ed interagire e i confini tradizionali fra l’im-parare l’uso delle tecnologie e imparare attraverso le tecnologie iniziano a sovrapporsi.

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COLLABORATIVE E-LEARNING: UN’APPLICAZIONE PRATICA NELLE POLITICHE DI PREVENZIONE SOCIO-SANITARIA Elisabetta Simeoni, Giovanni Serpelloni, Diana Candio

INTRODUZIONE

Nell’ambito delle politiche socio-sanitarie, le tecniche di e-learning possono oggi essere utilizzate efficacemente al fine di sviluppare un modello pratico di applicazione che favorisca la diffusione e l’apprendimento di importanti concetti di prevenzione rivolti ad un target specifico della popolazione, i giovani in particolare.

L’opportunità di utilizzare queste nuove strategie di apprendimento nasce da numerosi bisogni quali la necessità, innanzitutto, di “parlare lo stesso linguaggio delle giovani generazioni”, utilizzando stru-menti e modalità di comunicazione “a rete” (Internet in primis) che essi utilizzano quotidianamente e apprezzano in particolar modo rispetto ad altre forme di interazione.

L’ipotesi è quella di sviluppare un sistema che, da un lato, renda disponibile il materiale scientifico e il supporto tecnico degli esperti del settore e, dall’altro, permetta una fruizione estremamente flessi-bile con punti di formazione decentrati ad uso dei giovani. Innegabili, infatti, i grandi vantaggi che l’e-learning può offrire come, ad esempio, l’autonomia spazio/temporale di docenti e studenti. L’intento è quello di coinvolgere in modo sempre più attivo le principali istituzioni educative, le famiglie e le scuole, all’interno di progetti di educazione alla salute e alla promozione di stili di vita sani.

L’APPRENDIMENTO MEDIANTE IL COLLABORATIVE E-LEARNING

L’e-learning impiega tecnologie multimediali (web e Internet) con lo scopo di migliorare la qualità dell’apprendimento permettendo l’accesso a risorse e servizi, a collaborazioni e interscambi a grande distanza.

L’uso delle reti telematiche per la formazione e l’apprendimento collaborativo, permette di sviluppare processi formativi in rete attraverso l’interazione dei partecipanti nell’ambito di una vera e propria comunità di apprendimento, che supera le limitazioni spazio/temporali e la distanza geografica che separa docenti e studenti.

Infatti, la formazione “in presenza” facilita l’interazione molti-a-molti, ma è dipendente sia dallo spazio che dal tempo richiedendo la compresenza di tutti i partecipanti. La formazione a distanza abbatte invece le barriere spazio/temporali, offrendo la grande opportunità di poter avere a disposizione la competenza di esperti senza la necessità di effettuare spostamenti (Trentin, 2001). L’apprendimento collaborativo fornisce dei modelli di azione formativa applicati nella formazione in aula che sono stati trasferiti in contesti di formazione a distanza (e-learning) (Esposito, 2003).

Tuttavia, se gli strumenti informatici di comunicazione a distanza dell’e-learning rappresentano elemen-ti fondamentali, in sé non sono sufficienti a costituire un gruppo che collabora e, quindi, a promuovere l’apprendimento. Le condizioni necessarie e principali per un efficace apprendimento collaborativo

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riguardano in primis il gruppo, possibilmente costituito “da pari” (peer learning), che deve condividere obiettivi comuni. Il processo di collaborazione va costruito e un gruppo opportunamente strutturato permette di incidere in maniera significativa sulla produzione e lo scambio della conoscenza. Infatti, l’apprendimento collaborativo, inteso come rete di persone che apprendono insieme, si è dimostrato molto più efficace rispetto a modelli di apprendimento self direct (Esposito, 2003).

Quando si opera con adolescenti e giovani risulta particolarmente indicato privilegiare azioni di “peer education”, cioè lo scambio di conoscenze ed informazioni tra coetanei, che può essere considerata una preziosa ed efficace risorsa soprattutto a livello motivazionale.

Gli interventi di educazione tra pari si fondano sul coinvolgimento attivo di giovani che, dopo una adeguata formazione, assumono il ruolo di formatori promuovendo l’apprendimento tra pari in fun-zione dell’obiettivo educativo e con il supporto di adulti competenti. La peer education rappresenta un modello di apprendimento attivo e partecipato, più efficace rispetto agli approcci educativi che utilizzano operatori esterni che erogano informazioni (Girardi, 2006).

Tuttavia, anche se questo approccio si caratterizza per una migliore efficacia comunicativa, in quanto i giovani formatori godono di maggiore credibilità all’interno del gruppo di pari, un limite è rappresen-tato dalla scarsa competenza tecnica dei medesimi. Si rende, quindi, necessaria la figura di un tutor che componga le relazioni tra docente e studenti, oltre che la costante presenza di feedback da parte di tutti gli attori coinvolti nel processo di apprendimento (pari, tutor, docente). Per tale ragione, emerge la necessità di offrire un supporto di tipo tecnico-scientifico che si può articolare in differenti modi, occupandosi della formazione, fornendo materiale preparato ad hoc e garantendo anche la possibilità di interagire con esperti del settore.

Molta attenzione e cura deve essere posta nella selezione dei materiali di consultazione (power point, videotape, CD-ROM, ecc.), che devono essere standardizzati secondo specifici criteri di alta fruibilità, aggiornamento, coerenza e correttezza scientifica.

IPOTESI DI APPLICAZIONE

Una proposta pratica, finalizzata a coinvolgere i giovani in processi educativi efficaci, utilizzando anche le tecniche della peer education e dell’e-learning, è rappresentata, ad esempio, dalle piattaforme tec-nologiche interattive, ossia un insieme di strumenti tecnologici per l’e-learning finalizzati a soddisfare le esigenze in funzione della tipologia di soggetti utilizzatori.

Le piattaforme interattive sono dotate di “un sistema autore”, ossia di un’applicazione software utiliz-zata per lo sviluppo e la gestione dei contenuti che permette di realizzare moduli formativi elemen-tari. Il sistema autore deve, però, poter fare riferimento ad un database strutturato costituito da dati e nozioni (una sorta di libreria), agganciato a strutture scientifiche che garantiscano la qualità delle informazioni fornite. Si pone, quindi, il problema di provvedere alla predisposizione dei contenuti, alle metodologie didattiche da implementare e ai modelli organizzativi da gestire, in ordine alle attività formative che si intendono realizzare. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di realizzare programmi formativi in campo socio-sanitario, oppure interventi strutturati di prevenzione primaria basati sulle più recenti evidenze scientifiche e rispondenti a specifici bisogni.

Se il target cui ci si rivolge è rappresentato da studenti delle scuole medie e superiori, l’apprendimen-to risulterà tanto più efficace quanto più saranno coinvolti nell’intervento formatori “speciali”, utiliz-zando l’approccio della “peer education”. Tale tecnica sarà ancora più adeguata se utilizzata nell’am-bito del cosiddetto collaborative e-learning (sistema di apprendimento collaborativo), che incoraggia il dialogo e la discussione all’interno della virtual classroom, ossia lo spazio di apprendimento on-line

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dove studenti, formatori e docenti interagiscono, quale strategia per investigare ed approfondire nuovi domini di conoscenza (Trentin, 2001). L’approccio educativo peer to peer favorisce l’acquisizione da parte dei giovani neo-formatori di importanti concetti di prevenzione, oltre a formarli al collaborative e-learning. Naturalmente, si dovrà attrezzare la piattaforma tecnologica di applicazioni software di file video o audio digitali da poter utilizzare come materiale per i corsi di formazione.

La classe virtuale permette di soddisfare numerose esigenze, come ad esempio l’organizzazione di interventi da parte di docenti ed esperti per approfondire temi e argomenti di interesse, e dall’altra offre agli utenti uno spazio sempre aperto per scambiare opinioni, promuovere il dialogo e il con-fronto.

Apprendere collaborativamente in rete implica l’acquisizione da parte dei partecipanti di una serie di abilità, oltre alla disponibilità di “ambienti di studio” che facilitino tali processi. In quest’ottica, la possibi-lità di svolgere gli interventi formativi a scuola, traduce le classi in spazi che ben rispondono a queste necessità. Per favorire un coinvolgimento attivo degli studenti al processo di apprendimento collabo-rativo, l’azione formativa stessa e i suoi contenuti dovrebbero far leva sulle esperienze personali e la vita quotidiana. Per tale motivo si ritiene che l’impiego di studenti quali formatori dei propri compagni, quindi persone che appartengono alla classe intesa come community, risulti più efficace rispetto a formatori esterni, probabilmente più competenti ma estranei all’ambiente (Trentin, 2001).

Il sistema di apprendimento collaborativo, inoltre, dovrà offrire agli utenti la possibilità di utilizzare strumenti di collaborazione che rendano possibile a più soggetti di cooperare e condividere risorse e conoscenze. Nell’ambito degli interventi educativi, una figura molto utile potrebbe essere l’esperto on-line, incaricato di svolgere numerose funzioni:

• la funzione di supervisore nei confronti del formatore non specialista, fornendo un sup-porto di tipo tecnico scientifico; • la gestione del flusso di domande/risposte interagendo con l’aula;• la gestione degli approfondimenti tecnico-scientifici sulla base delle richieste pervenute;• la discussione e realizzazione di documenti comuni, risultato delle attività collaborative, e la condivisione, in tempo reale, di questi file.

UN ESEMPIO CONCRETO: LA PIATTAFORMA DRUGFREE.EDU

DrugFree.Edu, realizzato in collaborazione con il Ministero della Salute, è la piattaforma web interatti-va promossa dal Dipartimento delle Dipendenze di Verona, uno strumento innovativo di prevenzione dedicata agli studenti, agli insegnanti, agli educatori e ai genitori. Questa piattaforma promuove la formazione in rete, attraverso l’interazione dei partecipanti in una vera e propria comunità di apprendimento che favorisce il superamento dell’isolamento del singolo e la valorizzazione dei suoi rapporti con il gruppo (Trentin, 2001). A tal fine, la stessa piattaforma offre la possibilità di utilizzare alcuni applicativi freeware per poter partecipare alle videoconferenze, per i teleconsulti e il webcasting, per scaricare e visionare filmati, file audio, videoconferenze. In altre parole, oltre ai contenuti, sono forniti i software che consentono l’accesso a risorse e servizi, a collaborazioni e interscambi a grande distanza.

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Fig. 1: Schermata della homepage del sito DrugFree. Edu

Tutte le scuole possono collegarsi e utilizzare gli strumenti di prevenzione della piattaforma. La filosofia di DrugFree.Edu è quella del libero accesso alle informazioni. Infatti, è possibile consultare una ampia varietà di materiale multimediale, video didattici, interviste ad esperti, documentari, testimonianze.

La piattaforma, inoltre, offre la possibilità di personalizzare i pacchetti di prevenzione secondo gli spe-cifici bisogni delle scuole che decidono di aggiornare gli insegnanti e promuovere l’apprendimento di importanti concetti di prevenzione, adottando la metodologia dell’e-learning.

Lo staff di DrugFree.Edu è costituito da un Ufficio Studi che elabora e aggiorna gli strumenti di pre-venzione alla luce dei progressi della ricerca internazionale e sulla base delle esperienze che hanno dimostrato maggiore efficacia in altri Paesi. L’ufficio si coordina e si relaziona con le scuole e i servizi dislocati sul territorio e manda tutti i feedback necessari allo staff.

Gli insegnanti e gli educatori trovano nell’area loro dedicata, all’interno della piattaforma, strumenti pratici di prevenzione, manuali di approfondimento e materiali divulgativi per attività di gruppo in clas-se o nelle assemblee studentesche. Si offre, quindi, la possibilità di includere nei programmi formativi istituzionali interventi di prevenzione basati sulla ricerca che rispondono ai bisogni degli studenti. Gli strumenti messi a disposizione e scaricabili sono:

• i materiali informativi, ossia slide didattiche, manuali per insegnanti, depliant e manifesti;• i materiali scientifici, ossia linee guida e pubblicazioni specifiche;• i prodotti multimediali, ossia video didattici, interviste ad esperti, documentari, testimo-nianze;• gestione crisi, che affronta il tema della droga a scuola;• biblioteca, che propone approfondimenti;• videoconferenze e teleconsulti.

Un’altra area della piattaforma è dedicata ai genitori e a tutti coloro che si prendono cura dei giovani

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e svolgono un ruolo educativo. I genitori possono accrescere la propria consapevolezza sul problema droga e consultare manuali pratici con utili consigli per una corretta sorveglianza dei minori, per iden-tificare precocemente i sintomi dell’utilizzo di sostanze psicoattive, per la tutela della salute dei figli.

È possibile trovare informazioni pratiche e materiali di approfondimento sulla vulnerabilità dei giovani all’uso di sostanze:

• i manuali pratici, che forniscono utili indicazioni su come affrontare il problema dell’uso di droghe e sulle modalità relazionali per stili di vita liberi dalle droghe;• i materiali informativi, depliant, slide divulgative sui temi della prevenzione dall’uso di dro-ghe e alcol, manuali di prevenzione per genitori e consigli per una diagnosi precoce;• i prodotti multimediali, ossia video divulgativi in cui vengono spiegati gli effetti delle dro-ghe sul cervello, interviste ad esperti, spot & fiction, documentari, testimonianze di giovani e genitori.

Infine, l’area dedicata ai giovani utilizza format adeguati e diversi rispetto a quelli utilizzati per gli adulti, con colori vivaci e quattro giovani personaggi con un look alla moda, per favorire i processi identifica-tivi. Anche il linguaggio adottato cambia e si adegua a quello dei destinatari, i concetti sono espressi in maniera chiara ma sintetica. Sullo sfondo della homepage lo slogan che riassume il concetto principale “No drugs, no alcol, be free”.

Oltre alle principali informazioni relative alle sostanze stupefacenti, gli utenti hanno la possibilità di scaricare spot, fiction, musica, video, giochi, blog tematici, software gratuiti e open source, questionari di autovalutazione, ma anche lo spazio per esprimere opinioni ed emozioni, il tutto volto alla promo-zione di divertimenti sani, liberi da alcol e droghe.

CONCLUSIONI

In conclusione, facendo riferimento a un caso di studio concerto quale la piattaforma multimediale interattiva DrugFree.Edu, progetto pilota primo nel suo genere in Italia, si sono dimostrate l’utilità e le potenzialità delle nuove tecnologie digitali offerteci oggi dall’e-learning nello sviluppo di contenuti e metodi innovativi di formazione a distanza. I vantaggi di queste nuove tecnologie - di cui si apprezza la ormai diffusa modalità dell’open source, cioè lo sviluppo collaborativo di software e applicativi resi disponibili alla comunità della rete in forma gratuita e con “sorgenti aperte” in modo da consentire addirittura la personalizzazione di questi applicativi alle necessità specifiche degli utilizzatori - sono rappresentati in sostanza da:

• flessibilità del medium,• superamento dei limiti spaziotemporali,• apprendimento proattivo e partecipato, • peer education,• adeguamento del mezzo formativo alla domanda formativa (giovani),• maggiore disponibilità delle risorse per l’apprendimento,• virtualizzazione delle “classi”.

Allo stesso tempo non è possibile negare la presenza attuale di alcuni limiti che non ci consentono ancora di utilizzare queste nuove metodologie nella loro potenzialità. Fra questi problemi si segnalano in particolare:

• inadeguatezza del sistema formativo attuale al recepimento di metodologie e tecnologie innovative quali l’e-learning;• scarsa disponibilità dei formatori “tradizionali” ad apprendere essi stessi nuove compe-tenze e skills; • necessità di una profonda revisione dei modelli attuali di insegnamento, in particolare dei

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criteri di valutazione dell’apprendimento;• disponibilità di risorse per l’adeguamento degli attuali laboratori didattici alle caratteristi-che tecniche di base per l’utiilzzo delle nuove piattaforme tecnologiche.

Al momento attuale l’e-learning rappresenta un’opportunità e una sfida: solo chi saprà raccogliere questa sfida riuscirà a proporsi non solo con contenuti nuovi e adeguati ai tempi ma anche in modalità sempre più efficaci, corrispondenti alle nuove esigenze formative e alle modalità di comunicazione della “generazione digitale”.

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