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64 Capitolo 5 Applicazioni Mediche Introduzione I principali metodi di cura dei tumori consistono nella rimozione chirurgica del tessuto malato, nella chemioterapia, nell’immunoterapia e nella radioterapia. La chirurgia e la radioterapia portano a guarigione rispettivamente in circa il 22% e il 12% dei casi qualora si tratti di tumori in stadio iniziale e quindi curabili in loco. Se queste due tecniche vengono combinate insieme incrementano la possibilità di curare un ulteriore 6% di tumori. Per quanto riguarda le metastasi che rappresentano il 37% dei tumori diagnosticati, soltanto il 5% dei metodi utilizzati porta alla guarigione della malattia [24]. Nel caso di tumori non localizzati, ma disseminati, la chemioterapia diventa il trattamento principale perché il farmaco può raggiungere tutti i distretti del corpo. Spesso è usata in associazione alla chirurgia per eliminare le cellule residue e quelle circolanti nel corpo in seguito alla rimozione chirurgica del tumore. Esistono inoltre degli agenti chemioterapici che limitano l’effetto delle radiazioni nelle cellule sane. L’immunoterapia comprende tutti gli approcci terapeutici antineoplastici che tendono a modificare la risposta del paziente verso il tumore, sfruttando le proprie difese immunitarie. Consiste nella modulazione del sistema immunitario con interferoni, interleuchine, vaccini antitumorali, anticorpi e manipolazione genetica. La radioterapia invece è un trattamento localizzato il cui scopo è quello di distruggere le cellule tumorali per mezzo delle radiazioni ionizzanti, senza indurre alterazioni irrecuperabili ai tessuti sani. Questa tecnica di trattamento non è prevista per tumori diffusi, inoltre è un trattamento limitato alle aree nelle quali può essere somministrata una dose completa al tumore senza produrre danni biologici irreversibili ai tessuti sani. Uno dei benefici della radioterapia rispetto alla chirurgia è la possibilità di preservare le funzioni degli organi e tessuti trattati. Viene generalmente eseguita per mezzo di acceleratori di elettroni, per terapie di fotoni di bremsstrahlung o con gli elettroni stessi. I fotoni vengono utilizzati per trattare tumori in profondità, mentre gli elettroni per tumori superficiali. Talvolta vengono eseguite somministrazioni di sorgenti di radiazione ( 137 Cs, 192 Ir, 198 Au), viene posta vicino alla superficie corporea oppure all’interno di una cavità del corpo (brachiterapia). La radioterapia viene

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Capitolo 5

Applicazioni Mediche

Introduzione I principali metodi di cura dei tumori consistono nella rimozione chirurgica del tessuto malato, nella

chemioterapia, nell’immunoterapia e nella radioterapia. La chirurgia e la radioterapia portano a

guarigione rispettivamente in circa il 22% e il 12% dei casi qualora si tratti di tumori in stadio

iniziale e quindi curabili in loco. Se queste due tecniche vengono combinate insieme incrementano

la possibilità di curare un ulteriore 6% di tumori. Per quanto riguarda le metastasi che rappresentano

il 37% dei tumori diagnosticati, soltanto il 5% dei metodi utilizzati porta alla guarigione della

malattia [24]. Nel caso di tumori non localizzati, ma disseminati, la chemioterapia diventa il

trattamento principale perché il farmaco può raggiungere tutti i distretti del corpo. Spesso è usata in

associazione alla chirurgia per eliminare le cellule residue e quelle circolanti nel corpo in seguito

alla rimozione chirurgica del tumore. Esistono inoltre degli agenti chemioterapici che limitano

l’effetto delle radiazioni nelle cellule sane. L’immunoterapia comprende tutti gli approcci

terapeutici antineoplastici che tendono a modificare la risposta del paziente verso il tumore,

sfruttando le proprie difese immunitarie. Consiste nella modulazione del sistema immunitario con

interferoni, interleuchine, vaccini antitumorali, anticorpi e manipolazione genetica. La radioterapia

invece è un trattamento localizzato il cui scopo è quello di distruggere le cellule tumorali per mezzo

delle radiazioni ionizzanti, senza indurre alterazioni irrecuperabili ai tessuti sani. Questa tecnica di

trattamento non è prevista per tumori diffusi, inoltre è un trattamento limitato alle aree nelle quali

può essere somministrata una dose completa al tumore senza produrre danni biologici irreversibili

ai tessuti sani. Uno dei benefici della radioterapia rispetto alla chirurgia è la possibilità di preservare

le funzioni degli organi e tessuti trattati. Viene generalmente eseguita per mezzo di acceleratori di

elettroni, per terapie di fotoni di bremsstrahlung o con gli elettroni stessi. I fotoni vengono utilizzati

per trattare tumori in profondità, mentre gli elettroni per tumori superficiali. Talvolta vengono

eseguite somministrazioni di sorgenti di radiazione (137Cs, 192Ir, 198Au), viene posta vicino alla

superficie corporea oppure all’interno di una cavità del corpo (brachiterapia). La radioterapia viene

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somministrata in piccole dosi settimanali, mai tutta insieme. Questo consente di somministrare la

radiazione utile ad uccidere le cellule tumorali permettendo a quelle sane di riparare i danni da

irradiazione. L’energia ceduta dalla radiazione porta alla formazione di radicali liberi altamente

reattivi, in grado di rompere la doppia elica del DNA e di interferire con la duplicazione cellulare.

Le cellule tumorali risultano più sensibili agli effetti distruttivi delle radiazioni dal momento che

presentano una maggiore possibilità di essere in fase mitotica (fase M del ciclo cellulare) rispetto a

quelle sane. Anche le cellule sane rischiano di essere danneggiate dalle radiazioni. La possibilità di

ottenere guarigione dalla radioterapia dipende dalla capacità dei tessuti sani di sopportare gli effetti

tossici, ma anche dalla dimensione, dalla sede del tumore, dal tipo e dalla sua radiosensibilità.

Attualmente sono state introdotte nuove promettenti tecniche di radioterapia basate sull’uso di

protoni e ioni 12C, i centri dove queste tecniche sono applicate sono in numero limitato. Un

importante centro per l’uso di protoni e ioni 12C è in corso di costruzione vicino a Pavia (CNAO).

5.1 Neutroni indesiderati in trattamenti di radioterapia gamma La radioterapia con fotoni è la tecnica rimasta a tutt’oggi più diffusa con milioni di pazienti, trattati

ogni anno in tutto il mondo. E’ opinione importante ottimizzare il trattamento valutando le

componenti di dose indesiderata che possono portare alla tumori secondari radioindotti. Le nuove

tecniche di collimazione (SMLC, DMLC) utilizzate negli acceleratori lineari, hanno come obiettivo

quello di aumentare la dose gamma al target e, quindi incrementare i tassi di controllo locale,

tuttavia implicano un notevole aumento del numero di unità monitor (MU). Quest’ultima è l’unità

di misura usata per definire da un’ acceleratore l’erogazione della dose e rappresenta la quantità di

tempo richiesta per rilasciare una particolare dose al tessuto. E’ opportuno osservare che questa

quantità è direttamente proporzionale alla dose indesiderata, basti pensare che gran parte degli

elementi usati per la collimazione sono costituiti da materiali ad alto Z che interagendo con il fascio

fotonico producono neutroni. Dosi di radiazioni indesiderate, erogate al paziente al di fuori del

volume bersaglio durante trattamenti di radioterapia e collettivamente chiamate leakage radiation,

sono state studiate a partire dagli anni 50. Per Acceleratori di alta energia >15 MeV, nella

pubblicazione riassuntiva sulla contaminazione neutronica dovuta all’uso di acceleratori medici, il

National Council on Radiation Protection Measurements (NCRP, 1984) afferma che, in caso di

irradiazione con raggi gamma, esistono diverse sorgenti di dosi assorbite al di fuori del volume

bersaglio. Tali sorgenti devono essere sommate alle dosi dovute al fascio primario, assorbite dai

tessuti sottostanti e sovrastanti quello irradiato. Le componenti di dose indesiderata non sono

completamente indipendenti le une dalle altre, e ciò che dovrebbe essere considerato, da un punto di

vista medico, è il rischio totale per il paziente. In particolare sono sorgenti di dose aggiunta:

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• fotoni che fuoriescono dalle schermature della testata;

• fotoni diffusi fuori dal volume di trattamento;

• neutroni che sono generati nella testata per interazione dei gamma con gli elementi pesanti e

che raggiungono il piano del paziente;

• neutroni prodotti entro il volume di trattamento per reazione (γ,n) con gli elementi leggeri

che costituiscono i tessuti e gli organi;

• radiazioni dovute ad isotopi radioattivi prodotti all’interno del corpo umano.

Probabilmente a tutt’oggi i primi due punti sono quelli meglio conosciuti dal momento che erano

già noti durante l’utilizzo dei raggi X. La richiesta a quel tempo fu quella di ottenere un massimale

dell’0.1% del dose rate del fascio utile. Nel secondo caso studiato in parallelo al primo si è giunti a

conclusione che questa componente è circa da 5 a 28 volte superiore rispetto alla prima, a seconda

delle dimensioni del campo. Per quanto riguarda i neutroni,invece, il problema è sorto nel momento

in cui in radioterapia si è cominciato a fare uso di acceleratori sempre più potenti. Se inizialmente si

utilizzavano energie dell’ordine del keV, ben presto si è arrivati specie per tumori situati in

profondità, ad energie dell’ordine dei MeV, sfruttando il fatto che ad energie più elevate, il massimo

della dose fotonica depositata in funzione della profondità tende a spostarsi verso distanze maggiori.

L’aumento dell’energia del fascio, insieme con l’impiego di sofisticate tecniche di collimazione,

sono i principali responsabili della produzione neutronica. Secondo il rapporto NCRP del 1984

stime approssimative effettuate con calcoli analitici e con misure dosimentriche hanno indotto a

valutare la dose neutronica in termini di 0.1% - 0.3% di quella gamma. Mentre un tempo si riteneva

che dosi di questo livello fossero insignificanti per il paziente, rispetto al beneficio che questi

poteva trarre dalla cura, oggi si presta molta più attenzione a questo aspetto della radioterapia.

Questa maggiore preoccupazione è dovuta a diversi fattori, tra cui la pubblicazione dei nuovi fattori

di qualità Wr della radiazione neutronica, circa raddoppiati rispetto ai precedenti, e l’aumento della

durata di vita dopo trattamenti radioterapici. Statisticamente, esiste infatti una certa percentuale di

malignità secondarie, scorrelate (almeno per le conoscenze attuali) dal tumore primario, le quali

potrebbero in parte essere spiegate da questa esposizione ai neutroni. Alla luce di queste

considerazioni risulta indispensabile stimare la dose neutronica indesiderata [20].

5.2 I.M.R.T. La radioterapia con fasci ad intensità modulata (Intensity Modulated Radiation Therapy,

IMRT) rappresenta una delle più avanzate e promettenti tecniche di radioterapia oncologica. La

possibilità di conformare il rilascio di dose terapeutica alla geometria, anche molto complessa,

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di una massa tumorale consente di salvaguardare in modo ottimale i tessuti sani adiacenti al

tumore riducendo quindi la possibilità di complicanze e aumentando la probabilità di riuscita

del trattamento.

La IMRT è una forma evoluta della radioterapia conformazionale (Three-Dimensional-

Conformal RadioTherapy, 3D-CRT) che aggiunge alla conformazione geometrica

effettuata sul target, la modulazione in fluenza; questa si determina generalmente

attraverso l’uso di software specifici di pianificazione indicati con il termine di inverse planning.

La fluenza viene ottimizzata, per ogni fascio, sui differenti spessori di target visti nella proiezione

bidimensionale del campo (BEV, Beam Eye View), tenendo conto dei vincoli di dose e dose-

volume definiti all’interno del modulo di pianificazione inversa. La caratteristica fondamentale che

la distingue dalle altre tecniche conformazionali è la possibilità di ottenere distribuzioni di dose con

una forma concava, invece della tipica forma convessa ottenibile senza modulare la fluenza dei

campi. Quindi non solo si conforma la distribuzione delle dosi elevate alla forma del target, ma si

conformano anche le basse dosi alle strutture a rischio.

5.2.1 Tecniche di esecuzione La tecnica segmental IMRT mantenendo fissa la direzione del fascio (gantry fisso), realizza

la modulazione erogando una sequenza di campi multipli statici (segment o step) con il fascio

off nelle fasi di passaggio tra due differenti configurazioni del MLC (segmenti di modulazione)

e così per tutte le direzioni impostate dei fasci. Per ogni configurazione del MLC, o segmento

del campo modulato, vengono erogate le Unità Monitor (UM) calcolate dal modulo di inverse

planning. La tecnica dynamic IMRT differisce dalla precedente perché si mantiene on il fascio

radiante durante l’intera movimentazione delle lamelle del MLC, cioè anche nelle fasi di passaggio

tra le differenti configurazioni del MLC, sempre però mantenendo fissa la direzione del fascio.

5.2.2 Processo di esecuzione della IMRT Le tecniche suddette, per essere facilmente realizzabili nella pratica clinica, utilizzano un MLC.

Inoltre la pianificazione del trattamento necessita di un sistema IP e di un sequencer. Il sequencer

deve tradurre le intensità di fluenza determinate dal modulo di Inverse Planning in intensità di dose

erogabile dall’MLC tenendo conto sia delle restrizioni nel movimento che della dose trasmessa e

diffusa dal sistema delle lamelle. I migliori risultati si ottengono se il sequencer è incorporato nel

modulo di ottimizzazione interattiva e non applicato successivamente all’ottimizzazione. Grande

rilevanza nel calcolo e nell’ottimizzazione della distribuzione di dose hanno gli algoritmi di calcolo

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implementati ed effettivamente utilizzati nei sistemi per piani di trattamento (Treatment Planning

System, TPS), soprattutto nella correzione per disomogeneità (fluenza del fascio primario e

radiazione diffusa) e nel calcolo del trasporto degli elettroni secondari la cui importanza cresce al

diminuire delle dimensioni dei fasci utilizzati.

Nella modalità dinamica del’MLC deve essere in grado di eseguire in sequenza, in modo

automatizzato e sotto il controllo di un sistema computerizzato, tutti i segmenti di modulazione,

per campi di trattamento fissi oppure ad arco. Tale sistema di controllo deve essere integrato al

sistema di controllo e verifica.

5.2.3 Aspetti dosimetrici generali La maggiore conformazione raggiungibile con le tecniche IMRT rispetto ai normali

trattamenti conformazionali, trova spiegazione nei seguenti punti:

- maggior numero di gradi di libertà disponibili che permette di realizzare distribuzioni

complesse di dose che si conformano strettamente ai volumi tumorali di forma irregolare,

esponendo alle alte dosi volumi minori di tessuto sano;

- possibilità di compensare parzialmente la penombra del fascio e quindi di ridurre le

dimensioni dei campi incrementando la fluenza ai bordi del target;

- minore influenza della direzione dei fasci sulla distribuzione di dose, che permette di

modellare più adeguatamente le basse dosi intorno alle strutture critiche.

Un’ulteriore possibilità fornita dall’IMRT è rappresentata dalla facoltà di variare i gradienti

di dose e la loro posizione all’interno del volume irradiato. Questo consente di erogare

simultaneamente (nella stessa seduta di trattamento) una certa dose alla malattia primitiva e

un’altra, più bassa, alla malattia sub-clinica.

Nella pianificazione del trattamento con IMRT, con particolare attenzione va valutata la

disomogeneità di dose nel target; generalmente questa aumenta quando:

- si richiede un aumento della differenza di dose tra target e strutture a rischio adiacenti;

- la distanza tra target e strutture a rischio diminuisce;

- si richiedono distribuzione di dose più concave;

- diminuisce il numero di fasci utilizzati.

Pertanto se l’obiettivo principale è ottenere delle distribuzioni di dose di forma concava

vicino ai tessuti a rischio, allora la disomogeneità della dose nel volume del target sembra essere

una conseguenza inevitabile.

Uno degli aspetti più importanti da tener presente quando si vuole utilizzare questa metodica, è

la possibilità durante il trattamento di non riuscire a coprire adeguatamente il volume bersaglio

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con la distribuzione di dose programmata. Il risultato sarebbe quello di sottodosare una parte del

tumore oppure di incrementare la dose nel tessuto sano circostante, soprattutto in presenza di

elevati gradienti di dose, vanificando il risultato del trattamento. Nel caso della IMRT

questo problema è molto più critico che per la 3D-CRT. Tale possibilità è generalmente dovuta a:

- movimento degli organi e variazioni dei volumi durante il trattamento;

- movimenti del paziente;

- corretta definizione dei volumi;

- errori di set-up del paziente.

La riuscita del trattamento radioterapico con modalità IMRT è quindi fortemente dipendente

dai problemi suddetti e necessita pertanto di una analisi approfondita che permetta la scelta

dei sistemi e delle tecniche più opportune per ridurre entro limiti accettabili tali inconvenienti [25]

Le tecniche S/DMLC (Static/Dynamic MLC), possono teoricamente essere applicate alla stessa

tipologia di tumori, seppur con alcune differenze in termini di numero complessivo di UM, tempi di

beam-on, tempi di erogazione dell’intero trattamento, conformazione finale del volume di bassa

dose erogata ai tessuti sani circostanti il PTV (volume visibile, tiene conto dei movimenti del

paziente). Le S/DMLC sembrano da preferirsi nel trattamento di volumi piccoli con alte dosi.

Poiché la durata di ogni singola seduta di terapia è superiore a quella dei trattamenti convenzionali

anche conformati, i problemi radiobiologici legati al recupero del danno subletale durante ogni

singola frazione necessitano di attenzione e di un approfondimento ulteriore.

5.3 BNCT La BNCT (Boron Neutron Capture Therapy) è una terapia a due fasi la cui combinazione è

potenzialmente letale per il tumore. Nella prima le cellule neoplastiche vengono arricchite di 10B

mediante la somministrazione di un composto borato, nella seconda il tumore viene esposto ad un

intenso campo neutronico. La terapia prevede che al paziente venga in primo luogo somministrato

un composto borato,ad esempio la borofenilalanina, che contiene il 10B, un isotopo del boro. Tutte

le cellule, infatti, utilizzano questo aminoacido per i normali processi metabolici, ma quelle

tumorali necessitano di un quantitativo superiore, poiché, probabilmente, la loro replicazione

richiede molta energia. Per questo motivo la concentrazione di borofenilalanina nelle cellule

neoplastiche risulta più cospicua rispetto a quella che si raggiunge nei tessuti sani. A questo punto

l’organo che contiene tali cellule viene sottoposto ad irraggiamento neutronico.

La dose di radiazione viene assegnata durante l’irraggiamento attraverso la reazione di cattura di un

neutrone di energia termica da parte di un nucleo di 10B (figura 5.1):

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n + 10B → 7Li + α + 2.792 MeV

Questa reazione presenta molteplici peculiarità che la rendono particolarmente adatta alla

radioterapia:

• ha una elevata sezione d’urto per neutroni di bassa energia (3840 barns a 0.025 eV) e un Q-

valore positivo (Q = 2.792 MeV),

• i prodotti di reazione (una particella α e un nucleo di 7Li) rilasciano tutta la loro energia entro un

raggio di pochi µm dal punto in cui sono stati creati (6.5 µm e 4 µm rispettivamente), ossia

praticamente all’interno della cellula in cui avviene la reazione o in quella immediatamente

adiacente (fig. 5.2),

• la dose di radiazione è rilasciata solo durante l’irraggiamento neutronico dell’organo, dato che i

prodotti di reazione non sono radioattivi; in questo modo il resto del corpo del paziente viene

“protetto” da eventuali dosi indesiderate.

Figura 5.1 Reazione di cattura di un neutrone da parte del 10B.

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Figura 5.2 Prodotti di reazione.

Però, dal momento che anche le cellule sane assorbono il 10B, la selettività della terapia è garantita

dal maggior assorbimento di Boro nel tumore rispetto al tessuto sano. Per somministrare una dose

fatale alle cellule cancerogene, salvaguardando quelle sane mantenendole al di sotto della soglia di

tolleranza, è necessario che, durante il bombardamento neutronico, la concentrazione, CT , di 10B

nelle cellule neoplastiche sia maggiore della concentrazione, CH, nelle cellule sane; il rapporto T =

CT / CH è un indice della selettività della terapia (fig. 5.3)[14].

Fig. 5.3 L’esposizione ad un stessafluenza neutronica di unacellula tumorale e di una sanaproduce il rilascio in ciascunadi esse di una diversa dose diradiazione a seconda dellaconcentrazione (CT o CH) di10B in esse contenuta. Per certivalori di T è possibileimpartire una dose letale allecellule cancerogene e unadose inferiore al valore ditolleranza alle cellule sane.

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I valori delle concentrazioni CT e CH e del rapporto T che assicurano una buona terapia sono stabiliti

considerando che un tessuto sano, se irraggiato con neutroni termici, assorbe una dose di radiazione

attraverso le seguenti modalità:

• il fondo indesiderato di γ o di neutroni di alta energia presenti nella posizione di irraggiamento

• le reazioni che i neutroni inducono sui nuclei degli elementi che costituiscono il tessuto

biologico (H, C, O, N e altri elementi secondari). Le principali reazioni indotte dai neutroni

termici sono quelle di cattura sull’idrogeno che emette raggi γ da 2.2 MeV tramite la

reazione1H(n, γ)2H e sull’azoto che libera protoni da 600 keV tramite 14N(n,p)14C;

Trattamenti per BNCT

Attualmente, trattamenti BNCT vengo realizzati presso i reattori nucleari: le uniche facilities in

grado di fornire un fascio intenso di neutroni termici o epitermici per il trattamento di tumori

superficiali o profondi. Sebbene la BNCT sia nata per la cura del glioblastoma multiforme, al

giorno d'oggi ci sono specifici protocolli per il trattamento di altre patologie quali il melanoma, i

tumori del capo-collo e del fegato [27, 28]. I risultati promettenti hanno incoraggiato lo sviluppo di

sorgenti di neutroni alternative ai rettori nucleari, predisposte per essere ospitate in normali strutture

ospedaliere, in modo da soddisfare le principali richieste mediche.

5.4 Reattore Triga Mark II: trattamenti BNCT con fascio termico

Il reattore TRIGA MARK II è stato progettato per permettere studi avanzati di neutronica e di

radiazioni gamma, per produzione di isotopi, per l’attivazione di campioni e per l’addestramento

degli operatori di centrali nucleari. Esso raggiunge una potenza di 250 kW se fatto lavorare a

regime stazionario e di 250 MW in regime pulsato. Il reattore sfrutta la fissione dell’235U, un

nuclide molto pesante che per collisione con un neutrone si splitta in due nuclidi più leggeri

liberando 2 o 3 neutroni. La reazione quindi si itera, dando origine a un processo a catena. Si

sviluppa una quantità enorme di energia, la cosiddetta bomba nucleare. La reazione può però

essere controllata tramite apposite barre di controllo che assorbono i neutroni. Osserviamo che la

sezione d’urto di interazione (fig. 5.4) diminuisce drasticamente all’aumentare dell’energia del

neutrone perché diminuisce il tempo di interazione neutrone-nucleo. I neutroni devono quindi

essere termalizzati, solitamente con acqua deuterata.

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Figura 5.4: sezione d’urto neutroni uranio-235.

Gli elementi principali che costituiscono il reattore sono i seguenti:

• Il nocciolo (core): è composto da 81 elementi cilindrici di combustibile-moderatore

(uranio arricchito al 20% di 235U e idruro di zirconio). La presenza dell’idruro di

zirconio garantisce una limitazione automatica della potenza del reattore, in quanto

le sue capacità moderanti dipendono dalla temperatura; in particolare se neutroni

veloci vengono termalizzati, al contrario quelli termalizzati vengono accelerati.vi

sono poi tre barre di controllo, due in carburo di boro collegate a un’asta alla cui

estremità vi è un elettromagnete, in modo che quando l’asta è rialzata e il reattore

funzionante, semplicemente togliendo la tensione all’elettromagnate la barra cade

per caduta libera e il reattore si spegne; una in grafite borata dotata di un sistema di

estrazione pneumatico per generare gli impulsi di potenza. Vi è poi ancora una

sorgente di radio-berillio utilizzata per innescare la reazione a catena all’accensione

del reattore.

• Il riflettore: è un anello di grafite dello spessore di circa 30 cm, che circonda il

nocciolo e ha la funzione di ridurre la probabilità di fuga dei neutroni dal nocciolo.

L’intero riflettore è racchiuso in un recipiente di alluminio per evitare che l’acqua

del tank venga a contatto con la grafite.

• Il tank: è un contenitore in alluminio di forma cilindrica in cui è posizionato il

nocciolo. È riempito con acqua demineralizzata che agisce come moderatore.

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• Lazy Susan: si tratta di un porta-campioni rotante, posto in una sede anulare di

alluminio, ricavata nella parte superiore del riflettore di grafite; essa viene utilizzata

per l’irraggiamento di campioni.

• Canali “centrale”, F e “rabbit”: sono i canali di irraggiamento che penetrano

verticalmente nel nocciolo. In particolare il canale rabbit si avvale di un sistema di

trasferimento pneumatico ad alta velocità, per analizzare campioni irraggiati che

danno luogo a isotopi con una vita media molto breve.

• Canali orizzontali: sono quattro canali di irraggiamento, tre radiali ed uno

tangenziale.

• Colonna termica:consiste in un contenitore di alluminio e boro riempito di blocchi

di grafite ed incassato nello schermo di calcestruzzo. Le dimensioni sono 1.22x1.22

m nella sezione trasversale, 1.68 m di lunghezza. All’interno della colonna è stata

ricavata una cavità di irraggiamento caratterizzato da un campo neutronico isotropo

e prevalentemente termico; i fotoni vengono schermati da schermi di bismuto. La

colonna termica comunica con una camera, la quale consente di alloggiare apparati

di grandi dimensioni e nella quale si trovano due porte scorrevoli di calce struzzo

borato. Infine, un portello di piombo rivestito in cadmio cattura sia il fascio

neutronico sia quello fotonico [18].

La maggior parte degli stabilimenti attualmente utilizzati per NCT sono reattori nucleari

appositamente modificati per questa applicazione. Ci sono due metodi per ottenere un flusso di

neutroni appropriato, in una sala di trattamento attigua ad un reattore termico: lo spectrum shifting e

ed il filtering. Il metodo dello spettro shifting modera i neutroni fast in uscita dal core fino a ridurli

ad un energia appropriata per il trattamento di NCT; questi possono essere neutroni termici

(En<0,4eV) o epitermici (0,4eV<En<10keV). Nel caso in cui il reattore abbia un apertura per

l’irraggiamento abbastanza ampia, come nel caso di una colonna termica, si utilizza comunemente il

metodo dello spectrum shifting. Nel caso in cui il reattore abbia una finestra molto stretta, per il

passaggio dei neutroni si usa il metodo del filtering, che lascia passare solo i neutroni di energia

desiderata e scherma quelli di energie diverse. In generale il metodo del filtering perde molti più

neutroni e richiede che il flusso della sorgente sia maggiore di quello necessario nel caso

precedente. Il confronto tra il flusso di neutroni nella sede di irraggiamento e la potenza del reattore

conferma che il metodo dello spectrum shifting è più efficiente, ovvero fornisce il miglior rapporto

flusso/energia. Il reattore nucleare termico di ricerca TRIGA MARK II del Laboratorio Energia

Nucleare Applicata (L.E.N.A) di Pavia, sfrutta il modello dello spectrum shifting; nell’immagine

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5.5 la struttura gialla è il reattore mentre si intravede in blu la colonna termica modificata per il

trattamento BNCT. E’ stato necessario applicare sostanziali modifiche alla colonna termica del

reattore, in particolare per ridurre la contaminazione del flusso di neutroni [6].

Fig 5.5 Reattore nucleare TRIGA MARK II dell’Università di Pavia

La posizione in cui irraggiare l’organo espiantato è stata progettata e realizzata nella colonna

termica del reattore. Lo studio della distribuzione del flusso neutronico nella posizione di

irraggiamento e all’interno del fegato è stato eseguito per mezzo del codice MCNP, un MonteCarlo

che trasporta neutroni (da 10-5 eV a 20 MeV), elettroni (da 1 keV a 1 GeV) e gamma (da 1 keV a 1

GeV), in strutture geometriche anche molto complesse e con strutture ripetute come il nocciolo di

un reattore; MCNP possiede, inoltre, una vasta libreria di sezioni d’urto per elementi singoli e per

materiali composti. Le simulazioni sono state ampiamente testate con varie misure sperimentali.

L’intensità della dose gamma nella stessa posizione è stata ridotta di due ordini di grandezza

inserendo due schermi di Bismuto ciascuno dello spessore di 10 cm, per ridurre la contaminazione

del fascio neutronico.

5.5 PHONES Trattamenti BNCT con fascio termico da LINAC Il progetto INFN PhoNeS (PhotoNeutronSource) ha sviluppato un metodo innovativo per la

produzione di neutroni per trattamenti di BNCT in ambito ospedaliero. È stato proposto l’utilizzo di

fotoneutroni prodotti dalla conversione della radiazione gamma generata dagli acceleratori lineari

per radioterapia (e-LINAC) ad alta energia (18 MeV e 25 MeV) attraverso il meccanismo di

risonanza gigante di dipolo (GDR). Il “metodo” PhoNeS prevede tre fasi. La prima consiste nel far

incidere i gamma prodotti da un e-LINAC su un bersaglio ad alto Z. Nella seconda fase i gamma

vengono assorbiti e si ottengono fotoneutroni prodotti attraverso il meccanismo di risonanza gigante

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di dipolo (GDR). Nella terza fase si ha moderazione e termalizzazione dei neutroni attraverso

l’introduzione di materiali schermanti a basso Z.

Lo studio di fattibilità svolto [14] [26] ha visto la progettazione e la successiva realizzazione [6] (fig

5.6) di un fotoconvertitore che può essere agevolmente installato o rimosso dalla testata di un e-

LINAC, in grado di incrementare la fotoproduzione di neutroni e di rallentarli fino ad energie

termiche e/o epitermiche.

Figura 5.6: Prototipo assemblato. Officina meccanica INFN presso il Dipartimento di Fisica, Università degli Studi di Trieste. 5.6 Sorgenti a fusione D-D e D-T: trattamenti BNCT con fascio epitermico. Sorgenti di neutroni a fusione D-D e D-T rappresentano un alternativa alle sorgenti finora trattate.

La reazione D-D produce neutroni monoenergetici da 2,45 MeV, e richiede un fascio di bassa

energia compreso tra 100 e 120 keV. L’intensità della sorgente di neutroni basata su reattori a

fusione D-D è dell’ordine di 1.2 1012 n/s. La reazione di tipo D-T produce neutroni monoenergetici

da 14.1 MeV, anche esso richiede un fascio di bassa energia come nella reazione D-D, a queste

energie la produzione di neutroni della reazione D-T è di due ordini di grandezza maggiore rispetto

alla produzione nella reazione D-D [29].

Nell’ambito dello studio di sorgenti di neutroni, alternative ai reattori nucleari, utilizzabili in ambito

ospedaliero per trattamenti BNCT (Boron Neutron Capture Therapy), vengono studiate le

potenzialità di un generatore compatto basato sulla reazione a fusione D-D, installato presso il

laboratorio sincrotrone di §?. Il generatore è stato progettato presso il Lawrence Berkeley National

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Laboratory (Ca, USA) è in grado di fornire una yield di neutroni (> 1011 s-1), superiore a quelle

delle macchine D-D attualmente disponibili. I vantaggi sono le dimensioni ridotte (diametro = 45

cm, altezza = 60 cm), la bassa tensione di accelerazione (100 - 400 kV) e la possibilità di usare

correnti dell’ordine dell’Ampere (fig 5.6). La scelta di una macchina basata sulla reazione D-D

piuttosto che D-T deriva dal fatto che si prevede di installare il generatore in ospedale ove il trizio

può essere usato solo se il contenitore risulta sigillato. Tuttavia, in futuro, qualora questi requisiti

fossero soddisfatti, si potrebbe modificare la macchina e disporre così di un fascio più intenso

[30,31]. I neutroni da 2.45 MeV, prodotti dalla reazione a fusione D-D, non possono direttamente

essere utilizzati in BNCT, ma devono essere moderati fino ad energie epitermiche (0.4 eV < En < 10

keV) o termiche (En < 0.4 eV) per il trattamento di tumori profondi o superficiali. Questo richiede la

progettazione di una colonna moderante (Beam Shaping Assembly) costituita da: moderatore,

riflettore, delimitatore di fascio, schermo per i gamma e filtri per neutroni termici. Tale studio è

stato realizzato con un approccio Monte Carlo, mediante il codice di simulazione MCNP4C [32].

Sono testati differenti materiali e diverse geometrie e la scelta definitiva è stata fatta considerando

anche l’attivazione dei materiali stessi. In questo lavoro si presenta una configurazione ottimizzata

della colonna epitermica (fig 5.8). In particolare, è stato calcolato lo spettro neutronico alla finestra

di uscita [33]. (Lo spettro neutronico epitermico alla finestra di uscita corrisponde allo spettro

utilizzato per il secondo test sullo spettrometro LES, riportato nel capito 6, fig 6.2(fig 5.9)).

Fig 5.7

Generatore D-D

installato presso

il Dipartimento

di Fisica

Sperimentale,

Università degli

Studi di Torino

78

.

Lo spettro ottenuto (Fig. 5.9) presenta un picco a circa 1 - 3 keV, mentre i picchi ad energie più

elevate corrispondono ad avvallamenti nelle sezioni d’urto dei materiali.

fig 5.9 Spettro di neutroni ottenuto all’uscita della colonna epitermica.

Figura 5.8

Sezione del

BSA

dall’alto

79